Rivista Maria Ausiliatrice 3/14

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#L o sguardo di

Maria

è anche su di te 12 I gesti e la preghier a di Papa Fr ancesco

32 Don Ángel:

è il nostro decimo Rettor Maggiore

44 M assimo Giletti: «Conservo le noccioline di don Bosco»

ISSN 2283-320x


Sommario 10

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il saluto del rettore 1 Come l’ausiliatrice il nostro “sì” a Dio

Accogliamoci 18 Modelli familiari e strategie sospette

a tutto campo 4 Maria casa per Dio e per l’umanità

Giovani in cammino 20 Pasqua! Un “cuore Nuovo”

chiesa viva 7 La preghiera di gesù 8 Con Karol Wojtyla la valanga dei santi 10 l’arte difficile di scegliere 12 Papa Francesco e la preghiera

Amici di dio 22 Il nome di Gesù è luce. La vera storia di fra Bernardino

Maria nei secoli 24 Commiato di Cristo dalla Madre

in cammino con maria 14 Racchiuso in un drammatico “sì” il mistero dell’incarnazione

leggiamo i vangeli 16 Con gli occhi della fede

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Mamme sulle orme di Maria 26 La vita? È come un viaggio La parola qui e ora 28 IO sono con voi Don bosco oggi 30 Don Bosco e la Sindone,

«I miracoli continuano»

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-v80

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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Abbonamento: Foto di copertina: Marco Vergnano – LightTime Ccp n. 21059100 Studio intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino Archivio Rivista: www.donbosco-torino.it

Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

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18 26 31 I cavoli, o amati giovani... 32 Da don Pascual a don Ángel 34 Paradiso, solo e sempre Paradiso 36 L’ADMA saluto al nuovo

poster

Rettor Maggiore

38 Ci attendono anni molto belli 40 Al servizio della Chiesa

58 Nel quartiere torinese di San Salvario la chiesa aperta per la movida

di don Bosco e di Dio 42 Da mihi animas caetera tolle

Sempre con noi 60 Don Ersilio: amico, padre, poeta

ESperienze 44 L’immagine dell’Ausiliatrice

e le noccioline regali di don Bosco

46 Un sogno nel nome di Margherita 48 Una scuola irachena a Valdocco 50 Fiori rossi al Martinetto 70 anni dopo 52 Gesù è il senso della nostra vita Sfide educative 54 L’ideologia “gender” ci interpella 56 Suor Lucia: quando un biglietto cambia la vita

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Il cuore del mondo

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CHIESA VIVA

L’arte difficile di scegliere Accade a volte di trovarsi di fronte a tante strade e di dover decidere quale percorrere. Attenzione, equilibrio e fiducia si rivelano validi alleati per imboccare il cammino migliore... Si possono contare sulle dita di una mano gli uomini e le donne che non sono afflitti da problemi. Sono pochissimi, infatti, coloro che possono affermare – senza paura di essere smentiti – che l’unico problema che li assilla sia... la totale assenza di problemi! Tutti gli altri – e sono circa sei miliardi sparsi in ogni angolo del mondo – si trovano ogni giorno a doverne affrontare almeno uno... Per farlo nel migliore dei modi esiste una ricetta infallibile: ragionare, avere il coraggio di mettersi in gioco e superare la paura di sbagliare.

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Il futuro è sempre un’ipotesi Esistono difficoltà oggettive che rendono qualunque scelta simile a un salto nel buio. Ed è necessario tenerne conto. È importante, innanzi tutto, ricordare che è impossibile conoscere il futuro. Si può immaginarlo, tentare di prevederlo affidandosi magari alle statistiche e al calcolo delle probabilità, ma è un dato di fatto che prendere una decisione significa accettare di andare incontro all’incertezza e all’assenza d’informazioni certe e verificabili.


e il pane dei poveri MAGGIO-GIUGNO 2014

Patria e della Chiesa.

Chi oggi si trova a fare i salti mortali per pagare le rate del mutuo dell’abitazione acquistata quindici anni fa, per esempio, non poteva sapere che nel 2008 il mondo sarebbe stato travolto da una crisi di cui forse solo ora si comincia a intravedere la fine. Un altro aspetto che va tenuto presente è che, non di rado, la reale complessità di un problema si manifesta mano a mano che lo si affronta. Un po’ come quando si decide di “dare una rinfrescata” alla casa pensando sia sufficiente una mano di bianco e una sistemata agli infissi e ci si ritrova, all’improvviso, a fare i conti con l’impianto elettrico e quello idraulico... Di fronte all’incertezza del futuro e

all’impossibilità di prevedere tutte le ramificazioni di un problema è raccomandabile approfondire le motivazioni che rendono prefela guerra civile spagnola. ribile unadurante soluzione piuttosto che cate da Giovanni II. un’altra e informarsiPaolo quanto basta. Facendo attenzione, però, a zione dei Fioretti non rimandare la scelta all’infinito come quel tale che, dopo aver consultato cento imprese edili, duecento geometri e trecento architetti per risistemare la propria abitazione, dopo dieci anni la vide crollare miseramente... gradi per trenta minuti.

Vincere la paura di sbagliare Accanto alle difficoltà oggettive convivono quelle soggettive, non di rado più nascoste e insidiose. A cominciare dalla necessità di chiarire a se stessi quale problema s’intenda risolvere affrontando una determinata scelta. Chi sceglie di ristrutturare lo chalet a Cervinia, per esempio, dovrebbe sapere con certezza se lo fa per conservare un bene di famiglia, o per metterlo in vendita a un prezzo più alto, o per avere una base confortevole per la villeggiatura... Se pensa, infatti, di investire tempo e denaro per risolvere una volta per tutte il problema delle vacanze e poi, come ogni anno, trascorre le ferie cullandosi tra le onde e gli scogli di Pantelleria, si affanna per risolvere un problema che, in realtà, non è “quel” problema. Anche l’incapacità di modificare il punto di vista e l’“allergia” a qualsiasi novità possono rivelar-

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www.ssfrebaudengo.it Tel. 011 2340083 info@ssfrebaudengo.it si zavorre pesanti: chi agisce in un determinato modo perché «si è sempre fatto così» impedisce a se stesso di sperimentare soluzioni alternative che potrebbero rivelarsi decisamente convenienti ed economiche. Come chi diffida delle email perché una lettera si è sempre spedita utilizzando carta da lettera, busta, penna e francobollo... La “trappola” più grande – però – è la paura di sbagliare, non accettare la possibilità che una scelta possa rivelarsi errata. Per questo è necessario imparare a volersi bene e, dopo aver valutato con onestà e coscienza tutte le alternative possibili, avere il coraggio di dirsi: «Alla luce di quello che so e che sento scelgo di agire in questo modo. E se sbaglio... pazienza!». Nel prossimo numero esamineremo alcuni metodi che possono aiutare a far emergere le motivazioni profonde di una scelta e a renderla più consapevole. Ezio Risatti Preside della SSF Rebaudengo redazione.rivista@ausiliatrice.net


leggiamo i vangeli

Con gli occhi della fede Alla fine del suo racconto Giovanni scrive della Maddalena, di Pietro e dell’«altro discepolo», di Tommaso, e ancora di Pietro. Persone che incontrano a vario titolo Gesù Risorto e cominciano un nuovo “cammino di fede”. Storie esemplari. Occasioni di confronto. La ricerca appassionata del Risorto Maddalena, giunta per prima al sepolcro, corre ad avvisare i discepoli. Il suo è un messaggio che stordisce: «Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’abbiano posto». È però quanto basta per accendere il desiderio di Pietro e dell’«altro discepolo», altrove nominato come “l’amato”, forse colui che scrive. La fretta dei due che si mettono a correre ci fa ben capire quale fosse il loro amore ed attaccamento a Gesù. Pietro precede e l’«altro discepolo» segue: non è la descrizione di una gara, ma della situazione esistenziale di due uomini che girano le spalle ad uno stato di tristezza infinita e corrono insieme verso il luogo in cui tutte le loro speranze

© Eugenè Burnand, I discepoli corrono al sepolcro, 1898

si concentrano. Giovanni scrive magistralmente di questa corsa come di un’azione prolungata così da aumentare la nostra suspence. La scena è attraversata dal serrato susseguirsi di azioni: Pietro parte per primo, ma l’«altro discepolo» lo precede; inaspettatamente però non entra nella tomba, ma abbassata la testa le dà solo uno sguardo!

Vedere e non capire A questo punto saremmo desiderosi di arrivare alla conclusione desiderata e di leggere subito: «vide che il corpo non c’era»! L’Evangelista invece ci fa attendere: è affascinato molto di più dal valore del sepolcro vuoto come luogo dell’azione potente di Dio e come segno della gloria del Figlio. In questo mistero egli ci attrae, facendoci comprendere che per entrarvi ci vogliono però calma e ... fede! Bisogna lasciarsi sfidare da questa provocazione. Entrato nel sepolcro, Pietro osserva con attenzione gli arredi funebri: essi sono stati lasciati ordinatamente, il sudario poi è addirittura ripiegato e posto in un luogo a parte. Il corpo non può essere

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L’Evangelista ha iniziato a vedere dentro la tomba ma entra dopo Pietro. Impariamo da lui a vincere la fretta e a lasciarci conquistare gradualmente dalla fede non con i nostri tempi, ma con quelli che il Signore sa essere i migliori per noi.

a vincere la fretta e a lasciarci conquistare gradualmente dalla fede non con i nostri tempi, ma con quelli che il Signore sa essere i migliori per noi. Alla fine anche per l’«altro discepolo» viene il tempo di entrare nel sepolcro: ora egli può guardare più a lungo, la testa sempre chinata, cioè nell’atteggiamento dell’umiltà di chi sa di essere piccolo davanti alla meraviglia di Dio. Dopo i momenti esemplari della sua attesa, di costui ci viene detto che «vide e credette». Vedere nella fede: ecco quello che gli capita. Ha la forza di non bruciare un momento del tutto prezioso e unico. Vede nella fede, crede, perché ha il coraggio di attendere e in quell’attesa si fida, fa credito alle Parole che da Gesù aveva ascoltato, si protende verso di lui. Nelle cose di Dio attendere non squalifica, al contrario fortifica interiormente e conduce ad una forma di fede più matura, ad una accoglienza più piena.

stato trafugato! Si apre per l’Apostolo l’enigma di fronte al quale però è ancora abbastanza chiuso. Vede molto, ma non capisce perché non è disposto a far credito all’azione di Dio. Rimane bloccato. Avrà bisogno di più tempo per credere. Tuttavia non viene squalificato dal Signore, che avrà la pazienza di attenderlo.

Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

L’attesa fruttuosa Perché non era entrato nella tomba l’«altro discepolo», quello arrivato per primo? A costui che di più ama viene fatto il dono del saper attendere per poter vincere la curiosità e concentrarsi sull’essenziale. Egli aspetta ed intanto continua intensamente a cercare dentro di sé. L’Evangelista ha iniziato a vedere dentro la tomba ed avviene in lui quello che Gregorio di Nissa dice molto bene della ricerca di Dio: «Dio riempie, non sazia ed aumenta la sete perché tu lo possa cercare ancora». Confrontiamoci con lui che desidera vedere, nel senso di interiorizzare pienamente la realtà straordinaria che il primo sguardo gli ha rivelato. Impariamo da lui

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accogliamoci

Modelli familiari e strategie sospette In queste ultime settimane si è riacceso il dibattito sulla cosiddetta “famiglia lunga”, dove figli già adulti – sulla trentina e oltre – continuano a convivere con i genitori. Una scelta spesso condizionata da difficoltà obiettive, come la casa o il lavoro, ma altrettanto frequentemente legata a motivazioni più vaghe e – diciamolo con franchezza – meno onorevoli. Anche al termine degli studi infatti, con un buona occupazione e magari un pied-à-terre a disposizione “per sentirsi più liberi”, troppi ultratrentenni rimangono comunque in famiglia perché più comodo e meno impegnativo. Il guscio rassicurante della casa paterna permette di dilazionare a tempo indeterminato la decisione di costruirsi una famiglia propria. Manca il coraggio di assumere nuove responsabilità. Fa difetto la coerenza di rinunciare alle tranquille e disimpegnate abitudini da single tardo-adolescenti per operare una scelta di maturità.

nate e fuori tempo massimo. Molto spesso, osservandole soltanto la superficie, si potrebbe essere ingannati dalla calma sorprendente di dinamiche familiari tanto piatte da apparire cadaveriche. Non ci sono conflitti, né contrasti reali, e neppure si innescano dibattiti sui temi che contano. Troppi genitori di figli ultra trentenni, vivono in una difficile condizione di conflitto e di incertezza. Da un lato sono tentati di considerare favorevolmente una prospettiva che li vede ancora genitori al centro della scena domestica, con la presenza rassicurante dei figli intorno a loro. Dall’altra avvertono più o meno distintamente che quel momento di stasi familiare racchiude in sé una serie di pericoli esiziali.

Un sottofondo di tensioni e interrogativi Ma è davvero così serena e rassicurante l’esistenza in queste “famiglie lunghe”? Alcune ricerche sottolineano come i rapporti tra i genitori e figli nell’ultima fase dell’adolescenza – proprio quella che va allungandosi a dismisura – siano sempre più difficili. Nella sostanza, se non nella forma. Problemi delicati come l’affettività e la sessualità dei ragazzi restano ai margini della vita familiare. Non se ne parla affatto. Tensioni e interrogativi latitano in sottofondo ad inasprire implicitamente rapporti già complicati, perché protratti con modalità scombi-

Quali pericoli Il primo è quello dell’implosione. Come tutte le realtà sociali, anche la famiglia deve percorrere in modo dinamico le fasi previste dall’alternanza naturale delle generazioni. Bloccare in modo artificioso i passaggi inevitabili della vita, che l’antropologia ha assunto in sé e codificato in ruoli ben

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Troppo spesso la famiglia può contare solo sulle proprie forze. Messa ai margini dal dibattito culturale, risulta quasi sempre ignorata anche dalle iniziative politiche.

definiti, significa introdurre una deriva che porta inevitabilmente all’atrofia e allo svuotamento ideale. Figli che non diventeranno mai genitori e genitori che non diventeranno mai nonni finiscono non solo per isterilire la famiglia ma anche per necrotizzare la più decisiva delle dinamiche sociali: il rinnovamento generazionale. Non è colpa soltanto delle avverse condizioni economiche, del lavoro che non c’è, della casa che ha costi inavvicinabili. I genitori per primi devono sentire la responsabilità di accelerare un rinnovamento che troppo spesso non esigono per inerzia, egoismo, desiderio di non accentuare i contrasti. Il desiderio di crescere e di far crescere deve nascere da dentro, dal cuore. E deve porsi il grande traguardo di costruire il futuro, tornando a donare quell’amore che gratuitamente abbiamo ricevuto. Obiettivo importante, ma tutt’altro che agevole da raggiungere. Anche perché troppo spesso la famiglia può contare solo sulle proprie forze. Messa ai margini dal dibattito culturale, risulta quasi sempre ignorata anche dalle iniziative politiche.

per legittimare questi modelli familiari alternativi, non sarebbe più opportuno e meno dispendioso impegnarsi realmente per aiutare, con politiche davvero efficaci, la famiglia normale, quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna? L’unico modello che prepara davvero il futuro di tutti. E agevolare quindi, con interventi sul fronte della casa, del lavoro e del fisco, la formazione di nuovi nuclei familiari? La domanda è forse “politicamente scorretta” ma analisi e ricerche qualificate – e sono ormai numerose – sembrano andare in una sola direzione. Non potranno essere i “nuovi” modelli familiari la terapia vincente di una società sempre più disgregata e impoverita dentro. Il gran polverone sollevato per esempio sul riconoscimento delle unioni omosessuali – meno del 3 per cento della popolazione – rischia di mettere in secondo piano il dramma autentico di una società al crepuscolo, in cui è crollato il numero di matrimoni e in cui nascono sempre meno bambini. I diritti di tutti sono importanti per costruire il futuro. Ma se non prepariamo il futuro non ci saranno diritti per nessuno.

Esiste una politica sulla famiglia? Le attenzioni che si concentrano in questi mesi sui nuovi modelli familiari – dalla “famiglia lunga” alla famiglia di fatto, dalle ricomposizioni più variegate ai nuclei in cui si intrecciano esperienze di genere e presenze LGBTQ – lasciano spazio a qualche dubbio. Invece di dedicare tanti sforzi e tante energie

Luciano Moia, caporedattore Noi genitori&figli – Avvenire redazione.rivista@ausiliatrice.net

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DON BOSCO OGGI

Da don Pascual a don Ángel.

Don Bosco continua «Non potete immaginare la profonda gioia che ho provato quando la sera dello scorso 30 gennaio ho accompagnato, insieme a mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e a numerosi salesiani e giovani, l’urna di don Bosco per le strade di Torino nel suo ritorno a Valdocco, dove lo stavano aspettando i giovani che riempivano la basilica e cantavano Don Bosco ritorna. Il ritorno a casa di don Bosco, dopo aver visitato i suoi figli dove si trovavano in tutto il mondo, mi ha spinto a scrivervi questa lettera. Di nuovo a Valdocco, don Bosco vuole giungere a tutti i giovani, soprattutto ai più bisognosi, attraverso ognuno di noi, chiamati a rappresentarlo».

L’ultimo messaggio a Torino di don Pascual Nel messaggio – ultimo del suo rettorato (2002-2014) – don Pascual Chàvez Villanueva, IX successore di don Bosco, rammenta che il suo ultimo pellegrinaggio a Maria Ausiliatrice, è avvenuto due mesi prima in compagnia dell’urna di don Bosco, che aveva fatto tappa nel Duomo di San Giovanni Battista, e a fianco di mons. Cesare Nosiglia, successore di quegli arcivescovi che sedevano sulla cattedra di san Massimo ai tempi del “padre e maestro della gioventù”. Quando nacque, il 16 agosto 1815, la cattedra era vacante da

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un anno e lo rimane per altri tre; Colombano Chiaveroti (18181831); Luigi dei marchesi Fransoni (1832-1862); cinque anni di sede vacante (1862-1867); Alessandro Ottaviano Ricardi dei Conti di Netro(1867-1870); Lorenzo Gastaldi (1871-1883); cardinale GaetanoAlimonda (1883-1891).

Don Pascual e la città di Torino Alla vigilia del voto con il quale il XXVII Capitolo Generale dei Salesiani ha eletto – il 25 marzo 20014, solennità dell’Annunciazione del Signore – don Ángel Fernández Artime Rettor Maggiore e X successore di don Bosco, don Pascual confida che aver


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rappresentato don Bosco per due mandati «mi ha spinto a identificarmi ogni giorno di più con il nostro padre, con la sua preoccupazione per la Congregazione, con la sua passione per i giovani. Mi sento più orgoglioso di essere salesiano, non solo perché ho per padre il nostro santo fondatore, ma anche perché ho voi come fratelli». Un particolare vincolo lega don Pascual a Torino e a don Bosco. Il 31 gennaio 2003, festa di san Giovanni Bosco, il sindaco Sergio Chiamparino lo accolse: era la prima volta che un Rettor Maggiore entrava a Palazzo Civico. Il sindaco Chiamparino disse una semplice verità: «Torino è legata a don Bosco e anche chi non è salesiano ha un ricordo positivo di lui». E don Pascual rispose con un’altra semplice verità: «Continuiamo a credere nella gioventù». Da don Pascual a don Ángel la storia continua e ritorna sempre al punto di partenza, don Giovanni Bosco. L’elenco dei suoi successori mostra come da Torino la Famiglia Salesiana sia arrivata in tutto il mondo: 1) don Michele Rua (1837-1910), nato a Torino (parrocchia san Gioachino), beato dal 28 ottobre 1972, Rettor Maggiore 1888-1910; 2) don Paolo Albera (1845-1921), nato a None (Torino), 1910-1921; 3) don Filippo Rinaldi (1856-1931), Lu Monferrato, provincia di Alessandria e diocesi di Casale Monferrato, beato 29 aprile 1990, 1922- 1931; 4) don Pietro Ricaldone (1870-1951),

Mirabello, provincia di Alessandria e diocesi di Casale Monferrato, 1932-1951; 5) don Renato Ziggiotti (1892-1983), Campodoro, provincia di Padova e diocesi di Vicenza, 1952-1965, primo emerito perché muore nel 1983; 6) don Luigi Ricceri (1901-1989), Mineo (Catania), 1965-1977; 7) don Egidio Viganò (1920-1995), Sondrio, 1977-1995 (3 mandati); 8) don Juan Edmundo Vecchi (1931-2002), Viedma in Argentina, 1996-2002, morto il 23 gennaio 2002 allo scadere del mandato; 9) don Pascual Chàvez Villanueva (1947-vivente), Real de Catorce (Messico), 2002-2014 (confermato nel 2008); 10) don Ángel Fernández Artime, nato il 21 agosto 1960 a Gozón-Luanco (Spagna), eletto il 25 marzo 2014.

L’elezione di don Ángel a nuovo Rettor Maggiore Don Pascual Chávez, Presidente dell’Assemblea, chiamato vicino a sé don Ángel, così si è espresso il 25 marzo: «Carissimo don Ángel, Dio attraverso i confratelli ti ha chiamato oggi per essere il successore di don Bosco. Tu sei chiamato non a conformarti o configurarti con il Rettor Maggiore, né con don Vecchi, né con don Viganó. Tu sei il successore di don Bosco, non di don Chávez. Dunque, a nome dell’assemblea capitolare ti domando se accetti». Con animo commosso, don Ángel ha preso la parola in lingua spagnola: «Mi abbandono nel Signore e chiediamo a don Bosco e a Maria Ausiliatrice che ci accompagni e mi accompagni, nella fraternità dei salesiani e con la Congregazione, e con fede accetto». Immediatamente dopo il nuovo Rettor Maggiore ha cominciato a ricevere l’abbraccio di ogni Capitolare. Un abbraccio anche nostro, a don Pascual e a don Ángel. Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net

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DON BOSCO OGGI

Al servizio della Chiesa, di don Bosco e di Dio

Il blogger Romano Borrelli ha incontrato Giuseppe Torre, 98 anni, da sempre a Valdocco, che continua a dare il suo contributo nella basilica di Maria Ausiliatrice. Gli auguri anche del Rettor Maggiore e del Sindaco di Torino. Per i suoi 98 anni, il 3 febbraio scorso ha ricevuto anche gli auguri del IX successore di don Bosco don Pascual Chàvez e quelli del Sindaco di Torino, Piero Fassino. Pochi possono vantare quest’età e questi riconoscimenti per «una vita al lavoro e di lavoro, a Torino e per Torino». Eppure lui, Giuseppe – ma per tutti, Tonino – Torre continua a ripetere che sino a quando le forze glielo consentono, lui è “in servizio”. Nato a Villafalletto, a circa 20 km da Cuneo, ha iniziato a lavorare in campagna, svolgendo «quei lavoretti che i bambini possono fare, pur non avendo le potenzialità fisiche di un uomo». Poi, i tanti spostamenti con la famiglia, o da solo. E dopo ancora, l’incontro dei Salesiani, prima di vederne le opere “all’opera”, gli spostamenti a Fossano, Saluzzo e a Torino. L’idea di Giuseppe era quella di partire in missione, in Brasile, a Rionegro. Il caso ha voluto diversamente: arrivato a Trieste in treno per imbarcarsi verso il Brasile, una congiuntivite

lo ferma. Torna a Torino, riprova a partire per la missione e di nuovo un altro no. Così, dedica tutti i suoi anni al servizio nella Basilica di Maria Ausiliatrice. E quando la guerra incombe e le sirene suonano, lui preferisce rifugiarsi all’interno della Basilica. Dopo, tra i tanti ricordi, il viaggio a Roma, per sei giorni, nel furgone contenente l’urna di don Bosco da esporre per l’inaugurazione della chiesa di don Bosco, nella capitale. «Urna esposta poi anche nella basilica di San Pietro, insieme a quella di san Pio X». E ancora, una “mole” di rapporti umani con l’intero quartiere.

Sulla cupola, con una scala per cambiare le lampadine Dalla sua stanza all’ultimo piano, osserva la cupola della Basilica e ricorda come effettuava il cambio delle lampadine, poste sulla corona della statua della Madonna. Giuseppe arrivava fin lassù con una semplice scala, tenuta da un altro operaio:

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«Tempi in cui la sicurezza non imponeva regole. Qualcuno doveva farlo e io lo facevo». Pensa, ripensa, conta mentalmente tutte quelle lampadine cambiate. Da una finestra, osserva il luogo dove ora, e per undici mesi l’anno, si trova il carro dove, ogni 24 maggio, la statua della Madonna esce dalla Basilica per la processione nel quartiere. I ricordi vanno all’enorme lavoro per l’addobbo, la composizione del carro, la distribuzione dei fiori... Una storia lunghissima, la sua. Scritta nello stesso identico posto. A Valdocco ha trascorso e trascorre una vita dedicata al servizio della Chiesa, di don Bosco e di Dio. Una vita spesa nel lavoro, al servizio degli altri, del prossimo, in continuo dialogo, a sinistra, destra, centro. Senza collocazione. Perché il prossimo con cui entrava ed entra in relazione non ha mai avuto né colore, né etichetta, né collocazione politica. cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (10,40-42). In ogni caso, nonostante tutto, tutte le mattine, Giuseppe, continua a dare il suo contributo in sacrestia e altrove. Per questo, dunque, sono più che meritati gli auguri di quanti in un modo o nell’altro hanno avuto la fortuna di incontrarlo e di chi, pur non incontrandolo, ne ha sentito parlare. E poi, gli auguri anche di quanti verranno e che dovranno custodire il suo lavoro, ben visibile in ogni angolo di questa “cittadella” della fede che è la basilica di Maria Ausiliatrice.

Un uomo che continua a non stare mai fermo Col sorriso sulle labbra, che mai gli è mancato, davanti all’urna di don Bosco, pare chiedere di poter cambiare “parte”. Confida: «Ora, avendo meno forze e più tempo, mi piacerebbe recitare la parte di Maria, dopo tanti anni di Marta». E cita alcuni versetti del Vangelo di Luca: «Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto fattasi avanti, le disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di

Romano Borrelli redazione.rivista@ausiliatrice.net

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esperienze

L’immagine dell’Ausiliatrice e le noccioline regali di don Bosco Massimo Giletti è un uomo del suo tempo che prova ancora nostalgia per le radici, rimaste in un minuscolo paese del biellese, Ponzone. Una terra dove tutto parla del suo bisnonno Anselmo, industriale tessile che seppe puntare al profitto senza dimenticare l’uomo, e di suo nonno Oreste, che proseguì nella tradizione: formazione degli operai, una buona organizzazione del lavoro e un valore aggiunto, la persona. «Tra le opere benefiche costruite dalla mia famiglia nella seconda metà dell’Ottocento – racconta Massimo – ci fu l’asilo: furono chiamate prima le suore del Cottolengo e poi le Figlie di Maria Ausiliatrice. Per ringrazia-

re i miei bisnonni benefattori, don Bosco regalò loro un’immagine dell’Ausiliatrice con una preghiera scritta a mano. La conservo nel mio ufficio a Roma». In casa Giletti i ricordi legati al Santo non mancano: «Mia nonna mi raccontava che sua mamma le parlava spesso delle frequenti visite di quel minuto prete astigiano in famiglia. In particolare mi piace rivelare un piccolo “segreto”: don Bosco regalò ai miei bisnonni come segno di gratitudine un barattolo di noccioline che è stato tramandato come una vera e propria reliquia fino a me. Le noccioline sono ancora intatte».

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«Mi piace ricordare l’aiuto dato ai salesiani nel 2008 con il Concerto per i ragazzi di strada di Raiuno. Ci abbiamo creduto tutti e insieme raccogliendo fondi per sostenere le attività della Fondazione Don Bosco nel Mondo»

Il lavoro Uomo di fede, Massimo ha “conosciuto” don Bosco anche prima della sua fortunata carriera televisiva, quando era vice caporeparto nell’azienda di famiglia: «L’unico modo di vivere una fabbrica è lavorare gomito a gomito con gli operai – racconta -. E parlando con loro, vedendo come nasce una grande impresa ho capito che don Bosco aveva capito tutto: la formazione professionale è la chiave del progresso. E il suo insegnamento oggi serve alla classe imprenditoriale illuminata per andare oltre, a riformulare quel fare degli “onesti cittadini e buoni cristiani” in relazione alle sfide del momento per cui lo scopo è quello di un inserimento autentico nella società con fedeltà ai valori umani e cristiani integrando fede e vita».

loro, che cosa succede fuori. Vorrei una tv con più coraggio e nuove idee. Purtroppo però vedo solo tanta paura, eppure le buone notizie ci sono». Insomma, ci occupiamo troppo delle vite sbagliate: bisogna ascoltare di più la foresta che cresce, e non soltanto l’albero che cade.

La mamma Mamma Giuliana è una figura centrale nella vita di Massimo. È lei che lo ha avviato insieme ai suoi due fratelli al volontariato. «I primi ricordi risalgono a cinque anni o sei anni, quando vedevo mia madre e mia nonna partire verso Lourdes con i treni dell’Unitalsi. Avevo dieci anni quando iniziai anch’io questa esperienza. È iniziato tutto come un gioco: anche se non capivo, mi rendevo in qualche modo conto che potevo fare qualcosa per gli altri. Così quando abitavo a Torino il mercoledì sera era dedicato all’assistenza dei malati al Cottolengo. Sono esperienze che segnano la vita». Volontariato che si può praticare anche nel lavoro quotidiano: «Mi piace ricordare l’aiuto dato ai salesiani nel 2008 con il Concerto per i ragazzi di strada di Raiuno. Ci abbiamo creduto tutti e insieme raccogliendo fondi per sostenere le attività della Fondazione Don Bosco nel Mondo. In particolare mi emoziona pensare al progetto di accoglienza Foyer-Lakay ad Haiti: trecento ragazzi stanno crescendo “onesti cittadini e buoni cristiani” con l’aiuto di padre Attilio Stra che li ha coinvolti in un ciclo formativo di tre anni».

La tv Dal 1989 la tv. Contraddicendo spesso un luogo comune del giornalismo secondo il quale il bene non fa notizia. E allora spazio agli eroi della quotidianità che offrono messaggi di fiducia dando forma a quel welfare di comunità che resiste anche alla crisi. «Mi piace la positività e vorrei diffonderla in ogni luogo. Tempo fa proposi di portare gli ospiti dentro a un carcere, per raccontare i detenuti e alle guardie, che spesso sono detenute anche

Andrea Caglieris giornalista Rai Segretario Ordine Giornalisti Piemonte redazione.rivista@ausiliatrice.net

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sfide educative

L’ideologia gender ci interpella Un problema sottovalutato

più totale indifferenza degli adulti e degli educatori, si confronta con questa subdola e devastante ideologia impregnata di soggettivismo esistenziale e di nichilismo etico. Su alcuni quotidiani italiani sono comparsi alcuni articoli al riguardo; peccato che siano sensibili più alla cronaca che all’approfondimento del tema. Finalmente sembra giunto il momento in cui anche le autorità civili, educative e religiose prendono coscienza del problema. L’importante è che, seguendo una ben consolidata abitudine italiana, tutto non finisca nella solita “caciara” ideologica.

Ultimamente, in alcune scuole materne di Bologna, senza aver consultato i genitori, si è cominciato ad introdurre in campo educativo alcune istanze portate avanti dall’ideologia di genere. Anche il comune di Torino ha preparato delle schede che propongono, a riguardo della sessualità umana, principi in perfetta sintonia con le istanze gender. Durante questi ultimi giorni due qualificati interventi, da parte del presidente della Conferenza Episcopale Italiana cardinal Bagnasco e dell’arcivescovo di Torino monsignor Nosiglia, testimoniano che la problematica è sbarcata ufficialmente anche in Italia. Purtroppo con un deprecabile ritardo. Il mondo giovanile, attraverso i social network, è da alcuni anni che, in perfetta solitudine ed in mezzo alla

I termini del dibattito La sfida lanciata a tutti coloro a cui sta a cuore l’educazione non la si può lasciare cadere nel nulla.

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MAGGIO-GIUGNO 2014

Essa, infatti, in questi ultimi decenni, ha portato un attacco mortale al modo di concepire l’uomo e la donna. Supportata da interessi e scopi tutt’altro che trasparenti e disinteressati, sta minando non solo l’identità sessuale, ma anche cerca di scalzare il concetto stesso di famiglia umana. Si tratta di un’autentica provocazione culturale che coinvolge la scienza e l’etica. Propone una visione antropologica in grado di rivoluzionare tradizioni, socialità e relazioni uomo-donna. Si sta tentando di far passare come normali e scontati affermazioni e comportamenti che tali non sono affatto. Dietro alla propaganda gender c’è una ben orchestrata ideologia rivolta non tanto a scalzare l’etica cattolica, considerata solo un’anticaglia del passato, quanto piuttosto ad imporre una visione di vita che marginalizza l’importanza della famiglia e rigetta la differenziazione sessuale stabilita dalla natura.

Omossessualità contro corrente. Vivere secondo la Chiesa e essere felici. Philippe Ariño Effatà 2014 pagine 80, euro 8,00

ricani nel 1977 rivela che in quell’anno il 69% di loro pensa che tale orientamento sessuale sia il frutto di un adattamento patologico e non una variazione normale. È il problema dell’identità sessuale che maggiormente mi interpella come educatore. Il sostenere che il sesso sia una libera scelta culturale completamente staccata dalla fisiologia mi lascia molto perplesso e mi fa sorgere alcuni interrogativi. È possibile sentirmi veramente donna in un corpo perfettamente maschile? Mi sembra la pretesa di uno che ha un’altezza di due metri e che pretenda di essere considerato nano. Le ghiandole sessuali, il sistema endocrino, il cervello, la psicologia non giocano nessun ruolo nel definire l’appartenenza sessuale di un individuo? La natura, che nella cultura moderna viene, in altri campi, quasi idolatrata, non conta proprio nulla nella determinazione sessuale? In nome di che cosa le differenziazioni fisiologiche vengono azzerate? La scienza, prima ancora della fede, che cosa ci dice veramente sul tema? Prima di trasformare il confronto culturale in un ring, forse è quanto mai urgente un serio impegno di studio ed approfondimento personale da parte di tutti. Gli schiamazzi moralistici e le gazzarre ideologiche di certo non aiutano a trovare quelle risposte che i giovani si aspettano da parte di genitori, educatori, politici e religiosi.

Alcuni interrogativi Mi voglio soffermare ad analizzare brevemente due affermazioni cardine della visione gender: il problema dell’omosessualità e quello dell’identità sessuale. Innanzitutto è fondamentale distinguere tra persona omosessuale e omosessualità. La prima è un valore, la seconda è un problema. A riguardo delle persone omosessuali vale quanto detto da papa Francesco: «Chi sono io per giudicare?». Mi onoro di annoverare tra i miei più cari amici alcuni di loro. La loro intelligenza, sensibilità e trasparenza mi hanno sempre insegnato il rispetto. L’omosessualità, anche per la scienza, presenta invece molti aspetti oscuri e dibattuti. Se, per esempio, prendiamo il famosissimo Comprehensive Textbook of Psychiatry, alla domanda se l’omosessualità comporti o no uno squilibrio sessuale non dà una risposta univoca. Nell’edizione del 1967 vede in essa uno squilibrio; nella seconda edizione del 1975 sfuma questo giudizio; nella terza edizione in essa non vede alcun problema di nessuna specie; nella quarta edizione del 1985 e nella quinta del 1989 sostiene la tesi che essa non è altro che la conseguenza di uno sviluppo psico-sociale imperfetto. Un’inchiesta fatta tra gli psichiatri ame-

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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La «Voce del Popolo», fondata da San Leonardo Murialdo nel 1876 con il nome di «Bollettino delle unioni Operaie Cattoliche» e divenuta «La Voce del Popolo» nel 1933, è stata ed è, in modi e forme diverse, il giornale a servizio della Chiesa torinese. Dal 16 ottobre 2009 è in vendita nelle edicole della città

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