processo penale minorile

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controllo sociale) e contesti punitivo-repressivi (sedi di un controllo disciplinare, luoghi della sanzione). Pazè, a tal proposito, propone un effettivo decentramento dell’apparato del welfare, in un’attivazione delle risorse locali, in un’utilizzazione di interventi diversificati, di piccole strutture calate nella comunità e gestite anche attraverso la partecipazione di privati (professionisti e volontari), sempre con la coordinazione e il controllo dell’ente pubblico. Se allontanato dal sistema penale, il minore dovrebbe diventare di esclusiva competenza dei servizi sociali, che dovrebbero occuparsi di lui senza la preoccupazione di dover riferire a un contesto giudiziario. Non si nega che l’intervento punitivo possa produrre effetti sull’iter educativo in atto, né che le modalità della punizione debbano tenere conto delle esigenze educative, ma non per questo è lecito confondere educazione e punizione, consenso o coazione. In Italia, dove meno attiva è stata la ricerca di soluzioni alternative alla detenzione, si segnala una tendenza in alcuni tribunali ad anticipare la detenzione stessa celebrando nei confronti dei minori più intrattabili (nomadi ed extracomunitari) il giudizio immediato o direttissimo con il minore in vinculis. L’unico effetto è la difesa sociale, in realtà per il minore non viene fatto nulla. Questa riscoperta della privazione della libertà, seppure per una fascia marginale di minori, usata come pura difesa sociale, dipende dalla non capacità di organizzare delle strategie di integrazione sociale dei giovani che non si riconoscono nelle regole del paese, non solo immigrati ma anche giovani che vivono ai margini della società, proprio perché rifiutano le regole di quella società. Offrire risocializzazione e reinserimento sociale non è gradito a coloro che l’hanno già rifiutato o sono già stati rifiutati. In Italia si è rimasti bloccati all’alternativa fra educazione e punizione, volgarmente traducibili nella scelta fra detenzione e libertà. In altri paesi la tendenza alla responsabilizzazione si è espressa soprattutto nella ricerca di nuove misure o, meglio, di nuove risposte alla criminalità minorile. Il termine “misure” indica svariate risposte che possono essere adottate per un minorenne. Nei paesi europei si assiste a risposte che propongono una pena che alla detenzione sostituisce l’obbligo di “fare”, cioè una responsabilizzazione del minore che passa attraverso l’attivazione personale, attraverso azioni positive contrarie a quelle compiute. Queste misure si muovono in quattro principali direzioni: - lavori di interesse generale: è una sanzione alternativa alla detenzione. Viene instaurato un vero e proprio rapporto di lavoro per attività socialmente utili, con prescrizioni e obbligazioni, la cui innosservanza viene sanzionata. Lo scopo è di evitare il carcere, rappresentano una vera e propria alternativa alla detenzione. - mediazione autore-vittima:propone al minore, attraverso passaggi progressivi guidati,di riflettere sul reato commesso. È possibile il confronto con la vittima, se disponibile, eventualmente a condividere le sue osservazioni su quanto è successo. Il minore è tenuto a svolgere vere e proprie azioni positive in favore della vittima, anche indirettamente. Lo scopo dell’attività è riparatorio, sia per l’autore che per la vittima: le attività scelte sono in relazione con il reato commesso.

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