Scriveregiocando 2010

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# 0 - anno 0 - dicembre 2010




Natale

2010

Editoriale


Morena Fanti

Natale

2010

Scriveregiocando

È

con emozione che scrivo queste righe: il Natale 2010 [rac]chiude un ciclo di

dieci anni di pagine natalizie; sono dieci anni che ci troviamo insieme a raccontare il Natale attraverso i testi ricchi di sentimenti ed emozioni che i nostri Autori ci regalano. Quest’anno la Pagina Natalizia ci riporta a un Natale ricco di tradizione, con storie classiche e sentimenti dal sapore buono, come quello dell'infanzia. Ma anche un Natale che non si dà troppe arie e che si ride un po' addosso, ribaltando la visione troppo perfetta e idealizzata che a volte abbiamo. Le Festività devono anche portare allegria e condivisione e cosa c'è meglio di una risata per unire e rasserenare? Il Natale è spesso snobbato nelle conversazioni, molti dicono che non lo sopportano, che è una ‘festa’ dei consumi e niente altro, tralasciando il significato che questa festa ha e può ancora avere. L’aspetto che ho sempre evidenziato è quello del Natale come festa familiare, come occasione di gioia per i bambini, un momento in cui le famiglie si trovano insieme e fanno attività creative e divertenti. Questa pagina ha sempre raccolto testi adatti anche alla lettura dei più piccoli, a sottolineare proprio questo elemento. Il “regalo aggiunto” che Scriveregiocando quest’anno fa [per mano di Arthur, il nostro geniale Art Director, che ringrazio] a tutti i suoi lettori, e ai suoi Autori, è un magazine da sfogliare e da tenere accanto per avere sempre una scorta di emozioni natalizie da regalare. Un regalo pieno di dolcezza e di ironia, di tradizione ma anche di irriverenza e giocosità, un regalo che scalda il cuore e che fa riflettere. Troverete molti racconti, storie che nascondono spesso delle sorprese nel finale e delle poesie che, con la loro scrittura stringata e precisa, ci regalano emozioni intense. Spero che possiate apprezzare la lettura e auguro a tutti Buon Divertimento e tante belle giornate serene con Scriveregiocando-pagina e Magazine.

BUON NATALE e BUON 2011 a TUTTI. Morena Fanti

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the contents 2010

Natale

Morena Fanti Editoriale

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Carlo Bramanti good morning mr birillo

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Vincenzo Celli doni

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Daniela Giorgini hanno ucciso babbo natale

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Roberto Barbato a chi di competenza

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Paolo Perlini il contadino si tolse il berretto

17

Ketti Martino natale

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Solindue il sogno di lumihiutale

23

Anna Maria Curci shekinah, sรกtor, tipi yokihe

25

Paolo Zardi recita di natale

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Marco Scalabrino re!

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Donatella Righi il violinista ungherese

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Santi un bambino che nasce

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Subhaga Gaetano Failla magos

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Santi ombre

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Arthur e poi...

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Ketti Martino natale con te

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Claudia Giacopelli il regalo di natale #0

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... da un’idea di Morena Fanti Direttore

Morena Fanti (www.morenafanti.wordpress.com) Art Director

Arthur (www.ilmondodiarthur.wordpress.com) Progetto grafico, Impaginazione

Arthur (www.ilmondodiarthur.wordpress.com)

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Carlo Bramanti

Mr Biril o Good morning


2010

Natale

Scriveregiocando

. .la fiat uno bianca che l’aveva abbandonato,

L

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a prima neve, sulle vie silenziose e buie di Augusta. Birillo sentì la fragranza di un panettone lontano provenire da una finestra accesa, che odorava di tepore e famiglia. Si sforzò di chiudere le narici, di non pensare e proseguì nella fioca luce di un lampione rotto. Odiava con tutto il cuore i tappetini rossi davanti ai negozi, gli alberi pieni di neve finta di cui la città ora pullulava. Il suo ex padrone l’aveva abbandonato proprio la mattina di natale. Che tempista. Erano passati due anni da allora, due anni di vagabondaggio per le strade, di stenti e sofferenze. Il piccolo barboncino, adesso, aveva un solo desiderio: entrare in chiesa per confessarsi, per purificare l’anima da tutti i peccati che credeva d’aver commesso. Era tutto chiaro nella sua mente. Dopo la chiesa si sarebbe diretto verso l’autostrada, verso il ponte vecchio, per mettere fine a una vita che non aveva più senso. La chiesa era aperta, piena di persone con una gioia incomprensibile dipinta sul volto. Birillo si abbassò e strisciò fino al primo banco. Nessuno lo vide. Aveva imparato a vivere di espedienti negli ultimi due anni, per procurarsi il cibo. Non si fidava più degli uomini. Acquattato, lanciò un’occhiata di sottecchi davanti a sé. Anche quella sera officiava la messa Monsignor Sbigottini, un prelato basso, con un’eterna espressione blasé e un evidente parrucchino corvino. “E’ l’uomo giusto”, pensò Birillo. Monsignor Sbigottini, allergico al pelo di qualsiasi creatura a quattro zampe,

Carlo Bramanti

riuscì a dire “Benvenuti fedeli”, poi starnutì ventisette volte di seguito. Prese fiato e al ventottesimo starnuto il parrucchino partì per atterrare sulle ginocchia di un’anziana fedele. La donna, sgomenta, sgranò il rosario e gli occhi. “Scu-scusi” disse il monsignore, abbassando lo sguardo. La sua pelata splendeva di una luce rosea, ma tra uno starnuto e l’altro riuscì stoicamente ad arrivare alla fine delle messa. Birillo la seguì attentamente, aprendo il suo cuore a ogni parola di speranza. “Scambiatevi un segno di pace”, disse con voce provata il monsignore. L’anziana fedele, che si era spostata all’ultimo banco per evitare altri shock, tese la mano a una bimba che le stava accanto, continuando a guardare Sbigottini. Birillo non resistette: fu lui ad anticipare la bambina e a stringerle la mano con la sua zampetta. In un lampo, senza farsi vedere. Quando la vecchietta sentì la diversa consistenza del gesto di pace, le scappò un gridolino isterico: guardò la bambina, ancora più sgomenta di prima. La bimba aveva visto tutto. Non disse nulla. Anzi, sorrise a Birillo, nascosto dietro di lei.

Fuori continuava a cadere, copiosa, la neve. La messa era finita da dieci minuti. La chiesa sfollata. Sbigottini aveva anche recuperato il suo parrucchino. Sì, era il momento giusto. Birillo, con passo da velocista, corse verso il confessionale e in un baleno vi si infilò. Per attirare l’attenzione del monsignore grattò la grata con le zampette, riuscendo nel suo intento: Sbigottini, infatti, si voltò immediatamente.

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giaceva al centro dell’autostrada, capovolta e ammaccata. .

Natale

Scriveregiocando

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“Si, vengo”. Avrebbe voluto riposarsi un po’il monsignore, quella messa era stata un po’… pesante… Ma corse subito verso il fedele e si sistemò dietro la grata per ascoltarne i peccati. “Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”, Birillo ululò quello che riteneva il suo peccato più grande. Aver fatto pipì nel divano del suo ex padrone, il motivo che secondo lui aveva scatenato la rabbia dell’uomo che poi, senza esitare, l’aveva abbandonato in strada. “La prego, non pianga su…. Dio perdona tutti”. “Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu u u u u u u Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”. “Non pianga, la prego. Se no fa piangere pure me…” il monsignore estrasse dalla tasca un grande fazzoletto rosa e, dopo essersi soffiato il naso, si asciugò le lacrime. “Se non riesce a parlare fa niente. A volte, anche il silenzio può dire tanto. Io… io la assolvo in nome del padre e dello….” Birillo lasciò Sbigottini a parlare da solo dietro la grata. Aveva confessato il grande peccato. Si sentiva libero. Ora poteva dirigersi verso l’autostrada e il ponte vecchio.

Le auto sfrecciavano a grandi velocità. Birillo sentì il cuore stringersi. Le zampette si muovevano da sole, i pensieri ormai erano soltanto macigni sul cuore. Poi un auto… quell’auto…. La fiat uno bianca che l’aveva abbandonato giaceva al centro dell’autostrada, capovolta e ammaccata. Il suo ex padrone riverso a terra a un passo dalla macchina, col braccio insanguinato, chiedeva aiuto. Le auto continuavano a sfrecciare, schivando la fiat uno e l’uomo, nell’indifferenza più assoluta. Birillo non esitò. Corse subito verso l’uomo e,

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Carlo Bramanti

afferrandolo per il bavero della giacca, provò a trascinarlo in salvo. Troppo pesante. Per un attimo desistette. Le macchine continuavano a schivare lui e l’ex padrone a velocità sostenute. Poi, un ricordo vivido illuminò la sua mente: l’uomo che lo carezzava quando ancora era poco più che un cucciolo. Ululò e afferrò di nuovo il bavero della giacca. Mentre un’orda di motori rombava feroce, trascinò l’uomo per metri e metri, con una forza che pensava di non avere. La margherita che campeggiava sul bordo della strada e della salvezza adesso era vicina. Una cinquecento rossa non sterzò in tempo. Birillo riuscì a spingere l’uomo oltre la margherita, prima che la cinquecento lo colpisse in pieno.

Aprì gli occhi su uno scomodo divano. L’uomo che aveva salvato lo teneva tra le braccia. Davanti a loro, un imponente albero di natale con palline piene di brillantini dorati. “Good morning, Mr Birillo. Ti sei svegliato finalmente. Scusa, scusa per quello che ti ho fatto. Non ti abbandonerò più. Sono stato uno stupido”. La coda, fasciata per intero, gli doleva terribilmente. Ma ora era di nuovo a casa, a godersi quell’abbraccio inatteso, su quel divano a quadretti che proprio non sopportava. Sì, più tardi ci avrebbe fatto di nuovo pipì, così l’uomo si sarebbe deciso a cambiarlo. Un plaid di lana con la scritta “PERDONAMI BIRILLO” scaldava le zampette del barboncino. L’uomo aprì la finestra che dava sul giardino. “Buon Natale”, disse semplicemente. Fuori nevicava, sulle rose rosse, sul parrucchino caduto a monsignor Sbigottini e nel cuore d’ogni creatura.

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Vincenzo Celli

Natale

2010

Scriveregiocando

ci hanno già ucciso e anche noi abbiamo già ucciso

doni

ha piedi freddi questo inizio inverno che viene in rami d'acqua ripenso a quel Natale che usciva dai rubinetti e scendeva per le scale certo poteva andarci molto peggio ed infatti è così che è andata

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Daniela Giorgini

Natale

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“Commissario,

Commissario!”

Torrisi spalancò la porta dell’ufficio senza bussare. “Commissario, hanno ucciso Babbo Natale!” Poco mancò che il Commissario non gli scoppiasse a ridere in faccia, ma nel suo ruolo di superiore si trattenne. “Torrisi, se consideriamo che Babbo Natale non esiste, dubito fortemente che qualcuno lo abbia ucciso.” “Nemmeno io ci credevo, Commissario, ma quando sono arrivato lì, ho potuto solo constatare che era vero. La slitta è ribaltata e piuttosto malridotta, c’è un uomo anziano con la barba bianca ed un vestito rosso fuoco schiacciato sotto una montagna di pacchi regalo e nove renne. Una di queste ha un vistoso muso rosso. Si vede che sono addomesticate, perché si sono lasciate avvicinare, ma non siamo riusciti ad allontanarle dalla slitta. Il medico legale ha stabilito la morte per infarto e la scientifica sta procedendo con i dovuti accertamenti. Vista l’eccezionalità del soggetto, ho disposto comunque l’autopsia. Ho fatto bene, Commissario?” “Sì, sì, hai fatto bene. Anche se da tutto quello che mi hai detto non sono in effetti convinto che si tratti di Babbo Natale, quello vero – se esistesse, beninteso – visto che vestiti, slitta, renne e regali non sono cose così originali da non poter essere messe insieme da un qualsiasi comune mortale!” “Beh, Commissario, ha ra g i o n e . Pe r ò a b b i a m o a l c u n i t e s t i m o n i , attendibilissimi, che giurano di aver visto cadere la slitta dal cielo.” Il Commissario, piuttosto scettico, ordinò a Torrisi di proseguire le indagini e di tenerlo informato. Il giorno dopo arrivarono i risultati della scientifica e dell’autopsia: per Babbo Natale nessuno aveva chiuso occhio quella notte. Il referto autoptico confermava la morte per arresto cardiaco. Il cuore era praticamente esploso, tanto che nei corridoi dell’obitorio girava la voce che qualcuno lo avesse ucciso con la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi delle dita. È la tecnica più letale di tutte le arti marziali: si comprimono cinque punti diversi del corpo con la punta delle dita, e poi il cuore esplode dentro al petto e si muore all’istante. Anche il Commissario ne aveva sentito parlare. Suo

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Hanno ucciso Babbo 13


2010

Daniela Giorgini

Natale

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Hanno ucciso Babbo Natale

Natale

figlio Gianni, dieci anni, non perdeva una puntata di Ken il Guerriero e gli aveva fatto una testa così per mandarlo a judo. O era karatè? Mah, a lui sembravano tutte uguali! Le analisi della scientifica erano invece più semplici: sul vestito di Babbo erano stati trovati residui di DNA femminile – “magari avrà una moglie, ‘sto poveraccio!”, pensò il Commissario – e, incastrati sul fondo della slitta, alcuni frammenti di saggina – “beh, la slitta ogni tanto la dovrà pur pulire!”, pensò sempre il Commissario. Insomma, le indagini a questo punto erano, appunto, ad un punto morto. Se fosse stato Babbo Natale, quello vero beninteso, magari per l’infarto aveva perso il controllo della slitta e si era capottato sull’asfalto. Il Commissario stava per chiudere il fascicolo, quando Torrisi arrivò trafelato, spalancando la porta. “Sempre senza bussare, eh?” “Scusi, Commissario, ma è urgente. L’abbiamo trovata!” “Chi?” “La donna che ha ucciso Babbo Natale.” “Eh?” “Sì, Commissario. Abbiamo fatto un controllo incrociato del DNA negli archivi internazionali e lo abbiamo trovato in un caso di aggressione al Coniglio Pasquale avvenuto lo scorso anno in Florida. Per fortuna lui se l’era cavata solo con qualche graffio, perché - data la sua velocità - era riuscito a fuggire. Ma aveva riconosciuto e denunciato il suo aggressore. Del quale però si erano perse le tracce.” Il Commissario stava sudando copiosamente: “Torrisi, cosa cavolo stai dicendo? Mi sembri fuori di testa! E chi sarebbe allora l’aggressore?” “Ma come, Commissario, non ha ancora capito? È la Befana!” Il Commissario, madido di sudore, spalancò gli occhi e si ritrovò nel buio della sua camera da letto. Sua moglie dormiva beata al suo fianco. Il Commissario bevve un sorso d’acqua dal bicchiere che teneva sul comodino e si girò sul fianco. “La prossima volta la peperonata la mangiamo a Ferragosto!”

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Roberto Barbato

Natale

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Scriveregiocando

a chi di competenza Ad ogni natale si chiedono “cose”: salute, affari, amore ciascuno secondo esigenza… Ad ogni natale speriamo “che cambi”: si scrivono letterine si usa la carta di credito si mette mano ai salvadanai per rinnovare la girandola dei regali. Tutto giusto, tutto bello, tutto nella tradizione: ma io… ma io… Nel sacco accanto al camino nella cesta sotto l’albero nella capanna del presepe desidererei trovare un nuovo me stesso che sapesse vedere tutti voi ed il mondo intero con occhi e cuore diversi.

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Natale

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Paolo Perlini

Il contadino si tolse il berretto

L

’asinello non ce la faceva più a sorreggere il peso di quella madre gravida e di quel sacco che

conteneva tutti gli averi dei due sposi. «Tutta colpa di Quirino e del suo maledetto censimento!» «Giuseppe! Non imprecare che porta male!» L’uomo diede uno strattone alle redini dell’asino che non voleva saperne di camminare. «Avevamo già abbastanza problemi: la casa, il bambino che sta per arrivare e quel furbone di Quirino si inventa la storia del censimento…» «Giuseppe, lo fanno tutti, è un dovere civico». «Sì, sì, ho capito, è un dovere civico ma guarda quanta strada mi tocca fare. E non trovi un buco da

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Paolo Perlini

Natale

2010

Scriveregiocando dormire neanche a pagarlo oro».

«Anche voi?» esclamò il contadino.

«Prova in quella locanda» disse Maria indicando una bettola lungo la strada. Giuseppe fece per entrare nella locanda ma un cartello appeso sulla porta parlava chiaro: «Tutto esaurito per censimento».

«Anche noi cosa?» «Anche voi siete qui per il censimento e avete la moglie gravida?». «Già, anche noi». Il contadino si tolse il berretto e poi si passò la

«Maria, niente da fare, c’è pieno anche qui. Proviamo appena fuori dal paese».

mano sui capelli madidi di sudore. «Se foste arrivati prima avrei potuto darvi la

Ogni locanda portava appeso lo stesso

stalla ma c’è già un tale di nome Giuseppe. Sua

cartello e solo la pazienza della sposa teneva a

moglie

freno i nervi tesi di Giuseppe.

confusione che vedo intorno alla stalla credo

aspetta

un

bambino,

anzi,

dalla

che sia già nato». Bussarono ad un’altra porta.

«É quella stalla laggiù, quella avvolta da un

«Buonuomo, avete una camera doppia con bagno o doccia, solo per qualche notte?» «Avete la prenotazione?»

fascio di luce e sembra che mille angeli ci volteggino intorno?» «Sì, è proprio quella. Ora, se volete scusarmi

«No».

sono curioso di andare a vedere…»

«Quindi non avete visto il cartello appeso alla porta? Siamo al completo. Se non avete una prenotazione non andate da nessuna parte». «Mia moglie è incinta…»

«Prego, grazie lo stesso». Il contadino stava allontanandosi quando gli venne in mente una cosa: «Hey, voi! Se vi interessa qui avanti c’è una

«Che peccato!» esclamò il locandiere. «Perché? Ha qualcosa contro i bambini?» chiese Giuseppe socchiudendo gli occhi.

grotta. C’è della paglia, forse c’è anche una mangiatoia e un bue. Se volete potete occuparla per qualche giorno. Buona fortuna!»

«No, assolutamente. Intendo dire che lei è

«Hai sentito Maria? Qui avanti c’è una grotta,

molto sfortunato a viaggiare con la moglie

su, corriamo prima che ce la freghi qualcun

gravida e senza un posto dove dormire».

altro».

«Già,

ha

ragione»

disse

Giuseppe

andandosene. Al limitare del paese trovarono un contadino che stava tornando dai campi. «Buonuomo, saprebbe indicarci un posto dove dormire?» chiese Giuseppe. «Siamo in

«Vai! Vai avanti tu a prendere il posto, io arrivo con calma». «Va bene, allora vado… vado io. Ma guarda che luce intorno a quella stalla… guarda quanta

gente…

devono

essere

persone

importanti».

viaggio da parecchi giorni, mia moglie è incinta e il bambino può nascere da un momento all’altro».

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Ketti Martino

Natale

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Natale Ingoio quest’universo tiepido, impuntito presepe di stelle di cartone. In attesa di un giro di allegria che non sia canto di sirene, otre sfatta che non dice, veglio la polveriera nella testa e non ne temo i rombi. Ăˆ solo un giorno di dicembre, dico e torno a vivere, predatrice senza luminarie.

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Il sogno di

© Solindue

‘Lumihiutale’


Solindue

Natale

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C

aro Babbo Natale, mi chiamo Lumihiutale e sono un fiocco di neve. Passo le mie giornate invernali assieme ai miei compagni adagiato su di una nuvola. Tranquillamente. Il tempo scorre felice, due chiacchiere e qualche semplice volo, un po’ più in qua e un po’ più in là. Molti dei miei compagni non si curano degli uomini, ma io amo stare ad osservarli. Tutti coperti nei loro cappotti, sciarpe colorate e con quei buffi cappelli. Per non parlare di quel guazzabuglio di forme che si vede da quassù quando escono con gli ombrelli. Una miriade di girandole multicolori che cozzano fra loro, si scansano e poi tornano a scontrarsi. Sono sempre così indaffarati, di corsa. Immagino sia un gran divertimento. Corrono con le auto, corrono per i parchi e, quando le mie amiche gocce di pioggia cadono sulle loro teste, loro scappano a correre su delle buffe macchine nelle palestre. Si sono inventati quei tappeti rotolanti che girano all’infinito. Che fantasia che hanno e come li invidio! Loro corrono, corrono ma restano sempre lì, in ogni caso, senza un preciso scopo. Anche io amo muovermi. Avessi le gambe vorrei correre come loro. Ma tutto ciò che posso fare è staccarmi ogni tanto dai miei amici, e leggiadro, lasciarmi trasportare dalla brezza su un’altra nuvola. Nuovi amici, nuove chiacchiere, fino a quando con l’inverno non dovrò scendere giù a terra. Ogni anno scelgo il vento giusto, avvisto un bel cumolonembo grigio e mi unisco al suo percorso. Fino a oggi i nuvoloni che ho scelto hanno sempre scaricato noi fiocchi di neve sui monti, dove ho finito per trascorrere tranquillo in silenzio il resto dell’inverno.

Il sogno di

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‘Lumihiutale’

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Solindue

Natale

2010

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Il sogno di

‘Lumihiutale’

Però, caro Babbo Natale, quest’anno vorrei tanto avere un regalo da te. Vorrei la magia di poter scendere vicino agli uomini il giorno di Natale. Vorrei poter scegliere la nuvola giusta, quella che mi farà adagiare nel giardino di una casa. Vorrei potermi soffermare, almeno per una notte, sul davanzale di una finestra. Vorrei poter sbirciare dal vetro di una casa in festa, piena di bambini, con le luci e le fiaccole sull’albero. Vorrei poter vedere da vicino dei bambini, con i loro nasini deliziosi schiacciati sui vetri della finestra e gli occhietti esultanti di gioia per il mio arrivo. Me li immagino già scorrazzare in casa, pronti a correre fuori la mattina con i loro guantini per giocare con me. Vorrei, almeno per una volta, essere coccolato fra le loro mani. Qui fra le nuvole si racconta dell’emozione che si prova a divenire una palla di neve. Ecco, io quell’emozione vorrei provarla. Vorrei provare il solletico di ruzzolare fra le dita, di essere stropicciato e unito assieme ad altri fiocchi di neve per poi volare in alto, verso il cielo e atterrare con un grande botto. Lo so di chiedere molto. Ma credimi, caro Babbo Natale, questa estate sono stato un bravo fiocco di neve sciolto e ci terrei davvero tanto ad avere, per una volta almeno, il mio cuore scaldato dalle mani di un bambino. Grazie per avermi letto.

Lumihiutale

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Anna Maria Curci

Natale

2010

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Shekinah, sátor, tipi yokihe

Mi hanno detto che avresti piantato una tenda: shekinah, sátor, tipi yokihe. Io volevo soltanto una volta vedere se il prodigio s’avvera, se la quiete è sicura. Dalla tenda tu chiami, shekinah, sátor, tipi yokihe, poi prosegui il cammino.

Roma, 21 novembre 2010

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Paolo Zardi

Natale

2010

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Q

Recita

Natale di

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UANDO IL NATALE

iniziava a farsi vicino – diciamo i primi di dicembre, poco prima dell’Immacolata, quando si percepiva quel senso di neve ormai alle porte, e si chiedeva ai genitori se era troppo presto, per scrivere la letterina a Babbo Natale, perché si era adocchiato un orso veramente bellissimo, da Testi o da Frigo & Beretta, i regni dei giocattoli, a Padova – proprio in quei giorni che erano sempre più corti e più bui, la nostra maestra, o La Maestra, come la chiamavamo con un certo rispetto, cominciava ad organizzare la recita, la nostra recita di Natale. La mia maestra aveva fatto il Classico, e studiato pianoforte: aveva buon gusto e cultura. Casa sua – capitava spesso che facessimo un salto a trovarla – era su tre piani e sotto aveva una specie di cantina, dove teneva un pianoforte un po’ scordato (pareva di essere sotto acqua, quando lo si suonava) – ricordi di gioventù. Così il punto di partenza delle nostre recite erano le canzoni di Natale, cantate da questo piccolo coro di voci bianche: lei, ci accompagnava con una pianola elettrica, di quelle che sentivi la ventola dentro che soffiava, e noi eravamo lì, in piedi, nei nostri grembiuli bianchi, con le pantofole che mettevamo quando fuori pioveva e si doveva venire a scuola con gli stivali di gomma neri – eravamo un po’ albanesi, a quei tempi, nello stile: si badava al sodo, e poco alle marche dei vestiti. E quel coro di voci innocenti era una preghiera dolce e armoniosa, la voce degli angeli. Fuori – erano gli anni settanta – la gente si inseguiva con le pistole e le molotov; e in Russia e in America si allestivano arsenali sempre più micidiali, pronti a vaporizzare tutti

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2010

Natale

Scriveregiocando

Paolo Zardi

Casa sua – capitava spesso che facessimo un salto a trovarla –

era

su tre piani... – compresi noi, i bambini che cantavano

“Tu

scendi dalle stelle”

mentre dietro alle finestre – era molto tempo prima dell’effetto serra – nevicava veramente: tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo. Era una preghiera sincera, pura, che facevamo al mondo, convinti che davvero le cose potessero andare meglio, addirittura bene; che la cattiveria fosse qualcosa che si poteva rimuovere, se solo qualcuno l’avesse chiesto con educazione e dolcezza. Ahi quanto ti costò l’averci amato. La più bella era “Adeste fideles”, in latino – allora a scuola avevamo un crocefisso sopra la cattedra, e si poteva ancora pregare ogni mattina, prima di iniziare e prima di tornare a casa – e le canzoni potevano ancora nominare Gesù Bambino senza che qualcuno si sentisse offeso per questo. Era Natale, allora, un Natale in cui si parlava ancora molto di presepi e poco di regali – c’erano anche quelli, ma non c’erano solo quelli. I negozi tenevano aperto solo la domenica prima di Natale, non tutto dicembre; i festoni comparivano dopo l’8 dicembre, non il giorno dei morti. E noi, in quella aula, in quell’incubatrice di uomini e donne del futuro, sentivamo parlare di un Dio buono e umile che era sceso nel mondo, in una grotta, con un contorno di magia di stelle comete, pecore riverenti, asinelli e buoi pieni di compassione e solidarietà, e re che chinano il capo di fronte ad una creatura piccola come noi, tanto indifesa quanto noi, tanto innocente quanto noi: quanto noi che cantavamo accompagnati dall’organo della maestra, l’uno accanto all’altro, guardando verso l’alto, mentre la nostra voce usciva da quell’aula, saliva tra la neve che scendeva, cercava orecchie pronte ad ascoltare, cuori capaci di capire, di credere nella bontà degli uomini, nella loro possibilità

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di essere salvati.

“Venite, adoremus” – venite ad adorare il re degli angeli, uomini del mondo – andate, fedeli lieti e trionfanti, perché è nato. Questo è il vero miracolo della religione cristiana: questa nascita magica di Dio, in un luogo che i bambini possono capire ed immaginare, che gli adulti possono ricordare senza dover diventare per forza grandi. La Chiesa, mi pare di capire, punta più sulla Pasqua – è quella la vera festa, quando Cristo risorge – ma ho il sospetto che c’entri qualcosa il fatto che il Papa abbia ottant’anni, e che per questo sia preoccupato più per la propria morte che per la nascita di Dio. Ma la morte si accetta – lo fanno anche i cani vecchi che abbiamo in casa, che ad un certo punto ci guardano con i loro occhi umidi, il muso appoggiato sulla nostra gamba, e ci dicono “sono pronto, ora posso andare, accompagnami verso l’eterno riposo” – mentre il miracolo, quello vero, è nella prima volta in cui si inizia a respirare: lo sanno tutti i papà e le mamme che hanno visto nascere la propria creatura. Così alla Teologia puoi togliere tutto – i Credo e i libri di San Tommaso, i dogmi e i peccati – ed è come togliere pietra grigia da una montagna, un pezzo alla volta. E sai sotto cosa trovi? Un diamante, piccolo, puro, luminoso, capace di illuminare il mondo: è Gesù che nasce in una stalla. La forza del Cristianesimo – la sua forza capace di cambiare l’umanità – sta tutta qui: Dio è un bambino, ed è lui che ci salverà. E se lo capisce anche un ateo come me, se un ateo come me arriva a commuoversi per questo, ogni anno, allora di sicuro esiste qualcosa di molto più grande di quello che riusciamo a capire.

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2010

Natale

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Marco Scalabrino

Re! Re! E nun aju terra putistà curuna nuddu casteddu cu furzeri o stemma né salamalicchi e cavaddi alati. Re! In carni e ossa in spiritu e cuscenza pi n’ura na matinata na vita di l’universu di nautra criatura. Re! E capisciu allura chi nudda cosa bona o tinta chi mai po capitari è fora di la To purtata, Patri.

Re! / E non ho terra potere corona / nessun castello con forziere o stemma / né salamelecchi e cavalli alati. / Re! / In carne e ossa in spirito e coscienza / per un’ora una mattinata una vita / dell’universo di un’altra creatura. / Re! / E comprendo allora che nessuna cosa / buona o malvagia che potrà mai verificarsi / è fuori dalla Tua volontà, Padre.

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2010

Natale

Scriveregiocando

ilungherese violinista

L

A COLPA È TUTTA DI PETRU.

Se non l’avessi conosciuto, le cose sarebbero rimaste ineluttabilmente tranquille e assopite, come sempre. Noiose e soporifere al pari delle chiacchiere di Bruno Vespa nel suo salotto, ma rassicuranti nella loro ripetitività come una telenovela pomeridiana. Ecco, sì, è chiaro, mi sorbivo molta tv da quando gli anni avevano cominciato a fare catasta e mio marito se n’era andato in altri lidi, quelli celesti. Non avevo altri diversivi, tutto mi stancava, mi deludeva e presto perdeva fascino. Così mantenevo le mie scarne abitudini e con quelle campavo, senza sobbalzi e sbattimenti. Questo è stato fino a quando ho conosciuto Petru, dicevo. Dal momento in cui l’ho visto, all’interno del supermercato Sigma del quartiere, ho capito che la mia vita avrebbe cominciato ad avvitarsi su se stessa, fino a diventare come una giostra del luna park. È cominciato tutto verso la metà di novembre, un giorno in cui nella corsia dei latticini cercavo le uova delle galline allevate a terra, e

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Donatella Righi

lo scaffale era quasi del tutto vuoto, tranne che per un’ultima confezione finita nel punto più irraggiungibile, dove anche la Ela Weber non sarebbe potuta arrivare. Io zampettavo come una gallinella, appunto, nella speranza di riuscire a recuperare quei 2/3 cm che mi avrebbero consentito la presa del malloppo ovaiolo, quando le mie scarpette decisero di tradirmi facendomi planare sul pavimento. Alcune confezioni di latte mi seguirono nel movimento verso il basso e andarono spiaccicarsi a terra formando una pozza lattiginosa, è proprio il caso di dirlo, a fare aureola al mio capo. Il primo a soccorrermi, con la sua voce baritonale e i baffi a manubrio, fu Petru, il quale mi prese letteralmente in braccio, manco fossi una bambolina di pezza, e mi rimise in piedi, con tante e tali esclamazioni da stordirmi. “Bella signora, no fatto niente, guarda, tutto biene, ancora tutta intera, niente rotto!” E mi muoveva le braccia e la testa per confermare le sue considerazioni, facendomi pensare di essere un povero manichino senza volontà. In effetti, io mi sentivo del tutto incapace di una qualsiasi azione autonoma e guardavo ammaliata quell’uomo grande e possente, dalla chioma fluente e candida, che continuamente gli ricadeva davanti agli occhi in forma di ciuffo indomabile, senza avere la forza di profferire parola. Fece tutto Petru. Si presentò come violinista

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Natale

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Con

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lui,

infatti, il mondo perse immediatamente il colore sbiadito del caffellatte del mattino e assunse un bel colore

rosso carminio... ungherese, migrante per passione, passione di cosa mi sfuggì, in cerca di un’occupazione temporanea per poter racimolare un po’ di denaro per pagare un liutaio che gli riparasse lo strumento, senza il quale non avrebbe potuto suonare davanti ai centri commerciali, proprio ora che iniziava il periodo più propizio delle grandi abbuffate natalizie. “Tu avere lavoro per me? Io essere bravo giustare rubinetti, lavatrici e cosa che lava piatti, poi essere bravo in giardino e poi anche divertire con storie e musica tzigana.” In capo a cinque minuti l’avevo assoldato come tuttofare a casa mia. Capii che non avrei potuto fare diversamente: presa dal forte sentore di cuoio del suo giaccone e dal vago odore di selvatico che mi pareva provenire dagli stivali, seguii le punte di quei baffi all’insù che parevano piccole antenne di una ricetrasmittente e mi tenevano in contatto con il mondo, quello che ormai mi mancava da tempo. Con lui, infatti, il mondo perse immediatamente il colore sbiadito del caffellatte del mattino e assunse un bel colore rosso carminio, quello delle gote arrossate per l’eccitazione. Le giornate ripresero a pulsare, a essere scandite dalle mille attività che insieme a Petru organizzavo. La casa e i suoi lavoretti passarono presto in secondo piano mentre il suo violino divenne il protagonista indiscusso della nostra vita. Dopo la riparazione del liutaio, lo strumento era diventato il fulcro, il

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perno attorno a cui ruotava il nostro tempo. Oddio, ero soprattutto io a ruotare, perché m’aveva preso una tale frenesia che non riuscivo più a starmene ferma sul sofà a ingozzarmi di tv, ma saltavo qui e là interpretando, con passi di danza da me inventati, le musiche che Petru sviolinava. Io, Petru e il suo violino eravamo diventati una cosa sola, inseparabili, notte e giorno. Così i giorni passavano, ed era tutta un’altra musica! In questo modo arrivò dicembre con le sue giornate brevi, gli alberi spogli spruzzati di neve, le gelate notturne e le strade addobbate a festa. La mia eccitazione aumentava ogni giorno di più, ero talmente inquieta che non riuscivo più a starmene ferma, dovevo sempre strologare qualcosa di nuovo da fare. Anche durante la notte mi aggiravo per la casa rimuginando su novità da mettere in atto il giorno successivo. Fu proprio durante una di queste nottate insonni che, guardando dalla finestra, mi accorsi di uno strano personaggio con un buffo copricapo che si aggirava per il giardino posto dietro la casa. “Ohibò, un ladro,” pensai “ devo avvisare subito Petru! “ MA DI PETRU IN TUTTA LA CASA NON SI RAVVISAVA NEPPURE L’OMBRA. Al contrario, in giardino l’ombra sembrava parecchio indaffarata, muovendosi su e giù per il vialetto e producendo cigolii sospetti e scalpiccii vari.

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Decisi di non tergiversare oltre e, brandendo il vecchio fucile da caccia del mio defunto coniuge, spalancai la porta sul retro e con voce stridula per l’emozione gridai : “Chi va là? Mani in alto o sparo!” Be’, capisco, non era molto originale come minaccia, forse era un lascito in memoria di vecchi film polizieschi, ma al momento non mi uscì nulla di più personale. L’ombra dallo strano cappuccio bofonchiò qualcosa che non decifrai e continuò a dedicarsi alla sua attività che nel buio della notte invernale non riuscii a distinguere. Mi pareva che ci fosse intorno a essa un movimento animale di zoccoli e corna accompagnati da piccoli bramiti. Indispettita dal fatto di essere del tutto ignorata, replicai la mia minaccia e cominciai ad avvicinarmi nella speranza di risultare più convincente. Fu in quel momento che accadde una cosa strana. All’improvviso dal cielo iniziarono a cadere copiosi fiocchi di neve, si sentì lo schiocco di una frusta, lo scalpiccio aumentò di intensità, sollevando una polvere scintillante che per un attimo mi abbagliò e avvertii un forte spostamento d’aria. Subito dopo ravvisai nel cielo sopra la casa la sagoma di un oggetto volante e di alcuni animali dalle lunghe corna che salivano verso il buio fitto della volta celeste. In lontananza mi sembrava di sentire le note vibranti di un violino che suonava una dolce nenia e fu per questo che esclamai: “Petru! È tornato, finalmente! Domani è Natale, ci divertiremo un sacco insieme!” Tornai dentro in fretta, ma la casa risultava deserta e silenziosa, come ai vecchi tempi. Non c’era più nemmeno l’effluvio di cuoio e selvatico che Petru spandeva intorno a sé, annullato dall’odore dello stracotto che bolliva sul fuoco per i cappelletti dell’indomani, giorno di Natale. Di nuovo un grigio Natale.

E la colpa era

il violini_ sta unghe_ rese

tutta di Petru. #0

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Santi

Un bambino che nasce Un bambino che nasce, è come un fiore che schiude i suoi petali. Ma se il vento infuria e pioggia e grandine offendono il suo stelo, copritelo, o mamme, vigilate perchÊ non si disperda il suo profumo. Ad aver cura di un bimbo basta l'amore.

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Subhaga Gaetano Failla

Magos …perché non vi era posto per loro… (Luca 2,7)

Infine giunse Balthasar. Nella notte, sfinito, aveva sognato. Occhi imploranti, volti disfatti dal dolore, labbra socchiuse. Poi, una luce immensa aveva cancellato la sofferenza, e in quel chiarore splendente si era svegliato. Era l’alba. Doveva incamminarsi. Si mosse come un animale affaticato. Al limitare del paese trovò il luogo. “Yūsef, perché sei qui?” Balthasar non attendeva alcuna risposta. Quella domanda era rivolta a sé stesso. Invano. “Mi porti notizie di Maryam?” chiese Yūsef. La sua voce era un sussurro tremolante. “Sta bene. Ti ha mandato un regalo.” Balthasar consegnò un minuscolo oggetto avvolto in una carta rossa. Yūsef avvicinò la mano con indecisione, ma Balthasar fece un cenno con la testa per intendere che l’oggetto era già stato controllato. Yūsef prese il dono e lo osservò. Gli sembrava di guardare una stella giunta miracolosamente nel palmo della sua mano. Gli occhi gli divennero lucidi. Poi alzò di nuovo il viso verso Balthasar. “E il piccolo Yassou?” domandò trepidante Yūsef. “Sta bene anche lui. È un bambino bellissimo.” “Ricordi?” disse Yūsef. “Quando progettammo il viaggio.” “Ricordo,” mormorò Balthasar. “Pronunciavamo la parola Italia e ci sembrava di assaporare il nettare più pregiato.” “Sì… Quel nettare si è mutato oggi in fiele.” Non nascosero le lacrime che solcavano i loro volti. Si abbracciarono, sotto lo sguardo sospettoso dell’agente di custodia. Yūsef tornò in cella. Era solo. Gli altri compagni erano ancora nella sala-colloquio. Aprì la mano. La carta che avvolgeva il dono si dischiuse come un fiore sotto il contatto delicato delle dita. C’era un bigliettino scritto con inchiostro di china che diceva: “Ho intagliato questo piccolo cuore per te. Ti amo. Per sempre, Maryam.” Yūsef baciò il cuore. Sentì il profumo del legno di sandalo. Chiuse gli occhi. E allora la magia accadde. Vide i visi, e le mani strette alle sbarre scure del carcere, vide il dolore degli uomini. Poi giunse la luce, immensa, sfolgorante. E le mura del carcere si dissolsero, le sbarre svanirono, apparve il cielo azzurro, sconfinato.

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http://www.faraeditore.it/html/siacosache/irma.html

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“Ho intagliato questo piccolo cuore per te. Ti amo. Per sempre, Maryam.�



Santi

E strànio mi sento in questo pullulare di apparenze, mi viene il dubbio che il parlar con tanta gente, altro non sia che un dialogo tra ombre, ombre camuffate d’argilla e calce mista a cenere. Che tristezza! E’ tutto ciò delirio della mente che, creando, corrompe la mia corrotta immaginazione, oppure intorno a me c’è indifferenza? La mente si smarrisce, e fra tanti, che mi sfiorano ignorandomi, temo di essere un’ombra anch’io, ombra tra ombre, soffio fuggente in una moltitudine sfuggente. E incerto qui di vivere vorrei migrare in altra dimensione per incontrare gente ancora viva che, sgombra di pensieri, mi sorrida.

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Ombre

Natale

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Ombre

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Arthur

Natale

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M

annaggia, e siamo arrivati anche al giorno di Natale e poi è

Santo Stefano… che poi, non ho capito bene, ma bisogna dire anche Buon Santo Stefano?

E poi…

E poi… come quando c’era ancora “lei”, ed io la guardavo per come era bella e le dicevo che l’amavo… lei, chinando la testa da un lato, con un sorriso biricchino subito pronta rispondeva: “E poi?”… soltanto voglia di sentirselo dire ancora… soltanto voglia di sentirselo dire ancora, e poi … Chissà come mai oggi riesce difficile dirlo quel “e poi”, ma anche sentirlo, a dire il vero, tanta poca è la voglia di dire due parole, di raccontarsela un po’ come si faceva un tempo, senza problemi, così semplicemente… incontri un vicino, con un sorriso lo saluti e poi… finisce tutto lì.

i

Che tenera… magari fosse così nella vita reale… e allora le ho raccontato del Piccolo Principe, di quando aveva chiesto di disegnare una pecora… e mentre parlavo, lei mi guardava con i suoi occhioni e appena mi fermavo, subito pronta “e poi…?”

i

E po ...

po ...

… mi viene in mente con “e poi… ” quello dei bambini, quando racconti loro una storiella… ieri ero con la mia nipotina di tre anni e mezzo appena, e seduta accanto a me, tenendo il mio pollicione nella sua manina, mi raccontava della festa che avevano fatto all’asilo nido, dove le femminucce facevano la parte delle caprette e i maschietti quella del lupo ed io le chiedevo: “ma come, il lupo non mangia le caprette?” e lei sbarrando gli occhi: “ Ma no, che dici mai… pensare che il lupo sia cattivo significa essere prevenuti, e siccome noi non lo siamo, le caprette non hanno paura del lupo e il lupo non ha voglia di mangiare le caprette… “

E

Forse mi sento anch’io un po’ bambino, comunicare, sognare sulle cose un po’… ma, secondo voi, i grandi se lo ricordano di essere stati anche loro dei bambini? Uhm… non ci ho mai capito molto in queste cose… evvabè, dal vostro Archi… Buon Natale e Buon Santo Stefano e buon tutto quanto.

ft: nonno Archimede.

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Natale

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Arthur

“ Ma no, che dici mai… pensare che il lupo sia cattivo significa essere prevenuti, e siccome noi non lo siamo, le caprette non hanno paura del lupo e il lupo non ha voglia di mangiare le caprette… “

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Ketti Martino

Natale

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Natale con

te #0

Ho negli occhi il tuo Natale, oggi quello col blues negli angoli di casa che sazia col sapore dei suoi baci quello coi sorrisi sonnacchiosi tra teli caldi e versi stesi ad asciugare quello che sa di cedro, uva e dadaismo e riempie con mirra, incenso e oro la nostra acerba arcadia d’ideali Lo vedo avvoltolato ancora qui sopra i miei fianchi come arabesco scabro di Rorschach inciso a fuoco sulla pelle, nascosto, inerme tra le dita.

http://morenafanti.wordpress.com/2010/10/21/1-poeti-hanno-unghia-luride

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Natale

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iBal regalo di bbo Natale

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erso la metà di dicembre di quell'anno, da Babbo Natale arrivò il postino.

Portò 200 sacchi colmi di letterine che Babbo

Natale, aiutato da una ventina di folletti, lesse con cura nei giorni seguenti. Lavorò moltissimo, vista la mole di richieste. Mentre leggeva, annotava sul computer, nel foglio di un programma studiato appositamente per lui, il nome del bambino e i giochi richiesti. Alla fine, avrebbe premuto un pulsante e avrebbe saputo quali e quanti giochi avrebbe dovuto reperire nella sua speciale fabbrica. Poi avrebbe stampato i fogli delle consegne con il nome del bambino e i giochi che doveva recapitargli. Il tutto, ovviamente, diviso per nazione, regione, città, fino al paesino più piccolo sulla terra. E andava sfatata la leggenda che diceva che avrebbe dovuto occuparsi di recapitare doni a tutti i bambini del mondo. In realtà doveva recarsi "solo" da quelli che festeggiavano il Natale e per quanto fossero tanti lo stesso, il suo compito era in qualche modo facilitato. Certamente aveva degli aiutanti validi. Quell'anno, passando in rassegna le letterine, notò che erano tutte un po’ tristi. #0

Claudia Giacopelli

Cominciavano pressappoco tutte con: "Caro Babbo Natale, so che quest'anno c'è la crisi, quindi non ti chiederò molti regali..." o "Ciao, Babbo Natale. I miei genitori l'altro giorno parlavano e dicevano che c'è la crisi e, anche se non so bene cosa sia, ho capito che non ci sono molti soldi. Quindi immagino che anche tu sia messo maluccio, però se puoi, mi piacerebbe ricevere i Gormiti". O quell'altro "Caro Babbo Natale, non ho intenzione di chiederti un regalo costoso, ma sai vorrei tanto un cofanetto di colori, come quelli che hanno proprio tutti e che i miei genitori hanno detto che non mi compreranno perché costano troppo. Io spero che per te non costi troppo come per i miei genitori". E via di questo passo. La cosa per lui strana era che i bambini di qualsiasi nazione, in qualche modo parlavano di questa cosa. Così, una sera, dopo aver preparato un po’ di pacchetti, mise mano alle renne e fece un salto a verificare di persona. Ovviamente si travestì: mise un paio di jeans, una camicia a quadri, un piumino e un paio di polacchetti ai piedi. Certo, la barba e i capelli non passavano inosservati, per cui decise di legarsi i capelli e si fece un codino. Si guardò compiaciuto: sembrava proprio uno qualsiasi. Entrò in un supermarket e sbirciò i prezzi, mentre guardava dentro ai carrelli: in effetti rispetto a qualche anno prima, erano meno colmi. Girò poi per una città. Vide un gruppo di manifestanti davanti ad una fabbrica che aveva chiuso i battenti. Significava gente

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Natale

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rimasta senza lavoro. Si grattò la barba. Passando davanti ad un'edicola prese un giornale e lo sfogliò: non c'era una buona notizia, ma quel che più lo colpì era l'andamento negativo della borsa e certe notizie di politica poco edificanti. Si sedette su un muretto e rimase ad osservare l'andirivieni cittadino. Certamente il traffico non era diminuito. Le persone non avevano molti pacchetti. Ma a parte questo era un senso di scarsa felicità che vedeva dipinta sui volti delle persone. Si fece pensieroso. Alla fine convenne che c'era la famigerata crisi di cui parlavano i bambini. Eppure, pensò, crisi o non crisi, era Natale. E la felicità doveva per forza albergare nei cuori delle persone, al di là delle possibilità economiche e dei problemi a volte davvero seri a cui dovevano far fronte. Ricordava i lontani Natali del periodo di guerra: la gente non aveva granché da mangiare, magari qualche familiare al fronte o aveva i parenti lontani, eppure c'era "coesione" fra i rimasti, accoglienza, generosità e nonostante le tribolazioni e una visione sul futuro non proprio rosea, permaneva la speranza ed era questa che accendeva la luce sul Natale. Dov'era quello spirito? Era talmente immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse di essere chiamato a gran voce da un bimbetto: - Babbo Natale!!! Babbo Nataleeeeee!! Si sentì strattonare la camicia, mentre la mamma redarguiva il piccolo: - Smettila Roberto! Non dare fastidio al signore. - Mamma, ma è Babbo Natale! - No, non è Babbo Natale. Babbo Natale non esiste!!! Opperbacco, come sarebbe, non esisto? - Signora, lo lasci fare. Anche il mio nipotino mi chiama Babbo Natale, eheh. - Babbo Natale, hai ricevuto la mia letterina? - Ehm, piccolo, ma certo!-, rispose sorridendo - E riesci a portarmi la portaerei che ti ho chiesto?

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http://trasparenzevive.splinder.com/

Claudia Giacopelli

- Ecco, spero di si. Ma se ti porto qualcos'altro non fare il broncio, eh! Un dono, è pur sempre un dono. - Che bello, mamma! Ha detto che mi porta un dono! La mamma di Robertino si scusò e lo trascinò via. Babbo Natale pensò che lo disturbava davvero tanto quando gli adulti andavano dicendo che lui non esisteva. Bofonchiò. Si nascose in un vicolo e chiamò le sue renne, quindi fece ritorno a casa. Una volta lì, passò diversi giorni pensando a cosa poteva fare per ridare il sorriso alla gente. E gli venne un bel pensiero. Così bello per lui che si mise a canticchiare. Lavorò di buona lena per cercare di accontentare tutti. Spronò i folletti a fare anche molti dolcetti: si sa che un po’ di zucchero rende la vita meno amara. La notte della Vigilia di Natale, si mise in viaggio molto presto e lasciò doni a tutti. Poco prima della mezzanotte, chiamò a raduno le stelle e ordinò loro di brillare di più. Chiamò anche la Stella Cometa che accorse. E per finire, stese una striscia di aurora boreale nel cielo. Tutti alzarono gli occhi verso quel cielo incantato e furono pieni di stupore. Babbo Natale vide il sorriso negli occhi di molti e qualche lacrima scendere sui visi pieni di gioia. - Mamma, con i colori che mi ha portato Babbo Natale, voglio disegnare questo cielo! Babbo Natale sentì la voce della bimba a cui aveva portato la confezione di colori che i genitori non potevano permettersi di regalarle. Anche quell'anno, al di là dei doni materiali, era riuscito a regalare una emozione grande. Ne fu felice, e se ne tornò al molto soddisfatto.

Polo Nord,

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