Il rifugio magico

Page 1

Norman Manea Il rifugio magico Traduzione dal romeno di Marco Cugno

Il rifugio magico.indb 3

1-03-2011 16:42:54


Il rifugio magico.indb 4

1-03-2011 16:42:54


parte prima

Il rifugio magico.indb 7

1-03-2011 16:42:54


Il rifugio magico.indb 8

1-03-2011 16:42:54


Mattina nuova, intatta. Il braccio lungo e forte, da mago, innesca l’illusionismo del giorno. La Lada gialla si ferma rasente al marciapiede. «Alla stazione. Penn Station.» Sopra il volante, la foto e il nome dell’autista: Lev Boltanskij. «Lei è russo?» «Lo ero.» Voce rauca. Faccia larga, occhi piccoli. «Di dove?» «Odessa.» «Odessa è in Ucraina, se non sbaglio.» «Unione Sovietica! Odessa, e dunque anch’io, siamo sovietici. Pochi sanno la differenza tra Russia e Ucraina. Lei non è americano.» «Adesso lo sono. Come lei.» No, non è necessariamente l’inizio del giorno… L’esordio era stato lo sconosciuto che tendeva una mano piccola, bianca, e un cartoncino bianco, immacolato, con lettere dorate. «Mi chiedevo se non le piacerebbe fare pubblicità. Uno spot televisivo. La paga è buona.»

9

Il rifugio magico.indb 9

1-03-2011 16:42:54


E, prima di lui, il piccolo dottor Koch. E, prima ancora, il pensiero rivolto a Lu, lo smacco di un incontro mancato. Il presente! Il presente, mormora il pedone. Il motto della sua nuova vita: il presente. Nient’altro: il presente! Nella vita precedente esistevano il passato colpevole e l’avvenire radioso, ma rinviato. Adesso, però, adesso… se ne sta attonito davanti allo sconosciuto che gli tende una mano piccola e bianca. «Non abbia timore. Una domanda, che sarà mai! Solo una domanda.» L’ha abbordato in modo brusco. Ma gli ha rivolto la parola in tono pacato, quasi circospetto. L’intruso è un signore sulla quarantina. Soprabito lungo, mohair beige. Camicia bianca, immacolata. Senza giacca. Capelli neri, tagliati corti, occhi neri, irrequieti. Gesti ondulanti, da ballerino o prestigiatore. Prende dalla tasca posteriore dei jeans un piccolo portamonete, di pelle nera. Apre la chiusura magnetica, prende i biglietti da visita. Offre un cartoncino bianco, immacolato, con lettere dorate: il codice del caso. Il pedone non è attento, ipnotizzato dalle calzature dell’importuno. Stivali da cowboy! Il signore elegante porta stivali da cowboy sotto i jeans attillati e costosi. «Faccio il produttore. Curtis. James Curtis.» Così sta scritto sul biglietto da visita: James Curtis, produttore. «Mi chiedevo se non le piacerebbe fare pubblicità. Uno spot televisivo. La paga è buona.» «Pubblicità, io? Che tipo di pubblicità?» «Coca-Cola.» «Io? Coca-Cola?» «Giocatore di scacchi.» «Scacchi e Coca-Cola?» «Sì, qualcosa del genere. Lo scacchista concentrato sulla

­10

Il rifugio magico.indb 10

1-03-2011 16:42:54


partita. A un certo punto, tende la mano verso il bicchiere sul tavolo. Coca-Cola.» «Ah!» fa lo scacchista, sorridendo. «No, mi spiace. Non fa per me.» «La paga è buona, gliel’ho detto. Gli spot vengono ripresi periodicamente, i soldi arrivano automaticamente. Quando uno non se l’aspetta.» «No, non me la sento.» «Ci pensi. Ha il mio biglietto da visita, mi telefoni. Se ci ripensa, mi telefoni.» «Grazie. Gliel’ho detto, io non…» «Never say never, come si dice da noi. Non è americano, vero?» «Perché non dovrei esserlo?… Gli americani non giocano a scacchi? La Coca-Cola la bevono, comunque. Anche la Pepsi. Io non la bevo, ma a scacchi ci giocavo. In gioventù.» «Vede? Lo sapevo io. Ha la faccia giusta. Ci pensi. Ha il mio numero, mi telefoni. Come si chiama?» «Peter.» «Peter e poi?» «Peter.» «Ok, Peter, me lo ricordo. Mi chiami.» «La faccia giusta!» bofonchia il pedone Peter, rimasto solo all’angolo tra Broadway e la 63ª Strada. Così crede il produttore, se lo sarà davvero. Una giornata gradevole, no, dottor Koch? James Curtis, produttore di pubblicità, mi ha offerto la pubblicità del giorno, dottore! Ecco, mi sono guardato allo specchio Curtis. Un passo a sinistra, e poi un altro. Scende dal marciapiede, alza la mano. Taxi! La Lada gialla rallenta e accosta. «Alla stazione. Penn Station.» Sopra il volante, la foto e il nome dell’autista: Lev Boltanskij. «Lei è russo?»

11

Il rifugio magico.indb 11

1-03-2011 16:42:54


«Lo ero.» Accento russo. Voce rauca, da fumatore. Faccia larga, mite, occhi piccoli, denti grandi, fronte solcata dalle rughe. «Di dove?» «Odessa. Pochi sanno la differenza tra Russia e Ucraina. Lei non è americano.» «Ora, lo sono, come lei… Le piace qui, sulla Luna? La capitale degli esuli. Dei lunatici e dei sonnambuli. Le piace? Una meraviglia. Una delle 777 meraviglie del mondo.» Lëva tace, ma sembra attento. «L’isola di Manhattan, comprata per niente, nel 1626, da un francese, Minuit. Per 24 dollari! Saldati agli indiani in perline di vetro. Qui crescevano fragole di bosco e uva selvatica, granoturco e tabacco. Tutt’intorno, lupi, orsi e serpenti a sonagli.» Lev o Lëva tace, ma ascolta. Non fa domande, non sembra interessato al volubile passeggero. Guida rilassato, lentamente, non ha la spigliatezza del tassista newyorkese. Sulla 34ª Strada, davanti alla stazione, spegne con calma il motore e, simultaneamente, il tassametro. «Quant’è?» «Otto dollari.» Il passeggero fruga nelle tasche dei pantaloni. Prima in una, poi nell’altra. Poi, la giacca. Due tasche dei pantaloni, quattro tasche della giacca. Balbetta, non balbetta più. «Due dollari! È tutto quello che ho, due dollari.» «Come sarebbe a dire?» Lo specchietto sopra il volante. Ecco, abbiamo uno specchio, dottore. Il destino mi ha mandato uno specchio, dottore. «Ha detto qualcosa?» chiede il russo ucraino e sovietico. «No, non ho detto niente. Ma non ho i soldi. Due dollari! È tutto quello che ho. Andiamo in banca. Mi scusi, non me ne sono accorto. Le pago anche il tragitto fino alla banca. Lo

­12

Il rifugio magico.indb 12

1-03-2011 16:42:54


sportello della 28ª Strada. Qui vicino, all’angolo. Pochi minuti.» Lëva scruta, nello specchietto, il cliente sul sedile posteriore, brontola qualcosa in russo o in ucraino. Il taxi si avvia, la 28ª Strada è vicina, la banca, all’angolo della strada. Il cliente tace e aspetta. Lëva si volta, per vedere meglio il mentecatto. Lo specchietto non lo soddisfa, vuol vedere in faccia l’imbroglione. «Che fa? Non scende?» «Ho combinato un pasticcio. Sono un pasticcione. La carta di credito è nel portafoglio. L’ho dimenticato. Non ho il portafoglio, me ne sono accorto adesso. L’ho dimenticato in biblioteca. Alla caffetteria della biblioteca. O forse dal dottore. Sono stato da un dottore.» «Ha perso il portafoglio con la carta di credito, è questo che vuol dire?» «Non l’ho perso, l’ho dimenticato. Dal dottore o in biblioteca.» «Ci andiamo? Paga anche il tragitto fin lì, con i soldi che non ha? È questo che vuol dire? Andiamo alla biblioteca o dal dottore?» Il cliente non risponde. «Psichiatra? Il dottore era uno psichiatra? Ma poi, che importanza ha? Qui non ti chiedono della malattia, ma dell’assicurazione. Questo ti chiedono. Ha l’assicurazione? Non dove ha male o dove pensa di aver male. Era uno psichiatra, vero?» «Non è uno psichiatra. E non so dove ho dimenticato il portafoglio. Forse in biblioteca. Torniamo alla stazione, perdo il treno.» «Il treno è gratis?» «Il biglietto ce l’ho. Ho comprato il biglietto andata e ritorno. Ce l’ho.» «Bene, torniamo indietro. Alla stazione. Gratis? No, dimen-

13

Il rifugio magico.indb 13

1-03-2011 16:42:54


ticavo, ha due dollari. Mi dà gli ultimi due dollari, e me ne vado per i fatti miei. Il resto, in perline colorate, vero?» «Mi scusi. La prego di scusarmi. La prego… Guardi, ho una tessera della metro. Nuova, venti dollari. Gliela do. L’ho comprata oggi.» «Quando? Quando l’ha comprata? Prima del dottore o prima della biblioteca?» «L’ho comprata quando sono arrivato alla stazione.» «Cosa me ne faccio di una tessera della metro? Non uso la metro.» «Magari qualcuno della famiglia.» «Ma guarda, mi sovvenziona pure la famiglia! Sarà esaurita. O magari ci sono rimasti due dollari. Meglio prendere i due dollari in contanti, vero? È questo che intende dire?» «Non dico niente. Le chiedo solo scusa. Mi creda, mi vergogno. Sono cose che capitano. Possono capitare a chiunque.» «E quando capitano, cosa facciamo?» «Guardi, andiamo alla stazione della metro. Qui, vicino alla banca. Verifichiamo la tessera alla macchinetta. È nuova, la macchinetta lo dimostrerà. Intatta. Venti dollari. Possiamo controllare. Si fa in un minuto.» «E chi lo fa?» «Be’, io… oppure no, meglio lei. Controlli lei. Io sto qui, in macchina, la aspetto.» «Vado a controllare! E lei, intanto, se la batte.» Segue una frase breve, sibilata. In russo o in ucraino. «Prenda la mia borsa. Senza la borsa non me ne vado, mi creda. È importante. Guardi, gliela do. Rimango qui, aspetto.» Il passeggero tende la borsa sopra il sedile. Lëva la prende, il peso provoca un gemito. «Cos’ha nella borsa, granito? Mercurio? Il mercurio è più pesante, dico bene?» «Libri, sciocchezze. Cose personali.» «Personali! Ecco perché sono pesanti.»

­14

Il rifugio magico.indb 14

1-03-2011 16:42:54


Lëva si dirige verso la stazione della metro, portandosi dietro la borsa. Ha un’andatura da papero, è panciuto. Torna, pencolando a sinistra, per via della borsa col mercurio. «Sì, è nuova. Venti dollari. La prendo.» Fa per entrare in macchina, la portiera viene bloccata da un uomo bruno, all’apparenza italiano. Giacca, pantaloni, cappello, tutto di pelle nera. «Mi serve una corsa a Wescester. Urgente. Ho fretta, le do cento dollari.» «Wescester! Non posso. Sono in un pasticcio. Questo sventato non ha i soldi per pagare.» «Quanto?» «Otto dollari. Anzi, dodici. Ora ne deve dodici.» «Le do gli otto dollari. O dodici, quello che è. Gliene do venti. Centoventi fino a Wescester. Partiamo. Alla svelta, subito.» Lëva guarda il mafioso, fa un passo verso la macchina, alza le mani al cielo, reggendo la borsa, come un sollevatore di pesi.» «No, non vado a nessun Wescester, signore! Porto il passeggero alla stazione. Alla stazione! Perde il treno.» «Alla stazione? Ci può andare a piedi, è vicina. Le do centoventi dollari!» «Non ci vado. Non ci vado, gliel’ho detto!» «Idiota! È un idiota!» urla il mafioso. Lëva non sembra offeso, annuisce: sì, signore, sono un idiota. Restituisce la borsa al proprietario, sbatte la portiera, sputa parole russe o ucraine, si siede al volante. Non avvia il motore. Vuole calmarsi. Stordito, guarda nello specchietto il cliente. «Perché è andato dal dottore? È malato?» Il malato non risponde. «È malato, qualcosa di grave?» «Cosa diavolo dovrei avere?»

15

Il rifugio magico.indb 15

1-03-2011 16:42:54


«Perché è andato dal dottore? Un controllo periodico, come dicono gli americani? Non è mica americano. Che malattia ha?» «Non ho niente, gliel’ho detto.» «Qui siamo numeri e basta. Assicurazione, conto, carta di credito. Numeri e basta. Cosa ci va a fare dal dottore? Per sua moglie? È malata sua moglie? – La moglie?… The significant other, qui si dice così. Moglie, amica, partner. Significant other. È malata?» «No, lavora da questo dottore. Vado a trovarla, di tanto in tanto. Ma lei viene a sapere quando ho un appuntamento. Prima che arrivi io, sparisce. Lo sapeva anche adesso, sono sicuro. Non c’era.» «Divorziato? Cioè, siete separati… Ci va per vederla, anche se lei non vuole? È questo che vuol dire?» «Non siamo divorziati.» «Ok, andiamo alla stazione.» Lëva avvia il motore, la macchina ha un sussulto. La stazione è a due passi. Il cliente scende, la borsa scende. «Aspetti, signore! Si riprenda la tessera della metro. Si porti via questa diavoleria da qui.» «Come sarebbe? Eravamo d’accordo che…» «Se ne vada! Se ne vada, se-ne-va-da!» urla Lëva, imprecando in russo o in ucraino. Il formicaio. Rumore assordante, confusione. Il viaggiatore scopre, dopo un po’, il tabellone delle informazioni. Poi il binario 9. Poi, il treno. il presente, questo è tutto. Non è male, non è male, cadenza il treno lasciando, lentamente, la metropoli. Non è male, può essere peggio, pensa il viaggiatore, esausto, sul sedile. La borsa a fianco, nel posto libero, accanto al finestrino. Osserva la tessera intatta della metro. Dono di Lëva. Ammodo, il russo. Cioè l’ucraino, il sovietico. Ammodo. Am-

­16

Il rifugio magico.indb 16

1-03-2011 16:42:54


modo, è questa la conclusione del giorno, dottore. Lu non c’era, meglio così. Devo abituarmi. Lei si è abituata, probabilmente. No, non si è abituata, altrimenti si sarebbe fatta trovare, non le sarebbe importato niente. Evita il passato, salvaguarda se stessa dal passato. O dal presente, piuttosto. Il presente è passato, per questo non c’era. Perché non avessi uno specchio. Mi salvaguarda dallo specchio vecchio e da quello nuovo. Mi protegge, la mia beneamata. No, il via dato al mattino non era questo… il cronometro del giorno senza ritorno si era innescato, di fatto, nello studio del dottor Koch. «Si guardi allo specchio» ordina il dottore. Il paziente si guarda le scarpe. Gigantesche, scontrose. Mummie, animali preistorici! «Si è guardato negli ultimi tempi allo specchio? Gliel’ho già detto: ginnastica. Ginnastica, dieta, relax! Un tempo, il contadino non soffriva di nevrosi. Neppure il boscaiolo che passava la giornata a tagliare alberi. Il corpo è la nostra dimora. Se non abbiamo cura del nostro corpo, la vita diventa miserabile. Si è guardato allo specchio?» Nuca di piombo. Dolore al braccio. Brividi, sudori freddi, panico. «Butti giù qualche chilo! Faccia un po’ di ginnastica, eviti lo stress. Le fa male la testa? Prenda una pastiglia. Confusione? Apatia? Faccia delle passeggiate. Non c’è nessuna crisi! Se la crisi c’è, chiami il pronto soccorso. Adesso non era una crisi. Disturbi. Disturbi nevrotici. Neurovegetativi, come li chiamavamo un tempo nel nostro paese. Stomaco pigro. Sedentarietà.» Il dottore guarda il paziente, il paziente si guarda, pensieroso, le scarpe. «Ulcera. È possibile. Pressione 140-92. Non è malaccio. Dolori alla nuca? È la vita sedentaria la causa. Faccia del moto,

17

Il rifugio magico.indb 17

1-03-2011 16:42:55


signore! Si è guardato allo specchio? Si è guardato, negli ultimi tempi, allo specchio? Elettrocardiogramma? Soldi buttati. Non è il cuore il problema. Ginnastica, dieta, aria aperta! La ricetta è questa. Lo stile di vita. Si è guardato allo specchio? Si è guardato? Un elefante!» Il paziente lascia, a disagio, lo studio. Si siede su una panchina, nel parco vicino. Venerdì pomeriggio. La fretta prima del riposo. I salariati impazienti di approdare al fine settimana. Sono di nuovo svaniti, chissà quando chissà come, sette giorni e sette notti. Cielo incerto di primavera: ecco là il dottore. Koch-Avicenna, il piccoletto! Lo specchio, ancora lui! Il paziente caccia l’immagine. Il trio di burattinai del parco manovra con le dita fini e nere, nel frastuono della musica, buffe marionette. Saltellano, si azzuffano. Tra loro, il dottore. Viali, a sinistra e a destra. Passanti di tutte le età e le razze. Il dottore tra loro. Il caleidoscopio della Grande Mela ruota, il piccoletto Koch al centro. Il fiume viaggia, lento, a sinistra del treno. Non ci si bagna mai due volte nell’acqua primordiale. Ecco cosa vede, attraverso il finestrino, lungo la ferrovia, il viaggiatore: l’acqua che non invecchia e non è mai la stessa. Neppure l’aria lo è. Neppure l’orizzonte fluido, terapeutico. Passato, presente, futuro, il tempo uguale a se stesso, è questo l’orizzonte? Acque calme, attimi che invecchiano, putridume e deiezioni. L’acqua cresce lentamente, rassicurante, sul passeggero addormentato. Il capotreno gli batte delicatamente sulla spalla. Il treno è fermo in stazione. Prende in fretta la borsa, il giaccone. Scende, è sceso, eccolo, intontito, in stazione, mentre guarda il fiume largo e lento, davanti a sé. Ohibò, è arrivato! La banchina deserta, le montagne all’orizzonte, il fiume a un passo. Pomeriggio sereno, freddo. Il prin-

­18

Il rifugio magico.indb 18

1-03-2011 16:42:55


cipio del mondo. Non immagina quanto vicina sia la fine. La fine del suo mondo. Il cronometro ingoia i secondi dell’armistizio. *** Peter era comparso all’improvviso, come in un sogno o in un incubo. «Peter. Gașpar. Mynheer. Sono Mynheer Peter Gașpar.» Voce dal nulla. Il professor Gora non era più sicuro di dove si trovasse. Scrutava le pareti rivestite di libri. Taceva. Non aveva nessuna voglia di rispondere, la sorpresa era un’aggressione. Peter! Mynheer Pieter Peeperkorn, il celebre personaggio di un libro letto decenni prima? O Peter Gașpar, soprannominato Mynheer, nei caffè letterari balcanici e socialisti? Niente era più sicuro, solo gli scaffali che aveva davanti e nella sua mente. Il solo testo che aveva pubblicato il giovane Gașpar negli anni di «felicità legiferata», come era solito definire il paradiso in cui era vissuto, si intitolava Mynheer. La storia del nomignolo era contorta e bizzarra, il caso era stato complice della biblioteca. Come aveva fatto Peter Gașpar a trovare il numero di telefono del professor Augustin Gora, scomparso nella grande America? «Dove sei? Sei finito qui, in America, all’altro mondo?» Il fantasma conferma: sì, era arrivato da tempo, con una borsa di dottorato alla New York University. «Dottorato? In architettura? A quanto so non eri…» «No, non ero architetto. Solo tecnico-architetto. Al terzo anno di facoltà, quando arrestarono di nuovo mio padre, venni espulso. Tre anni di architettura equivalevano a una scuola tecnica superiore.»

19

Il rifugio magico.indb 19

1-03-2011 16:42:55


«Il dottorato qui è…» «In arte, professore. Storia dell’arte. Nella nostra Patria sonnolenta esistevano corsi serali. Perfino in storia dell’arte. Questo non lo sapevi.» «No, non lo sapevo.» Sì che lo sapeva, il professor Gora sapeva tutto, ma non pareva disposto a prolungare la conversazione. Gașpar non aveva intenzione di diventare esperto in espressionismo tedesco, come prometteva la borsa. Voleva, semplicemente, stabilirsi nel Nuovo Mondo. Proprio adesso, quando le speranze erano rinate nell’Europa dell’Est? L’età non lo favoriva, e non era neppure venuto per il futuro dei figli che non aveva. E allora? Era solo? No, Lu era venuta con lui… era laureata in inglese, come il professor Gora sapeva benissimo. L’inglese la rendeva banale nel mondo dov’era naufragata. Sì, aveva iniziato Peter nella lingua dei nativi, ma i risultati lasciavano a desiderare, dal momento che non capiva, nella metro, i nomi delle stazioni annunciate all’altoparlante. Non avevano, per il momento, diritto a un lavoro. Le informazioni arrivavano laconiche, in risposta alle poche e annoiate domande del professor Gora. «Ne avevo abbastanza, ecco tutto. Non sono un esploratore e non mi interessa fare il turista. Ma non ero mai uscito dal recinto. Neppure una volta! Quarant’anni di felicità legiferata, nello stesso posto! Ora, sono uscito! For good, come dite qui. Ho un assoluto, urgente bisogno di irresponsabilità. Almeno adesso, prima dei funerali. Ir-re-spon-sa-bi-li-tà.» Aveva sillabato, calcando la voce, due volte, come se parlasse a un idiota o solo a se stesso. Ir-re-spon-sa-bi-li-tà. Parlava della fine, non dell’inizio, dell’uscita da una situazione, non dell’entrata in un’altra. Di partenza, non di destinazione. «Hai ragione. Non rivendico un posto nuovo, mi sto sbarazzando di quello vecchio. Il gioco a nascondino con la morte,

­20

Il rifugio magico.indb 20

1-03-2011 16:42:55


su un terreno diverso dal vecchio recinto. Per il momento, ho bisogno di un lavoro. Di uno stipendio. Sarebbe disonesto e noioso continuare la mascherata della borsa. Lu è diventata baby sitter. Le sono sempre piaciuti i bambini, che non ha avuto.» Dunque, veniva per l’avventura l’avventuriero… il professor Gora aveva sorriso, malinconico, guardando gli scaffali pieni di avventure. «Sei venuto per l’avventura.» «Non ho detto avventura. Ir-re-spon-sa-bi-li-tà.» Peter Gașpar aveva richiamato l’attenzione del professor Gora su una cosa: che non pensasse di mandargli dei soldi. Voleva solo dei consigli, di tanto in tanto, o almeno parlare con un conoscente, niente di più. Conoscente? Sì, si erano conosciuti al tempo in cui il professor Gora era il marito di Ludmila-Lu. Desiderava mantenere i rapporti, niente di più, annunciava il nuovo venuto. *** Era passato del tempo dalla nebulosa conversazione con Peter. O era stata solo la nebulosa della mente di Gora? Peter sosteneva che, giunto in America deciso a non cercare Gora, aveva cambiato idea, senza sapere il perché. Era passato del tempo dall’arrivo al momento di questa decisione, era passato del tempo anche dopo quella prima conversazione. Peter era scomparso, ma continuava a ossessionarlo. Il professore si chiedeva come dovesse essere definita la realtà. Chiudeva e apriva gli occhi, vedeva gli scaffali colmi di libri, la scrivania ampia e lustra, il computer, il paio di guanti rossi sul bordo del tavolo, il telefono e un grande dossier aperto, con una risma di fogli bianchi. Peter Gașpar evocava ricordi dei quali non era più sicuro

21

Il rifugio magico.indb 21

1-03-2011 16:42:55


o non voleva più essere sicuro. Aveva una fiducia crescente nei libri, non nei ricordi, non sapeva che farsene dei ricordi. Credeva in ciò che rimane scritto. La mente e l’anima degli interlocutori o dell’interlocutore che era lui stesso erano rimaste nel passato. Straniero fra stranieri, puoi comunque ritrovare amici della vita precedente. Nei libri! I libri della vita precedente lo avevano atteso. Compagni fidati, gli davano il benvenuto in un’altra lingua e in altre lingue. Interlocutori fedeli, pronti a restituirgli le abitudini, a rendere umana la sua peregrinazione. Di Peter Gașpar non sentiva affatto il bisogno. Di Pieter Peeperkorn, sì. Era contento di ritrovare Mynheer Peeperkorn, subito dopo la telefonata aveva riletto i tre capitoli sull’olandese nel voluminoso romanzo degli anni venti. Nel sanatorio della Montagna incantata, Hans Castorp aspetta, nostalgicamente, Clavdia Chauchat. La donna dei sogni appare in compagnia di un favoloso partner. Fronte alta e rossa, rughe fitte. Capelli bianchi, lunghi e radi, barba rada. Naso grosso e bocca grande, labbra squarciate. Mani grandi, lentigginose, unghie lunghe, appuntite. L’olandese domina, con il tono della voce e la statura, la comunità del sanatorio. Parlata a scatti, smozzicata, incoerente. Figlia mia, questo supera ogni mia aspettativa. Li-qui-da-to. Chiuso e liquidato. Un po’ di pane, mia cara. Così Peeperkorn chiamava l’acquavite con la quale si confortava: pane. Pane, piccola mia, che serva di conforto. Secondo il nostro dovere e il sacro impegno. Assoluto. Perfetto. Lo straniero largo di spalle, dalla fronte alta, gli occhi scialbi e la gran testa fiammeggiante di capelli bianchi, era un uomo imponente. Scosso, a volte, dai brividi e dalla febbre. Forza maestosa, incoerenza magnifica. La vita è breve. La nostra facoltà di adempierne le esigenze, ecco, è… Questi sono i fatti, figlio mio. Leggi. Necessità i-ne-so-ra-bi-li.

­22

Il rifugio magico.indb 22

1-03-2011 16:42:55


Messaggi telegrafici, spezzati, significati confusi. Una personalità! La grandiosità di un capotribù, che conquistava il suo uditorio con la sua mimica e il suo sguardo scialbo. La mano grande, da capitano, stretta a pugno, calato pesantemente sul tavolo. Le cose semplici! Le cose sacre! Una bottiglia di vino, una frittata fumante, un’acquavite pura. Un bacio, l’appagamento tocca l’assoluto. Assolutamente, signore. Chiuso, amico mio. Controritmo burlesco. L’impotenza come pure la forza lo facevano crollare. I doni naturali sono grandi e sacri, giovanotto. Le sacre, pudiche esigenze della vita. L’insufficienza non merita il perdono. Il terrore dell’insufficienza. La fine del mondo. Liquidato, figlio mio, li-quida-to. Il volto e la figura di Peter Gașpar, che non vedeva da più di vent’anni e che neppure un tempo vedeva spesso, rimanevano vaghi. Gora ricordava soltanto che non somigliava a Pieter Peeperkorn, non ricordava nient’altro. Il nomignolo aveva un’altra motivazione. Il racconto Mynheer di Peter Gașpar aveva fatto un certo qual rumore tra i letterati della Patria socialista. Gli schiavi costretti ad acclamare la schiavitù sono contenti di percepire il benché minimo segno di insubordinazione, una strizzatina d’occhio, un accenno di dileggio. Era stato il tritolo nascosto nel racconto a conferire a Peter Gașpar la celebrità nel sotterraneo socialista? Un racconto, che sarà mai! Su una rivista di provincia! Quarant’anni dopo il famoso romanzo del famoso Thomas di Lubecca! Una qualche allusione codificata, sfuggita agli occhi della censura? Accadevano anche stranezze del genere, ben presto dimenticate. L’autore era stato investito, subito dopo l’uscita del racconto, del nome del suo personaggio. Che non era neppure un nome, ma un appellativo divenuto nome. Mister, Monsieur, Messere. Mynheer! Il nome-soprannome cir-

23

Il rifugio magico.indb 23

1-03-2011 16:42:55


colava nei caffè letterari, e poi anche al di fuori. Il rumore nato intorno a Peter Gașpar persisteva, l’autore in seguito non aveva più pubblicato niente del genere, ma l’aureola non svaniva. Nel paese di tutte le voci, si vociferava che Peter fosse l’autore di altre sciarade letterarie, che nessuno conosceva. Si sussurrava che lavorasse, in segreto, a un capolavoro. Illazioni, pane nero, all’aglio, della dittatura. Tecnico qualsiasi presso un’azienda socialista qualsiasi, Gașpar collaborava a riviste culturali con brevi testi ironici, evitando la lingua di legno dell’ufficialità. Cronache sportive, teatrali e artistiche, addirittura cronache filateliche e ippiche. Lo si vedeva agli spettacoli, ai vernissage e alle feste tra amici, messo in imbarazzo, ma non abbastanza, dal suo prestigio fantomatico e persistente, ossessionato dalle spie che brulicavano ovunque. Alto, magro, impacciato dal corpo allampanato, come se l’avesse preso a prestito da troppo tempo e avesse dimenticato di restituirlo. Testa rasata, baffi neri e pizzo nero, aveva l’aspetto di un ussaro, ingaggiato da un teatro di operetta. Sguardo nero, intenso, sotto sopracciglia folte, di pece. Mani piccole, fronte senza rughe. Naso diritto, che sfidava l’ereditarietà. Il cognome poteva essere di un ungherese o di un tedesco, lo stesso l’aspetto. Si diceva, tuttavia, che fosse… circonciso. Dunque, lo era. La diceria, secondo la buona tradizione del luogo, si dimostrava sovrana. Certuni pretendevano addirittura che vi fossero particolari drammatici nella sua biografia, ma le prove erano vaghe, come quelle relative al suo virtuale capolavoro. Pareva uno dei tanti, benché forse non lo fosse. Un di più di curiosità e di sospetto. Il suo atteggiamento frivolo, cameratesco, rimastogli dal tempo in cui giocava a hockey, a basket e a calcio, in squadre giovanili, ispirava, però, simpatia. L’educazione transilvana, da ex «Impero» asburgico, con-

­24

Il rifugio magico.indb 24

1-03-2011 16:42:55


trastava con le maniere balcaniche e infranciosate di Bucarest, la metropoli. La Transilvania poteva essere considerata occidentale? Mynheer Peeperkorn aveva conferito, anche lui, al suo discendente una adeguata nobilitazione: «Olandese!?». I commensali avevano ripreso l’appellativo. «Ehi, Olandese!» si sentiva chiamare. Il testo di Gașpar sfidava i «dibattiti» manipolati dall’Autorità, le grandi parole e gli slogan umanisti. L’incoerenza è sovversiva, era questo che suggeriva Gașpar? Compariva a volte, col berretto di feltro di Peeperkorn e recitava, dopo qualche bicchiere di vodka, le battute consuete di costui, con la mano tesa, implorante. Ci sottraiamo, signori miei. Quest’aria, snervante aroma primaverile… presentimenti e ricordi. Chiuso, signori miei. Mi interrompo. Li-qui-da-to. Il punto nero che ruota lassù, quello è un uccello rapace, un grosso rapace. Un’aquila, signori. L’aquila delle grandi solitudini! L’augello di Giove, la leonessa dell’aria! Il racconto Mynheer poteva essere considerato una perorazione in codice a favore del Nuovo Mondo? A self-made man, l’internazionale Peeperkorn! Il re del caffè, olandese con residenza a Giava, accanto all’amante dagli occhi a mandorla, da caucasica. Perorazione per la libertà e per la Statua sull’Hudson? Libertà, vitalità! Quanto a fondo si può conoscere qualcuno sperduto tra i consumatori di illusioni sul meridiano dove l’Oriente incontra l’Occidente? Il professor Gora non avrebbe avuto il coraggio di rispondere. Pieter Peeperkorn animava le pagine del libro, ma Gora aspettava invano, Gașpar non compariva. Il gigante olandese si suicida, iniettandosi un veleno, risultante dalla combinazione di sostanze animali e vegetali. La febbre tropicale aveva ridotto allo stremo le sue forze: per lui il venir meno al sentimento di fronte alla vita era una catastrofe cosmica, diceva la pagina, un’onta di Dio. Gora sperava di capire, a poco a poco, ciò che non aveva

25

Il rifugio magico.indb 25

1-03-2011 16:42:55


capito in passato. Mynheer Gașpar in America sarebbe diventato, finalmente, ciò che gli avevano sempre detto che era? *** Anni addietro, Peter era spuntato allo stesso modo, all’improvviso: studente dell’ultimo anno di liceo, in visita ai parenti della capitale. Alto, pallido, aggrondato, portava sulle spalle il peso di una missione inadeguata alla sua età e alla sua indole. Mancavano poche ore al treno del ritorno. Aveva viaggiato di notte dall’estremità occidentale del paese per questa strana riunione di famiglia: riferire quanto era accaduto a suo padre e avvertire i parenti delle conseguenze che avrebbero potuto riguardare tutti. Il procuratore David Gașpar non sapeva nulla dell’iniziativa presa dalla moglie di affidare all’adolescente, interessato più al basket che alle oscure trame della politica, una missione del genere. Eva Gașpar aveva fatto in modo che l’assenza di Peter per una notte o due non suscitasse perplessità. Il figlio soleva dormire, di tanto in tanto, da un compagno di classe, Tibor, i cui genitori avrebbero mantenuto il segreto. Augustin Gora aveva letto, all’istante, la preoccupazione sui volti dei genitori di Lu. Supponeva che sapessero già parecchie cose sulla destituzione del procuratore David Gașpar e anche troppe riguardo a casi consimili. Erano solo cugini, niente di più, la compagna Serafim e il compagno Gașpar, ma il sospetto si diffonde rapidamente, come la rogna. Preoccupati per l’evoluzione della loro situazione, non discutevano la notizia con il genero, che si chiedeva allora – e se lo chiese anche in seguito – se si consigliassero con gli amici e chi fossero costoro. Preferiva credere che, se fossero esistiti degli amici, sarebbe stato considerato uno di loro. Nel pomeriggio polveroso di luglio, quando il liceale Peter era stato invitato a sedersi sulla grande poltrona di pelle rossa

­26

Il rifugio magico.indb 26

1-03-2011 16:42:55


della sala da pranzo e a riferire nei particolari il messaggio di cui era latore, Gora sentì che il pericolo era migrato dall’estremità occidentale del paese nella sua nuova famiglia. Era stato contagiato irresistibilmente, doveva riconoscerlo, dall’inquietudine di coloro che ascoltavano il giovane atletico mentre spiegava l’assurdo che aveva fatto irruzione, all’improvviso, nella casa dei suoi genitori. L’ex orologiaio David Gașpar era stato destituito, senza spiegazioni, dalla carica di procuratore nella giustizia socialista! Se il Partito vuole, un orologiaio viene mandato a una scuola per un anno e diventa procuratore, e se il Partito vuole quel procuratore, di punto in bianco, non è più procuratore. Non poteva essere accusato di disonestà o di azioni politiche iconoclaste, tutt’al più dell’eccessiva intransigenza con cui aveva servito la causa. Il pretesto della destituzione rimaneva oscuro, la disgrazia poteva avere conseguenze altrettanto assurde quanto la sua motivazione, questo era il messaggio che Eva Gașpar aveva affidato al giovane ambasciatore. Il silenzio fu seguito, ben presto, dalle parole rassicuranti che i cugini dissero all’ospite: non poteva trattarsi che di un errore o di un malinteso, David non era l’uomo che potesse essere messo a tacere di fronte a una tale ingiustizia, avrebbe contestato, chiesto spiegazioni, avrebbe, alla fine, ricevuto soddisfazione. Rivalità e intrighi esistono ovunque vivono uomini, l’infamia o gli errori non possono durare, il giovane studente avrebbe constatato, ben presto, che la giustizia, infine, trionfa. All’ospite vennero offerte prelibatezze, Lu gli aveva mostrato la biblioteca di famiglia e lo accompagnò in una lunga passeggiata nella capitale. Al ritorno, al viaggiatore fu consigliato di riposarsi, prima di affrontare un’altra notte insonne nel treno che lo riportava a casa. La sera, tornando a casa dalla stazione dove avevano accompagnato l’ospite, Gora venne a sapere la storia della nascita di Peter.

27

Il rifugio magico.indb 27

1-03-2011 16:42:55


L’orologiaio David Gașpar era riuscito a nascondersi, nel primo e nel secondo anno di guerra, insieme alla moglie e alla figlia, ma nella primavera del 1944 erano stati scoperti e deportati ad Auschwitz dalle autorità magiare che allora amministravano parte della Transilvania. La moglie e la figlia erano state gassate subito dopo l’arrivo. David era sopravvissuto, lavorando dapprima in un piccolo laboratorio dove si trasformava in gioielli l’oro, sottratto ai vivi e ai morti, e poi costretto a lavori umili e pesanti. Aveva la fortuna di essere di costituzione robusta. Dopo la morte dei suoi cari, le emozioni e le preoccupazioni erano scomparse, rimasto solo era diventato forte, indifferente, calcolatore, aveva un solo pensiero: sopravvivere. Liberato dai sovietici, aveva incontrato, nell’ospedale di smistamento degli ex detenuti, la futura moglie. Si erano sposati nel lungo viaggio di ritorno. Eva, di dieci anni più giovane, non voleva tornare nel luogo da dove era stata mandata a morire. Sognava la Terra Promessa, la terra dei sopravvissuti. David, invece, si mostrava inflessibile. Era deciso a tornare a casa, per guardare negli occhi i vicini e gli amici di un tempo, gli ex poliziotti e gli ex politici che avevano cancellato il suo nome dal novero dei vivi. Erano tornati nell’autunno del 1946, dopo le peregrinazioni attraverso l’Europa devastata. David e Eva, la nuova moglie, e il piccolo Peter, nato a Belgrado, durante le complicate peregrinazioni del ritorno. Otilia Serafim, madre di Ludmila, sosteneva che Peter poteva anche non essere figlio di David. «Nel caos della liberazione, la fregola di copulare aveva contagiato tutti. Si faceva con chi capitava. L’orgia della risurrezione dai morti.» «Il racconto ci sconvolse tutti» confessava Lu. «Per la famiglia è ancora oggi motivo di disagio… Anche per noi è stata dura in tempo di guerra. Miseria, umiliazioni, pericoli, campi di lavoro coatto, panico quotidiano. La storia di David, però, è una cosa diversa.»

­28

Il rifugio magico.indb 28

1-03-2011 16:42:55


Tornato nella città natale, l’orologiaio David non guardò negli occhi i vicini, i poliziotti o i politici di un tempo, come aveva promesso. Rifiutò, né più né meno, di ricordare il lager! E impose ai parenti e agli amici di fare lo stesso. Il volto di Lu era tirato, come nelle vecchie immagini bibliche. La madonna bruna era impallidita. Gora rimase colpito dall’effetto che avevano avuto su di lei le sue stesse parole. Vulnerabile negli eccessi di emotività, era lei stessa a intensificarli. La fragilità pareva l’aspetto visibile dei presentimenti che, a tratti, la allarmavano. Captava o si lasciava captare da segnali vaghi, la cui incertezza accresceva le sue inquietudini. Si era fermata, per placare la sua agitazione. Pareva sempre più pallida. «Sento a cosa stai pensando. No, nella mia famiglia non c’era e non c’è posto per la religione, come ben sai. Neppure in passato, e tanto meno adesso, quando l’ateismo è diventato opportunismo. Prima di diventare comunisti, i miei erano dei liberi pensatori. Sono stata educata al razionalismo, alla solidarietà con gli umiliati e gli oppressi. Non ho avuto contatti con persone o libri mistici, non ho assistito a dibattiti sul trascendente. Eppure… di tanto in tanto, per un attimo, un che di oscuro mi sconcerta, mi disorienta. Mi rende vulnerabile, disponibile a qualcosa a cui non so dare un nome. Un che di ignoto vive, oscuramente, in me.» Aveva scosso, all’improvviso, i folti capelli neri. Sul volto persisteva il pallore, gli occhi ardevano di febbre. Pareva avesse scosso, con un breve spasmo nervoso, insieme ai capelli, il peso che aveva dentro, come per liberarsene. «Pensavo a Peter. Quando nacque il bambino, David Gașpar disse alla moglie: lui vivrà in un mondo diverso, e noi insieme a lui. È nato da genitori marchiati, gli rispose Eva. Il mondo nuovo contiene quello vecchio, il passato vivrà anche in lui. Però, non svelarono a Peter che suo padre era già stato

29

Il rifugio magico.indb 29

1-03-2011 16:42:55


sposato e aveva avuto una figlia, destinata a non diventare sua sorella. Se il padre di Peter è davvero David… mia madre ne dubita. Solo lui e Eva lo sanno. O forse, neppure loro.» Lu aveva abbassato lo sguardo e la voce. E ora, nel Nuovo Mondo, quanto ha portato Peter del passato e quanto ha portato Lu? si chiedeva Gora. Cos’altro hanno ancora portato? Ben presto, il professor Gora avrebbe saputo che Peter aveva rifiutato la condizione di «sopravvissuto» che alcuni americani benevoli erano disposti ad attribuirgli, come aveva rifiutato, da sempre, ogni allusione alla tragedia da cui era nato. Si estraniava bruscamente da ogni discussione sull’orrore a causa del quale si erano incontrati in passato i suoi genitori. Tra il liceale comparso inaspettatamente nella casa dei parenti della capitale e l’errante spuntato, dopo vent’anni, come un fantasma, al telefono e nella mente del professor Gora, c’era Lu, moglie di Augustin Gora, una sera d’estate, su un marciapiede deserto. Vecchie inquietudini assalivano, di nuovo, la solitudine del professor Gora… Avrebbe voluto rinviarle almeno per poco, rimanere nella sequenza Lu. Lo addolorava e lo faceva gioire, gli ridava la vita, lo recuperava dal nulla. Aveva chiuso gli occhi, per rimanere così, con Lu, sospeso nell’impossibile. Dopo il ritorno a casa del liceale, solo raramente arrivavano notizie dalla famiglia Gașpar. Lu prese a parlare sempre più spesso di Eva Gașpar. Non la conosceva ma la descriveva con un misto di ammirazione e di emozione. Le telefonava. L’atteggiamento ansioso pareva dipendesse da Peter più che dal marito, così credeva Lu. Fervore materno. Sembrava che Eva avesse trovato, infine, la terapia del passato non nel marito, ma nel figlio. Era os-

­30

Il rifugio magico.indb 30

1-03-2011 16:42:55


sessionata, nel vero senso della parola, dall’avvenire di Peter. «Eva è possessiva» decise Gora, seccato. «Insicura della soluzione per la sua vita. Troppo sicura delle soluzioni per la vita degli altri.» Lu era rimasta scioccata. Lo guardava. Accigliata, ferita. Impaurita, quasi. Il silenzio si era prolungato, Gora non aveva più ripreso, in seguito, l’argomento Eva Gașpar. Si accontentava di ascoltare le brevi informazioni che, a suo parere, Lu aveva selezionato, al fine di contraddire la sua interpretazione. Peter non era stato, per Lu, una scelta prevedibile o naturale. Accettazione, modesta, del legame di parentela? Lu non apprezzava la modestia, e neppure accettava le speculazioni psicoanalitiche. Le considerava incursioni frivole e vane nell’intimità. Preferiva giudicare ed essere giudicata dai fatti. Anzi, non le piaceva essere giudicata. Poteva dunque essere stato il legame di parentela… ad avvicinare Lu a Peter? «Vado per qualche giorno dai Gașpar. Voglio conoscere Eva. Capire cosa succede lassù. E, soprattutto, cos’è successo. Quel loro passato che non è stato il mio…» Il marito non aveva nascosto la sua perplessità. «Vivo in un acquario, non vedi? Non posso farmi assumere, così, di punto in bianco, come operaia in un cantiere edile. Per toccare con mano le meravigliose condizioni di vita della nostra meravigliosa classe lavoratrice, della quale non so altro se non quello che raccontano le favole dei giornali. Ma dai Gașpar posso andare. Non per capire perché il procuratore non è più procuratore, anche se ne varrebbe la pena. Ma per sapere un’altra cosa. Più dolorosa, probabilmente.» Voleva uscire dall’acquario! La famiglia-acquario? Il matrimonio-acquario? Aveva desiderato il rifugio nella coppia e nella famiglia, l’aria di famiglia le dava equilibrio e le faceva da stimolo… da dove veniva questo scatto di ribellione?

31

Il rifugio magico.indb 31

1-03-2011 16:42:55


Era tornata dalla visita ai Gașpar con racconti terribili sul lager. Rievocava l’accaduto in tono neutro, distaccato, era pallida, come se venisse dall’altro mondo. Qualcosa di essenziale pareva cambiato in lei. Aveva acquisito un che di doloroso e di intenso. Pareva avesse chiarito quel tanto di strano che sentiva in sé, pur senza comprenderlo. Transfert in un’altra premessa, pensava Gora. Oppure aveva trasferito in se stessa una premessa di cui non era stata cosciente, che le mancava? Mentre era convinta, adesso, che fosse esistita, dentro di lei, da sempre. *** Della strana relazione tra Lu e suo cugino Peter Gora aveva saputo tardi, al ritorno dell’amico Palade da una visita al paese lontano, appena uscito dalla dittatura. Palade, divenuto Portland nella sua adorata America, era partito per presentare la fidanzata alla famiglia. Tornò disgustato dal caos della corruzione e della demagogia nella fase di transizione del suo paese verso un dove inesistente. Gora aveva incontrato lo studente Mihnea Palade molto tempo prima, all’inizio del proprio tirocinio universitario. Era il periodo della liberalizzazione dell’Est totalitario, quando il lievito delle speranze creava fermento, giorno e notte, e non solo nelle aule universitarie. L’esaltazione e il sospetto ritmavano la loro contraddittoria supremazia. Lo studente di matematica Palade, piccolo, magro, con enormi occhiali che gli scivolavano sul naso fine, taceva a lungo e poi parlava molto. Nessuno sapeva chi lo avesse condotto nella mansarda dove fervevano le discussioni. Ascoltava con attenzione, era ridondante nelle risposte. Aveva letto enormemente, pareva che sapesse tutto, consapevole di non sapere quasi nulla. Attraverso le grandi finestre dell’Università scrutava l’orizzonte al di là dell’orizzonte. Lavorava molto, si lamentava che la biblioteca non fosse aperta per più ore.

­32

Il rifugio magico.indb 32

1-03-2011 16:42:55


Venuto dalla provincia come un conquistatore, era stato notato immediatamente da studenti e professori. Divenuto subito sospetto, era orgoglioso della dubbiosa investitura. Non era il solo intruso nel gruppo degli umanisti. Studenti di medicina e del politecnico, addirittura alcuni liceali e perfino alcuni appartenenti alle classi agiate, ora espropriate, che lavoravano come operai o erano disoccupati, si ossigenavano con la lettura e col dialogo. Nella piccola cerchia di amici si discutevano libri procurati con complicati sotterfugi. Un febbrile commercio sotterraneo di volumi inaccessibili, un mondo intellettuale sospetto. La magia dell’ignoto proibito. Era cresciuta l’aura mitica che circondava gli espatriati. Alcuni dopo la guerra si erano fatti un nome in Occidente. Il grande erudito Cosmin Dima era diventato un modello ossessivo. Palade si era procurato i suoi vecchi libri, e addirittura alcuni volumi pubblicati, dopo la guerra, in Occidente. Notizie, libri, voci, discussioni: giorni e notti eccitanti. Una tregua, niente di più. In qualsiasi momento le illusioni potevano trasformarsi in divieti o in crimini. La provvisorietà e l’impazienza avevano intensificato il dialogo, nessuno resisteva all’impazienza. L’assistente di francese Augustin Gora si univa, spesso, agli studenti del gruppo. Gli incontri avvenivano in una mansarda, dove abitava uno dei partecipanti. Era ampia, piena di vecchie poltrone e sedie scompagnate. La finestra immensa dava la sensazione di trovarsi all’aria aperta, sul tetto. Gora aveva assistito alla discussione sul Processo di Kafka. L’arresto immotivato di K. si caricava di connotazioni, chiunque poteva essere arrestato, senza motivo, il terrore inventava giochi assurdi. Arrestato senza colpa, K. non pretendeva di essere innocente. Pareva oppresso da una colpa oscura, metafisica. I giovani cercavano di liberarsi dai compromessi dei vecchi, ma conoscevano anche le proprie debolezze di fronte all’Au-

33

Il rifugio magico.indb 33

1-03-2011 16:42:55


torità. Avevano imparato a manipolare slogan per giustificare il diritto alla discussione. Nell’ombra, erano in agguato le spie, non mancavano gli informatori travestiti da ribelli. Se l’intelligenza era facilmente identificabile, altri aspetti del carattere sfuggivano. Lo studente Mihnea Palade chiese a Gora, alla fine della serata, se poteva accompagnarlo fino a casa. Nei lunghi giri attraverso il parco presso i laghi, Gora si lasciò conquistare, mettendo da parte la prudenza. Nella frenesia di questa sofferta sincerità, si lasciò sfuggire la notizia: aveva ricevuto un invito da una università americana. Voleva un vero dialogo, riconquistava la sua dignità. Lo studente era ammutolito. Non solo per la fiducia che gli veniva dimostrata, al primo incontro, ma anche per la notizia in sé. Gli effetti dell’isolamento rendevano solidali, in quegli anni e in quel luogo, i prigionieri. I prigionieri della lettura avevano più di una ragione per essere uniti. All’incontro successivo, si lesse Borges, tradotto da uno studente di spagnolo. L’illusorio pianeta Tlön, luoghi immaginari, il cosmo rivelato mediante un gioco mentale. Nel 1942, in Francia, nell’appartamento di una principessa, si sarebbe scoperto un oggetto reale, una bussola, con un quadrante le cui lettere erano di uno degli alfabeti di Tlön, nome del pianeta illusorio. Era comparso poi, chissà quando e come, un metallo sconosciuto, anch’esso proveniente da Tlön, trovato nella tasca di un morto, nell’America del Sud. Nel 1944, in una biblioteca di Memphis, Tennessee, erano stati trovati, inaspettatamente, i quaranta volumi della prima Encyclopaedia di Tlön. Gora seguiva gli affascinanti enigmi, guardando il giovane seduto sul pavimento, silenzioso, assorto, estraniato dalle discussioni, concentrato sulle pagine che aveva avuto, dopo la lettura, dal traduttore. Nel successivo racconto di Borges,

­34

Il rifugio magico.indb 34

1-03-2011 16:42:55


l’enigma era un’indagine poliziesca, una serie di delitti irrisolti. Il detective, ossessionato dalla logica dell’assassino, capisce troppo tardi il tranello della ragione, cosciente che sarà lui stesso la prossima vittima, ma accetta, tuttavia, la fatalità: si presenta all’incontro proposto. Prima di scaricare il revolver, l’assassino pronuncia la sentenza e la spiegazione: «Il mondo è un labirinto da cui è impossibile evadere». Vittima e assassino prigionieri della logica dello stesso passato tenebroso, codificato. Si era appena conclusa la lettura, quando Palade balzò in piedi, eccitato, in mezzo alla stanza. «Simbolismo complicato. Il testo, in realtà, è incentrato sull’evasione. La libertà è l’uscita dal labirinto o l’estensione del labirinto stesso? E che senso ha la parola labirinto, in una traiettoria invisibile e assassina? Un solo colpo labirintico, eterno… Perché labirintico? Se è uno solo, deve essere rettilineo, rapido. Come matematico, dovrei ammettere la possibilità che esista anche il labirinto di una retta, la via più breve tra due punti, ancorché situati a una distanza infinita tra loro.» Lo studente aveva un tremito nella voce. Una voce fioca, timida, in contrasto con la vitalità dei gesti e delle argomentazioni. «Ricordate le parole del cieco di Buenos Aires? “Ho conosciuto ciò che i greci ignoravano: l’incertezza” sostiene Borges. Devo ripetere la citazione? Non la ripeto, ma è bene non dimenticarla. La libertà è l’evasione dalla tirannia di un unico sistema mentale, la libertà è questo, pensiero incompleto, aperto, antidogmatico, l’incertezza, la nebulosa delle probabilità.» Gli occhiali gli erano scivolati sul naso, come gli accadeva nei momenti di eccitazione. Biascicava: l’incertezza, l’imperfezione consentono la discussione e la rivelazione. Gora era scioccato. Le parole di Palade gli ricordavano qualcosa che aveva letto o sentito, ma non riusciva a dare

35

Il rifugio magico.indb 35

1-03-2011 16:42:55


concretezza al ricordo. Sperava che lo studente ripetesse l’idea. Lungo la strada verso l’abitazione di Gora, gli occhiali del giovane Mihnea Palade erano di nuovo scivolati dal naso alcune volte. Nel quartiere vicino ai laghi, periferia elegante della città, la sera di primavera era complice dei misteri e dello stato di eccitazione. Augustin Gora possedeva non solo l’invito, ma anche qualcos’altro, di più inverosimile – il passaporto. «Sì, ne ho sentito parlare» mormorò lo studente, abbassando gli occhi, vergognoso. «Ha dei parenti al posto giusto.» «Parenti di mia moglie» si era affrettato a precisare Gora. Precisazione ingenua. Coloro che ottenevano il passaporto, anche in quel periodo di relativo allentamento dei criteri, non meritavano fiducia, questo lo sapevano anche i bambini. «Parte con sua moglie?» La domanda significava: non tornerà più? Un passaporto era un privilegio dubbioso, i passaporti per una coppia scioglievano ogni dubbio. «Spero. Non lo so ancora.» Gora non aveva più voglia di parlare, il silenzio si era prolungato, sempre più problematico. Non era facile confessare che il dottor Feldman, zio di Ludmila, era stato in prigione, come giovane comunista, nella stessa cella con il grande conducător del Partito, dello Stato e del paese, né che il compagno Feldman aveva ottenuto il passaporto per la coppia Gora. «Mi hanno proposto di entrare nel Partito» bisbigliò, esausto, lo studente, con o senza rapporto con l’argomento. «Anche a me» rispose dopo un po’ il professore. «Il prezzo del passaporto?» «Io non ho accettato.» Il sospetto Gora era diventato, evidentemente, ancora più sospetto. Palade non tardò ad alzare la posta in gioco.

­36

Il rifugio magico.indb 36

1-03-2011 16:42:55


«È venuto a casa mia un ufficiale della Securitate.» Questa volta, aveva guardato diritto negli occhi il professore, per vedere ciò che non si poteva vedere. «Routine. Il solito tentativo di reclutamento. Questo, no. Non lo devi fare! Qualunque cosa, ma questo no. A nessun costo. Per nessuna ricompensa, quale che sia. La tessera del Partito non ti serve. Lo stalinismo è finito, non ti arresteranno. Possono solo darti delle noie.» «E non darmi mai il passaporto.» «Sì, è possibile. Ti racconto una cosa…» Gora pareva pronto a offrire una nuova prova di fiducia che allentasse la tensione. «Parlavi oggi di evasione. La libertà, come evasione da un unico sistema mentale. Chiamiamolo carcerario? I detenuti sono isolati dal mondo, questa è la loro pena. Alla finestra della cella, però, a un certo punto compare un gatto. Passa da una finestra all’altra, da un detenuto all’altro, è curioso e vuole giocare. I carcerati gli fanno dei segni, lo aspettano, gli offrono, tra le sbarre, un po’ del loro cibo, fanno di tutto per attirarlo, il felino si insinua a volte tra le sbarre, si lascia accarezzare. Uno di loro non tollera queste frivolezze, la facilità con cui i compagni si lasciano tentare da stupide distrazioni. Donnicciole, cretini, sciocchi! sbraita il furioso, che non solo è prigioniero in una cella, ma anche del dogma rivoluzionario. Litiga con loro, è testardo, cattivo, vanitoso, vendicativo. Data la sua buona posizione nella gerarchia clandestina del Partito, non possono ignorarlo. E non osano neppure contraddirlo. Alla fine, quell’isterico afferra il gatto e lo uccide. Là, in cella. Sai chi è l’autore della malefatta?» «L’autore della malefatta? È una storia vera?» «Sì, è vera. L’eroe è il nostro grande conducător, il figlio prediletto del popolo.» «Come lo sa?» «Da un parente di mia moglie. Era in prigione con quel

37

Il rifugio magico.indb 37

1-03-2011 16:42:55


fanatico. Sempre accigliato, serio. Senza vizi, ogni deviazione dal supremo scopo finale lo rendeva isterico.» L’ultima conversazione. Gora, infine, era partito da solo. Aveva lasciato il paese, la moglie a cui era legato più che a chiunque altro e a qualunque altra cosa. Tra la sorpresa generale e per sua disperazione, Lu aveva rifiutato di accompagnarlo! Un anno dopo essere arrivato nel Nuovo Mondo, ricevette una lunga lettera affettuosa, in cui Mihnea Palade accennava alla difficoltà che aveva incontrato nel procurarsi il suo indirizzo e riferiva, per quanto lo permettesse una lettera che doveva passare al vaglio della censura, i suoi progetti accademici. Aveva intenzione di rinunciare alla matematica! Per il momento, soprassedeva, studiava con grande impegno anche la matematica, benché fosse interessato al sistema giudiziario della tortura nel Medioevo, al processo di Giovanna d’Arco, all’alchimia e all’astronomia. Aveva già pubblicato alcun studi, aveva letto l’opera dell’erudito Cosmin Dima, si chiedeva chi potesse fare da intermediario per un rapporto epistolare. Gora non rispose alla domanda, ma fece da intermediario per una borsa di studio per Palade in America. Come supponeva, gli rifiutarono il passaporto. Due anni dopo, prima di concludere l’Università magna cum laude, Palade aveva ricevuto una nuova borsa americana, dovuta, questa volta, all’intervento del grande Dima. Gli era stato concesso il passaporto. Aveva ceduto alle pressioni del Partito o della Securitate? Né la sera in cui Gora e l’ex studente si rividero, in America, né in seguito, fu posta la domanda. Il nuovo immigrato parlava di un unico argomento: l’evasione. Miracolosa possibilità, negoziata dagli dèi e da forze oscure. Dopo i primi mesi di euforia, Palade cadde in preda alla nevrosi. Estraneazione, solitudine. Il rifugio della biblioteca non pareva più in grado di aiutarlo. Giaceva a letto per ore e giorni, in attesa del miracolo che gli ridesse vitalità.

­38

Il rifugio magico.indb 38

1-03-2011 16:42:55


«Sono disperato, ma non perduto. La disperazione è un segno di vitalità, spero. Mi trovo in una sorta di deserto, libero di essere qualunque cosa e niente, ma non riesco a decifrare il senso della peregrinazione a cui sono destinato. Non mi è ancora stato rivelato il codice. Attendo, nell’incuria e nel degrado. Sento, sulle scale, i passi dei segugi di un tempo. Mi stanno addosso, continuamente.» Parlavano ogni giorno al telefono. Gora, nel frattempo, si era avvicinato a Dima. Generoso e affabile con tutti i connazionali, il Maestro aveva accettato di incontrare Mihnea Palade, l’ammiratore giunto da poco dalla Patria. Quando Gora, in seguito, gli chiese le sue impressioni, Dima confermò, affascinato, di aver trovato il suo discepolo. L’incontro aveva posto fine all’ansietà di Palade. Il Maestro gli aveva abbozzato un piano di letture in vista del dottorato, gli aveva promesso collaborazioni in esegesi comuni. Benché costretto a vagare da un’università all’altra, Palade pubblicò intensamente sotto la guida di Dima: studi sul mito, sul misticismo, sul Rinascimento, sull’Inquisizione. Seguiva il modello enciclopedico del Maestro. Nella sontuosa casa di Dima, Palade avrebbe incontrato sua moglie. Gora la conosceva, Kira Varlaam era stata sua allieva e, probabilmente, più di un’allieva. Erano stati anche colleghi, quando Kira era diventata assistente di spagnolo. Da studentessa, al terzo anno, aveva interpretato il ruolo di protagonista in un film, non per il suo talento piuttosto mediocre, ma per il suo volto strano, dagli occhi verdi e a mandorla. Si intrecciava i capelli, fragranti come il fieno appena falciato, in una coda che le arrivava ai fianchi e metteva in mostra, sotto le gonne corte, le sue splendide gambe. Si era sposata subito dopo la prima del film con un famoso sportivo, aveva divorziato dopo un anno, era rimasta con un figlioletto col quale, subito dopo aver terminato la facoltà, si era trasferita a Cleveland, presso una zia.

39

Il rifugio magico.indb 39

1-03-2011 16:42:56


Fin dalla prima notte, Palade aveva posto l’amore sotto la magia del rituale. Davanti al letto, gli innamorati firmarono, ciascuno con l’indice bagnato nel proprio sangue, il patto dell’eternità. «Il traditore morirà in fretta e nella vergogna» era scritto in calce alla pergamena che si erano procurati per l’occasione, posta, bene in vista, accanto alla bottiglia di vino rosso che aspettava, sul tavolo, di essere sacrificata. Notte di settembre: Kira avrebbe ricevuto, fino alla morte, nel giorno dell’anniversario, diciannove rose rosse come il rogo che arde le promesse. Particolari kitsch, direbbe Peter Gașpar, come sostiene anche il professor Gora. Il Maestro Dima aveva, evidentemente, una forza ipnotica sul discepolo affascinato dalla magia e dai misteri. Gli anni successivi alla separazione da Kira non rallentarono la produttività di Palade, né diminuirono le sue stranezze. A un dato momento, tuttavia, la relazione con Dima si incentrò su alcune domande senza risposta. Poche erano le verità che si potevano trovare nelle biblioteche della Patria sulla storia della loro Nazione. Gora e Palade avevano scoperto solo nel loro nuovo paese, nei vecchi giornali della Patria lontana, accessibili proprio qui, oltreoceano, nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, strani episodi politici, degli anni trenta, dell’allora giovane erudito, affascinato da una sorta di terrorismo fondamentalista cristiano-ortodosso. Il colpo aveva fatto vacillare Palade. Dima non era solo uno straordinario erudito, un pozzo di scienza, ma anche un interlocutore generoso, altruista, difficile trovargli dei difetti. Gora aveva tentato, senza successo, di provocare Dima al dialogo. «Si mette a sferruzzare, come si dice da noi di uno che fa lo gnorri. Sferruzza a un berretto da notte. Se gli chiedo di quel periodo e di ciò che ho trovato qui, nei vecchi giornali, prende i ferri e si mette a sferruzzare, compassato e con aria

­40

Il rifugio magico.indb 40

1-03-2011 16:42:56


assente, a quel berretto nero, da notte, che protegge dal freddo e dai ricordi. Così interpreto io il silenzio di cui mi onora» dice Gora, sbuffando di tanto in tanto, all’ex studente, in una conversazione telefonica. Sconvolto e smanioso di nuove prove, Palade non poteva lavorare, conteso tra l’adorazione per il Maestro e le domande che nascevano una dall’altra. «Un cretino, ecco cos’è l’innamorato» era esploso al telefono. «E per di più, discepolo! Ho sognato per tutta la vita il grande incontro con il Maestro. Sulla porta della scuola, però, mi estirpano il nervo critico, perché possa rimanere innamorato. Lo spirito critico è vietato all’entrata del Tempio dell’Amore.» Esasperando i suoi sensi di colpa, Palade decise, a poco a poco, di far tacere il dilemma. Dima era il protettore, la sua amicizia inestimabile, non poteva rinunciare a lui. Le cadute di intelligenza e moralità di mezzo secolo prima? Non sono il presente. Se il passato non è chiaro, il presente lo è: l’erudito è un uomo dei libri, non delle contese volgari. Gora si era chiesto se Palade fosse entrato nel Partito che odiava e di cui, tuttavia, aveva bisogno, per l’evasione. Avrebbe fatto, in tal modo, l’esperienza del compromesso. L’indignazione del giovane studioso sarebbe ricomparsa, ciclicamente. Il Vecchio e il discepolo continuavano, però, a pubblicare libri insieme. Alle esequie del compianto Cosmin Dima, il successore aveva pronunciato un addio straziante. Fervore dell’affetto e affermazione pubblica del distacco. In poche frasi, Palade annunciava di avere non solo una diversa visione del mondo, ma anche una diversa concezione nel campo degli studi ai quali sia lui sia l’illustre predecessore si erano dedicati. «Il mio Maestro credeva nell’organicità, io preferisco l’ars combinatoria medievale. Le teorie informatiche di oggi e quelle cognitive nelle quali muoviamo dal punto vuoto verso varianti che si

41

Il rifugio magico.indb 41

1-03-2011 16:42:56


contendono la logica e il messaggio. Credo nell’idea di imperfezione e mi ossessiona la dinamica mentale.» La cecità politica, e perfino l’arroganza di ignorarla o negarla, non poteva far concorrenza all’amore, affermava Palade e dichiarava, di nuovo, pubblicamente, la sua ammirazione e il suo affetto per lo scomparso. Una sorta di terapia, probabilmente, per l’impossibilità di dimenticare la deriva politica e il silenzio su di essa. «Dopo la sua morte, Dima mi manda dei messaggi. Respingo quasi tutte le sue idee, lo contraddico, ma continuiamo la polemica.» Palade aspirava a influenzare gli eventi terrestri e cosmici, dopo averne scrutato il codice. Ossessionato da profezie sociali, cataclismi personali, enigmi sessuali, interrogava gli astri. Si era allontanato dalla comunità degli esuli. Pubblicava testi antinazionalisti sulla stampa dell’esilio. Attaccava, settimanalmente, l’ideologia dei patrioti nazisti e comunisti, del postnazismo e del postcomunismo. Allora cominciarono le minacce: telefonate, lettere, violenze per strada. Sapeva di essere pedinato, ma non prendeva precauzioni e non aveva informato la polizia. Erano diventati più frequenti i pacchi strani, che rifiutava di aprire, gettandoli nel cassonetto dell’immondizia del cortile di casa. Aveva reso pubblico il desiderio di abbandonare il cristianesimo per una religione qualsiasi o, meglio, per la religione dei non credenti. Fu allora che Palade decise di tornare in Patria per una breve visita: desiderava vedere coi suoi occhi se al comunismo sarebbe seguito l’anno 2000 oppure il decennio degli anni trenta. Era tornato in America triste, depresso. Neppure le notizie destinate al professor Gora erano rassicuranti, benché gliele avesse comunicate in dosi omeopatiche e lacunose. Una sera, a teatro, aveva visto Lu, in compagnia di un partner più giovane: aveva saputo che era, in realtà, suo cugino.

­42

Il rifugio magico.indb 42

1-03-2011 16:42:56


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.