Punctum - rivista trimestrale pt2

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N.1 - INVERNO

RIFLESSIONI SULL’ARTE

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Paolo Sacchini Collezione Paolo VI Francesca Bresciani Line Culture

SULL’ARTE CONTEMPORANEA

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INTERVISTA A PAOLO SACCHINI

direttore del museo Collezione Paolo VI a Concesio

PERCORSO DI STUDI E DI FORMAZIONE CHE PORTA UNA PERSONA A DIVENTARE DIRETTORE DI UN MUSEO. È UNA COSA CHE HA VOLUTO E A CUI HA ASPIRATO?

Sono direttore della collezione Paolo VI dal 1° gennaio 2017. Dal 2014 ero membro del comitato scientifico del museo. Mi aveva contattato Paolo Bolpagni che era collega e che dirigeva prima di me il museo e che attualmente è ancora nel comitato scientifico del museo ed è direttore della Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca.

Nel mio caso mi sono laureato in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Parma e subito dopo ho cominciato a lavorare nel settore, addirittura diversi mesi prima del raggiungimento della laurea. Ho cominciato a lavorare nel settore della didattica, visite guidate fondamentalmente per pubblico adulto ma anche per quello scolastico. Organizzavo degli eventi con l’ente Brescia Mostre ed Eventi associazione tra il comune e la provincia di Brescia che all’epoca gestiva gli spazi espositivi di Palazzo Martinengo che sono di proprietà della provincia. Da qui ho cominciato anche piano piano a fare qualche conferenza ma il momento decisivo è stato quando ho deciso di fare il dottorato di ricerca sempre all’Università di Parma in Storia dell’Arte e dello Spettacolo. Io ovviamente sono storico dell’arte contemporanea e non dello spettacolo. Una cosa che

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DA QUANTO TEMPO È DIRETTORE DELLA COLLEZIONE PAOLO VI E QUAL È IL

penso possa essere utile in un percorso di studi è quello ad un certo punto di arrivare a una specializzazione vera, nel senso che a volte si vedono al di fuori dell’ambito universitario anche degli storici dell’arte che pensano di essere tuttologi e quindi parlano di Giotto, di Michelangelo e di Picasso come se fosse normale essere esperti di tutti e tre, invece non è così. Ad un certo punto bisogna individuare un ambito e lì cercare di conoscere quando più possibile di quest’ambito.

Ovviamente anche nella storia dell’arte contemporanea io non so tutto allo stesso modo, ci sono cose a cui dedichi anni di studio e che conosci bene nel dettaglio. Quindi, quel tipo di specializzazione, un percorso post-laurea o il dottorato di ricerca, è quella che può dare una credibilità scientifica maggiore, perché è un’esperienza di ricerca significativa sul campo che porta alla pubblicazione di una tesi che è una pubblicazione a tutti gli effetti e ci si forma alla ricerca per poi avere la capacità di rapportarsi con una diversa consapevolezza a quello che devi affrontare per lavoro.

Non l’ho cercato questo lavoro, è arrivato. Io ho fatto il dottorato perché volevo avvicinarmi alla carriera universitaria, all’insegnamento. Non ho cercato neanche il lavoro in Accademia SantaGiulia. Avevo collaborato in precedenza con l’Accademia, da dottorando di ricerca, non avevo ancora concluso e mi è arrivata una proposta per un piccolo corso di inizio.

Finché non è arrivata l’occasione, diventare direttore di un museo non era neanche una cosa che mi interessava molto, cioè mi interessava di più l’insegnamento e la curatela di mostre, non pensando a una stabilizzazione

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dentro un luogo, però ecco la proposta per la Collezione Paolo VI l’ho vista molto piacevolmente perché è un posto in cui mi piace stare. Non avrei accettato di diventare direttore di un museo d’arte moderna perché non è il mio ambito, mentre per la Collezione Paolo VI mi sembrava un ambiente pertinente. Poi, per quanto riguarda il tema della spiritualità è al centro del nostro interesse, sia per il museo che per mio interesse personale.

Non necessariamente però il percorso deve essere questo.

Ogni ente deve cercare di coprire una serie di funzioni. Come poi si organizzi internamente per coprire queste funzioni, dipende dalla politica dell’ente, cioè è del tutto legittimo invece di avere uno storico dell’arte come direttore, ci possa essere un dirigente, soprattutto se si parla di entità più grandi in cui c’è la necessità di gestione di risorse umane, economico-finanziarie e di relazione; a patto che nel gruppo dirigente che si crea in questa istituzione, che decide di avere un direttore di un museo non storico dell’arte, vi sia qualcuno che copra la parte della funzione artistica, come per esempio un curatore. La competenza storico-artistica deve essere presidiata. Nel nostro caso, ad esempio, abbiamo anche un conservatore che è Marisa Paderni, storica dell’arte contemporanea che si occupa di questa parte, oltre ad avere un comitato scientifico che è fatto di buona parte di storici dell’arte, di un teologo con indirizzo molto rivolto all’arte contemporanea e uno storico dell’architettura e del design che però è molto prossimo ai nostri interessi.

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DI CHE COSA SI OCCUPA NELLO SPECIFICO IL DIRETTORE DI UN MUSEO E NEL SUO CASO SPECIFICO ESSENDO UNO STORICO DELL’ARTE? COM’È LEGATO IL SUO RUOLO ALLA SCELTA DI ESPORRE DETERMINATE OPERE O PROPORRE PARTICOLARI MOSTRE?

Più il museo è piccolo, più il direttore si occupa di tante cose. Faccio un esempio. Sono nel consiglio direttivo nazionale della MEI Associazione Musei Ecclesiastici Italiani. Siamo un’associazione abbastanza grande ma estremamente diversificata. Ci sono delle corazzate, come il museo diocesano di Milano, che ha una direttrice, tre conservatori, una persona che si occupa dell’ufficio stampa, una della comunicazione e una serie di funzioni che vengono coperte con un’ampia dotazione di personale. Poi c’è il museo parrocchiale di un piccolo paese in cui il direttore che è anche conservatore, l’uomo della comunicazione, della stampa, dei rapporti istituzionali.

A seconda della “taglia” del museo, il ruolo e la funzione del direttore cambia.

In un museo medio come possiamo essere noi, abbiamo una serie di funzioni che vengono distribuite tra una decina di persone che lavorano in ufficio e che sono presenti solo qualche mezza giornata a settimana, non stabilmente per quaranta ore. Per un museo medio avendo una serie di persone che coprono il ruolo di conservatore, responsabile dell’attività didattica, responsabile della comunicazione, della promozione, una segreteria, avendo la possibilità di delegare una serie di mansioni, il ruolo del direttore è fondamentalmente di indirizzo scientifico da un lato, in confronto con il comitato scientifico (che è un organo consultivo, esiste perché sia tenuto in comunicazione, ma non è quello che decide in definitiva anche perché è il direttore che conosce i meccanismi interni e le eventuali problematiche logistiche e economiche che il comitato scientifico non è a conoscenza).

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La scelta delle mostre è fatta in condivisione con il comitato scientifico, ma la scelta finale è del direttore che si confronta con lo staff e in particolare con il conservatore.

L’altra cosa che fa un direttore in un museo medio è la gestione delle risorse umane e poi una gestione economica, nel senso che stabilisce, concordando con il presidente, l’amministratore delegato e consiglio d’amministrazione, alcuni indirizzi generali.

Talvolta anche alcune indicazioni più specifiche sulla singola spesa, poi gestisce la quotidiana operatività coordinando i lavori di tutti, di tutte le componenti, da quelle amministrative a quelle segretariali, della didattica, rapporto con le istituzioni.

Il direttore rappresenta anche istituzionalmente il museo nei rapporti con altri enti, con i quali cerca di stabilire delle collaborazioni produttive per tutti e dal suo punto di vista, guardando nell’interesse del museo, che però è stesso anche per gli enti con cui collabora. Gli enti possono essere l’ente pubblico, come per esempio, il Comune di Concesio o enti privati, come sponsor che sostengono iniziative o altri musei con cui si stabiliscono delle relazioni.

Nel caso della mostra di Andy Warhol in corso alla Collezione Paolo VI, ho parlato con Emma Zanella, direttrice del museo MAGA di Gallarate che ha in corso una mostra di Warhol, proprio per cercare una formula di collaborazione, presentando la mostra reciprocamente e fare rete.

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COME VENGONO SCELTE LE MOSTRE?

La politica di esposizione e il programma di un museo viene determinato dall’identità di un museo, da quella che è la sua mission e dalle sue caratteristiche. Nel nostro caso, la caratteristica fondante della Collezione Paolo VI, che nasce dalle intenzioni del Mons. Pasquale Machi di raccogliere le opere donate dagli artisti a lui e a Papa Paolo VI, è quella di rapportare l’arte contemporanea alla spiritualità. Quindi qualunque direttore che lavori alla Collezione Paolo VI, anche se è importante non racchiudersi unicamente e iper settorialmente in un ambito, però è evidente che il museo abbia una sua identità e non è legittimo che il direttore la snaturi. Il museo ha una sua storia e va rispettata.

È anche un modo per avere una riconoscibilità, una caratteristica. Essendo un museo piccolo non ci possiamo permettere grandi mostre. Nel caso specifico di Andy Warhol noi portiamo un video ma questo video era inserito in una mostra molto grande e importante che ha organizzato l’ente Andy Warhol Museum di Pittsburgh che ci ha prestato questo video. Era fatta di molte opere questa mostra, ma noi non saremmo in grado di portarle a Concesio. Il fatto di caratterizzarci per la ricerca tra l’arte contemporanea e la spiritualità ci consente di avere una riconoscibilità ben più che locale. Il nostro non è un pubblico facile da portare a Concesio, anche per una collocazione geografica. Certo è anche che se ci si occupa di arte contemporanea guardando alla spiritualità ci conoscono, sanno quello che facciamo. Con l’online siamo riusciti a raggiungere pubblici distanti geograficamente ma che fanno parte di quella nicchia a cui noi apparteniamo. Diventa quindi un elemento di forza, anche se si hanno meno temi a disposizione ma

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allo stesso tempo, ti specializzi e diventi un riferimento per quel tipo di caratteristica.

Poi certo anche la questione economica è rilevante. Già solo il trasferimento delle opere comporta un investimento in termini economici non ammissibile per la Collezione Paolo VI.

COME VENGONO SCELTE LE MOSTRE?

Riguardo il tema del metaverso e delle nuove tecnologie come gli nft, ero interessante capire come viene affrontato dai musei, soprattutto nel caso della Collezione Paolo VI che è legata all’ambito della spiritualità.

Sicuramente non c’è chiusura verso il tema però bisogna tener conto di una serie di cose.

Noi abbiamo tutte opere che, per ovvie ragioni essendo di artisti scomparsi da meno di settant’anni anni, sono ancora tutelate dal diritto d’autore quindi un’esposizione nel metaverso è tutelata dal diritto di riproduzione per il quale dovremmo corrispondere una certa quota, perché l’opera fisicamente è nostra, ma il diritto di riproduzione appartiene all’artista o agli eredi aventi diritto, come gli archivi, le fondazioni o i parenti dell’artista. Questo un po’ ci limita e limita anche la nostra comunicazione in senso generale.

Il metaverso è sicuramente qualcosa che ci interessa ma fino al giusto.

Nel momento in cui il metaverso sarà vivo, lì potrà costituire un’alternativa virtuale alla vita di tutti i giorni e avrà una sua efficacia. In questo momento, potremmo pensare di attuare qualcosa nel metaverso compatibilmente con la legge del diritto d’autore. Dopodiché non bisogna dimenticare che il motivo per cui esiste il museo è che vi sono delle opere fisiche che meritano di essere conservate e valorizzate. L’opera d’arte va sempre vista fisicamente in termini generali. Soprattutto si rischia come per esempio la Van Gogh Experience, da un certo punto di vista può sembrare uno strumento di intrattenimento che avvicina le persone che non andrebbero in un museo, ma dall’altro lato rischia di far

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dimenticare che La notte stellata è un quadro di piccole dimensioni, fatto a mano, in cui le immagini sono ferme. Nella versione interattiva avendo pavimento, pareti e soffitto che ingigantiscono i dettagli, si muovono e creano degli effetti, non stiamo parlando della stessa cosa. Il motivo per cui siamo alla Van Gogh Experience è che, in realtà, esiste un quadro di Van Gogh, il quale, come oggetto dipinto piccolo o statico, merita di essere conservato. C’è il rischio nella virtualizzazione di perdere l’essenza della concretezza.

Altro discorso è invece un’opera che nasce per il virtuale.

PASSANDO ORA ALL’AMBITO DELLA COMUNICAZIONE, IN PARTICOLARE QUELLA CHE SI SVILUPPA ATTRAVERSO I SOCIAL MEDIA, QUAL È IL SALTO CHE UN MUSEO HA DOVUTO E DEVE FARE PER AFFRONTARE QUESTO TIPO DI CAMBIAMENTO ANCHE IN CONFRONTO ALLA TRADIZIONALE COMUNICAZIONE OFFLINE, CARTACEA? COME VIENE VISTO QUESTO TIPO DI MEDIUM DA UN MUSEO?

Viene visto molto bene. Ormai è difficile che anche i più accaniti sostenitori di una tradizione di un museo come istituzione conservatrice, rifiutino l’idea di una comunicazione digitale, social e più friendly perché sui social è una comunicazione un po’ meno scientifica.

Certo ci possono essere valutazioni differenti circa le sfumature, nel senso che, si può legittimamente valutare l’opportunità di avere un’influencer che banalizzi eccessivamente dei contenuti pur di avere un aumento di visibilità. Sulle sfumature si può discutere, perché un’istituzione da un certo punto di vista, soprattutto se il museo è importante, dovrebbe mantenere un equilibrio tra questi due elementi.

La comunicazione social incide molto. Noi non stampiamo quasi nulla dal 2017 per non disperdere delle risorse e cerchiamo di ottimizzare tramite una spesa contenuta che ci permette di raggiungere l’obiettivo. Non che il cartaceo sia superato perché continua ad avere una sua efficacia promozionale importante. Oggi, però, dovendo scegliere mi sento di dire, che nell’equilibrio tra la spesa e la resa, il digitale è più utile e conveniente.

Dal nostro punto di vista funzionano bene sia i social che la newsletter, la quale è uno strumento molto più ingaggiante. Ora stiamo lavorando per creare una li-

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GIUDIZIO UNIVERSALE NON CE L’AVREMMO”

nea di distribuzione su Whatsapp anche se ci vorrà del tempo ad attivare perché si tratta di costruire una lista con una cessione di dati importante che segue delle direttive privacy specifiche.

Nell’ambito dell’arte contemporanea a Brescia, invece, secondo alcuni sondaggi che ho eseguito per la mia ricerca di tesi, ho riscontrato una percezione comune di sfavore verso l’arte contemporanea sul territorio, soprattutto nel centro città. Mi piacerebbe sapere se, dal suo punto di vista, esiste questa difficoltà e se si può fare di più.

Partendo dal presupposto che si può sempre fare di più, però dal mio punto di vista, nei confronti dell’arte contemporanea c’è sufficiente apertura. Può essere che non ci sia una facilitazione forte nei confronti di alcune associazioni che lavorano sul tema, nei confronti anche del sistema delle gallerie, talvolta c’è ancora quella diffidenza da parte delle istituzioni nei confronti di chi mescola la dimensione artistica a quella commerciale. Ma ovviamente se le opere non si vendono l’artista non fa il suo lavoro. Quella base commerciale di produzione di valore che si vende è indispensabile.

Se Michelangelo avesse dovuto fare il panettiere perché nessuno gli pagava nulla, noi il Giudizio Universale non ce l’avremmo, perché non avrebbe avuto il tempo per farlo e non avrebbe potuto dedicarsi in maniera assidua alla ricerca costante di progredire e di fare qualcosa di significativo.

Talvolta viene guardato con sospetto e diffidenza perché l’istituzione pubblica non vuole unirsi a certe dinamiche di mercato.

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“SE MICHELANGELO AVESSE DOVUTO FARE IL PANETTIERE PERCHÉ NESSUNO GLI PAGAVA NULLA, NOI IL

È un po’ più facile quando si parla di un patrimonio archeologico vincolato che è statalizzato, pubblico e l’autore non è vivente e non è legato al diritto d’autore.

Un’altra questione è legata a una polemica che è stata fatta nei confronti del GAMEC di Bergamo accusato di non aver dato attenzione e rilievo agli artisti bergamaschi. Capisco la logica della polemica ma il tentativo della GAMEC è stato quello di sprovincializzare l’istituzione. Ha iniziato a farlo da qualche anno con la direzione di Lorenzo Giusti che ha dato uno sguardo internazionale alla GAMEC con iniziative innovative come con radio GAMEC in cui sono stati chiamati artisti internazionali di spessore importante a interloquire su alcuni temi.

Da un certo punto di vista, c’è una forma di disattenzione per la produzione locale che tuttavia non è per escludere qualcuno ma è per cercare una via internazionale. Comporta delle esclusioni ma anche perché nel momento in cui consento a qualcuno di esporre poi mi trovo anche a dover soddisfare anche le richieste di altri e mi risulta difficile poter giustificare le scelte. Una scelta che può fare Brescia Musei è di evitare delle polemiche locali che portano a dissapori non necessari per la crescita del sistema ma non è fatto per escludere qualcuno. Se poi è vero che c’è questa esterofilia è anche vero che l’artista locale godrà di visibilità altrove.

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Ringraziamo Paolo Sacchini capo dipartimento Comunicazione e didattica dell’arte; coordinatore della Scuola di Arti visive contemporanee docente di Storia dell’arte contemporanea, Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia Direttore della Collazione Paolo VI

RIFLESSIONI SULL’ARTE

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Paolo Sacchini Collezione Paolo VI Francesca Bresciani Line Culture

SULL’ARTE CONTEMPORANEA

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Line Culture nasce da un’idea degli attuali presidente e vice presidente Marco Guidetti e Simone Petruzzi che hanno avuto l’intuizione di fare qualcosa per la città senza sapere all’inizio nel concreto di cosa occuparsi.

Dopodiché sono subentrate altre figure, tra cui Mattia Cherubini e Ilaria Cherubini che hanno capito di voler lavorare sulla rigenerazione urbana. Infatti, Line Culture diventa un’associazione culturale a partire dal 2021 che si occupa proprio di rigenerazione urbana e nel dicembre dello stesso anno c’è stato il primo evento negli spazi del MOCA. Xit zero che poi è diventato XIT Brescia. All’epoca erano in sette e in questo evento hanno lasciato spazio a urbanisti, progettisti, ambito di architettura e urbanistica per portare degli esempi pratici attuati in tutta Italia.

Successivamente si amplia l’organico e si arriva a trenta persone. Avendo più risorse si amplia la proposta di progetti.

L’anno scorso c’è stato il progetto più importante e rappresentativo che è stato Xit Brescia, progetto di riqualificazione urbana, che intende fare rete tra le associazioni del territorio. Line è un’associazione under 30 che si pone come obiettivo proprio quello di diventare da mediatore tra le associazioni under 30, in ambito culturale a partire dal linguaggio artistico, quindi chi fa o comunica arte, ma anche gruppi di teatro; con le istituzioni.

Noi abbiamo questo contatto con il comune di Brescia, la vice sindaca e la sua segretaria che ci stanno seguendo per creare degli eventi e degli interventi sul territorio.

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COME ASSOCIAZIONE, QUANDO SIETE NATI E QUALI SONO I VALORI CHE VI HANNO SPINTO AD APRIRE UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE?

INTERVISTA A FRANCESCA BRESCIANI

collaboratrice dell’Associazione Culturale Line Culture

Noi come prima proposta abbiamo formulato quella di Xit Brescia che vede l’intervento all’interno delle biblioteche di quartiere. Noi abbiamo ragionato perché spesso il palinsesto culturale cittadino, quindi la proposta viene fatta all’interno del centro città e le zone e i quartieri decentrati non hanno la possibilità di vivere in maniera quotidiana la proposta culturale. Nei quartieri l’unico presidio culturale è la biblioteca che talvolta, presa in senso generale come istituzione, ma nel particolare vive delle dinamiche socioculturali proprie del quartiere è già vissuta tanto, altre volte invece non lo è abbastanza. Fatto sta che il primo evento di Xit Brescia, nuovi immaginari, è stato in Castello per creare dei primi tavoli di co-progettazione tra i bibliotecari delle biblioteche di quartiere e le associazioni under 30 che abbiamo mappato nei mesi precedenti. Quindi, noi come Line Culture, siamo entrati in contatto con le associazioni, con le biblioteche e li abbiamo messi insieme perché il punto comune di tutte le biblioteche è quello che non riescono ad intercettare i bisogni dei giovani under 30. Finché si parla di scuole ci sono programmi apposta, quando si è adulti ci sono i figli coinvolti e quindi si torna a frequentare la biblioteca. Mentre, nel momento in cui si parla di giovani under 30, se non c’è l’obbligo da parte della scuola, si vive il luogo come servizio, quindi come momento di prestito del libro. Quello che noi invece vogliamo cercare di fare è rendere la biblioteca uno spazio che sia effettivamente vissuto dalla cittadinanza e quindi anche dai giovani under 30 e stiamo lavorando nell’ottica degli spazi ibrido socioculturali. Vivere uno spazio come se fosse un ambiente che ti accoglie, aperto, dialogico che ti permette di viverlo e di fruire di attività in maniera attivo e partecipata.

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A LIVELLO TECNICO COME SI STRUTTURA UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE. ANCHE PENSANDO AL LATO ECONOMICO, QUALI SONO LE DINAMICHE DI FINANZIAMENTO E/O DI AUTOFINANZIAMENTO? E QUANTO È FATTIBILE ATTUARE QUESTI PROGETTI A LIVELLO TERRITORIALE A BRESCIA?

Partendo dal presupposto che, come tutte le associazioni, abbiamo un budget molto limitato ma che comunque ci permette di organizzare quello che progettiamo.

Noi riceviamo i fondi da Fondazione SMA che ha deciso di destinare dei soldi ad associazioni under 30 e noi di Line Culture ci proponiamo come mediatori per questo tipo di associazioni.

Noi prendiamo i soldi che ci danno e li ridistribuiamo. Per gli eventi con le biblioteche abbiamo dato i nostri fondi ad altre associazioni che hanno organizzato gli eventi nelle biblioteche.

Per ora noi membri facciamo un volontariato. Sono tante ore di lavoro.

A livello di organizzazione noi siamo divisi in team e principalmente ci sono:

• Team del progetto Xit

• Team di comunicazione

• Team Fund che si occupa di cercare degli sponsor che ci possano finanziare

• Team trasversali come quelli dell’allestimento

• Team Gest per la gestione della parte economica Facciamo molte videochiamate perché molti si trovano all’estero. Nello specifico una videochiama a settimana con tutti e poi una con quello che sarebbe il consiglio di amministrazione con il project manager e il dirittore artistico e riportano quello che sta succedendo nel proprio team per gestire poi anche la parte gestionale e di rendicontazione.

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Il nostro è un gruppo molto eterogeneo. In primis per noi è stata molto importante la collaborazione con il Comune. Noi siamo riusciti ad attuare il progetto di Xit Brescia con le biblioteche perché è stato il comune comunicare questo tipo di intervento. Dopodiché è tutto un telefonare e occuparsi di crearsi dei contatti, cercare una comunicazione diretta con quelli che ci sembrano spazi e proposte interessanti con le quali possiamo lavorare.

Per quanto riguarda la comunicazione, abbiamo un team che si occupa solo di questo e viene fatta nella maggior parte sui social e nel nostro caso abbiamo Instagram, Facebook e Linkedin. C’è la comunicazione degli eventi che riguarda la parte più grafica, presentazioni di chi collabora con noi e poi ci sono anche delle rubriche come, per esempio, la rubrica “moon by art”, più culturale che racconta di esempi di spazi vivi socioculturali. In base a quello che succede nel mondo se per noi è un contenuto interessante lo riproponiamo e lo condividiamo. Sono delle rubriche che ci permettono di tenere alta l’attenzione attiva della pagina anche in momenti in cui per esempio adesso non abbiamo nessun evento imminente.

Per quanto riguarda la comunicazione offline viene fatta ma non tantissimo. Quando ci sono degli eventi stampiamo qualche poster, manifesto da portare in giro, soprattutto in zona San Faustino che è la zona più frequentata dal target che ci interessa o quando si lavorava nelle biblioteche, nel quartiere della biblioteca stessa. Per il primissimo evento Xit Zero avevano anche fatto volantinaggio.

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COME SIETE RIUSCITI A FARVI CONOSCERE SUL TERRITORIO E COME GESTITE LA VOSTRA COMUNICAZIONE? È PIÙ ONLINE O OFFLINE?

Per quanto riguarda la partecipazione degli eventi, si parte molto da quelle che sono le nostre conoscenze e poi cerchiamo di ampliarlo portando persone da fuori tramite i social ma anche lavorando sulla comunità di prossimità, coinvolgendo la comunità del luogo che spesso non coincide con i nostri follower.

COME FUNZIONA UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE DAL PUNTO DI VISTA DECISIONALE? CHI PROPONE E APPROVA I PROGETTI?

Ci sono dei ruoli perché ovviamente quando si costituisce un’associazione è necessario che vi siano dei ruoli istituzionali come quello del presidente.

In realtà per noi è tutto molto orizzontale perché le proposte arrivano da chiunque. Possono arrivare dal direttore artistico che principalmente è quello che si occupa di queste cose, ma non esclusivamente.

Abbiamo definito un workflow che ci permette di fare ordine su questo tipo di cose e quindi abbiamo degli step che riguardano proprio la formulazione di proposte. Nel momento in cui qualcuno ha un’idea deve preparare un documento di progetto che poi presenterà al cda, anche se non ci piace chiamarlo così, perché ci sono sì i rappresentanti di team ma nel concreto è aperto a tutti. È durante questa riunione che vengono prese le decisioni o che prende in considerazione l’idea e poi si discute sulle necessità, le risorse e la fattibilità dell’idea.

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NELL’AMBITO DELL’ARTE CONTEMPORANEA A BRESCIA, INVECE, SECONDO ALCUNI SONDAGGI CHE HO ESEGUITO PER LA MIA RICERCA DI TESI, HO RISCONTRATO UNA PERCEZIONE DI MANCANZA DI SPAZI DEDICATI ALL’ARTE CONTEMPORANEA SOPRATTUTTO NEL CENTRO CITTÀ. MI PIACEREBBE IL TUO PUNTO DI VISTA A RIGUARDO. SEMPRE LEGATO AL CONTEMPORANEO MA SUL VERSANTE DIGITALE INVECE IL PUNTO DI VISTA DELLA VOSTRA ASSOCIAZIONE CULTURALE NEI CONFRONTI DEL METAVERSO.

Il metaverso è un tema che, come associazione, non abbiamo mai affrontato e non ne abbiamo mai discusso, probabilmente perché per adesso è una cosa abbastanza distante per quello che fa Line Culture operando nel concreto sul territorio.

Dal mio punto di vista, riguardo l’arte contemporanea non sono del tutto insoddisfatta o pessimista per la proposta che c’è sul territorio bresciano.

Il problema di Brescia è che quando non hai un’istituzione museale che si occupa di arte contemporanea, sembra che il contemporaneo sia qualcosa che non arriva. Si parte da una mancanza che c’è e si sente ma dall’altra parte mi sento di dire che ci sono molte proposte legate anche al contemporaneo di valore.

Brescia, soprattutto la città, non è tanto grande e per la presenza delle realtà che ci sono e che vi opera ha davvero delle proposte valide.

Anche io precedentemente avevo la percezione che non ci fossero proposte di questo tipo. Effettivamente quando sei un outsider e non sei inserito nell’ambito delle mostre e delle gallerie, continui a pensarlo, un po’ perché le gallerie non hanno interesse di avere molto pubblico.

Minini, Apalazzo e Palazzo Monti sono già presidi culturali molto importanti.

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C’è un problema a livello di comunicazione perché risulta ancora inaccessibile ed elitario, difficile da comunicare ma nella realtà poi non lo è.

Ci sono realtà più istituzionali che inevitabilmente richiamano una cerchia e una nicchia di persone. Ci sono poi realtà meno formali e più disimpegnate, con approccio più democratico e giovane alla cultura, ma non sono ancora abbastanza conosciute. Come, per esempio, Spazio Contemporanea riesce a rendere informale l’arte contemporanea avendo sì, un pubblico diverso rispetto a quello della galleria ma pur sempre facendo cultura. Oppure CALICANTO è uno studio aperto e organizzano eventi non soltanto di loro opere ma anche di altri artisti.

Quindi si parte da un pretesto culturale ma diventa spazio di aggregazione che non è quello del settore artistico esclusivo ma è comunque un luogo aperto.

Ovviamente la galleria resta per linguaggi artistici di alto livello però dall’altra parte queste realtà ti permettono di vivere la cultura quotidiana in maniera più libera e disimpegnata.

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“SI PARTE DA UN PRETESTO

CULTURALE MA DIVENTA SPAZIO DI AGGREGAZIONE CHE NON È QUELLO DEL SETTORE ARTISTICO ESCLUSIVO MA È COMUNQUE UN LUOGO APERTO.”

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COLLEZIONE PAOLO VI - CONCESIO

La sede espositiva, inaugurata nel 2009 da Papa Benedetto XVI e visitabile dal 2010, fa parte di un più ampio complesso monumentale che comprende tre corpi di fabbrica: l’edificio più a nord ospita l’Istituto Paolo VI, un centro internazionale di studi sulla figura di Montini, quello centrale accoglie il museo e l’edificio curvilineo più a sud svolge la funzione di auditorium per 250 persone.

Gli edifici vennero costruiti sull’area di pertinenza della Casa Natale della famiglia Montini, con il fine di congiungere idealmente gli spazi della giovinezza del Santo Padre con i nuovi spazi che accolgono l’eredità tangibile e intangibile del suo apostola

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65 LINE CULTURE
IL VUOTO

LO SPAZIO doppiostrato

Giada Piccoli

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Giada Piccoli

Giada Piccoli è una visual designer e fotografa, co-fondatrice di Punctum.

Nata a Desenzano il 9 dicembre 1996, ha frequentato il liceo scientifico Gonzaga di Castiglione delle Stiviere a Mantova.

Successivamente si laurea nel corso di Grafica e Comunicazione all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia a Brescia, dove ora vive.

Abbiamo approfittato di questa nuova associazione per mettere in mostra le sue fotografie analogiche.

Doppiostrato è il titolo del suo progetto. Nasce concretamente nel 2020 ma viene ideato da Giada durante il liceo, quando inizia a fotografare.

Inizialmente erano scatti inconsapevoli, ma successivamente Giada comprende che grazie alla fotografia può esprimere il modo

in cui lei vede la realtà che spesso non corrisponde all’idea che gli altri si fanno del suo punto di vista.

Quindi doppiostrato diventa un’ affermazione d’identità, l’espressione di una parte di sé che non tutti riescono a vedere o che recepiscono erroneamente.

Il progetto sottolinea la lettura di due sfumature esistenziali perché ognuno di noi è costituito da quello che gli altri vedono di noi e da quello che noi vediamo di noi stessi.

Di seguito riportiamo una selezione delle fotografie che Giada ha scelto per la sua prima esposizione a Punctum.

Insieme ad esse vi saranno dei render della progettazione della mostra e alcuni estratti della sua prima fanzine.

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DOPPIOSTRATO mostra fotografica

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FANZINE

Giada Piccoli

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77 DOPPIOSTRATO 01

eventi sul territorio

VEN 20 GENNAIO

U!

Teatro Chiostro

San Giovanni

TEATRO

SAB 21 GENNAIO

Inaugurazione Bergamo

Brescia Capitale delle

Cultura 2023

Piazza Loggia

EVENTO CULTURALE

Tutti fenomeni

Latteria Molloy

SPETTACOLO

DOM 22 GENNAIO

Arcipelago. Storie storie

storie di Teatro Telaio

Area Teatro Canossa

Campus

TEATRO

MER 25 GENNAIO

Ale e Franz. Comincium

Teatro Santa Giulia

TEATRO

GIO 26 GENNAIO

Dream Theatre

Gran Teatro Morata

TEATRO

DOM 12 FEBBRAIO

DiAiUai Festival

Terza edizione

C.S.A Magazzino 47

FESTIVAL

SAB 18 FEBBRAIO

Festival dell’Oriente

Brixia Forum

FIERA

SAB 18 FEBBRAIO

MO.CA Suona Pop

MO.CA

MUSICA

DOM 19 FEBBRAIO

Queen at the opera

Gran Teatro Morata

TEATRO

VEN 24 FEBBRAIO

Cardio Drama

Teatro Chiostro San Giovanni

TEATRO

MAR 28 FEBBRAIO

Grease

Gran Teatro Morato

TEATRO

VEN 3 MARZO

Isreael Galvàn

Teatro Grande

DANZA

8-12 MARZO

Lotto, Romanino, Moretto, Ceruti

Palazzo Martinengo

ARTE

MER 15 MARZO

Pensatori al pianoforte

Teatro Grande

MUSICA

8-26 MARZO

I Macbeth

Teatro Mina Mezzadri

TEATRO

22-26 MARZO

Le ferite del vento

Teatro Sociale

TEATRO

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proposte di Punctum

DOPPIO STRATO

La mostra di doppiostrato della fotografa e visual designer Giada Piccoli è un’affermazione d’identità. Due sfumature esistenziali: ognuno di noi è costituito da quello che gli altri vedono di noi e da quello che noi vediamo di noi stessi.

mostra

workshop 15-03

SVILUPPIAMOCI

Un laboratorio immerso nella fotografia analogica che ha come obiettivo principale l’insegnamento dello sviluppo delle pellicole dei rullini fotografici.

workshop 21-04

Workshop dedicato allo studio dei caretteri tipografici e all’utilizzo di essi per la creazione di prodotti editoriali

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28-02 / 30-02 SEI IL MIO TYPO
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