La ragione e il sogno. Su Montale in versi e in prosa

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biblioteca di letteratura 26

Anna Nozzoli

La ragione e il sogno Su Montale in versi e in prosa



biblioteca di letteratura collana internazionale diretta da Gino Tellini

26


comitato scientifico internazionale Marc Föcking, Universität Hamburg Michael Lettieri, University of Toronto Anna Nozzoli, Università degli Studi di Firenze Pasquale Sabbatino, Università degli Studi di Napoli Federico II Michael Schwarze, Universität Konstanz William Spaggiari, Università degli Studi di Milano Paolo Valesio, Columbia University Antonio Carlo Vitti, Indiana University


Anna Nozzoli

La ragione e il sogno Su Montale in versi e in prosa

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Il volume è frutto di una ricerca svolta presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e beneficia per la pubblicazione di un contributo a carico dei fondi amministrati dallo stesso Dipartimento

© 2020 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-587-7 issn: 2036-3559 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Marina, 1959 tempera su carta incollata su faesite, cm 32 x 46,5 Milano, collezione privata (l’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte con i quali non sia stato possibile mettersi in contatto)


per Franco



Indice

xi

3

29

2. La Torino di Montale: flashes e dediche

51

3. Montale, l’arca, i perduti

75

4. Eusebio, Aldino e la Mosca

123

Premessa 1. Montale e la guerra rimossa

5. Montale e l’Inghilterra: gli angeli, il pesce

151

6. «Un sogno fatto alla presenza della ragione»: congetture su una “fonte” montaliana

159

7. Su Montale lettore di Gozzano

175

8. Montale, 21 giugno 1968: un giorno a Mantova

197

9. La nascita della Repubblica: immagini, ricordi, racconti

225 Indice dei nomi



Premessa

I sette interventi su Eugenio Montale indicati con i nn. 1-5 e 7-8 hanno visto la luce tra il 1999 e il 2018; una fisionomia relativamente eccentrica presenta il n. 9, qui ripubblicato a mo’ di appendice per il rilievo centrale che Montale vi detiene; inedito è il n. 6, che del titolo del libro aspira a illuminare il senso. Il sottotitolo, per parte sua, intende “fissare” compendiosamente la relazione osmotica che connette tra loro le diverse zone dell’inventio di Montale, e l’inseparabilità della sua poesia da una elettiva vocazione alla prosa sperimentata in una serie infinita di campi e di generi: dai “racconti” alle scritture autobiografiche o memoriali, dagli innumerevoli specimina del lungo esercizio della critica letteraria e musicale ai documenti epistolari, senza perdere di vista gli articoli di carattere politico e lo specialissimo, anfibio sottogenere costituito dalle interviste. Ho disposto i saggi in una sequenza cronologica non troppo rigida, legata a circostanze e situazioni della vita e dell’opera di Montale non necessariamente coincidenti con una “occasione” puntualmente determinata, e spesso riconducibili a un arco temporale di non breve durata. Uniformando con discrezione i criteri grafici, spesso molto vari da sede a sede, ho riprodotto i testi secondo la lezione della prima stampa e li ho corredati in calce, tra parentesi quadre, nei soli casi di stretta necessità, di qualche essenziale “aggiornamento” bibliografico, ma rinunciando a comprendervi tre notevoli “voci” recenti, che per ragioni di economia mi accontento di segnalare una volta per tutte in limine: i commenti a La bufera e altro di Marica Romolini (Firenze, Firenze University Press, 2011) e


xii    la ragione e il sogno

di Ida Campeggiani e Niccolò Scaffai (Milano, Mondadori, 2019) e i due volumi delle Interviste a Eugenio Montale (1931-1981) allestiti da Francesca Castellano (Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2019). Di ciascuno degli scritti elenco di séguito le sedi di prima pubblicazione: 1. Montale e la guerra rimossa, in In trincea. Gli scrittori alla Grande guerra, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Firenze, 22-24 ottobre 2015), a cura di Simone Magherini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2017, pp. 433-455. 2. La Torino di Montale: flashes e dediche, in La coscienza e il coraggio. Esperienze letterarie della modernità. Studi in onore di Sandro Maxia, a cura di Giovanna Caltagirone, Cagliari, AM&D, 2005, pp. 222-241. 3. Montale, l’arca, i perduti, in Interni familiari nella letteratura italiana [Atti del Convegno di studi, Bari, 8-9 novembre 2005], a cura di Maria Pagliara, Bari, Progedit, 2007, pp. 204-222. 4. Eusebio, Aldino e la Mosca, in «Studi italiani», xi, 1-2 (La «difficile musa» di Aldo Palazzeschi. Indagini, accertamenti testuali, carte inedite, a cura di Gino Tellini), gennaio-dicembre 1999, pp. 113-150. 5. Montale e l’Inghilterra: gli angeli, il pesce, in Studi di letteratura italiana. Per Vitilio Masiello, a cura di Pasquale Guaragnella e Marco Santagata, Roma-Bari, Laterza, 2006, tomo iii, pp. 85-112. 6. «Un sogno fatto alla presenza della ragione»: congetture su una “fonte” montaliana, inedito. 7. Su Montale lettore di Gozzano, in «L’immagine di me voglio che sia». Guido Gozzano cento anni dopo, Convegno internazionale (Torino, 27-29 ottobre 2016), a cura di Mariarosa Masoero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017, pp. 317-333, e in Sette studi per Gozzano, Atti della Giornata di studi (Siena, 23 giugno 2016), a cura di Maria Borio, Stefano Carrai, Alberto Comparini, Pisa, Pacini, 2018, pp. 63-77.


Premessa   xiii

8. Montale, 21 giugno 1968: un giorno a Mantova, in Studi di letteratura italiana in onore di Gino Tellini, a cura di Simone Magherini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2018, vol. ii, pp. 885-904. 9. La nascita della Repubblica: immagini, ricordi, racconti, in La letteratura e la storia, Atti del ix Congresso Internazionale dell’adi (Bologna-Rimini, 21-24 settembre 2005), a cura di Elisabetta Menetti e Carlo Varotti, prefazione di Gian Mario Anselmi, Bologna, Gedit, 2007, pp. 183-205. Tra quanti a vario titolo mi hanno fornito informazioni e consigli desidero ringraziare Felicita Audisio, Daniela Bernagozzi, Francesca Castellano, Marcello Ciocchetti, Gianfranca Lavezzi, Simone Magherini, Manuela Manfredini. Sono grata a Gino Tellini per avere generosamente accolto questo libro nella collana da lui diretta. A.N.



la ragione e il sogno

su montale in versi e in prosa



1. Montale e la guerra rimossa

Per molti anni, fino al 1968, cinquantesimo della vittoria, la storia della personale partecipazione di Eugenio Montale alla Grande Guerra è rimasta ininterrottamente sottotraccia con l’unica importante deroga costituita dal mémoire di Sergio Solmi dal titolo Parma 1917, pubblicato su «La Fiera letteraria» il 12 luglio 1953 nella Galleria degli scrittori italiani dedicata a Montale per la cura di Giorgio Soavi e di Vittorio Sereni. In quel saggio più volte ristampato l’amico di una vita di Montale ripercorreva i mesi trascorsi insieme nella Scuola di Applicazione di Fanteria destinata a trasformare quei giovani, o giovanissimi, studenti in ufficiali comandanti di plotone (Montale, Solmi, Cesare Cerati, Ercole Leone Crovella; un poco diverso è il caso del loro sodale Francesco Meriano, che al fronte non andrà): Conobbi Montale nell’ormai remoto autunno del 1917 alla Scuola di Fanteria di Parma, allievi entrambi di uno di quei «corsi accelerati» che in capo a due o tre mesi di istruzioni intensive sfornavano i nuovi «quadri» destinati a compensare le crescenti usure della macchina bellica. […] Montale, d’ordinario silenzioso, s’apriva talvolta per parlarmi, con quel suo umorismo malinconico e imperturbato, non privo di una sottile punta di fumisteria, della sua bohème genovese, di Sbarbaro soprattutto […] e di altri che poi conobbi, come Grande e Barile, nonché di un misterioso Bonzi (rimasto poi, credo, inedito o quasi), che riempiva le sue ore libere di impiegato al Comune componendo fastose tappezzerie verbali da disgradarne il più consumato degli esteti wildiani o huysmansiani. Mi diceva poi del suo apprentissage di allievo baritono, evocando curiosi mondi di


4    la ragione e il sogno cantanti e di prime donne d’opera e d’operetta, di cui affettava, con un certo compiacimento per l’effetto che poteva aver su di un giovinetto piccolo-borghese quale io ero, confinato al mondo della scuola e ai vagabondaggi sulla collina torinese, una conoscenza approfondita. […] La fine del corso ci separò. Il nostro destino militare fu diverso. Per Montale fu la Vallarsa, e il lettore degli Ossi e delle Occasioni avrà ritrovato, in accensioni di memoria circondate da un’ombra di confidenziale mistero, le tracce di quell’esperienza lontana. […] Rividi Eugenio dopo l’armistizio, stavolta elegante ufficiale, con un paio di meravigliosi guanti giallo canarino, che non mi son più usciti di mente. È l’immagine con cui posso chiudere quegli anni incredibili di adolescenza, quando la vacanza della guerra si alzò improvvisamente dal libro di latino squadernato sul banco liceale, e confonde ora l’un ricordo e l’altro nella stessa dissolvenza1.

Tra il 7 e il 14 novembre 1968 vedevano consecutivamente la luce due interviste di diversa ampiezza rilasciate a Manlio Cancogni per la rivista allora da lui diretta, «La Fiera letteraria», e a Corrado Stajano per il «Corriere della Sera». Mentre nella seconda, intitolata Terra dove non annotta, Montale, intervistato insieme con Giuseppe Raimondi, Paolo Monelli, Giuseppe Ungaretti e Giovanni Comisso, sostanzialmente eludeva l’oggetto delle domande rivoltegli da Stajano («Non ho memoria di quella guerra. Ritengo che sia stato un errore l’intervento. Quanto ai miei ricordi si confondono: io ho cercato di spiegare a Parise come è la guerra. Secondo lui uno che va in guerra non deve sparare. Capita invece che chi è dentro una battaglia non abbia affatto il senso della violenza, che non se ne 1  Sergio Solmi, Parma 1917, in «La Fiera letteraria», viii, 28, 12 luglio 1953, p. 3. Il testo è stato ripubblicato in appendice a Eugenio Montale, Quaderno genovese, a cura di Laura Barile e con uno scritto di Sergio Solmi, Milano, Mondadori, 1983, pp. 75-82; poi nel vol. i (Poesie, meditazioni e ricordi), tomo ii (Meditazioni e ricordi) delle Opere di Solmi, a cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi, 1984, pp. 205-212 (cito da pp. 205, 208-209, 211-212). La memoria di Parma 1917 riaffiora anche nella Testimonianza redatta da Solmi in occasione dell’ottantesimo compleanno di Montale e pubblicata nel volume collettaneo I poeti a Montale, Genova, Tip. A.T.A., 1976, pp. 27-28 (poi, con il titolo Per gli ottant’anni di Montale, in Sergio Solmi, Opere, cit., vol. iii, La letteratura italiana contemporanea, tomo i, Scrittori negli anni. Note e recensioni. Ritratti di autori contemporanei. Due interviste, Milano, Adelphi, 1992, pp. 487-489), e nel secondo dei Due ricordi di Saba apparso, con il titolo Ricordo, in «Nuovi Argomenti», [xxvi], 57, gennaio-marzo 1978, pp. 90-93 (ora in La letteratura italiana contemporanea, cit., tomo i, pp. 475-479).


1. Montale e la guerra rimossa    5

accorga, che non sappia insomma che cosa sta facendo»2), continuando in quel processo di rimozione o slontamento sino ad allora praticato, nella prima, intitolata Bello sì ma dopo?, egli imprendeva un vero e proprio racconto orale (trascritto in presa diretta da Cancogni su un taccuino senza l’ausilio di un registratore) dei quasi tre anni che avevano separato il giorno della chiamata alle armi (31 agosto 1917) da quello del definitivo congedo (26 maggio 1920). In verità, già nel 1966, nel corso di una intervista televisiva andata in onda sul primo canale venerdì 29 aprile, Montale era stato indotto da Leone Piccioni a qualche avara concessione sul terreno referenziale («è stata una guerra di posizione, la mia, il nemico non si vedeva mai; arrivavano schegge. Infatti ho perduto due comandanti di battaglione. C’erano delle perdite»3), ma soltanto nell’intervista con Cancogni metterà a nudo il complesso mix di estraneità, smarrimento, senso del dovere con il quale aveva attraversato la guerra, trovando il suo esemplare punto di approdo nel racconto della battaglia di Vittorio Veneto: Il mio reparto si trovava sul fronte trentino, in Vallarsa, sotto il monte Corno, dove nel ’16 avevano fatto prigioniero Battisti. Prima armata, generale Pecori-Giraldi. Non potrei precisare meglio. In basso c’era un fiume, il Leno; la valle si chiamava Valmorbia, noi però si stava a mezza costa, fra le rocce, perché il fondo era inabitabile, vi si rovesciava un po’ di tutto, rocce, sassi, fango, schegge, bombe, cadaveri, muli. Era difficile orientarsi, in montagna la guerra è una faccenda strana, non si sa mai dove stanno i tuoi e dove i nemici, anche quando si era di pattuglia si andava alla cieca. […] Ora dovrei parlare della battaglia finale, di Vittorio Veneto […]. Ricevetti un biglietto del comandante di compagnia, quel tale che non 2  Corrado Stajano, Terra dove non annotta (occhiello: Eugenio Montale ricorda gli anni della grande guerra; sommario: Una memoria dolorosa che pare rifiutare se stessa – Le testimonianza di Raimondi, Monelli, Ungaretti e Comisso), in «Corriere della Sera», 14 novembre 1968, p. 11. 3  Cinquant’anni di poesia. Leone Piccioni a colloquio con Eugenio Montale, in «L’Approdo letterario», xii, 35, luglio-settembre 1966, pp. 107-126 (particolarmente p. 112); poi con il titolo Cinquant’anni di poesia (Un’intervista ad Eugenio Montale in TV), in Leone Piccioni, Proposte di lettura, Milano, Rusconi, 1985, pp. 161-189 (169) e in Eugenio Montale, Il secondo mestiere, Arte musica e società, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1656-1678 (1661-1662).


6    la ragione e il sogno si faceva mai vedere. Diceva: «A mezzanotte vostra signoria dovrà scendere in basso col suo plotone, dopodiché, volgendo a nord-ovest, proseguire; indi poscia, retrocedendo a est per duecento metri e ripiegando a nord, riprendere la marcia in direzione nord-nord ovest…», e così via. Non era molto chiaro. Lo feci vedere al mio sergente che rimase dubbioso. Quella notte per giunta pioveva, c’era nebbia e non si vedeva quasi nulla. All’ora indicata cominciammo a scendere. Incespicavo, scivolavo, cadevo e l’attendente, un certo Pastorelli di Perugia, doveva sostenermi. Alla fine mi prese in spalla e così arrivammo in fondo sulla riva del Leno. […] Continuammo ad avanzare, nel buio, alternando il cammino con lunghe soste, fino all’alba. […] Sul nostro fronte gli Austriaci sembrava avessero rinunciato a una resistenza organizzata. Fui uno dei primi a entrare a Rovereto, subito dopo gli Arditi. Non credo di aver mai visto un caos come quello. Porte sfondate, mucchi di spazzatura dappertutto, bombe che scoppiavano, incendi e, ora qua, ora là, i colpi dei cecchini che gli austriaci avevano lasciato indietro per ostacolare l’avanzata. […] Andammo avanti sulla strada di Trento. […] Era come un sogno; un grande sogno in cui tutto poteva accadere. Io avanzavo come un sonnambulo. Subito dopo ci dissero che avevamo vinto la guerra4.

Di una simile attitudine darà ulteriore testimonianza la sovrapposizione, magari non originalissima ma sintomatica, istituita da Montale, in una successiva intervista rilasciata a Giuliano Dego, tra la propria esperienza bellica e quella di Fabrizio del Dongo nella Chartreuse: «Perché non ha mai scritto sulla guerra?» «Conosce La Certosa di Parma, di Stendhal? Io ero un po’ come Fabrizio, che si trova in mezzo a rumori, confusioni, fumo, gente che viene uccisa o fugge, e solo dopo si rende conto che ha partecipato alla battaglia di Waterloo. Io mi sono trovato in mezzo ad azioni belliche di quel genere lì. Se fossi dovuto andare con la baionetta innestata contro il nemico sarei morto subito, perché non ero molto veloce nemmeno allora. Correvo piuttosto lentamente. Non avevo nessun odio contro il nemico, non potrei uc4  Manlio Cancogni, Bello sì ma dopo? (occhiello: La notizia dell’armistizio del 4 novembre procurò sollievo, non gioia. Ecco come l’accolsero tre scrittori sotto le armi: Sergio Solmi, Eugenio Montale e Riccardo Bacchelli), in «La Fiera letteraria», xliii, 45, 7 novembre 1968, pp. 6-9, poi in Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, cit., pp. 1559-1564 (particolarmente, pp.1559-1562).


1. Montale e la guerra rimossa    7 cidere né un uomo né un animale. […] Fui fortunato di andare in montagna perché, anche se oggigiorno la guerra è molto diversa, a quei tempi, sotto il generale Cadorna, nelle pianure, era una cosa bestiale. Uomo contro uomo. Il vero combattimento all’arma bianca». «Infatti, mi ha fatto una certa impressione che, tolti un paio di accenni, lei non parli mai della guerra nella sua poesia». «Ma perché il vero combattimento all’arma bianca io non l’ho mai visto. Ho visto così un po’ da sonnambulo che esistevano delle cose strane intorno a me, ma i nemici erano dall’altra parte della valle. […] La mia invece è stata una guerra vista un po’ col canocchiale»5.

Se l’intervista a Cancogni, oltre a costituire il primo e in un certo senso l’ultimo documento dell’autorappresentazione del poeta in armi (alla quale sostanzialmente si attiene anche il capitolo Montale soldato della più volte ristampata biografia di Giulio Nascimbeni6), sembra aver fornito una essenziale selezione degli accadimenti compresi tra l’arruolamento nel 158° Reggimento Fanteria Liguria e la direzione del campo di prigionieri austriaci di Lanzo Torinese, in anni più recenti altri documenti epistolari e memoriali hanno consentito di mettere a fuoco più perspicuamente il quadro delle opzioni, in larga misura coatte, di Montale, anche con riferimento alle vicende che precedono la sua chiamata alle armi. Di speciale rilievo è, naturalmente, lo Stato di servizio, del qua5  Intervista di Giuliano Dego a Eugenio Montale. Il bulldog di legno, Roma, Editori Riuniti, 1985, pp. 54-55. Il testo dell’intervista era apparso, per la prima volta, con il titolo The Wooden Bulldog. An interview with Eugenio Montale, sulla rivista «London Magazine», xiii, 2, June-July 1973, pp. 5-28, ed era stato successivamente ripubblicato, in una versione ridotta dal titolo Montale esplosivo, che tuttavia presenta il lacerto citato, in «La Fiera letteraria», li, 16, 20 aprile 1975, pp. 3-7. 6  «I ricordi del poeta non sono molto folti su quel periodo. L’azione di guerra che più gli è rimasta impressa cominciò una notte in cui ricevette l’ordine scritto di avanzare sul fondovalle con i suoi pochi soldati. Pioveva a dirotto da molte ore. Grossi chicchi di grandine si mescolavano alla pioggia. Il fondo della valle era buio, impenetrabile. L’attendente di Montale, Vincenzo Pastorelli (un perugino “analfabeta, balbuziente, robusto, affezionato”), visto che il suo giovane comandante faticava nello scendere lungo il pendio che il fango rendeva infido e scivoloso, lo prese in spalla e lo portò giù fino al greto del Leno. Si sentivano degli spari in lontananza. Erano le quattro del mattino. Quando l’alba rischiarò la valle, Montale e i suoi uomini si trovarono improvvisamente di fronte a tre soldati austriaci. Non fu necessario né sparare né minacciare. I tre si arresero subito» (Giulio Nascimbeni, Montale, Milano, Longanesi, 1969, pp. 58-59).


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le ritaglio qui la certificazione degli snodi fondamentali della “carriera” militare di Montale: 31 agosto 1917: «soldato di leva 1a categoria classe 1899», dopo ripetuti episodi di rivedibilità per «debolezza di costituzione»; 8-10 settembre 1917: chiamata alle armi presso il deposito di Oleggio (Novara) del 23° Reggimento Fanteria; 15 ottobre 1917: allievo aspirante ufficiale di complemento nella Scuola di Applicazione di Fanteria di Parma; 17 marzo 1918: aspirante ufficiale di complemento; 12 aprile 1918: invio al 158° Reggimento Fanteria; 14 aprile 1918: «giunto in territorio dichiarato in istato di guerra»; 1° luglio 1918: promozione a sottotenente di complemento; 31 dicembre 1918: «partito dal territorio dichiarato in istato di guerra»; 9 gennaio 1919: «comandato presso la Divisione di Torino (distaccamento del 92° Fanteria Lanzo Torinese)», dove assume la responsabilità di un campo di prigionieri austriaci; 26 maggio 1920: «inviato in congedo previa 15 giorni di licenza temporanea» (la servitude e la grandeur militaires di Montale possono legittimamente ritenersi chiuse in questo punto)7. La sequenza attestata dal foglio matricolare è passibile di un illuminante incrocio con i dati di fatto desumibili da almeno tre importanti epistolari montaliani: il blocco delle «lettere da casa Montale» degli anni 1917-1920, costituito dalla corrispondenza di Eugenio con la sorella Marianna e dalle missive inviate da quest’ultima alle amiche Ida Zambaldi e Minna Cognetti, excerpta, l’una e le altre, di uno straordinario lessico familiare dispiegato nell’arco di un trentennio (1908-1938) e finalmente edito nel 2006; le lettere a Francesco Meriano, compagno dei mesi del 1917-18 trascorsi alla Pilotta di Parma, collocate in appendice alla raccolta degli scritti dello stesso Meriano allestita, nel 1982, da Gloria Manghetti, Carlo Ernesto Meriano e Vanni Scheiwiller; le lettere a Bianca e Francesco Messina pubblicate a cura di Laura Barile nel 1985 (il volumetto, comprendente anche i facsimili e le trascrizioni delle poesie degli Ossi donati a Bianca Fochessati e a Francesco Messina, accoglie, tra gli altri, la bella copia autografa di Valmorbia, discorrevano il tuo 7  Ho potuto prendere visione dello Stato di servizio di Montale grazie alla grande cortesia dell’amico Giuseppe Matulli, che mi ha fornito la fotocopia del documento a lui trasmessa l’11 luglio 2000 dal dott. Simone Guerrini, capo della segreteria particolare dell’allora Ministro della Difesa, on. Sergio Mattarella.


1. Montale e la guerra rimossa    9

fondo… alla quale non hanno avuto accesso i curatori dell’Opera in versi Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini). Il dialogo epistolare di Eugenio Montale con la sorella Marianna, solo frammentariamente noto prima del 2006, appare come un appassionante sismografo di quella fenomenologia della vita quotidiana, e della interiore in ispecie, che Montale confida a quella privilegiata, anzi unica, interlocutrice, che a sua volta, nella conversazione epistolare con le amiche, colloca Eugenio al centro del proprio sistema insieme sentimentale, etico e conoscitivo8. Non insisto qui sulle implicazioni profonde di un rapporto fraterno di eccezione che non esclude la possibilità di due diverse visioni della guerra da parte dell’uno e dell’altra (molto semplificando, il pacifismo tolstoiano e cristiano di Eugenio coincide solo fino a un certo punto, e in ultima istanza radicalmente diverge, dall’interventismo, non privo di risvolti insieme patriottici e religiosi, della sorella), e mi limito ad addurre un numero forzatamente esiguo di specimina a partire dalla lettera che, da Parma, Eugenio invia a Marianna l’8 novembre 1917, quella il cui cuore si identifica con la più celebre tra le autocertificazioni di Montale “giovane”: «Io sono un amico dell’invisibile e non faccio conto che di ciò che si fa sentire e non si mostra; e non credo e non posso credere a tutto quello che si tocca e che si vede»9. Se non si perdano di vista le parole che immediatamente seguono («son dunque proprio un antimilitare»), una simile autodefinizione varrà a fissare epigraficamente le linee del portrait che del fratello Marianna traccerà a un mese di distanza, il 22 dicembre 1917, in una lettera all’amica Minna Cognetti: 8  Sulle relazioni tra Eugenio e Marianna, e sul ruolo di assoluto rilievo assolto da quest’ultima nella formazione del poeta, si vedano Laura Barile, Postfazione a Eugenio Montale, Quaderno genovese, cit., pp. 179-192 (poi, con il titolo C’è una bella vasca con lo zampillo…, in Montale Londra e la luna, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 151-161); Franco Contorbia, Montale, Genova, il modernismo, in Il secolo di Montale: Genova 1896-1996, Atti del Congresso internazionale (Genova, 9-12 ottobre 1996), a cura della Fondazione Mario Novaro, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 95136 (poi in Montale, Genova, il modernismo e altri saggi montaliani, Bologna, Pendragon,1999, pp. 13-52). 9  Lettere da casa Montale (1908-1938), a cura di Zaira Zuffetti, Milano, Ancora, 2006, pp. 408-409 (409).


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