Cultura, lavoro, futuro: non per noi ma per tutti!

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cultura, lavoro, futuro

NON PER NOI

MA PER TUTTI le rivendicazioni delle studentesse e degli studenti verso il

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Cultura, lavoro, futuro - Non per noi ma per tutti!

Cultura, lavoro, futuro Non per noi ma per tutti! “Con la cultura non si mangia”, disse l’allora Ministro dell’economia Tremonti nel 2010. Eppure c’è chi sulla cultura ha mangiato parecchio in questi anni, con le privatizzazioni e gli appalti in nome dell’austerità e dei vincoli di bilancio, a spese ovviamente del nostro patrimonio artistico e culturale abbandonato a sé stesso (basta fare due passi per la Capitale per comprendere il grado di indecenza che ha raggiunto il nostro paese. Rovine romane lasciate “alla rovina”) e dei professionisti dei beni culturali, obbligati ad accettare condizioni di lavoro precarie e sottopagate o a cambiare lavoro per sceglierne uno non congruo al proprio percorso di studio e alle proprie aspirazioni. Talvolta l’unica soluzione è fuggire all’estero, abbandonando il paese in cui l’intera filiera culturale rappresenta il 17% del PIL, pari a 250 miliardi. Il paese che è primo al mondo per numero di patrimoni dell’UNESCO, e che però, per quanto concerne il turismo, è appena al quinto posto mondiale per numero di arrivi internazionali e all’ottavo per introiti ad esso legati. “Ma per crescere serve l’industria, non la gita al museo” risponderebbe qualcuno. Lo sviluppo sostenibile di un’economia non può essere fondato esclusivamente sui settori produttivi legati alla Cultura: lo dimostrano i principali “modelli” presenti nel nostro Paese, come Torino, dove alla deindustrializzazione si é cercato di rispondere con un forte investimento pubblico e privato in Cultura che non é stato in grado di garantire livelli occupazionali, salari e condizioni materiali migliori per l’intera città. In italia, nonostante gli scarsissimi investimenti, il surplus commerciale con l’estero della cultura è secondo solo alla meccanica. Tuttavia una politica economica di rilancio dello sviluppo e di crescita dell’occupazione nel Paese 06/69770332 | info@retedellaconoscenza.it | www.retedellaconoscenza.it


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non può che vedere al centro un forte investimento pubblico nei settori della Cultura, nonché politiche del lavoro che garantiscano il riconoscimento della professionalità, salari e tutele adeguati a tutte e tutti i lavoratori del settore. Al nostro paese serve di certo una strategia pubblica per la crescita economica, ma questa non può che partire da maggiori investimenti in diffusione della conoscenza e innovazione in relazione anche a tutta la ricchezza artistica e culturale del nostro paese. “Servono più ingegneri e meno storici” si ribatterebbe ancora, procedendo ancora una volta per sentito dire, per luoghi comuni. Servono investimenti nell’istruzione, rispetto alla quale al momento si investe meno del 4% del PIL, e non solo quella di natura tecnica e professionale, ma anche quella riguardante il sapere di ordine generale, sia scientifico che umanistico, drammaticamente svalorizzato sia a livello universitario che negli istituti secondari di secondo grado, in particolare nei tecnici-professionali. Ci servono più ingegneri come ci servono più storici. Ci servirebbero anche più compagnie teatrali. “I Beni Artistici e culturali riguardano solo le opere d’arte”. Sbagliato: riguardano l’accesso e la produzione del sapere in generale, ed è drammatico che il sottoinvestimento in cultura comporti anche la chiusura dei cinema e dei teatri, che al contrario dovrebbero essere pieni, perché la Cultura dà lavoro e risorse economiche ma é fondamentale per la crescita personale e l’emancipazione individuale e collettiva. Il Fondo Unico per lo spettacolo è calato del 55% dal 1985, in questi anni hanno chiuso uno dopo l’altro i luoghi pubblici e privati utili alla diffusione del sapere. L’80% degli italiani non è mai andata a teatro nel corso dell’anno, circa il 70% non ha mai visitato un Museo e quasi uno su due non ha mai letto un libro. Eppure la fame di cultura esiste, ma non è possibile saziarsi per i costi dell’accesso: ripensare oggi le politiche per la cultura significa dunque permettere a tutti di avere accesso al sapere, tornando ad investire, per salvare la democrazia. 06/69770332 | info@retedellaconoscenza.it | www.retedellaconoscenza.it


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Abrogazione del Bonus Cultura Il Bonus Cultura ha fallito. I dati del MIBACT per il 2016 primo anno di funzionamento dello strumento - dimostrano che solo 165 milioni sono stati impegnati a fronte di un finanziamento di 290 milioni annui. Nel 2017, secondo le dichiarazioni del Ministro Bonisoli, sono stati impegnati solo 100 milioni, dato parziale ma come dichiarato dallo stesso Ministro: “mi aspetto che gran parte delle somme accantonate non saranno spese”. Il fallimento dello strumento é ormai palese, oltre all’inadeguatezza di una misura non strutturale per la promozione dell’accesso alla Cultura da parte dei giovani. Con le risorse liberate dall’abrogazione (290 milioni annui) si potranno finanziare misure maggiormente efficaci per l’accesso alla Cultura, garantendo una platea di beneficiari ben più ampia dei soli diciottenni e al contempo più incisiva nell’abolire gli ostacoli presenti nel nostro Paese per l’accesso alla Cultura. Maggiore disponibilità finanziaria: 290 milioni di euro

Gratuità di musei, monumenti, aree archeologiche e mobilità Nel 2017 l’introito lordo da sbigliettamento di musei, monumenti e aree archeologiche statali è stato di 193,9 milioni di euro (dati Mibact 2017). Per fronteggiare in modo innovativo e strutturale il problema dell’accesso alla cultura nel nostro Paese, si propone di utilizzare questa somma per rendere gratuito per tutti l’accesso al patrimonio museale, archeologico e monumentale dello Stato, con un trasferimento dal MIBACT alle istituzioni interessate di una somma pari all’introito lordo da sbigliettamento. La copertura finanziaria deriverebbe dall’abolizione del Bonus Cultura, con un avanzo di fondi da destinare ad altre misure. Abolire ogni ostacolo economico all’accesso alla Cultura significa permettere strutturalmente una maggiore diffusione della Cultura nel nostro Paese. 06/69770332 | info@retedellaconoscenza.it | www.retedellaconoscenza.it


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Tale misura avrebbe una forte rilevanza politica, riconoscendo al patrimonio museale, archeologico e monumentale lo status di bene comune. Inoltre l’accesso gratuito costituisce un investimento pubblico per lo sviluppo sostenibile del Paese, in particolare per la più ampia crescita culturale della popolazione e per i vantaggi alle attività produttive legate al turismo. Costo gratuità musei, monumenti e aree archeologiche statali: 193,9 milioni di euro L’accesso gratuito non basta, con esso va garantito, al fine di creare e implementare sistemi di welfare studentesco, il diritto alla mobilità: è fondamentale giungere alla gratuità dei trasporti, al fine di evitare che la condizione di pendolarismo sia un ostacolo - come lo è già per il diritto allo studio - al raggiungimento dei luoghi della Cultura.

Alternanza scuola-lavoro nei beni culturali La condizione lavorativa dei professionisti dei beni culturali è poi fortemente correlata con l’alternanza scuola lavoro. Il lavoro nei beni culturali spesso e volentieri è, come denuncia la campagna “Mi riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali”, non riconosciuto, considerato come un “lavoretto” e non come un lavoro vero e proprio e quindi portare di dignità e diritti. Nella scuola post-107 è dunque il contesto “ideale” in cui inserire gli studenti in alternanza scuola lavoro. Da un canto gli studenti vengono abituati ed “addestrati” alle condizioni precarie del lavoro nei beni culturali: la precarietà, la mancanza di diritti e lo sfruttamento di questi settori si ergono a ideologia dominante che viene insegnata agli studenti tramite l’alternanza; lo studente farà esperienza in tale contesto e dunque lo assumerà come “normale”, non tenderà a metterlo in discussione ma invece a riprodurlo. La scuola, che dovrebbe insegnare a 06/69770332 | info@retedellaconoscenza.it | www.retedellaconoscenza.it


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immaginare invece nuovi modi di produzione, nuovi rapporti e condizioni di lavoro, viene quindi espropriata dal suo ruolo pedagogico che passa invece al posto di lavoro sfruttato e non riconosciuto del professionista dei beni culturali. Inoltre gli studenti in alternanza vengono utilizzati al posto dei veri professionisti dei beni culturali, che vengono così sostituiti ed espulsi dal loro luogo di lavoro. Un esempio è quello delle giornate del FAI, come tante altre mostre ed iniziative culturali in giro per l’Italia, che potrebbero dare lavoro ai professionisti ( e dunque garantire un servizio di maggiore qualità) che si svolgono unicamente grazie alla manodopera gratuita prestata dagli studenti in alternanza, che svolgono (chiaramente senza le adeguate competenze) le stesse mansioni che dovrebbero essere affidate ai professionisti dei beni culturali. C’è bisogno dunque di percorsi di alternanza scuola lavoro (o meglio, istruzione integrata) nei quali gli studenti non sostituiscano i lavoratori professionisti ma al contrario possano affiancarli nell’imparare a mettere in pratica le nozioni imparate in classe, senza inserirsi in un mercato del lavoro così precario, ma invece in luoghi dove ai lavoratori dei beni culturali sia riconosciuta la giusta dignità, avendo inoltre la possibilità di immaginare nuove forme e modalità di organizzazione del lavoro.

Riforma dei corsi di studio del settore dei beni culturali Attualmente, il maggiore problema avvertito nei corsi di beni culturali riguarda mancanza di finanziamenti strutturali per la didattica e la ricerca; per i corsi di laurea in beni culturali, le conseguenze del definanziamento si avvertono in misura maggiore, soprattutto dove sono carenti le strut06/69770332 | info@retedellaconoscenza.it | www.retedellaconoscenza.it


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ture per le attività laboratoriali o dove, per la sopravvivenza stessa dei corsi, sono necessari finanziamenti di enti esterni. A subirne le più pesanti conseguenze è l’offerta formativa, spesso avvertita come carente in alcuni ambiti. Per questo motivo, vogliamo un rifinanziamento complessivo di questi dipartimenti e, di conseguenza, un miglioramento della qualità degli insegnamenti, affinché diventino realmente formativi. Vogliamo che vengano maggiormente valorizzate le conoscenze acquisite durante i percorsi accademici anche per ridurre il valore attribuito a master post lauream che promettono competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro, a fronte di un costo eccessivo che rende i master accessibili solamente a pochi. Vogliamo l’eliminazione di gravi disparità presenti ad oggi tra i vari corsi (tra nord e sud del paese, ad esempio) e una maggiore omogeneizzazione tra i corsi che danno accesso alla stessa professione, pur evitando una eccessiva standardizzazione.

Vogliamo che i tirocini siano formativi! Punto importante delle nostre rivendicazioni è quello sui tirocini: sappiamo che i tirocini curricolari si riducono spesso ad operazioni di biglietteria o, al contrario, come avviene per i tirocini extra-currriculari, si trasformano in sfruttamento e lavoro gratuito. Per questo motivo, rivendichiamo il valore formativo dei tirocini, affinché garantiscano l’acquisizione di conoscenze e competenze sul campo. Un ragionamento a parte riguarda gli scavi: esperienza cardine nei corsi di archeologia, essi vengono utilizzati per sopperire all’insufficienza di personale formato, sfruttando così centinaia e centinaia di studenti e studentesse. Le attività di scavo, inoltre, interferiscono con il percorso didattico quando si sovrappongono alle date delle sessioni d’esame e impediscono di usufruire di determinati appelli nel corso dell’anno accademico.

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Post lauream Chiediamo la riduzione dei costi e la fasciazione sulla base del reddito per tutte le scuole di specializzazione che diano accesso ai gradi più alti delle professioni e che si riveda l’offerta formativa delle stesse, in quanto spesso rappresentano una ripetizione degli insegnamenti dei corsi di laurea triennale e magistrale.

Pubblicare i decreti attuativi della legge 110/2014 Da anni attendiamo la redazione di criteri unici per la definizione delle categorie dei professionisti operanti nel settore dei beni culturali. A seguito dell’approvazione della cosiddetta “Legge Madia” (legge 110/2014) sul riconoscimento delle professioni dei Beni Culturali, grazie alla quale, per la prima volta nella storia italiana, gli operatori del settore hanno visto riconosciuto per legge la propria professione, attendiamo dall’estate 2014 l’attuazione della legge, in particolare l’individuazione dei criteri per l’accesso ai registri nazionali delle varie professioni con la pubblicazione dei decreti attuativi della 110. Inoltre, riteniamo fondamentale che la decisione dei criteri di accesso alla professione sia frutto di un percorso che coinvolga in prima persona i soggetti interessati, a partire dagli studenti e dai lavoratori del settore.

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