Spirito Aspro

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Febbraio-Marzo 2012


INDICE pag. 1 pag. 2 pag. 3 pag. 4 pag. 5

ATTUALITÀ L’OPINIONE ATTUALITÀ INTERVISTE ATTUALITÀ UN CLASSICISTA pag. 6 ALL’ESTERO pag. 7 INTERVISTE ATTUALITÀ pag. 8 ATTUALITÀ pag. 9 ATTUALITÀ pag. 10 INTERVISTE pag. 11 LIBRI pag. 12 LIBRI pag. 13 pag. 14 LIBRI pag. 15 NARRATIVA NARRATIVA pag. 16 POESIA pag. 17 POESIA pag. 18 AGENDA DELL’ARTE pag. 19 ARTE MUSICA pag. 20 VIAGGIO pag. 21 MODA UNA VOCE pag. 22 DALLO SPALLA PAESAGGI pag. 23 POSTA

EDITORIALE Siamo ormai giunti al secondo numero di questa V edizione, sempre più convinti che il giornalino sia uno spazio di notevole importanza per ognuno di noi, per ognuno di voi, lettori e scrittori. Partendo da questo presupposto, vogliamo ricordare la valenza anche simbolica di un tale strumento, occasione di incontro, dialogo e discussione tra quei due poli, a volte troppo opposti o lontani, che danno vita ogni giorno alla nostra scuola. Forse qualcuno si sente così privato di uno spazio “solo nostro”, la voce degli studenti, momento di libertà intellettuale; forse qualche insegnante invece pensa che vi siano fin troppe modifiche da apportare a questo giornalino, per alcuni acerbo spazio di riflessioni ancora troppo “scolastiche” e male-espresse. Ci sentiamo di ribadire il ruolo fondamentale che Spirito Aspro ha, essendo strumento della scuola tutta, di studenti ed insegnanti, e che, come tale, è momento di crescita e di confronto tra opinioni e posizioni che caratterizzeranno la vita di ognuno di noi. Sperando di essere riusciti nel nostro intento, vi auguriamo una buona lettura. Caterina Frulloni e Valeria Gemelli

Impaginazione: Mauro Fragale (IIC) Redazione: Caterina Frulloni e Valeria Gemelli (IIC) Copertina: Eleonora Cervi (IIC) Ringraziamo inoltre la preside Maria Rosa Ferraroni, che ci ha permesso di attuare il progetto del giornalino, e la professoressa Fulvia Melotti, responsabile di tale progetto. Infine ringraziamo tutti coloro che hanno scritto un articolo o hanno partecipato alla realizzazione di Spirito Aspro!


L’IGNORANZA BASE DEL RAZZISMO di Sara Gherpelli (IIB)

L’orrore del campo rom bruciato a Torino e l’assassinio di Samb Modou e Diop Mor a Firenze hanno riportato all’attenzione il problema del razzismo in Italia. Combattere il razzismo parte dal sistema educativo e coinvolge non solo giornali e tv, ma anche cinema, videogiochi, letteratura di massa, internet. Credo, infatti, che in Italia il problema non sia tanto il razzismo quanto l’ignoranza: la nostra società si fa sempre più multietnica e multiculturale e noi non ne sappiamo nulla. La nostra società è destinata a vedere accelerare i fenomeni di immigrazione e noi non pensiamo a nulla. Mi sembra che la politica già da molto tempo sia incapace di trovare una soluzione convincente a questo fenomeno. Il rifiuto dello straniero, l’utilizzo dell’Islam come capro espiatorio, la chiusura delle frontiere mentali prima ancora che geografiche sono le risposte a questa grande trasformazione in cui stiamo entrando. All'origine c'è una sistematica volontà di non sapere. C'è una strategia dell'ignoranza, come sostiene il professore R. Lakoff, un desiderio di fermare il tempo: "Un affastellarsi di ignoranze: ignoranza della Costituzione, ignoranza dei benefici che nascono dall'unirsi in sindacato, ignoranza della scienza nel mondo moderno, ignoranza della propria ignoranza". Una serie di luoghi comuni infatti sono propri della nostra cultura, e persistono in noi giovani. Quante volte abbiamo sentito ripetere, purtroppo anche dalle più alte autorità del nostro stato, che gli stranieri ”vengono tutti qui” quando in realtà da noi gli immigrati rappresentano il 6% della popolazione, contro il 12 dell’Irlanda, l’11 della Spagna il 10 dell’Austria e l’8 della Germania. Non è vero neanche il principio della reciprocità invocato da molti politici, secondo cui è giusto non permettere la costruzione di moschee poiché “nei loro paesi non ci fanno costruire le chiese”: in Marocco, ad esempio, i cattolici sono circa 27mila (su una popolazione di 34 milioni di persone) e hanno 3 cattedrali e 78 chiese. E in ogni caso, negare luoghi di culto riconosciuti è del tutto contrario alla nostra Costituzione (artt. 19 e 20). Non è vero, inoltre, che “vengono qui e ci rubano il posto, lavorando in nero”: semmai contribuiscono a pagare le nostre pensioni, visto che il 92% degli immigrati con permesso di soggiorno sono iscritti all’Inps, e perdipiù, secondo i dati Caritas, producono l’11% del PIL. Dall’Istat sappiamo poi che gli occupati stranieri svolgono lavori soprattutto manuali e poco specializzati (il 72% è personale non qualificato), colmando così il vuoto lasciato dalla popolazione italiana. L’integrazione è dunque una risorsa umana, sociale e produttiva e questo lo dimostrano i dati, che non hanno colore politico né orientamento religioso. Quello che più mi lascia attonita è però l’odio che viene scatenato contro gli immigrati dei quali non si conosce nulla fuorché gli stereotipi che li perseguitano. Un vero e proprio rosario dell’odio che non si ferma neppure davanti all'infanzia. Un esempio emblematico è quello di Verona, in cui l'associazione Medici per la Pace ha avviato un programma di copertura vaccinale per un gruppo di bambini rom di origine rumena. Questo il commento di Pierluigi Pellegrin, direttore di Radio Padania Libera: «Sarebbe una fantastica notizia se esistesse il vaccino antifurto». Alcuni giovani, poi, a fronte dei reati commessi da cittadini stranieri, sostengono di voler «dare una ripulita aprendo la caccia con i pallettoni per cinghiali, almeno li traforiamo per bene», con un trattamento di riguardo per gli immigrati malati di TBC («con loro usiamo la fiamma ossidrica, così non ne rimane nemmeno una cellula»), e per i rom: «mettiamoli nelle stufe a legna, in modo da farne carburante alternativo perché «i rom», spiega Luca, ventenne bresciano, «ladri, stupratori e assassini nascono, ladri, stupratori e assassini moriranno: personalmente adotterei per loro le stesse politiche usate dal Führer». Anziché stanziare fondi per l'integrazione dei rom, L'Unione Europa dovrebbe finanziare l'apertura dei forni», rilancia Alessandro, consulente aziendale. I figli degli immigrati? «Un bel lanciafiamme, e che si brucino queste merde». A fronte di questo mi viene spontaneo unirmi alla supplica che qualcuno ha scritto sui muri del centro di Genova: "Immigrati, non lasciateci soli con questi italiani". 1


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L’ ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO. FISSO?

di Caterina Frulloni (IIC)

Con la voce virtuale evocata dai socialnetwork i giovani gridano, s’indignano, protestano per il loro futuro. Rispondono a un Michel Martone perché “non è sfigato chi a ventotto anni non è ancora laureato”, ad un ministro dell’interno e ad un ministro del lavoro, perché “non è vero che vogliono il posto tra mamma e papà” rispondono, perché si sentono “trattati da scemi” e perché “se al giorno d’oggi non si è monotoni le banche un mutuo non lo effettuano”. L’illusione perversa del posto fisso li porta ad un nuovo scontro contro quel “governo di ferro”, che sentono come dispotico e straniero, con il potere sulle loro sorti e l’indice puntato contro, mentre li squadra dall’alto al basso, senza capirli, in una battaglia nata dalla scintilla di quel solo aggettivo “monotono”, sfuggito dalla bocca del presidente del consiglio. Una battaglia per qualcosa che già da tempo è morto, in silenzio senza che nessuno se ne accorgesse, quando a un tratto la sua scomparsa è stata dichiarata e resa pubblica, in un accanimento vano, in una polemica infondata, supportata dalla luce ingannatrice e dall’ovattata sicurezza del posto fisso, una leggenda metropolitana sopravvissuta nell’immaginario collettivo senza che ci si renda conto che da tempo si è disgregata lentamente per dissolversi, perché ormai tutti nella vita hanno cambiato almeno più di tre o quattro lavori, e così dovrebbe essere, perché i talenti personali possano meglio emergere, e il lavoro non sia sinonimo di un’odiosa e ripetitiva condanna caratteristica della vita di ognuno. 2

La Danimarca e altri paesi nordici già da diciannove anni sono l’esempio della buona riuscita del flaxsicurity, il “lavoro flessibile” apportando un netto miglioramento delle condizioni dei lavoratori, aumentando la competitività delle aziende e soprattutto valorizzando i meriti personali. Ma oggi in Italia 9 giovani su 10 ( tra 18 e i 34 anni) preferiscono un lavoro sicuro con un reddito più basso, rispetto ad un lavoro meno sicuro o precario con più prospettive di reddito e solo un misero 4% di essi è disposto a far carriera per imparare nuove cose, un preoccupante 4% sintomo del fatto che forse non è del tutto falso che “ci fa comodo stare tra mamma e papà” e che quando si tratta di sforzarci per progredire e ottenere una carriera, non siamo proprio i primi. Ma l’ossessione, la malattia del lavoro necessariamente fisso, è ormai propria di un paese bigotto e conformista e dovrebbe, per il bene di tutti, essere abbandonata, per scoprire, senza pregiudizio, un lavoro più libero e occasionale che “ tuteli di meno chi è iper tutelato e di più chi oggi è quasi schiavo del lavoro o non riesce ad entrarci”, per un lavoro più flessibile, che incentivi l’esperienza, l’impegno personale e un po’ di sana competizione, in modo che ognuno possa aspirare a qualsiasi tipo di impiego, senza limiti famigliari o economici. E se la nostra repubblica si fonda davvero sul lavoro, allora bisogna che essa ne garantisca almeno l’opportunità.


L’UNICA RISPOSTA ALLA CRISI È LO SVILUPPO SOSTENIBILE di Sara Gherpelli (IIB)

Investimenti e profitti sono ormai irreversibilmente disgiunti da occupazione e migliori condizioni di lavoro. Il nostro pianeta è sull’orlo di un collasso dovuto all’eccessivo consumo dell’ambiente, sia per quanto riguarda il prelievo delle risorse sia per l’emissione di scarti , residui e rifiuti. Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate. Per questo, per garantire condizioni di vita e di lavoro dignitose è necessario un profondo cambiamento tanto dei nostri modelli di consumo quanto dell’apparato produttivo che li sostiene. Fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica, risparmio e riciclo delle risorse, mobilità sostenibile, agricoltura biologica e multiculturale sono i capisaldi del cambiamento necessario. E proprio in questo periodo di crisi che ha prodotto 130 milioni di disoccupati, l’unica via d’uscita è puntare sullo sviluppo sostenibile: le aziende vincenti sono quelle che investono nel futuro, e oggi il futuro è proprio la sostenibilità. Uno studio, realizzato da Unioncamere e Symbola, stima che il 30% delle piccole e medie imprese punta su scelte connesse a vario titolo alla green economy, con una percentuale che sale nelle imprese che esportano (33,6%), che sono cresciute economicamente anche nel disastroso 2009 (41,2%). La crisi economica non solo non ha posto un freno alla sostenibilità ma anzi ha agito ed agirà come fattore di accelerazione di questo processo. La sostenibilità è un fattore competitivo che aiuterà le imprese ad uscire prima e meglio dalla crisi per ricostruire su basi nuove il proprio modello competitivo. Anche se gli effetti della crisi economica mondiale si fanno sentire, i consumatori chiedono sempre di più alle aziende, ai marchi e a se stessi un forte impegno nel sociale. Un sondaggio, che ha coinvolto 6mila persone in 10 Paesi, ha rivelato infatti che il 63% dei consumatori italiani, a parità di prezzo e qualità, sceglie marche che sono socialmente impegnate, valore nettamente superiore a quello medio nella UE. La responsabilità sociale è dunque sempre più parte integrante delle strategie di business di numerose marche, contribuisce ad aprire nuovi mercati e a migliorare fidelizzazione e reputazione presso i consumatori. Ma la cosa forse più straordinaria è che questi numeri vengono realizzati malgrado l’assenza, quando non addirittura l'ostilità, del governo. Gli investimenti nella ricerca devono essere tutelati e rilanciati dalla politica e l'Italia è l'unico paese nel mondo che non ha un ministero per l’energia. In questo sistema è dunque essenziale dare al consumatore il potere per aggirare l’alleanza tra i politici e le lobby del petrolio. Nasce così il progetto di Dara O’Rourke , docente di scienze ambientali a Berkeley, che ha brevettato una nuova applicazione per gli smartphones di ultima generazione: un software che calcola all’istante la sostenibilità ambientale di ogni prodotto venduto nei supermercati. Un altro esempio è il progetto brevettato dall’azienda danese Vestas Wind Systems, che ha lanciato sul mercato prodotti con l’etichetta Wind Made (fabbricati grazie al vento) così da rendere il consumatore consapevole di ciò che va comprando. L’unica soluzione è perciò la trasparenza del mercato e dei prezzi. Il consumatore non lo sa, ma quando acquista merci prodotte usando petrolio, paga attraverso i danni all’ambiente e alla sua salute. I governi devono incorporare il costo ambientale nei prodotti cosicché la spesa diventi più responsabile. In sostanza, è al futuro che occorre dare dignità, preparandolo ora. 3


TRE DOMANDE A… ANTONIO INGROIA di Valeria Gemelli e Caterina Frulloni (IIC)

Le redattrici hanno incontrato al cinema Cristallo Antonio Ingroia, magistrato siciliano che ha fatto parte del pool di Falcone e Borsellino. A Ingroia, dal 2009 procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo, fa capo, fra tante, l’indagine riguardo all’attuale senatore PdL Marcello Dell’Utri, che avrebbe fatto da ponte tra la mafia del sud e imprenditori settentrionali: egli, dopo varie condanne, è stato però assolto.

Alla luce anche delle sue ultime esperienze, che cos’è la lotta alla mafia oggi? Non c’è forse disinformazione? Quali sono i modi per combatterla? A dire la verità, c'è sempre stata un po' di disinformazione o di cattiva informazione, e per questo è importante creare occasioni per dare le informazioni corrette sia con strumenti di comunicazione di massa, come libri, accessi a dibattiti televisivi eccetera, sia in modo più capillare, con incontri, dibattiti, conferenze nelle scuole e così via. La lotta alla mafia oggi viene percepita prevalentemente sul fronte del contrasto alla mafia militare, quindi la cattura di latitanti, le retate, gli arresti, le operazioni: sono soltanto queste che prendono le pagine dei giornale e vengono maggiormente enfatizzate; ma la lotta alla mafia è una cosa più complessa se si vuole essere efficaci, perché la mafia non è soltanto organizzazione criminale, è un fenomeno molto più complesso che ha fattori sociali, culturali, economici ed anche politici. Per affrontare la mafia occorre quindi mettere in campo una strategia complessa nel quale l'aspetto repressivo è soltanto una componente: è importante ricordare l’esistenza non solo della mafia militare, ma anche di quella finanziaria, della mafia imprenditoriale, della mafia in rapporti con la politica e così via. Sul fronte culturale occorre creare i presupposti per una buona informazione e per una cultura dell'antimafia e della legalità, sul piano economico e sociale, per un maggiore sviluppo.

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Quali sono le sue opinioni, da uomo di legge, sul rapporto giovani-futuro, anche e soprattutto in relazione alla crisi che inginocchia il Paese? Credo che questo sia uno dei problemi più grossi su cui ragionare oggi. Se si vuole avviare un movimento di legalità, dobbiamo renderci

grossi su cui ragionare oggi. Se si vuole avviare un movimento di legalità, dobbiamo renderci conto che essa non può esistere senza sviluppo e soprattutto senza prospettive di un futuro sicuro e sereno per i nostri giovani. Data oggi non solo la crisi finanziaria, ma anche la crisi ideale ed etico-morale che è scoppiata negli ultimi tempi bisogna ricostruire il nostro Paese per consentire un futuro di speranza e successo ai giovani. Si possono scegliere due strade, adesso, ma complementari: quella della reazione soltanto di protesta, più o meno rabbiosa, oppure quella dell'adattamento e dell'assuefazione ai modelli dominanti dell'egoismo sociale e del prevalere dei propri interessi particolari a discapito degli interessi pubblici. Io spero che ci siano le risorse nel paese e si possa costruire un'Italia migliore secondo i migliori valori, scritti nella nostra carta costituzionale. Dal punto di vista legale, nel caso di Silvio Berlusconi si può parlare di accanimento giudiziario? E’ stato questo a fare cadere il governo, come sostengono in molti? Il precedente governo secondo me è caduto per una crisi di credibilità internazionale, collegata alla crisi finanziaria. Non voglio spingermi in valutazioni politiche, e cioè se questo governo sia stato all'altezza delle sfide o meno; l'Europa dice di no, e forse non tanto a torto. Credo che la giustizia abbia poco a che fare con la fine del governo Berlusconi, visto che l’ex presidente del Consiglio di processi ne ha avuti tanti in questi anni e si è sempre mantenuto saldamente al potere. Non credo ci sia stato alcun accanimento giudiziario, questo è sempre stato una sorta di alibi, di pretesto per attaccare la magistratura, peraltro utilizzata sempre più da ormai ogni genere di imputato.


E ORA A NOI LA PENNA di Giovanni Bucco, Elena Iotti, Cristiana Lucchetti, Chiara Morelli e tutta la IID

La risposta di noi studenti alla questione sorta in seguito alla replica di Alessandro Sallusti su “il giornale” all’ articolo pubblicato dal tedesco Jan Fleischauer su “Der Spiegel” in merito al drammatico episodio della Costa Concordia e al “caso Schettino”. Come non avremmo voluto che “Der Spiegel” definisse il comportamento di Schettino genericamente “all’italiana”, allo stesso modo non vorremmo che l’ articolo del 27 gennaio di Sallusti passasse come unica risposta degli italiani. Il motivo è uno: siamo italiani come lui e avremmo risposto diversamente. Giudicare un intero popolo secondo l’ azione o il pensiero di un singolo non può che portare a conclusioni inesatte. Fleischauer ha presentato il “caso Schettino” quale tangibile conferma delle presunte irresponsabilità, superbia e vigliaccheria degli italiani. Analogamente, Sallusti replica presentando il passato storico della Germania nazista quale espressione di una logica comportamentale caratteristica di tutto il popolo tedesco. Nella nostra classe ne è derivato un dibattito di cui ora vorremmo condividere le osservazioni più significative. Questi due articoli hanno in comune un radicale errore metodologico e di valutazione, giacché si avvalgono di un processo metonimico, ovvero “la parte per il tutto”, che ha dato origine a risultati avvincenti in poesia ma risulta sicuramente inadeguato ai fini di un’indagine veritiera della realtà storica. Lo dimostra il fatto che si arrivi a sostenere che da un lato gli italiani sono tutti degli Schettino e dall’altro tutti i tedeschi sono dunque dei nazisti. Non è giusto sostenere una “competizione” contro il popolo tedesco confrontando le vittime dell’Olocausto con quelle dell’incidente di una nave da crociera, vedendo che il ricordo dello sterminio degli ebrei serva a fomentare proprio il sentimento per cui avvenne una simile tragedia; ciò è proprio un paradosso. Inoltre non è giusto che gli orrori del passato vadano a detrimento delle capacità delle nuove generazioni di un popolo di risalire la china, di ricostruire la propria identità e la propria unità nazionale, di diventare una potenza economica trainante senza derogare alle regole della democrazia e della civiltà. Per difendere gli italiani dai giudizi di Fleischauer non sarebbe bastato ricordargli che stava ignorando l’operato di tante persone? Come l’eccellente ed eroico Capitano della sala operativa della Capitaneria di Porto Giovanni De Falco, che, nella famosa chiamata che è auspicabile che tutti noi ascoltiamo con compartecipazione, in un tono concitato ed animato dall’angoscia per la mancanza di responsabilità di Schettino, lo incita con durezza ad attenersi alle proprie mansioni, con la decisione di un uomo che crede fermamente di non potere

di responsabilità di Schettino, lo incita con durezza ad attenersi alle proprie mansioni, con la decisione di un uomo che crede fermamente di non potere prescindere dal rigore morale; come il direttore sanitario della Costa Concordia Sandro Cinquini, che restando sulla nave ha salvato oltre cinquecento persone, o come Giuseppe Girolamo, musicista dipendente della Concordia, che ha ceduto il suo posto sulla scialuppa di salvataggio ad un bambino e risulta attualmente disperso. Stimiamo dunque così poco gli italiani onesti, coraggiosi e responsabili che non ce la sentiamo di difenderci in loro nome? Forse il fatto è che risulta più comodo innescare il meccanismo della “macchina del fango”, quello strumento di diffamazione volto a spalmare egualmente su tutta un’intera fetta interessata colpe e imputazioni, alla luce della primordiale convinzione, moralmente discutibile, che “tanto il male è cosa di tutti”; tutti egualmente abbiamo una colpa, e giustifichiamo quella macchia non con l’affermazione di ciò che in bene controbilancia e riscatta il male, ma con un becero appiattimento della virtù. Inoltre ciò che rende perplessi e turbati noi studenti è l’atteggiamento di larga adesione popolare, immediata e quasi impulsiva, che l’articolo pubblicato sulla testata di Sallusti ha ricevuto. In questo modo un nostro connazionale giornalista replica, semplicisticamente, al razzismo con il razzismo, all’ottusità con l’ottusità, nonostante abbiamo visto di recente quali danni possa ciò procurare, sul nostro Paese come sugli altri. Sentiamo di ribadire che per capire se una persona è degna di fiducia non conviene affidarsi alla sua nazionalità. Se adottassimo questa pratica, che sottolineiamo essere moralmente errata, ci accorgeremmo con l’amaro in bocca di avere rinunciato a lungo all’allenamento fondamentale: all’arduo e indispensabile esercizio di mirare alla verità, di ricercare dove si nasconda il giusto e dove l’errore, per crescere come individui e come popoli, acquisire la consapevolezza di quanto dobbiamo ancora imparare dagli ottimi e dai pessimi esempi offerti dall’uomo nella storia. Perché anche noi siamo fermamente e incontrovertibilmente convinti che, come disse Victor Serge, “la verità, nonostante tutto, esiste”. 5


HI EVERYBODY! di Silvia Artioli (IIC)

Sono Silvia Artioli e “frequento” la II^ C, con le virgolette perché quest’anno, grazie ad Intercultura, trascorro un anno negli Stati Uniti, e ad oggi sono 4 mesi e 12 giorni che risiedo a Pewaukee, in Wisconsin. Quando si va in un altro paese, che sia confinante con il suolo su cui si è nati o che sia a miglia e miglia di distanza, ci si trova inevitabilmente a dover affrontare un confronto. Un confronto istintivo e franco , in cui le pedine fondamentali sono pregiudizi, aspettative e la propria personalità. Tutto questo non è necessariamente negativo, anzi, se viene esercitato e ponderato con giudizio è sicuramente costruttivo. Innanzitutto il confronto più spontaneo e più semplice da identificare e da comprendere è quello tra le tradizioni dei due paesi, quello natale e quello ospitante. Anche se abbiamo guardato film, telegiornali o ci siamo personalmente informati sul paese “nuovo”, non saremo mai in grado di comprendere i più profondi e reali motivi delle loro azioni o abitudini. Quando sono arrivata ho realizzato infatti di non sapere quasi niente degli Stati Uniti, e allora la mia mente ha iniziato ad aprirsi, volontariamente o involontariamente, a situazioni nuove, al diverso, all’inconsueto e al difficile. Solo un esempio è il rapporto con il cibo e con i pasti in generale. Per la mia famiglia italiana i pasti sono un’occasione per stare insieme, per chiacchierare, per chiarirsi, per organizzare la settimana e, perché no, qualche volta per litigare. Negli Stati Uniti questo legame tra pasto e famiglia non è invece così rilevante. Il pranzo innanzitutto si svolge nella mensa della scuola con gli amici tra una lezione e l’altra, e poi comunque, stando qua, capisci che per loro è proprio il cibo in sé a non essere valorizzato tanto quanto in Italia, mentre sono altri i momenti che svolgono una funzione d’incontro tra i famigliari, ad esempio la partita di football il sabato pomeriggio. È poi completamente diverso dal nostro il rapporto tra studenti e professore, che qui è disimpegnato ed amichevole, sicuramente per la mancanza del “lei” formale nell’inglese che è invece presente in italiano. Dopo un po’ di tempo però ci si accorge che è la cultura ad essere profondamente dissimile, e non è solo colpa della lingua, che può, certo, causare talvolta disagi e intralci nelle conversazioni, ma che alla fine si rivela il problema minore, dato che il confronto più arduo che ci si trova ad affrontare durante un soggiorno all’estero è quello con se stessi. Grazie a questa esperienza, ho capito che non solo sapevo poco degli Stati Uniti, ma non sapevo molto nemmeno su di me. Confrontandomi con me stessa, ho scoperto qualità nascoste che non pensavo di avere emerse grazie all’ambiente in cui mi trovo ora, sicuramente diverso da quello abituale. Qui bisogna “combattere” da soli, senza qualcuno immediatamente pronto ad aiutarti. La timidezza prima di tutto. Quando mi perdevo tra i corridoi della scuola o non riuscivo ad aprire l’armadietto e mancava un minuto all’inizio della lezione dovevo chiedere aiuto a qualcuno, perfino a persone sconosciute che non sapevano io fossi straniera e di conseguenza quando chiedevo “scusa potresti aiutarmi ad aprire l’armadietto?” mi guardavano in modo strano. Ma ora ho capito che non c’è niente di male nel chiedere aiuto, e ho imparato che ci sono molte persone intorno a me che sarebbero felici di darmi una mano. Si verificano però alcune circostanze che posso affrontare solamente io, ed è in questi momenti che mi ritrovo ad analizzare le mie possibilità, i miei limiti ed i valori in cui credo. Avrei tantissime cose interessanti di cui parlare, ma avrei bisogno di tutte le pagine del giornalino. Concludo dicendo che non mi pentirò mai di aver deciso di intraprendere questa esperienza, anche se a volte è difficile, e credo che per ora la cosa che mi è più chiara è che non si finisce mai di imparare, che sia riguardo a te stesso, un paese, una famiglia, o una materia scolastica, e credo di aver capito che ciò che mi sta dando questa esperienza non me lo darà nient’altro e per questo ringrazio la mia famiglia o, per meglio dire, le mie famiglie, Intercultura, i miei amici (vicini e lontani) e gli Stati Uniti.

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QUATTRO CHIACCHIERE CON… MICHELE DELRIO di Caterina Frulloni e Valeria Gemelli (IIC) Mettendo da parte i formalismi, una chiacchierata con i vecchi amici, le figure portanti della nostra scuola.

Redazione: Ora stai facendo giurisprudenza. Quanto ti sta aiutando l’aver fatto il classico? Michele: Be’ di certo è una delle università più normali dopo aver fatto il classico, mi ha molto aiutato perché riesco a capire quel che leggo, i tecnicismi, i giri di parole sui libri, e davvero è un grande passo avanti. Altri miei compagni che non hanno fatto il classico fanno più fatica, devono rileggere più volte… poi ovviamente il modo di pensare… Ho iniziato il classico e tutti con questo “ti aprirà la mente” e io pensavo: “vabbè ciao” invece no, poi te ne accorgi diventando grande. R: Quindi è proprio vero che il modo di studiare è diverso? M: Certo, ma non solo il modo di studiare, ma anche di porti in generale, e detta tra noi possiamo dire che è una marcia in più! R: Ripensando ai cinque anni di classico cosa ti sei lasciato alle spalle? M: Una scuola, con la “esse maiuscola” che fin quando la vivi continui a maledire con tutto il cuore,ma una volta uscito, fidati, la rimpiangi e ti si stringe anche un po’ il cuore.. R: Nostalgia?! Sarebbe una parolona.. M: No un po’ di nostalgia viene, soprattutto per il rapporto che ognuno di noi instaura, anche con i professori. R: Il tuo ricordo migliore. M: Eh... Per me era entrare in ritardo e bussare alla porta, la Melotti o la Vallisneri che non mi guardavano neanche in faccia e dicevano “prego Michele, entra pure!” R: Ma come, bussavi alla porta della tua classe? M: Ovvio! Poi si spazientivano anche, “Ma cosa bussi” mi dicevano, ma io continuavo a farlo! R: Un consiglio ai quartini, che forse al classico dovrebbero diventare specie protetta. M: State sui libri il giusto e i imparate a vivere la vita di scuola, che non è solo quella dello studio, ma anche quella di sorridere al bidello, di cercare di “scroccare” un panino alla paninara di ogni intervallo, e cercare di capire che c’è gente che lavora per voi.

R: Tutti hanno, soprattutto nella nostra scuola, momenti di crisi. I tuoi? M: La matematica. Assolutamente. Ci morivo sopra.. E il greco! Euripide, i paradigmi.. Anche se Roncato (a suo modo) la passione per la materia la trasmette. Ma è proprio il greco in sé, è una lingua ostica, e nelle versioni, un sei era il mio nove. R: Come hai fatto a conciliare amici e scuola? M: Be’, innanzitutto, anche se è complicato in questa scuola, io consiglio di cercare altro, oltre allo studio, di non fissarsi sui libri, perché farebbe vivere la scuola come un “andare in miniera”, di avere due gruppi di amici (come è successo a me): uno all’interno della classe e uno fuori, e di non disprezzare certi compagni di classe, come sempre accade. R: Dopo due anni di rappresentante d’istituto, cosa ti senti di aver lasciato? M: Credo di aver un po’ svecchiato i muri della scuola, di aver portato gli studenti a vivere la scuola, quando alle assemblee dei monteore c’erano quaranta persone mi si è riempito il cuore, ed è uno dei ricordi migliori… Ma tutto sta nella passione, si può fare qualunque cosa, qualunque mestiere, ma se lo fai con passione la gente se ne accorge davvero. Non mi dimenticherò mai nemmeno il ballo delle quinte, il sorriso sulle labbra degli studenti e i loro ringraziamenti per quella serata. Bisogna anche dire che la figura del rappresentante è sopravvalutata, a volte ci si fa eleggere per “status”, ma è importante ascoltare la gente i loro problemi per cercare di trovare una soluzione e migliorare, farsi sentire nei corridoi ed essere studente, vivere la vita della scuola, che non è soltanto libri e studio, ma è anche la partecipazione vera al periodo della vita che è il liceo.

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NERD di Mikla Tuci (IVC) I ragazzi con gli occhiali che stanno cambiando il mondo.. Nerd è un termine della lingua inglese con cui viene chiamato chi ha una certa predisposizione per la ricerca intellettuale (talvolta associata a un quoziente intellettivo superiore alla media),altre fonti affermano che la definizione "nerd" parte dai paesi scandinavi e significava "genio" .Il nerd è passato dall'essere una persona intelligente all'esser tendenzialmente solitario e con una più o meno ridotta predisposizione per la socializzazione. Lo stereotipo (americano) vede queste persone affascinate dalla conoscenza, specialmente quella riguardante la scienza e la matematica; i "nerd" sono inoltre considerati poco interessati alle attività sportive e sociali. Anche l'aspetto esteriore è rappresentato da un cliché ben definito: indossano vestiti niente affatto alla moda, spesso tipici di persone più in là con gli anni (come gilet o mocassini), e portano gli occhiali. A partire dagli anni novanta molte persone che si consideravano "nerd" iniziarono a sostenere che tale appellativo avesse una valenza positiva (geek), ed iniziarono ad usarlo per connotare le persone che hanno competenze tecniche di un certo livello, tralasciando ogni implicazione riguardo alla socialità e socievolezza. Questa è la definizione secondo Wikipedia dei nerd,i nerd rappresentano qui in italia coloro che tendenzialmente vengono chiamati "secchioni", "sfigati". Nugent racconta anche le manie di un intero popolo, senza nazione né bandiera, ma con una serie di passioni comuni: videogame, supereroi, anime, gadget tecnologici, spade finte, fumetti, cyborg, alieni, giochi di ruolo e via dicendo. Partendo da Frankenstein e Orgoglio e Pregiudizio, passando per Dungeons & Dragons, fino ad arrivare a Halo, Benjamin Nugent descrive, come nessun altro prima di lui, uno dei fenomeni culturali più importanti e diffusi del nostro tempo. Ora i Nerd "conquistano il mondo" dai telefilm,alla moda,possiamo notar sempre più la fama di serie tv basate su questi personaggi che appassionano la gente con il loro modo "strano" di relazionarsi con il mondo e comunicare con gli altri..(Big bang theory, Chuck etc..) Gli occhiali da vista grandi tipicamente indossati da questi "secchioni" vengono sfoggiati sempre più da persone di fama mondiale che non rientrano in questa "categoria". Ed è così che da nerd,da persone "out" ,diventano un nuovo esempio di "moda" che rischia di diventare un'altra banalità scontata,che seguiranno branchi di persone che non sanno esprimere la propria personalità,ed il vero significato di tale definizione andrà perso… Baaazinga! [cit. Sheldon Cooper (Big Bang Theory)]

LA ROSA BIANCA di Diana Bota (VE)

“Del gruppo che qui ho messo assieme avrai già sentito parlare. Gioiresti di questi volti, se tu li potessi vedere. L’energia che uno dedica a quei rapporti rifluisce tutta intera nel proprio cuore.” (Hans Scholl) Prendiamo il poetico nome dalla Rosa Bianca storica. Alcuni ragazzi tedeschi di Monaco sono vissuti nel buio della dittatura nazista, hanno pagato con la vita il loro desiderio di libertà, le loro idee antitiranniche, espresse in sei volantini. Come loro impariamo a NON TACERE davanti ai problemi della società, a partire dalla scuola. Come loro esprimiamo le nostre opinioni anche attraverso “Il Volantino”, che periodicamente distribuiamo nelle scuole, università e altri luoghi pubblici. Finora ne abbiamo pubblicati tre. Qualcuno di voi li ha già letti, qualcuno li ha lasciati nel cassetto della scrivania, qualcuno ne ha solo sentito parlare. Queste righe sono scritte per informarvi e per invitarvi a leggerli, rileggerli e a riflettere insieme su ciò che propongono. Noi ragazzi della Rosa Bianca abitiamo in paesi e comuni diversi, ma la nostra amicizia e i nostri ideali ci riuniscono (a volte in sede, a Guastalla, altre volte nelle case dei membri) per discutere su varie realtà del nostro tempo e per stare piacevolmente insieme. I nostri incontri sono guidati da alcuni insegnanti, parroci e ragazzi dell’università. L’iniziativa più recente del gruppo Rosa Bianca è stata la mostra su Don Milani, maestro e profeta. Qualcuno di voi avrà visto la locandina di questa esposizione svoltasi nell’ultima settimana di novembre nell’Istituto superiore B. Russell di Guastalla. La sera dell’inaugurazione abbiamo ascoltato le parole di un ex alunno della scuola di Barbiana diretta da don Lorenzo Milani e ci siamo soffermati sul perché e come abbiamo studiato ed esposto la vita e l’attività di questo grande personaggio. “I CARE”, “m’interessa”, il motto appeso su una parete nella scuola di Barbiana, che facciamo nostro, che impariamo a seguire. L’unità pastorale Rosa Bianca è un gruppo apolitico e cristiano di ragazzi delle scuole superiori, fondato su valori comuni. Durante l’anno, per ampliare gli studi organizziamo uscite didattiche e spirituali. L’anno scorso, a maggio, abbiamo visitato la scuola di Barbiana dove ci siamo affezionati ancor di più alla figura di don Lorenzo Milani e abbiamo visto come uno spazio che doveva essere di esilio si trasformò in luogo di speranza e di cultura. A novembre siamo andati a Ginevra, per conoscere da vicino le diversità dei pensieri religiosi, come quello di Giovanni Calvino, e il progresso della scienza (CERN). Ad ogni ritrovo sento che fare parte dell’unità pastorale Rosa Bianca contribuisce ad arricchire di esperienze positive, significative e concrete in modo unico, non aggressivo, ma convincente, non invadente, ma stimolante e valido. Nella nostra scuola facciamo parte di Rosa Bianca Miriam Abate IV A, Sara Artoni I A, Maria Vittoria Paglia III A ed io. 8


RITORNO AL PASSATO di Laura Galiano (VE)

“Welcome to our world / we are the wasted Youth / and we are the future too” La nostra generazione, per quanto possa essere moderna, sta attuando un ritorno al passato, alle vecchie mode, tradizioni, usi. In giro si vedono sempre più ragazzi adornati con simboli della ribellione punk inglese, che sfoggiano magliette e accessori di gruppi che hanno segnato la storia come Queen, Beatles, Rolling Stones, Nirvana e Sex Pistols. Citazioni di grandi autori ovunque, i pantaloni a vita alta tornano in voga e i remake sono sempre più richiesti. I mitici anni ‘70 e ‘80, intramontabili, vengono sognati e sospirati da milioni di ragazzi “del futuro”. Un ritorno al passato perché non c’è futuro? Per sfuggire all’omologazione di massa c’è bisogno di ideali come quelli del punk agli esordi? C'è talmente tanta voglia di "uscire dal branco" che si finisce a cercare di essere "unici" utilizzando metodi ormai obsoleti. In questa società dove non c’è modo, per molti ragazzi, di esprimersi se non attraverso il web, dove la musica è diventata quasi del tutto un insieme di tecnologia, in cui i computer ricreano il suono di chitarre, batterie o pianoforti e le voci vengono modificate ed amplificate, insomma falsate. Chi ama la buona musica riprende vecchi CD e cassette dagli scaffali dei genitori e riascolta i testi di veri cantautori che parlano di problematiche di dieci anni fa e che sembrano scritte nel 2011. Possibile che non ci sia via d’uscita alla massa se non con un ritorno al passato? Io per prima preferirei vivere negli anni ‘70, segnati dalla morte di alcune delle più grandi stelle della musica come Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Elvis Presley, Keith Moon, Sid Vicious; dall’uscita di alcuni dei migliori album dei Pink Floyd; dagli esordi del gruppo punk rock britannico dei Sex Pistols e dal loro singolo “God save the Queen”, un attacco alla monarchia e al nazionalismo inglesi; dalla nascita del gruppo pop svedese degli ABBA; dalla presentazione dei Queen al pubblico e dalla separazione dei Beatles. Per mia sfortuna vivo invece nel XXI secolo, che sembra caratterizzato solo da guerre, rivoluzioni, censure e crisi economiche, epoca in cui gli Stati Uniti hanno subito il primo attacco terroristico, il Tibet ha subito la repressione della Cina e il web è diventato la sola speranza di sopravvivenza della libera informazione. In campo musicale tramonta il teen pop anni Novanta e conosce un grande successo l'R'n'B, che fonde le melodie pop con un sound più lento, ma anche con la musica rock e disco degli anni ottanta. Si registra poi un elevato successo dell'house music, e continua ad avere successo l’evergreen new metal, torna in voga il rap, alcuni teenidol del pop che cercano di emulare Madonna, Michael Jackson o Britney Spears dopo un forte exploit iniziale non rimangono quasi mai sulla cresta dell’onda, si diffonde il rock impegnato o “alternative” dei Muse e l’indie rock. Il genere soul pop rivive grazie alle atmosfere anni Sessanta grazie a Amy Winehouse, Duffy ed Adele, si riuniscono band che in passato hanno scritto la storia della musica, come Duran Duran, Take That, Led Zeppelin, Police, Genesis, AC/DC e Iron Maiden. Spero, con questa riflessione sulla attualità, per alcuni versi così simile al passato e per altri così devastata dalla mancanza di fantasia dei giovani, dai governi corrotti e dalla spazzatura televisiva, di aver provocato in voi domande e riflessioni. Sarei contenta di sapere cosa ne pensate, d’altronde fate parte di questa generazione che muore dalla voglia di esprimere le proprie idee, perché non dire la vostra? “Stay hungry, stay foolish” - Steve Jobs 9


YOU MAY SAY I’M A DREAMER di Letizia Arduini (IIB)

“You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one I hope someday you’ll join us, and the world will be as one” Latino, greco, problemi di trasporto, neve, traffico, professori, compiti, SOGNI: questo breve articolo è scritto con la speranza che tutti noi possiamo avere la possibilità di ritagliarci uno spazio tra tutti i nostri impegni dedicato ai nostri desideri e a ciò che davvero vogliamo. È incredibile come spesso il nostro stile di vita sia lontano da quello che desideravamo da bambini, ma incredibile è anche il modo in cui noi ragazzi abbiamo la capacità di avvicinarci ad esso, dedicando un po’ del nostro tempo all’arte di essere sognatori. Per stimolare i loro pensieri ho posto ad alcuni ragazzi, del classico e di altre scuole, la seguente domanda: “Cosa faresti domani, se ti venissero offerti tutti gli strumenti per realizzare un desiderio grande oppure piccolo, quotidiano o rivoluzionario? Cosa sceglieresti di far diventare realtà?” Sara Mi attiverei subito per cogliere l’opportunità e realizzarla nel migliore dei modi. Partirei per la Giamaica e ciao Italia ciao Reggio. Nicolò Beh opterei per un desiderio grande, utilizzerei gli strumenti in mio possesso per eliminare il consumismo edonistico che nella nostra società contribuisce alla perdita della singolarità umana. Annamaria Farei un viaggio in qualsiasi parte del mondo dove non sono mai stata. Laura Abbandonerei la scuola, andrei a “uomini e donne” a corteggiare Francesco, farei di tutto per farmi scegliere, me lo porterei in un posto caldo e rilassante per festeggiare il fidanzamento e basta, insomma mi sembra un desiderio abbastanza completo, fornitemi gli strumenti e farò sì che diventi realtà! Manuel Se per un giorno non avessi nessun tipo di impegno, mi piacerebbe prendere la macchina, per andare in un posto solitario, magari su una collina ai limiti di una città, sedermi sotto un grande albero e pensare alla mia vita, riflettere su come sto vivendo e chiedermi se le mie scelte sono sempre quelle giuste, insomma vorrei trovare un momento di calma e tranquillità da dedicare a me stesso.. il tutto davanti ad un bel panorama! Eleonora Dunque, cosa farei? Probabilmente deciderei di incontrare il mio sportivo preferito, ma dipende quando questa opportunità mi venisse offerta perché tra qualche anno magari quello non sarà più il mio sportivo preferito, o dello sport non mi interesserà nulla, ora come ora questo sarebbe uno dei miei desideri.. Giorgia Mmh… Ashton Kutcher! Lucia Il mio desiderio forse sarebbe salire su un palco davanti a centinai di persone, per cantare, ma anche solo per fare un discorso, parlare, un po' tipo presidente degli Stati Uniti o Martin Luther King. Elisabetta Partirei per un viaggio entusiasmante negli USA! Si parte leggeri, con una valigia non molto grande e ovviamente un po’ di soldi, per pagarsi le magliette I <3 New York.. e il sogno comprende anche un’amica compagna di avventura, con la stessa carica e voglia di godersi l’esperienza senza troppi pensieri! Leonardo Beh in un domani io vorrei avere un lavoro che mi piaccia, che mi frutti bene, per far crescere nel benessere eventuali figli e poter dare ad una eventuale moglie quello che più desidera e poter mantenere la mia attuale famiglia soprattutto quando i miei genitori saranno più anziani, perché bisogna ricambiare dopo tutto quello che fanno per noi. Pietro Beh se potessi davvero, probabilmente vorrei diventare un politico di importanza elevata, ma non per fare cazzate come stanno facendo questi che governano ora il Paese, ma per fare davvero il bene dell’Italia. Marco Io inizierei oggi, non aspetterei domani. Forse uno di questi sogni è simile ad uno dei nostri, ad uno di cui abbiamo già sentito parlare oppure è un sogno che ci è del tutto nuovo o che non condividiamo per niente.. ciò che conta è che in questi pochi minuti di lettura abbiamo letto nei desideri degli altri il riflesso dei nostri, siamo diventati sognatori! 10


I LIBRI DI SPIRITO ASPRO di Valeria Gemelli (IIC)

Non c’è una una sola e semplice frase che racchiuda in sé L’uomo senza qualità, straordinaria opera di Robert Musil in buona parte frammentaria, che l’autore austriaco continuò a rielaborare, volendola migliorare in modo quasi spasmodico, fino al 1942, anno in cui morì. Attraverso una narrazione poliedrica, che viene definita al meglio da quella polarità tra presenza ed assenza presente anche nel titolo, è descritta la quotidianità sublime nell’assenza di valori, spazzati via dal dirompente mito scientista di inizio ‘900, con uno stile che in tono apodittico e sottilmente ironico non rinuncia a smascherare quella società che considera l’uomo come risultanza di attitudini effettuali e non come insieme di caratteristiche soggettive. Quest’opera è sì un romanzo, ma che l’autore vuole in ogni momento distruggere, perché simbolo e somma di convenzioni, attraverso la demolizione dei parametri del tempo e dello spazio, violentemente divelti per fare posto ad un apparente “nulla”, che dall’opposizione al “tutto” dell’universalmente riconosciuto trae linfa vitale e motivo di esistere. Ulrich, che è il protagonista ma che potrebbe impersonare ora l’autore ora il romanzo stesso, è uomo <<senza qualità>>, che alle spalle di una realtà massificata è la casualità dell’umano, e, in modo ironico più che rivoluzionario, rifugge dai codici, così come l’autore, pur essendo romanziere, priva man mano il romanzo di tutto ciò che la tradizione aveva giudicato irrinunciabile e che viene invece da Musil drasticamente eliminato. Ecco un caposaldo della letteratura non abbastanza celebrato, che eleva l’uomo ma che allo stesso tempo lo riduce a <<gruppi di pensieri manovranti gli uni contro gli altri>>, oppure a <<un’onda fra le onde sorelle>>, componente non fondamentale della totalità, tensione, questa, simbolo e sinonimo dello scarto avvertito nel ‘900.

Un tempo si poteva essere persone con una miglior coscienza rispetto a oggi. Gli uomini erano come steli nella messe: Dio, la grandine, il fuoco, le pestilenze e la guerra li piegavano di qua e di là, probabilmente con maggior violenza di oggi, ma tutti insieme, come città, come regione, come campo; e, per quel tanto di movimento personale che ancora gli restava, il singolo stelo poteva assumersene la responsabilità, ed era una questione chiaramente definita. Oggi invece la responsabilità ha il suo baricentro non nell’uomo, bensì nei nessi oggettivi. Non avete notato che le esperienze si sono rese indipendenti dall’uomo? Sono andate in scena: nei libri, nelle relazioni scientifiche o nei resoconti di viaggi, nei movimenti d’opinione o nelle comunità religiose, che coltivano determinati tipi d’esperienze a spese d’altri come in un tentativo di sperimentazione sociale; e qualora le esperienze non si trovino direttamente nel lavoro, aleggiano semplicemente nell’aria; chi oggigiorno può ancora dire che la sua collera è davvero la sua collera, quando tante persone ci mettono bocca e ne sanno più di lui? S’è creato un mondo di qualità senza uomo, di esperienze senza colui che le vive, e paradossalmente sembra quasi che l’uomo non possa più avere alcuna esperienza privata e il gradevole peso della responsabilità personale

debba stemperarsi in un repertorio di possibili significati. Probabilmente la

peso della responsabilità personale debba stemperarsi in un repertorio di possibili significati. Probabilmente la dissoluzione di quel sistema antropocentrico che per tanto tempo ha tenuto l’uomo al centro dell’universo, ma che già da secoli va declinando, ha finalmente toccato anche l’Io, giacché credere che in un’esperienza l’importante sia il viverla, e in un’azione il compierla, incomincia a sembrare un’ingenuità alla maggior parte degli uomini. Certo, esistono ancora individui che esistono in modo assolutamente personale; dicono:<<Ieri siamo stati dal tale o dal tal’altro>> oppure <<Oggi facciamo questo e quest’altro>> e sono contenti, senza bisogno di attribuire alle loro parole altro contenuto o significato. Amano tutto ciò che riescono a toccare con le dita e sono, quanto più possibile, solo privati cittadini. Appena ha a che fare con loro, il mondo diventa mondo privato e splende come un arcobaleno. Può darsi che siano molto felici; ma normalmente gente come loro appare assurda agli altri, anche se non si sa ancora bene perché. E improvvisamente, considerate tutte queste perplessità, Ulrich dovette confessare sorridendo a se stesso di essere comunque un carattere, pur senza averne uno.

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IL ROMANZO PSICOLOGICO E I GRANDI DEL ‘900 di Giovanni Bucco (IID)

N

ei primi anni del Novecento, nel clima europeo dominato dalle grandi guerre e degli scontri sociali, si verificò un profondo mutamento nell’arte, che coinvolse in particolare la letteratura. Cadute con la crisi del Positivismo, movimento filosofico e culturale che aveva caratterizzato il secolo precedente, le certezze espresse dal romanzo tradizionale, la narrativa rivolse la sua attenzione agli aspetti più intimi e profondi dell’individuo, considerato “un continente nuovo da esplorare”. Nasce così il romanzo psicologico, profondamente influenzato dagli studi di psicanalisi di Sigmund Freud che, proprio in quegli anni, pubblicava il suo lavoro più importante: “L’interpretazione dei sogni”. Davanti ai drammi della guerra, alla violenza, all’incapacità di adattarsi e di mantenere rapporti con una società in continuo sviluppo e progresso, la letteratura diviene strumento di autoanalisi e riflessione profonda su se stessi per autori e lettori. Il palcoscenico è dominato dal mondo interiore dei personaggi che compiono il loro viaggio all’interno di processi psichici, di emozioni che derivano dal profondo, di stati d’animo, riflessioni e ricordi: il flusso di coscienza e il monologo interiore divengono le espressioni chiave di questa novità. Così

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Romano Luperini definiva, nel suo “Manuale di letteratura”, il romanzo del Novecento: “ è una nuova forma narrativa capace di rendere dall’interno la vita interiore dei personaggi, la loro visione del mondo deformata e onirica, i loro incubi e le loro allucinazioni”.. Molti furono gli autori del romanzo psicologico: Italo Svevo, Luigi Pirandello, James Joyce, Gustave Flaubert, il grande Fëdor Dostoevskij, Franz Kafka, Robert Musil e tanti altri. Ma fra i grandi che hanno davvero segnato il Novecento sceglierò Thomas Mann, Marcel Proust e Virginia Woolf. Era il 1924 q u a n d o T h o m a s Mann, autore di celebri opere c o m e “ I Buddenbrook”, la raccolta di saggi “La nobiltà dello spirito” e il racconto “La morte a Venezia”, pubblicò Der Zauberberg (La montagna Incantata) a cui aveva dedicato ben dodici anni. La storia narra di Hans Castorp, giovane borghese che giunge nel sanatorio svizzero tra le montagne di Davos per occuparsi del cugino qui ricoverato per tubercolosi. Nella sua permanenza che durerà sette anni conoscerà Settembrini, (profondo stimatore del razionalismo e della gioia di vivere), Naphta (immagine

del pessimismo irrazionale e destinato al suicidio) e la signora Chauchat (la donna amata), sperimentando le realtà che ciascuno di questi personaggi rappresenta ma senza convertirsi al pensiero di nessuno. Il tema che percorre tutto il romanzo è quello del valore dell’esistenza e del significato della morte, che Hans affronta nel capitolo Neve. “In nome della bontà e dell’amore, l’uomo non deve concedere alla morte il dominio dei suoi pensieri”: all’immagine cupa e sinistra della morte, con gli occhi e la mente volti alla montagna innevata, egli conferma che l’amore, potenza cosmica e misteriosa, e non la mente sia superiore alla morte, celebrando l’idea che l’amore per la vita sia l’unico mezzo per il miglioramento della condizione umana. Hans comprende che la vita è una realtà infinitamente più impalpabile e sfuggente della morte; che quest’ultima è una trasfigurazione poetica, illusoria: la vita- e non la morte- è il vero mistero dell’esistenza. Il finale del romanzo è un potente inno al corpo e alla passione (modello che Mann riprese dai versi del poeta americano Walt Whitman) che paradossalmente vede, ironia della sorte, Hans Castorp ritornare finalmente in pianura, dopo essere stato convertito alla vita, e sparire tra i soldati nella vana strage del primo conflitto mondiale. Due anni prima, nella ricca Parigi, Marcel Proust moriva per asma cronico. Il grande scrittore francese lasciava


Due anni prima, nella ricca Parigi, Marcel Proust moriva per asma cronico. Il grande scrittore francese lasciava sulla scrivania la sua opera colossale dopo averla terminata con l’ultima parola “Tempo”: “A la recherche du temps perdu” (Alla ricerca del tempo perduto). Tutta la struttura della Recherche, che si articola in sette romanzi per un totale di ben tremila pagine (e lo sarebbero state molte di più se Proust non fosse morto prima di correggere gli ultimi due volumi), Proust tratteggia un’intera società, quella aristocratica, nell’arco di tempo che va dal 1880 al 1920, dall’affaire Dreyfus alla prima guerra mondiale, nel momento in cui si conclude la sua splendida parabola. In questa cornice il protagonista, assai raramente chiamato Marcel (unica volta ne La prigioniera), vive combattendo la sua bassa autostima, la sua fragilità fisica e psichica, incontrando, nel corso della sua adolescenza fino all’età adulta di aspirante scrittore, un’infinità di personaggi che vediamo entrare e uscire fra le pagine con regolarità: i genitori di Marcel, Charles Swann, Gilbert, il gruppo delle fanciulle in fiore e Albertine, i membri della famiglia Guermantes, l’amico Robert de Saint Luop e il barone di Charlus. Essi vivono, parlano, agiscono e muoiono, per tutta l’opera. Alla fine, come il protagonista-autore, ci rendiamo

rendiamo conto che al cospetto del Tempo siamo tutti dei vinti, privati da lui di ogni cosa, e che solo la letteratura assieme alla memoria può dare un senso alle nostre vite sghembe e sopravvivere alla sua tirannia, salvando l’uomo dal disordine del mondo. Nell’ultimo romanzo il protagonista troverà la forza di scrivere un’opera sugli uomini e sul tempo, la Recherche, e concluderà egli stesso la ciclicità degli eventi con le parole “dans le Temps”, che avevano aperto il primo romanzo, definendo un percorso che torna sempre su se stesso. Grande ammiratrice dell’opera proustiana fu la scrittrice inglese Virginia Woolf che, nel 1933, pubblicò The Weaves (Le Onde). Famosa per essere stata a capo del gruppo culturale di Bloomsbury e fondatrice, assieme al marito, della casa editrice Hogarth Press, scrisse i celebri romanzi come Mrs Dalloway, Gita al faro e Tra un atto e l’altro, numerosi saggi e una raccolta di racconti. La Woolf divenne uno dei capisaldi della letteratura mondiale del Novecento, e sua massima rappresentante femminile, con The Weaves, sicuramente l’opera più riuscita e rivoluzionaria: I protagonisti sono sei amici che parlano nei loro soliloqui della vita e degli eventi, e noi lettori siamo testimoni della loro crescita ed evoluzione, la scuola, le famiglia

famiglie, i segreti e i sogni, i giochi e le cose non dette, l’età adulta. Crescono, e noi ce ne accorgiamo, ma loro se ne rendono conto solo alla fine di tutto. Parlano singolarmente, finché un’onda, che osserviamo dall’inizio del romanzo fino alle ultime pagine crescere e incurvare la sua schiena, non unisce questa polifonia di suoni amalgamando l’esistenza di tutti i sei. Colui che vediamo comparire nella storia senza mai parlare, simbolo della gioventù e della vita, è Percival al quale è destinata una tragica sorte: una caduta da cavallo (come l’ Albertine di Proust), resa eterna ed emblematica nella memoria degli amici. Tutti i sei avranno destini diversi: Jinny, Susan, Neville, Louis, ma più di tutti la debole e disadattata Rhoda (incarnazione della Woolf) destinata al suicidio (“non ho volto” dice di se stessa). A Bernard, simile al protagonista dell’amata Recherche, la Woolf affida la conclusione finale, l’epitaffio volto all’atto eroico del vivere: “Quale nemico scorgiamo ora avanzare verso di noi? E’ la morte. La morte è il nemico. E’ contro la morte che cavalco con la lancia in resta e i capelli al vento come quelli di Percival quando galoppava in India. Do di speroni al cavallo. Contro di te mi scaglierò, invitto e indomabile, o Morte! /Le onde si ruppero a riva”.

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L’ARTISTA di Francesco Gonzaga (IIID) Spesso, per divertirsi, i marinai catturano albatri, grandi uccelli di mare, che seguono, indolenti compagni di viaggio, la nave che scivola sugli amari abissi. Appena deposti sulla tolda, questi re dell’azzurro, vergognosi e timidi, se ne stanno tristi con la grandi ali bianche penzoloni come remi ai loro fianchi. Che buffo e docile l'alato viaggiatore! Poco prima così bello, com'è comico e brutto Uno gli stuzzica il becco con la pipa, un altro, zoppicando, scimmiottava l'infermo che volava. Il poeta è come quel principe delle nuvole, che snobba la tempesta e se la ride dell'arciere poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni con le sue ali da gigante non riesce a camminare. Charles Baudelaire , il primo dei poeti “maledetti” . Nato da una ricca famiglia borghese , durante la giovinezza conduce una vita dissipata , tra gli esclusivi salotti letterari del Quartiere Latino di Parigi , le ville sontuose , gli abiti di lusso . Vive al massimo , ogni giorno come fosse l’ultimo , eppure per lui non è abbastanza . A volte la vita sembra stargli stretta , si sente come un Albatro , un grande uccello bianco che vola e scruta dall’alto l’umanità . E spesso non la capisce , si sente estraneo , preferisce tornare a libbrarsi nel cielo , solo . Ho preso ad esempio Baudelaire poiché è molto profondo e limpido nel chiarire ciò che pensa , ma come lui ci sono e ci sono stati moltissimi altri artisti , pittori , musicisti , scrittori, uomini comuni . Alcuni hanno storie antiche , altri vengono da pianeti lontani , e tutti questi hanno in comune una caratteristica , si sentono e sono diversi dai terrestri normali , i terricoli , coloro che hanno nel sangue la schiavitù , che abbassano sempre la testa di malavoglia , senza pensare . Quelli asserviti alla consuetudine del mondo , quelli che vengono a fare rumore in centro soltanto per la vittoria della Champion’s . Poco tempo fa leggevo che un qualche stimato psicologo , prendendo spunto dalle vite di alcuni Artisti del passato, ha stila to una nuova sindrome per bambini , quella del bambino “indaco”. Tra gli altri , questi bambini sarebbero affetti dai seguenti sintomi : posseggono un modo di pensare “creativo” e rifiutano le normali procedure di pensiero , hanno una forte disposizione innata a far le cose da soli, e vogliono una guida esterna solo se viene loro proposta con rispetto . E più di tutto hanno una eccezionale disposizione a dedicarsi a tutto ciò che “vive” , le arti , lo sport , la politica . Nascono con intenzioni e doni di natura già ben evidenti. La loro missione è rinnovare il mondo . Spesso però , grazie alle loro straordinarie caratteristiche e alla loro incredibile sensibilità , questi giovani genii si sentono come pesci fuor d’acqua . Come grandi uccelli bianchi che volteggiano sui terrestri . Ed esprimono in vari modi il loro malessere , sono attratti dagli eccessi , l’alcol , le droghe, sfociando il più delle volte nel totale abbandono del proprio corpo e del proprio spirito . Oppure si ritirano soli e rompono ogni contatto con gli altri esseri umani . Falliscono . Non portano nulla di nuovo al mondo . Ma , se questi Artisti riescono a incanalare le loro emozioni nel verso giusto , se trovano la loro strada , la loro arte , il loro compito , regalano meraviglie agli umani , a volte regalano un modo di pensare completamente nuovo . Hanno un’energia diversa , una for za diversa , e , più di tutto hanno coraggio . Questo è ciò che principalmente ci trasmettono con le loro opere . Questo è il loro compito. Ogni volta che ci emozionano con un loro lavoro, ci comunicano il coraggio di vivere davvero, appieno , di non sottrarci alle passioni , di vivere con il cuore e non con la pancia. Grazie alla loro arte , hanno il potere di porci in un’ estasi ammirata per unico istante, e in quel momento ci invo gliano a cercare una vita di istanti unici e irripetibili ,e non di ore noiose e glabre . Non solo, insegnandoci ad amare le emozioni, ci trasmettono anche il coraggio di combattere il vero e orribile nemico dell’Uomo , quell’individuetto che abbiamo sempre vicino, cinico e razionale , freddo e calcolatore , nemico delle emozioni , che pensa solo a se stesso e al proprio tornaconto , insomma una tipologia di persone che popola le città terrestri in gran numero , e non si estingue mai . Spesso i critici e i fan , quando un’grande Artista muore, magari ancora giovane e incompiuto , si chiedono cosa avrebbe potuto fare ancora su questa terra . Io ritengo invece che dobbiamo solo un grande ringraziamento ai vari Baudelaire , Van Gogh , Oscar W ilde , Leopardi e moltissimi altri che hanno attraversato il nostro pianeta in maniera piuttosto irrequieta. E’nostro dovere avere eterna riconoscenza per questi personaggi, che si sono degnati di passare qualche anno su un pianeta come questo , alla periferia della galassia , portando emozioni e pensieri da altrove .

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CASA DI MONTAGNA di Giovanni Bucco (IID)

- È tutto pronto? Possiamo salire in macchina? Non dimenticate nulla! Fabio era già partito da pochi minuti sull’auto del padre ed Elena sistemava le ultime cose nel bagagliaio della macchina. I primi giorni di gennaio trascorsi nella casa in montagna erano volati via velocemente. La pioggia aveva finalmente cessato di cadere e qualche raggio di sole passava tra le nubi: in quei quattro giorni non aveva fatto altro che piovere e lui e i suoi tre amici, Fabio, Ylenia e Elena, rinunciando alla gita sul monte Pizzo, avevano trascorso le giornate chiusi in casa. Passando per il corridoio gettò un’occhiata alle due camere da letto e sorrise nel ricordare il giorno precedente, quando avevano giocato a nascondino per la casa rintanandosi dentro gli armadi e sotto i letti, dietro le porte e le tende. Gli sembrava di sentire ancora le loro voci, urla e risa nella casa. Non potendo uscire non si erano certo perduti d’animo nel trascorrere quei quattro giorni in completa libertà, solitudine e indipendenza: alternavano le partite di monopoli e di carte con la lettura di opere di Shakespeare e di un qualche romanzo di Salinger, cantavano tutto il giorno a squarciagola canzoni moderne e di cartoni animati della Disney ricordando con divertimento l’età infantile e le sue allegrie. Davanti al cucinotto ricordò i diversi piatti che preparavano ogni sera combinando sempre un qualche pasticcio, come uno strofinaccio che finiva tra le fiamme dei fornelli. Controllò e verificò che il gas fosse spento e la valvola dell’acqua chiusa. Erano pronti per partire. Prima di uscire dalla porta d’ingresso osservò per l’ultima volta il salotto. Avevano giocato in quella casa come dei bambini che avevano dimenticato di essere diciassettenni; la spensieratezza e i più ridicoli svaghi che li divertivano avevano colorato le pareti di quella vecchia casa: serrando completamente tutti gli scuri delle finestre e impedendo ad ogni luce di entrare, si erano separati completamente dal mondo esterno, liberi da ogni amaro pensiero e dedicandosi solamente a quei momenti che la realtà di ogni giorno non permetteva loro. Ora si dirigevano verso la pianura e ritornavano alla quotidianità. La sera precedente tutti loro, rompendo improvvisamente quella tranquillità in cui avevano vissuto per quei quattro giorni, avevano cominciato a discutere sul loro futuro, a pensare al mondo reale, quello esterno … Ciascuno sapeva che niente sarebbe stato più lo stesso: avrebbero compiuto tutti diciotto anni e raggiunto la maturità; avrebbero ripreso gli impegni scolastici e intrapreso la moltitudine di quelli nuovi; ma, soprattutto, avrebbero acquisito la completa responsabilità di se stessi e del loro avvenire. Egli, mentre osservava in silenzio i suoi amici ridere e scherzare tra loro, sapeva che quella spensieratezza, quegli svaghi, i legami di cuore e i primi dolori che avevano distinto fino a quel momento la loro vita e quei quattro giorni si sarebbero dileguati per non ritornare. Si sentì il cuore toccato da una punta di ferro: qualche cosa cambiava nei discorsi degli amici, non più rivolti ai giochi, agli scherzi e alle pazzie, ma all’università che avrebbero frequentato dopo la maturità, alla professione ed al lavoro, al matrimonio ed alla famiglia. “Perché le cose non possono restare come sono?”pensava. Non riusciva, o almeno non voleva, immaginare qualcosa di diverso, vedere la fine di quel dolce momento della sua vita: un giorno si scorgono nel pieno corso della propria esistenza mille strade davanti a sé da scegliere e poi, man mano che le si percorrono, esse si ristringono sempre di più ad una sola dopo le scelte, chiudendoti nella monotonia della vita adulta. Non sarebbero più ritornate le risate, gli scherzi, la spensieratezza, quelle emozioni e quella assenza di preoccupazioni che si possono avvertire solo nella giovane età? O sarebbero sopravvissute? La città e l’età adulta li avrebbero cambiati? Non sentì più quelle voci. Chiuse la porta d’ingresso dietro di sé e diede tre giri di chiave. Salì nell’auto. - Credi che ritorneremo in questa casa? - gli chiese Ylenia mentre la macchina si allontanava correndo sulla strada. - Forse. Si, pensava tra sé Giovanni, un giorno ritorneremo in questa casa: essa esisterà ancora, con le sue stanze buie e silenziose, i letti, e i suoi mobili resteranno sempre al loro posto, fermi ad attendere il nostro arrivo … strano a dirsi, eppure …. non sarà mai più la stessa.

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DAL DIARIO DI AFRODITE di Eleonora Vologni (IVC)

Caro diario, ieri è stata una giornata bellissima ed entusiasmante! Teti e Peleo si sono sposati e in occasione delle nozze è stata organizzata una grande cerimonia. E’ da settimane che qui sull’Olimpo non si parla d’altro! Tutte le Dee hanno cercato per giorni l’abito più bello, ma nessuna è riuscita a superarmi. Ma è ovvio, io sono la dea della bellezza dopotutto! L’unica che forse è riuscita ad eguagliarmi è stata la sposa, veramente molto bella. La cerimonia è stata un po’ noiosa e fortunatamente non è stata molto lunga. Durante il banchetto, però, c’è stata la parte più bella. La dea della discordia è apparsa all’improvviso e per di più era anche molto arrabbiata perché era l’unica a non essere stata invitata. Poveretta, non avrei voluto essere nei suoi panni! Per vendicarsi ha fatto rotolare sul tavolo una mela d’oro con su scritto: “ Alla più bella.” Ovviamente io ero già pronta per prenderla ma anche Era e Atena hanno avuto la mia stessa idea. Come possono pensare quelle due presuntuose di essere più belle di me? Così gli sei hanno chiesto a Paride di fare da arbitro. In cambio di un giudizio favorevole io ho detto a Paride che l’avrei aiutato a conquistare la sua amata Elena, Era gli ha offerto il potere regale e Atena il predominio guerriero e intellettuale. Ovviamente Paride ha consegnato a me la mela d’oro e io, sinceramente, non avevo dubbi a riguardo! Adesso mi toccherà un favore a Paride, ma non potevo assolutamente tollerare che qualche altra dea prendesse quella mela. Io sono Afrodite e sono la più bella di tutte!

DIRITTO DI REPLICA di Massimo Roncato

Il professor Roncato risponde all’articolo La Protesta di Alessandro Bazzoli pubblicato sul precedente numero di Spirito Aspro.

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5 Se vuoi cangiar il materiale bruto nel fulgido zecchin dell’aurea arte, bisogno non avrai d’un vile imbuto, per travasarlo nelle bianche carte, ma di genio studiato e conosciuto, di gocce di sudor a lungo sparte e di prove, di veglie in notti intere. Se questo non sai far, cambia mestiere!

1 Siccome il prode Orlando a Durlindana, o Rinaldo ricorre a sua Fusberta, se qualche temerario per mattana ardisce di sfidar la mano esperta; o come fa la pecchia, la guardiana, che punge, se pericolo l’allerta, così, se tocco mai vengo nel vivo, piglio la penna e sai che faccio? Scrivo.

6 Hai voluto colpirmi? Ma vedrai che un ἀλάστωρ verrà nella miseria a lasciarTi passare grossi guai. Di questo il nome suonerà “Valeria”, la qual, se ben in guardia non starai, ferrata più di me nella materia, dentro la zucca, anco la più dura, a forza ficcherà la Ragion pura.

2 Con ciò sia cosa che la nostra scuola intitolata sta al sommo Ariosto, o Tu che dalle vette fai la spola ed in sì tanto ardir Ti sei esposto, infelice Bazzoli, con Tua fola, alle sagitte d’un di Te più tosto, mi lascerai alfine, con la clava dello stilo, risponderTi in ottava.

7 Or voglio approfittar della tribuna dai cortesi studenti a me concessa, per dir che sento che l’etade imbruna e la fine non tarda ma s’appressa. Ma lasso come son, non ho veruna speranza la pension d’aver promessa, anzi, sgomento, vedo s’allontana, grazie allo spread e a un figlio di .…

3 Non ho compreso ben, fors’è mia colpa, che mai volessi dir con Tuo motteggio, né d’esso dove stanno sugo e polpa e perché mai dovrei per un dileggio (gnaffe, la rima non mi vien in –olpa!) così greve, che non lo ritratteggio, convinto pacifista, le molestie oltretutto percuoter di tre bestie.

8 Già di molti colleghi il fiero ciglio vedo aggrottar con sguardo di rimprovero, perché, lasciando il mio dover, m’impiglio in queste bagatelle da ricovero, e in più di dotti saggi e di consiglio sommo reco disdor al sacro novero. Odo voce suonar: “ Uomo di lettere, col povero Bazzoli ti sai mettere!”

4 Ebbene sì! Di Kant lessi gli scritti e n’ammirai le sconfinate altezze; ben altrimenti degl’ignoti “dritti” che danno fuori asmatiche schifezze, e rimestano rancidi soffritti con parole conditi disavvezze. A proposito, candido infelice! Con zeta ed esse – sai? – si scrive Nietzsche!

9 Termine pongo qui al pistolotto, temendo non arrivi presto sera, d’avere certo dato ormai cappotto alla lunga Tua inane tiritera. Ma sta’ sicuro, non farò ‘l leprotto, e se insisti, di vincere dispera. Poi come disse il prete: “Lunga sia la tagliatella, corta l’omelia”.


Ebbene, un dì mi appropinquava di Nicola Battelli (IA) Ebbene, un dì mi appropinquava allo lüogo che è sempre causa di soddisfazioni e sofferenze; data l'ora tarda, ratto v'intrava. Le prime tre così fuor passate: svolta una verifica maligna, appuntate in italian gran menate. All'ora quarta lo Roncato regna. La versiòn era d'Eliodòr venerabile ma di salute mentale assai labile. Astrusa non poco era la sintassi, sì che di un pazzo tu la pensassi. Serioso lui estrasse lo sacchetto, e uscì fuor' lo biglietto dannato, su scritto il numero maledetto che parve dir: “Costui sia interrogato”. O muse, o alto ingegno, or m'aiutate: tutto 'l pomeriggio ïeri studiai; prego, che io possa spuntarla fate, che i verbi non mi chieda giammai! Galante, iniziò con le signore che avea con me interpellate, ma vedendo ch'i riprendea colore, mi preferì a quelle sventurate. “Orsù, l'imperativo dicami, quell'aoristo secondo di δίδωμι.” Cane! Io lo sapeva che δός tu fai, ma ohimè insicuro mi sentivo. Sempre adduci infiniti guai, o defunto idioma flessivo, agli studenti e impazzìr mi fai. Temendo io di dire cose prave, mi mancò il coraggio d'andare avante; parlò fanciulla dal studiar costante,

Nisi quod rerum metaphysica est? di Cristiana Lucchetti (IID) Sottopelle impressioni marchiate a fuoco lenzuola bianche. Candide, il nero che ci aspetta solo io conosco. Così attende solo me (Cassandra di questo Duemila degl'incubi miei) . Delle umane dune albe e sottili che solevano cercare il tuo petto - in me non vollero trovare un luogo, quegli uomini cui mi offersi-, è fibra stremata con carne convulsa. L'oro, il bianco, il roseo - la tenerezza che tutto sconvolge, è l' innocenza che m' ha uccisa quella notte. Fu nell'utero di una madre che avemmo in comune che sicuramente dormimmo. La febbre che cullò me ad occhi chiusi fu la stessa che mi avviluppò tutta tra le lenzuola nere. Nere?, e spinsi braccia e gambe ancora in cerca del tuo petto. La notte mi amò di elettroshock con malattia. Tu le sopravvivesti volgendoti dal grembo, Scampando alla profezia dell' asfissia setosa. O odiose visioni.

coniugò 'l verbo con parole brave. E infine a me andò tutto liscio il resto, qual delle libagioni l'olio frusto. Ma dopo giunse errore funesto a donna che dello studio avea disgusto. Ell' avea di brutto un verbo cannato, per giunta a confermar avea continuato. Roncato sgranò l'occhi paonazzo, qual lepre che venirsi addosso un tir vede, ma con sguardo che volea dir: “T'ammazzo”. “Scherzavo” dic' ella che sì risolver crede. Al suo dire lo Roncato s'infuriò, alzatosi poi con fare deciso, lo cancerogeno gesso consumò per metter ben tutto per inciso e cancellar per sempre l'aberraziòn. E non senza tale malediziòn: “Sicur da me ti portò qualche iattura, sarei potuto diventare ricco, sbugiardando filologi con cura, subìr invece devo questo smacco: stupro veder della letteratura. Ringrazia sol che non ti do un cucco!” Scocciato da cotanto interrogare pose dunque fine allo massacro e si concentrò per ben giudicare severo qual inquisitore sacro. Fu equo, comunque voi la pensiate. Disse a quella con me interrogata: “Va ben figliuola, ma un po' stitica”, a me che rispuosi cosa sensata; all'altra fece più ampia la critica. Orbene, essendocela cavata, a casa ce n'andam stufi e gaudenti.

Come negarsi il piacere della lettura? di Laura Galiano (VE) Come negarsi il piacere della lettura? Sentire il profumo delle pagine di un libro, La carta sotto le dita ogni volta che Si volta pagina, Il suono di questo movimento, Lo sguardo rincorre le parole, Lettere e lettere e lettere Che sinuose danzano sul foglio. Il piacere della conoscenza, La fantasia che scoppia

E libera immagini nella mente. Il piacere della lettura, Una scappatoia dalla realtà, Una porta per mondi sconosciuti, Una porta verso noi stessi. 17


DOMANI È DOMENICA di Valeria Gemelli (IIC)

Carlo Valsecchi – San Luis MART, Rovereto, Trento

fino al 28 febbraio

Con gli occhi del fotografo bresciano e grazie a 36 opere fotografiche ammiriamo i luoghi più sconosciuti e sperduti dell’Argentina, che ci fanno riflettere sul profondo significato del guardare. Data la grandezza del formato lo spettatore diventa un tutt’uno con la natura che lo circonda, lo avvolge e lo risucchia. In ogni momento cresce il senso di spaesamento, essendo soli di fronte all’operaLotto naturale, rispetto alla quale l’uomo è radicalmente lontananza ed Lorenzo Gallerie dell’Accademia, Venezia

assenza.

fino al 26 febbraio

Viene qui reso omaggio ad uno dei più grandi pittori veneziani del 1500 attraverso dodici capolavori.

Robert Mapplethorpe

Fondazione Forma, Milano

fino all’ 8 aprile

178 scatti di varia natura ripercorrono l’intera esperienza creativa del grande fotografo statunitense. Dalle prime Polaroid degli anni Settanta all’omaggio alla cantante e musa Patti Smith, dai poco conosciuti ritratti di bambini, insoliti e malinconici, ai celebri studi, compiuti con coraggio ed ostinazione, dedicati al corpo maschile, viene messo in luce tutto il percorso compiuto da Mapplethorpe dagli esordi fino al 1989, anno in cui morì di Aids a causa di una vita sregolata e trasgressiva. Eureka. Le intuizioni geniali di Archimede

Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano

fino al 20 marzo

Grazie a vari supporti multimediali ed audiovisivi, guardiamo da un punto di vista completamente diverso e nuovo le scoperte e le invenzioni del più grande scienziato dell’antica Grecia. Marc Chagall

Chiesa di San Cristoforo, Lucca

fino al 18 marzo

In questa suggestiva sede espositiva, una chiesa romanica lucchese, si possono ammirare 20 dipinti e 150 incisioni a tema biblico dell’artista, che mettono in luce il mondo spirituale ed interiore di una 18

figura-faro delle avanguardie del Novecento europeo.


AD OPERA D’ARTE di Carolina Foglia (IVD) Da martedì 8 novembre nella nostra scuola è iniziato un corso di disegno, tenuto da un’artista il martedì pomeriggio. Questo corso è stato accolto con grande interesse ed entusiasmo all’interno dell’istituto, pur essendo aperto solo a 20 ragazzi. Per iniziare si sono copiati i disegni di Giorgio Morandi e, dopo grandi sforzi e grande impegno, sono arrivati a copiare opere di artisti come Leonardo. Le tecniche utilizzate nella prima parte del corso sono state: la biro, la matita e infine il carboncino, mentre nell’ultima parte si utilizzeranno i colori e, qua e là, qualche acquerello. L’insegnante di disegno assegnerà infine un lavoro diverso a ognuno dei ragazzi, in base alla tecnica nella quale riescono meglio, e gli elaborati verranno poi esposti nei corridoi della scuola in una sorta di mostra. Dal momento che partecipo al corso, penso che, nonostante ci si debba esercitare molto, alla fine si abbiano anche molte soddisfazioni e che il disegno sia un modo di esprimersi. Ci sono ragazzi davvero molto bravi, ma che prima di disegnare come fanno ora hanno dovuto passare ore e ore su un foglio a cancellare linee: NON BISOGNA ABBATTERSI o ARRENDERSI, e questo vale per ogni iniziativa, attività o aspetto della vita che ci sembri difficile. Noi tutti del corso di arte volevamo ringraziare di cuore l’insegnante di disegno, la professoressa Gramoli e la preside per questa grande opportunità che ci hanno dato!

SALUTI DAL NEW JERSEY di Damiano Mammi (IA) It’s a town full of losers and I’m polling out of here to win. “Thunder Road” “Wrecking Ball”, palla che distrugge. Questo il titolo dell’ultimo disco di Bruce Springsteen, con cui il Boss vuole scuotere l’America e tutti i suoi fan (e non). Il disco, in uscita il 6 marzo prossimo, comprende la pubblicazione di brani inediti e di uno che è sempre stato eseguito solo live, “Land Of Hope And Dreams”, definito da Obama « un inno di speranza ». Lo stesso Springsteen ha dichiarato che questo album è il suo lavoro più riuscito da anni e in effetti “We Take Care Of Our Own”, il primo singolo di lancio, è un chiarissimo esempio del puro sound del cantante del New Jersey, sincero, toccante, potente, riflessivo. Elogiato dalla critica e dalla stampa, è quello che ci voleva da parte del Boss, che a oltre 62 anni ha ancora voglia di arrabbiarsi e di fare sentire la sua voce come quella di uno che di cose ne ha viste e passate e vuole darci qualche consiglio su come comportarci in questo periodo difficile avvicinando con la musica il pubblico alla realtà: “In momenti duri come questo, i miei pensieri si posano su tutto ciò che conta davvero. E che resta”. Del resto non si può rimanere delusi da un artista che ha scritto canzoni rabbiose come “Born In The USA”, romantiche e grintose come “Born To Run” e ispirate come “Working On A Dream”. Il Boss è sempre riuscito a mettere in musica quello che credeva fosse più urgente per il proprio Paese e per il mondo intero, come nel caso dell’album “The Rising”, e lui stesso ha dichiarato di avere avuto l’idea della canzone che dà il nome al disco dal un ragazzino che dopo il disastro dell’11 settembre 2001 gli gridò mentre stava passando in auto: «Abbiamo bisogno di te!». È questo, “The Rising”, un album che rispecchia l’incertezza americana e mondiale dopo l’attentato alle Twin Towers ma anche la voglia di rialzarsi e rinascere. Quello che forse rende così apprezzato il rocker del New Jersey è che nelle sue canzoni riporta un mondo di operai e di famiglie di provincia dove c’è qualcuno che lavora all’autolavaggio in città (“Car Wash”) o passa a prendere una ragazza per uscire (“I’m Going Down”); Springsteen canta di amici che sono partiti e non torneranno più (“Bobbie Jean”) e di corse clandestine di macchine truccate (“Racing In The Street”): dalle corde della sua Fender Telecaster ha sempre fatto uscire note di profonda poesia spesso condensando in una sola canzone più temi e rendendo così i suoi brani interpretabili in molteplici modi. Quello dell’album che sta per uscire è un Boss che torna a cantare un mondo che si può migliorare se non ci facciamo rovinare dal passato, che “è sempre da tenere bene in mente perché può rubarci il futuro: è una cosa che succede ogni giorno”. Bruce Springsteen è senza dubbio un poeta, e se qualcuno ha dei dubbi si legga il testo di “No Surrender” o se qualcuno ha voglia di ballare ascolti “Dancing In The Dark”: sono solo alcune famose canzoni di un repertorio vastissimo e, purtroppo, in gran parte sconosciuto ai più. Ma è impossibile parlare del Boss senza parlare della E Street Band, il gruppo che lo ha sempre accompagnato nei suoi mille tour in giro per il mondo, seppur con formazioni diverse: il cantante si è sempre definito ‘uno della band’ al pari di tutti gli altri e anche fratello dello storico sassofonista Clarence Clemmons, the Big Man, i cui assoli sono nella storia del Rock and Roll e lasceranno per sempre vivo il suo ricordo dopo la sua prematura scomparsa l’anno scorso che ha lasciato un vuoto incolmabile sul palco e nei cuori degli E Streeters e dei fan. Impossibile poi non dire che la più grande forza di Springsteen è dal vivo: da 35 anni (lui oggi ne ha 62) tiene concerti che vanno dalle 3 alle 4 ore in cui lui salta, balla e urla sul palco e accontenta il pubblico riservando metà della scaletta per le richieste Dimenticavo: sarà in Italia quest’estate il 9, 10 e 11 giugno a Milano, Firenze e Trieste e i biglietti non sono ancora finiti! Credo di avere detto un po’ tutto… È certo difficile, quasi impossibile, condensare tutto Bruce in una pagina tante sono le cose da dire, ma spero di avervi fatto venir voglia di ascoltare qualcosa del ragazzo di Freehold. 19


MEMORIE DI UNA GEISHA, BREAKING DAWN di Rachele Filippini (IVC)

IL FILM MEMORIE DI UNA GEISHA - Rob Marshall (2005) TRAMA IN BREVE. La piccola Chiyo e la sorella Satsu, nel Giappone del 1929, vengono vendute dal padre ad un uomo che porta Satsu in un bordello e Chiyo in un okiya, dove le geishe vivevano e venivano istruite. Chiyo diventa la domestica dell'okiya, finchè un giorno la proprietaria decide di mandarla a scuola per diventare geisha. Chiyo prova sentimenti di rivalità verso Hatsumomo, la geisha dell'okiya, e si mette nei guai. Cerca di scappare per andare a cercare la sorella ma viene scoperta e condannata ad una vita da domestica. Un giorno incontra un uomo, il Direttore Generale, e sogna di diventare una geisha per riuscire a stare vicino a lui. Un giorno Mameha, geisha famosissima alla quale Chiyo aveva precedentemente rovinato un costoso kimono obbligata da Hatsumomo, si presenta all’okiya, e chiede di pagare tutte le spese di istruzione di Chiyo, che cambia il suo nome in Sayuri. Sayuri è una bellissima e aggraziata geisha, e riesce a provocare la gelosia di Hatsumomo, che vuole distruggerla. Durante la II guerra mondiale però Sayuri deve scappare e abbandonare la sua vita da geisha finchè un giorno, un suo vecchio amico, Nobu, la trova e la convince a tornare indietro. RECENSIONE. È questa una storia d’amore e di ribellione nell’affascinante mondo delle geishe. Si dice che questo film sia in realtà una rielaborazione di altri film nipponici, un “remake” occidentalizzato con elementi troppo poco orientali, anche se a mio parere si rifà fedelmente al libri di Arthur Gold. Di questo film affascina sì la storia, ma soprattutto la durezza che si impone e che porta ad un risultato così bello ed aggraziato. Nella parte iniziale del film, quando Chiyo distrugge il kimono di Mameha siamo avvolti da una musica tradizionale giapponese e da immagini colorate, sfuggenti ed al contempo dinamiche. Il dolore affiancato da bellissime immagini di danza, musica, labbra rosse e kimono colorati è ciò che risulta accattivante. Senz’altro il regista ha tralasciato le emozioni di Sayuri, ben descritte nel libro; nonostante questo, consiglio assolutamente questo film.

CINENEWS THE TWILIGHT SAGA: BREAKING DAWN - Bill Condon (2011) RECENSIONE. Questa è la prima parte dell’ultimo dei film tratti dai famosi libri sui vampiri, che a mio parere sono stati solo rovinati dalle reinterpretazioni cinematografiche. La storia raccontata nei libri è una storia d’amore, fantasy ma allo stesso tempo reale, una storia originale e affascinante. Innanzitutto Kristen Stewart non riesce ad esprimere, recitando, il dolore che dovrebbe provare Bella in punto di morte. Non sono d’accordo con chi dice che questo film è violento, poiché soltanto una persona veramente impressionabile può rimanere leggermente turbata da una scena in cui non si vede nulla. Non ho trovato quindi in questo film un riscontro con il libro, che come i precedenti avevo molto apprezzato.

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LA MODA RIFLETTE I TEMPI di Ginevra Ravazzini (IVC), Francesca Tonitto (IVC) e Giorgia Guidetti (IVB)

La moda riflette sempre i tempi in cui vive, anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo. Coco Chanel Le fantasie e i motivi sono un’importante caratteristica di ogni capo d’abbigliamento, che sia una maglia o un vestito, non solo lo valorizzano ma gli danno un’ immagine che lo rende unico in confronto agli altri. Il colore di un capo è il primo elemento che salta all’occhio ed è ciò che stabilisce un apprezzamento o meno. Una delle fantasie più in voga adesso è il pois, maree di puntini di tutti i colori stanno invadendo maglioni, gonne e accessori. Un altro motivo che ha preso davvero piede e che si può dire sia uno dei maggiori trend dell’autunno/inverno 2011-12, sono le stelle, lanciate da Dolce & Gabbana e viste sugli abiti da sfilata, ma che ora anche altre marche low cost stanno adottando su borse e persino su porta cellulari. Il solito rigato, basico ma chic, continua ad andare molto di moda e, nonostante non piacciano a tutti, le stampe animalier, dal pitonato al leopardato, sono sempre presenti, anche solo su piccoli accessori cosicché non diventino troppo aggressive! Per finire, una piccola news sui colori della stagione primaverile: fluo è la parola chiave, ovvero tinte forti e accese, giusto per rallegrarsi dopo un freddo inverno. Nelle sfilate degli stilisti più famosi tornano ad essere protagonisti i cappelli: di ogni forma e dimensione, stile e materiale. Grande trionfo dei cappelli in feltro, specialmente a tesa larga, che regalano al proprio stile un tocco molto chic. Si possono trovare facilmente e vantano un prezzo modesto (anche quelli delle grandi firme come Gucci), e la scelta del colore è assolutamente libera, dal classico nero al rosso e al turchese. Solitamente il cappello è abbinato a un look molto invernale, gli stilisti li abbinano specialmente ai cappotti, un altro must di questa stagione. Per ripararci dal freddo però quest'anno possiamo davvero sbizzarrirci: oltre al classico cappotto lungo sono molto in voga il parka (soprattutto nel suo classico colore verde bosco) e per uno stile più originale la cappa. Se invece vogliamo azzardare meno ciò che fa per noi è il cappottino in tweed, anche colorato. Con l’arrivo del 2012 e la nuova stagione arrivano anche nuove tendenze per il taglio di capelli, che vanno dal classico allo stravagante. Ecco alcune delle proposte più di punta in questo momento, sia per la donna che per l’uomo. Per le donne torna di gran moda la frangia, dalla classica lunga o corta a quella asimmetrica o anche stratificata. Adattabile a tutti i lineamenti è anche il classico caschetto, che si accompagna perfettamente alla frangia. Per quelle che volessero invece accorciare notevolmente la lunghezza dei capelli e dare una svolta all’acconciatura, quest’anno andranno molto tagli corti e mossi, non troppo difficili da curare. L’importante comunque è affidarsi sempre al parrucchiere di fiducia, capace di trovare il taglio più adatto al nostro viso. Per gli uomini invece, i look della stagione sono tre e riassumibili facilmente: rasati ai lati e pettinati indietro in modo casual chic, per cui occorrono però capelli lisci e facili da pettinare, una frangia spettinata o con un ciuffo semplice.

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PASQUALE CATOZZO: IL BULLISMO SU FACEBOOK di Claudio Barbieri (Spallanzani)

Così come tutti sappiamo che i boyscout aiutano la vecchiette ad attraversare la strada, un altro stereotipo che al giorno d’oggi fa quasi necessariamente parte del bagaglio culturale di tutti noi è quello dei bulli che rubano merendine. Personalmente, sono venuto a contatto con bulli avidi di sottrarre ad un “primino” la sua schiacciatina dorata, ma negli ultimi tempi ho constatato che questo stereotipo è più universalmete valido. Il bullo, questa creatura sociale, si è infatti evoluta fino ad approdare alla rete informatica mondiale. E’ il caso di Pasqualo Catozzo: “bullo virtuale”. Un nome inventato, dietro al quale si nascondono ragazzi veri, che “terrorizza” avvalendosi dei mezzi che la tecnologia gli mette a disposizione nel ventunesimo secolo, quali il computer e il cellulare. Ne sono venuto a contatto, e ne sono rimasto, devo dirlo, deluso. Prima cosa: c’è “bullo virtuale” e “Bullo virtuale”. In Germania ero infatti già venuto a contatto con una figura del genere: il suo nome criptato era “Kondor”. Costui aveva trovato nel preside e nel sistema scolastico un bersaglio del suo terrorismo, mentre intratteneva buoni rapporti di chat con gli studenti tramite il sito della scuola. Potremmo dire che incarnava una battaglia più sociale rispetto ai suoi simili. Il Kondor contestava gli orari troppo lunghi delle lezioni, l’eccessiva austerità con la quale, secondo lui, veniva diretta la scuola pubblicando post sul sito ufficiale dell’istituto o sui monitor degli orari delle lezioni. Il carattere sociale del Kondor, la novità delle modalità di azione e l’impegno da lui investito nel proporsi come “bullo dei potenti”, lo avevano così reso un personaggio piuttosto noto ed ammirato: un “Bullo virtuale”.

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Pasqualo Catozzo è al contrario banale ed egoista: si limita ad apparire su Facebook, chiedere l’amicizia ad un po’ di persone e commentare le foto di quelle che non gli vanno a genio in modo sgrammaticato e volgare. Ognuno è poi libero di essere anche un bullo, ma per farlo deve metterci la faccia. Questo fu anche il motivo che segnò la fine del Kondor. Il preside del gymnasium aveva indetto un inchiesta per trovare un volto al bullo. Non gli importava delle critiche rivolte a lui o alla scuola, ma il fatto che uno studente del suo istituto non avesse imparato a esprimere le sue opinioni liberamente e a prendersi la responsabilità di quello che diceva, significava per il professore un fallimento educativo che non era disposto ad accettare tanto facilmente. Passò un po’ di tempo ed anche gli studenti cominciarono ad annoiarsi del Kondor. Alla fine non si trovò un volto al Kondor e non si trovò nemmeno più il Kondor o un suo annuncio on-line. Pasqualo non ha volto e propone solo una stupida ed insignificante immagine sul suo profilo. Terza cosa: lo spirito di gruppo. Anche i bulli sono liberi di formare comunità, e dietro a Pasqualo Catozzo si cela una comunità di bulletti (se ancora così li vogliamo chiamare) che addirittura rinunciano al proprio nome in favore di quello, insomma una congregazione di ominidi. E di tutto questo ho le prove. Infatti ho avuto il piacere di essere contattato da Mr. Catozzo per ben due volte telefonicamente. La prima telefonata è stata particolarmente illuminante: non ho sentito altro che un coro a cappella di versi molto simili a quelli dei macachi giapponesi presentati a Super quark (per chi non lo sapesse sono quelli con il posteriore rosa, spelacchiato, e particolarmente rumorosi).

sono quelli con il posteriore rosa, spelacchiato, e particolarmente rumorosi). La seconda volta qualcuno si è presentato con il nome Pasqualo e ha cercato di interagire ponendomi perfino domande, che tuttavia non ho potuto comprendere appieno a causa di altri primati urlanti che animavano il sottofondo. Concludo ora amaramente. Non solo gli artefici del “bullo virtuale” Catozzo hanno perso la loro identità, in verità non ne posseggono neppure una rilevante come singoli e devono perciò unirsi al fine di formarne una che loro ritengono tale. Pasqualo Catozzo è un esempio di maleducazione, ma molto più triste è l’immagine tragica che offre dei ragazzi suoi ideatori, nonché di tutti i ragazzi di una scuola, se si venisse ad esempio a sapere che i furboni frequentano tutti o in maggior parte lo Spallanzani. So che si hanno cose più importanti da fare che curarsi di un falso profilo di facebook, io ho cose più importanti di cui occuparmi che stare qui a scriverne, ma quando mi giungono notizie sulla gioventù di oggi sento parlare per lo più di ragazzi destinati a trovare un lavoro quasi per miracolo, di “sfigati” perché non ancora laureati a ventotto anni, di “bamboccioni” perché ancora residenti in casa dei genitori a trenta anni di età. Dall’altra parte non vedo molti ragazzi desiderosi di dare un’immagine diversa dell’insieme dei giovani odierni, vedo più “Pasqualo Catozzo”: un emblema del degrado, dei ragazzi incapaci di affermarsi perché si auto-privano persino di un nome proprio, che seguono ciechi un gruppo, credendo per questo di essere più forti. Un profilo che denigra sé stesso, gli altri, tutti.


VIAGGIA CON SPIRITO ASPRO di Elisa Sandrolini (IVC)

In questo numero vorrei parlarvi dell’Australia, terra di contrasti, meraviglioso luogo in cui si avverte ovunque "odore di libertà". E’ la patria di koala, canguri, ornitorinchi, opossum e dingo e quando si è a contatto diretto con la natura incontaminata si sente l’inconfondibile profumo di eucalipto. Dal finestrino vedo Ayers Rock, un deserto di sabbia rossa mi circonda e dentro a un fuoristrada mi dirigo verso l' imponente e famoso monolite rosso, l'Uluru. Ammirarlo, sotto l' atmosfera magica del tramonto, è una grande emozione: il masso quasi si confonde tra terra e cielo. Altro luogo che vi consiglio è Port-Douglas, paradiso naturale, con spiagge bianche e mare cristallino, dove tengono compagnia banchi di meduse rosa. Prendendo pinne e maschera, ci si può immergere nelle fantastiche acque che fungono da coperta per un paradiso marino, la Barriera corallina, un intreccio di pesci variopinti e di coralli, purtroppo sempre meno colorati a causa del riscaldamento globale. In conclusione, non bisogna però dimenticare che l’Australia è anche sede di città affascinanti e modernissime, come Brisbane, i cui grattacieli si snodano sulle rive del fiume omonimo, o Sydney, famosa per l’Opera House, l’Harbour Bridge e Bonday Beach, dove si possono incontrare degli squali bianchi.

Cari "ariostini", a cinque anni dalla mia uscita dal nostro amato peripato, dato che ormai sono vicino anche alla fine dell'università, colgo l'occasione per farvi i migliori auguri di buon Natale e anno nuovo. Un sincero e cordiale "in bocca al lupo" ai maturandi e un auspicio che voi gustiate a pieno il tempo lì al Classico - che per me è stato un vero e proprio Quinquennium felix che ricordo sempre con grande piacere e nostalgia! Auguroni!!! Sebastiano Busani, III A 2006-2007

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