Freeducation

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Ogni giorno studiare diventa sempre più un lusso e non un diritto. Molti dei nostri coetanei hanno deciso di andare all'estero, altri ancora hanno abbandonato scuole e università perché non possono più permettersele. Ora basta! Vogliamo costruire un accesso libero alla conoscenza a partire dalle scuole, dalle università, dalla formazione artistico-musicale e dalle fonti culturali. Vogliamo che l'istruzione e la cultura siano gratuite e di qualità. Di tutti e per tutti. Contro le disuguaglianze e per un’altra idea di sviluppo del Paese.

Se studiare diventa un lusso Oggi studiare è un costo sempre più insostenibile. Fin dalle scuole superiori, dove il cosiddetto “contributo volontario” alle spese degli istituti si aggira attorno ai 130 € in costi scuola media per studente, ma che in alcuni casi tocca i materiali 2,64mld 300 € l'anno (link). A trasporti 758mln questo costo considerevole Contributo 328,5mln – l'eredità più visibile dei "volontario" tagli che hanno investito la scuola negli ultimi otto Totale 3,73mld anni – si devono aggiungere le spese per i libri, i materiali scolastici, i trasporti, il vitto... Secondo Federconsumatori quest'anno i costi per i materiali scolastici sono aumentati dell'1,5%: in media quest'anno si sono spesi 514 € per il corredo scolastico e 531 € per i libri di testo (link). Per quanto riguarda i trasporti, un abbonamento mensile costa in media tra i 20 e i 30 € al mese, a seconda che si tratti di autobus o treno. fonte: istat - federconsumatori

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Il risultato? Un tasso di abbandono scolastico attorno al 17% (link). Peggio di noi in Europa, nel 2013, solo Romania, Portogallo, Malta e Spagna. È come se negli ultimi 15 l'intera popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia e Veneto (2,87 mln di studenti) avesse abbandonato gli studi prima di finire la propria formazione scolastica (link). E dove c'è abbandono scolastico c'è un aumento delle disuguaglianze, della marginalità sociale, della criminalità – spesso controllata dalle mafie – e un crollo della competitività del sistema produttivo. È opinione comune che in Italia l'Università sia gratuita. Lo scrivono anche “esperti” del campo evidentemente poco informati o in malafede (link). Basterebbe considerare la tassazione universitaria per smentire questa bufala: terza in classifica in Europa, con una media di 1.100 € l'anno per studente, e con solo l'11,5% di studenti esentati (in Spagna sono il 30%, in Francia il 35%, Italia Spagna mentre in Paesi come la Germania 11,5% 30% la tassazione è inesistente) (link). Ma le tasse non sono l’unica spesa che uno studente si trova a sostenere quando deve affrontare un corso di studi universitario: vanno considerate ad esempio anche le spese di Germania Francia trasporto – per i pendolari – o 100% 35% di affitto per i fuorisede. In media 380 € per una singola e 270 € per una doppia, consultando i siti delle agenzie immobiliari, ma in alcune città universitarie i prezzi sono da capogiro: a Milano 490 € per una singola e 335 € in doppia, a Roma rispettivamente 415 € e 290 €. Senza considerare i costi per i testi universitari.

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In sintesi, abbiamo calcolato che uno studente costi università romano con un ISEEdi tasse 1,8mld 24.000 € si trova a spendere ogni anno più di Affitto 1,6mld 13.620 € per mantenere trasporti 565mln gli studi: 800 € di tasse Libri 1,6mld d’iscrizione, 5.400 € di affitto, 6.000 € tra mensa, Totale 5,6mld spesa alimentare e bollette, 1000 € di manuali e monografie, 420 € di abbonamento ai mezzi pubblici (link). fonte: Anagrafe nazionale studenti - federconsumatori

Questo è Il costo annuale di una vita senza cinema, senza teatro, senza musei e senza uscite: 13.620 € che moltiplicati per la durata di una laurea triennale arriva ad una spesa di ben 40.860 €. Più che un'utilitaria, come ha sostenuto qualche tempo fa la Ministra Giannini (link), si tratta di un SUV multiaccessoriato. Che possono permettersi sempre meno persone: secondo i dati dell’Anagrafe Studenti del Miur sono 66.800 infatti gli immatricolati in meno nel confronto tra l’Anno Accademico 2003/2004 e quello 2014/2015 (link). Facendo la somma anno per anno, otteniamo 463mila potenziali studenti universitari che non si sono nemmeno immatricolati, una cifra pari a quattro volte e mezzo quella degli iscritti dell’Università La Sapienza. Ma non è solo nel campo della cosiddetta “formazione formale” che i costi in questi anni si sono moltiplicati. Anche nel campo dell'accesso alla cultura e dell'aggiornamento delle competenze i costi sono lievitati considerevolmente.

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E così, nonostante i fiumi di retorica sull'importanza del lifelong learning, in Italia solo il 6,2% della popolazione è coinvolta in percorsi formativi (contro una media UE del 10,2%, con picchi del 31,2% in Danimarca) (link). Il tasso di partecipazione culturale è in picchiata, dal 37,1% del 2011 al 26,7% del 2014 (link e link). Se oggi “imparare ad imparare”, cioè di ricevere un’istruzione che serva non tanto a ottenere conoscenze in sé ma a poter continuare a formarsi lungo tutto l’arco della vita, viene ritenuto a livello globale un obiettivo fondamentale per competere e progredire nelle nuove frontiere del sistema produttivo. In Italia questo problema non viene neanche posto. Secondo il rapporto BES 2015 siamo al penultimo posto in Europa per investimenti pubblici nella cultura, in calo del 23% dal 2008 al 2013 (link). E gli investimenti sono più deboli man mano che ci si sposta a Sud: in Campania si investono 2,26 € pro capite per la cultura, in Trentino 27,6 € (link). Il risultato? I costi per l'accesso al patrimonio culturale sono scaricati sui singoli individui: se veramente la cultura fosse un servizio essenziale, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio (link) per bloccare gli scioperi degli operatori dei beni culturali vessati da condizioni lavorative e salariali vergognose, il primo passo sarebbe quello di renderla accessibile a tutti. Noi ci stiamo: e il Governo?

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L’istruzione e la cultura inaccessibili sono un costo per tutti Ma quali sono gli effetti concreti dell'aver considerato in questi anni l'istruzione e la cultura come costi (privati) anziché come investimenti (pubblici)? Il sistema formativo, anziché avere un ruolo determinante nell'eliminazione delle disuguaglianze, contribuisce a riprodurle. Una recente ricerca del professor Daniele Checchi, docente di Economia politica dell’Università degli studi di Milano (link), dimostra che in terza media è la classe sociale di appartenenza a stabilire quale percorso lo studente intraprenderà nella scuola secondaria di secondo grado. Il tutto in un sistema di istruzione secondaria diviso per indirizzi ben distinti tra loro e dove la scelta della “filiera”, come la definisce Checchi, generalista, accademica o professionale, avviene tra i 13 e i 14 anni, «un’età in cui l’influenza dei genitori è ancora forte». Tale situazione si aggrava, poi, durante il percorso formativo. Parliamo delle disuguaglianze culturali: nel 2013 i figli dei genitori con con al massimo la scuola dell’obbligo hanno avuto un tasso di abbandono scolastico del 27,7%, mentre i figli di genitori laureati del 2,9% (link). Anche rispetto alla condizione di Neet la distanza è elevata: i figli di genitori con al massimo la scuola dell’obbligo raggiungono il 28,3% nel 2013 mentre i figli di genitori laureati si attestano al 10,2% (link).

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Ma anche le disuguaglianze territoriali non sono da trascurare: si conferma nel tempo il divario tra Nord e Sud del Paese, tanto nella percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni (24%-18,2%) quanto nella distribuzione dei Neet (19%-35,4%) e nei livelli di competenza alfabetica (201,9-189,2) e matematica (213,2-186,2) (link).

Infine, le disuguaglianze di reddito: sono proprio i meno abbienti infatti ad abbandonare per primi gli studi, a causa di un sistema di diritto allo studio sottofinanziato e assolutamente inadeguato: all'universitĂ , solo il 10% degli studenti sono idonei alla borsa di studio, contro il 25% della Germania e il 34% della Francia, ma a quel 10% vanno tolti gli idonei senza borsa di studio, (attorno ai 40.000 solo lo scorso anno) e si arriva quindi al 7% (link).

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Non è però soltanto sul terreno dell'aumento delle disuguaglianze che si misura il fallimento dell'attuale sistema formativo e culturale. Pensiamo ad esempio al fatto che in Italia solo il 25% dei manager aziendali ha una laurea, contro una media del 54% a livello UE (link). Una classe imprenditoriale mediamente poco istruita ha compiuto in questi anni una scelta strategica agevolata sistematicamente dalla politica: puntare sulla svalutazione competitiva del costo del lavoro (comprimendo diritti e salari), anziché sull’innovazione. Basta pensare che in Italia mancano all'appello, rispetto alla media europea, 4 mld di € di ricerca e sviluppo, metà dalla spesa pubblica e l'altra metà dagli investimenti privati (link). E ancora: una ricerca del 2011 dell’Università del Massachusetts (link) ha stimato che mentre 1 mld di $ investito nella difesa genera in media 11.200 nuovi posti di lavoro, la stessa cifra investita in energie rinnovabili ne produrrebbe ben 16.800, un numero che si alza ancora per gli investimenti in istruzione, capaci di generare 26.700 nuovi posti di lavoro. Il vero costo, dunque, è rendere inaccessibili l’istruzione e la cultura: un costo che stiamo già pagando con più disuguaglianze, meno innovazione e uno sviluppo sempre più insostenibile.

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Per l’istruzione e la cultura gratuite e di qualità La nostra soluzione è quindi garantire a tutti un'istruzione e una cultura di qualità, innanzitutto rendendole gratuite: si tratta del primo passo, necessario anche se non sufficiente. Siamo consapevoli che allo stesso tempo si tratta di una scelta di rottura rispetto all'attuale sistema formativo e culturale, ma siamo altrettanto consapevoli che oggi sia fondamentale costruire un'alternativa radicale a un meccanismo vecchio, inefficiente ed escludente, che produce disuguaglianze e arretramento sul terreno dell'innovazione e dello sviluppo. Ma quindi vogliamo rendere scuole, università, musei etc. gratuiti, anche per i ricchi? Così non si alimentano ulteriormente le disuguaglianze? Don Milani diceva che “non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. È proprio per questo che crediamo che la fiscalità generale vada profondamente cambiata, rendendola molto più progressiva e mettendola in grado di colpire le grandi rendite, i patrimoni improduttivi, le operazioni speculative e perseguendo in maniera efficace la grande evasione ed elusione fiscale. In questo modo i ricchi pagano molto più dei poveri per un costo, quello dell'istruzione, della formazione e dell'arricchimento culturale, che viene considerato un investimento sociale e non una spesa privata. In questo modo, inoltre, si può far fronte in maniera più efficace a un insieme di disuguaglianze che, come abbiamo visto in precedenza, si intrecciano tra loro: non solo quelle di reddito, ma anche quelle territoriali e di provenienza culturale. Infine, abbattendo le spese private in ambito formativo e culturale si promuove l'autonomia degli individui, in particolare rispetto alla famiglia di provenienza, permettendo così una scelta veramente libera del percorso formativo da intraprendere e delle occasioni di arricchimento culturale da cogliere.

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Quella dell'avvicinamento alla prospettiva della gratuità dell'istruzione e dell'autonomia dei soggetti in formazione è una strada che è stata intrapresa con successo da altri Paesi nell'area europea e non solo: in Germania, ad esempio, nel 2014 anche l'ultimo Lander che le prevedeva ha abolito le tasse universitarie, rendendo l'accesso agli Atenei completamente gratuito (link). In Belgio presentando un contratto d’affitto gli studenti percepiscono 415 € al mese oltre al sussidio familiare di 105 €, riservato a tutti i maggiorenni, ed un sussidio alimentare di 125 € (link). In Cile il Governo Bachelet ha recentemente approvato la Ley Corta, che ha reso gratuita l’università per i primi cinque decili della popolazione, puntando ad arrivare alla gratuità totale entro il 2020 (link). Ed è interessante constatare come proprio in Inghilterra e negli Stati Uniti, ovvero in quei Paesi che negli ultimi decenni si sono più allontanati dall’idea dell’istruzione gratuita costringendo addirittura decine di migliaia di studenti a indebitarsi per poter studiare, il dibattito pubblico si stia ora riaprendo grazie a delle prese di posizione radicali come quelle di Jeremy Corbyn (link) e Bernie Sanders (link). Ma quante risorse servono per raggiungere la gratuità dell'istruzione e della cultura in Italia? Fare delle stime è molto complicato, soprattutto perché è ancora più difficile calcolare nel dettaglio le sicure ricadute positive sul sistema economico e quindi anche sulle risorse pubbliche, né l'aumento di iscritti ai percorsi formativi formali che deriverebbe dalla completa apertura degli stessi e che costituirebbe un importante passo per colmare il gap tra l'Italia e gli altri Paesi europei nel numero di diplomati e laureati (siamo stati superati, di recente, anche dalla Turchia (link)). Per quanto riguarda le scuole superiori, è possibile effettuare alcune stime a partire dalla numerosità attuale degli iscritti agli istituti secondari, che nell’anno scolastico 13/14 si aggirava

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attorno ai 2,5 mln (per la precisione, 2.527.351 (link)). Secondo le stime di Federconsumatori, già riportate in precedenza, le spese per il corredo scolastico e i libri di testo ammontano a 1.045 € pro capite, quindi 2,64 mld di € in totale; a questa cifra vanno aggiunti perlomeno i costi per i trasporti (calcolando 25 € di media per un abbonamento mensile possiamo considerare una spesa complessiva di 758 mln di €) e quelli del contributo volontario (che secondo le nostre rilevazioni ammonta a 130 € in media, e che quindi si può stimare pesi 328,5 mln di € l’anno). In totale, quindi, parliamo di 3,73 mld di € necessari per garantire la gratuità del percorso scolastico delle scuole superiori: cifra che ovviamente potrebbe essere fortemente abbattuta estendendo il comodato d’uso dei libri di testo su tutto il territorio nazionale e promuovendo la produzione di testi scolastici copyleft. La sola spesa per i libri di testo infatti pesa per 1,35 mld di €. Per quanto riguarda l'università è possibile fare alcune approssimazioni grazie ai dai ricavati dall’Anagrafe Nazionale Studenti (link). Gli studenti iscritti nell’Anno Accademico 2014/2015 a tutti gli Atenei italiani erano 1.667.592. Se, dati Ocse alla mano, si considera una tassazione media di 1.100 € annuali, per sollevare gli studenti dall’onere della tassazione servirebbero poco più di 1,8 mld di €. Se consideriamo inoltre la necessita di garantire agli studenti un posto alloggio gratuito dobbiamo valutare che nel 2014 secondo Federconsumatori i fuorisede erano circa 600.000 (link). Considerato il costo medio di una doppia a 270 € tali studenti si sono caricati di un costo di 1,6 mld di €. Per quello che riguarda i trasporti sempre Federconsumatori stima il costo medio dei rientri periodici degli studenti fuori sede: considerando una media di un rientro al mese ad un prezzo di 40 €, la spesa totale per 10 mesi all’anno è pari a 400 € che moltiplicata per il numero dei fuori sede fornisce un costo di 240 mln di €.

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Per tutti gli studenti, in sede e fuorisede, si calcola invece il costo del trasporto urbano che in media nazionale si aggira sui 195 €/anno che moltiplicato per il numero degli studenti dà una spesa complessiva di circa 325 mln di €. Ci sono infine i costi relativi al materiale didattico – anche informatico – per sostenere 6 esami all’anno, che mediato sulle diverse discipline è stato stimato da Federconsumatori in un totale di 960 €: sul totale degli studenti determina una spesa annuale di 1,6 mld di €. L’ammontare complessivo, che comprende tutte queste voci indica una spesa statale potenziale di circa 5,6 mld di €, che ovviamente si potrebbe ridurre tramite la costruzione di studentati e residenze che abbatterebbero i costi per la garanzia del diritto all'abitare e soprattutto tramite il superamento della disciplina della proprietà intellettuale a fini commerciali sul materiale didattico, che rappresenta una spesa enorme per gli studenti. Infine, per quanto riguarda l'accesso alla cultura, possiamo prendere in considerazione, a titolo esemplificativo, il caso del patrimonio museale e archeologico italiano, uno dei più importanti al mondo. Da questo punto di vista il dato più indicativo è fornito dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali. Nel 2014 l'introito lordo da sbigliettamento di musei, monumenti e aree archeologiche statali (che attraggono il 38,8% dei visitatori totali (link)) è stato di 135,5 mln di € (link). Non sono disponibili i dati sugli introiti lordi delle strutture non statali, tuttavia facendo una proiezione sul numero di visitatori totali è possibile stimare un'entrata complessiva di 349,2 mln di €: per rendere completamente gratuito l'accesso al patrimonio museale e archeologico italiano potrebbe essere sufficiente una cifra simile.

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In totale, prendendo in considerazione le stime di cui sopra, garantire la gratuità dell’istruzione e della cultura in Italia costerebbe 9,7 mld di € l’anno. Più o meno quanto le risorse pubbliche tagliate alla scuola e all’università nel 2008 dal duo Tremonti-Gelmini. Si tratterebbe, insomma, di restituire il maltolto.

Cinque proposte applicabili da subito Come raccogliere le risorse necessarie per questa profonda trasformazione? Sapendo che la strada verso la gratuità è lunga e non può che essere percorsa passo dopo passo in maniera progressiva, indichiamo cinque misure immediatamente eseguibili che accompagnerebbero il nostro Paese verso la prospettiva di un sistema formativo e culturale realmente aperto, di una società meno diseguale, di un modello di sviluppo più innovativo.

1. Una tassazione veramente progressiva e una seria lotta alla grande evasione ed elusione fiscale consentirebbe di recuperare un'ingente quantità di risorse da investire (anche) nell'istruzione e nella cultura. La vera ipoteca sullo sviluppo del nostro Paese è la ricchezza che si accumula sempre più in alto: sbloccare quelle risorse significa sbloccare il futuro. Una proposta concreta e immediata? L’assoggettamento all’Irpef delle rendite finanziarie, sulla base delle stime presentate dal Governo, vale circa 2,4 mld di € (link). Quanto è sufficiente per abolire la tassazione universitaria e garantire la mobilità gratuita a tutti gli studenti universitari;

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2.

Mentre in questi anni l’Italia ha disinvestito sulla formazione e la cultura, non ha badato a spese sull’acquisto di armi e sulla progettazione e realizzazione di grandi opere inutili. Con un casco utilizzato dai piloti dei velivoli F-35 (430.000 €) si pagano 215 borse di studio (link); con dieci metri di TAV (1,58 mln di €) si comprano i libri di testo a quasi 3.000 studenti (link). Dimezzando le spese per l’acquisto di nuovi armamenti militari previste dal Governo Renzi (13 mld di € nel triennio 2015-2017 (link)) si otterrebbero 2,5 mld di € l’anno per avvicinarsi ulteriormente all’obiettivo dell’istruzione e della cultura gratuite e di qualità;

3. Con la Buona Scuola il Governo Renzi ha stanziato ben 497

mln di € per le scuole private, raggiunti grazie all’aggiunta di ulteriori 25 mln di € in Legge di Stabilità (link). Se a ciò aggiungiamo gli sgravi fiscali per le famiglie che iscrivono i propri figli alle scuole private e che si traducono in minori entrate per lo Stato (116,2 mln di € secondo le previsioni del Miur (link)), otteniamo più di 600 mln di € che potrebbe essere investiti nella lotta all’abbandono scolastico. Perché tutti devono aver diritto a frequentare una scuola pubblica, laica, di qualità;

4. Il “bonus cultura” varato dal Governo con la Legge di Stabil-

ità di quest’anno prevede di erogare 500 € per le spese ai neodiciottenni (italiani e incensurati). Si tratta di 290 mln di € (link) che costituiranno una sorta di paghetta - o di favore elettorale? -, una misura una tantum assolutamente inadatta a fronteggiare il problema dell’accesso alla cultura nel nostro Paese. Meno di metà di quella cifra sarebbe sufficiente per rendere gratuito l’accesso al patrimonio museale e archeologico statale. Quello che avanza (154,5 mln di €) potrebbe contribuire, assieme ai fondi recuperati dai finanziamenti alle scuole private, alla lotta all’abbandono scolastico;

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Il caro libri è un problema sentito da tutti i soggetti in formazione, dalla scuola all’università. Dietro l’aumento dei costi si nasconde la lobby dei grandi editori, che specula su un’idea di proprietà intellettuale che premia la rendita e attacca la libertà di produzione e circolazione della conoscenza, delle idee, dei prodotti artistici e culturali. Per questa ragione crediamo che vada profondamente rivista la normativa sul diritto d’autore: recentemente Germania e Paesi Bassi hanno fatto il passo importante di riconoscere agli autori di opere scientifiche un diritto di ripubblicazione, non derogabile per via contrattuale, sottraendo così i ricercatori dal ricatto della lobby dell'editoria scientifica (link). Difficile in questo campo calcolare le ricadute economiche, ma crediamo che sarebbe un primo, importante passo - anche se non sufficiente a risolvere il problema dell'accesso alla conoscenza - che anche il nostro Paese dovrebbe compiere.

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