Storie sul bus. Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf

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Francesco Giannoni

Storie sul bus Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf


Dello stesso autore C’era una volta l’Ataf. I fiorentini e la loro città in un insolito ritratto


Francesco Giannoni

Storie sul bus Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf

Società

Editrice Fiorentina


© 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice instagram account @sef_editrice isbn 978-88-6032-624-9 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Referenze fotografiche Ataf Gestioni (per gentile concessione) Foto p. 121 di Francesco Giannoni Copertina a cura di Studio Grafico Norfini (Firenze)


Indice

9 Introduzione (la mania del sequel) 13 Galeotto fu il numero 1 (o dell’autista Cupido) 20 Un angelo sul 17 (o del mercato delle Cascine) 27 Il 14 per Careggi (o della timidezza) 33 A carnevale… (o del miele) 41 L’autista e la bambina (o della disperazione) 48 Babbo e figlio (o del bimbo-che-sa-tutto-lui) 58 L’enigmatico sorriso (o del Don Giovanni attempato) 67 Gli occhi malati (o della bicicletta) 72 Il femminista (o della risata inopportuna) 80 La strana coppia (o del losco patto) 86 L’abito non fa il monaco (o del dolorino al ginocchio) 93 L’autobus come le giostre (o dei gelati dai gusti raccapriccianti)


103 Il ragazzino maleducato (o della poiana) 108 Il primo allenamento (o dei graffiti misteriosi) 115 Uno strano ragazzo (o della giacca a vento) 120 Il verificatore allungato (o di Gunny vs Callaghan) 129 Due bionde (o dei cantieri) 136 Uggia (o dei colloqui angelici) 144 Yael (o degli amici autisti)


a Matteo e Simone, e a tutti coloro che non avranno mai l’opportunità di prendere il 22 a due piani. Poverini!



Introduzione (la mania del sequel)

«Ganzo! Si fa?!». «Sì, dai: facciamolo!». Visto il successo di C’era una volta l’Ataf. I fiorentini e la loro città in un insolito ritratto, quello sopra riferito fu il dialogo, breve ma intenso, fra l’Editore e l’autore per decidere di pubblicare Storie sul bus. Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf che vi apprestate a leggere, sequel del primo titolo. In realtà è un sequel a metà: non sono altri racconti basati sui ricordi di un autista, come avvenuto per il primo libro. Questa volta la narrazione è basata sui ricordi di chi si è servito dell’autobus per i motivi più svariati: andare a scuola, al lavoro, in palestra, dagli amici, al mercato, all’imbrocco. Ecco, forse per quest’ultima mission, più che l’1, il 6 o il 17, sarebbe stato preferibile un Testarossa Pininfarina. Lo ipotizzo, non lo affermo, visto che non ho mai avuto l’opportunità di guidare, e tanto meno di possedere, questa macchina. Ma anche l’autobus è servito alla bisogna di cui sopra. Leggete e vedrete. Un paio di racconti si allacciano a miei ricordi personali. La maggior parte è basata su quelli di amici, parenti, conoscenti, complici e corresponsabili di questa mia malefatta libresca. Li ho già ringraziati a voce. Più sotto lo farò nero su bianco. Fra i contributi, c’è anche quello di mia moglie. Lei ancora non lo sa. Appena ne sarà al corrente, farà la gioia di un avvocato divorzista. 9


Via WhatsApp, ho annunziato al mondo l’intenzione di scrivere questo libro, chiedendo a tutti il contributo di un ricordo. In verità, mi hanno risposto in pochi. Presumo sia stato per evitarsi l’obbligo di acquistare il nuovo libro, vista l’infelice esperienza vissuta con il primo. Immagino che il pensiero più frequente sia stato: «Ma perché si ostina a scrivere, benedetto ragazzo?». A chi ha acquistato e apprezzato il primo libro, non posso esimermi da un sincero (ma per davvero) grazie! Lo estendo anche a chi ha acquistato questa mia ultima fatica letteraria. «Fatica letteraria?». «Esagerato!». «Che paroloni!». Lo ammetto: avete ragione. Spesso i sequel sono caratterizzati da fiaschi pressoché totali, accompagnati da pernacchie, gesti dell’ombrello, corna, fischi, dita medie ben allungate et similia. Io però sono un inguaribile ottimista: spero che la maledizione del sequel non colpisca questo libretto che, come si dice sempre, mi sono divertito a scrivere, spero che diverta anche il lettore, che gli strappi un sorriso ecc. ecc. In ordine rigorosamente alfabetico, al di là dei vari generi sessuali, più o meno fluidi, oggi tanto di moda, ringrazio: Alessandra Cecilia David Francesco (cioè il sottoscritto) Giuseppina Letizia Mara 10


Mariano Matteo Otello Paolo Roberto Rocco Stefania Per evitare grattacapi di vario tipo, fra cui quelli piuttosto sgradevoli a carattere giudiziario, non ho scritto i cognomi. Francesco Giannoni P.s. Una mano sulla Bibbia e l’altra sulla Costituzione, giuro solennemente che non ci sarà un prequel.

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Spostarsi in città ai tempi dell’austerity (1973-1974)


Galeotto fu il numero 1 (o dell’autista Cupido)

Com’è bello lui!, pensava Adriana. Com’è bella lei!, pensava Giorgio. Era da qualche giorno che Giorgio e Adriana s’incontravano sull’autobus. Era il numero 1. Prima saliva lui, in via Boccaccio, per andare in ufficio in piazza Stazione, al capolinea. Lei saliva in piazza delle Cure, dopo un salto al mercato, per arrivare in piazza San Marco. Durante il tragitto e un attimo prima che lei scendesse, si lanciavano occhiate furtive, ma intense. Una volta che lei era scesa, Giorgio la seguiva con lo sguardo, mentre lei camminava, vestita sempre con sobria eleganza, verso l’Accademia di Belle Arti. Che fosse una studentessa? O forse una giovane docente? Però gli era sembrato strano che andasse all’Accademia con i sacchi della spesa. Certo, questi artisti… D’altra parte si ricordava del suo professore di lettere alle superiori: un giorno entrò in classe con due sporte per la spesa piene zeppe di verdure e, prima di magnificare Leopardi, magnificò i fagiolini appena comprati al mercato: due chili al prezzo di uno. Giorgio aveva visto Adriana per la prima volta mentre saliva sull’autobus insieme a un’altra signora. Lui era su uno dei sedili posteriori, stravaccato a gambe aperte. Appena aveva visto quella ragazza, subito si era seduto con più contegno. Gli era sembrato che quei due bellissimi occhi grigi lo avessero guardato con disappunto. E gli era parso che, appena lui si era ricomposto, avessero cambiato espressione, come per approvare. O forse si era fatto un film. 13


Adriana sapeva di piacere, ma era una ragazza seria. E le piacevano i ragazzi seri…

Lei rimase in piedi, troppo lontana perché lui potesse offrirle il posto a sedere. Lui ogni tanto la guardava, mentre lei appariva e spariva dietro i passeggeri che ondeggiavano secondo i movimenti dell’autobus. Gli sembrò che anche lei talvolta lo guardasse, anche se appena di sfuggita. O forse era l’autobus che faceva traballare le immagini. Oltretutto lui era miope. Poi lei scese e l’incanto di quella bella ragazza proseguì nella sua fantasia. Adriana aveva visto quel bel ragazzo seduto in una posizione non proprio elegante. Ma gli era piaciuto il fatto che, appena i loro occhi si erano incrociati, lui si fosse accomodato 14


in modo più conveniente. Poi aveva continuato a sentire il suo sguardo pieno di interesse e di stupore, attraverso quegli occhiali che facevano tanto intellettuale. Adriana sapeva di piacere, ma era una ragazza seria. E le piacevano i ragazzi seri. Sull’autobus erano in tanti a guardarla, e qualcuno si era fatto anche avanti, ma lei non gli aveva dato spago, rifiutando sempre con fermezza, anche se con garbo. Un paio di volte, invece, qualcuno aveva allungato le mani. Una volta, dato l’affollamento, lei non era riuscita a capire chi fosse stato e rimase a lungo con la brutta sensazione di una mano sul sedere. Appena tornata a casa, aveva fatto la doccia per togliersi di dosso lo sporco che sentiva attaccato alla pelle. Un’altra volta, alla sgradita attenzione, Adriana si era voltata, aveva visto il colpevole, nemmeno troppo imbarazzato, e, guardandolo negli occhi, gli aveva allungato una sberla, che lui si era preso disinvoltamente. Forse c’era abituato. Gli altri passeggeri, voltatisi a quel sonoro schiaffo, erano rimasti zitti. Com’è noto, chi tace acconsente. Oltre che porco, il colpevole era stato anche cretino, dato che c’era poca gente a bordo ed era facile essere scoperti. In più, quando Adriana si era voltata, una signora l’aveva aiutata, indicandole con un dito il reo, a conferma dei suoi sospetti già fondati. Dopo la sberla, la signora aveva approvato sorridendo soddisfatta. Solidarietà fra donne. Il porco, alla prima fermata era sceso, sempre nel silenzio generale. Si erano rivisti altre volte, Giorgio e Adriana. Sempre sull’1. La trafila era la stessa: il solito fugace sguardo in cui gli occhi si soffermavano un attimo più del dovuto gli uni negli altri. Poi lei andava avanti, verso il centro dell’autobus. Una volta si erano anche sorrisi. Appena appena, ma era successo. E Giorgio aveva avuto un tuffo al cuore. Era timido, Giorgio, c’era poco da fare. 15


Anche per Adriana era stata un’emozione, ma poi aveva concluso che forse era lei a doversi dare una mossa con quel ragazzo, carino, dall’aria gentile e dagli occhiali sfiziosi. Non lo aveva più rivisto seduto a gambe larghe. Quindi sapeva comportarsi e correggersi: un incidente di percorso poteva sempre capitare e si scusava volentieri. E poi quel ragazzo timido le piaceva. E questo era quel che contava. Quella mattina si era alzata un po’ prima, aveva fatto una rapida doccia, litigando poi con una manica dell’accappatoio che non voleva saperne di farsi infilare. Dopo colazione si era lavata i denti meglio del solito. Per guardare il risultato, aveva avvicinato la faccia allo specchio, serrando le mascelle e aprendo le labbra, scoprendo le gengive. Poi aveva mosso la faccia a destra e a sinistra, sgranando bene gli occhi. Il risultato dell’igiene orale le era parso ottimo, ma meno male che in quel momento lui non l’aveva vista. Aveva scelto gli abiti con più attenzione, ma senza strafare. Non voleva sembrare una pavonessa che pensa di poter essere lei a fare la ruota. Camicia bianca morbida sui fianchi, pantaloni blu e francesine in tinta. Appena un filo di trucco e di rossetto cui peraltro era poco abituata, e un ultimo colpo di pettine sui capelli corti e sbarazzini. Indossò il soprabito blu con la borsa dello stesso colore e si guardò allo specchio. Piegò la testa su un lato e si sorrise. Bene: né poco né tanto: il giusto. Uscì di casa. Le batteva un po’ il cuore: era timida anche lei. Quando arrivò alla fermata dell’autobus, vide l’1 che stava arrivando. Giusto in tempo. Lo prendeva sempre a quell’ora e quel ragazzo lo trovava sempre a bordo, seduto nello stesso posto. Era un abitudinario, come lei. È già qualcosa per andare d’accordo, pensò Adriana, anticipando i tempi, come accade ai timidi e ai sognatori. L’autobus si fermò e le portiere si aprirono. 16


Adriana fece un respirone per darsi coraggio, accese la modalità flirt e salì a bordo, torturando i manici della borsa. Gli occhi grigi brillavano che era una meraviglia. Giorgio aveva avuto la stessa idea. Dopo un’accurata rasatura, si era frizionato con un goccio di dopobarba. Appena un goccio. Non amava i profumi, soprattutto quelli femminili. Troppo dolci. «Speriamo che quella ragazza non li usi». Si era già fatto alcuni film su loro due insieme. Anche lui giocava d’anticipo con i sogni e la fantasia. Aperto l’armadio, che dentro aveva molta aria, aveva scelto un paio di pantaloni di fustagno beige e un bel golf verde scuro dall’aria morbida e accogliente, invece dei soliti jeans e della solita felpa. Un paio di mocassini marroni avevano completato la vestizione. Pulì accuratamente gli occhiali. Infilò il giaccone di velluto verde e si guardò allo specchio. L’immagine riflessa lo soddisfece. Si passò la mano fra i capelli ondulati e uscì. Ormai si era deciso. Aveva già avvertito in ufficio che sarebbe arrivato una mezzora più tardi per una commissione urgente per sua madre. Quando salì sull’1 al capolinea gli batteva il cuore, ma era risoluto e azionò la modalità imbrocco. Si sedette al suo solito posto fingendo una tranquillità che mascherava il tumulto. Accavallò le gambe, e controllò che le scarpe fossero pulite. Non riusciva a trovare la posizione giusta per le mani. Posate sulle cosce? Incrociate a un ginocchio? O sulla pancia? Fece rapidamente delle prove, guardandosi nel riflesso opaco del finestrino laterale, dall’altra parte del corridoio. Risolse per le braccia conserte. Ma subito dopo ci ripensò e mise le mani sulle cosce. Gli sembrava un segno di distinzione; l’aveva visto fare a qualcuno, ma non ricordava chi. In quel momento era troppo agitato. L’autobus partì. Dopo pochi minuti, si fermò in piazza delle Cure. L’autista aprì le portiere. 17


Quando si videro, sembrava sapessero che doveva accadere qualcosa e avevano entrambi il cuore a mille. Si guardarono, gli occhi castani in quelli grigi. Entrambi notarono la diversa eleganza dell’altro. Lui fece l’atto di alzarsi e lei quello di fermarsi. A entrambi mancò il coraggio. Lui ricadde sul sedile e lei, abbassati gli occhi, si avviò al suo solito posto. «Mannaja ara miseria! E ’mmò?», pensò lei da calabrese. «Che bischero! E ora?», pensò lui da toscano. Non c’era molta gente quella mattina. Meglio: meno testimoni di una eventuale figuraccia. Giorgio prese il coraggio a quattro mani e si alzò. Adriana dietro di lei sentì un sussurro: «Senta, mi scusi…». Lei, per la sorpresa, si voltò di scatto, con un leggero sobbalzo e sgranando gli occhi dall’espressione stupita. Lui si sentì morire. E invece lei gli sorrise. Che bello quel sorriso, anche se un po’ imbarazzato. Anzi… proprio per quello. «Prego, mi dica», rispose lei, con voce trepida. Ma un impertinente scossone dell’autobus nascose le sue parole. «Come scusi?», chiese Giorgio, più goffo del solito e con gli occhiali che cominciavano ad appannarsi. «Sì, mi dica… Prego», replicò Adriana con voce appena più sicura. «Lei permette che… quando scende… l’accompagni?». Oddio, e ora che risponderà, lei. «S-sì… certo… volentieri». Giorgio si sentì quasi mancare, ma sospirò di sollievo. «Magari le posso offrire un caffè… Sempre che lei lo gradisca», aggiunse lui con un poderoso atto di coraggio. «Perché no?… Cioè… Anzi… Sì, certo… mi fa piacere». 18


«Io mi chiamo Giorgio», fece lui con voce più tranquilla. «E io Adriana», replicò lei, con un sorriso più aperto. Che bel sorriso e che begli occhi, pensò lui. Che bella voce calda e rassicurante, e che occhiali puliti, pensò lei. «Mi sembra che lei scenda a San Marco», chiese Giorgio. «Sì. Come fa a saperlo?», replicò Adriana, con finto stupore. Risero entrambi. Che belli due giovani che ridono con il cuore in mano. Superato l’imbarazzo, Giorgio premette il pulsante e prenotò la fermata. L’autista, che, un occhio al traffico e uno allo specchietto retrovisore, aveva assistito alla scena, dopo essersi fermato, per partecipare alla bellezza di quel momento vissuto dai due sconosciuti, cercò di dare grazia al movimento della mano che apriva gli sportelli. Poi, quando loro furono scesi, tardò un paio di attimi a richiudere per vedere che cosa sarebbe successo. Li vide camminare insieme nella stessa direzione, leggermente rossi in viso, con un sorriso un po’ tirato ma con un incedere già da passeggiata romantica. Sorrise anche lui. Richiuse gli sportelli e ripartì soddisfatto, quasi fosse lui, il Cupido di quella storia.

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