Il cappello a cilindro

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Sebastiano A. Patanè-Ferro

Il cappello a cilindro poemetto ma non troppo

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©”Il cappello a cilindro” by Sebastiano A. Patanè-Ferro Catania 2015 © progetto grafico di Ilaria Giacobbi Roma 2015

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Introduzione di Ilaria Giacobbi

“Per gli Scolastici, in primis Tommaso d’ Aquino, solo gli angeli possiedono un linguaggio privo di parole, di simboli, di concetti, a loro infatti non servono segni per rinviare a esperienze, perché a queste attingono direttamente; per noi umani occorre invece la mediazione dei segni, al di fuori dei quali le esperienze risultano inesplicabili e informi, inattingibili” “La parola mi dà ciò che significa ma prima lo sopprime (...). Il senso della parola esige, dunque, come prefazione ad ogni parola, un’immensa ecatombe (…). Dio aveva creato degli esseri, ma l’uomo ha dovuto annientarli. E allora che essi acquistarono senso per lui”. Pensiamo a quanto differisce la figurazione dalla parola: la prima é in grado di conglomerare in una totali5


tà istantanea e visiva ciò che la seconda può soltanto esporre in modo sequenziale.

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Accostare le leggi dell’ immagine a quelle del discorso, stupisce e affascina, controvertirle è quasi impensabile: lo fa Sebastiano A. Patané-Ferro ne Il cappello a cilindro, poemetto ma non troppo in una realtà altra, nella surrealtà. Tante parole che si convertono in immagini, quelle della dimensione onirica: secondo Freud il sogno è identico a un rebus, nel quale le immagini rinviano a parole quasi ne fossero derivazioni. Leggiamo Il cappello a cilindro, chiudiamo gli occhi aprendo quelli della mente e sogniamo: ci ritroviamo nel mondo di Chagall, nei suoi dipinti pieni di contraddizioni e di contrari. Così come Chagall dipingeva come addormentato, in sogno, una notte in cui brillano il sole e la luna, la vacca è un agnello, il maschile è anche femminile, la sposa è bifronte e gli amanti si separano restando uniti, gli occhi sono aperti e chiusi, ebraismo e cristianesimo si fondono, morti e vivi convivono in un’accoglienza illimitata dell’Essere e del Nulla... Sebastiano A. Patanè-Ferro dipinge parole. Ed ecco che da un cappello magico non escono più colombe o coniglietti bianchi, ma occhi senza pesi o vaneddi oscuru, occhi d’amore che spariscono dietro il sipario pronti a tornare per un’altra performance.

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Ci troviamo proiettati in una surrealtà in cui il significato della parola AMORE prende forma nella sua essenza e diventa quello tormentato di Jeanne e Modì ma anche quello simbiotico e totalizzante di Dalì e Gala. Il cappello é appeso al chiodo, i dinosauri scomparsi, il sogno termina e... Diviene Poesia!

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Il cappello a cilindro Catania 2015

a tutti coloro che credono in qualcosa di supremo ma anche a quelli che credono nell’indispensabile a volte anche minimo a Daniela Casarini, mio mentore ad Anna, mia cura

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forse un bus che non faccia fermate sarebbe l’ideale ma non sei solo e devi aspettarti di tutto

i passeggeri ti chiedono sempre qualcosa a cui non vuoi rispondere e a loro non basta un cenno col capo forse s’aspettano che dal cilindro tiri fuori qualcosa di spettacolare un dono che magari non svanisce alla fine dell’illusione ce l’avevo un cappello magico ma non ne uscivano colombe o coniglietti bianchi (come faranno poi…) da quel cappello venivano fuori occhi senza pesi o vaneddi oscuru, occhi d’amore che sparivano dietro il sipario pronti a tornare per un’altra performance

quella soltanto

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vorrei ritrovarlo quel magico cilindro per farne uscire sedie e vernici cosĂŹ da colorare il cielo e ascoltare seduto, la sinfonia di ogni sospiro perchĂŠ quello che rimarrĂ , dopo sarĂ solo silenzio e buio ed ali chiuse sopra ogni mare

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[non finisce l’amore non è un castello di sabbia non finisce l’amore è la passione che crolla perché non sono solo fisiche distanze ché quelle, per magia le possiamo ricreare è il desiderio di scoprirsi sempre migliori che marcisce spesso, per troppa acqua per troppa cura]

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dal cappello a cilindro adesso vorrei uno specchio magico che mi dica della strada e dei crocicchi dove non ci si deve confondere e della fermata che non si può saltare

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lui riferì dell’amore perché ne sapeva tanto ma nell’incanto delle notti brevi il divertirsi si diradava passo passo verso l’orizzonte magia di niente e senza sangue versato poi (e per ogni poi una vita) dal gesto e dalla parola emerse lei che non sapeva nulla dell’abbraccio o delle mani che si muovono impietose gettò l’ancora in quella rada secca poi (e per ogni poi un grido) lasciò che lui la trasformasse in qualcosa che sapeva d’essere ma senza coraggio e girò le funi attorno all’incantesimo è questo l’amore? è questa la magia? poi (e per ogni poi un bacio) lui riferì che non era un uomo ma un capello a cilindro con tanti sottofondi e pieghe interne dove nascondeva i coniglietti ma anche i desideri quando l’illusione veniva sopraffatta poi (e per ogni poi un dolore) 16


lei vide sorgere due soli uno era quello vero l’altro pure ma più stanco e pieno di scritture nessun giallo confuse come allora e l’illusione prese il sopravvento proprio dentro il cappello poi (e per ogni poi una risata) lui divenne coniglietto e sparì nel sottofondo lei volò ma non portò nessun alloro solo mani nuove aperte al giorno chiaro e un paio di mutande di ricambio

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sappiamo una cosa il mio cappello ed io che l’illusione ha un tempo e le montagne non si possono fermare con una bacchettina specie quando sono piene di turisti i tragitti hanno carovane immobili tra le dune dentro il cilindro mentre il miraggio continua a ruotare con tutte le sue braccia a molla e consapevole o no lascia fermentare fino all’ultima stilla di beccheggio la madre patriarca risolve con un cenno il dubbio del credere e nel sistema insinua la pulce della curiosa intelligenza cercando di stanare la duplice chimera testa a ventaglio e collo modigliani il cilindro suona l’ultima magia pietra su pietra ho costruito un mondo che adesso è polvere che il vento porta via e nessuno saprà mai cos’era prima

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ora che il cappello è appeso al repertorio del chiodo che i dinosauri sono scomparsi definitivamente ora che la solitudine non trova pillole convenzionate, si apre un pensiero a forma di falce e taglia quei pochi steli che farebbero compagnia in ogni angolo si scorge una miseria che condanna l’ingannevole artefatto -cosa sei stato- chiede l’antico specchio delle mie brame ché ora è lui a far domande -cosa hai fatto perché ci si possa ricordare di teneanche bravo a contare le colombe preso da bambole ignoranti giallo pesca che scappano in groppa ai coniglietti verso la contea cromata di puffo ballerino a muovere le dita in cerca almeno di un’improbabile penultima carta

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[conclusione con vecchia poesia]

ci dissero di fermarci presso i formicai che era una bella vista quella dittatura ci dissero di andare a ridosso del lago ad onorare Ofelia ci fermammo dietro le ingenue cadenze della notte guardona che pretendeva sesso noi, in vece, ci amammo - senza pose gole aperte prima dei colori, ancor prima senza traccia in-cidente dove la mente schiuma il corpo nell’ipotesi del congiungimento

fummo uno solamente

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[la separazione è una funzione fisiologica e non c’entra con l’amore non c’è più affermazione, fuga, rimpasto nuclei sfaldati, perforati dal cecchino insolente della noia, del silenzio dialoghi del niente con il nulla muto aggrovigliarsi di corde senza più cuscini]

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fummo nuovamente due

ci dissero di prendere la scorciatoia -ricordo era giĂ buio- e di stare attenti ai fossi ci accorgemmo, in silenzio, di una stremata piana senza ombre e contammo il moltissimo lontano sulle nostre ultime mani

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[aspetto e cerco ma il tempo non accenna a migliorare]

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