Donne violate. Forme della violenza nelle tradizioni giuridiche e religiose tra M.O. e Sud Asia

Page 1

Donne violate Forme della violenza nelle tradizioni giuridiche e religiose tra Medio Oriente e Sud Asia a cura di L e il a K a r a m i, R o mina Ro ssi

Società

Editrice Fiorentina


‘Alti Studi di Storia intellettuale e delle Religioni’ Series The volumes featured in this Series are the expression of an international community of scholars committed to the reshaping of the field of textual and historical studies of religions and intellectual traditions. The works included in this Series are devoted to investigate practices, rituals, and other textual products, crossing different area studies and time frames. Featuring a vast range of interpretative perspectives, this innovative Series aims to enhance the way we look at religious and intellectual traditions.

Series Editor Federico Squarcini, Ca’ Foscari University of Venice, Italy Editorial Board Piero Capelli, Ca’ Foscari University of Venice, Italy Vincent Eltschinger, École Pratique des Hautes Études, Paris, France Christoph Emmrich, University of Toronto, Canada James Fitzgerald, Brown University, USA Jonardon Ganeri, British Academy and New York University, USA Barbara A. Holdrege, University of California, Santa Barbara, USA Sheldon Pollock, Columbia University, USA Karin Preisendanz, University of Vienna, Austria Alessandro Saggioro, Sapienza University of Rome, Italy Cristina Scherrer-Schaub, University of Lausanne and EPHE, France Romila Thapar, Jawaharlal Nehru University, India Ananya Vajpeyi, University of Massachusetts Boston, USA Marco Ventura, University of Siena, Italy Vincenzo Vergiani, University of Cambridge, UK Editorial Coordinator Marianna Ferrara, Sapienza University of Rome, Italy


DONNE VIOLATE FORME DELLA VIOLENZA NELLE TRADIZIONI GIURIDICHE E RELIGIOSE TRA MEDIO ORIENTE E SUD ASIA

a cura di Leila Karami Romina Rossi

Società

Editrice Fiorentina


© 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn:

978-88-6032-622-5 978-88-6032-625-6

ebook isbn:

Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Foto di copertina Artemtation, Pixabay


Indice

Leila Karami, Romina Rossi Presentazione

7

Maria Immacolata Macioti Introduzione

13

Sguardi su violenza e diritto Deborah Scolart La violenza domestica nei paesi arabi. Uno sguardo alla legge

23

Marta Tarantino La Giordania contemporanea tra cultura tribale e delitto d’onore

43

Arpita Sarkar Exemption of Marital Rape in the Indian Penal Code: Examining through the lens of Hindu religious practices and its impact on other marital legislations among Hindus

59

Sguardi su violenza e sessualità Igor Spanò Vivere come donne in India: l’insolito genere delle comunità hijra

79


Melissa Fedi Le donne transessuali in Iran. Violenza istituzionale e sociale

101

Leila Karami Forme di violenza nei racconti di Faribā Vafi: Un mistero tra i vicoli e La smorfia

115

Romina Rossi Violenza a colpi di hashtag: rappresentazioni del femminile sul Twitter indiano

133

Sguardi su violenza e potere Ludovica Tozzi Il silenzio delle donne e la voce di Sa’ādat Hasan Maṇṭo: violenza e Partizione nel racconto Khol Do

153

Marilena Proietti Tra tradizione e disempowerment. Il caso delle donne ādivāsī del Jharkhand

173

Federica Ponzo La violenza sessuale nell’IS: una strategia terroristica

189


Presentazione

L’idea di pubblicare un libro che offra spazio alla riflessione sul tema della violenza contro le donne nel Medio Oriente e Sud Asia nasce dalla collaborazione tra studiose e studiosi di letteratura, sociologia, antropologia, storia delle religioni e giurisprudenza che, in varie occasioni, si sono confrontati sull’intersezione tra genere, religioni e violenza. L’opportunità di raccogliere questi temi in un volume corale si è presentata in seguito all’organizzazione di due giornate di studio svoltesi a Lanuvio (Roma) nel marzo del 2019, nell’ambito delle attività del Museo di Storia delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” diretto da Igor Baglioni. Il volume accoglie le ricerche di studiose/i affermate/i e di giovani che hanno iniziato a cimentarsi nella ricerca accademica ed è strutturato come un insieme di sguardi che osservano, da più angolazioni, un argomento complesso e articolato qual è quello della violenza di genere, soffermandosi su alcune delle peculiari modalità tramite cui, nelle aree trattate, la violenza si riverbera sulle donne. Si è cercato di offrire un ampio ventaglio di prospettive, alcune delle quali sono meno note ai non specialisti, mantenendo tuttavia un linguaggio accessibile a un pubblico più esteso. Il lettore che si avventurerà nel percorso tracciato nel volume si troverà di fronte a ricerche che mettono a fuoco numerose strategie di depotenziamento del femminile e altrettante forme di resistenza; si confronterà con le difficoltà che caratterizzano la vita delle transessuali in Iran e delle hijra in India, conoscerà nuove voci letterarie che trattano il tema della violenza familiare-affettiva ed etnico-nazionale-confessionale. In questo volume si esplorano infatti le molteplici sfaccettature della violenza domestica, verbale e sessuale, addentran-


8 Ù

Presentazione

dosi nel territorio della sopraffazione e della coercizione subite dalle donne nelle realtà tribali, così come nelle retoriche misogine che si esprimono anche attraverso i social network nell’India dei nostri giorni. Tuttavia questo libro non parla solamente delle donne, né intende rivolgersi soltanto alle donne. Sullo sfondo esso interroga anche gli uomini, le ideologie, l’operato delle istituzioni e coloro che continuano a esercitare, tramite molteplici forme di violenza, poteri e privilegi che limitano, quando non eradicano completamente, la libertà delle donne in seno alla famiglia e nella società. Ci sembra inoltre opportuno fare qualche precisazione circa la struttura del libro, che si articola in tre sezioni tematiche: diritto, sessualità, potere. All’interno di queste sezioni si susseguono studi eterogenei che danno conto della trasversalità attraverso cui il tema della violenza è trattato nell’accademia e nei dibattiti politici attualmente in corso. Non entriamo qui nel merito dei singoli articoli, rimandando piuttosto alle dettagliate considerazioni riportate nell’Introduzione di Maria Immacolata Macioti. Ci preme invece sottolineare come la millenaria questione della violenza sulle donne, narrata in composite modalità sia nella letteratura che nelle cronache storiche classiche, si trovi oggi al centro dell’attenzione degli studiosi, con indagini multidisciplinari che spaziano dall’ambito delle letterature alla storiografia, dalla linguistica alla sociologia, passando per la giurisprudenza, la psicologia e per numerose altre discipline. Ne danno prova le attività di ricerca, accademiche e non, che vengono regolarmente condotte nei paesi esaminati nel presente libro. Molte di queste ricerche non riguardano soltanto il passato ma anche le società odierne e i loro sistemi giuridici. Per tale ragione abbiamo ritenuto significativo aprire il volume proprio con una sezione tematica dedicata al ‘diritto’. Infatti è proprio il diritto a fornire i presupposti grazie ai quali la violenza può essere arginata, specialmente quando questa si consuma all’interno delle relazioni familiari; attraverso le richieste di modifiche alle leggi che regolano il rapporto tra i coniugi, o varando leggi che criminalizzino le violenze inflitte alle donne in famiglia, è il diritto a intervenire facendo da ponte fra il pubblico e il privato. Un’altra riflessione riguarda la questione di genere. Le società mediorientali non registrano un manifesto attivismo né un dibattito pubblico capaci di mettere concretamente in discussione il determinismo biologico tradizionale che pervade la dimensione pubblica come quella privata. Le ragioni di questa assenza vanno ricercate in vari ambiti. Soprattutto, il fattore dominante di ordine sociale è basato su principi religiosi che assegnano precisi ruoli al sesso biologico, non lasciando spazio alle istituzioni giuridiche, e quindi politiche,


Presentazione

Ù 9

né alla possibilità di emanare leggi che sappiano affrancarsi da un tale determinismo.1 Sulla falsariga di un simile ‘assioma’, ad esempio, si comprende perché Mahmoud Ahmadinejad, due volte presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, dal 2005 al 2013, durante una visita presso la Columbia University di New York nel settembre 2007, alle domande di studenti e giornalisti sulle violazioni dei diritti umani perpetrati in Iran, sulle oppressioni nei confronti delle attiviste politiche e civili, sugli omosessuali e sulle minoranze religiose, rispose che “in Iran non esistono gli omosessuali”.2 L’Iran è, forse, l’unico paese musulmano dove, giuridicamente, è ammessa la transizione sessuale. In proposito si rimanda all’articolo di Melissa Fedi in questo volume. A prescindere dall’infelice dichiarazione dell’ex presidente iraniano, la rimozione dell’omosessualità rientra in quel progetto di intolleranza, atto a stroncare lo sviluppo delle “identità di genere”, in nome del determinismo biologico tradizionale. Va da sé che qualunque forma di contestazione all’intolleranza sistematica viene considerata una messa in discussione del disegno divino riassumibile nell’equivalenza ‘sesso biologico=comportamento sociale’. Ciò va a motivare il progetto teologico-istituzionale serpeggiante in Iran – ad oggi mai stato oggetto di una sistematica denuncia – che nell’assegnare “a tutti i costi” precise dimensioni fisiche e biologiche a femminilità e maschilità, in realtà, incentiva, quando non costringe, la transizione sessuale. Come per dire che il comportamento esteriore deve assolutamente essere adeguato a caratteristiche ‘anatomiche’, a costo di eventuali ‘aggiustamenti’. Emblematici al riguardo sono, oltre agli studi accademici, tutti quei film e documentari che affrontano i disagi emotivi e psicologici di chi è costretto a ricorrere alla transizione sessuale come fosse una terapia, anche se considerata l’unica soluzione per essere accettati nella società. Non ci tratteniamo sulle ben note difficoltà, sia in seno alla società sia di fronte alle autorità, di chi decide di non intervenire sul proprio corpo in un paese che, proprio per non riconoscere le molteplici identità di genere rivendicate dagli individui, ha trovato la formula teologica che consente alle istituzioni (con appositi ospedali, riconoscimenti legali, ecc.) di riportare sulla ‘retta via’ ogni orientamento sessuale etichettato come ‘diverso’. Paradossale è la questione giuridica che segue il cambio del sesso biologico: l’uomo mutato in donna avrà a che fare con la subordinazione femminile delle leggi di famiglia, mentre la donna mutata in uomo avrà a disposizione leggi 1  La differenza di genere è riportata già nel Corano che insiste sul fatto che Dio crea tutte le cose in coppia, ossia in due metà, un maschio e una femmina, che non sono uguali tra loro, anche se complementari, si veda R. Villano, La struttura binaria del Corano, L’Istituto per l’Oriente Nallino, Roma 2018. 2  Il discorso è stato riportato dalle principali agenzie di stampa. Il video delle dichiarazioni è disponibile in URL: <https://www.youtube.com/watch?v=RUE0tukdr4c> (7/2021).


10 Ù

Presentazione

non riconosciutele prima. Entrambi, però, sono obbligati a recitare i nuovi ruoli.3 Si deduce, senza troppi indugi, che chi è considerato ‘fuori dalle righe’ e rifiuta la transizione sessuale è costretto/a ad avere un’esistenza mascherata oppure, quando è possibile, a lasciare la patria. Anche nel subcontinente indiano, il costrutto di “genere” è fortemente radicato in ciò che viene percepito come “naturale”: i codici di comportamento considerati appropriati, così come i concetti di maschilità e femminilità veicolati dai testi normativi, informano le aspettative di e su uomini e donne, ribadendo il primato del sesso biologico nel determinare i ruoli sociali. In tal modo, ad esempio, l’enfasi culturale e religiosa sul matrimonio e la maternità come orizzonte ultimo per la piena realizzazione dell’essenza femminile si rivela un potente strumento di controllo sociale che definisce l’identità di genere della donna, nonché l’eterosessualità come naturale espressione della sessualità femminile. Seppure la tradizione contempli una ‘terza natura’, rappresentata dalla figura controversa delle hijra (in proposito si rimanda all’articolo di Igor Spanò in questo volume), nel momento in cui le rivendicazioni dei movimenti LGBT+ e delle associazioni femministe sud asiatiche mettono in discussione i paradigmi preesistenti, scandagliando i concetti stessi di sesso e genere e mettendone in luce la complessità, le soggettività precedentemente normate all’interno di una cornice sociale e religiosa cambiano status agli occhi del resto della collettività e appaiono improvvisamente fuori posto, minacciose, divenendo pertanto oggetto di una violenza tacitamente ammessa. Ma i casi di cronaca mostrano come la violenza di genere nel Sud Asia sia un fenomeno composito che, se da un lato poggia su questioni connesse allo status delle donne e all’appartenenza a specifici contesti sociali, religiosi e politici, dall’altro spesso trova supporto nella giurisprudenza, nell’impotenza economica e nella complicità fra istituzioni e chi esercita la violenza. Durante i mesi di preparazione del libro siamo state sostenute da amici e amiche a cui vanno i nostri più sentiti ringraziamenti. Vorremmo rivolgere un grazie speciale a Marianna Ferrara per il costante supporto, la disponibilità e i preziosi suggerimenti che ha offerto al nostro progetto. Un doveroso ringraziamento va a Maria 3  Dall’analisi delle opere letterarie classiche, arabe e persiane, si evince che l’amore tra uomini nei primi secoli dell’islam era tollerato; per un excursus sulla questione dell’omosessualità sia nel mondo musulmano classico che in quello contemporaneo si rimanda all’agile lavoro di J. Guardi; A. Vanzan, Che genere di islam. Omossessuali, queer e transessuali tra shari’a e nuove interpretazioni, Ediesse, Roma 2012.


Presentazione

Ù 11

Immacolata Macioti, che ci ha tristemente lasciati nel luglio 2021, per aver accolto la proposta di scrivere l’introduzione, così come a Igor Baglioni, per aver inaugurato il dibattito su un argomento che, purtroppo, non esaurisce mai la sua attualità. Ringraziamo Federico Squarcini per avere ospitato questo libro nella collana “Alti Studi di Storia Intellettuale e delle Religioni” da lui diretta. Siamo inoltre riconoscenti a tutte/i coloro che hanno offerto preziosi suggerimenti per rendere migliore questo volume. Infine, il nostro ringraziamento più sentito va a coloro che ci hanno affidato i propri contributi e che rappresentano il fulcro del progetto che vede qui la luce. Leila Karami Romina Rossi



Introduzione

Donne e violenza. Quando mi è stato chiesto da Leila Karami e Romina Rossi di scrivere una Introduzione a questo libro, di cui mi avevano inviato il Sommario, ho pensato di poterlo fare: conoscevo vari dei paesi di cui si era scritto, sia paesi islamici che parti dell’India. Avevo viaggiato spesso appoggiandomi a colleghi universitari, in grado di farmi conoscere dal di dentro il paese reale e non solo le bellezze turistiche. Ho inoltre seguito per decenni le vicende delle donne immigrate in Italia, troppo spesso con un difficile passato alle spalle. Un passato di violenze subite nelle famiglie di origine o in quella dove erano entrate come spose, magari piene di speranza. Avevo raccolto scomodi discorsi autobiografici, memorie angosciose di giovani donne costrette a fughe precipitose, senza possibilità alcuna di preparazione. Donne di varia provenienza, tra cui alcune di origine africana, altre invece arrivate dall’India, dal Pakistan e da altri luoghi lontani. Lontani fisicamente, in termini geografici ma soprattutto in termini culturali. Ho pubblicato alcuni di questi materiali, ho curato e introdotto diversi volumi sulle donne e seguito, per lungo tempo, tesi di laurea in merito. Il Master «Immigrati e rifugiati» che avevo aperto e poi diretto per anni alla Sapienza Università di Roma mi ha a lungo offerto a sua volta materiali anche duri e spinosi in questo senso, su cui riflettere. Anche la letteratura del resto ci ha offerto, nel tempo, diverse storie di sofferenze femminili. Né è stato da meno il cinema. E qui devo forse spiegare che ho avuto la fortuna di seguire le iniziative dell’amico regista Italo Spinelli. A lui devo l’aver conosciuto vari importanti filmati da lui scelti, selezionati, presentati in Roma nell’Asiatica Film


14 Ù

Introduzione

Festival, giunto nel 2020 alla sua 21esima edizione. Una rassegna dedicata appunto alla filmografia asiatica, sotto la sua direzione artistica, in cui abbiamo potuto vedere, interiorizzare, discutere anche storie difficili, critiche, a volte assai problematiche, le cui protagoniste involontarie erano state le donne. Non solo: avevo visto, apprezzato e pubblicamente commentato un film dello stesso Italo Spinelli, del 2010, tratto dal racconto di una scrittrice indiana, Mahasweta Devi, film girato nel Bengala. Si tratta della tragica storia di violenze subite da una donna, la quale, all’inizio del filmato, giovane sposa e madre, sta allattando il suo primo figlio. Un noto fotografo la vede, la riprende in una istantanea che dovrebbe far comprendere la delicatezza della giovane mamma con il bimbo al seno. La foto avrà in effetti un grande successo. Farà il giro del mondo. Sarà vista, inevitabilmente, dal di lei marito, da conoscenti e familiari. Inevitabile il drammatico finale, con la cacciata della giovane donna, ormai una reietta, cui nessuno offrirebbe aiuto né lavoro, fino alla sua inevitabile caduta nella prostituzione: esito che la gente interpreta come una inevitabile conferma di una realtà scontata. Né il peggio finisce qui. Ancora una breve pennellata: per il centesimo numero della rivista «Religioni e società» il direttore Arnaldo Nesti mi ha chiesto un pezzo su donne e religioni. Ci siamo ben presto resi conto che sarebbe stato impossibile: non sarebbe bastato un libro. Abbiamo quindi deciso di ridurre il tutto ad una analisi del tema donne e cattolicesimo: e qui inevitabilmente sono comparse, oltre alle note discriminazioni nei confronti del genere femminile, cui non viene concesso neppure il diaconato, anche storie di decisa violenza contro le donne. Perché purtroppo nella chiesa cattolica, negli ultimi anni, sono venuti alla luce casi gravi di pedofilia occorsi in varie parti del mondo e sono emerse anche diverse storie di violenza contro suore, vale a dire violenze contro consacrate sorelle in Cristo… Anche la stampa ormai porta a conoscenza del lettore tragiche storie di donne oggetto di grande violenza: penso ad esempio al numero di «Internazionale» uscito tra fine gennaio e inizio di febbraio del 2021,1 dove è riportato un articolo intitolato Senza via di fuga, ricco di foto di Valentina Sinis, riprese nel Kurdistan iracheno; foto sconvolgenti che ritraggono donne che hanno cercato di uccidersi dandosi fuoco, non riuscendo più a tollerare abusi e violenze domestiche. Certamente, rispondo, posso fare una Introduzione a un libro in cui si parli di violenza e di donne. Penso di conoscere il tema. Ringrazio per la fiducia. E invece no, vedo subito che non ne conosco tutti i risvolti, non abbastanza. Basta aprire la prima sezione riguardante ‘diritto’. Il primo scritto, di Deborah Scolart, studiosa esperta del diritto musulmano e dei paesi islamici, che tratta della violenza domestica 1

Si tratta del n. 1394, anno 28, 29 genn./4 febbraio 2021, pp. 60-65.


Introduzione

Ù 15

nei paesi arabi, con attenzione alla legge: una attenta, puntuale disamina. Il diritto, scrive l’autrice, ha «faticato a riconoscere anche l’ambiente domestico come un luogo ove potesse esistere una violenza (illecita) tra le persone, e ancor più ha faticato a trovare delle soluzioni». Nel giro in cui ci conduce compaiono l’Arabia Saudita e il Bahrein, ma anche la Giordania e il Libano, il Marocco e la Tunisia, paesi che ho potuto conoscere, su cui ho più volte riflettuto e dibattuto, su cui si possono confrontare i dati grazie agli Atlanti geopolitici della Treccani che annualmente escono, ricchi di statistiche ma anche di indicazioni e riflessioni circa tendenze e mutamenti. Opere che ci danno grandi linee, che certo non possono dare conto di fatti troppo particolari, di comportamenti e atteggiamenti in relazione magari al genere, agli atteggiamenti: insostituibile la conoscenza diretta. Qui siamo condotti da Deborah Scolart attraverso alcune importanti vie. Altre verranno necessariamente tralasciate: sarebbe interessante, scrive, saperne di più circa la percezione delle leggi in causa, ma questo ci porterebbe troppo lontano. Una chiara distinzione ci viene proposta tra la normativa tunisina e marocchina – sono i due paesi che ho potuto meglio conoscere, la Tunisia in giorni lontani, il Marocco anche in anni recenti – da un lato e quella in vigore, ad esempio, nell’Arabia Saudita. In Tunisia e in Marocco la legge prende in esame la possibile violenza contro le donne, sia in famiglia che altrove: un’ampia attenzione al tema. In altri paesi ci si può limitare invece al solo nucleo familiare. Il testo mette in luce il fatto che in certi casi alcune storture sono state eliminate, vedi ad esempio il matrimonio riparatore dopo uno stupro, violenza che si innestava su un precedente atto dello stesso genere. Né si evita il difficile tema dello stupro maritale. Non tutto è perfetto, scrive la studiosa: ma è già molto che di violenza sulle donne oggi si possa parlare, che il tema sia stato affrontato. Le leggi poi sono sempre suscettibili di mutamenti, di miglioramenti. L’articolo di Marta Tarantino tratta de La Giordania contemporanea tra cultura tribale e delitto d’onore. Mi tornano in mente lontani ricordi di un viaggio fatto ad Amman con alcuni colleghi, per un convegno indetto da una associazione euro-araba in cui avevamo potuto confrontarci utilmente con studiosi giordani e di altre provenienze. Avevamo deciso di restare qualche altro giorno, nello stesso albergo dove alloggiavamo e dove si era tenuto il convegno, dove quindi già ci conoscevano. Volevamo vedere Petra. Abbiamo quindi preso una macchina in affitto e siamo andati verso questo suggestivo insediamento: un’esperienza molto bella, salvo per il breve disagio durante l’ultimo tratto, fatto a cavallo, quando l’uomo che teneva le redini del mio intendeva assicurarsi che io fossi saldamente in sella. Nulla comunque rispetto all’unica volta in cui, il giorno successivo, mi sono separata dai colleghi e sono andata sola


16 Ù

Introduzione

al solito ristorante nell’albergo mentre loro andavano a mangiare fuori. Mi era sembrato fattibile, visto che lì avevamo preso i pasti per diversi giorni, ché sapevano che facevo parte del convegno appena conclusosi. Accanto al mio, un tavolo di soli uomini, i cui sguardi e commenti per me non comprensibili non lasciano prevedere nulla di buono. Mi alzo, mi affretto verso l’ascensore. Lo prendo grazie a un cameriere che tira indietro uno degli uomini che cercava di entrare, di impedire la chiusura delle porte. Corro verso la mia stanza, chiudo a chiave giusto in tempo perché stanno arrivando gli uomini che hanno fatto di corsa le scale. Resterò lì, guardandomi bene dall’uscire, fino al rientro dei colleghi. Insieme saliremo ancora al ristorante per ringraziare il mio salvatore, dopo di che lasciamo l’albergo diretti all’aeroporto. Resto con l’idea di un paese contraddittorio, moderno e aperto all’Occidente da un lato, dove in teoria le donne hanno maggiore libertà che altrove, ma dove nella vita quotidiana ciò viene decisamente contraddetto. In Giordania non mi è più capitato di tornare, l’ho poi vista solo da lontano, nei miei viaggi in Israele. Ma mi interessa molto ciò che scrive Marta Tarantino. Chi sa come è cambiato il paese? I costumi evolvono, infatti. Certo, con lentezza, con ritorni verso il passato, come ben sappiamo in Italia. La studiosa chiarisce subito che tenterà «di descrivere in che modo le traiettorie di costruzione dei ruoli di genere in area mediorientale influiscono sull’esercizio e sulla generale accettazione della violenza – ed in particolare di quella culturalmente orientata, come nel caso dei delitti d’onore»: questo, su piano storico-culturale e legale. Una lettura interessante, in cui molto si potrà conoscere e comprendere circa la condizione sia femminile che maschile, anche a partire da ciò che avviene se a nascere è un maschio. Arpita Sarkar ci porta in una spinosa problematica: quella degli stupri maritali. Segue, nel suo informato intervento, un percorso storico che dà conto dei mutamenti occorsi nell’affrontare questi fatti su piano giuridico formale. Un percorso non semplice, su cui interferisce con forza, a un certo punto, la presenza inglese. Oggi, teoricamente, un reato punibile; ma diversa appare la realtà laddove vi siano donne sposate che vivono contro la loro volontà nei pressi dei mariti. Anche se una maggiore protezione si avrebbe, oggi, per le donne tra i 15 e i 18 anni. Ma in genere, apprendiamo, l’idea di un fondamento religioso del matrimonio non aiuta. Un’ulteriore aspetto della tematica qui presa in considerazione riguarda le donne rifugiate, realtà relativamente recente come normativa, forse non ancora sufficientemente studiate. Arriviamo alla seconda sezione. L’articolo di Igor Spanò riguarda un difficile tema, quello dell’esistenza di una realtà né maschile né femminile, realtà antica e ben nota anche a livello religioso, di cui si ha traccia nel Mahābhārata, esemplificata anche nella mitica


Introduzione

Ù 17

rappresentazione di Śiva, che per metà ha tratti maschili, per l’altra metà femminili. Il testo ci porta soprattutto nel Nord dell’India, nella comunità hijra. Emerge il tema della castrazione, con legami religiosi ma con conseguenze anche occupazionali. Peserà su questa realtà il dominio britannico, che inquadra la realtà in strutture binarie, scrive Spanò. Dolorose le conclusioni, che fanno seguito a un vasto giro di orizzonti: «Trattenersi ai margini della società, una scelta vissuta a partire dai lembi della ferita provocati dalla castrazione, costitutiva la cifra simbolica della condizione di essere hijra». Dalla marginalità alla marginalizzazione. Il saggio di Melissa Fedi, riguarda La donna transessuale in Iran. Violenza istituzionale e sociale. In Iran sono stata facendo un bellissimo giro con un gruppo della rivista «Confronti», con una brava guida che ci ha spiegato molte cose; dell’Iran ho molto letto, ho visto bei filmati. Ma apprendo ben presto che in realtà non so nulla dei transessuali, ritenuti affetti da disturbi, forse curabili: scrive l’autrice: Iniziando con il considerare il concetto stesso di medicalizzazione dell’Istanza transessuale, che in linea teorica conferirebbe legittimazione sociale e legale, si nota come essa non tenda che a rafforzare l’idea che le persone transessuali debbano essere normalizzate in quanto affette da disturbi mentali e/o della sfera sessuale.

Vari medici, scrive Melissa Fedi, sembrano convinti che il tutto sia da ascriversi a madri stressate dalla guerra Iran-Iraq (1980-1988). Guerra che ha lasciato dietro di sé innumerevoli lutti, timori, problemi. Ritratti di uomini morti in guerra. Ricordi ancora, ai nostri giorni, vivi e pulsanti. Ma ignoravo si fosse costruita tale ipotesi interpretativa su questo particolare aspetto, altrimenti ritenuto inaccettabile. Segue un intervento di Leila Karami, Forme di violenza nei racconti di Faribā Vafi: Un mistero tra i vicoli e La smorfia. Un romanzo e un breve racconto, o forse un più lungo e un più breve racconto, scrive l’autrice, che spiega al lettore la concezione della letteratura agli occhi della scrittrice, letteratura che è insieme arte e impegno liberatorio. E parla quindi del primo, del più lungo scritto. Il lettore viene condotto per mano attraverso il tempo e lo spazio, in un contesto che cambia con l’arrivo di nuovi abitanti, di nuove abitudini. Fatti qualsiasi possono dare adito a dubbi e sospetti. Il protagonista ‘Abu, geloso, suscita comportamenti nella moglie che Leila Karami chiarisce non essere riconosciuti come fattori scatenati dalla di lei disperazione, da lui stesso indotta. Interessante anche il più breve racconto, in cui c’è un lui che esprime giudizi connessi con un suo ‘codice’, giudizi che sono una sorta di verdetto: e non sempre da parte delle donne in causa è semplice, è possibile mostrarsi, sentirsi indifferenti a confronto con le denigrazioni verbali maschili.


18 Ù

Introduzione

Lo scritto di Romina Rossi riflette su come in rete varie associazioni maschili si siano impegnate a difendere i diritti dei maschi, attraverso varie voci e sigle. Offre dati sulla normativa e la sua evoluzione, distinguendo tra teoria e realtà. Scrive di un continuo avallo dato a concezioni patriarcali che limitano la libertà delle donne. La terza sezione riguarda il ‘potere’ e si apre con l’articolo di Ludovica Tozzi, che analizza la rappresentazione della violenza sulle donne nel racconto Khol Do di Sa’ādat Hasan Maṇṭo, noto per le sue opere contestatarie, che «denunciano l’ipocrisia nazionalista e dimostrano come le diverse forme di violenza, in particolare lo stupro, oltre ad essere strumenti di guerra etnica siano stati perpetrati sulle donne per mano di membri della stessa comunità o della stessa famiglia». Dietro a queste vicende, la Partizione India – Pakistan: «massacri e atrocità» sarebbero occorsi da entrambe le parti, per essere poi seppelliti sotto strati di silenzio e vergogna, come ricorda Tozzi in uno dei più duri pezzi di questo inquietante libro. Tornano, nel successivo saggio di Marilena Proietti sulle donne ādivasī del Jharkhand, alcuni dei temi già emersi. Alla base, un’intervista del 21.11.2018 fatta dall’autrice a una donna nel villaggio di Jondragoda. Un interrogativo iniziale riguarda la tradizione e il suo significato. Una prima risposta è che esiste in genere una certa evoluzione dei costumi. Qui però gioca un fattore estraneo: la presenza inglese, foriera di rilevanti mutamenti. Se prima gli uomini si incaricavano di certi lavori e le donne li completavano, poi il mutamento sarà notevole: la terra è ormai vista come merce; la tradizione, reificata; il patriarcato si irrobustisce. Le donne vedono acutizzarsi la differenza di genere, vivono una ulteriore marginalità. Prende spazio la violenza domestica, ha inizio una certa migrazione verso una «modernità imposta». La terra si eredita ormai solo patrilinearmente. Emergono nuovi usi, costumi, norme. Le donne non possono usare l’aratro né impugnare l’arco da caccia. Del resto, senza la terra come garanzia, scrive l’autrice, non possono più fare acquisti di materie prime importanti, dalle sementi ai fertilizzanti. Nel mutamento in peggio della loro situazione troviamo una certa evoluzione dei tabù di genere, una crescente violenza domestica. E non è tutto: ritroviamo il tema della costruzione sociale della donna come strega. Sembra però positivo il ruolo di alcune ONG, dall’educazione al supporto all’autostima femminile. L’ultimo, impegnativo contributo è quello di Federica Ponzo, La violenza sessuale nell’IS: una strategia terroristica. Il tema è purtroppo noto poiché, tra i gruppi minoritari, qui ricordati, gli yazidi e i cristiani hanno da tempo attirato l’attenzione di alcuni studiosi e dei media. Le loro difficili e cruente vicende potrebbero quindi sembrarci note. Ma qui l’autrice ripercorre da presso aspri sentieri che hanno condotto alla pratica, da parte dell’IS, della violenza sessuale attuata


Introduzione

Ù 19

sotto forma di schiavitù sessuale, possibile poiché si tratterebbe di donne miscredenti e di un bottino di guerra. L’autrice affronta il difficile tema delle contraddizioni esistenti da un punto di vista musulmano, laddove è previsto che esistano i dhimmi, che avrebbero il diritto di continuare a professare la propria religione. Ma verrebbe considerata a sé stante la posizione delle donne politeiste: che possono essere catturate e ridotte in schiavitù. Al di là della disamina giuridico-religiosa, l’autrice ricostruisce quanto accaduto con l’arrivo dello Stato Islamico nel nord dell’Iraq: e usa a ragione il termine ‘genocidio’. Le donne, considerate bottino di guerra, sono da spartirsi tra i combattenti; e Federica Ponzo ne segue le sorti, sia con riguardo alla percentuale di donne distribuite in varie basi militari, sia per quanto attiene alla maggioranza, costretta nel traffico delle schiave. Difficile pensare a un eventuale loro reinserimento nei ruoli, negli status precedenti. La spettacolarizzazione della violenza sembra sia stata scientemente usata per indurre il terrore e fiaccare il nemico. La sessualità sarebbe stata utilizzata come arma. Di questo abbiamo trattato in alcune lezioni all’ANRP.2 Avevo anche visto il documentario La Festa negata di Emanuela del Re su un villaggio yazida, girato prima di questi accadimenti, nel 2013 e poi dopo il passaggio dell’IS nel 2014: ma c’è sempre da apprendere. Ogni scritto è preceduto da pertinenti exerga, ogni saggio arricchito da elaborate note che dimostrano l’ampiezza della ricerca e la sua profondità. Alle curatrici e a chi ha scritto in questo libro, i ringraziamenti di noi lettori, data la difficoltà dei temi, trattati con attenzione e competenza. Un’ultima cosa: non vorrei si pensasse che la violenza contro le donne vi sia stata e in parte continui ad esservi solo nei territori arabi o in India. Ricordiamo che abbiamo avuto e abbiamo una tradizione in merito anche nella civilissima Europa. E in particolare, in Italia, dove ciò è stato reso evidente anche agli occhi meno attenti dall’anno 2020 e dal principio del 2021, quando il coronavirus ha indotto lunghe convivenze forzate, con esiti mortali per troppe donne. † Maria Immacolata Macioti

2  Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dall’Internamento dalla Guerra di Liberazione e loro familiari.



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.