Camilla

Page 1

biblioteca di letteratura 27

Antonio Liruti da Udine

Camilla Tragedia Nuova edizione critica a cura di

Michael Lettieri e Rocco Mario Morano



biblioteca di letteratura collana internazionale diretta da Gino Tellini

27


comitato scientifico internazionale Marc Föcking, Universität Hamburg Michael Lettieri, University of Toronto Anna Nozzoli, Università degli Studi di Firenze Pasquale Sabbatino, Università degli Studi di Napoli Federico II Michael Schwarze, Universität Konstanz William Spaggiari, Università degli Studi di Milano Paolo Valesio, Columbia University Antonio Carlo Vitti, Indiana University


Antonio Liruti da Udine

Camilla Tragedia Nuova edizione critica a cura di Michael Lettieri e Rocco Mario Morano Premessa di Gino Tellini

Società

Editrice Fiorentina


© 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-595-2 ebook isbn: 978-88-6032-600-3 issn: 2036-3559 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Louis-Jean-François Lagrenée (1725-1805), Horace venant de frapper sa soeur, particolare, Musée des beaux-arts de Rouen (Francia) (l’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte con i quali non sia stato possibile mettersi in contatto)


Indice

xi

Premessa di Gino Tellini

xvii xvii xix xxiv

Introduzione 1. Considerazioni preliminari 2. Sul testimone autografo rinvenuto 3. Considerazioni sul rinvenimento di un foglio volante con varianti intermedie preparatorie alla consistente modifica di pochissimi versi che costituiscono la terza delle sei battute attribuite ad Orazio nella scena sesta dell’Atto V della «Camilla» nella edizione londinese (vv. 1333-1336) rispetto a quella veneziana (vv. 1282-1284) e sull’aggiunta di cinquantadue versi della scena terza dell’Atto I della «Camilla» nella edizione londinese (vv. 190-242)

xxxii

Documenti epistolari sulla edizione veneziana della «Camilla» e su quella londinese del 1801 1. Brani di lettere indirizzate da Andrea Rubbi ad Antonio Liruti nei quali si fa riferimento alla «Camilla» 2. Sulla «Camilla» ed altro: documenti tratti dalla corrispondenza intercorsa tra Melchiorre Cesarotti e Antonio Liruti 3. Sulla prima e seconda edizione e sulla “fortuna” della «Camilla»: documentazione varia

xxxii xxxvi xlvii


lvii lvii lxii i

La presente edizione 1. Criteri e norme di trascrizione 2. Chiarimenti sull’apparato critico Camilla Tragedia

3 43 76 123 153

Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

185

Indice dei nomi


camilla tragedia


Il presente volume sulla tragedia Camilla di Antonio Liruti da Udine integra e completa quello da noi pubblicato nel 2008. Di qui la decisione di farlo apparire per i tipi della medesima Casa Editrice e all’interno della medesima collana diretta da Gino Tellini che ringraziamo per la disponilità. Nella necessaria ripartizione iniziale dei ruoli per la realizzazione del progetto editoriale, Michael Lettieri si è assunto il compito di curare l’aspetto filologico-esegetico della nuova edizione critica della Camilla e Rocco Mario Morano quello storico-documentale, critico e letterario. Il costante scambio di idee e valutazioni durante le varie fasi della elaborazione dell’opera, fa sì però che la responsabilità finale della realizzazione complessiva del lavoro vada attribuita in toto ad entrambi i curatori.


Premessa

In tempi di incandescente individualismo, Michael Lettieri e Rocco Mario Morano offrono un ammirevole quanto non comune esempio di solidale affiatamento e di costruttiva cooperazione. Nel campo della manualistica letteraria si sa che le cose stanno diversamente e che le opere a più mani ricorrono con frequenza. Se ne hanno esempi classici, come il mitico D’Ancona-Bacci, uscito per i tipi fiorentini di Barbèra in sei tomi tra il 1892 e il 1906, che è stato tra le mani di tutti i liceali del Regno negli anni del primo anteguerra1, ma ancora persisteva a fine Novecento come utile strumento di lavoro sul tavolo di Carlo Dionisotti, com’egli stesso dichiara in più occasioni2. Sempre nell’area della manualistica s’infittiscono e non si contano più gli esempi contemporanei. Ma nel settore più specifico e più esclusivo degli studi accademici, tra filologia e critica, il caso (quando non si tratti di lavori collettivi) è abbastanza isolato e infrequente. E perciò meritevole di attenzione. Michael Lettieri, nato a Celico (Cosenza), si è fin dall’adolescenza trasferito in Canada; Rocco Mario Morano è nato a Merano (Bolzano) da genitori calabresi. 1 Sempre istruttivo il bel saggio di Marino Raicich, L’officina del manuale, in Di grammatica in retorica. Lingua, scuola, editoria nella Terza Italia, Roma, Archivio Guido Izzi, 1996, pp. 243-277. 2 Carlo Dionisotti, Appunti su Giuseppe Taverna (1978), in Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, pp. 143-164. «La vecchia generazione, dell’amico [Giovanni] Forlini e mia, non ha mai cessato di apprendere dal manuale della letteratura italiana del D’Ancona e del Bacci, manuale sempre valido e utile anche per la sua obbedienza all’ordine cronologico» (ivi, p. 160).


xii

camilla. tragedia

Con percorsi e destini privati differenti, geografici e accademici, i due amici coautori, che operano in continenti diversi, sono affratellati, di là dalla distanza spaziale, da una bibliografia ormai pluridecennale: Pietro Aretino, L’Orazia, edizione critica a cura di Michael Lettieri, con un Saggio sulla storia della critica e una nota bibliografica di Rocco Mario Morano, Rovito (Cosenza), Marra Editore, 1991; A Critical Edition of Giovanni Kreglianovich’s tragedy «Orazio» (1797), edited, with Commentary and Introduction by Michael Lettieri and Rocco Mario Morano, Prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti, Lewiston-Queenston-Lampeter, The Edwin Mellen Press, 2003; Antonio Liruti, Camilla, edizione critica, introduzione e commento a cura di Michael Lettieri e Rocco Mario Morano, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2008; Antonio Liruti, Sonetti sopra le tragedie di Vittorio Alfieri, edizione critica, saggio introduttivo, testi con apparati e note di commento a cura di Michael Lettieri e Rocco Mario Morano, prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, 2014. Come si vede, le rispettive attribuzioni risultano dapprima registrate già nel frontespizio, poi le mani si sono via via fuse e intrecciate, sì da lasciare irrisolta la questione di distinguere le parti. Ne emerge uno spirito di reciproca solidarietà capace di rendere meno individualistiche le nostre ricerche, che sono di norma itinerari privati, sfide con noi stessi, scalate in solitaria. Non solo meno individualistiche, ma anche affrancate dai vincoli della servitù accademica3. 3 Infatti, anche nelle ricerche collettive e tra colleghi senza scadenze concorsuali, si tende di solito a distinguere con esattezza le parti di ciascun collaboratore. Indicativo invece, al riguardo, quanto si legge nella Premessa, in A Critical Edition of Giovanni Kreglianovich’s tragedy «Orazio» (1797), cit., p. x: «Il presente volume costituisce la riprova delle nuove possibilità di collaborazione e di ricerca offerte dai moderni mezzi di comunicazione a studiosi che, pur vivendo e operando in continenti diversi, condividono appieno l’amore disinteressato per lo studio e la scelta degli strumenti di indagine critica. | Il costante scambio di idee e valutazioni, durante le varie fasi dell’elaborazione, ha riguardato non soltanto l’impianto generale del libro, ma anche la stesura materiale del capitolo introduttivo, i criteri di edizione e di commento del testo [...] | Il che spiega come – pur nella necessaria ripartizione iniziale dei ruoli (con l’assunzione, da parte di Michael Lettieri, del compito di curare l’aspetto filologico-storico e, da parte di Rocco Mario Morano,


premessa

xiii

Un altro aspetto, congiunto al sentimento del tempo, risalta dalle sopra citate voci bibliografiche. Intendo l’intervallo cronologico tra l’una e l’altra, che non è mai inferiore ai cinque anni. Il che significa che l’unione delle forze dei due coautori non ha per scopo la rapidità dell’esecuzione. Non conta fare presto o fare in fretta. Per loro il tempo trascorso in biblioteca è bene investito. Viene in mente una massima aurea di pertinenza del filologo, la frase di Nietzsche che si legge nella Prefazione (1886) alla seconda edizione di Aurora (1881, 18872): Filologia [...] è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento [...]; essa insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini, lasciando porte aperte4.

Tale elogio della lentezza è benvenuto, specie oggi, con i tempi che corrono (e che se per un momento rallentano, pare ci si debba tutti augurare che riprendano prima possibile a correre forsennati... ) e con le mode stagionali che ci frastornano. Come è benvenuto il silenzio in mezzo al chiasso, in mezzo al rumore che stordisce. Chi conosce, anche in superficie, le edizioni curate da Lettieri e Morano sa che in esse lo scrupolo filologico si sposa con l’erudizione (un altro nobile patrimonio non dico in estinzione ma in sensibile declino), da intendersi, nel caso che qui importa, non come bagaglio o cumulo di nozioni, bensì come consapevolezza di trattare la materia dal punto di vista storico, critico e letterario) – la responsabilità finale della realizzazione complessiva del piano di lavoro vada attribuita in toto ad entrambi i curatori, animati dal deliberato proposito di superare così la classica distinzione dei compiti, indicata di solito in apertura di volume per vanità personale abbinata ad una ‘ragionieristica’ buona dose di tornaconto ‘accademico’». Anche nella presente edizione (a p. x) si fa di nuovo cenno alla preliminare «ripartizione» tra versante filologico (Lettieri) e versante letterario (Morano), ma la distinzione esatta non è precisata e la responsabilità resta comune. 4 Friedrich Wilhelm Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, nota introduttiva di Giorgio Colli, versione di Ferruccio Masini, Milano, Adelphi, 1978, pp. 8-9.


xiv

camilla. tragedia

del necessario intreccio e interscambio di competenze diverse, tra geografia e storia, filologia e critica, lingua e letteratura, politica e società civile. Quando non sia fine a se stessa, l’erudizione spalanca le porte verso territori sconosciuti. La collaborativa passione della ricerca (disancorata da scadenze accademiche), la lentezza filologica, la pazienza dell’erudizione mirano a incrementare il catalogo dei nostri annali letterari, con testi e autori finora o ignorati o dimenticati o malnoti. Così è avvenuto con l’edizione dell’Orazio del dalmata Giovanni Kreglianovich (Zara, 1777-Venezia, 1838), con l’edizione della Camilla del friulano Antonio Liruti (Udine, 1773-ivi, 1812), con l’edizione della corona di diciannove Sonetti dello stesso Liruti, ognuno dedicato a una tragedia alfieriana. Lo scavo nel regno sommerso della nostra letteratura, nella parte nascosta dell’iceberg, è sempre avventura avvincente. Le terre emerse alla luce del sole, ovvero le opere note o celebri, sono una parte minima a confronto dello sterminato mondo di autori e testi rimasti o precipitati nel buio5. D’accordo, che non tutto merita di essere riportato in superficie e perciò la dimenticanza si conferma buona medicina. Ma non sempre questo è vero, perché spesso la cieca fortuna è stata maldestra e allora diventa auspicabile e giusto restituire identità (un volto, una voce, un carattere) a nomi rimasti inerti su vecchi documenti, diventa azione meritoria riportare in vita fantasmi sottratti al regno delle ombre. Conosciamo poco la nostra letteratura. Le energie più effervescenti s’impiegano nella coltivazione del ristretto quanto raffinato giardino dei classici e si lasciano incolti prati sterminati, abitati da fantasmi6. 5 È «la grande biblioteca dell’Oblio», che Kreglianovich riconosce di avere contribuito a incrementare, scrivendo al Foscolo (da Zara, il 7 settembre 1810, in A Critical Edition of Giovanni Kreglianovich’s tragedy «Orazio» (1797), cit., pp. xxxi-xxxii). 6 Maria Corti, Metodi e fantasmi, in Metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 1969, 19772, p. 8: «Si dà così vita alla stranezza per cui spesso (esistono benefiche eccezioni) ci si occupa solo di ciò che è già noto e la letteratura italiana resta abitata, anche, da fantasmi. Urge in ogni senso aiutarli a ritrovare corpo e voce». Uno dei saggi raccolti nel volume s’intitola, com’è noto, Per un fantasma di meno (pp. 325-367, sul poeta quattrocentesco Filenio Gallo). La rinnovata edizione, incrementata di otto contributi, Nuovi metodi e fantasmi, esce, sempre presso Feltrinelli, nel 2001.


premessa

xv

Più in particolare, gli autori e i testi richiamati in luce da Lettieri e Morano s’iscrivono nell’orizzonte del genere tragico e contribuiscono a chiarirne il significato e il valore nel tormentato periodo che corre tra la Rivoluzione di Francia, la campagna d’Italia nel triennio giacobino con la delusione di Campoformio e l’alba del nuovo secolo. Siamo nel gorgo d’un rivolgimento che incrina le istituzioni civili e letterarie. E le «scosse» di queste «sommosse» (come dice Giusti) sono considerate dalla prospettiva veneta, tra entroterra friulano e Dalmazia, ovvero dalla terra più martoriata e più sensibile come nevralgico angolo d’osservazione (che è lo stesso del quinquennio, tra il 1793 e il 1797, dell’esordio veneziano di Foscolo: il Tieste e l’Orazio vanno in scena nel capoluogo lagunare nello stesso 1797). Ma le ricerche di Lettieri e Morano acquistano organicità anche perché convergono su un unico e determinante tema di fondo, muovendo dalla cinquecentesca Orazia di Pietro Aretino, vale a dire convergono sul drammatico urto tra privatività degli affetti e amore di patria, sull’antico conflitto tra moti del cuore e sentimenti civili, tra passione e fede politica. Un tema, di tradizione classica, capace di accendere gli animi nell’Italia sull’orlo del disinganno per il crollo delle speranze giacobine, e si tratta della stessa Italia subito pronta a irrigidirsi nella tutela di antichi privilegi. Ecco che la materia liviana (funzionale alla fondazione del mito di Roma) dello scontro tra Orazi e Curiazi si offre nelle tragedie di Kreglianovich e di Liruti al prisma multiplo delle variazioni che s’innestano, dopo la prova di Aretino, nel solco del modello secentesco dell’Horace di Corneille (addotto, nella traduzione settecentesca dell’abate Placido Bordoni, con i relativi passi di Livio e Dionigi d’Alicarnasso, nelle Fonti dirette riportate nell’Appendice di A Critical Edition of Giovanni Kreglianovich’s tragedy «Orazio»). Occorre dire che, nel quadro ricostruito con documentatissima acribia da Lettieri e Morano, le questioni di genere letterario, le discussioni teoriche, le vertenze di storia della critica acquistano la solidità e lo spessore di vicende umane che si richiamano a persone concrete, alla loro irripetibile esperienza vissuta. Perché questa «nuova» Camilla che si affianca alla precedente Camilla del 2008 come edizione «integrativa» e «complementare» (pp. lix-lx)? La ragione è presto detta: il manoscritto del testo, di-


xvi

camilla. tragedia

chiarato «introvabile» nel 2008 (p. cix), è stato invece trovato, nel «Fondo Liruti» presso l’Archivio di Stato di Udine, da Fabiana di Brazzà che ne ha per l’appunto dato notizia nel medesimo 2008. Il manoscritto autografo (servito per la prima stampa a Venezia del 1799, sulla quale a sua volta si basa la seconda e definitiva stampa londinese del 1801) non modifica l’ultimo assetto dell’opera, ma mette a disposizione preziosi materiali integrativi per ricomporre in apparato il dinamico processo costitutivo del testo. La perlustrazione del Fondo udinese ha consentito ulteriori e cospicui incrementi informativi, specie epistolari, di carattere documentario e interpretativo, sulla princeps veneziana, sulla riproposta londinese, sulle relazioni personali dell’autore, sulla fortuna della tragedia. Di qui la scelta dei curatori di abbinare alla Camilla del 2008 questa «nuova» Camilla, arricchita di notevoli acquisizioni (le due edizioni, si legge a p. lx, «vanno considerate complementari tra loro e pertanto, come tali, indivisibili»). La circostanza conferma, se ce ne fosse bisogno e come bene sanno i frequentatori degli archivi, che la ricerca non ha mai termine. A Lettieri e Morano va non solo il merito di avere restituito identità all’incognito Antonio Liruti da Udine, grazie a loro salito nella parte emersa dell’iceberg, ma anche di avere accordato alla sua Camilla tanta particolare attenzione. Antonio Liruti, come in precedenza Giovanni Kreglianovich. Due fantasmi di meno. Ogni sottrazione alla «grande biblioteca dell’Oblio» è una guerra vinta contro il tempo, un acquisto di civiltà. Firenze, gennaio 2021 Gino Tellini


camilla tragedia

di antonio liruti da udine1

1 Ms. (c. 1r): La | Camilla. | Tragedia Stampata | nel 1800. | Di AL. [Manca l’elenco dei «Personaggi» o «Interlocutori»]. Ms. (c. 1v): bianca; 1799: CAMILLA | TRAGEDIA. | INEDITA | DI A.L.U. | IN VENEZIA | MDCCXCIX. | CON PRIVILEGIO. Segue una pagina con l’elenco dei « PERSONAGGI. | […]» e sotto con l’indicazione: « La scena è in Roma.»; 1801: CAMILLA | TRAGEDIA | DI | ANTONIO LIRUTI | DA UDINE. | LONDRA, | Presso L. DA PONTE, No 5, Pall Mall, e A. DULAU | e CO. Soho Square. | M DCCC I. Nelle pagine seguenti si leggono rispettivamente i testi della dedica («ALLO | EGREGIO | TOMMASO GRAHAM | […]») e dell’«AVVERTIMENTO.» | […] e l’elenco degli «INTERLOCUTORI. | […]» con, sotto, l’indicazione del luogo della scena («La scena è in Roma.»). Per i testi della dedica e dell’«Avvertimento» e per l’elenco degli «Interlocutori» della edizione a stampa londinese del 1801, rinviamo il lettore al volume da noi curato: Antonio Liruti da Udine, Camilla, tragedia, edizione critica, cit., pp. 3-7.



atto primo Atrio a maestoso colonnato nella reggia di Tullo, per cui si travede il Campidoglio2.

2 Ms. (c. 2r): La scena presenterà un atrio e maestoso coloñato, tra cui si travede il Campidoglio; 1799: Atrio maestoso colonnato nella reggia di Tullo, per cui si travede il campidoglio; 1801: Atrio a maestoso colonnato nella reggia di Tullo, per cui si travede il campidoglio. In quella sorta di zibaldone manoscritto (su cui cfr. Antonio Liruti da Udine, Sonetti sopra le tragedie di Vittorio Alfieri, edizione critica, cit., p. CCLXI) dal titolo Repertorio di cose varie ed indigeste, non che tronche, e sconnesse, per solo uso di me, siglato, a fianco «AL.», recante, sotto, la dicitura «L’Anno 1799.», conservato nell’Archivio di Stato di Udine («Fondo Liruti», busta 62, c. 94r), il Liruti annota: «Voltaire in una Prefazione alla Semiramide, se non erro, stabilisce, che un Teatro perfetto deve esse‹re› di una majestosa ampiezza, che deve mostrare l’ingresso d’un Tempio, l’atrio di un Palagio, una parte di Piazza pubblica e lo vorrebbe costituito in guisa che si trovassero sulla Scena i Personaggi, quand’uopo il richiegga fra’ di Loro non visti, a portata d’essere in prospetto de’ Spettatori». Il Liruti, nella succitata annotazione, riporta a memoria con una certa fedeltà, come è possibile accertare mediante una verifica testuale, una parte significativa del seguente brano tratto dalla voltairiana Dissertation sur la tragédie ancienne et moderne che precede la tragedia Sémiramis e che apparirà, insieme con il testo drammaturgico, nel 1771 (per i tipi di Allegrini, Pisoni e Comp., Firenze e in successive edizioni anche nell’Ottocento presso vari editori), nella traduzione italiana effettuata dal Cesarotti: «[…] Un théâtre construit selon les règles doit être trèsvaste; il doit représenter une partie d’une place publique, le péristyle d’un palais, l’entrée d’un temple. Il doit être fait de sorte qu’un personnage, vu par les spectateurs, puisse ne l’être point par les autres personnages, selon le besoin. Il doit en imposer aux jeux, qu’il faut toujours séduire les premiers. Il doit être susceptible de la pompe la plus majestueuse. Tous les spectateurs doivent voir et entendre également, en quelque endroit qu’ils soient placés. Comment cela peut-il s’exécuter sur une scène étroite, au milieu d’une foule de jeunes gens qui laissent à peine dix pieds de place aux acteurs?[…]» («[…] Un teatro costruito secondo le regole, deve esser vastissimo; deve rappresentare una parte d’una piazza pubblica, l’atrio d’un palagio, l’ingresso d’un tempio. Deve esser fatto in modo, che un personaggio veduto dagli spettatori possa all’uopo non esserlo dagli altri attori, deve imporre agli occhi, che vuolsi perpetuamente sedurre i primi: deve esser suscettibile della pompa la più maestosa. Tutti gli spettatori debbono vedere e sentire ugualmente in qualunque luogo si trovino. Come mai si potrà eseguir tutto questo sopra una sce-


4

camilla. tragedia

Scena prima Tullo, Orazio, Publio, Soldati 3 na angusta, in mezzo ad una folla di gioventù, che lascia appena dieci piedi di spazio libero per gli attori? […]») (il brano in lingua francese è tratto da: Voltaire, Disgr sertation sur la tragédie ancienne et moderne, À S. ÉM. M le Cardinal Quirini, Noble Vénitien, Évêque de Brescia, Bibliothécaire du Vatican, in Sémiramis, Tragédie en cinq Actes, représentée, pour la première fois, le 29 août 1748, in Oeuvres Complètes de Voltaire, nouvelle édition avec Notices, Préfaces, Variantes, Table analytique, les Notes de tous les Commentateurs et des Notes Nouvelles, conforme pour le texte à l’édition de Beuchot, enrichie des découvertes les plus récentes, et mise au courant des travaux qui ont paru jusqu’à ce jour, précédée de la Vie de Voltaire par Condorcet et d’autres études biographiques, ornée d’un portrait en pied d’après la statue du foyer de la Comédie-Française, Théâtre, Tome Troisième. Paris, Garnier Frères, Libraires-Éditeurs, 6, rue des Saints-Pères, 6, 1877, pp. 487-505 [Seconde Partie: De la tragédie française comparée à la tragédie grecque, ivi, pp. 493501: 500]; il brano corrispondente tradotto dal Cesarotti in lingua italiana è tratto da: Dissertazione dell’Autore sopra la tragedia antica e moderna. A Sua Emin. Il Sig. Card. Querini, Patrizio Veneto, Vescovo di Brescia, e Bibliotecario del Vaticano, in Semiramide, Tragedia di Voltaire, Traduzione dell’Abate Melchior Cesarotti, Venezia MDCCXCVI, Dalla Tipografia Pepoliana presso Antonio Curti q. Giacomo, pp. III-XLVII [Parte II: Della Tragedia francese paragonata alla Tragedia greca, ivi, pp. XVII-XXXVI: XXXIV-XXXV]) 3 Ms.: Sotto l’indicazione «Scena I.ª» posta a sinistra del foglio (a differenza di «Atto I.°» che si legge in alto al centro) sono segnalati i nomi dei personaggi nell’ordine seguente: «Tullo, Pubblio, Orazio, Soldati». Le edizioni del 1799 e 1801 elencano i nomi in ordine di apparizione in scena nel modo seguente: 1799: tullo, orazio, pubblio, soldati.; 1801: tullo, orazio, p ubblio, soldati . Nel Ms. i nomi dei personaggi, delimitati da una linea sottostante di demarcazione e da uno spazio, sono seguiti sotto, a sinistra, da «Tul.» (che indica il parlante) affiancato dal primo di cinque versi canc.; nell’interlinea tra il primo e il secondo figura un altro verso canc.; affiancato al secondo figura ancora un verso canc.; anche al terzo è affiancato un verso canc. Procedendo con ordine, indicheremo qui di seguito le decifrazioni effettuate con le relative corr.: «Alme degne di Roma! Orazio, Pubblio,» (sotto «Orazio, Pubblio,» figurano due parole canc., delle quali soltanto la seconda è decifrabile: «sangue»); il secondo verso è decifrabile così: «Degli Orazj. Ch’ambi io vi abbracci; o tù»; affiancato al secondo verso è il seguente: «Figlio felice Tù di tanto Padre»; nell’interlinea tra il primo e il secondo verso (ma, per essere precisi, scritto a destra del foglio, sopra: «Figlio felice Tù di tanto Padre») figurano delle parole canc. delle quali si riescono a decifrare le seguenti: «adesso quì ben puoi»; e leggermente più sotto e ancor più a destra: «ah qual tutte tue […]» (dove, sopra, tra «tutte» e «tue», si distingue, sempre canc., «avendo»); il terzo verso è decifrabile così: «Che Tù di tal Padre, a lui di tanto Figlio.»; a fianco si decifra ancora il seguente verso: «Tù di tal Figlio ben puoi gire altero»; il quarto verso è decifrabile nel modo seguente: «Adesso quì ben puoi tù di tal Figlio»; il quinto verso è decifrabile così: «Campo di gloria ha viva la missione» («missione» figura a fianco


atto i, scena i

tullo4

Alme degne di Roma, Orazio, Publio5, Ch’ambo io v’abbracci! Oh, come ben risponde All’alto esemplo tuo, padre felice6, Di tal figlio il valor! Dell’armi nostre7 Mosse a fiaccar l’albano ardire, il credi8, Parte miglior fu Orazio: ei sempre al fianco9 Nel marzïal bollor veniami, e io vidi10 Quanto gli debba la sua patria e quanto11 Possa da lui sperar12.

5

5

sost., a quanto sembra, da «vittoria»). Nel Ms., agli ultimi due dei cinque versi canc., figura affiancato, nel margine destro del foglio, il testo della didascalia riprodotto qui nella nota 2. Il suddetto testo è delimitato sotto da una linea di demarcazione e da uno spazio che lo distingue dal verso iniziale non canc. della tragedia. 4 Il nome del parlante, a fianco al verso iniziale non canc. della tragedia, viene indicato per intero così nel Ms.: Tullio. [e non Tullo, come si legge nell’elenco dei personaggi posto a sinistra del foglio sotto l’indicazione «Scena I.ª»]; nella edizione del 1799, sempre a fianco al primo verso della battuta: tul.; e nella edizione del 1801 in alto, al centro e prima dell’inizio della battuta: tullo. 5 Ms.: Alme degne di Roma; Orazio Pubblio / […]; 1799: Alme degne di Roma, Orazio, Pubblio / […]; 1801: Alme degne di Roma, Orazio, Pubblio, / […]. 6 Ms.: All’alto esemplo tuo, Padre felice / […]; 1799: All’alto esemplo tuo, padre felice / […]; 1801: All’alto esemplo tuo, padre felice, / […]. 7 Ms.: Di Tal Figlio il valor; dell’armi nostre / […]. Dopo «valor» seguito dal punto e virgola si nota una patola canc. che sembra di poter decifrare così: «credi»; 1799: Di tal figlio il valor: dell’armi nostre / […]; 1801: Di tal figlio il valor! Dell’armi nostre / […]. 8 Ms..: Mosse a fiaccar l’Albano ardire, il credi, / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Mosse a fiaccar l’albano ardire, il credi, / […]. 9 Ms.: Primier sostegno è Orazio: ei sempre al fianco / […]. «Primier» sost., in alto, le parole «Esso è il miglior» canc. prima di «sostegno» seguito dalla virgola non eliminata per distrazione dopo le modifiche apportate rispetto alla formulazione originaria del verso. Tra «sostegno» ed «ei» è stato aggiunto, in alto, «è Orazio:»; 1799: Parte egli, fu Orazio, ei sempre al fianco / […]; 1801: Parte miglior fu Orazio: ei sempre al fianco / […]. 10 Ms.: Nel marzïal bollor veniami, e io vidi / […]. Prima di «Nel» si notano due canc. delle quali si riesce a decifrare soltanto la prima all’inizio del verso («Nel»); 1799: nel marzïal bollor veniami, e io vidi / […]; 1801: Nel marzïal bollor veníami, e io vidi / […]. 11 Ms.: Quanto gli debba la sua Patria e quanto / […]; 1799: Quanto gli debba la sua patria e quanto / […]; 1801: Quanto gli debba la sua patria, e quanto / […]. 12 Ms.: Possa da lui sperar / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Possa da lui sperar. / […].


6

camilla. tragedia

orazio

Mio re, tu innalzi13, Benigno troppo, l’opre mie che solo14 Dell’imitarti fur ben tenue frutto15. Ne’ suoi guerrier valore infonde duce16 Che prode sia: di Romolo tu degno17 Successor là nel campo m’additavi18 L’eccelse vie di gloria, e in me più ardente19 Rendevi la natia sete d’onore;20 Mio re, t’accerta; l’impaziente brama21 D’oprar questo mio braccio in tuo servigio, Ch’altro non è che il ben di Roma, omai Posa non mi concede, e i lunghi giorni

10

15

20

13 Ms.: Mio Rè, tù innalzi / […]. Dopo «Rè» seguito dalla virgola, originariamente l’Autore ha scritto: «tù innalzi tuoi detti»; successivamente ha deciso di canc. queste parole sostituendole sopra con «tù innalzi»; 1799: Mio re, tu innalzi / […]; 1801: Mio re, tu innalzi, / […]. 14 Ms.: Benigno troppo, l’opre mie, che scarso / […]. Dopo «[…] troppo, […]», allineate, si leggono le seguenti parole: «io veggio veggio che son rivolti» canc. e sost. sopra dalle seguenti anch’esse canc.: «tù di nobil sprone»; 1799: Benigno troppo l’opre mie, che scarso / […]; 1801: Benigno troppo, l’opre mie che solo / […]. 15 Ms.: Frutto soltanto fur dell’imitarti. / […]. Prima di «Frutto» figurano delle parole canc. e non decifrabili; dopo «Frutto» figura canc.: «sono», sost. sopra da «soltanto fur»; 1799: Frutto soltanto fur dell’imitarti. / […]; 1801: Dell’imitarti fur ben tenue frutto. / […]. 16 Ms.: Ne’ suoi guerrier valor infonde Duce / […]; 1799: Ne’ suoi guerrier valor infonde duce / […]; 1801: Ne’ suoi guerrier valore infonde duce / […]. 17 Ms.: Che prode sia, di Romolo tù altero / […]; 1799: Che prode sia; di Romolo tu degno / […]; 1801: Che prode sia: di Romolo tu degno / […]. 18 Ms.: Successor, là nel campo m’additavi / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Successor là nel campo m’additavi / […]. 19 Ms.: Ben tù le vie di gloria, e in me più ardente / […]. Allineato a destra e distanziato si legge il numero «15.» corrispondente al calcolo dei versi che a partire da qui l’Autore ha effettuato e registrato con una certa sistematicità alla fine di ciascun foglio, ma, tranne rari casi intermedi riscontrabili soprattutto nelle prime carte e tre casi riferibili rispettivamente alla fine degli Atti I (c. 8r), IV (c. 24v), V (c. 29r), non in ordine complessivamente progressivo; 1799: Ben tu le vie di gloria, e in me più ardente / […]; 1801: L’eccelse vie di gloria, e in me più ardente / […]. 20 Ms.: Rendevi la natia sete d’onore; / […]; 1799: Rendevi la natia sete d’onore / […]; 1801: Rendevi la natía sete d’onore. / […]. 21 Ms.: Credi mio Rè, l’impaziente brama / […]; 1799: Mio re t’accerta, l’impaziente brama / […]; 1801: Mio re, t’accerta; l’impaziente brama / […].


atto i, scena i

Numerar fammi, in cui fra un ozio ingrato22 Questo mio brando irrugginisce: scarsa23 Messe finor là nei campi nemici24 Ei coglieva, e se ancor nel temerario25 Pensiero Alba persiste...26 tullo

7

25

Alba pentita27 Chiamerassi, e nostre armi accorta infine28 Di sua follia la renderan: la tregua29 Che già imponemmo al battagliar, quest’oggi30

22 Ms.: Numerar fammi in cui frà un ozio ingrato / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Numerar fammi, in cui fra un ozio ingrato / […]. 23 Ms.: Questo mio brando irruginisce; scarsa / […]; «[…]; scarsa / […]» sost., in alto, quel che sembra di poter decifrare come «poco», canc.; 1799: Questo mio brando irruginisce, scarsa / […]; 1801: Questo mio brando irrugginisce: scarsa / […]. 24 Ms.: Messe finor là nei campi nemici / […]. Prima di «Messe» si notano due canc., delle quali sembra di poter decifrare la seconda: «poco»; dopo di «Messe» figura canc. «ai»; tra «finor» (scritto «finora» prima di canc. la «a» finale) e «nei» figura «là» aggiun. in alto; 1799: Messe finor sai nei campi nemici / […]; quel «sai» è da considerarsi un errore di stampa avallato dal correttore «venale» delle bozze della edizione veneziana a seguito di un fraintendimento avvenuto nell’effettuare il riscontro sulla copia manoscritta di cui disponeva, inviata a suo tempo dall’Autore al Rubbi; 1801: Messe finor là nei campi nemici / […]. 25 Ms.: Ei coglieva, e se ancor nel temerario / […]. Allineato a destra e distanziato si legge il numero «24.». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 il verso si legge in forma invariata. 26 Ms.: Pensiero Alba persiste.... / […]. Un po’ più sotto, spostato sulla destra del foglio, si legge «Tullo.» che anticipa il nome del personaggio cui sarà attribuita la successiva battuta nella c. seguente del Ms. (2v) nella quale continua il testo della tragedia. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 l’emistichio del verso 25 si legge in forma invariata, tranne per i puntini sospensivi (che sono in tutto quattro nel Ms. e tre nelle edizioni a stampa). 27 Ms. (c. 2v): Alba pentita / […]. Allineato a sinistra e distanziato dall’emistichio si legge il nome del personaggio («Tullo.»), anticipato alla fine della c. precedente per indicare la continuazione del testo. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 l’emistichio si legge in forma invariata. 28 Ms.: Chiamerassi, e nostr’armi accorta infine / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Chiamerassi, e nostre armi accorta infine / […]. 29 Ms.: Di sua follia la renderan; la tregua / […]; 1799: Di sua follia, la renderan, la tregua / […]; 1801: Di sua follía la renderan: la tregua / […]. 30 Ms.: Che già imponemmo al guerreggiar quest’oggi / […]; 1799: Che già imponemmo al battagliar quest’oggi / […]; 1801: Che già imponemmo al battagliar, quest’oggi / […].


8

camilla. tragedia

Sta per compirsi; a nuove offese presta31 So che l’audace si dichiara; noi32 Non sappiamo temer che per prestarci Vigili alla difesa, e l’apparato33 Di nostre forze ben è tal che basti A persuader che a Roma sol s’aspetta Il dominar; e pur Alba superba34 Per l’origin comune, dell’impero35 Osa a noi contrastar la gloria prima36.

30

35

31 Ms.: Stà per compirsi, a nuove offese presta / […]. Inizialmente «[…] compirsi, […]» era stato scritto «[…] compiersi, […]»: successivamente è stata canc. la «e»; 1799: Sta per compirsi, a nuove offese presta / […]; 1801: Sta per compirsi: a nuove offese presta / […]. 32 Ms.: Sò che l’audace si dichiara, noi / […]; 1799: So che l’audace si dichiara, noi / […]; 1801: So che l’audace si dichiara: noi / […]. 33 Ms.: Vigili alla diffesa, e l’apparato / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Vigili alla difesa, e l’apparato / […]. 34 Ms.: Il dominar..... ma a Tè Pubblio, cui il tempo / […]. Sui puntini sospensivi è stato apposto il rinvio: «*(a)»; «Pubblio» figura ins. in un secondo tempo, e in alto, dopo «Tè»; dopo «cui», sempre nella c. 2v, si legge «gl’anni» canc. e sost., a fianco, da «il tempo». Va notato che nella c. 3r si trovano i versi aggiunti e preannunciati dal rinvio «*(a)» apposto, nella c. 2v, sui puntini sospensivi seguenti a «Il dominar». Detti versi corrispondono a quelli compresi tra «Il dominar..... / E pur Alba superba / […]» e «A provocar... ma a Te Pubblio cui il tempo / […]». Va notato altresì che in apertura della c. 3r – immediatamente precendente a quelli aggiunti – figura ripreso, senza alcuna modifica, il verso «A persuader che a Roma sol s’aspetta / […]», registrato già nella c. 2v. Cfr. più oltre anche la nota 48. Per intanto, riportiamo qui di seguito la stesura definitiva del verso a partire dal testo autografo: Ms.: Il dominar..... / E pur Alba superba / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Il dominar; e pur Alba superba / […]. 35 Ms.: Per l’origin comune dell’impero / […]; «sommo», che precede «impero», è stato canc. correggendo «del» con «dell’», ovvero aggiungendo a «del», che precedeva «sommo», una «l» seguita dall’apostrofo e a «comun», inizialmente scritto nella forma troncata, la «e» finale («comune»). Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Per l’origin comune, dell’impero / […]. 36 Ms.: Inizialmente l’Autore ha scritto: «A noi la gloria contrastare ardisce. / […]»; poi, lasciando la «A» maiuscola per distrazione dopo averla fatta precedere da «Osa», ha aggiun. «contrastar» in alto, tra «noi» e «la», e «prima» sull’originario «contrastare» non canc. e seguito alla fine da «ardisce», canc. con un tratto di penna orizzontale, ma agevolmente leggibile; apportando tali modifiche, perviene a quella che, nelle edizioni a stampa del 1799 e del 1801, diventerà la formulazione definitiva del verso, ovvero: Osa a noi contrastar la gloria prima. / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Osa a noi contrastar la gloria prima. […].


atto i, scena i

Stolta, e non sa che se Lavinio antico37 Principio dava alla romana gente38, Ad essa e non a lei promessa eterna Diero i Numi immutabili di farla39 Primeggiar sulla terra. Ripugnanti40 Erano a ciò ben sempre le inquïete41 Limitrofe nazion, ché invidia troppo42 Rode i mortali cor; ma spesso vide43 Il Veiento, il Sabin, l’Etrusco, il Volsco44,

9

40

45

37 Ms.: Stolta e non sà che se Lavinio antico / […]; 1799: Stolta, e non sai che se Lavinio antico / […]; «[…], e non sai […]» invece di «[…], e non sa […]» è da considerarsi un errore di stampa sfuggito al correttore «venale» delle bozze anche a seguito di un probabile e banale fraintendimento persino logico avvenuto nell’effettuare il riscontro sulla copia manoscritta di cui disponeva; 1801: Stolta, e non sa che se Lavinio antico / […]. 38 Ms.: Principio dava alla romana gente / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Principio dava alla romana gente, / […]. 39 Ms.: Diero i Numi immutabili di farla / […]. «Diero» sost. una parola canc. e indecifrabile; dopo «immutabili» c’è una canc. (sembra «che»); 1799: Diero i Numi immutabili di farla / […]; 1801: Diero i numi immutabili di farla / […]. 40 Ms.: Grandeggiar sulla Terra: ripugnanti / […]. «Grandeggiar» è frutto di un aggiustamento effettuato sulle lettere dell’infinito di un altro verbo scritto in precedenza: «Primeggiar», ripristinato nelle due edizioni a stampa; 1799: Primeggiar sulla terra: ripugnanti / […]; 1801: Primeggiar sulla terra. Ripugnanti / […]. 41 Ms.: Erano a ciò ben sempre le ïnquiete / […]. Il segno ortografico della dieresi, come si può notare, per un mero errore di distrazione è stato collocato dall’Autore sulla «i» iniziale di «inquiete». Nelle edizioni del 1799 e del 1801, essendo stato eliminato il refuso, si legge: Erano a ciò ben sempre le inquïete / […]. 42 Ms.: Limitrofe Nazion che invidia troppo / […]. «Nazion» deriva dal precedente «Nazioni» cui è stato canc. la «i» finale; dopo «invidia» si legge «rode» canc. e seguito da «troppo / […]»; 1799: Limitrofe nazion, che invidia rode / […]; 1801: Limitrofe nazion, chè invidia troppo / […]. 43 Ms.: Rode i mortali cor; ma spesso vide / […]. In un primo tempo il verso era stato formulato così: Troppo il cor de’ mortai, ma spesso vide / […] («mortai» risultava ricavato dalla corr. di «mortali» effettuata cancellando la «l» e adattandovi la «i» finale; poi l’Autore ha canc. «Troppo il» facendolo precedere da «Rode» e scrivendo «mortali» sopra, ovvero tra «Troppo» e «il» e ha cancellato infine «de’ mortali» trasformato a sua volta in precedenza, come abbiamo precisato, in «mortai»); 1799: Troppo il cor de’ mortai, ma spesso vide / […]; 1801: Rode i mortali cor; ma spesso vide / […]. 44 Ms.: Il Vejento, il Sabin, l’Etrusco, il Vosco / […]. La forma «Vosco», dovuta ad un errore commesso currenti calamo dall’Autore, figura corretta in «Vol-


10

camilla. tragedia

Che il combatter con Roma e l’ingrandirla Non è diverso; ugual prova l’Albano45 Da noi cerca, e l’avrà, poiché rïalza46 Lo stendardo di guerra e l’ire aguzza47. Ma a te, buon Publio, cui l’età canuta48,

50

sco» nelle due edizioni a stampa; 1799: Il Veiento, il Sabin, l’Etrusco, il Volsco / […]; 1801: Il Veiento, il Sabin, l’Etrusco, il Volsco, / […]. 45 Ms.: Non è diverso; ugual prova l’albano / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Non è diverso; ugual prova l’Albano / […]. 46 Ms.: Da noi cerca ed avralla; ardita a segno / […] (prima di «avralla» figura canc. «d’»; «ardita a segno» sost. le seguenti parole canc.: «audace tanto»); 1799: Da noi cerca, ed avralla, ardita a segno / […]; 1801: Da noi cerca, e l’avrà, poichè rïalza / […]. 47 Ms.: Che in aspra guisa insultator, ci venne / […]. Questo verso, scritto a destra del foglio, è il risultato di vari tentativi effettuati prima a fianco, dove figurano canc. la seguenti parole: «Che provocarci in aspra guisa» e sopra di esse, tra «provocarci» e «in», si legge «oltre l’usato», non canc.; dopo le parole canc., l’Autore ha ripreso a formulare il verso scrivendo: «Che oltre l’usato», prima di decidersi a canc. «oltre l’usato», lasciando il «Che» iniziale seguito dal testo definitivo attribuito al verso, ovvero: «Che in aspra guisa insultator, ci venne»; 1799: Che in aspra guisa insultator ci venne / […]; 1801: Lo stendardo di guerra e l’ire aguzza. / […]. 48 Ms.: A provocar… ma a Te Pubblio cui il tempo / […]. Allineato e un po’ distanziato al verso, sulla destra del foglio, si legge il numero «18.» affiancato da «ecc.» e dal richiamo specifico della lettera «b», posta tra parentesi tonde («(b)»), che rinvia alla continuazione del testo (a partire, stando alla numerazione da noi effettuata nella edizione critica del 2008, dal verso cinquantaduesimo: «Senza scemar la forza il senno accresce / […]» fino al verso settantunesimo: «Quel cui tù pria la tua Figlia donavi / […]) che si trova nel foglio precedente del Ms., ovvero nella c. 2v. E qui, infatti, non a caso, a fianco e a sinistra, prima dell’inizio del citato cinquantaduesimo verso, si nota il medesimo richiamo della lettera «b», posta tra parentesi tonde («(b)»), indicante l’inizio del brano della tragedia compreso tra i versi cinquantaduesimo e settantunesimo. Tornando alla c. 3r del Ms., si nota una linea orizzontale ricavata con un tratto di penna che attraversa l’intero foglio, dividendo la prima parte di esso (che inizia dal verso trentaquattresimo e trentacinquesimo: «A persuader che a Roma sol s’aspetta / Il dominar… / E pur Alba superba / […]» e termina con il cinquantunesimo: «A provocar… ma a Te Pubblio cui il tempo / […]») dalla seconda (che inizia con il verso settantaduesimo: «Oh quante volte in me stupia mirando / […]» e termina con l’emistichio del verso novantesimo: «Oh Giovin generoso»), dal momento che, come abbiamo già avuto modo di precisare, per i versi compresi tra il cinquantaduesimo («Senza scemar la forza il senno accresce / […]») e il settantunesimo («Quel cui tù pria la tua Figlia donavi / […]») occorre tornare indietro di un foglio, trovandosi essi collocati nella c. 2v del Ms.; 1799: A provocar… ma a te Pubblio, cui il tempo / […]; 1801: Ma a te, buon Pubblio, cui l’età canuta, / […].


atto i, scena i

11

Senza scemar le forze, il senno accresce49, Un esperto coraggio or che consiglia?50 publio

Ad affrontar con alma sprezzatrice51 Tutti i nemici della patria. Io sono52 (Né inutil vanto è il mio) che in un col sangue53 Infusi ne’ miei figli i sensi, ond’ora54

55

49 Ms.: Senza scemar la forza il senno accresce / […]; 1799: Senza scemar le forze il senno accresce / […]; 1801: Senza scemar le forze, il senno accresce, / […]. A differenza delle due edizioni a stampa, nel Ms., come si può notare, si legge «la forza» (e non «le forze») quale esito di una corr. effettuata sopra due parole non decifrabili. 50 Ms.: Un esperto coraggio or che consiglia? / […]. Il verso è stato precedentemente formulato così: «Che ti consiglia il tuo coraggio esperto? / […]»; poi è stato interamente canc. e, in alto, su «coraggio esperto» canc., è stato scritto «Un esperto», ovvero l’inizio del verso riformulato e completato con le parole «coraggio or che consiglia?» allineate al verso interamente canc. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 resterà invariata la versione definitiva del Ms.: Un esperto coraggio or che consiglia? / […] 51 Ms.: Ad affrontar con franca alma sicura / […]. Prima l’Autore ha scritto: «A contemplar con fermo occhio sicuro / […]»; non soddisfatto, ha provveduto a canc. la formulazione precedente e a scrivere la versione definitiva; di conseguenza, ha aggiun. una «d» eufonica alla «A» iniziale dopo aver deciso di sostituire «contemplar» con «affrontar» e ha trasformato in «a» la «o» finale di «sicuro» dopo aver deciso di sostituire «occhio» con «alma»; 1799: Ah affrontar con alma sprezzatrice / […]; 1801: Ad affrontar con alma sprezzatrice / […]. 52 Ms.: Tutti i nemici della Patria: io sono / […]. Inizialmente «Io» era scritto con l’iniziale maiuscola, poi è stato mutato in «io»; 1799: Tutti i nemici della patria; io sono, / […]; 1801: Tutti i nemici della patria. Io sono / […]. 53 Ms.: (Nè inutil vanto è il mio) che in un col sangue / […]. A destra, allineato e distanziato, si legge il numero «40», corrispondente al conteggio dei primi trentaquattro versi – a partire da quello iniziale della tragedia riportato nella c. 2r («Alme degne di Roma; Orazio Pubblio / […]») fino a: «A persuader che a Roma sol s’aspetta / […]» (c. 2v) – ai quali sono stati aggiun. i sei versi (cfr. sempre c. 2v) *(a) ma a Tè Pubblio, cui il tempo / immediatamente successivi [da «Il dominar..... […]» a «(Nè inutil vanto è il mio) che in un col sangue / […]»], prescindendo dal fatto che questi ultimi, come del resto risulta da appositi rimandi o segni di rinvio autoriali (su cui cfr. qui le note 34 e 48), fanno parte integrante di versi aggiuntivi collocati nella c. 3r; 1799: (Nè inutil vanto è il mio) chè in un col sangue / […]; 1801: (Nè inutil vanto è il mio) che in un col sangue / […]. 54 Ms.: Infusi ne’ miei Figli i sensi ond’ora / […]. Inizialmente l’Autore ha scritto: «Ne’ miei figli»; poi ha premesso a «Ne’», dimenticandosi di trasformare in lettera minuscola l’iniziale della forma troncata della preposizione articolata, «Infusi»; «miei» figura aggiunto in alto tra «Ne’» e «Figli»; tra «Figli» e «sensi» figura-


12

camilla. tragedia

Appaion, lode ai Dei, veri romani55. Ma sia degli anni effetto che il bollore56 Marzial rattempra, o sia l’esser di padre57, Che di natura i vincoli m’avvezza58 Più a rispettar, dirollo io sì, mal posso59 Tranquillo starmi spettator dell’ire60 Di due popol sì affini, e stretti insieme61 Per sangue ed amistà. tullo

60

65

Roma fu d’Alba62

no canc., l’uno di seguito all’altro, «miei» e «que’»; sopra «que’» figura aggiun. l’articolo determinativo maschile nella forma plurale «i»; tra «sensi» e «ond’ora» si legge «infusi», canc.; 1799: Infusi ne’ miei figli i sensi, ond’ora / […]; 1801: Infúsi ne’ miei figli i sensi, ond’ora / […]. 55 Ms.: Appaion lode ai Dei veri Romani. / […]. «Appaion» è stato aggiun. all’inizio del verso; tra «lode» e «Dei» figurava scritto «agli», poi canc. e sost. sopra con «ai»; 1799: Appaion, lode ai dei veri romani. / […]; 1801: Appaion, lode ai Dei, veri romani. / […]. 56 Ms.: Ma sia degl’anni effetto, che il bollore / […]. Il «Ma» iniziale è scritto su una parola canc. e non ben decifrabile (sembra: «Essa»); 1799: Ma sia dei cuori effetto che il bollore / […]; 1801: Ma sia degli anni effetto che il bollore / […]. 57 Ms.: Marzial rattempra, o sia l’esser di Padre / […]. Inizialmente figura scritto «Marziale»; poi è stata canc. la «e» finale. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Marzial rattempra, o sia l’esser di padre, / […]. 58 Ms.: Che di Natura i vincoli m’avvezza / […]. Inizialmente l’Autore ha scritto: «mi avvezza»; poi ha canc. la «i» di «mi» e aggiunto l’apostrofo scrivendo definitivamente «m’avvezza». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Che di natura i vincoli m’avvezza / […]. 59 Ms.: Più a rispettar dirollo io sì, non posso / […]. «Più» è stato aggiun. in un secondo tempo, come attesta la «A» che precede «rispettar» lasciata con la lettera maiuscola per mera distrazione. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Più a rispettar, dirollo io sì, mal posso / […]. 60 Ms.: Starmi tranquillo spettator dell’ire / […]. «Starmi tranquillo» sost. in alto le seguenti parole canc.: «Essere un freddo». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Tranquillo starmi spettator dell’ire / […]. 61 Ms.: Di due Popol sì affini e assieme stretti / […]. L’Autore, alla fine del verso, in un primo tempo ha scritto «congiunti»; poi l’ha canc. e sost. in alto con «stretti». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Di due popol sì affini, e stretti insieme / […]. 62 Ms.: Roma fù d’Alba / […]. Inizialmente l’Autore ha scritto: «Roma con Alba»; poi ha canc. «con» sostituendolo in alto con il passato remoto del verbo «essere» adoperato nella terza persona singolare nella forma «fù» affiancata da «d’». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Roma fu d’Alba / […].


atto i, scena i

Congiunta e amica, fin che audace tanto63 Questa non era di chiamarla al ferro64 Oltraggiandola, e tu fosti sì grande65, Che, a sostener il roman dritto, i figli66 Spingevi in campo, benché albano fosse67 Quel cui tu pria la figlia concedevi68. Oh, quante volte in me stupia mirando69 Te prode, Orazio, fulminar fra l’arme70

13

70

63 Ms.: Congiunta e amica fin che audace tanto / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Congiunta, e amica, fin che audace tanto / […]. 64 Ms.: Questa non era di chiamarla al ferro / […]. Il verbo «era» figura scritto in alto in sost. di «fù», canc.; «di» inizialmente era seguito da «contrastar con essa», poi canc. e sost. in alto con «chiamarla al ferro». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Questa non era di chiamarla al ferro / […]. 65 Ms.: Oltraggiandola, e tù fosti sì grande, / […]. Dopo «Ed» iniziale – che è il risultato di una «E» cui è stata successivamente aggiun. la «d» eufonica – seguono tre parole canc. e non ben decifrabili: la prima è l’infinito di un verbo (forse «assaltar» aggiustato ad «assalir» con mutamenti effettuati sulle lettere che lo compongono, prima di essere canc. definitivamente); le altre due sembrano essere: «[…] mia possa, […]». Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Oltraggiandola, e tu fosti sì grande, […]. 66 Ms.: Che a sostenere i Roman dritti, i Figli / […]; 1799: Che a sostener il roman dritto, i figli / […]; 1801: Che, a sostener il roman dritto, i figli / […]. 67 Ms.: Spingesti in campo benchè Albano fosse / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Spingevi in campo, benchè albano fosse / […]. 68 Ms.: Quel cui tù pria la tua Figlia donavi / […]; «lo» dell’originario «Quel[lo]» e la preposizione «a» che segue («Quel[lo] [a] cui») sono stati canc., lasciando: «Quel cui […]»; tra «tù» e «la», dopo essere stato canc. «donavi», è stato posto in alto «pria»; «donavi», canc. prima, è stato ripristinato alla fine del verso; allineati e un po’ distanziati dalla fine del verso, si notano il numero «31.» e il segno grafico dell’asterisco («*»); più in basso, e spostata di più sulla destra del foglio rispetto all’asterisco, è collocata la lettera «(c)» tra parentesi tonde. L’asterisco «(*)», e la lettera «(c)» rappresentano dei richiami che stanno ad indicare che la continuazione del testo (a partire dal verso settantaduesimo: «Oh quante volte in me stupia mirando / […]» fino a giungere all’emistichio del verso novantesimo: «Oh giovin generoso») si trova, come abbiamo già avuto modo di precisare, nella seconda parte del foglio successivo del Ms., ovvero nella c. 3r. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Quel cui tu pria la figlia concedevi. / […]. 69 Ms.: (c.3r): Oh quante volte in me stupia mirando / […]. Tra «volte» e «in» vi sono alcune parole appena accennate, canc. e indecifrabili; 1799: O quante volte in me stupia mirando / […]; 1801: O quante volte in me stupía mirando / […] 70 Ms.. Te prode Orazio fulminar col brando / […]. Prima di «Orazio» si leggono canc. decifrabili: «Te Pubblio»; sotto «Pubblio» canc. figura aggiun. «Te» iniziale; tra «Pubblio» canc. e «Orazio» è stato, in alto, aggiun. «prode»; tra «Orazio»


14

camilla. tragedia

Senza che affetto alcun la tua virtude Giungesse a rallentar! Ma dimmi, e quando71 Tu rammentavi Curïazio, sposo72 Della sorella, amico tuo già in prima73, Qual ti sentivi? E di trovarti a fronte74 Seco lui non tremavi? orazio

A Roma volti Erano tutti allora i miei pensieri75, E sol per lei tremava; io ben sovente76, Quando più fiera la battaglia ardea77, Curiazio vidi sanguinosa strada Su i cadaveri aprirsi, e strage e morte78

75

80

e «fulminar col brando» si vedono alcune canc. decifrabili nel modo seguente: «in campo immemore ad un tratto»; 1799: Te, prode Orazio, fulminar col brando / […]; 1801: Te prode, Orazio, fulminar fra l’arme, / […]. 71 Ms.: Giungesse a rallentar! ma dimmi, e quando / […]; 1799: Giungesse a rallentar! ma dimmi e quando / […]; 1801: Giungesse a rallentar! ma dimmi, e quando / […]. 72 Ms.: Ti rammentavi Curïazio Sposo / […]; Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Tu rammentavi Curïazio, sposo / […]. 73 Ms.: Della Sorella amico tuo già in pria / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Della sorella, amico tuo già in prima, / […] 74 Ms.: Qual ti sentivi e di trovarti a fronte / […]; 1799: Qual ti sentivi e di trovarti a fronte / […]; 1801: Qual ti sentivi? e di trovarti a fronte / […]. 75 Ms.: A Roma tutti / Erano allora i miei pensier rivolti / […]. In un primo tempo l’Autore, dopo aver collocato l’avverbio di tempo «allora» tra «Erano» e «i miei», l’ha ripetuto tra «i miei pensier’» e «rivolti», provvedendo a togliere la originaria «i» finale di «pensieri» sostituendola con il segno dell’apostrofo giustificato dall’incontro con la vocale iniziale di «allora». Avendo optato per la soluzione di mantenere l’avverbio di tempo «allora» tra «Erano» e «i miei», Liruti ha provveduto a cancellarlo tra «i mie pensier’» e «rivolti», dimenticandosi però di cassare il segno dell’apostrofo apposto alla fine di «pensier»; 1799: A Roma volti / Erano tutti allora i miei pensieri, / […]; 1801: A Roma vòlti / Erano tutti allora i miei pensieri, / […]. 76 Ms.: E sol per lei tremava: io ben sovente, / […]. Inizialmente l’Autore dopo «io» ha scritto «spesso» seguito da una vocale (che dovrebbe, anche a lume di logica, corrispondere alla congiunzione «e»); poi ha canc. «spesso» e la vocale seguente, scrivendo in alto «[…] ben sovente, / […]»; 1799: E sol per lei tremava, io ben sovente, / […]; 1801: E sol per lei tremava; io ben sovente, / […]. 77 Ms.: Quando più fiera la battaglia ardea / […]. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Quando più fiera la battaglia ardea, / […]. 78 Ms.: Sui cadaveri aprirsi, e strage e morte / […]; 1799: Sui cadaveri aprirsi, e strage e morte / […]; 1801: Su i cadaveri aprirsi, e strage e morte / […].


atto i, scena i

Portar a me dappresso: ammiratore79 D’un valor sì funesto, emula fiamma80 Sentiami in core: fra la mischia ardente81 Cento volte il cercava, ed altrettante Parea che il Ciel mi contendesse a prova82 Venir cotanta83. tullo

15

85

90

Oh giovin generoso!84

79 Ms.: Portare a me dapresso; ammiratore / […]. Dopo «[…] dapresso […]» inizialmente l’Autore ha scritto «ma frattanto», poi canc. e sost. in alto con «ammiratore»; 1799: Portar arme dappresso: ammiratore / […]; «arme», invece di «a me», è da considerarsi un errore di stampa sfuggito al correttore «venale» delle bozze o un fraintendimento di quest’ultimo nell’effettuare il riscontro sulla copia manoscritta di cui disponeva; 1801: Portar a me dappresso: ammmiratore / […]. 80 Ms.: D’un valor si funesto emula fiamma / […]; «si» non reca l’accento per distrazione dell’Autore. Il verso 86, formulato nella versione definitiva, si trova spostato a destra del foglio insieme ad altri quattro (fino cioè al v. 90 compreso) aggiunti in sostituzione di due posti a sinistra e canc. (decifrabili così: «Che ammirando un valor a noi funesto / D’emularlo cercava cento fiate / […]»; quest’ultimo è sostituito a fianco dalla seguente versione definitiva: «Cento volte il cercava ed altrettante / […]» e di un terzo appena iniziato (vi si legge infatti soltanto: «Io lo cerc[ava]») prima di essere anch’esso canc. «D’un valor si funesto emula fiamma» è dunque la versione definitiva del verso 86 che, in un primo tempo, ovvero prima di essere canc. e riscritto, si presentava, come abbiamo sopra indicato, a sinistra del foglio, formulato nel modo seguente: «Che ammirando un valor a noi funesto / […]»; «a noi» figura aggiun. in alto tra «valor» e «funesto»; 1799: D’un valor sì funesto emula fiamma / […]; 1801: D’un valor sì funesto, emula fiamma / […]. 81 Ms.: Sentiami in core e fra la mischia ardente / […]. Tra «core» e «fra» figura aggiun. in alto la congiunzione «e». È questo il secondo dei cinque versi scritti a destra del foglio; 1799: Sentiami in core, fra la mischia ardente / […]; 1801: Sentíami in core: fra la mischia ardente / […]. 82 Ms.: Parea che il ciel mi contendesse a prova / […]. Prima di «Parea» l’Autore ha scritto «Sembrava», successivamente canc. È questo il quarto dei cinque versi scritti a destra del foglio. Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge il verso nella formulazione definitiva: Parea che il ciel mi contendesse a prova / […]. 83 Ms.: Venir cotanta. / […]; «cotanta» sost. in alto delle parole canc. e non decifrabili (tranne «accetta»). Nelle edizioni del 1799 e del 1801 si legge: Venir cotanta. / […]. 84 Ms.: Oh Giovin generoso / […]. «Giovin», con l’iniziale maiuscola, deriva da un precedente «Giovine», cui è stata canc. la «e»; «generoso» è il risultato di una corr. avvenuta scrivendo sopra le lettere iniziali di un’altra parola non decifrabile; allineato e affiancato a «generoso», sulla destra del foglio, si legge il numero


biblioteca di letteratura 1. Riccardo Bruscagli, Studi cavallereschi, pp. xii-244, 2003 2. Laura Diafani, «Ragionar di sé». Scritture dell’io e romanzo in Italia (1816-1840), pp. x-282, 2003 3. Willi Hirdt, «I tre filosofi» di Giorgione, pp. x-166, con 14 tavv. f.t. di cui 11 a colori, 2004 4. Angelo Fabrizi, Manzoni storico e altri saggi sette-ottocenteschi, pp. viii- 264, 2004 5. Antonio La Penna, Aforismi e autoschediasmi. Riflessioni sparse su cul­tura e politica degli ultimi cinquant’anni (1958-2004), Presentazione di Massimo Mugnai, pp. xx-304, 2005 6. Arnaldo Di Benedetto, Sekundärliteratur. Critici, eruditi, letterati, pp. x-134, 2005 7. Paola Luciani, L’autore temerario. Studi su Vittorio Alfieri, pp. xii-132, con 52 tavv. f.t. di cui 26 a colori, 2005 8. Caterina Pagnini, Costantino de’ Servi, architetto-scenografo fiorentino alla corte d’Inghilterra (1611-1615), pp. viii-380, 2006 9. Franco Fido, Viaggi in Italia di don Chisciotte e Sancio e altri studi sul Settecento, pp. xii-296, 2006 10. Angelo Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, pp. xii-68, con 14 tavv. f.t. di cui 10 a colori, 2007 11. Elisabetta De Troja, My dear

Bob. Variazioni epistolari tra Settecento e Novecento, pp. x-198, 2007 12. Carla Molinari, Studi su Tasso, pp. xiv-298, 2007 13. Arnaldo Di Benedetto, Tra Rinascimento e Barocco. Dal petrarchismo a Torquato Tasso, pp. x-130, con 4 tavv., 2007 14. Antonio Liruti da Udine, Camilla. Tragedia, Edizione critica, introduzione e commento a cura di Michael Lettieri e Rocco Mario Morano, pp. cliv-126, 2008 15. Mario Luzi - Carlo Betocchi, Lettere 1933-1984, a cura di Anna Panicali, pp. xlii-74, 2008 16. Marziano Guglielminetti, L’io dell’Ottantanove e altre scritture, a cura di Clara Allasia e Laura Nay, pp. xxvi-434, 2009 17. Angelo Fabrizi, Cultura degli scrittori. Da Petrarca a Montale, pp. xii-212, 2009 18. Mario Martelli, Pascoli 19031904: tra rima e sciolto, pp. xxvi-174, 2010 19. Alessandro Polcri, Luigi Pulci e la Chimera. Studi sull’allegoria nel «Mor­gante», pp. xxvi-302, 2010 20. Paola Luciani, Drammaturgie goldoniane, pp. xii-176, 2012 21. Lezioni di cinema e di regia, a cura di Antonio Carlo Vitti, pp. xiv-330, 2013 22. Ghino Ghinassi, Dante, Michelangelo e altre lezioni di storia


linguistica italiana, a cura di Pao­lo Bongrani e Massimo Fanfani, pp. xvi-92, 2014 23. Pasquale Guaragnella, I volti delle emozioni. Riso, sorriso e malinconia nel Novecento letterario italiano, pp. xxx-266, 2015 24. Verga e gli scrittori. Da Capuana a Bufalino, a cura di Gino Tellini, pp. xiv-278, 2016 25. Paola Luciani, «Tutta la vita è

mar». Metastasio e le passioni, pp. xii-164, 2016 26. Anna Nozzoli, La ragione e il sogno. Su Montale in versi e in prosa, pp. xiv-238, 2020 27. Antonio Liruti da Udine, Camilla. Tragedia, nuova edizione critica a cura di Michael Lettieri e Rocco Mario Morano, premessa di Gino Tellini, pp. lxiv-192, 2021


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.