Schede tecniche deleghe legge 107

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STUDENTI INFEDELI ALLA BUONA SCUOLA

Di cosa parlano le deleghe della Buona Scuola? Leggi le schede tecniche!


Indice: Scheda tecnica delega diritto allo studio…………………………………………………………………………………2-4 Scheda tecnica disabilità…………………………………………………………………………………………………………5-6 Scheda tecnica sistema di valutazione…………………………………………………………………………………….7-9 Scheda tecnica istruzione e formazione professionale…………………………………………………………10-16 Scheda tecnica sistema integrato di istruzione ed educazione dai zero ai sei anni……………….17-18 SCHEDA TECNICA DELEGA IN BIANCO SUL DIRITTO ALLO STUDIO


L’atto di Governo 381 corrisponde alla delega in bianco sul diritto allo studio prevista dalla legge 107, la Buona Scuola. Si tratterebbe di uno “schema di decreto legislativo concernente l'effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente.” Il decreto si compone di quattordici articoli concernenti le tasse scolastiche, i trasporti, mense, libri di testo, carta dello studente, borse di studio e conferenza nazionale sul diritto allo studio ma ricorre in quasi ogni articolo la formula “senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato” che lascia forti perplessità sull’innovazione rispetto agli anni precedenti in materia di finanziamenti alla scuola pubblica e di garanzia effettiva del diritto allo studio. Anche stavolta vi sono eterni assenti nel decreto come una legge nazionale sul diritto allo studio e come la questione dei maggiori finanziamenti pubblici da parte dello Stato per la scuola pubblica. Non solo, si premia ancora la possibilità di promuovere accordi territoriali con privati al fine di non gravare sulla finanza pubblica. Cosa prevede il decreto? Quali sarebbero gli avanzamenti? Facciamo un’analisi degli articoli più controversi: • all’art. 1, specifico su “oggetto e finalità” - Si fa riferimento all’individuazione delle modalità di prestazione del diritto allo studio sulla quale si investe solo “compatibilmente con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili”. Ancora nulla rispetto alla nostra storica rivendicazione di una legge nazionale sul diritto allo studio che definisca i livelli essenziali delle prestazioni, che rifinanzi la legge 440/97 sull’autonomia scolastica, che finanzi il miglioramento dell’offerta formativa e che preveda soldi “veri” sulle misure di welfare studentesco messe in campo; • all’art. 2, specifico su “servizi” - Si parla di interventi per il sostegno del diritto allo studio degli studenti menzionando mense, trasporti e mobilità, libri di testo e strumenti per gli alunni ricoverati in ospedale, quali servizi su cui gli Enti locali dovrebbero investire però anche stavolta solo ed esclusivamente “nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie, umane e strumentali disponibili”; • all’art. 3, specifico su “beneficiari” - “Tenuto conto della necessità di programmare annualmente i servizi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, gli Enti locali • possono prevedere la gratuità totale dell'accesso agli stessi ovvero richiedere un contributo alle famiglie”: di sicuro nulla di nuovo o particolarmente innovativo, come


sempre le famiglie avranno sulle loro spalle un prezzo da pagare troppo alto per permettere ai propri figli di intraprendere e procedere nel loro percorso di studi.

Se agli articoli 4, 5, 6, 7 e 8 sembrano esserci delle evoluzioni su, rispettivamente, esonero delle tasse scolastiche per gli studenti di scuole secondarie di secondo grado; su l’incentivo di forme di mobilità sostenibile; su servizi di mensa nelle scuole laddove gli orari scolastici lo permettano; sui libri di testo gratuiti seppur solo nelle scuole primarie, la contraddittorietà si demarca nei seguenti articoli: • all’art. 9, specifico su “borse di studio” - Si prevederebbe la copertura di borse di studio per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado al fine di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica con un apporto economico proveniente dal Fondo per il welfare studentesco e il diritto allo studio: si palesa però la contraddizione della provenienza di questa ipotetica somma: l’investimento delle borse di studio è, per Costituzione, competenza dell’Ente regionale e non dell’Ente nazionale. Solo se avesse vinto il SI al referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016 gli Enti regionali, con la riforma del titolo V, avrebbero perso delle competenze che sarebbero, allora, state parzialmente appannaggio dello Stato ma ad oggi non può esistere un rapporto diretto Stato-studente nell’erogazione di borse di studio: significherebbe incidere su materie di competenza che risultano essere proprie solo ed esclusivamente dell’Ente regionale (oltre il fattore di incostituzionalità della cosa). • all’art. 13 del CAPO II, specifico su “accordi territoriali” - Qui si ha uno dei passaggi con diretto riferimento al finanziamento da parte di soggetti privati, al fine di ottenere agevolazioni locali: non accettiamo la possibilità di privatizzare le nostre scuole e di creare una sperequazione tra scuole di serie A e scuole di serie B che si basi sulla presenza/assenza di soggetti privati nel territorio; • all’art. 14 si sostanzia il filo conduttore di tutto il decreto da cui si percepisce la totale indisponibilità da parte dello Stato a finanziare con misure reali ed adeguate ai bisogni materiali dello studente il diritto allo studio: “ [...] non devono derivare maggiori oneri per la finanza pubblica oltre i limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali a legislazione vigente.” Stando alla delega, dunque, non si intende davvero modificare l’assetto dell’attuale sistema di diritto allo studio nel nostro paese, senza finanziamenti e misure reali, non sarà possibile rendere realmente accessibile a tutti l’istruzione.


Le nostre richieste sul diritto allo studio sono: • una legge nazionale sul diritto allo studio con un investimento pari a 14 miliardi di euro; • un investimento reale sul diritto allo studio pari a 5 miliardi di euro; • l’eliminazione delle detrazioni Irpef per gli iscritti alle scuole private per un risparmio pari a 340 milioni di euro; • aggiornamento di tutte le leggi regionali sul diritto allo studio e l’introduzione di un reddito per tutti i soggetti in formazione. SCHEDA TECNICA SU DELEGA RIGUARDANTE L’INCLUSIONE SCOLASTICA PER ALUNNI CON DISABILITA’


Analisi del decreto 378 legislativo recante norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Partendo dai principi generali della delega: si elude totalmente la necessità di definire una Legge nazionale sul diritto allo studio che possa disciplinare i principi fondamentali rispetto all’accesso degli studenti disabili nella scuola secondaria di secondo grado, una prima grave mancanza che evidenzia una superficialità dell’azione prevista. Nell’articolo 4 comma 2 vediamo una deresponsabilizzazione dello Stato in tema di valutazione del sistema di inclusione per gli alunni con disabilità, questa valutazione viene infatti appaltata all’Istituto Nazionale per la Valutazione di Sistema. • “L'INVALSI, in fase di predisposizione dei protocolli di valutazione e dei quadri di riferimento dei rapporti di autovalutazione, definisce gli indicatori per la valutazione della qualità dell'inclusione scolastica, sulla base dei seguenti criteri: 1.Qualità del Piano per l'inclusione scolastica di cui all'articolo 10; 2.Realizzazione di percorsi per la personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione, deflniti ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche degli alunni e degli studenti, livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell'elaborazione del Piano per l'inclusione di cui all'articolo 10 e nell'attuazione dei processi di inclusione; 3.Realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze professionali del personale scolastico incluse le specifiche attività formative; 4.Utilizzo di stmmenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di apprendimento degli alunni e degli studenti, anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione; 5. Grado di accessibilità e di fmibilità delle risorse, attrezzature, stmtture e spazi.” A spaventare, però è quanto scritto nel CAPO III, PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE PER L'INCLUSIONE SCOLASTICA, Articolo 5 (Certificazione e Valutazione diagnostico-fimzionale). In questo articolo, infatti si procede con l’introduzione di una valutazione diagnostico- funzionale di natura bio-psico-sociale della disabilità ai fini dell 'inclusione scolastica, utile per la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEl). La sostituzione della diagnosi funzionale con quest’ultima “valutazione” riflette un’impostazione clinico- medica che non risponde alle esigenze di studenti e docenti coinvolti nel provvedimento. Ci chiediamo a tal proposito quale sarebbe l’obiettivo sotteso? Classificare le disabilità anziché promuovere una cultura dell’inclusione?


Nel comma 2, inoltre, si rimanda ad un ulteriore provvedimento la definizione dei criteri per: - “I contenuti e le modalità di redazione del documento di accertamento della disabilità in età evolutiva, secondo la Classificazione Statistica Intemazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (lCD) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità; - I criteri, i contenuti e le modalità di redazione della valutazione diagnostico - funzionale, secondo la Classificazione Intemazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.” A dimostrazione del fatto che non si intenda finanziare realmente il piano per l’inclusione degli studenti con disabilità, c’è poi l’Articolo 10 che recita testualmente: “Il Piano per l'inclusione è attuato nei limiti delle risorse fmanziarie, umane e strumentali disponibili previste a legislazione vigente.” Con l’Articolo 17 si istituisce un “Osservatorio permanente per l'inclusione scolastica” che però già nello stesso decreto al capitolo 18 comma 5 riguardante i “Finanziamenti” dovrebbe partire senza “nuovi o maggiori oneri a carico della frnanza pubblica.” L’organo avrebbe i seguenti obiettivi: a) “analisi e studio delle tematiche relative all'inclusione degli alunni e degli studenti con disabilità a livello nazionale e internazionale; b) monitoraggio delle azioni per l'inclusione scolastica; c) proposte di accordi inter-istituzionali per la realizzazione del progetto individuale di inclusione; d) proposte di sperimentazione in materia di innovazione metodo logico-didattica e disciplinare”. A tal proposito ci chiediamo come sia possibile istituire un organo del genere senza prevederne dei finanziamenti, cosa che evidentemente, preannuncia una difficile efficacia dell’organo stesso. Inoltre sebbene tale organo parli di una supervisione del MIUR con l’inclusione delle associazioni delle persone con disabilità, non sono menzionate le associazioni studentesche. SCHEDA TECNICA DELEGA “SISTEMA DI VALUTAZIONE” La delega sul sistema di valutazione si concentra principalmente sull’esame di stato e sulle prove Invalsi essendo questi i limiti imposti dalla legge 107 all’interno delle delega stessa:


“i) adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze, attraverso: 1) la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione, mettendo in rilievo la funzione formativa e di orientamento della valutazione, e delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo; 2) la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89.” Il testo della delega disponibile a questo link ---> http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0384.p df&leg=XVII#pagemode=none Ma cosa prevede nello specifico la delega sulla valutazione? • L’introduzione delle Invalsi nella classe V, obbligatorie per l’ammissione all’esame di stato. • Le invalsi svolte nella classe V saranno obbligatorie e non saranno più solo 2 prove (italiano e matematica) come nelle altre classi ma sarà aggiunta anche la lingua inglese. Il voto delle prove Invalsi accompagnerà il voto dell’esame di stato con il fine di “uniformare la valutazione al livello nazionale”, anche discordanti dell’esame e potrà essere utilizzato dalle università per l’accesso ai corsi di studio. La maggiore centralità che questa riforma da alle prove Invalsi, dando anche come possibilità l’utilizzo delle stesse per l’accesso ai corsi universitari a numero chiuso, solleva non poche preoccupazioni, siamo forse alla perdita non ufficiale ma sostanziale del valore legale del titolo di studio? I datori di lavori, le università e qualsiasi altro ente riterranno come valida la votazione conseguita nelle prove Invalsi o quella dell’esame di stato? • In questo quadro l’Invalsi si dispiega in tutta la sua dannosità e nel suo reale scopo: non una rilevazione statistica, ma uno strumento selettivo di valutazione per l’accesso all’istruzione.. Attraverso queste presunte “novità” si vuole creare un modello di esclusione progressiva degli studenti dai luoghi della formazione. Inoltre questa metodologia valutativa non tiene minimamente conto del percorso compiuto dallo studente in 5 anni di scuola e si basa su test a crocetta che impongono un apprendimento meccanico e nozionistico e non incentivano la costruzione di un sapere critico. • L’ammissione all’esame non sarà più vincolata al raggiungimento della sufficienza in tutte le materie ma all’avere la media complessiva superiore al 6. Questo rappresenta l’unico elemento positivo della delega, benchè un superamento in tal senso della valutazione numerica puramente matematica non deve essere una risoluzione sporadica, ma dovrebbe far parte di una riforma complessiva del sistema di valutazione che annulli lo strumento della bocciatura e introduca la valutazione narrativa; • Obbligo di frequenza non più imposto dal limite delle 50 assenze massimo, ma dalla frequenza del 75% del monte ore di lezioni complessive;


L’eliminazione della terza prova e delle “tesine” dall’ esame di Stato, comporterà sostanzialmente l’eliminazione della multidisciplinarietà dall’esame. Ovviamente la terza prova non è mai stato uno strumento positivo, in quanto fortemente nozionistico e basato su una singola prestazione, ma allo stesso tempo la strada intrapresa del governo è contraria alle nostre rivendicazione muovendosi verso una completa settorializzazione del percorso di studi in cui verranno prese in considerazione principalmente le materie di indirizzo, gli studenti non avranno più la possibilità di affrontare, attraverso le conoscenze acquisite, argomenti di interesse da ricollegare attraverso i percorsi delle tesine. Questo provvedimento rende quindi “asettico” l’esame in se, svuotandolo di contenuti e rendendolo esclusivamente un test. Inoltre nell’art. 19 comma 4 rimanda a successivi decreti la determinazione delle modifiche alla Prima e alla seconda prova. Il colloquio di esame avrà invece come base di partenza le esperienze di alternanza scuola lavoro, divenute ormai obbligatorie, anche per l’accesso all’esame di stato. Questa misura ingabbierà il percorso degli studenti che si ritroveranno a dover scegliere, al posto dell’approfondimento tematico, obbligatoriamente un percorso unico. E viene anche da chiedersi cosa racconteranno gli studenti di queste esperienze: la gioia nel fare le fotocopie? L’esito dell’esame di stato cambierà profondamente con i crediti scolastici che incideranno fino a 40 punti nella valutazione complessiva. La prima, la seconda prova e la terza prova valgono, ognuna di loro, 20 punti nel raggiungimento.

Questo sistema, oltre che essere una finta valorizzazione del percorso dello studenti in quanto si tiene comunque conto solamente delle medie di voto del triennio rischia di essere anche particolarmente escludente soprattutto se lo vediamo inserito nell’ambito del curriculum dello studente (che verrà allegato al diploma di maturità) che si comporrà della frequenza del monte ore totali, i risultati conseguiti nelle prove invalsi e la valorizzazione delle attività extracurricolari che non essendo finanziate dallo stato sono totalmente a carico dello studente o di quelle istituzioni scolastiche che si possono permettere di avviare queste attività. Ha fatto anche molto scalpore la presunta eliminazione della bocciatura nella scuola primaria, già leggendo l’articolato della legge si può notare come nella realtà dei fatti la bocciatura non venga eliminata ma vengano solamente inaspriti i criteri con cui il consiglio di classe può decidere la non ammissione dell’alunno alla classe successiva. La necessità reale della scuola è un ripensamento, a partire dal tema della bocciatura, della didattica e della valutazione. La valutazione, dal banale compito in classe all’utilizzo sempre più smodato dei test a crocette e dalle prove Invalsi non è uno strumento atto a far comprendere l’errore e a far migliorare lo studente ma bensì a punirlo e a disincentivare nella prosecuzione del suo percorso di studi. La bocciatura ha un ruolo chiave nella perdita di interesse e di attrattività della nostra scuola, viene spesso utilizzata come una mera minaccia contro lo studente per “incentivarlo” a studiare e ad assumere ancor di più nozioni in modo


acritico, lo scopo della scuola deve essere quello di selezionare i migliori o deve dare a tutti le stesse opportunità di crescere e migliorare? E’ più che mai fondamentale abolire la bocciatura in tutti gli ordini e gradi della scuola e soprattutto consentire realmente il recupero, non come accade molto spesso nelle nostre scuole con corsi di recupero inesistenti, sovraffollati o addirittura a pagamento. E’ un’idea rivoluzionaria? No in molti paesi europei come in Danimarca, Grecia Irlanda, Regno Unito, Islanda, Norvegia, Finlandia e Malta la bocciatura è stata abolita. ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE Art. 1 (Oggetto, principi e finalità) Descrive le finalità del decreto legislativo. Definisce le caratteristiche generali degli Istituti professionali. La finalità degli Istituti è la formazione di una forza lavoro utile allo sviluppo del “Made in Italy” e il potenziamento dell’”occupabilità” degli studenti. Gli Istituti devono essere “scuole dell’innovazione”, strettamente legate alle speci


ficità territoriali e orientate alla ricerca e sperimentazione didattiche. Le innovazioni principali al sistema degli istituti professionali è la revisione degli indirizzi di studio, il potenziamento delle attività laboratorali e la revisione dei cicli tra biennio e triennio. Art. 2 (identità dell’istruzione professionale) Viene adottato il “Profilo educativo, culturale e professionale” (P.E.Cu.P, Allegato A) come standard di formazione comune a tutti i corsi di istruzione professionale. Questo Profilo è ispirato ai modelli europei di formazione professionale. I corsi degli Istituti professionali hanno durata quinquennale, con il rilascio di un Diploma di Istruzione Professionale al termine del percorso formativo. Questo diploma consente l’accesso agli Istituti Tecnici Superiori, all’Università e alle Istituzioni dell’Alta formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM). Art. 3 (Indirizzi di studio) Gli indirizzi di studio dei percorsi di istruzione professionale sono i seguenti: a) Servizi per l'agricoltura, lo sviluppo rurale e la silvicoltura; Che accorpa: •

Servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale

Gestione delle risorse forestali e montane

Valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli del territorio

b) Pesca commerciale e produzioni ittiche; Che accorpa: •

Produzioni industriali e artigianali del settore “Economia del Mare”

c) Artigianato per il Made in Italy; Che accorpa: •

Produzioni industriali e artigianali

Arredi e forniture di esterni

Produzioni tessili e sartoriali

Coltivazione e lavorazione dei materiali lapidei


d) Manutenzione e assistenza tecnica: Che accorpa: •

Manutenzione e assistenza tecnica

Apparati, impianti e servizi tecnici industriali e civili

Manutenzione dei mezzi di trasporto

e) Gestione delle acque e risanamento ambientale (nuovo); f) Servizi commerciali; Che accorpa: •

Servizi commerciali

Promozione commerciale e pubblicitaria

g) Enogastronomia e ospitalità alberghiera; Che accorpa: •

Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera

Prodotti dolciari artigianali e industriali

h) Servizi culturali e dello spettacolo; Che accorpa: •

Produzioni audiovisive

i) Servizi per la sanità e l'assistenza sociale; Che accorpa: •

Servizi socio-sanitari

l) Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico; m) Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico. Entro 90 giorni dall’approvazione di questo decreto, il MIUR dovrà emanare un decreto interministeriale in cui definire gli obiettivi e i risultati di apprendimento di ogni indirizzo di studio, accentuando le differenze con gli obiettivi e i risultati di apprendimento degli indirizzi di studio degli Istituti tecnici e professionali.


Gli Istituti professionali sono autorizzati a declinare gli indirizzi di studio sulla base delle esigenze formative del territorio, stabilite dai Piani triennali delle Regioni sulla formazione professionale. La declinazione sulle esigenze territoriali deve riguardare al massimo il 20% del monte ore complessivo degli indirizzi di studio.

Art. 4 (Assetto organizzativo) L’istruzione professionale è caratterizzata da una struttura quinquennale suddivisa in biennio e triennio. Il biennio comprende 2112 ore complessive articolate in 1188 ore di attività e insegnamenti di ordine generale e 924 ore di attività e insegnamenti di indirizzo comprensive del tempo dedicato per il potenziamento dei laboratori. Le attività e gli insegnamenti generali e di indirizzo sono aggregati in assi culturali. Nell’ambito delle 2112 ore una quota non superiore a 264 è destinata alla personalizzazione degli apprendimenti. Tale quota può comprendere le ore di alternanza scuola-lavoro o di apprendistato a partire dal secondo anno del biennio. ( in accordo con il Jobs Act che consente l’apprendistato a partire dal compimento dei 15 anni di età) Il triennio è organizzato in terzo, quarto e quinto anno. Per ciascun anno del triennio l’orario complessivo è di 1056 ore, articolate in 462 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale e in 594 di attività e insegnamenti di indirizzo. La quota di attività e insegnamenti di indirizzo è destinata a professionalizzare lo studente, consentirgli un rapido accesso al lavoro e partecipare alle attività di alternanza scuola-lavoro già dal secondo anno del biennio E’ previsto l’obbligo per tutti gli istituti professionali di istituire un Ufficio Tecnico che si occupi dei laboratori, della salvaguardia della sicurezza e della salute degli studenti durante le attività laboratoriali. Art. 5 (Assetto didattico) E’ obbligatorio per i consigli di classe redigere un Progetto formativo individuale, entro 3 mesi dall’inizio del primo anno scolastico di frequenza dello studente, con cui impiegare le quote di autonomia non superiori a 264 nel biennio. Il consiglio di classe deve inoltre individuare tra i docenti un tutor per ogni studente, che lo assista nell’affrontare il Piano formativo individuale. Gli istituti professionali devono adottare un metodo didattico prevalentemente induttivo, attraverso esperienze laboratoriali e in contesti operativi, analisi e soluzione dei problemi relativi alle attività economiche di riferimento, il lavoro cooperativo per progetti, nonché la gestione di processi in contesti organizzati.


Art. 6 (Strumenti per l’attuazione dell’Autonomia) Viene ribadita la possibilità per ogni istituto di utilizzare in autonomia il 20% dell’orario complessivo del biennio e il 20% del triennio per potenziare gli insegnamenti obbligatori, in particolare tramite attività laboratoriali, al fine di soddisfare i gli obiettivi formativi stabiliti dal PECuP. E’ prevista la possibilità di utilizzare il 40% dell’orario complessivo di ogni anno del triennio per adeguare gli insegnamenti ai requisiti e agli obiettivi formativi degli specifici indirizzi di studio di ciascun corso. Viene confermata la possibilità degli istituti di sottoscrivere “contratti d’opera” nel caso in cui non siano disponibili le competenze necessarie ad erogare un insegnamento, o a svolgere un’altra mansione necessaria al funzionamento dell’istituto, tra l’organico dell’istituto. E’ ribadita la possibilità degli istituti di stipulare contratti di “partenariato” con soggetti terzi pubblici o privati, al fine di potenziare le attività laboratoriali, svolgere attività di alternanza scuola-lavoro, esperienze di “scuola-impresa” e di “bottega scuola”. Inoltre gli istituti, per migliorare la programmazione e la qualità dell’offerta formativa, può istituire un Comitato Tecnico-Scientifico con funzioni consultive, costituito da docenti, esperti del mondo del lavoro e ricercatori competenti nei settori legati all’indirizzo degli istituti. Gli istituti professionali possono istituire un terzo anno, separato dalle classi dei corsi quinquennali, in cui gli studenti che hanno terminato il biennio possono conseguire la “qualifica professionale”, laddove questo titolo di studio è previsto dalla programmazione della Regione riguardo la formazione professionale. Art. 7 (Rete nazionale delle scuole professionali e raccordo con il sistema di istruzione e formazione professionale) Si ribadisce la possibilità per gli studenti in possesso della licenza media di iscriversi alternativamente a corsi quinquennali per il conseguimento del “diploma di istruzione superiore”; oppure a corsi triennali per il conseguimento di una “qualifica professionale”, infine a corsi quadriennali per il conseguimento di un “diploma professionale”. Per favorire il coordinamento e la coerenza dell’offerta formativa delle istitutuzioni scolastiche professionali (sistema di Istruzione professionale) e delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni (sistema di Istruzione e formazione professionale) entro 90 giorni dall’approvazione di questo decreto il MIUR deve emanare un decreto interministeriale in cui definire le modalità e i criteri per l’istituzione di una “Rete nazionale delle scuole professionali”. La Rete ha lo scopo di garantire un “confronto organico e continuativo” tra tutti i soggetti,


pubblici e privati, coinvolti nella formazione professionale, favorendo l’innovazione didattica. Inoltre ha la funzione di raccordo tra la formazione professionale e la “REte nazionale dei servizi per le politiche del lavoro”. Art. 8 (Passaggi tra sistemi formativi) Viene ribadita la possibilità per lo studente di passare dall’istruzione professionale all’istruzione e formazione professionale e viceversa. Le modalità e i criteri per effettuare il passaggio tra i due sistemi viene disciplinato dall’accordo in Conferenza Stato-Regioni. Le istituzioni scolastiche e formative interessate dal passaggio devono fornire agli studenti gli insegnamenti di sostegno e recupero dei debiti formativi necessari per affrontare il nuovo corso di studio. Il passaggio non è automatico, ma dipende dalle caratteristiche del percorso formativo di uscita e di entrata. Lo studente deve affrontare un valutazione delle competenze e conoscenze pregresse: da questa valutazione dipende l’assegnazione all’annualità di frequenza del nuovo corso. Dopo il conseguimento della qualifica triennale lo studente può richiedere l’iscrizione al quarto anno dei corsi di Istruzione professionale (quinquennali) oppure al quarto e conclusivo anno dei corsi di Istruzione e formazione professionale. Art. 9 (Dotazioni organiche) Gli Uffici scolastici regionali determinano le assegnazioni dell’organico agli Istituti professionali secondo le norme della L. 107 riguardo ‘’l’organico triennale dell’autonomia”. Per la formazione delle classi vale la legislazione vigente. La Relazione tecnica del decreto specifica che il decreto causerà una riduzione del 2,84% del fabbisogno di docenti laureati, su una base di partenza attuale di 42 mila docenti. Tuttavia questo “esubero”, secondo la Relazione, verrà ampiamente assorbito dai pensionamenti che riguarderanno un numero 5 volte maggiore rispetto alla riduzione del fabbisogno. Da questo punto di vista è probabile la possibilità che si arrivi ad una “carenza” di personale al fine di sviluppare pienamente le potenzialità offerte dall’autonomia e dalla flessibilità previste per gli Istituti professionali. Art. 10 (Monitoraggio, valutazione di sistema e aggiornamento dei percorsi) Gli istituti professionali sono soggetti ad un costante monitoraggio da parte del MIUR, insieme con INVALSI e INDIRE. Gli obiettivi didattici dei corsi di istruzione professionale sono aggiornati ogni cinque anni dal MIUR sulla base del monitoraggio. Art. 11 (Passaggio al nuovo ordinamento)


I nuovi percorsi formativi degli istituti professionali sono attivati a partire dalle prime classi dell’a.s. 2018/2019. La normativa sui precedenti percorsi formativi resterà in vigore solo per le classi già attivate e fino al termine delle relative quinte classi nell’anno. Art. 12 (Copertura finanziaria) Vengono quantificate le spese necessarie ad attuare il decreto: 2017 = 15,87 milioni 2018= 63,59 milioni 2019= 85,33 milioni 2020= 55,48 milioni 2021= 40,42 milioni 2022= 48,20 milioni Tali spese vengono effettuate tramite il Fondo previsto dalla L. 107, art. 1 comma 202. E’ importante sottolineare alcuni aspetti: - la problematica conferma dell’avvio del percorso di apprendistato a partire dai 15 anni di età (come previsto dal Jobs Act) e quindi, di fatto, dal secondo superiore (Art. 4 del presente decreto) essendo l’apprendistato un contratto di lavoro che non può assolvere a quelle che sono le esigenze formative delle studentesse e degli studenti - la riduzione del monte ore delle materie di ordine generale nel triennio conclusivo. Crediamo infatti che la formazione debba essere a 360° e sopratutto completa: questa riduzione crea un meccanismo di classificazione gerarchica fra materie di ordine generale e materie di indirizzo sbagliato quando piuttosto andrebbe promossa una coesistenza di entrambe - la mancanza di un Fondo per il potenziamento e la creazione di laboratori che siano in grado di rispondere alle esigenze delle studentesse e degli studenti. Troppo spesso infatti abbiamo visto come le scuole hanno al proprio interno laboratori non solo obsoleti ma con strumenti totalmente non funzionanti, cosa che rende quasi impossibile l’usufrutto degli stessi. Chiediamo quindi lo stanziamento di fondi per rispondere a queste mancanze, oltre che un controllo periodico obbligatorio della strumentazione. RIORDINO DI ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI


Il decreto contiene al proprio interno l’aggiunta di un comma esplicativo all’articolo 5 del DPR 87 del 2010, che prevedeva il riordino dell’orario degli istituti tecnici. Il riordino, infatti, aveva causato una diminuzione del personale che aveva portato lo Snals a fare ricorso al TAR del Lazio, ricorso vinto. Il comma spiega i criteri per la definizione dell’orario con l’intento, di fatto, di risolvere la questione. Istituzione del sistema integrato di istruzione ed educazione dai zero ai sei anni La delega sullo “zero sei” riguarda la promozione dell’accesso universale ai servizi della prima infanzia e l’istituzione di un sistema integrato d’istruzione ed educazione dei bambini dalla nascita fino ai sei anni. Ad oggi la fascia d’età presa in considerazione è divisa in due segmenti autonomi: per i bambini dagli 0 ai 3 anni esistono i servizi per l’infanzia, di regolamentazione regionale, mentre per quelli dai 3 ai 6 anni esistono le scuole per l’infanzia, ricadenti nel Sistema nazionale d’istruzione. La delega in analisi quindi si propone di superare questo modello per garantire la “complementarietà delle azioni di cura e di quelle formative e continuità degli interventi rivolti ai bambini per tutto il periodo prescolare”. L’istituzione del sistema integrato avverrebbe attraverso i seguenti obiettivi strategici • consolidamento, ampliamento, accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia


• • •

l’inclusione di tutte le bambine e i bambini qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi, prevedendo il conseguimento della laurea triennale in Scienze dell’educazione formazione continua e in servizio di tutto il personale del sistema integrato

Agli obiettivi strategici si lega l’esplicitazione del Ruolo delle Regioni e degli Enti locali, il sostegno per la costituzione di Poli per l’infanzia, l’istituzione di una Commissione con compiti consultivi e propositivi e l’applicazione e il finanziamento di un Piano di Azione nazionale per la promozione del Sistema integrato. Verrà anche introdotto un sistema di monitoraggio e valutazione del Sistema integrato, del quale, ogni due anni, verrà redatto un documento, presentato dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al Parlamento. Rispetto alla valutazione complessiva, lo Stato già oggi si avvale di un rapporto di autovalutazione (RAV) sperimentale per le scuole dell’infanzia. L’attuazione del Sistema integrato, inoltre, viene espressa in termini progressivi sicché, non esplicitando i tempi, il rischio che siano piuttosto dilatati è effettivamente reale. Il dubbio emerge anche rispetto ai finanziamenti: per la sua attuazione viene istituito un Fondo Nazionale che prevede 209 milioni per il 2017,224 per il 2018 e 239 a decorrere del 2019. Questi fondi, rispetto alla mole di operazioni da attuare per la sistemazione del sistema, rischiano di essere insufficienti: il Fondo dovrebbe ricoprire i costi per l’Edilizia, dagli interventi di nuove costruzioni alle opere di restaurazione, una quota per le spese di gestione e la formazione in servizio del personale, compresa la promozione dei coordinamenti pedagogici territoriali. Ad aumentare questo tipo di preoccupazione, è che nella delega si fa appello alla partecipazione delle famiglie (salvo quelle con un particolare disagio economico e che quindi saranno esenti dal pagamento), le quali dovranno pagare delle quote con possibili sconti su base ISEE. Nel sistema dei nidi accreditati o a gestione comunale torna anche il fantasma del Welfare aziendale: le aziende potranno consegnare ai loro dipendenti dei “buoni nido”, ognuno dei quali potrà valere fino ai 150 euro. Questa prospettiva è inquietante: l’accesso a tutti i canali d’Istruzione e di educazione dovrebbe essere gratuito e di qualità per tutte e tutti mentre, e anche se a parole la delega miri a questo obiettivo, il contributo delle famiglie e il “buono nido” vanno in tutt’altra direzione, ovvero la privatizzazione di questi luoghi. Il MIUR, in ogni caso, che le risorse siano sufficienti o meno, le distribuirà Regione per Regione come cofinanziamento delle programmazioni regionali, osservando le necessità dei territori. Starà alle Regioni, poi, di redistribuire le risorse ottenute ai Comuni anche rispetto a quanto questi richiederanno, dando però una priorità ai territori privi o carenti di scuole per l’infanzia. Ciò


dovrebbe servire al progressivo raggiungimento dell’equità territoriale; ad oggi la disparità territoriale infatti è molto rilevante: al Sud le scuole sono principalmente dello Stato (le scuole dello Stato, in tutto il paese, rappresentano il 63% delle scuole d’infanzia), mentre le scuole comunali (che invece sono il 9%, mentre il restante 28% dell’utenza è permessa attraverso le associazioni e i privati) sono presenti soprattutto nelle grandi città di tutto il paese, vincolate dal bilancio dei Comuni i quali, per sostenerle, spesso ricercano i finanziamenti attraverso le iniziative dei privati o del terzo settore. Il ritratto è dunque fortemente disomogeneo, e la delega si propone, nei limiti dei finanziamenti (e ciò è preoccupante), di raggiungere l’equità territoriale garantendo l’accesso al 33% dei bambini al di sotto dei 3 anni, appellandosi quindi al Consiglio europeo del 2000 e alla Presidenza in occasione del Consiglio di Barcellona del 2002, che prevedeva per l’appunto il soddisfacimento del potenziale 33% di domanda per i nidi.


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