I Salesiani di don Bosco a Firenze (1881-2011)

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L’opera salesiana a Firenze vista dall’alto nel 2006

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Antonio Miscio     I Salesiani di don Bosco a Firenze   1881-2011

Antonio Miscio è sacerdote salesiano. Dismesso dopo quaranta anni l’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole superiori, si è dedicato a narrare la storia della presenza dei Salesiani nelle varie località della Liguria e della Toscana, dove lui stesso è cresciuto e ha insegnato. Ha iniziato nel 1991 con Firenze e don Bosco. 1865-1887, che racconta le venute di don Bosco a Firenze. Altre sue opere sono: Pisa e i Salesiani (Cursi, 1994); Da Alassio i Salesiani in Italia e nel mondo (Sei, 1996); Cento anni di Salesiani a Livorno, dopo Collesalvetti e Lucca (Nuova Fortezza, 1998); Cento anni di amore. I Salesiani a Figline Valdarno (Nuova Fortezza, 1999); La seconda Valdocco. I Salesiani a Sampierdarena (Elledici, 2002); Vincenzo Savio, la meravigliosa avventura di un vescovo sorridente (Elledici, 2007); Severo Breschi, sacerdote salesiano di Fauglia (Editrice Vaticana, 2009).

Antonio Miscio

I Salesiani di don Bosco a Firenze

1881-2011

Società

Editrice Fiorentina

La presenza dei Salesiani a Firenze tra via Fra Giovanni Angelico, via del Ghirlandaio e via Gioberti fino al 1995 era rimasta chiusa, difficile e tormentata negli ambienti modesti degli inizi, quando don Bosco nel 1881 mandò i suoi primi tre salesiani. Solamente nel periodo che va dal 1955 al 1959 l’Opera trovò più ampio respiro con la costruzione di due grandi fabbricati, che facilitarono l’azione dei Salesiani in favore della gioventù. Attualmente in via Gioberti vive la parrocchia della Sacra Famiglia con accanto l’Oratorio festivo e quotidiano, l’operosa Libreria della Elledici e la Società Sportiva Sales con oltre mille iscritti. In via del Ghirlandaio gode di prestigio l’Istituto Salesiano, che comprende la Scuola Media, il Liceo Scientifico, il Convitto Universitario e l’Ospitalità. È aperta al pubblico la Sala Esse, centro di varia cultura con programmazione attenta di spettacoli teatrali e cinematografici. Con questo lavoro Antonio Miscio ci fa conoscere quello che i Salesiani hanno fatto e fanno nel rione di Borgo la Croce con una presenza che dura da centotrenta anni.

In copertina: Don Bosco fra i suoi giovani, fotomontaggio, Torino, 1861, foto di Francesco Serra



Antonio Miscio

I Salesiani di don Bosco a Firenze 1881-2011

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Alla cara memoria di Giulia Rosselli Del Turco, pronipote di Girolama e Tommaso Uguccioni Gherardi, che don Bosco chiamava papà e mamma

© 2011 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 fax 055 5532085 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it blog www.seflog.net/blog facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account www.twitter.com/sefeditrice isbn 978-88-6032-194-7 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Le foto pubblicate nel volume sono tratte dall’archivio dell’Istituto salesiano “Maria Immacolata” di Firenze


Indice

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Presentazione

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Premessa

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parte prima: dagli inizi fino all’arrivo di don ivo paltrinieri (1881-1955)

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I. La preparazione della venuta dei salesiani a Firenze (1865-1881). Contatti di don Bosco con il mondo fiorentino. Le cooperatrici, Girolama Uguccioni. La Società Cattolica per gli Operai (1878). Giovanni Grassi. L’arcivescovo Eugenio Cecconi.

15

II. I primi tre salesiani (1881). Il quadriennio di don Faustino Confortola.

25

III. Don Stefano Febraro (1885-1900). I primi dieci anni. Costruisce lungo via del Ghirlandaio (1893-95).

32

IV. Il quinquennio 1895-1900. Il Comune di Firenze vuol prolungare via Giotto, attraversando la proprietà dei salesiani. Il contratto presso il notaio Tafani. Febraro in dissidio con i superiori salesiani di Torino.

41

V. «La Sacra Famiglia» e don Alessandro Luchelli (1900-1904). La prima pietra nel 1903: card. Domenico Svampa.

47

VI. Don Cipriano Alciato (1904-1911). Grosse difficoltà. I lavori della Sacra Famiglia a singhiozzo. D. Carlo Bellamy se ne va. Pericolo di chiusura dell’Istituto. Si chiude il ginnasio. I laboratori chiusi. Il macchinario presso i salesiani di Bologna.

55

VII. Uno sguardo fuori casa. Papini. Prezzolini. Palazzeschi. Soffici. Le Riviste fiorentine. I cattolici: i figli di Raffaello Torricelli. La LEF, libreria editrice fiorentina. Il Piccolo Credito Toscano.

58

VIII. Breve interruzione dell’attività (1911-1915). Riduzione dell’Opera. Soppressione del Ginnasio e dei Laboratori. Costituzione della parrocchia, 8 dicembre 1911.

61

IX. Don Torquato Tassi direttore (1911-15) e parroco (1915-1955). Costituzione della parrocchia. Don Mancini si propone come parroco. Don Luigi Giudici (1915-1924). La chiesa occupata dai militari. Don Tassi prende possesso della parrocchia, 31 ottobre 1915.

71

X. L’architetto Pietro Tincolini. Alessandro Buzzetti capomastro. Relazione di Ludovico Costa ispettore. Muore Tincolini. Don Mancini in Diocesi. Tincolini tempesta di lettere i superiori.


indice 80

XI. Contrasti tra don Tassi e don Giudici. Relazione dell’Ispettore don Ludovico Costa. Don Giovanni Mancini in Diocesi. La navata centrale aperta al culto, 1922. Relazione di don Giudici ai superiori. Morte improvvisa di don Luigi Giudici, 1924.

91

XII. Anno di trapasso, 1924-25. Aristide Simonetti e Pietro Cogliolo. Arriva don Bernardo Savarè. Immediato il pensiero alle Scuole Professionali.

94

XIII. Il Comitato per le Scuole Professionali. In Palazzo Vecchio il 25 aprile 1926 il 50° delle Missioni Salesiane, Carlo Del Croix. La venuta di sua Maestà Vittorio Emanuele III per la posa della prima pietra, 4 novembre 1926.

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XIV. Il problema di via Giotto. Il contratto Tafani (1900) ignorato dal nuovo Piano Regolatore del 1924. Il podestà Giuseppe Della Gherardesca. Il ministro Giuriati. L’avvocato Piero Calamandrei. Causa persa.

104

XV. La Comunità salesiana 1926-1930. Muore mons. Donato Velluti Zati di San Clemente. Inaugurazione della Sacra Famiglia, 1930.

110

XVI. Don Bernardo Savarè, 1930-1931. Muore il card. Mistrangelo. Arriva mons. Elia Dalla Costa, 1932. I nomi dei benefattori vivi e defunti, dal 1878 al 1920.

118

XVII. Gli anni 1934-40, dopo il direttorato di don Nervi, 1931-34. Relazione del direttore (1934-40) don Giuseppe Bertoncello sulla Casa e su via Giotto. La venuta di Hitler a Firenze, maggio 1938. La parifica della Scuola, 1939. La Pira e “ Principi”, 1939-40. In S. Croce per il sessantesimo dell’Opera Salesiana.

125

XVIII. Don Alfredo Treggia direttore, 1940-45. Don Carlo Ciappei incaricato dell’oratorio, 1942-46. Sacerdoti don Fosco Vandelli, don Duilio Pini, don Guido Magnani. Passa la guerra. Firenze libera.

133

XIX. Don G.B. Canale direttore, 1946-49. La Pira alla Costituente, 1946. All’oratorio Craviotto, Gambaro, Panicucci, Morelli (1946-1952). Prima messa di don Luigi Sessa, marzo 1950. Amplia relazione di don Niccolao Ragghianti (1950)

141

XX. Cinquantesimo sacerdozio don Tassi, 1951. Don Stanislao Kmotorka. Numero Unico. Le attestazioni del Maestro Esposito e di Rodolfo Rodolico. Morte di don Tassi, 1957. L’omaggio di Piero Bargellini.

145

XXI. La Libreria Salesiana dal 1891. E. Boccaccio. F. Colombara. Cesare Prano. Nello Gemignani, Giacomo Trevisan, P. Ricci, G. Mansani, Leo Mollica, Angelo Rizzone.

152

XXII. L’oratorio da don Giovanni Mancini a don Morelli, 1893-1952. Gli ex allievi dell’Istituto, 1912; gli ex Allievi dell’oratorio, 1958. Numero Unico.

157

XXIII. Giuseppe Campolmi e Radio Cora, 1944-45. La filodrammatica di Domar, la banda di don Belloli, gli esploratori. Il Cineforum con Dino Pieraccioni, don Giovanni Favaro, don Giovanni Giusto. La morte di Gino Lucchesi. Don Vanni Desideri sacerdote.

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indice 163

XXIV. Un passo indietro. Don Ragghianti direttore nel 1949. Don Morelli e la Sales, 1952-56, il campo sportivo, la Fiorentina. Piani di ristrutturazione per l’Istituto. Arriva don Ivo Paltrinieri nel 1955. La signora Olga Dusseaux. Benefattrice. L’avventura di Amelio Vivaldi.

173

parte seconda: da don ivo paltrinieri, 1955, all’arrivo di don guido chiarlo, 1990

175

I. Don Ivo Paltrinieri direttore, 1955-61. La famiglia di Giuseppe Vismara. Arrivano don Giovanni Favaro, don Severo Breschi. Don Guido Magnani, il signor Francesco Mundula. Don Ivo Paltrinieri direttore, 1955-1961. L’ENAOLI.

181

II. In Palazzo Vecchio la commemorazione (1957) di Domenico Savio: Maria Iervolino. Inaugurazione del palazzo in via del Ghirlandaio, 1957. Gli Orfani dell’ENAOLI.

188

III. Costruzione del secondo palazzo, 1957-59. Inaugurazione presente Benigno Zaccagnini. Don G. Brusa, parroco dal 1955 al 1959, parte per Follonica e don Morelli per Varazze (1959).

193

IV. Anno 1960-61. Don Bruno Spalleta all’oratorio (1959-65), Numero Unico con ricordi di anni lontani. Situazione dell’Opera nel 1961 descritta da don Paltrinieri.

201

V. Don Vittorio Grusovin parroco, 1959-63. Don Umberto Berloffa direttore, 196164. Trasferimento dei Geometri da Borgo S. Lorenzo a Firenze. Prima classe (196263). Don Antonio Orsi. Atmosfera di ricostruzione, La Pira. D. Giovanni Favaro.

208

VI. Don Giovanni Favaro direttore, 1964-70. L’alluvione e relazione di don Raineri ispettore. Eredità Montughi, famiglia Giaccone-Maffei. Favaro-Lazzeri.

216

VII. Don Nino Ursella parroco, 1963-1969. La S. Vincenzo giovanile.

220

VIII. Don Fabio Bassi parroco, 1970. Il caso di Gerardo Lutte. Solidarietà di alcuni salesiani della Comunità di Firenze. Fuga di don Bassi.

224

IX. L’anno dell’Isolotto, 1969. Le classi dei Geometri diventano sezione S del Galilei. Si parla di ridimensionamento. La Comunità di quaranta salesiani.

230

X. Don Severo Breschi parroco, 1971-80; don Elio Torrigiani direttore, 1970-72. Divisione in due comunità. La Scuola Media di don Pierino Bruzzone. Il cineclub “Inquadrature”. Si fa politica. Protesta di don Grigoletto. La piccola comunità del Guarlone.

238

XI. Convitto e programma, 1971. M. Caiano, P. D’Alessandro, S. Bugada, M. Brusasco. Relazione di una commissione inviata dal giudice dei minori Caltabiano.

245

XII. Parte don Pierino Bruzzone. Torna don Elio Torrigiani (1975-78). Don Severo Breschi parroco, 1971-80. Le due comunità.

250

XIII. Torna all’oratorio don Marcello Morelli, 1968-79. Premio “Città di Firenze” vii


indice

a don Giorgio Vanni Desideri, 1974. Padre Francesco Milli, 1964-1974 sul Numero Unico del 1982. Trofeo Gino Lucchesi e Vittorio Pozzo. Arrivo di don Antonio Orsi. 258

XIV. Giorgio Turini. Il Castagno di Andrea e sua storia. Don Breschi. Don Josè De Grandis all’oratorio, 1979-1985. Don Grigoletto preside della Scuola Media.

263

XV. Don Vittorio Bicego ACEC e Comunicazioni Sociali, 1970-82.

266

XVI. Consultazioni ispettoriali: don Torrigiani, don Breschi, don Giovanni Favaro. Don Torrigiani ispettore. Rizzato al Convitto, 1980-82. Don Valentino Favaro direttore, 1978-81. Don Breschi parroco a S. Giusto a Signano 1980-89.

270

XVII. Don Breschi alle Bagnese 1980-89. Don Guido Galligani direttore, 1981-87. 25° oratorio. Numero Unico, 1982. I salesiani a Firenze da 100 anni, 1881-1981. Don Egidio Viganò a Firenze. Il 25° sacerdozio don Stanislao Kmotorka.

276

XVIII. Silvano Piovanelli, arcivescovo. Don Josè De Grandis lascia l’oratorio a don Sergio Nuccitelli, 1985-86.

280

XIX. Don Vincenzo Savio all’oratorio. Torna don Severo Breschi alla Sacra Famiglia, 1989-1993. Don Valerio Baresi parroco, 1993-2002. Don Abraham Kavalakatt all’oratorio.

286

XX. Al Convitto don Gino Bruno con Mario Perinati. Due convittori diventano sacerdoti, Giuseppe Benedetti e il salesiano Giulio Anselmi. Torna direttore don Valentino Favaro, 1987-1990.

291

parte terza: da don guido chiarlo a don franco gallone, 1990- 2011

293

I. Don Chiarlo sostituisce don Valentino Favaro, che parte per il Camerun, 1990. Il Liceo scientifico, 1992. Tre salesiani a contatto con l’ambiente esterno, don Vittorio Bicego (1970-82); don Giorgio Bruni, (1976-94).

296

II. I diciotto anni di don Giorgio Bruni, all’ACEC. “Ragazzi e cinema”, 1976-1994.

304

III. Vincenzo Savio prepara il Sinodo fiorentino, la prima fase, 1988-1990. Don Valerio Baresi parroco, 1993-2002. All’oratorio don Abraham Kavalakatt.

308

IV. La Sales 1951-2001. Ritorno di don Marcello Morelli a Firenze, 2000; Romolo Paolinelli, Giancarlo Ormi, Sandro Aspettati, Giorgio Gallorini, Marcello Simonelli, Ivan Cantelli, Carlo Amoroso, Mario Baroncelli; Ines Cantelli, Lucia Paoli Miniati, Enrica Zilli, Daniela Socini.

313

V. Don Ivo Valdambrini. Don Gino Bruno. Don Giancarlo Maiani. La Residenza Universitaria negli ultimi quindici anni. Il quindicennio 1995-2010. Don Luigi Allegri. Don Franco Gallone. Obbedienze 2011.

325

Indice dei nomi

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Presentazione

Da Firenze un signor Rastrelli, socio delle Conferenze di San Vincenzo, fece per don Bosco una comunicazione confidenziale al confratello torinese signor Falconet (presidente della san Vincenzo di Torino), il quale rimise lo scritto al conte Cays (che aveva lasciato la presidenza delle Conferenze e si era fatto salesiano ndr): era la prima mossa per l’apertura di una Casa nella città dei fiori. Persone zelantissime avevano in animo di trovare i mezzi per fondare colà un Istituto, nel quale dare ricovero a giovanetti non ricevuti altrove, ma un istituto che fosse scuola professionale. Precisava Rastrelli: «Per quanto so questo progetto sarebbe confacente alle belle aspirazioni di don Bosco, tanto più avendo esso un eccellente personale e tutto munito del diploma voluto dalle vigenti leggi. Il progetto per se stesso non è di piccola importanza, ma per arrivare a fare qualche cosa s’intenderebbe di cominciare adagio adagio, sotto umili auspici, come ha fatto don Bosco negli altri Istituti fondati da lui in così breve tempo, Istituti che non sono pochi in tutta Italia, fra i quali gli ultimi due aperti presso Roma». Per allora le cose rimasero lì… (Memorie Biografiche, vol. xiii, pp. 631-632). Alla fine del 1870 le Memorie Biografiche di don Bosco presentano i primi approcci del Santo in terra toscana. Oggi, dopo 130 anni l’Istituto dell’Immacolata è una realtà fiorente e assieme ai 100 anni della parrocchia della Sacra Famiglia, con la sua storia di fede, di gioie e di lacrime, testimonia la verità dello stile con cui don Bosco apriva le sue Case: «adagio, adagio» e «sotto umili auspici». Quanto don Bosco tenesse all’apertura di una Casa salesiana a Firenze lo dimostra la sua visita – nell’aprile del 1881 – a soli due mesi dall’arrivo dei primi tre suoi salesiani con a capo don Faustino Confortola, che si erano insediati nel piccolo locale di via Cimabue. Portò con sé anche il suo vicario, don Michele Rua, a testimonianza che quell’impegno di rimanere a Firenze dovesse continuare nel tempo. L’inizio dell’Opera Salesiana Fiorentina risultò tormentata, povera, difficile, soprattutto per la ristrettezza dei locali, che fino al 1955 erano quelli dell’inizio. Dopo


presentazione

nove mesi ci si era spostati in via Fra Giovanni Angelico, ma ancora in locali non sufficienti a contenere una massa che per molti anni si aggirò quasi sempre sui centocinquanta-duecento giovani convittori. Fu compito di don Rua risolvere i grossi problemi, specie quelli della costruzione del Tempio della Sacra Famiglia. Venne a Firenze per la posa della prima pietra e dare l’avvio ai lavori, all’inizio partiti con speditezza, ma ben presto arenatisi per mancanza di fondi, fino a fermarsi nel 1906 con i soli muri perimetrali e neppure completi. Fu una lunga agonia durata ventisette anni, 1903-1930. Difficoltà e imprevisti protrattisi nel tempo, duri gli anni della guerra 1915-18. Per Firenze straordinaria fu nel 1966 la tragedia dell’alluvione, che spazzò via strutture, documenti e ricordi. Se è vero che un popolo che non conosce la sua storia ha perduto la memoria e ha tagliato le sue radici, bisogna dire che la storia della presenza salesiana a Firenze, come è stata raccolta e raccontata in questo volume, viene a colmare un vuoto di conoscenza. Cercando sulle carte antiche, qualcosa nell’approssimativo archivio della Casa, altro in Parrocchia, scrivendo, domandando ai pochi superstiti delle cose antiche, leggendo quello che si conserva dei salesiani dei tempi remoti presso l’Archivio Salesiano Centrale di Roma, dando forma ai ricordi di tutti quelli che l’autore ha conosciuto da settanta anni, Antonio Miscio riesce a dare splendide pennellate della cronaca e della storia eroica di una Casa voluta e amata da don Bosco. Nel suo primo volume si era fermato al 1887 e aveva raccontato dei vari passaggi di don Bosco a Firenze. Ora ci racconta la storia della Comunità di Firenze dal 1881 al 2011, centotrenta anni. Don Antonio ripete che non è uno storico. Piuttosto fissa l’obiettivo nel raccontare quello che è accaduto in questa casa di Firenze. La presenza di grandi direttori, don Alessandro Luchelli, don Cipriano Alciato, don Luigi Giudici, don Bernardo Savarè, don Giulio Nervi, don Niccolao Ragghianti e di tanti salesiani, preti, coadiutori e chierici, dal grande ardore, dall’intenso lavoro e dalla grande passione educativa, consente all’opera di Firenze di mettere le basi per un futuro ricco di prospettive. La casa è decollata con don Ivo Paltrinieri nel 1955, mentalità da milanese, che in quattro anni ha costruito due palazzi, quello degli studenti e quello degli artigiani. La Pira, il sindaco santo, ha salvato l’Istituto dal prolungamento di via Giotto nel 1957: l’antico Piano Regolatore prevedeva l’attraversamento della strada per il cortile dell’Istituto. Negli anni seguenti don Umberto Berloffa, don Giovanni Favaro, don Elio Torrigiani, don Pierino Bruzzone, don Valentino Favaro, don Guido Galligani, don Guido Chiarlo, don Luigi Allegri fino all’attuale direttore don Franco Gallone, tutti x


presentazione

furono capaci di dare un’impronta significativa. Con loro andrebbero menzionati tutti i salesiani, che nel corso degli anni con un lavoro intelligente e infaticabile hanno lasciato orme indelebili nel cuore dei giovani che sono passati dall’Istituto, dall’oratorio e dalla Parrocchia. Chi legge questo libro non può fare a meno di appassionarsi per una specie di sintonia straordinaria, che si è creata a Firenze, in particolare in questi ultimi anni, tra i fiorentini e il carisma salesiano. Dopo le scuole di “ Arti e Mestieri” di una volta, i frutti di oggi sono la storica Scuola Media, il Liceo Scientifico, la Sala Esse con le sue attività culturali e cinematografiche, l’Oratorio-Centro Giovanile, la Parrocchia, i cortili brulicanti di ragazzi e di giovani, la Sportiva “Sales”, il Convitto Universitario. Una ricca rete di attività e di iniziative, che offrono opportunità ai giovani di vivere esperienze formative secondo il carisma di don Bosco. Per questo sono lieto di esprimere il più vivo compiacimento e ringraziamento, a nome dei salesiani e di tutta la Famiglia Salesiana, a don Antonio Miscio, che con passione straordinaria si è sobbarcato ad una fatica non piccola per raccogliere questo prezioso materiale di storia. Don Antonio è un vero “cantore” della storia di tante case della nostra Ispettoria. Col suo stile vibrante, ben tornito, pieno di passione e ironia, e con il suo narrare affettuoso, lascia una vera “Biblioteca” di storie di vita, di umili e laboriosi figli che hanno saputo fare grande la Congregazione Salesiana, e ha interpretato magnificamente con originalità e creatività la missione del nostro Padre don Bosco. Una “storia sacra” perché è una pagina grande della storia della salvezza, che continua nelle nostre Opere, sotto lo sguardo benevolo e sorridente di don Bosco e fra i travagli del nostro tempo. E siccome si tratta di una pagina di storia sacra, questo libro non può essere solo collezione di ricordi, più o meno interessanti, ma è, a tutti gli effetti, memoria di futuro. Don Alberto Lorenzelli Ispettore (Roma, maggio 2011)

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Premessa

Dopo il mio primo lavoro del 1991, dove narravo le venute di don Bosco a Firenze, 23 volte dal 1865 al 1887, pareva logico che completassi l’opera dedicandomi a narrare la storia della Casa salesiana di Firenze, prima che quella di Pisa, di Alassio, di Sampierdarena, di Livorno e Collesalvetti, di Figline, di Colle in Val d’ Elsa. Sentivo disagio, quasi una ripugnanza per una storia che percepivo poco felice. Piena di momenti oscuri. Non esaltante. Debole di punti di appoggio. Poca documentazione nell’Archivio della Casa, cronaca per lunghi tratti inesistente, salvo quella dei primi quattro anni di don Faustino Confortola (1881-85) ricomposta da don Luigi Giudici nel 1919, ora in ASC F443, e magistralmente recuperata dall’Archivio Salesiano Centrale da don Valentino Favaro nel 1989, quando nasceva l’idea di scrivere di Firenze. Mi sono deciso a raccontare quello che all’incirca oltre centocinquanta salesiani hanno fatto a Firenze in questi centotrenta anni. Quasi duecento persone, duecento universi, menti, cuori, viscere di duecento persone, Istituto, Parrocchia, Oratorio, Libreria, Scuola Media, Residenza Universitaria, Liceo Scientifico, Sala Esse, un mondo grande di persone, un universo davvero straordinario e per molti versi imperscrutabile. «Sono curioso di vedere come te la cavi», mi ha detto un superiore addentro alle cose di Firenze. Ho avuto coraggio, arrampicandomi sugli specchi, leggendo spicchi di notizie, raccogliendo tradizioni dure a morire specie se sono di cose non edificanti, elemosinando notizie dai vicini e dai lontani, ricollegando fatti, avvenimenti, discorsi ascoltati a caso o distrattamente in questi ultimi settanta anni, frequentando assiduamente per alcuni anni l’Archivio Salesiano Centrale, di cui voglio richiamare agli occhi la figura di don Fenjo Vendel, il primo benefattore; ricordare la gentilezza di don Micislao Kaczmarzyk; e farmi perdonare la pazienza avuta con me da don Luigi Cei. Ho la convinzione che le persone, umanamente parlando, vivono fino a quando vivono o rivivono nella memoria di qualcuno che li ricorda. E perciò l’unico intento, che sta all’origine di questa mia fatica, è far rivivere, far


premessa

conoscere, onorare quanti hanno lavorato, hanno sofferto, hanno spesa la vita, hanno vissuto fra queste mura, in questo luogo, in questi ambienti, una volta modesti, modestissimi e ora splendidi di vita, di studi, non privi di speranza. Ringrazio Carla di Antonio Colombo per la collaborazione. Per la concreta vicinanza un grazie a Basilio Masiero col fratello Francesco, tipografi stampatori a Sampierdarena ai tempi della giovinezza. Una precisazione voglio fare, come una giustificazione, pur cosciente che un’opera quando viene pubblicata non è più dell’autore che l’ha scritta, esposta com’è, al giudizio di chi la legge: sono un narratore, di massima in forma annalistica, un raccontatore di fatti, di avvenimenti, di persone, che non meritano di essere dimenticati, specialmente se si tiene conto che tutto è stato fatto per i giovani, secondo il carisma di don Bosco, nello spirito cristiano della più genuina gratuità e della più evangelica povertà. Antonio Miscio Firenze, 30 maggio 2011

xiv


PARTE PRIMA

Dagli inizi fino all’arrivo di don Ivo Paltrinieri (1881-1955)



Capitolo primo La preparazione della venuta dei salesiani a Firenze (1865-1881). Contatti di don Bosco con il mondo fiorentino. Le cooperatrici, Girolama Uguccioni. La Società Cattolica per gli Operai (1878). Giovanni Grassi. L’arcivescovo Eugenio Cecconi.

Ed eccoli i salesiani finalmente giunti in Toscana sulle orme del Regno di Italia, che dal Piemonte scendeva verso Roma. A Lucca il primo istituto salesiano, nel 1878. Troppi preti a Lucca e necessità di venire via. Varie difficoltà. Da Lucca, dopo conoscenze antiche di nobildonne fiorentine, dopo reiterati inviti di ecclesiastici fiorentini sensibili al problema giovanile a Firenze visibile e grave, come dovunque, sul richiamo pressante della Società Cattolica Operaia, ecco finalmente i salesiani anche a Firenze. Era tutta campagna nel 1881 il luogo dove sorge l’attuale Opera Salesiana. Il bisogno era di spazi ampi per i giovani, cui secondo il carisma salesiano si fa capire che la vita e la santità consistono nello stare molto allegri. E perciò giochi, ricreazioni, musica, allegria, naturalmente studio, scuola, lavoro, momenti della formazione, propiziati e possibili nei grandi ambienti, nei grandi cortili, nelle grandi strutture, come nei primi tempi erano generalmente le fondazioni salesiane. Vedi Alassio, Sampierdarena, Varazze. *** Don Bosco venne a Firenze 23 volte dal 1865 al 1887. Nel 1865, la prima volta, venne di proposito reclamato da alcune nobildonne fiorentine intente ad opere benefiche e atteso da eminenti personaggi del clero, che lo conoscevano come sacerdote dotato del carisma dell’educatore, capace quindi anche di operare beneficamente a Firenze, se non altro consigliando via e metodi di educazione e di redenzione giovanile. Solamente nel 1881 fu concreta la presenza di un’opera di don Bosco a Firenze, su sollecitazione della Società Cattolica Operaia, capitanata da Bourbon Del Monte e dall’avvocato Giovanni Grassi, cattolico eminente impegnato anche politicamente. All’inizio per sei mesi, marzo-novembre, una vita stentata e difficile in uno stabile di via Cimabue. Dal dicembre dello stesso anno, 1881, nell’attuale via Fra Giovanni


parte prima (1881-1955)

Angelico e adiacente via del Ghirlandaio con ospizio per giovani di famiglie disagiate a cui si offriva educazione primaria, scuole elementari, e presto scuole ginnasiali. E insieme, primaria impresa dei salesiani, scuole di Arti e Mestieri, sarti, calzolai, falegnami, e a ruota legatori, stampatori, tipografi, corniciai. Direttore di straordinaria tempra e fondatore dell’Opera fu don Faustino Confortola, 1881-18851. Attività oratoriane per cominciare, insieme scuole serali di primo grado, poi diurne. Dopo pochi anni scuole ginnasiali e soprattutto, fondamentale e peculiare ricchezza per l’intuito di don Bosco e le esigenze dei tempi, le Scuole di Arti e Mestieri, autentico impegno salesiano. Tutto il mondo salesiano ruota ed è vissuto secondo un sistema di educazione di cui don Bosco si fece paladino, il noto Metodo educativo di don Bosco, più severamente detto Sistema Preventivo. È il metodo che i salesiani usano nell’educazione dei giovani. È una invenzione di don Bosco, che la derivò dalla spiritualità di S. Francesco di Sales, da cui il nome di salesiani, il santo della serenità, dell’amorevolezza, dei modi umani e cordiali, della gioia. Di questo metodo educativo don Bosco non scrisse un trattato, non è un pedagogista don Bosco e neppure un pedagogo, solo un educatore di giovani. Scrisse solamente un opuscolo, che condensava le parole dette a Nizza nel 1877, all’inaugurazione del Patronage di Saint Pierre di quella città. Ascoltiamolo: Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al cosiddetto Sistema Preventivo, che si suole usare nelle nostre case [...]. Credo opportuno qui darne un cenno, che sarà poi come un indice di un’operetta che vo preparando.

Questa operetta sarà effettivamente quell’opuscolo, di cui si è detto sopra. Il discorso sul metodo educativo sarà però nella vita dell’oratorio di don Bosco un ritornante discorso ai suoi figli educatori, scelti tra gli stessi ragazzi dei primissimi anni dell’oratorio di Valdocco a Torino. E più che un discorso sarà il modo di vivere tra i giovani, in cortile, nella scuola, nella chiesa, nelle ricreazioni, nelle passeggiate, nelle recite, nelle premiazioni, nelle feste, nei rari castighi, nello studiare e nel lavorare, sempre in allegria, l’allegria essendo il segreto da don Bosco e dai salesiani messo come base di ogni educazione. Questa è la magna charta della pedagogia dei salesiani, il concetto che occorre

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ASC F443, Archivio Centrale Salesiano, Roma. Sono contenuti i documenti riguardanti la Fondazione della casa in via Cimabue e in via Fra Giovanni Angelico, quei documenti che sfuggirono alle mani di Stefano Febraro, perché erano state già inviati a Torino. ASC F 802, la cronaca della casa di Firenze consistente in 562 pagine trascritte da don Luigi Giudici nel 1919, quando don Albera chiese ai direttori che mandassero a Torino le cronache delle varie case salesiane. Don Giudici trascrisse le lettere di don Confortola a Torino e la cronaca giornaliera che don Faustino Confortola, il primo direttore, faceva giorno per giorno.

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capitolo primo

guadagnare il cuore dei giovani per esercitare una efficace opera educativa, dando al cuore i diversi significati che può assumere nei contesti più vari. Don Bosco soleva ripetere che l’educazione è un fatto del cuore. Non si educano i giovani se non li si ama. Amare le cose che i giovani amano e i giovani ameranno le cose che gli educatori amano. I tre pilastri dell’educazione salesiana sono la ragione, che poi è la “ragionevolezza”; la religione, che per don Bosco era lo scopo primario, e che nei figli di don Bosco è diventato, dopo un secolo e mezzo di tempo, educare ai valori fondamentali della vita, curare la formazione umana; amore è il terzo pilastro dell’educazione salesiana, che è detto in modo più espressivo, completo e comprensibile col termine di “amorevolezza”, espressione sempre ricca di un contenuto attuabile anche in tempi tanto diversi dai tempi di don Bosco. Quale è il segreto fondante il metodo educativo di don Bosco? La presenza in mezzo ai ragazzi, sempre, in qualsiasi posto, in qualsiasi circostanza; una presenza amabile, attenta, gradita. *** Quando nel 1865 a dicembre don Giovani Bosco viene a Firenze non giunge sconosciuto. Erano state a trovarlo a Torino alcune nobildonne fiorentine, come Giulia Antinori nata Mannelli, Virginia Cambray Digny2, nel 1863, venuta a confessarsi e a dire le sue preoccupazioni familiari per il figlio Luigi, che faceva l’Accademia militare a Torino; per il marito Luigi Guglielmo, grande protagonista della vita fiorentina e capo della Consorteria accanto a Bettino Ricasoli, a Ubaldino Peruzzi, a Pietro Bastogi; il Digny presto sindaco di Firenze e poi di seguito nei governi italiani del 1865-70 ministro a più riprese, di grande rilievo politico e sociale quello delle Finanze nel governo Menabrea, 1867-69. A Firenze era atteso da altre nobildonne, desiderose di conoscerlo, di confidarsi, di esporgli problemi e desideri, la marchesa Enrichetta Nerli Michelagnoli, Fanny Villarios, sorella di un cardinale, autentica galoppina di don Bosco tra Torino, Firenze e Roma; Lucrezia Dufour Berte nei Bardi; Isabella Gerini, stirpe di magnanime generosità future, e specialmente i coniugi Tommaso Uguccioni Gherardi e Girolama Uguccioni, nata Baldelli Boni, che in seguito saranno chiamati da don Bosco papà e mamma a motivo della loro affettuosa vicinanza e della ospitalità concessa nel loro palazzo in via degli Avelli ogni volta che veniva a Firenze, dal 1865 al 1887. Altri personaggi attendevano don Bosco. L’arcivescovo Gioacchino Limberti, il 2

Nella Biblioteca Marucelliana di Firenze sono conservate tutte unite le ventotto lettere di don Bosco inviate alla signora Cambray Digny, Fondo Digny n. 68.

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parte prima (1881-1955)

suo segretario don Giustino Campolmi, con i quali da quattro anni corrispondeva epistolarmente3 a motivo dei biglietti della Lotteria e per la divulgazione delle Letture Cattoliche. Lo attendeva padre Giulio Metti, direttore dell’oratorio di San Filippo Neri in Piazza San Firenze, ed era un’attesa di congenialità educative e di preoccupazione per i necessari provvedimenti a favore della gioventù4. E fremeva di conoscerlo, esuberante e amoroso, padre Domenico Verda domenicano in San Marco, diffusore delle Letture Cattoliche insieme a padre Bianchi, scolopio della Badia fiesolana. E l’attendevano quanti sacerdoti in Firenze si dedicavano alla educazione della gioventù, che anche a Firenze viveva i disagi dell’età, dell’abbandono, della precarietà, della povertà, pure della confusione che Firenze, divenuta capitale del Regno, vedeva pericolosamente moltiplicata a motivo dell’inurbamento dalle campagne. Firenze da 120 mila abitanti, quanti ne contava da tre secoli, improvvisamente saliva a 170 mila abitanti. Saranno sei anni di inaudito rinnovamento e di straordinaria vivacità. Da piccola bellissima città medievale, tutta circondata da mura, a capitale del Regno d’Italia con grandiosi progetti di ingrandimento, con infiniti problemi da non rimandare a lungo, materiali, sociali, politici, educativi. Il sacerdote Aldo Luigi Brogialdi, docente di teologia dogmatica all’Università di Pisa, uomo colto, intelligente, desideroso di conoscere, di vedere, quest’anno, è il 1863, viene a Torino per vedere come don Bosco educa, come gestisce l’oratorio e la massa dei ragazzi. L’anno dopo, il 1864, il canonico Eugenio Cecconi, uomo votato agli studi, alle problematiche sociali e alla storia, fonda a Firenze «L’Archivio dell’Ecclesiastico», del quale sul volume secondo dell’anno i viene agli occhi con una certa meraviglia un articolo senza nome intitolato I monellini, ben sedici pagine. È molto probabile che a scrivere sia stato Aldo Luigi Brogialdi, quando, ospite di don Bosco a Torino l’anno precedente, 1863, si era reso conto di quello che accadeva all’oratorio, di come don Bosco gestiva la grande opera, nella massima apparente confusione e nel più grande incredibile ordine, nella somma allegria e nella straordinaria serietà. Anche a Firenze ci sono ragazzi abbandonati che girano per le strade bighellonando, vagabondando, pronti ad ogni sorta di leggerezze. All’incirca diciassettemila. Sono tanti su una popolazione di non più di centotrentamila abitanti nel 1864. La filantropia ottiene nulla, meno che nulla. Quella ufficiale del Governo ha aperto ospizi e ricoveri e distribuito soccorsi, ma non potendo disporre di quella grande 3

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Nell’Archivio della Curia Arcivescovile Fiorentina ci sono (anche trascritte a macchina da Francesco De Feo) le lettere di don Bosco all’arcivescovo Gioacchino Limberti, fondo Limberti b. 3. Nell’Archivio dell’Oratorio san Filippo Neri di Firenze, in Piazza San Firenze, sono conservate le sette lettere di don Bosco a padre Giulio Metti, busta 8.

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capitolo primo

forza motrice che è la carità, per guidarli, ha dovuto affidarne la cura alla forza bruta della sciabola e al bastone. Dal che naturalmente è avvenuto che quegli ospizi non sono riusciti altro che ergastoli, e i monellini invece di correggersi sono diventati peggiori, e sono cresciuti di numero. A Firenze già nel Seicento Filippo Franci aveva fondato la Quarquonia, nella quale ricoverava i monelli trovati sulle strade, i discoli affidatigli dalle famiglie e i ragazzi vittime di sventure morali. A Genova opera il pio sacerdote Montebruno. Torino ha il suo don Giovanni Bosco, il quale passando da un luogo ad un altro finalmente si è fermato e ha fondato l’oratorio di San Francesco di Sales. Qui accoglie i ragazzi, offre loro alloggio, vitto e vestito e a quanti sono disposti dà la possibilità di studiare. E agli altri insegna un mestiere o un’arte. Di giorno sono ottocento ragazzi. Altrettanti ne riceve di sera e insegna loro quello che ha insegnato di giorno. Ha aperto due altri oratori in Torino. Viene da pensare che raccogliendo così tanti ragazzi ogni giorno sia giocoforza trovarsi in una completa babilonia. Non è così. Don Bosco ha una grande potenza di amare. E possiede la rara dote di svolgere questa stessa potenza nei cuori altrui. Un giovane, appena conosciuto don Bosco, si sente costretto a volergli bene. Quei ragazzi amano tanto don Bosco che diresti si guardino dall’offendere Dio anche per non addolorare il loro benefattore. Di modo che senza carcere, senza bastone e senza punizione di nessuna specie la famiglia procede con ordine e con tranquillità inalterabile. Don Bosco è giunto al punto felice di non dover punire nessuno dei suoi ragazzi. Se qualche rara volta qualcuno si fa degno di correzione basta a don Bosco il non volgergli, come a tutti sempre è solito, uno sguardo benigno e il non permettergli di baciare la mano, per far sì che il colpevole si ravveda e si addolori. A Firenze vi sono già anime pietose, che attendono più che possono a salvare bambine e fanciulle. Ma non bastano che a salvare una parte. La maggior parte resta ancora per le vie. Anche i ragazzi cominciano ad avere a Firenze i loro benefattori. Vi è una società di sacerdoti in San Lorenzo che ha aperto per essi le scuole serali; v’è la Società di San Francesco di Sales che li soccorre; v’è pure la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli che porge una mano amorosa. Ma tutto questo è ancora poco. Ci vuole un altro Franci; un altro don Bosco. E speriamo che il Signore lo faccia sorgere. *** Non occorre molto a scorgere in queste parole lo schema del Metodo educativo di don Bosco, che l’autore dell’articolo avrà colto dalla bocca stessa di don Bosco nella sua visita all’oratorio di Torino nell’estate del 1863. Ci vuole un altro don Bosco. È invocazione esplicita, sospirata per ora, nel 1864, da 7


parte prima (1881-1955)

La contessa Girolama Baldelli Boni sposa Tommaso Uguccioni Gherardi (1813-1899), la mamma fiorentina di don Bosco (da casa G. Rosselli Del Turco)

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capitolo primo

Eugenio Cecconi, direttore dell’«Archivio dell’Ecclesiastico», e realizzata dallo stesso Cecconi, eletto arcivescovo di Firenze alla morte di Gioacchino Limberti (1874). Nel dicembre del 1865 don Bosco arriva per la prima volta a Firenze. L’arcivescovo Gioacchino Limberti, il suo segretario Giustino Campolmi, con padre Giulio Metti dell’oratorio e padre Domenico Verda domenicano in San Marco lo attendono e lo accolgono. Ed è la contessa Girolama Uguccioni che propone concretamente a don Bosco di stabilire a Firenze una presenza di salesiani, che si prendessero cura del Rifugio Capponi, un istituto fondato dalla mamma di Gino Capponi, Maddalena Frescobaldi, grande donna, di grandi principi evangelici, concretizzati nella cura di giovani donne smarrite o in pericolo di smarrirsi. Un impegno difficile e quasi improponibile per don Bosco. Ma ancora da Firenze un invito peregrino, fatto in sogno e come tale presentato, è quello che proviene da padre Domenico Verda dei Domenicani di San Marco. Ha sognato il padre Verda che don Bosco fosse venuto a Firenze e avesse fondato una sua opera su una imprecisata località delle belle colline fiorentine. Evidentemente il domenicano amava don Bosco e per lui si prodigava a Firenze, ma non aveva capito che i salesiani devono stare in mezzo ai ragazzi, nei luoghi della città dove i ragazzi sono soliti radunarsi, fare i monelli, cercare lavoro, nel pericolo continuo di delinquere per essere abbandonati, per non essere presi in cura da nessuno. Sulle colline intorno a Firenze c’erano e ci sono molti conventi maschili e femminili, nelle più belle posizioni, luoghi di preghiera, residenze per chi volesse allontanarsi dal mondo e vivere in solitudine, case per anziani, ma non certamente luoghi adatti per coloro che volessero interessarsi della gioventù povera e abbandonata, come andava predicando don Bosco e come era volontà che facessero i suoi salesiani. Un bel sogno romantico di padre Domenico Verda. Concretamente: quando a Firenze? In una lettera alla signora Uguccioni del marzo 1876 da Roma si legge: Anch’io avevo in animo di iniziare una casa a Firenze e non dimando o meglio non cerco altro che un qualunque casolare, dove raccogliere ragazzi. Chi sa che non sia lontano il tempo opportuno! Preghiamo5.

Il tempo opportuno pare che si avvicini. Esaudite da buon piemontese le sue aspirazioni nei luoghi abitati da piemontesi, in una specie di patriottismo inavvertito, don Bosco scende verso Roma, dove era arrivato a concludersi il sospirato sogno dell’Unità d’Italia fatto da Cavour, realizzato nel marzo del 1861 e completato solamente nel 1870 con Porta Pia. 5

E. Ceria, Epistolario di Don Bosco, Torino, 1955, iii, n. 1426, marzo 1876 a Girolama Uguccioni.

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parte prima (1881-1955)

Il 1878 è l’anno in cui anche da Firenze si muove con aperta considerazione la Società Cattolica Operaia, che, volendo onorare la memoria di Pio IX, sceglie la via più concreta, affidare ai salesiani di aprire un’opera in onore dello scomparso pontefice. Da una ventina d’anni stava prendendo corpo una mentalità, che potrebbe essere definita sociale, più di prima attenta ai problemi di un mondo che cambiava, ai problemi della povertà, della giustizia, del lavoro, della difesa dei lavoratori, dei giovani che dalle campagne e dalle montagne si inurbavano in cerca di lavoro. La salute, l’igiene, l’alloggio, la fame, il vestire, il mangiare, l’orario di lavoro, i contratti, il riposo festivo. L’educazione, il lavoro e le donne, il risparmio, le malattie. Problemi nuovi. Problemi vecchi sentiti in maniera nuova, giunto il tempo di dare loro una soluzione. La società civile affidava alla politica di aggiornarsi su questi problemi e di risolverli meglio che era possibile con le sue leggi e le varie disposizioni. A don Bosco premeva soprattutto il problema della gioventù, a cui si erano fatte sensibili le varie società o associazioni di mutuo soccorso, di difesa dei diritti, di buone opere. L’opera degli asili e dell’istruzione in genere era vivace a Firenze già ai tempi prerisorgimentali ad opera del Vieusseux, del Lambruschini, del Ridolfi, del Capponi, dei Georgofili. Don Bosco ormai famoso in Italia appariva come quello che avrebbe aiutato in modo efficace a risolvere il problema della gioventù abbandonata. Prende l’iniziativa di invitare don Bosco a Firenze con una sua presenza operativa la Conferenza di S. Vincenzo e di questa la sezione principale che si chiama “Società Cattolica Operaia”, di cui fanno parte notevoli personaggi della nobiltà fiorentina, di una certa Firenze, quella detta con un certo sussiego spregiativo paolotta, un poco retriva, molto cattolica, anche nostalgica dei tempi del Granduca, però molto sensibile alle opere di carità, di aiuto ai bisognosi, e di redenzione di quei giovani, numerosi pure a Firenze. Dal 1877 fino al 1879 ferve l’interessamento di un certo Giorgio Rastrelli, presidente della S. Vincenzo, che agisce a nome della San Vincenzo con un epistolario denso e commovente verso don Bosco. Insiste, organizza, sollecita l’interessamento dell’arcivescovo di Firenze, Eugenio Cecconi, del vescovo di Fiesole, mons. Corsani, dell’arcivescovo Alessandro Samniatelli: raccoglie suppellettili, promette aiuti concreti e anche familiarmente casalinghi. L’anno 1878 è anno tragico per Firenze, l’anno del fallimento del Comune. Dal 1865 al 1870 Firenze era stata la capitale. Spese enormi erano state investite per fare di Firenze, città di 120.000 abitanti una degna capitale. E Firenze era diventata straordinariamente bella, mutata, arricchita, degna veramente. Una visibile trasformazione, un arricchimento culturale, sociale, economico. I ministeri. L’abbattimento delle mura dispendiosissimo. Quartieri interi sorti là dove era campagna. Con molte 10


capitolo primo

spese, che apparvero esorbitanti quando la delusione del trasferimento repentino della capitale a Roma, non pensato così a breve termine, invase i fiorentini, disperatamente, con un impoverimento in tutti i campi delle attività, con chiusure di istituti creditizi, con più che numerose disoccupazioni, con fallimenti, con suicidi di persone impoverite da un impensato e subitaneo crollo. In questa situazione di generale impoverimento e anche di molta disperazione furono le famiglie fragili ad essere le più colpite. E delle famiglie in disagio furono i giovani ad essere i più disarmati e disorientati. La presenza dei salesiani poteva essere utile. Era desiderata. Era una goccia. Ma sempre qualcosa era. I salesiani si avvicinano. Nel luglio del 1878 tre salesiani sono all’oratorio di S. Croce a Lucca, capitanati da don Giovanni Marenco6. Presto si spera saranno a Firenze. Le attese della Conferenza di S. Vincenzo prendono concretezza anche per la partecipazione viva dell’arcivescovo Eugenio Cecconi, che il 14 novembre del 1879 consegna a Giorgio Rastrelli un suo scritto, da recapitare a don Bosco: Approviamo di gran cuore e lodiamo il pietoso divisamento e ci obblighiamo a dare ogni anno, per lo spazio di cinque anni, lire cento italiane, incominciando dal giorno in cui si aprirà il desiderato istituto sotto la direzione di don Bosco. Firmato all’origine: Eugenio, arcivescovo7.

Nel dicembre del 1879, quando le cose appaiono serie, concrete, specie a motivo della comparsa sulla scena della Società Cattolica Operaia con alti nomi della nobiltà defilata fino ad ora, affidata a Rastrelli la preparazione da lontano, interviene ufficialmente don G. Bonetti, direttore a Torino del «Bollettino salesiano», che prega «la Nazione», il giornale di Firenze, a pubblicare la notizia8: Il molto Rev.do D. Giovanni Bosco di Torino, fondatore e capo di diversi istituti di educazione, è nell’intendimento di aprire anche nella nostra città un istituto sulla norma di altri già da lui stabiliti in diverse città d’Italia e fuori per gli artigiani e studenti. Una Commissione speciale di cittadini per aiutare il rev.do Don Giovanni Bosco si rivolge ad ogni ceto di persone per raccogliere delle somme, sperando che l’obolo del meno agiato unito 6 7

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ASC F699, Casa di Lucca, documenti e cronache. ASC F443 e F802, Eugenio Cecconi a don Bosco, riproduzione fotomeccanica in AISMI, Archivio Istituto Salesiano Maria Immacolata, cartella n. 1, come tutto ciò che riguarda i tre anni prima della fondazione (1878-1881), e quindi la corrispondenza di padre Domenico Verda e di Giorgio Rastrelli con don Bosco, e quella di don Giustino Campolmi, dell’avvocato. Giovanni Grassi, dell’arcivescovo Cecconi, di don Faustino Confortola con don Bosco nei mesi precedenti e seguenti (agosto 1880-maggio 1881) l’arrivo dei salesiani a Firenze il 6 di marzo 1881. I Cento Anni della «Nazione», a cura di P.F. Listri e M. Naldini, Firenze, 1982, pp. 389-90. La lettera di don G. Bonetti alla «Nazione».

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parte prima (1881-1955) all’offerta del ricco possa portare i suoi vantaggi a questa novella Istituzione, che sarebbe davvero per maggior lustro e decoro della nostra città… Umilissimo servo d. G. Bonetti.

I fiorentini leggono. La speranza di vedere i salesiani a Firenze si fa grande in chi ha giovani da affidare. Nell’aprile del 1880 di ritorno a Roma don Bosco è a Firenze, ospite degli Uguccioni, in via degli Avelli. Lo si conduce a vedere in via Cimabue, 31 la casetta che la Commissione ha stabilito di consegnare a don Bosco perché venga prima possibile con i suoi salesiani a lavorare a Firenze. È una palazzina con poche stanze, con alle spalle un piccolo spazio confinante con il convento dei Padri Camaldolesi che si affaccia sul corso Amedeo. Nel primo tratto di via Aretina, attualmente via Gioberti, che da Piazza Beccaria sfocia in piazza Alberti, don Bosco vede una fila di ragazzi avviati dietro una bandiera tenuta in alto da un giovane che li precede. Sono i ragazzi che vanno all’Asilo Evangelico di Giuseppe Comandi9. Don Bosco, i valdesi, gli evangelici, i protestanti: lotta aperta e senza mezzi termini. Immediatamente giura tra sé che venire a Firenze è necessario e subito. Si deve dire che Giuseppe Comandi era uomo di grande benemerenza che gestiva questo suo istituto con molta disciplina, con molto impegno e con il più puro intento di educare e istruire come don Bosco, sebbene in ambiti diversi e diversi i metodi. L’avversione di don Bosco per queste categorie di persone era un fatto viscerale. A Torino li aveva combattuti senza scampo ai primi tempi delle Letture Cattoliche, anni Cinquanta. Il 3 marzo l’avvocato Giovanni Grassi, vice presidente della Commissione della Società Cattolica Operaia, aveva scritto a don Bosco in termini di speranza e di sollecitudine: Al nostro ottimo don Bosco avemmo insieme all’egregio marchese Del Monte luogo a scrivere il 27 febbraio u.s. per raccomandargli questo nostro istituto in fieri, al quale molte persone volenterose si offrono di contribuire. Il non aver risposto ne toglie un po’ d’animo, e quel buon giovane di Giorgio Rastrelli, al quale fu commesso di dirigere l’opera nella sua parte esecutiva, dal non aver replica anche da Lei suppone che la lettera sua non le giungesse. Mi scusi dunque se io pure vengo a molestarla e aggiungo che si potrebbe forse dapprima cominciare con uno, due soltanto dei loro sacerdoti. Quello che importa è sapere bene le condizioni. Attendiamo dunque con ansietà un loro cenno.

A Firenze l’attesa si fa frenetica, a tutti i livelli. Scrive il primo di agosto l’arcivescovo Cecconi: 9

E. Ceria, Memorie Biografiche di Don Bosco, xiv, pp. 480 ss.

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capitolo primo Carissimo Don Bosco, mi par giunto il momento propizio per inaugurare l’opera che tanto mi sta a cuore, e che di gran cuore desidero vedere affidata al mio carissimo Don Bosco e ai suoi benemeriti Cooperatori. Dunque coraggio e confidenza in Dio. Quattrini ce ne sono pochi, ma Ella è abituato a cominciare dal poco. Il locale piace ed è adatto. Non manca quindi che cominciare. E a tale scopo le dirigo la presente, pregandola di affrettare quanto più può la sua venuta. Se occorrono schiarimenti e notizie mi scriva. Non vedo l’ora di cominciare questa santa battaglia. I giovinetti del popolo sono insidiati nella fede e nel costume in modo spaventevole. Dunque, Don Bosco, all’opera; ché il da fare non manca. La benedico con tutta l’anima e l’attendo a braccia aperte. Eugenio arcivescovo di Firenze10.

Sembra che tutto corra al buon fine. Don Bosco invece tergiversa. Desidera Firenze, ma capisce che la strada non è tutta libera. non tutte le difficoltà sono appianate. A novembre da Firenze gli scrive l’amico sacerdote don Giustino Campolmi. Carissimo Don Bosco, ho saputo che giovedì ci fu una riunione della nota Commissione per l’apertura della Casa dei salesiani presso l’Arcivescovo; che furono lette alcune delle sue lettere, nelle quali Ella dichiarava di non poter più disporre del personale occorrente per aprirla: che in conseguenza Monsignore stesso prendesse l’incarico di scrivere a Lei per avere una risposta definitiva. […] Saputo ciò […] pensai che forse il difetto del personale non fosse la sola e unica causa di questo suo temporeggiare e che il motivo vero stia nel non aver Ella in mano tanto da essere sicuro dei mezzi pecuniari per il mantenimento della Casa; giacché io pure non vedo che quello che si è raccolto possa essere sufficiente. Se questo fosse, io le suggerirei di scrivere francamente a Monsignore in questo senso, perché sarebbe indecoroso vedere la Casa malaticcia e rachitica e col pericolo di vederla morire dopo due o tre anni. In questo caso sarebbe meglio non aprirla. A senso mio poi io penso che la Casa sia aperta colla presenza dei salesiani, e che almeno due o tre la dirigano, perché possa dirsi che è opera di Don Bosco: so che i benefattori concorreranno di certo con il loro obolo al di lei mantenimento. Ho saputo poi che fu accennato a un mezzo termine, ed è di aprire la Casa sotto la direzione di sacerdoti diocesani, per aspettare che Ella possa in seguito mandare il Personale. Le confesso che questo progetto non mi pace punto, e chi lo propone non solo non lo ritengo per uno schietto cooperatore salesiano, ma in contrasto con i salesiani. Creda, caro don Bosco, che la necessità di una casa dei salesiani qui in Firenze nella località prescelta è di una grande necessità; ma bisogna che questa casa una volta aperta abbia una vita vigorosa perché possa far argine a quella protestante, che non manca davvero di mezzi notevoli per adescare gli incauti genitori a mandarvi i loro figlioli. Se dunque il motivo che lo fa temporeggiare a mandare il Personale è quello da me supposto, e sia qualunque altro, scriva di buon inchiostro nel rispondere a Monsignore e lo metta quindi nella necessità di procurare quanto è necessario. Ma non mi par conveniente che Ella debba aderire a quel mezzo termine notato sopra, perché la Casa così si aprirebbe non con buoni auspici. Ma Ella è savio e non ha bisogno dei miei suggerimenti. Mi benedica, caro don Bosco, e preghi per me. Nelle sue Eugenio Cecconi a don Bosco, il 1 agosto 1880.

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parte prima (1881-1955) orazioni non dimentichi il defunto Mons. Limberti, della cui morte ricorre già il sesto anniversario. Aff.mo Can. Giustino Campolmi. Da Firenze il 13 novembre 1880.

Molte parole, di attesa, di incoraggiamento, di messa in guardia, di pressante invito, di delusione per il ritardo. Più di tutti si muove e concretamente Giorgio Rastrelli, presidente della San Vincenzo. Ma non è un nobile. I nobili fiorentini stanno a guardare. Non si espongono. Concedono la loro firma, che sia scritta sotto i documenti e gli inviti a collaborare e a cooperare. È l’avvocato Grassi, è Giorgio Rastrelli, è il Lucaccini popolano, è il Magherini, l’unico nobile Gherardo Gherardi e poi è soprattutto l’arcivescovo Eugenio Cecconi che si muovono e implorano. Gennaio-febbraio 1881 una corrispondenza stretta e decisiva tra Cecconi, don Bosco e l’avv. Grassi fa capire che l’impresa è vicina a compiersi. Supplica Cecconi il 19 gennaio 1881. Ho la consolazione di dirle che si può prudenter cominciare, che il locale è pronto, e che i 1500 franchi annui per i tre salesiani sono assicurati per qualche anno […]. Se in questo momento tre dei suoi bravi salesiani non sono pronti, ne mandi due; tanto per cominciare […]. Deh, mio carissimo, non tardi di più, e si arrenda alle calde preghiere di un vescovo, che in nome di Dio le chiede cooperazione! Aspetto la sua consolante risposta.

Don Bosco non rimane insensibile alle invocazione dell’arcivescovo. Ne vede la sincerità e l’impegno personale e rispondendogli quasi a giro di posta, il 25 gennaio, dice anche quali sono le perplessità che ne ritardano la venuta: Eccellenza reverendissima, alla commovente lettera di V.E. io mi dispongo a fare anche l’impossibile. Ritardava a rispondere, perché le persone a cui mi ero diretto o non risposero o risposero in modo poco lusinghiero. Ora che vedo il buon volere delle E.V. e che ho da fare solamente con Lei, io mi ci metto nelle mani e farò tutto quello che mi dice. Pertanto sulla base della sua lettera io scrivo al direttore della casa di Lucca, affinché nella prossima settimana faccia una gita a Firenze per disporre le cose in modo che i futuri salesiani possano trovare quanto loro occorre per far cuocere i maccheroni. Spero che nella sua grande bontà darà ospizio per quell’uno o due giorni che don Marenco, è il nome di detto direttore, dovrà passare in Firenze. Intanto spigolerò qualche religioso nelle varie case e farò che entro qualche settimana vi sia un prete, un chierico ed un coadiutore a piena disposizione per l’Opera nostra. Farò sapere il giorno preciso del loro arrivo. Per qualche tempo credo bene che si limitino al solo oratorio festivo e giardino di ricreazione e quando avranno un po’ di conoscenza della città, delle usanze e dei costumi, potranno cominciare le scuole serali con altre cose che la E.V. nella illuminata Sua prudenza vorrà suggerire11. Epistolario di Don Bosco, a cura di Eugenio Ceria, Torino 1952, Don Bosco a Cecconi, 28 gennaio 1881, iv, n. 2128.

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