TRUE-TOPIA. Città Adriatica Riciclasi

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TRUE-TOPIA CITTÀ ADRIATICA RICICLASI

A CURA DI GIULIA MENZIETTI

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright Š MMXIV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (RM) (06) 93781065 ISBN 978-88-548-7535-7 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre 2014

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino


Unità di ricerca di CAMERINO Pippo Ciorra 5HVSRQVDELOH VFLHQWL¹FR Piotr Bronislav Barbarewicz Umberto Cao Luigi Coccia Giovanni Corbellini Marco d’Annuntiis Anna Rita Emili Alessandra Marin Gabriele Mastrigli Lucia Nucci Piero Orlandi Bianca Maria Rinaldi )8:-+16)4:1 )22 ;41:@ ,1 81+-8+) Alessandro Gabbianelli Emanuele Marcotullio 522)*58):581 Giulia Menzietti !-96549)*12- ,-2 )*58):5815 !- +>+2-

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INDICE

4:85,;?154Giulia Menzietti

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TRUE-TOPIA 9:;:1 +53- 2- +5253*- 23 Pippo Ciorra 4)25/1- 27 Luigi Coccia $:561) ,-22) +1::@ /-4-81+) Gabriele Mastrigli

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6525/1) ,-1 2;5/01 8-)21 41 Marco d'Annuntiis )::1 9-4?) 14:-868-:)?1541 47 Giulia Menzietti

PROGETTI )91 9:;,15 53 ";* +>+2- 2)4,9+)6-9 Antonia Di Lauro, Vincenzo Gioffrè, Elisabetta Nucera

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+54,1?154- +0- 73 Chiara Merlini

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8- ! ( 81 Giovanni Corbellini %122) ,81):1+) 89 Dina Nencini, Giambattista Reale !)++54:1 9-319-81 ,1 ;4 14:-8<-4:5 ,1 81)::1<)?154- 97 Alessandro Gabbianelli, Emanuele Marcotullio # ) +5362-995 :;819:1+5 ) +1::@ ;2:1 +>+2- ,-91/4 ) 1,5 #8- 8+01 Massimo Angrilli

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!1+1+25 9:8;?1541 6-8 2 ;95 113 Fernanda De Maio, Andrea Iorio

MOSTRE SGUARDI 123 CONFRONTI 129 VISIONI 137

POSTFAZIONE "1)35 9525 )8+01:-::1 157 Giovanni Corbellini

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TRUE-TOPIA. Città adriatica riciclasi Pippo Ciorra Luigi Coccia Marco d’Annuntiis Gabriele Mastrigli &RPLWDWR VFLHQWL¹FR Giulia Menzietti !-96549)*12- ,-2 )*58):5815 !- +>+2Alessandro Gabbianelli Emanuele Marcotullio 522)*58):581 Mariano Andreani 5:5/8).5

LABORATORIO RE-CYCLE Arianna Campanelli Eleonora Capriotti Federica De Carolis Sandra Di Berardino Luca Di Lorenzo Dania Di Pietro Giada Giovagnoli Roberto Grascelli Ludovico Luciani Caterina Mari Emmanuele Pedicone

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INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE Giulia Menzietti > Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria, Ascoli Piceno, UNICAM

#8;- :561) 1::@ ),81):1+) 81+1+2)911 racconta l’esperienza e gli esiti dell’omonimo workshop di progettazione che si è svolto nelle giornate dell’11 e 12 Ottobre 2013 presso la “Scuola di Architettura e Design” di Ascoli Piceno, “Università degli Studi di Camerino”. Insieme al ciclo di seminari !1+1+2) 8- :-881:581 .8)/121, organizzato dall’“Università degli Studi G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara (9 -10 Ottobre), quest’evento costituisce la prima tappa nazionale della ricerca triennale PRIN !- +>+2- :)2> ;5<1 +1+21 ,1 <1:) 6-8 )8+01:-::;8- - 14.8)9:8;::;8- ,-22) +1::@ - ,-2 6)-9)//15 (2013-2016). La formula scelta è quella dell’ex-tempore, ovvero un’elaborazione di riflessioni progettuali e teoriche sul tema del riciclo svolta nell’arco di due giornate ad Ascoli Piceno, a monte di una fase istruttoria precedentemente diffusa in rete, senza sopralluoghi nell’area di progetto. L’area di progetto d’altronde non esiste: il workshop si concentra sulla possibilità di riciclare True-topia, un frammento urbano di pura invenzione. Desunta da alcuni elementi reali estrapolati dal contesto della città adriatica, ricomposti e riposizionati, True-topia è il risultato di un’operazione puramente concettuale che restituisce un tassello immaginario, inesistente nei fatti ma allo stesso tempo terribilmente reale. Alcune situazioni

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emblematiche, rinvenute nella fascia costiera che va dalle Marche all’Abruzzo, sono scelte come casi studio, come elementi “ideal-tipici” strettamente appartenenti al contesto locale, ma al contempo rappresentativi di una condizione generale di disuso e sottoutilizzo della recente sovrapproduzione edilizia. Il collage di tali situazioni restituisce una città adriatica analoga, un campo di sperimentazione in cui la dimensione virtuale mette in scena un’iper-realtà, uno scenario che distilla e potenzia la concretezza degli aspetti reali. Il richiamo all’analogia non cerca alcuna conferma nella precedente 1::@ )4)25/) esposta alla Biennale di Venezia del 1976. Nel lavoro di Rossi il contrasto tra realtà e immaginazione si risolve in un montaggio di forme architettoniche, evocate dalla memoria e selezionate per il loro carattere di esemplarità, che restano riconoscibili pur nel montaggio con altri frammenti. Al contrario True-topia non è altro che la combinazione degli elementi basici della città adriatica contemporanea: un montaggio di manufatti anonimi e di spazi ordinari rappresentativi di una diffusa condizione di genericità. Nel tassello immaginario i casi studio diventano degli stereotipi esportabili in ogni dove, e lo stesso sfondo, la città adriatica, diviene condizione paradigmatica rinvenibile in altre realtà contemporanee; tale aspetto di genericità, secondo la lettura koolhasiana, non trae le proprie ragioni da un carattere di inclusività, ma si genera piuttosto da una tabula rasa, da un continuo processo di distruzione e ricostruzione che trasforma la città stessa in un sistema produttivo, generando la vera “utopia realizzata” della modernità. L’utopia torna nelle riflessioni sulla città contemporanea, e in questo senso il riciclo, la possibilità di lavorare sull’esistente, si pone a limite, sospeso nel limbo tra una dimensione di pura utopia e una condizione di iperrealtà. Se l’utopia del Moderno costruiva scenari a venire nella fiducia di poter disegnare il futuro, oggi la spinta proiettiva resta ancorata alla scena reale, assottigliando pian piano i contorni di quel confine, oggi sempre più labile, tra astrazione utopica e realismo. L'immaginazione non si libera dalle forme del già noto, la città d'invenzione è più vera di quanto abbiamo già nei nostri occhi. Lo stesso riciclo cerca il materiale, il già dato, in un atteggiamento di totale indifferenza verso la memoria, la storia, verso la lettura del fatto attraverso categorie interpretative. Ed è proprio nell'apologia del reale, nel radicamento, più o meno coatto, al dato contingente che risiede la specificità del riciclo, che parte dai fatti per poi generarne

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interpretazioni mutate. Montaggio di elementi reali restituiti in forma di pura astrazione, Truetopia chiama in causa il progetto dell'esistente cercando in esso nuove opportunità. Le risposte fornite dalle Università partecipanti al workshop mettono in luce un ulteriore carattere di ambiguità del riciclo, che oltre ad apparire allo stesso tempo come utopico e reale, emerge in alcuni casi come pratica progettuale, in altri come pura elaborazione teorica. Intervenire su una città d'invenzione apre a varie possibilità: l'impiego di True-topia come strumento di verifica di alcune ipotesi operative poste sotto forma di "cinque punti del riciclo" (IUAV); una reinterpretazione progettuale dei materiali assemblati, tanto più libera e indeterminata quanto più labile è il suo legame con la sua, inesistente, storia passata (Scuola di Ascoli Piceno con Giovanni Corbellini); una riflessione sul confronto tra la "città analoga Adriatica verosimile" e la "città analoga Jonica vera" e sulle opportunità di intervenire, in entrambi i casi, con operazioni di riciclo sub-strategico (Università di Reggio Calabria); o ancora un'indagine sul sistema di strutture turistiche diffuse a partire dagli anni '60 nella costa adriatica, e sulle possibilità di innescare dispositivi di riattivazione (Università di Genova e Università di Pescara). Alcune riflessioni di carattere generale sono state alimentate dal tema del caso studio: il Politecnico di Milano ha svolto una lucida analisi sulle condizioni di trasformabilità dei capannoni dismessi, mentre il tema del centro commerciale inutilizzato è stato accolto come spunto progettuale per un'ipotesi di trasformazione dell'area sia da parte de "La Sapienza" di Roma, che da parte dell'altro gruppo della Scuola di Ascoli Piceno. Il racconto dei luoghi reali e quello degli scenari immaginati è stato affidato agli scatti realizzati dal fotografo Mariano Andreani, esposti nelle tre mostre "/;)8,1, 54.854:1 e %191541, appositamente allestite presso la Scuola di Ascoli Piceno durante il workshop.

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In questa prima parte del libro il frammento urbano di True-topia viene presentato e descritto attraverso tre modalitĂ di rappresentazione: -una fotografia aerea generata dal fotomontaggio dei tasselli estrapolati da altri contesti e riassemblati; -un disegno che descrive, all'interno dell'impianto morfologico e infrastrutturale adriatico, il ricollocamento degli attacchi a terra dei casi studio individuati; -una mappa nella quale vengono evidenziati i casi studio e le relative categorie tematiche; nella pagina successiva la reale collocazione di ciascun caso viene specificata e mostrata attraverso l'immagine satellitare.

Il racconto sulle ragioni, sugli strumenti e sulle modalitĂ di costruzione di True-topia viene affidato ai testi di chi ha curato e organizzato l'omonimo workshop.

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TRUE-TOPIA_FOTOGRAFIA

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AEREA


TRUE-TOPIA_ATTACCO

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A TERRA


3. commercio

4. residenza

1. infrastruttura

2. produzione

5. turismo

TRUE-TOPIA_CATEGORIE

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TEMATICHE/CASI STUDIO


658:5 14 ,19;95 Martinsicuro (TE)

1. infrastruttura

+)6)44541 ,193-991 Monsampolo (AP)

2. produzione

+-4:85 +533-81+)2- 14;:121??):5 Colonnella (TE)

3. commercio

FDVH QRQ ÂąQLWH Tortoreto (TE)

4. residenza

<122)//15 :;819:1+5 )*;9):5 Fermo

5. turismo

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ASTUTI COME LE COLOMBE Pippo Ciorra

True-topia è un neologismo strano, vagamente cacofonico, ma anche un dispositivo interessante. In due parole riassume molte lingue e un piccolo patrimonio di temi rilevanti per la concezione dell’architettura e dello spazio contemporaneo. Con l’inglese :8;- e con il suffisso–:561), usato in molte lingue dall’Ellade in poi, si delinea infatti un recinto incerto che contiene molte questioni cruciali per l’architettura del nostro tempo. Prima fra tutte evoca la contrapposizione molto fashionable tra chi invoca il bisogno architettonico di Utopia “a prescindere” e chi richiama la necessità di un approccio (neo–neo?) realista. Poi sfiora delicatamente la discussione imperitura sul rapporto con il luogo, per atterrare infine su un meta-discorso tipico del nostro tempo, vale a dire l’annessione dell’ambiguità, quando non del paradosso, tra i valori fondativi del nostro pensiero progettuale. Utopia L’Utopia è un’arma da maneggiare con cura nello spazio pubblico e sociale. Se usata con scarsa consapevolezza o “a fini personali” provoca danni gravi, soprattutto in quelle classi alle quali principalmente ci si rivolge come destinatari di un’offerta utopica. L’Utopia assume un ruolo centra-

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le nel discorso politico in momenti molto particolari e paradossalmente opposti della storia, quando il movimento verso il futuro è molto veloce, e quindi richiede alimento continuo, o quando la stasi è totale, e richiede quindi uno shock come alternativa alla disperazione. Per l’architettura dell’ultimo secolo l’Utopia si associa naturalmente con il Moderno, in quanto sintesi di progetto formale e progetto politico, e dialoga a lungo con la tecnologia, considerata dagli anni Sessanta in poi come un’alternativa ‘non violenta’ alla rivoluzione. In quel periodo l’esaurirsi della “spinta propulsiva” del Moderno e la sfiducia verso le utopie realizzate (non a caso chiamate socialismo reale), nell’Est europeo, in Asia e altrove, crea in architettura la ricerca di una varietà di “utopie autonome” (un ossimoro bello e buono), politicamente fallimentari ma certo molto stimolanti dal punto di vista della riflessione, dell’invenzione formale libera da qualsiasi vincolo, della capacità di leggere e inserirsi (fino ad esserne spesso fagocitati) nelle “contraddizioni del capitalismo”. Oggi il desiderio di utopia è forte, stranamente non tanto nel mondo della politica e dell’impegno sociale – diviso tra concretezza da volontariato e distopia da black bloc – quanto in quello delle arti visive. Come se ci mancassero gli argomenti, come se il richiamo ossessivo all’utopia fosse un kharma capace di interrompere il letargo e liberare energie creative che non riusciamo ad attivare altrimenti. Ma siccome lo scenario politico offre un materiale poco divertente da trasformare in utopia (pannelli solari e orti con le zucchine a piazza del Popolo), e alla tecnologia noi italiani non vogliamo proprio abituarci, allora si finisce per sostituire l’Utopia con il Revival di utopie trascorse, attualizzate con un po’ di cinismo e ancora troppa nostalgia. Nulla di male. Ogni generazione creativa ha il diritto di andare a cercarsi ispirazioni dove vuole, e di essere cieca e sorda quanto vuole. Ma basta essere chiari, sapere che si tratta di un discorso ri-utopico che non ambisce a cambiare la scena sociale e politica ma solo quella espressiva e concettuale. E riconoscere che non ci interessano gli effetti sul campo di quelle sperimentazioni d’epoca, ma piuttosto il loro impatto comunicativo sulla scena a loro contemporanea. Truismo Mi piace l’idea di True-topia perché inserisce in questa versione abbastanza auto-disinnescata di utopia un virus di alterazione, una dose perversa e interessante di realtà. Rispetto alla perfezione consolatoria del disegno

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“utopico”, è la realtà a inserire un elemento di spiazzamento e sorpresa che non ci consente più di distinguere tra utopismo e realismo. Il collage astratto delle aree della città adriatica messo insieme per questi progetti è un contesto reale e utopico allo stesso tempo. La sua dose di realtà restituisce la materia prima concreta e la sostanza dei problemi della città contemporanea. La sua natura astratta e sperimentale sposta il nostro lavoro sul terreno dell’utopia della città generica e specifica allo stesso tempo, legata allo spazio ma anche e soprattutto al tempo. Il frammento urbano è pura utopia, luogo che non c’è, ed allo stesso tempo è vero più del vero, e terribilmente verosimile. Recycle La nostra True-topia nasce nell’ambito della nostra ricerca sul riciclo, e nell’alveo della collaborazione delle undici facoltà e delle varie istituzioni coinvolte nel progetto. Cosa c’entra il riciclo con l’utopia? Secondo noi molto. Dopo anni di riflessioni e interminabili osservazioni sul campo (del nostro complicatissimo territorio) non abbiamo particolari dubbi nell’affermare che l’utopia più interessante e produttiva è proprio quella del riciclo. Non solo nel senso comune di quanto sia giusto, ecologico ed economicamente corretto riciclare materiali, risorse, paesaggi e quindi ovviamente anche edifici e città. Ma anche in quello architettonico, che ha sempre bisogno di accostare ambizioni estetiche alle convinzioni etiche e politiche. L’utopia che vogliamo proporre (e promuovere) è quindi quella che vede nella sovrapposizione dell’esistente che sopravvive e del nuovo che gli cresce dentro (intorno, sotto, sopra, nell’aria) la massima espressione progettuale possibile, l’astrazione/rappresentazione perfetta del nostro tempo, il vero Giano bifronte postmoderno. Il riciclo (preservation, retrofit, etc.) è l’architettura nuova (o almeno ne è una parte consistente e molto time-specific) e come ogni architettura nuova e utopica tende a irradiarsi ovunque, anche in regioni geo-economiche che non sembrerebbero aver bisogno immediato di questa strategia. Troviamo naturale imbatterci nelle icone del Recycle a New York (la High-Line) o a Parigi (Palais de Tokyo) ma cominciamo ad abituarci a ricicli spettacolari anche in Cina (la Glass Factory di Shenzen) e ascoltiamo con enorme interesse Toyo Ito argomentare in occasione delle Olimpiadi in Giappone in favore del “riciclo dei vecchi stadi” e contro l’ennesima performance dello studio di Zaha. Archistar vs archistar, la storia è fatta anche di grandi tradimenti.

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ANALOGIE Luigi Coccia

Una foto satellitare mostra un territorio urbanizzato. Sono sufficienti 2 indizi per identificare geograficamente l’area in oggetto. Indizio n.1: l’immagine satellitare è orientata a nord. Indizio n.2: l’immagine satellitare restituisce una località italiana. La posizione della linea di costa, il disegno delle infrastrutture viarie, l’urbanizzazione diffusa rendono riconoscibile il territorio descritto dalla foto: si tratta di un segmento della città adriatica, conurbazione estesa e continua di recente formazione. Il riconoscimento è però solo apparente perché il territorio urbanizzato inquadrato dalla foto satellitare non è vero ma verosimile, in realtà non esiste, è il risultato di un accurato fotomontaggio. Cinque distinti tasselli adriatici sono stati estratti da contesti reali e abilmente ricomposti in un contesto immaginario, un ambito costiero segnato dalla presenza di un fiume che determina una discontinuità morfologica, e di un fascio infrastrutturale che ne ripristina la continuità. Al fotomontaggio adriatico non si intende dare una valenza espressiva, comunicativa o artistica, ma semplicemente una valenza tecnica finalizzata ad esprimere il carattere di generalità che assumono le cose all’interno di un determinato insediamento urbano. Le singole cose si affermano come

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tipologie elementari predefinite1, forme stereotipate che, isolate dal contesto di appartenenza, si rendono esportabili e ricomponibili in un altrove, a dimostrazione della loro validitĂ generale. Le cose costituiscono la risposta ad alcune esigenze attraverso le quali si esplicita il senso dell’abitare: infrastruttura, residenza, produzione, commercio e tempo libero sono i grandi temi intorno ai quali ha preso forma la cittĂ contemporanea. Questi temi trovano espressione nei cinque tasselli che compongono il fotomontaggio adriatico, soluzioni costruttive reali che ridefiniscono un contesto immaginario fatto di cose generiche e interscambiabili. Tutto ciò agisce su un supporto territoriale che, se pur immaginario, richiama uno scenario noto entro il quale le cose si inseriscono con estrema naturalezza, rendendo verosimile il fotomontaggio. Oltre alla generalitĂ espressa dalle cose, c’è quindi un ulteriore carattere di generalitĂ espresso dallo sfondo su cui si incastonano i singoli tasselli: un contesto geografico tipicamente adriatico delineato da ricorrenti elementi fisici che hanno indirizzato le forme insediative e che si offrono ancora oggi come capisaldi di possibili esperimenti riconfigurativi alla scala architettonica e urbana. La cittĂ adriatica si afferma ancora una volta come caso emblematico, come laboratorio sperimentale su cui condurre nuove indagini e ricerche finalizzate a rinnovare un pensiero sulla cittĂ contemporanea e ad indirizzare la trasformazione attraverso il progetto di architettura. Ma perchĂŠ si è deciso di elaborare un fotomontaggio e di assumere un territorio verosimile, esito di tale esperimento, come scenario per una nuova riflessione sulla cittĂ contemporanea? La risposta a questo interrogativo sta nella volontĂ di soffermare l’attenzione innanzitutto sugli strumenti che gli architetti utilizzano nello studio dei fenomeni urbani. Il fotomontaggio adriatico ricicla tecniche ed esperienze condotte in passato per mettere a fuoco questioni e temi di architettura, esperimenti che hanno costituito il presupposto per elaborare nuove teorie sull’architettura della cittĂ . Il fotomontaggio adriatico costituisce dunque una opportunitĂ per continuare a riflettere sugli strumenti preposti alla conoscenza della realtĂ e soprattutto sulla necessitĂ di un loro continuo adeguamento al fine di restituire, in modo coerente, il mutevole stato dei luoghi. Spesso tali strumenti si traducono in mappe, rappresentazioni angolate della realtĂ la cui finalitĂ non è tanto quella di registrare con neutralitĂ ciò che si osserva, quanto 1 Bodei, R., ) <1:) ,-22- +59-, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 8.

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quella di offrire nuove chiavi di lettura del reale e, in ultima istanza, di contribuire ad alimentare l’immaginazione, attivitĂ implicita nella pratica progettuale. Il rapporto tra realtĂ e immaginazione si pone a fondamento della tavola intitolata ) +1::@ )4)25/), un’opera collettiva diretta da Aldo Rossi ed esposta alla Biennale di Venezia del 1976. Utilizzando la tecnica del collage, la tavola compone forme architettoniche antiche e recenti in un disegno planimetrico e prospettico che, attraverso l’esercizio della memoria, richiama un territorio, o come direbbe Rossi una “patriaâ€?, coincidente con l’alta Lombardia, il Lago Maggiore, il Canton Ticino con i suoi segni e i suoi emblemi. “Storia e geografia si confondono nelle pitture di Tanzio da Varallo e nelle case di pietra e all’interno di esse si collocano e si sistemano i progettiâ€?2. Pur se evocato dalla memoria, il contesto territoriale descritto dalla tavola non esiste, quindi “non rimane che seguire il gioco proposto dall’architetto, addentrandoci nella decifrazione e nel riconoscimento degli elementi del suo puzzleâ€?3. La tavola preserva il valore dei singoli pezzi che compongono il collage, ognuno dei quali conserva la sua riconoscibilitĂ nonostante gli evidenti adattamenti apportati sulle singole forme resi necessari dal raffinato gioco combinatorio. Il collage urbano proposto da Aldo Rossi è la metafora grafica della teoria della “cittĂ analogaâ€?, a dimostrazione del significato diverso che opere e progetti distinti producono attraverso un montaggio relativamente arbitrario. La tavola è dunque uno strumento divulgativo di una teoria dell’architettura che offre delle alternative allo sviluppo delle cittĂ , uno strumento critico predisposto “per fare in modo che queste alternative siano discusse, capite e quindi accettate o respinte dalla gente che vive la cittĂ â€?4. Nel fotomontaggio adriatico il rapporto tra realtĂ e immaginazione è sviluppato in un modo profondamente differente da quello restituito nella tavola de ) +1::@ )4)25/). Anche in questo caso è espressa l’intenzione di richiamare un territorio, ma questa scelta non si traduce nell’immagine evocativa di un luogo di origine o di una terra natia, ma in una immagine drammaticamente realistica, rappresentazione verosimile di un insediamento urbano diffuso, assimilabile a quello adriatico, in cui si consumano 2 Rossi, A., ) +1::@ )4)25/) :)<52), in "Lotus International" n. 13, Electa, Milano 1976, p. 7. 3 Tafuri, M., -+1 4G-9: 6)9 ;4) <122-, in "Lotus International" n. 13, Electa, Milano 1976, p. 12. 4 Rossi, A., op.cit, p. 7.

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le pratiche dell’abitare contemporaneo. Se il montaggio di Aldo Rossi appare come la registrazione di viaggi disincantati nella memoria attraverso i quali si esplicita, come sostiene Tafuri, il “desiderio di un abbraccio ecumenico della realtĂ sognataâ€?, il montaggio adriatico è piĂš semplicemente la restituzione di viaggi disincantati nel presente, finalizzati alla presa d’atto delle componenti elementari che si offrono come materia prima per una riconfigurazione della realtĂ . Il fotomontaggio descrive quindi uno spazio immaginario il cui genotipo è profondamente reale: i pezzi che compongono il collage sono forme ordinarie talmente assorbite nello sfondo territoriale da divenire quasi non identificabili, incapaci tra l’altro di esprimere una qualitĂ formale a cui attribuire un valore. Non sono forme storiche, sedimentate nel tempo, e neppure forme immaginate, esito di una consapevole azione progettuale, sono semplicemente generici manufatti che hanno dato espressione ad esigenze dettate dalla umanitĂ . A differenza della tavola de ) +1::@ )4)25/) le cui componenti sono forme architettoniche esemplari, il fotomontaggio adriatico offre un campionario di forme anonime che descrive una realtĂ fatta di cose comuni, meramente conformi al loro uso. Nella prefazione alla seconda edizione de G)8+01:-::;8) ,-22) +1::@, pubblicata nel 1970, Aldo Rossi traccia la sua tesi sulla “cittĂ analogaâ€? suggerendo un procedimento compositivo imperniato su alcuni fatti fondamentali della realtĂ urbana con i quali altri fatti sarebbero potuti entrare in relazione nel quadro di un sistema analogico. Per chiarire questo concetto, Rossi, qualche anno prima di elaborare la tavola esposta alla Biennale del 1976, si avvale di un “capriccioâ€? settecentesco del Canaletto, in cui la Basilica di Vicenza, il progetto di Palladio per il Ponte di Rialto e uno scorcio del Palazzo Chiericati di Vicenza restituiscono una Venezia immaginaria. “I tre monumenti, di cui uno è un progetto, costituiscono una Venezia analoga la cui formazione è compiuta con elementi certi legati alla storia dell’architettura come della cittĂ . La trasposizione geografica dei monumenti attorno al progetto costituisce una cittĂ che conosciamo pur costituendosi come luogo di puri valori architettoniciâ€?5. Ăˆ dunque l’esemplaritĂ delle forme e la loro appropriata disposizione nello spazio a caratterizzare la composizione del Canaletto attraverso la

5 Rossi, A., 8-.)?154- )22) 9-+54,) -,1?154- de G)8+01:-::;8) ,-22) +1::@, Marsilio Editori, Padova 1970.

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quale Venezia, come sostiene Aldo Rossi, “si pone come città analoga della repubblica veneta e di una più vasta nazione moderna”6. Il capriccio veneziano diventa manifesto di una nuova visione architettonica e urbana fondata sul riutilizzo di forme già sperimentate che mostrano una validità generale a prescindere dalla specificità dei contesti nei quali sono state pensate e dai quali sono state estrapolate. L’opera si fonda sulla dichiarata autorialità delle forme, una qualità testata e riconosciuta in grado di determinare luoghi di puri valori architettonici. Nulla di tutto ciò scaturisce dal fotomontaggio adriatico. L’esperimento analogico non si avvale di forme autoriali ma, come si è detto, di manufatti ordinari. Eppure è sempre l’analogia, intesa come procedimento logico fondato sulla possibilità di estendere l’applicabilità di talune proprietà o regole da un caso noto e definito ad altri che presentino aspetti di ragionevole somiglianza, a guidare l’elaborazione del fotomontaggio. Quei manufatti ordinari estrapolati dai contesti di appartenenza e ricollocati in un scenario immaginario sono espressione di regole e principi ricorrenti che agiscono in situazioni topografiche similari e, pur nella deludente connotazione architettonica, si affermano come componenti elementari su cui sperimentare il procedimento analogico. L’analogia, intesa quindi come relazione di somiglianza, determina il disegno di una città d’invenzione, nella quale ogni pezzo dimostra la sua adeguatezza al sito immaginario rivendicando la generalità del proprio principio costruttivo tramite il richiamo ad altre forme e ad altri luoghi appartenenti al medesimo ambito geografico e insediativo. Seguendo un procedimento analogico, il fotomontaggio adriatico descrive una realtà inclusiva composta da pezzi intercambiabili ma opportunamente disposti entro un determinato campo spaziale. Il collage adriatico non opera quindi su una superficie neutra e non può essere assimilato ad un “plan game”, ad un esercizio a più mani di libero accostamento di pezzi su un foglio bianco, come quello intitolato #0- 1:> 5. 536591:- 8-9-4+- realizzato da David Griffin e Hans Kollhoff e pubblicato nel 1978 da Colin Rowe e Fred Koetter in 522)/- 1:>7. In quel caso piante di edifici reali o immaginari venivano disegnate a turno su un grande foglio di carta da disegno e il loro casuale accostamento determinava un risultato imprevisto, una città

6 Rossi, A., op.cit. 7 Rowe, C., Koetter, F., 522)/- 1:>, The MIT Press, Cambridge 1978.

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fatta di elementi in collisione, espressione di una realtĂ in cambiamento. Analizzando la spazialitĂ urbana nella sua costituzione storica, Rowe e Koetter giungono a rintracciare due modelli di riferimento: il modello della cittĂ antica che produce spazi e quello della cittĂ moderna che produce oggetti. Di fronte a questa ereditĂ consegnata dalla storia, gli autori di 522)/- 1:> non suggeriscono di compiere una scelta ma di avvalersi di entrambi i modelli spaziali esprimendo, attraverso la pratica del progetto, la complessitĂ e le contraddizioni del reale. Se la cittĂ immaginata da Rossi è un catalogo finito e circoscritto di forme opportunamente selezionate e ricollocate nella specificitĂ dei contesti spaziali, quella immaginata da Rowe e Koetter è un catalogo infinito, un deposito molteplice e complesso di forme, texture e oggetti, liberamente assemblati dall’esercizio del collage. Se in Rossi il collage è una tecnica a servizio di un procedimento conoscitivo della realtĂ di cui il progetto è parte attiva, in Rowe e Koetter il collage è esso stesso progetto. Ciò che è chiaramente assente in 52 2)/- 1:> è il gioco delle corrispondenze tra le forme su cui si struttura il procedimento analogico, quel rapporto tra realtĂ e immaginazione che è a fondamento de ) +1::@ )4)25/). La tecnica del collage è utilizzata anche da Piranesi nel 1762 per ricostruire la pianta originale di Campo Marzio, impresa difficilissima considerate le numerose stratificazioni e ricostruzioni avvenute nel corso del tempo. Pur avvalendosi di una riconosciuta competenza in campo archeologico, Piranesi disegna una mappa tutt’altro che scientifica, una rappresentazione immaginifica di una parte della Roma antica in cui l’unico elemento di richiamo alla realtà è un tratto del fiume Tevere che conserva pressochĂŠ invariata la geometria del suo corso. Intorno alla doppia ansa del fiume si assemblano piante di edifici, un informe coacervo di frammenti che cozzano l’uno contro l’altro. Analizzando il lavoro di Piranesi, Manfredo Tafuri parla di dissoluzione della forma urbana: “Campo Marzio assume le sembianze di un campo magnetico, intasato da oggetti fra loro estraneiâ€?8. Lo spazio urbano si mostra come un campo di eccezioni di cui è accuratamente dissimulata la regola, come manifestazione di un campionario di invenzioni tipologiche che esclude l’individuazione della cittĂ come struttura formale. Campo Marzio è il “trionfo del frammentoâ€?, manifestazione di una cittĂ in disfacimento, espressione di uno scontro degli organismi 8 Tafuri, M., ) 9.-8) - 12 2)*1814:5, Einaudi, Torino 1980, p. 47.

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che dissolve anche la più lontana memoria della città come luogo della forma, e in tal senso costituisce secondo Tafuri una anticipazione di quella condizione di eterotopia che sembra interessare la città contemporanea. La rappresentazione del Campo Marzio di Piranesi offre ulteriori spunti di riflessione sul rapporto tra realtà e immaginazione e, comparata con quella adriatica, mostra profonde differenze che vanno al di là della distanza temporale e culturale che intercorre tra i due esperimenti. Quel “mare di frammenti formali” costituisce la metafora di una realtà urbana in disfacimento in cui organismi in collisione occupano in modo estensivo il suolo senza lasciare spazi liberi. La prossimità dei pezzi che compongono il collage di Piranesi si contrappone alla rarefazione delle componenti che entrano in gioco nel fotomontaggio adriatico in cui la dislocazione degli elementi opera su uno sfondo geografico che oltre a fare da collante alla composizione dei singoli tasselli, ne rafforza la struttura connettiva. Lo spazio aperto svolge un ruolo determinante nella rappresentazione espressa dal fotomontaggio ed è a tutti gli effetti un fatto urbano caratterizzante gli insediamenti di recente formazione. Se nella elaborazione del Campo Marzio i frammenti si stagliano con evidenza sullo sfondo bianco della mappa, nel collage adriatico gli elementi sono un tutt’uno con lo sfondo territoriale che li accoglie. L’integrazione del singolo elemento nello sfondo è garantita dalla tipicità del rapporto tra oggetto e contesto, dalla ricorrenza di alcune soluzioni costruttive in determinate situazioni topografiche. Ed è proprio questa tipicità che rende interscambiabili alcuni elementi entro un ambito geografico omogeneo, dimostrando l’esistenza di un principio insediativo che va ben oltre la connotazione architettonica dei singoli manufatti. Il fotomontaggio adriatico non restituisce uno spazio eterotopo, un luogo estraneo all’ambito geografico che lo accoglie; al contrario, esso intende mostrare una realtà nei suoi caratteri generali e in tal senso offrire un campione reale e al tempo stesso immaginario della città contemporanea. La dimensione reale è espressa dai singoli pezzi che compongono il montaggio, la dimensione immaginaria è nel risultato finale, nella ricollocazione dei singoli pezzi e nella restituzione di un contesto urbano verosimile. Il gioco dell’analogia su cui si fonda l’operazione di montaggio si traduce in tautologia: pur nella sua dimensione immaginaria, il fotomontaggio adriatico è a tutti gli effetti una riproposizione della stessa realtà. L’immagine prodotta, rappresentazione di un tassello generico di

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città estesa e continua come quella adriatica, pone nuovi problemi e si fa portavoce di questioni più generali che interessano la riconfigurazione degli insediamenti urbani di recente formazione. La finalità di questo montaggio va dunque rintracciata nella volontà di focalizzare l’attenzione sulla città contemporanea che, analizzata attraverso un suo campione, mostra la sua essenza costitutiva e la sua capacità di riprodursi rimanendo sostanzialmente sempre uguale a se stessa. Il fotomontaggio esprime questa criticità fissandola in una immagine che definisce un ambito spaziale conforme alle più recenti manifestazioni dei fenomeni insediativi, un possibile campo d’azione del progetto architettonico e urbano. All’interno di tale campo si dispongono le cose che, pur se generiche e intercambiabili, sono le componenti elementari di una città ordinaria con le quali il progetto contemporaneo non potrà esimersi dal fare i conti. Di fronte all’appurato rallentamento della espansione urbana, spesso accompagnata dal disuso o dal sottoutilizzo di numerosi spazi costruiti in tempi recenti, e nell’intento di contrastare il consumo di suolo, l’azione progettuale sembra oggi indirizzarsi verso strategie rigenerative dell’esistente. Il progetto di riciclo si afferma come uno dei possibili strumenti operativi: agendo sugli elementi che compongono la città, l’azione progettuale andrebbe ad attivare nuovi cicli di vita entro spazialità precostituite, innescando processi riqualificativi alla scala architettonica e urbana tesi alla intenzionale risignificazione dell’esistente.

nella pagina seguente:

1. Martinsicuro (TE), porto in disuso. 2. Monsampolo del Tronto (AP), capannoni dismessi. 3. Colonnella (TE), centro commerciale sottoutilizzato. 4. Tortoreto (TE), residenze non finite. 5. Tre archi (FM), complesso turistico abusato. 6. True-topia.

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UTOPIA DELLA CITTĂ€ GENERICA Gabriele Mastrigli

Con il saggio #0- -4-81+ 1:>, scritto nel 1994 e pubblicato l'anno seguente come ideale conclusione di " ' , Rem Koolhaas cercava di mettere a fuoco i caratteri della urbanità della fine del ventesimo secolo. Riscontrata ugualmente - anche se in aspetti e qualità differenti - nelle città asiatiche come in quelle americane o europee, nei centri storici come nelle periferie metropolitane, nelle tipologie edilizie tradizionali e nei sistemi delle infrastrutture, nel costruito e nel paesaggio, nel 'nuovo' come nel 'vecchio', la 1::@ -4-81+) appariva però, nel racconto di Koolhaas, una condizione altamente specifica. Per Koolhaas infatti l'appellativo 'generico' indicava un modo di essere della città strutturalmente diverso da quel sentire comune e diffuso che ancora oggi intende la città come il sedimento piÚ rilevante della socialità e di conseguenza la dimensione concreta e reale dell'identità di chi la abita. Quanto piÚ la città si erge a baluardo dell'identità , sosteneva Koolhaas, tanto piÚ ne diventa la sua "trappola", poichÊ induce la ricerca affannosa e ossessiva di un'origine - spesso inesistente o irrilevante, dunque fittizia - che stende una coltre ideologica sulla comprensione dei reali fenomeni di trasformazione in atto. Non è un caso che l'elogio della globalizzazione, celebrata inizialmente

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come fenomeno sostanzialmente virtuoso, dall'inizio del nuovo millennio abbia progressivamente lasciato il posto a un vigoroso e politicamente trasversale recupero delle identità locali. Dal cibo alla cultura, dal turismo alla nuova economia delle start-up, il prodotto "tipico", il luogo "caratteristico" sembrano aver relegato in soffitta ogni possibile valore legato a tutto ciò che si proponga in una qualsiasi dimensione condivisa e diffusa, trasversale alle culture e ai luoghi e quindi realmente comune. Accusato di collusione con i processi di modernizzazione legati al capitalismo più selvaggio, il saggio di Koolhaas, in realtà, metteva in luce l'aspetto dominante dell'ideologia del neocapitalismo degli ultimi trent'anni. Nella città contemporanea la separazione e la parcellizzazione della forza lavoro e dei suoi luoghi produttivi è il primo principio dello sviluppo capitalistico. La fabbrica o l'ufficio, in qualsiasi forma o dislocazione territoriale, di fatto non esistono più. Per l'imprenditore come per l'operaio o l'impiegato, il luogo di lavoro non solo non è più luogo di riconoscibilità sociale ma è ormai un luogo anonimo, a volte persino segreto. Senza arrivare agli esempi eclatanti delle case-baracche delle ditte tessili della comunità cinese di Prato o dei call-center domestici gestiti con il telelavoro, tutto il sistema produttivo si basa oggi su un infinito sistema di outsourcing, invisibile quanto reale, che si annida nei territori parassitandoli e inglobando ogni aspetto della vita degli individui. Vero è che il saggio di Koolhaas non ambiva altro che a presentare, in maniera sapientemente narrativa, un affresco di quella città, sostanzialmente asiatica, che alla fine dello scorso millennio aveva costituito il "grande balzo in avanti" dell'urbanità contemporanea. Tuttavia, riletta alla luce della crisi che l'ha investita negli ultimi anni, la 1::@ -4-81+) ci presenta, in maniera paradigmatica e nel suo stadio più avanzato, almeno due aspetti dei processi di modernizzazione che appartengono a tutti gli effetti al territorio europeo - compreso quello adriatico di cui questa ricerca si occupa - e che ne costituiscono il vero "patrimonio" lasciatoci in eredità dalla prima modernità, con cui ancora oggi dobbiamo fare i conti. In primo luogo l'assunto che l'essere di passaggio è una condizione universale. A dispetto di tutte le pretese di stabilità, il movimento è il primo principio dell'urbanità e più in generale della cultura tanto moderna che contemporanea. Ciò è vero non soltanto come condizione fisica degli in-

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dividui - Koolhaas ne parla a proposito degli aeroporti - ma soprattutto come matrice concettuale dell'idea stessa di città. Il progresso, il passaggio dal "vecchio" al "nuovo", è la precondizione per elaborare (e vendere) l'identità della città, cioè il suo passato, la sua storia. In realtà, da sempre il nuovo strumentalizza l'antico per rendersi più convincente e appetibile. La differenza è che oggi tutto ciò avviene in forme definitivamente secolarizzate, di cui la categoria del riciclo ne è una delle rappresentazioni più plastiche. Nell'epoca postmoderna, al netto del suo deficit di "grandi narrazioni", la città "ricicla" innanzitutto i temi della modernità, soprattutto in merito ai suoi processi di trasformazione. E qui si arriva al secondo punto: la città contemporanea è generica proprio perché nasce sempre da una tabula rasa. Se all'apparenza può sembrare che la città generica sia la quintessenza dell'urbanità come dispositivo inclusivo, in realtà essa concettualmente cancella e ricostruisce ogni volta. E non può fare altrimenti giacché, ricorda Koolhaas, in caso contrario essa avrebbe un "carattere storico". Tuttavia è proprio questo il suo aspetto più interessante e decisivo: in quanto processo di sistematica distruzione e ricostruzione la città contemporanea è un dispositivo di produzione e consumo in sé. Non si produce nella città o per la città. Si produce (e si consuma) la città, poiché tutti gli aspetti della produzione hanno un carattere intrinsecamente urbano. I luoghi di produzione specifici, che peraltro hanno costituito storicamente l'avvio dei processi di urbanizzazione nella modernità (prima le fabbriche, poi gli uffici, quindi le tipologie ibride) ora coincidono con la città stessa in tutte le sue possibili articolazioni, tanto come spazi quanto, soprattutto, come eventi. Come già prefigurato alla fine degli anni '60 e oggi pienamente realizzato, nell'economia neocapitalistica la città è essa stessa il "piano del capitale" e ne sussume tutti gli aspetti, a partire dall'istanza di continuo sviluppo e quindi di trasformazione e riciclo. In altre parole la città è oggi, nel bene e nel male, la vera "utopia realizzata" della modernità.

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APOLOGIA DEI LUOGHI REALI Marco d'Annuntiis

22- <52:- 31 *)9:) ;45 9+58+15 +0- 9G)68- 4-2 *-2 3-??5 ,G;4 6)-9)//15 14+54/8;5 XQ DIÂąRUDUH GL OXFL QHOOD QHEELD LO GLDORJR GL GXH SDVVDQWL FKH VÂŞLQFRQWUDQR QHO YLDYDL 6-8 6-49)8- +0- 6)8:-4,5 ,) 2C 3-::-8D )991-3- 6-??5 ) 6-??5 2) +1::@ 6-8.-::) .)::) ,G19:)4:1 9-6)8):1 ,) 14:-8<)221 ,1 9-/4)21 +0- ;45 3)4,) - 454 9) +01 21 8)++5/21- "- :1 ,1+5 +0- 2) +1::@ +;1 :-4,- 12 315 <1)//15 B ,19+54:14;) 4-225 96)?15 - 4-2 :-365 58) 61E 8),) 58) 61E ,-49) :; 454 ,-<1 +8-,-8- +0- 91 6599) 93-::-8- ,1 +-8+)82) (Italo Calvino )1

La dolcezza delle utopie e l’assoluta differenza delle eterotopie fondano entrambe le proprie ragioni nella spietata topia del reale. L’elaborazione delle utopie, di costruzioni senza spazio e senza tempo nate dalla mente degli uomini o, come puntualizza Foucault, “ F 4-/21 14:-89:1?1 ,-22- 2585 6)852- 4-225 96-9958- ,-1 2585 8)++54:1 5 )4+0- 4-2 2;5/5 9-4?) 2;5/5 ,-1 2585 95/41 4-2 <;5:5 ,-1 2585 +;581 F 2�, svolge un ruolo con-

1 Calvino, I., - +1::@ 14<191*121, Einaudi, Torino 1972, p. 81. 2 Foucault, M., -9 -:-85:561-9, Paris 2004; trad. it. Moscati, A. (a cura di) $:561- :-85:561-, Cronopio, Napoli 2006.

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solatorio3 rispetto alla presunta negativitĂ dei luoghi reali e, mostrando la possibilitĂ di far esistere un luogo in assenza, afferma l’ineludibile realtĂ dei luoghi che si pretende di cancellare. La realizzazione delle eterotopie, degli inquietanti luoghi ritagliati dagli uomini negli spazi della quotidianitĂ che si oppongono agli altri con compiti eversivi o salvifici, non può che misurare l'assoluta differenza di questi, la loro alteritĂ di +54:85 96)?1, sull'esistenza di tutti gli altri spazi ordinari, banali o casuali, che in qualche modo pretende di contestare creando mondi illusori o ambienti perfetti. Che si intenda affrancarsi da essi, facendo “ritornoâ€? a luoghi mitici o a 195 2- <-8,1 o recinti sacri, i luoghi reali costituiscono il termine di confronto di ogni affermazione soggettiva, la sostanza non surrogabile per qualunque alchimia, il materiale basilare per qualsiasi costruzione logica. Malgrado tutto, i luoghi reali si impongono all’osservazione obbligando a vedere debitamente il loro tempo ed il proprio destino: a conoscerne le forme e le strutture per poterne teorizzare l’avvenire. I luoghi reali, tuttavia, non si oppongono all’utopia, essendo essi stessi sempre sotto un altro cielo rispetto ad altri luoghi, sempre altrove rispetto a tutti gli altrove del mondo. I luoghi reali, peraltro, includono le eterotopie negli innumerevoli ritagli in cui l’esperienza urbana si frantuma. Essi confondono utopie ed eterotopie fra i molteplici spazi che si compongono e disaggregano dinanzi agli occhi, aprendo a sfondamenti improvvisi e vertiginosi, focalizzando elementi stranianti, producendo sospensioni di senso, per poi di nuovo ricomporsi in visioni inedite. I luoghi reali sono i luoghi assoluti, piccoli frammenti di spazi nei quali viviamo, con cui ci confrontiamo, che attraversiamo cercando - con Perec4 - il piĂš possibile di non farci troppo male. Sono i ritagli nei quali percepiamo il posto delle cose, a partire dai quali procediamo, dei quali parliamo e per i quali esploriamo qualitĂ nuove, fino a negarli attraverso il potere chimerico delle utopie che immaginiamo. I luoghi reali sono gli spazi da cui nascono e si irradiano tutti i luoghi pos3 Foucault, M., -9 5:9 -: 2-9 059-9 $4- )8+0A525/1- ,-9 9+1-4+-9 0;3)14-9, Paris, 1966; trad. it. Rizzoli, Milano 1967. 4“(‌) gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il piĂš possibile di non farsi troppo maleâ€?. Perec, G., "6-+1- ,1 96)?1, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1989.

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sibili, concreti o virtuali che siano. A ben guardare, poi, anche i luoghi reali hanno proprietĂ fantastiche. Possono apparire come isole d’ordine o dispersione irregolare di cose. A volte continuano a generare identificazione, a costituire i luoghi dell’appartenenza, dell’esperienza del “dentroâ€?; altre volte favoriscono invece l’estraniazione, la sperimentazione dell’altrove. Connotati dalla nostra esperienza quotidiana in continua fluttuazione tra contesti originari e statuti siderali, essi assumono qualitĂ fantasmagoriche5. In certi casi incantano, irretiscono ed inducono allo sradicamento, alla liberazione dalle convenzioni locali, trascinando verso circuiti economici e culturali globali; in altri si offrono alle scritture successive come palinsesti in cui persistono tracce piĂš profonde della memoria stessa, dai quali riaffiorano segni raschiati o mappe sbiadite per luminosi destini. Nella limitata dimensione dei luoghi reali il tempo e lo spazio coesistono compressi. In essi si riverberano i movimenti vitali ed i traumi della loro conformazione; da essi cadenzano i ritmi e gli strati di epoche diverse; su di essi si accumulano segni e detriti di abitudini ed eventi che, a loro volta, racchiudono storie, raccontano favole. Per cogliere il valore dei luoghi reali è necessario in primo luogo oltrepassare l’ovvio, andare oltre ciò che si presume di conoscere. Non fermarsi alla loro apparenza, al giĂ noto, ma scoprire, come per le cose, il loro “dorsoâ€?6, la capacitĂ di rivelare significati ad uno sguardo capace di svelarli dall’opacitĂ dell’abitudine, a chi li osserva nella loro problematicitĂ . Nulla di nuovo. L’attribuzione di valore dell’esistente è una preziosa acquisizione del pensiero moderno, ottenuta da decenni attraverso l');:5+81:1+) 6591:1<) della tradizione della modernitĂ , assieme al riconoscimento dei materiali provenienti dai contesti, all’attenzione ai luoghi e alle 68--919:-4 ?- )3*1-4:)21. I luoghi reali, tuttavia, sfuggono ai tentativi di scomposizione e risistemazione attraverso parametri conoscitivi predeterminati e ad ogni estremo tentativo di assolutizzarne le forme. Nel loro modificarsi essi rispondono invece ad una intrinseca capacitĂ di prodursi in forma, indipendentemente dall’esistenza di ipotesi di previsione, proponendo la modificazione stessa quale sostanza della trasformazione. Continui processi di

5 Bonomi, A., ) 95+1-:@ .)4:)93)/581+), in Guattari, F. (a cura di) 8+01:-::;8) ,-22) 96)81?154- )8+01:-::;8) :5:)2-, in 122-61)41 n° 7, Mimesis, Milano 1996. 6 Bodei, R., ) <1:) ,-22- +59-, Laterza, Roma-Bari, 2011.

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costruzione, compensati da altrettanti processi di degrado, caratterizzano i luoghi reali come attivitĂ necessarie alla loro stessa esistenza. Processi che impongono la trasformabilitĂ degli elementi quale condizione di appartenenza al ciclo produzione/consumo/riciclaggio, che ha sostituito, nelle forme di una nuova ecologia artificiale, la linearitĂ originaria della produzione industriale. I luoghi reali trasmutano, evolvono nella spirale sviluppo-squilibrio su cui andarono ad infrangersi tanto gli eroici tentativi di salvaguardare una forma per la cittĂ , quanto le regressive utopie antiurbane e l’ideologia dell’equilibrio7. Radicare l’esperienza nei luoghi reali non vuol dire necessariamente prestare un’attenzione esclusiva ai discorsi possibili sull’estetica della cittĂ contemporanea. Può corrispondere, invece, all’opportunitĂ di tornare a desumere dalla tensione ad un impegno profondamente civile dell’architettura- il tentativo cioè di elaborare risposte concrete alle esigenze sociali- i nuovi livelli di problematicitĂ che investono la cittĂ contemporanea. Per altri versi, l’esistenza di una molteplicitĂ di metodi interpretativi, modi di pensare e possibilitĂ di espressione, di quella pluralitĂ di linguaggi che è garanzia di veritĂ non faziose, può anche permettere il disincanto necessario per tornare a costruire i propri termini di riferimento in luoghi ideali, irrealizzabili eppure utili ad orientarsi nell’attuale proliferazione di significati. A cercarli dentro o sotto i luoghi reali, convinti che in essi- parafrasando Argan8- un luogo ideale esiste sempre, da essi distinto come il mondo del pensiero da quello dei fatti. Può bastare, allora, un tassello che ricompone un paesaggio virtuale costituito da luoghi reali, da cui affiorano figure che evocano immagini e pratiche, raccontandone ragioni e destini, per pensare che partendo da lĂŹ è possibile mettere assieme, "6-??5 ) 6-??5 2) +1::@ 6-8.-::)

7 Tafuri, M., 85/-::5 - ;:561), Laterza, Bari 1977. 8 “Una cittĂ ideale, tuttavia, esiste sempre dentro o sotto la cittĂ reale, distinta da essa come il mondo del pensiero da quello dei fattiâ€? Argan, G. C., ":581) ,-22G)8:- +53- 9:581) ,1 +1::@, Editori Riuniti, Roma 1984. 9 Calvino, I., in Ibidem, p. 81.

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Marco d'Annuntiis, ,81):1+1::@ collĂ ge, 1994

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FATTI, SENZA INTERPRETAZIONI Giulia Menzietti

True-topia non esiste, eppure è lì, con una grandissima quantità di materiali in disuso, disponibili al riciclo; si tratta di un tassello di città costruito sull’artificio, in cui finzioni e dislocamenti restituiscono un falso assolutamente simile alla realtà. Il processo di trasposizione dal reale all’irreale avviene tramite l’identificazione, lo smontaggio e il montaggio di alcuni brani della città adriatica. Tali elementi sono stati individuati in base ad alcune aree tematiche (infrastruttura, residenza, produzione, commercio e turismo) che costruiscono una griglia strumentale a leggere e a descrivere il tessuto urbano. Alcune figure, riconducibili a tali categorie, identificano gli aspetti caratteristici di questa macro città costiera. Un lungo fascio infrastrutturale, costituito dalla ferrovia, dall’autostrada A14 e dalla Strada Statale Adriatica corre parallelo alla linea litoranea, penetrando anche nelle zone interne con strade ortogonali alla costa. Su tale spina dorsale si è poi sedimentata una trama pulviscolare di costruzioni che, nel proliferare di residenze, attività produttive e commerciali ha man mano generato una struttura urbana diffusa. Palazzine, case-bottega, villini, alberghi, torri residenziali restituiscono le modalità dell’abitare di questa porzione della città adria-

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tica, racchiusa tra gli assi viari e il margine del litorale e disponibile ad accogliere i ritmi alternati di impiego stagionale o intensivo. Capannoni e piccoli centri produttivi si sono inseriti a ridosso del fascio infrastrutturale, per poi generare consistenti insediamenti industriali, collocati tra la Statale e l’autostrada A14. La terziarizzazione dell’economia ha poi visto nascere diverse attività commerciali, che si sono spalmate nel territorio secondo logiche di diffusione scomposte, per poi addensarsi, negli ultimi anni, nei macro contenitori dei centri commerciali. Tali categorizzazioni, legate a delle logiche di sviluppo funzionali e tipologiche, consentono di identificare i morfemi con cui descrivere la città adriatica. Nel tassello ricostruito di True-topia, le condizioni di disuso e abbandono di questi pezzi di città rappresentano lo status attuale di buona parte del patrimonio costruito, quantitativamente iper-dimensionato, di fatto inutilizzato e disponibile al riciclo. I singoli frammenti di ogni categoria, una volta ricomposti in una visione simultanea, rivelano un’immagine complessiva della città adriatica, e della città contemporanea in generale, in cui i singoli oggetti diventano irriconoscibili, e la possibilità di scorgere un ordine e di identificare delle categorie si frantuma di fronte all’emergere della materia uniforme e omogenea. Il porto in disuso, le residenze incompiute, i capannoni abbandonati restituiscono lo stesso paesaggio: un’entità generica in cui l’assenza di utilizzo cancella ogni traccia riconducibile alle storie, alle dinamiche e alle logiche della costruzione, mentre i telai degli scheletri incompiuti mettono a nudo, con cruda evidenza, strutture e materiali costruttivi. Il montaggio di questi contenitori abbandonati non restituisce altro che materia allo stadio grezzo: una serie di resti indifferenti a qualsiasi tentativo di classificazione e disponibili ad essere nuovamente montati e plasmati. È con questo tipo di paesaggi che si confronta il re-cycle, che interviene sul costruito e si muove, necessariamente, all’interno di una cornice esistente, che limita i margini d’azione all’interno di ciò che già c’è. La crisi economica e le limitazioni di superfici disponibili circoscrivono questo tipo di interventi al campo della mera realtà. La necessità di rielaborare i materiali del presente per potersi proiettare nel futuro, e la relativa “prossimità”, in termini temporali e visivi, degli scenari a venire, inibiscono gli slanci verso rinnovati orizzonti, in una condizione di impatto continuo col reale. Se pur immerso nella materia delle cose, il re-cycle possiede allo stesso tempo una matrice astratta e immateriale, che emerge nel suo

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manifestarsi come categoria di pensiero, disponibile alla rielaborazione, anche virtuale, di resti e frammenti. Ne fa da prova la proposta di riciclare True-topia, un brano di città immaginario e nei fatti inesistente, che traduce la possibilità di usare il riciclo come un dispositivo concettuale piuttosto che come una strategia progettuale, a prescindere dal grado di realtà del contesto in cui si applica. Gli interventi di re-cycle recuperano materiali esistenti e depressi per poi restituirli mutati e in azione. L’impatto iniziale con la realtà si sostanzia in operazioni progettuali spesso assolutamente immateriali ed evanescenti: con gesti silenziosi e interventi minimi un’infrastruttura dismessa può trasformarsi in spazio per il turismo, o un capannone produttivo può divenire un centro commerciale. E spesso è proprio la migrazione da una categoria all’altra, o la mutazione del senso attribuito ad un contenitore rispetto alla sua struttura tipologia a fare da grimaldello per la riattivazione degli spazi, innescando nuovi usi e nuovi cicli di vita. Le stesse coordinate tematiche che erano state strumentali alla costruzione del tassello immaginario di True-topia vengono smaterializzate dal processo di riciclo, che come un grande stomaco fagocita sostanze di provenienze diverse, per poi masticare e omogeneizzare il tutto, trasformandolo in altro. Indifferente alla memoria, alle ragioni, alla scala e alla consistenza dei materiali, il re-cycle nega qualsiasi tipo di classificazione, mettendo in crisi gli strumenti tradizionali di lettura e interpretazione del tessuto urbano. Destinazioni d’uso, strutture tipologiche, formalismi e funzioni parlano di epoche e pratiche lontane, e sembrano progressivamente sfumare nelle tonalità grigie del cemento, delle lamiere, dei contenitori in disuso che si accumulano come oggetti indistinti. Le categorie tematiche, efficaci nel descrivere e smontare la città adriatica dei tempi ante-crisi, oggi svaniscono di fronte ad un processo di lettura e ri-elaborazione del mondo che lavora sostanzialmente sulla materia, sul dato reale, e che nel continuo confronto con l’esistente orienta lo sguardo ai fatti, più che alle interpretazioni della realtà.

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Questa seconda parte del libro raccoglie le riflessioni progettuali elaborate dalle Scuole partecipanti al workshop, elencate qui di seguito in base all'ordine attribuito ai temi sui quali hanno scelto di lavorare: 1. INFRASTRUTTURA -Università degli Studi "Mediterranea" di Reggio Calabria 2. PRODUZIONE -Politecnico di Milano -"Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria" Ascoli Piceno, UNICAM 3. COMMERCIO -Università degli Studi di Roma“La Sapienza” -"Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria" Ascoli Piceno, UNICAM 4. RESIDENZA 5. TURISMO -Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara -Università degli Studi di Genova 6. TRUE-TOPIA -Università IUAV di Venezia

Nella parte introduttiva ai progetti, i singoli casi studio vengono descritti nella loro situazione reale attraverso un breve testo, un'immagine fotografica e alcuni titoli di articoli di giornale; tali materiali rappresentano un piccolo estratto di tutte le informazioni raccolte nella fase istruttuoria del worhshop, distruibuite in rete attraverso una mappa interattiva.

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PROGETTI

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CASI STUDIO

La città adriatica offre interessanti spunti di riflessione a partire dall’innumerevole presenza di spazi sotto utilizzati o totalmente in disuso, ma anche di opere non finite che si manifestano come ingombranti scheletri in territori desolati. All’interno di questo contesto geografico, che offre una quantità diffusa e sovradimensionata di materiale architettonico urbano e paesaggistico potenzialmente “da riciclare”, emergono 5 principali categorie tematiche: A.1_ infrastrutturale, A.2_ produttiva, A.3_ commerciale, A.4_ residenziale, A.5_ turistica. Ad ognuna di queste categorie è stato associato un caso-studio, inteso come un elemento ideal- tipico estratto dal territorio adriatico, e ciascuno di essi è stato ricollocato in un contesto verosimile. Le cinque porzioni reali, diversamente situate e opportunamente dislocate su un supporto geografico di riferimento, definiscono un luogo di invenzione, una sorta di città adriatica analoga rappresentativa dei suoi caratteri reali. I casi-studio segnalati in questa mappa adriatica esprimono, in forma diversa, differenti problematicità: A.1_ porto inutilizzabile, A.2_ capannoni inusati, A.3_ centro commerciale sottoutilizzato, A.4_ residenze non finite, A.5_ complesso turistico abusato. I cinque tasselli inscritti nella mappa segnalano temi generali e offrono opportunità di riciclo architettonico e urbano richiamando altre costruzioni ed altri contesti, non solo adriatici.

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«Gli interventi sul litorale non sono di competenza del Comune –ha spiegato il sindaco Di Salvatore– bensì della Regione. Abbiamo fatto presente il problema dell’insabbiamento del porto già diverse volte ma al momento non abbiamo ancora ottenuto risposte certe sul da farsi». "Riviera Oggi” 06 aprile 2010

«Non c’è pace per l’approdo truentino, da anni vessato da una serie di problemi irrisolti che si sono acuiti col mancato dragaggio del fondali». “Riviera Oggi” 09 aprile 2009

«La questione dell’insabbiamento del porticciolo di Martinsicuro si ripropone costantemente ogni anno, per ovviare al problema sarebbero necessari interventi regolari di dragaggio dei fondali, che al momento però non sono effettuati». “Riviera Oggi” 26 luglio 2013

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INFRASTRUTTURA PORTO IN DISUSO Martinsicuro (TE)

Le infrastrutture portuali, specialmente se di medie e piccole dimensioni, sono tra quelle più soggette a fenomeni di rapido degrado e disuso lungo la costa adriatica. A causa dell’insabbiamento determinato dalle correnti marine, molto materiale sabbioso si accumula lungo le aree di approdo rendendo i porti inagibili alle imbarcazioni e costringendo i pescatori a spostarsi lungo la costa. Nel porto di Martinsicuro, in provincia di Teramo, la questione si ripropone costantemente ogni anno. Sarebbero necessari interventi regolari di dragaggio dei fondali, che tuttavia, seppure in parte sono stati effettuati, non sembrano economicamente sostenibili e, in ogni caso, non risolutori. A tutto questo si aggiunge il paradosso delle correnti marine che, lungo la costa adriatica, da una parte spostano sabbia accumulandola all’interno di alcune aree portuali, dall’altra provocano una forte erosione delle spiagge, con la conseguenza che ogni anno si riduce lo spazio disponibile alle attività turistiche riservate agli stabilimenti balneari. Per queste ragioni si configura una condizione critica di sistema, che obbliga un ripensamento della logica di intervento e di trasformazione della costa.

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«Nella regione Marche utti i principali settori manifatturieri hanno registrato una contrazione dell’attività produttiva: legno e mobile (-2,5%), calzature (-3,6%) tessile abbigliamento (-3,7%), alimentare (-1,7%), meccanica (-1,9%)». “Il Sole 24 ore” 6 aprile 2013

«Marche, chiuse 11000 imprese nel 2012. Scomparsi altri 3000 posti di lavoro». “Il Messaggero Marche” 11 Febbraio 2013

«4.827 aziende hanno chiuso i battenti; 3.373 le nuove iscrizioni alle Camere di commercio. 1.454 imprese e 16 aziende in meno dall’inizio dell’anno. Bruciati in 90 giorni quasi 5000 posti di lavoro». “ML, Mondo Lavoro” 30 aprile 2013


PRODUZIONE CAPANNONI INDUSTRIALI DISMESSI Monsampolo (AP)

Secondo i dati di Unioncamere, nel 2012, mentre in Italia il numero delle imprese è comunque aumentato (18.911 unità), nelle Marche le aziende registrate alle Camere di commercio sono diminuite in dodici mesi di 1.177 unità. Nel 2011 le imprese marchigiane erano aumentate di 100 unità. Insieme a Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, regioni con una forte e diffusa presenza di piccole e medie imprese, le Marche sono quelle che più hanno risentito della crisi per il crollo del mercato interno, solo parzialmente contenuto grazie alla buona domanda internazionale. Notevole calo delle imprese delle costruzioni (-584), ma anche delle aziende in agricoltura e nella pesca (-699). Pesante il bilancio del settore manifatturiero (-380) dove pesa soprattutto la riduzione delle imprese meccaniche (-115) e calzaturiere (-105). Particolarmente negativo il bilancio dell’artigianato che perde 533 aziende. Un saldo positivo si ha invece per i servizi e le attività professionali e per le attività di alloggio e ristorazione (+152). In questo quadro la tipologia edilizia del capannone industriale, che a lungo ha rappresentato l’identità spaziale comune a tutti i settori di questa economia produttiva, non può che essere inevitabilmente rimessa in discussione.

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«La superficie del complesso è grande 17000 metri quadrati e avrà un parcheggio di 4 ettari. Conterà al suo interno 100 negozi e darà lavoro a 400 persone». “Il Pescara” 30 gennaio 2011

«L’attesa è la morte dei progetti, dichiara Marco Esposito, l’ideatore del centro DO-IT, Design Outlet Italiano, meglio alzare le saracinesche che abbassarle». “Il Centro” 30 novembre 2012

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COMMERCIO CENTRO COMMERCIALE SOTTO UTILIZZATO Colonnella (TE)

Nel 2013 la crisi del settore commerciale appare inarrestabile. Nel sistema economico delle regioni adriatiche resiste il mercato estero, grazie all’export dei prodotti di punta (alimentari e calzature), e crolla quello interno in tutti settori. In questo quadro la crisi del centro commerciale è inevitabile. Le cronache raccontano che per battere il primo scontrino della giornata “bisogna aspettare le sei del pomeriggio”, e per fare affari occorre aspettare il sabato. Le gallerie commerciali si stanno spopolando, chiudono i punti di ristoro e i centri commerciali diventano una sorta di supermercati ampliati, in cui si va alla ricerca di prodotti a prezzi scontati. Gli stessi addetti ai lavori si esprimono già chiaramente: “Bisogna fare una riflessione: evidentemente questi format non danno più profitto”. Ma la crisi del centro commerciale è forse il dato più rilevante in un assetto urbano come quello della città adriatica. Se affrontata in termini radicali essa costringe a ripensare non soltanto la tipologia architettonica, ma l’intero sistema di funzionamento della città. Per questo i segnali di crisi di un centro commerciale come il DO-IT di Colonnella, ambizioso outlet del design italiano, di nuovissima apertura e già ampiamente sottoutilizzato, non possono essere trascurati.

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«Sulla costa teramana oltre 3000 case invendute. Nell’ultimo anno in provincia si sono fermate più di 100 imprese e 38 sono fallite. Bloccata anche la costruzione di appartamenti, il settore è in ginocchio». “Il Centro” 15 luglio 2013

«Tre anni di mercato in flessione hanno prodotto il dato allarmante di uno stock di “giacenze” che ha ampiamente superato i 100.000 alloggi e oggi si attesta intorno ai 120.000 appartamenti invenduti». “La Stampa” 25 gennaio 2015

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RESIDENZA CASE NON FINITE Tortoreto (TE)

A lungo l’edilizia è stata la colonna portante dell’economia della città adriatica. Nell’ultimo anno il crollo è stato vertiginoso, attestandosi intorno al 20% in una provincia, come quella di Teramo, seconda in Italia per numero di fallimenti sul totale delle imprese occupate in questo settore. La novità è il crollo dell’edilizia privata. Sulla costa teramana ci sono 3.200 nuovi appartamenti invenduti. La situazione della residenza nella città adriatica è significativa anche se confrontata con il dato nazionale, con circa 120.000 appartamenti invenduti (2011 Commissione Ambiente della Camera) con dati emersi dal mercato immobiliare tutti negativi: dal calo delle compravendite alla diminuzione dell’erogazione di mutui immobiliari, al peggioramento della qualità del credito erogato, al «preoccupante fenomeno di mancato accesso all’abitazione», all’aggravarsi del fenomeno degli sfratti, alla struttura rigida dei mercati immobiliari, sbilanciati verso la proprietà. La quota di case in affitto in Italia è infatti solo del 18,8% delle abitazioni totali e l’offerta di edilizia sociale è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei. Questi e altri aspetti evidenziano la necessità di un ripensamento radicale del patrimonio edilizio inutilizzato - e spesso nuovo- esistente.

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«Cinque colpi di pistola contro due tunisini a Lido Tre Archi ». http://www.newsmarche.it 05 giugno 2013

«“Non siamo tutti criminali”: la dura vita degli immigrati a Lido Tre Archi ». http://paolopaoletti.wordpress.com 8 febbraio 2009

«Cresce l’attività di numerose associazioni di volontariato in rete attorno al centro immigrati nel quartiere Lido Tre Archi ». http://www.informazione.tv 15 giugno 2013

«Lido tre archi: un inferno la gente ha paura, auto che bruciano, locali rapinati, sparatorie e risse ». “L’Indiscreto. Il quotidiano delle Marche” 07 giugno 2013


TURISMO VILLAGGIO TURISTICO AB-USATO Fermo

Sorto sul finire degli anni ’70, il complesso residenziale Lido Tre Archi di Fermo è un tipico esempio di speculazione edilizia, esito del boom economico dell’Italia tra gli anni ‘50 e ‘70. Il quartiere si configura originariamente come un luogo di vacanza, di seconde case a diretto contatto con il mare. La situazione è oggi cambiata: da luogo di residenze estive il complesso ha visto mutare la composizione sociale dei suoi utenti, passando dalla caratterizzazione famigliare all’attuale mescolanza multietnica di abitanti stanziali. L’obsolescenza delle strutture associata a fenomeni di devianza sociale hanno fatto sì che, nonostante la riqualificazione degli spazi pubblici, il quartiere sia oggi percepito come enclave di degrado e conflittualità. Il caso è rappresentativo di un fenomeno che sta interessando tutti gli insediamenti “storici” del litorale adriatico. Si tratta di un immenso patrimonio edilizio sorto negli ultimi decenni, con standard abitativi e tecnologici calibrati per un’utenza temporanea ed estiva, spesso in localizzazioni di pregio, che a causa delle mutate dinamiche del turismo ha perso la ragione iniziale ed ha subìto l’appropriazione, spesso illegale, di nuovi soggetti. Usi e vitalità diverse che tuttavia stentano a tradursi opportunamente in forme concrete riconoscibili.

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MICROFISICA DELLA CITTÀ STRADALE "(...) c'è una città mobile, incerta, transitoria. Invisibile come città. Una città che se la cercate non la trovate, perchè non si trova segnata su nessun atlante. Un posto che si può cogliere solo in movimento e raccontare solo in una descrizione in viaggio (...). In Calabria la strada è l'unica architrave del paesaggio moderno. Spiega il regno di un'umanità eterogenea, mescolata, disarmonica, sfusa e spesso imperscrutabile, sparpagliata, in uno sguardo superficiale può persino apparire normale". Mauro Francesco Minervino, Statale 18, Galleria Fandango

SUB-CYCLE LANDSCAPES Università Mediterranea, Architettura, Reggio Calabria Vittorio Amadio Gianni Celestini Vincenzo Gioffrè Claudio Marcianò Consuelo Nava Adriano Paolella Giuliana Quattrone Rita Simone

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SUB-CYCLE LANDSCAPES Antonia Di Lauro Vincenzo Gioffrè Elisabetta Nucera > Università Mediterranea, Architettura, Reggio Calabria, UNIRC

La città stradale Un rivenditore di materiali edili accanto un McDonald's, un concessionario di auto usate, un furgone scassato parcheggiato nella corsia laterale, un ombrellone e tre sedie in plastica, qualcuno vende qualcosa ma non è chiaro cosa. Orti ben coltivati, un gruppo informe di case disabitate non finite, spazi aridi. I ruderi di una masseria in pietra tra palazzine a colori sgargianti e balconi con paraboliche, subito dopo un capannone con la scritta gigante “spaccio alimentare”, più avanti un piccolo cartello tra i tanti: “centro medico elisir”, ancora su una palazzina a lettere cubitali “abiti da sposa”… un altro enorme rivenditore di macchine usate, una cava abbandonata, una fila di sacchetti sul ciglio della strada annunciano la presenza di un cumulo di spazzatura. Uno sprazzo di mare, serre semidistrutte, cinque ciclisti con turbante (???), un suv nero con vetri neri parcheggiato in modo piuttosto presuntuoso. Una sala ricevimenti con colonne greco-romane, paraste neoclassiche, archi in mattoni e terrazza piana con tondini di armature proiettate verso il cielo. Dopo pochi chilometri un grande ristorante con la statua della libertà in neon, un’Araucaria e tre Washingtonia segnalano la presenza di una elegante villa liberty che

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spicca, con discrezione, dal magma di case non finite che la circonda. Ma come si fa a raggiungere il mare? Adesso la ciminiera altissima di una fabbrica mai entrata in funzione, poco dopo i moli di un porto insabbiato. Ancora un distributore, certo, il distributore di carburante è il luogo più importante per sopravvivere in questo paesaggio. Si, decisamente è una città anomala. Piazze? Marciapiedi? Strade alberate? Niente di tutto questo! Solo un nastro stradale affollato di macchine e grumi informi di palazzine e capannoni ai margini! Un paesaggio sfilacciato, che perde di continuità, densità, e la vegetazione penetra negli spazi vuoti tra edifici, colonizza parcheggi e discariche, alvei di fiumi e fiumare. La città jonica o adriatica? Vera o verosimile? La trama connettiva del vuoto La città stradale dallo Jonio Calabrese fino all’Adriatico si legge per tasselli: infrastruttura, edilizia, turismo, commercio, produzione; un mosaico scomposto e disomogeneo nel quale gli spazi aperti sono più rilevanti dei volumi costruititi. È chiaro, non si può intervenire su tutto il costruito semiabitato, abbandonato o semidistrutto. Ovviamente non si può demolire tutto, le guerre agli ecomostri sono scarsamente efficaci, spesso condotte con criteri molto discutibili. È difficile pensare strategie in grado di incidere in maniera determinante nella qualità complessiva della città stradale a partire dalle case, capannoni e edifici commerciali, dove anarchia e autocostruzione prevalgono. Zonizzazioni e regole di piani regolatori, vincoli ambientali e paesaggistici, non sono serviti a contenere abusivismo e speculazione dei territori costieri. Ma anche se si riuscisse ad intervenire nel costruito, cosa si otterrebbe? Case meno sgraziate con una rinfrescata di colore? Si riuscirebbe ad intervenire con eleganti inserti di architetture contemporanee per rendere capannoni o villaggi turistici o semplici case, architetture più interessanti? In che percentuale? Quanto l’architettura di qualità di manufatti edilizi, oggi, riesce ad incidere nella città contemporanea? Quanto la pianificazione urbanistica riesce ad essere efficace, incisiva, determinante, oggi, nelle sorti della città contemporanea? Risposte non pervenute! Certo, paesaggio è di moda, ne parlano tutti. Molti architetti e urbanisti si sono convertiti al landscape urbanism, mentre si rinnova la formazione specifica di Architettura del Paesaggio secondo approcci che tengono assieme emergenze ambientali e aspetti sociali con ricerca figurativa e spaziale.

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Ma cosa rende il tema paesaggio di attualità? Paesaggio, inteso come sistema di relazione tra elementi antropici e naturali è una categoria interpretativa molto efficace, snella, dinamica, che consente di leggere, comprendere, commentare, il viaggio dalla Calabria alle Marche. Paesaggio da sfondo è oggetto, da argomento di contemplazione è fine. Paesaggio è anche soprattutto una categoria operativa con grandi potenzialità ed efficacia perché progetto multi-scalare, programmatico, condiviso, flessibile, temporale. Sub-ciclo strategico Intervenire negli spazi aperti, oggi, sembra molto più efficace che nel costruito; consente di coinvolgere comunità di abitanti in processi di riappropriazione di spazi pubblici abbandonati o degradati per creare nuovi luoghi e occasioni di socialità. Si risponde a frammentazione e discontinuità con sistemi reticolari di mobilità sostenibile; con la riattivazione di micro attività produttive di prossimità a scala locale; con programmi di attività esperibili dalle comunità che prevedono finalità didattiche e sociali in aree rurali/urbane. Una trama connettiva che si realizza a partire dai paesaggi dello scarto secondo un modello di “città debole e diffusa”, per usare le parole di Andrea Branzi, nella quale l’architettura si svuota di qualità figurativa per essere supporto ad un paesaggio funzionale, produttivo, che assume energia, con qualità immateriali mutevoli nel tempo. Gli edifici e le infrastrutture sono contenitori di attività e servizi collettivi, reti informatiche, sistemi di vendita e promozione di prodotti locali e globali, componentistica ambientale, informazioni commerciali e culturali, strutture percettive. Il caso studio è quello di due porti insabbiati di Saline Joniche in provincia di Reggio Calabria (città vera jonica) e Martinsicuro nell’Adriatico (città adriatica verosimile); due tasselli emblematici di infrastrutture costiere sbagliate, abbandonate, oggi dismesse. I due porti sono sottoposti ad un programma di sub-ciclo strategico che prevede una riduzione di intensità d’uso. Si ipotizzano azioni che non limitano il processo già in atto di rinaturalizzazione conseguente l’abbandono, ma al contrario lo incentivano e determinano, con interventi misurati che modificano le qualità ambientali in forma controllata e progressiva dei due siti. Il processo interpreta le qualità biologiche dei due porti che diventano così oasi ecologiche, riserve marine, nuovi paesaggi mutevoli abitati da nuove comunità multiculturali e multietniche.

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la cittĂ analoga Jonica "vera"

la cittĂ analoga Adriatica "verosimile"

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la trama connettiva del vuoto

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A CONDIZIONE CHE Strategie per il riciclo di spazi produttivi Politecnico di Milano Sara Impera Mauro Marinelli Cristiana Mattioli Giulia Setti Alisia Tognon con la guida di Chiara Merlini e Federico Zanfi


A CONDIZIONE CHE Chiara Merlini > Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano

Come in molte parti del paese, anche nella città adriatica i processi di modificazione del territorio attraversano una nuova fase. All’intensa crescita che ha dato luogo alla urbanizzazione costiera e alla progressiva occupazione dei fondovalle, si sostituisce una condizione in cui la ritrazione e il declino convivono con il perdurare di una occupazione del suolo. In questo quadro mutato e contradditorio lo spazio produttivo svolge un ruolo cruciale. Da un lato perché incorpora la storia lunga di questi territori, segnati sia dalla tradizionale ibridazione tra spazi dell’abitare e del lavoro sia dalla formazione di grandi aree di natura esogena. Dall’altro perché alla dismissione pulviscolare degli spazi più datati si accompagna, nelle fasi recenti, la realizzazione di edifici produttivi destinati spesso a rimanere inutilizzati. Proprio la rilevanza e la varietà che, oggi come in passato, assume lo spazio produttivo, richiede tuttavia di discretizzare i fenomeni più generali di contrazione. In tal senso l’esercizio svolto sulla Valle del Tronto si è articolato con una doppia mossa. Anzitutto si è cercato di riconoscere diverse situazioni che, in ragione dei caratteri dei manufatti e dei contesti di appartenenza, mostrano diverse disponibilità e resistenze al riuso e al riciclo.

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In secondo luogo si è riflettuto sulla variabilità dei fattori – spesso esterni al campo d’azione del progetto – che entrano in gioco, quali le effettive disponibilità di risorse economiche, di domande di trasformazione, di spazi disponibili, ecc.. Una condizione di incertezza rispetto cui il progetto può agire in due modi: aprendo a una varietà di usi molto diversificati, e stabilendo le condizioni alle quali tali modificazioni possano darsi, valutando le ricadute pubbliche di una azione che si dà sul manufatto ma che può e deve avere effetti più estesi. A partire da questi orientamenti, si sono isolate cinque situazioni tratteggiando per ciascuna una strategia progettuale. Una prima coppia di situazioni riguarda la tradizionale casa-capannone, spazio prototipico dello sviluppo economico locale e oggi spesso in condizioni critiche. In ragione della posizione le prospettive di modificazione sono diverse. Dove essa si trova, come una presenza sempre più incongrua, nel fondovalle agricolo o sulla collina è difficile immaginare un riuso. Più ragionevole pensare che il suo valore risieda nel solo volume, che può generare diritti edificatori in aree più accessibili e appetibili, a fronte dei quali innescare, sul lotto demolito e bonificato, una lenta rinaturalizzazione. Una strategia rispondente sia agli interessi del privato, sia del soggetto pubblico che potrebbe sgravare tratti più periferici delle reti tecnologiche e avviare azioni di risarcimento paesistico. Quando invece la casa-capannone è inglobata nei centri di fondovalle essa può ancora giocare un ruolo: se la casa può mostrare, alla prova dei passaggi generazionali e di nuovi formati abitativi, una maggiore criticità, lo spazio del lavoro è spesso dotato di una elasticità che può consentire nuovi usi. Demolita la porzione abitativa, il capannone può essere ripensato anche in virtù della buona accessibilità, della domanda di servizi locali, delle dotazioni tecnologiche esistenti. Condizioni vantaggiose per una modificazione che dovrebbe, in ogni caso, contribuire al rafforzamento dell’urbanità debole di questi abitati. Una seconda coppia di situazioni interessa i capannoni industriali di media dimensione, su un lotto dedicato. È ancora la localizzazione a fare la differenza. Un primo caso riguarda quei capannoni che si trovano nel territorio rurale, in una condizione critica sia per le sempre più evidenti frizioni con il paesaggio, sia perché tali localizzazioni sono sempre più inadatte a garantire quei requisiti di accessibilità e dotazioni che, in una fase di contrazione, incidono sul piano della competitività. Destinato al deperi-

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mento, il capannone dismesso potrebbe qui generare un trasferimento di volumetria da compensare attraverso la rimozione o demolizione selettiva del manufatto con l’eventuale riciclo di singole componenti, e con processi di ecogenesi del suolo. Qualora il capannone sia in un’area produttiva, il suo destino può essere differente. La migliore accessibilità, l’eventuale domanda di servizi alle imprese o alle persone, la tenuta di manufatti in declino ma non ancora fatiscenti, fanno propendere per una strategia che valorizzi queste sinergie. Tre aspetti diventano cruciali: incrementare la mixité, avviare azioni pubbliche sulle attrezzature stradali, legare gli interventi edilizi a migliorie, dentro e fuori il lotto, sul piano dell’efficienza energetica. Una combinazione di mosse per consolidare e rendere più urbani gli spazi del lavoro. Infine, un’ultima situazione riguarda edifici produttivi o per la logistica di grandi dimensioni, prossimi alla rete principale, di recente costruzione e talvolta mai utilizzati. L’infrastruttura che garantisce accessibilità e visibilità non sembra più sufficiente a qualificare spazi che, per contro, sono spesso spogli e inospitali. In una prospettiva trasformativa questi edifici potrebbero trarre vantaggio dalla formazione di “isole” produttive in cui articolare il mix funzionale e condividere la realizzazione e gestione di dotazioni tecnologiche e infrastrutturali, così come di alcuni elementi di disegno del paesaggio. Si tratta di un quadro appena abbozzato. Come ultima considerazione si può rimarcare la necessità di un atteggiamento che, costretto a fare i conti con condizioni che non consentono di riusare tutto ciò che ereditiamo, deve essere selettivo ma anche capace di visoni di insieme, affinché le scelte non si frammentino nell’episodicità e contingenza offerta dai singoli manufatti. Più natura là dove i processi di declino sono più avanzati e il paesaggio è più fragile, più urbanità là dove l’insediamento è più denso, anche se di modesta qualità, sembrano due prospettive di lavoro promettenti.

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Il tipo di manufatto e la sua collocazione consentono di isolare cinque diverse condizioni di spazio produttivo, a cui possono corrispondere cinque traiettorie di trasformazione: 1. la casa-capannone isolata in un contesto rurale; 2. la casa-capannone inserita in un tessuto urbanizzato; 3. il capannone industriale di media dimensione, isolato in una zona agricola; 4. il capannone industriale di media dimensione, inserito all'interno di un'area produttiva; 5. gli edifici industriali o logistici di grande dimensione vicini alla rete infrastrutturale principale.

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Per le tradizionali case-capannone che si incontrano oggi in situazioni critiche di sottoutilizzo, si aprono due prospettive differenti. Verso una maggiore naturalità e un alleggerimento delle reti infrastrutturali minori – demolizione totale dei manufatti, ri-naturalizzazione dei sedimi, trasferimento dei diritti edificatori incorporati – quando si trovano immerse nei territori agricoli di fondovalle o di prima collina. Verso una maggiore urbanità – demolizione parziale, modificazione e cambio d'uso degli spazi dei capannoni – quando si trovano inglobate nelle dense urbanizzazioni di fondovalle.

Demolizione totale, ri-naturalizzazione, trasferimento dei diritti volumetrici

Demolizione parziale, modificazione e cambio d'uso degli spazi dei capannoni

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Anche per i capannoni industriali di media dimensione, con lotto dedicato e struttura prefabbricata, fronte a una ritrazione degli usi si aprono analoghe prospettive. Verso l'ecogenesi e l'allegerimento delle infrastrutture minori – demolizione, reimpiego o riciclo delle singole componenti prefabbricate, trasferimento dei diritti volumetrici – quando isolati in contesti agricoli. Verso una maggiore urbanità degli spazi del lavoro – mixité degli usi, modificazione, efficienza energetica – quando inseriti in zone industriali.

Demolizione, riciclo delle componenti prefabbricate, trasferimento dei diritti volumetrici

Mix di usi, modificazione, efficienza energetica

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Per gli edifici produttivi o logistici di grandi dimensioni, prossimi alla rete infrastrutturale principale, si può immaginare una prospettiva di rafforzamento del carattere di “isole” produttive attraverso l'articolazione del mix funzionale, la condivisione di dotazioni tecnologiche ed elementi di disegno del paesaggio. Un'articolazione per “cittadelle” industriali che consenta di migliorare le dotazioni interne, ma anche – attraverso azioni di compensazione ambientale – di ritrovare più adeguate forme di contatto e relazione con il paesaggio.

Mix funzionale, condivisione di dotazioni tecnologiche, disegno del paesaggio

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re-RECYCLE Tecniche automatiche di alterazione del rapporto tra figura sfondo Università di Camerino Arianna Campanelli Eleonora Capriotti Giovanni Corbellini* Sandra Di Berardino Luca Di Lorenzo Dania Di Pietro Roberto Grascelli

* > Università di Trieste, Unità di ricerca della Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria, Ascoli Piceno

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re-RECYCLE * Giovanni Corbellini > Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria, Ascoli Piceno, UNICAM

Ogni processo di riciclo dipende dalla disponibilità di materiali rifiutati, dalla loro raccolta differenziata, da trattamenti e lavorazioni che li riportano a uno stato analogo alla materia prima, in modo da consentire una gamma di nuovi impieghi particolarmente ampia e virtualmente non predeterminata dalla vita precedente degli oggetti scartati. In altre parole, non è importante sapere se la plastica con cui è fatta una panchina proviene da bottiglie, imballaggi o paraurti di automobile, né se il materiale riciclato ha avuto una certa forma e destinazione, se è stato usato da qualcuno in qualche particolare modo e luogo. Il valore dell’operazione è infatti principalmente economico (il dispendio di energia e di lavoro è inferiore rispetto all’estrazione da materie grezze), in seconda battuta ambientale (per la riduzione delle esternalità complessive e la salvaguardia delle risorse naturali) ed eventualmente est/etico (quando una certa “ruvidezza” materiale, intrinseca al reimpiego, viene alla superficie degli oggetti riciclati e raggiunge una dimensione sensibile, comunicando che proprio di riciclo si tratta). Da questo punto di vista, la categorizzazione dei materiali urbani abbandonati o sottoutilizzati della città adriatica secondo gli ambiti tipologico-

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funzionali per i quali sono stati pensati pone una questione di fondo relativa all’idea stessa di riciclo nel progetto di architettura e ai processi, fisici e concettuali, che essa implica. Identificare come tali le infrastrutture, le speculazioni residenziali, le strutture per il turismo di massa, i contenitori industriali e commerciali resi vacanti dalla crisi significa proporre alla nostra riflessione progettuale oggetti che non sono “plastica”, ma ancora “bottiglie” o “paraurti”. Una interpretazione che, da un lato, riconosce lucidamente la resistenza di questa enorme massa di metri cubi (e, soprattutto, dell’altrettanto ingente quantità di denaro in essa congelata) a farsi svalutare più profondamente e proporsi come un vero rifiuto, ma è determinata dall’altro anche dalle consuetudini dello sguardo disciplinare, intrinsecamente programmato a individuare e rispettare le logiche progettuali interne agli oggetti edilizi e alle loro relazioni di insieme. Ci siamo quindi interrogati su alcuni “trattamenti” e “lavorazioni” in grado di rendere concettualmente disponibili questi materiali a una loro reinterpretazione progettuale, tanto più libera e indeterminata nelle possibilità future (al momento non prevedibili) quanto più slegata dalla loro storia precedente (che, al di là di ogni giudizio di valore, è comunque causa dell’abbandono in cui versano). Naturalmente senza la pretesa di inventare niente, ma cercando di individuare dentro e fuori dallo specifico architettonico dispositivi automatici di alterazione del rapporto figura/sfondo capaci di svincolare lo sguardo del progettista dall’inerzia delle configurazioni sulle quali è chiamato a intervenire e restituirle a uno stato manipolabile. Una operazione preliminare, ispirata agli 4)/8)33-9 /8)6017;-9 ,- 62)49 ,- <122-9 di Armelle Caron, indaga le potenzialità della catalogazione. La riorganizzazione dei pieni della città in elenchi organizzati scalarmente richiama procedure basilari del riciclo (i rifiuti da trattare devono essere vagliati, selezionati, stoccati...) e consente di gettare sugli stessi uno sguardo laterale. Applicata alla “città analoga adriatica”, la catalogazione mette in evidenza la sua assenza di densità e la dismisura degli elementi che la costituiscono. In confronto ai luoghi centrali esplorati da Caron emerge qui l’estrema variabilità dimensionale tra il minutissimo pulviscolo residenziale e gli enormi contenitori produttivi e commerciali. I materiali sottoposti a questa sorta di raccolta differenziata sono poi coinvolti in una operazione di stratificazione, derivata dal meccanismo di fogli trasparenti stocasticamente sovrapposti a rendere la partitura di 54:)4) 1= di John Cage un evento sempre diverso a ogni esecuzione. L’idea è provare a

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far reagire le modalità insediative degli altri quattro ambiti con il comparto produttivo che ci era stato assegnato, nell’ipotesi che quest’ultimo possa essere riconvertito, a seconda delle necessità che si presenteranno, in infrastruttura, residenza, turismo, commercio o in complesse aggregazioni multifunzionali. La stratificazione rivela inoltre possibili letture paradossali dell’organizzazione dei pieni e dei vuoti e ulteriori potenzialità di riciclo. La successiva operazione di morphing prende spunto dall’omonimo effetto di computer grafica (proposto tra i primi dal disneyano -);:> )4, :0- -)9:) e dalla sua capacità di esplorare la transizione dinamica fra stati differenti. Il riciclo si pone infatti come processo di continua trasformazione dei materiali disponibili, mai concluso in un assetto specifico. Quest’ultimo esperimento è stato condotto inserendo il comparto assegnato in tre differenti paesaggi ideali: il pieno ossessivo del )365 )8?15 di Piranesi, il poché della pianta di Roma del Nolli e l’ipernatura di Central Park. I “fotogrammi” in cui i capannoni adriatici si intersecano con questi paesaggi colgono possibili momenti di transizione del metabolismo urbano del riciclo, sia esso diretto verso la congestione edilizia, una forma di densificazione meno radicale o il confronto con il verde.

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a. CATALOGO

Armelle Caron, #5;: *1-4 8)4/A, Berlin, 2005 - 08

b. LAYERING

John Cage, 54:)4) 1=, 1958

c. MORPHING

George Waggner, #0- &52. )4, 1941

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85 a. CATALOGO


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+ turismo

+ residenza

+ commercio

+ infrastrutture

b. LAYERING


c. MORPHING TUTTO PIENO

Giovan Battista Piranesi, Il Campo Marzio dell’antica Roma, 1762

PIENO VUOTO

Giovan Battista Nolli, Nuova Topografia di Roma, 1748

TUTTO VUOTO

Frederick Law Olmsted, Central Park, 1856

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VILLA ADRIATICA UniversitĂ degli Studi di Roma "La Sapienza" Claudia Celsi Luca de Vitis Laura Fabriani Dina Nencini Giambattista Reale


VILLA ADRIATICA Dina Nencini, Giambattista Reale >Università degli Studi di Roma "La Sapienza"

Un’ipotesi per VILLADRIATICA. Damnatio memoriae Il paradosso messo in atto dagli ideatori di questo seminario, che adottando la figura della città analoga rossiana ne volgarizzano e strumentalizzano i significati, fa parte delle possibili ipotesi di ricerca e di invenzione su un territorio a loro più che noto e per il quale la dimensione del recycle assume ragioni significative. Se la città analoga rossiana è un montaggio di icone rese permanenti dal montaggio stesso, la città adriatica è montaggio reale di oggetti mutevoli non solo nella dimensione funzionale che li identifica. L’opposto dell’iconologia rossiana! Adottando l’ironia e accogliendo la provocazione abbiamo scelto di rinominare l’edificio e l’area da riciclare <122),81):1+): un manufatto che, isolato nel paesaggio adriatico, ne detiene i tratti salienti. Anche questa è un’iconografia … Ciò che noi scegliamo di riciclare è un’ampia area costruita e occupata da un edificio a corte destinato al commercio. Dopo aver ridefinito il sistema delle relazioni infrastrutturali abbiamo scelto di riciclare il vuoto, lo spazio interno della corte. E per rendere plausibile questa operazione abbiamo demolito in parte l’edificio e riutilizzato il materiale per realizzare una collina artificiale cava al centro, mantenendo la corte dell’edificio

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preesistente. Una damnatio memoriae postuma. Un divertissement che tuttavia vuole sollevare alcune questioni. La prima relativa al sistema di relazioni tra <122),81):1+) e il mare per le quali si prevede una nuova rete di mobilità alternativa. La seconda che riguarda la pratica di demolizione del costruito più che il suo riciclo in termini di riutilizzo, riuso, rigenerazione, etc. L’ironia che ci fa adottare terminologie non convenzionali punta l’indice su un problema effettivo e reale, quello dell’-919:-4:- 14;:12- e di cosa farne che, se demolirlo costa troppo, rende realisticamente impraticabile questa eventualità. È dunque necessario pensare al riciclo di un edificio perché eticamente giusto, economicamente congruo, politicamente corretto? O è possibile tentare di individuare altre vie … Dina Nencini

Procedure di riciclo architettonico urbano 1. >6-8 +>+2-. Infrastrutture/paesaggio. Il fosso e i suoi argini interpretati come parco sportivo e ambientale. Parco sportivo grazie a percorsi ciclopedonali e come linea d’acqua per sport acquatici (canoa, kayak) in stretta connessione con le attività previste nell’area del porto attualmente inutilizzato. Oggi il territorio non vive le sponde del fosso e concepirle come veicolo dei flussi urbani offre la possibilità di identificarlo. Si interviene sulle reti esistenti nell’ottica della sostenibilità energetica e si condensano sui margini aree per la coltivazione di biomasse per la fitodepurazione. I fasci infrastrutturali vengono concepiti come armatura della rete ambientale e le fasce di rispetto autostradale e ferroviario, parallele alla costa, generano una rete ecologica intrecciandosi con le trasversali delle linee d’acqua, che scandiscono ritmicamente la costa adriatica. 2. ";* +>+2-. Centro commerciale sottoutilizzato. L’edificio a monte, parzialmente demolito nella procedura di riciclo, è interpretato come centro a doppia valenza per: - attività sportive, attrezzato con pareti di arrampicata, palestre, aree di libero scambio, eventuali aree di servizio alle attività. - gestione e propagazione della “materia” ambientale da diffondere gradualmente nel sistema di aree da riciclare attraverso l’istituzione di un parco-vivaio. Il tutto in un’ottica di riutilizzo graduale e spontaneo. 3. $6 +>+2-. Il porto in disuso come parco acquatico e sportivo con attività a valenza ambientale. Il progetto di riciclo prevede di affiancare al parco

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acquatico sportivo coltivazioni idroponiche, acquacoltura e attività similari da definire in base alle reali vocazioni locali. Nuovi cicli innescati da nuove possibilità di accesso Il primo passo è stato quello di prefigurare una rete di relazioni in grado di modificare le potenzialità delle aree, in una strategia di riciclo dei manufatti che caratterizzano le porzioni territoriali, individuate come emblematiche della Città Adriatica. Troppo spesso le sorti dei progetti urbani sono legate alle inefficaci connessioni, reali e immateriali, o relazioni urbane che non sono in grado di assicurare il giusto grado di vitalità e adattività. Le reazioni virtuose tra le parti urbane assemblate in “True-Topia” vengono stimolate attraverso la prefigurazione di una rete di altre velocità (lente, pedonali, ciclabili, ecc.) che si radicano nel territorio innescando nuovi cicli nei margini infrastrutturali. Nuovi percorsi capovolgono i punti di vista e di accesso alla città, consentono un nuovo montaggio spaziale e temporale e danno la possibilità di attribuire un “uso minimo”(sub-cycle) a quella “materia di bordo” spesso in abbandono. La rete dell’altra mobilità riconfigura gli equilibri consentendo un nuovo un montaggio temporale dei rottami planimetrici trovati lungo la Città Adriatica. Vengono realizzati percorsi resi economicamente sostenibili dall’aumento di valore di elementi trascurati da tempo e rimessi in gioco. Una strategia della mescolanza moltiplica le possibilità di movimento e arricchisce le mappe mentali degli abitanti, dando senso e possibilità d’uso a parti del territorio che attualmente risultano nulle. Il progetto %122),81):1+) configura una rete infrastrutturale sostenibile definita 2:8) %-25+1:@: una mobilità dolce che fa riferimento ad una modalità di spostamento (in bici, su e-bike, a cavallo, in canoa, su mezzi elettrici personali e lungo percorsi pedonali) più lenta, meno isolata dal contesto. I percorsi lenti non necessitato di protezioni o separazione dal mondo, rendono semplice la sosta e lo scambio (saluti, dialoghi, sorrisi, compere) consentono di notare con attenzione l’intorno, di conoscerlo, di ricordarlo. su mezzi elettrici personali e lungo percorsi pedonali) più lenta, meno isolata dal contesto. I percorsi lenti non necessitato di protezioni o separazione dal mondo che attraversano, rendono semplice la sosta e lo scambio (saluti, dialoghi, sorrisi, compere) consentono di notare con attenzione l’intorno, di conoscerlo, di ricordarlo. Giambattista Reale

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Nuove relazioni. 1. I corsi d’acqua trasversali che scandiscono la costa 2. Le fasce della Città Adriatica 3. Il fosso e i suoi argini interpretati come parco a valenza sportiva, ambientale ed energetica 4. La nuova connettività

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Infrastrutture rigenerative 1. Prefigurazione delle relazioni virtuose tra le parti urbane assemblate in True-topia 2. Le linee di movimento 3. Sezione territoriale 4. I flussi di sostenibilitĂ da condensare lungo le infrastrutture

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Schemi planimetrici

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Viste dell’interno della corte

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DOIT

RIKREA of Italy

R-IK[R]EA Design and Quality R-IK[R]EA for Italy Università di Camerino Giacomo Barchiesi Federica De Carolis Nicolò De Vita Valerio Fantuzi Alessandro Gabbianelli Gianluca Lattanzi Ludovico Luciani Emanuele Marcotullio Caterina Mari Davide Olivieri Emmanuele Pedicone

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RACCONTI SEMISERI DI UN INTERVENTO DI RIATTIVAZIONE Alessandro Gabbianelli, Emanuele Marcotullio >Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria, Ascoli Piceno, UNICAM

Perché chiamare in ballo l’IKEA? Tutte le volte che vado all’IKEA mi diverto come un bambino. Non so bene da cosa dipenda, ma girovagare tra stanze arredate e cestoni pieni di complementi di arredo colorati ancora mi procura un puerile stato di eccitazione. Sarà forse l’idea di visitare un UFO giallo e blu o il poter camminare dentro dieci case diverse in un solo minuto, muoversi tra oggetti, quasi accatastati come nella mia stanza da bambino, farsi prendere dal frastuono di mille forme, colori e nomi improbabili, 122>, $,,-4, ")4,), #5.:5*5, "312)… Tutto stimola la mia voglia di immaginare storie e costruire situazioni, spazi e oggetti della quotidianità.Nel definire il progetto di riciclo del centro commerciale DO-IT, un grande edificio pensato come l’anti-IKEA del mobile “made in Italy” è stato necessario inventare una nuova storia, con tanto di manuale delle istruzioni. STEP 1: personaggi e intreccio. Appena ultimato, l’edificio è già orfano di utenti e di esercizi commerciali. È entrato in disuso (sic!) con la vernice ancora fresca. Gli spazi sono stati abbandonati prima che si potesse esercitare qualsiasi forma di seduzione del luogo. Per evitare un secondo abbandono, prima di ipotizzare qualsiasi

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azione architettonica è stato necessario immaginare i possibili utenti e gli operatori di settore, pensare alle loro esigenze e attività, ipotizzare dinamiche di appropriazione degli spazi e programmi sostenibili. L’idea di fare di DO-IT un centro d’eccellenza, la sede operativa del distretto culturale evoluto della Val Vibrata è sembrata la scelta migliore. In questo modo sarà possibile catalizzare in un punto nodale nella rete dei trasporti di True-topia le energie creative migliori del territorio, offrire spazi di laboratorio e servizio agli operatori delle filiere produttive più avanzate e dare la possibilità a start-up, spin-off, iniziative su programmi Horizon e Life di dispiegare il loro potenziale innovativo e proiettare gli outcomes nel circuito internazionale. STEP 2: trasformazioni degli spazi. L’ambiguità dell’impostazione architettonica originale non dà una mano all’appeal: l’edificio non è un grande contenitore che segnala la sua presenza nel paesaggio, non ha un’immagine sexy e immediatamente riconoscibile, si articola attraverso una teoria di negozi a un piano che costituiscono il recinto informe di una piattaforma sospesa su un parcheggio. Il centro commerciale offre di sé l’immagine di una cittadella inespugnabile, di un villaggio cintato con spazi pubblici interni non molto controllati. Bisogna aprire allora questo recinto attraverso demolizioni controllate, estendere la piattaforma pubblica fino a conquistare lo spazio della strada e stabilire nuove relazioni con gli altri edifici commerciali vicini. Occorre costruire un sistema unitario di spazi, spugnoso e aperto alla circolazione dei visitatori dove ogni singolo ufficio, negozio o laboratorio conservi la sua riconoscibilità e dichiari immediatamente la sua vocazione imprenditoriale. Occorre garantire il massimo carattere di flessibilità attraverso dispositivi architettonici che garantiscono la sostituzione immediata o il montaggio di spazi adiacenti. Tutto qui: ecco la storia di R-IK[R]EA, il nuovo parco dell’innovazione! Emanuele Marcotullio

PS. Se qualcuno me lo chiedesse, direi che R-IK[R]EA è un buon motivo per visitare uno dei luoghi più vitali di True-topia!

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V A

sopra: relazioni programmatiche sotto: relazioni fisiche

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in questa pagina:

network territoriale su programma funzionale nella pagina seguente:

schema della filiera produttiva

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Don’t you (forget about me) Stavo viaggiando lungo la A14 e attraversavo True-topia - un tempo chiamata Città Adriatica - per raggiungere il DO-IT. La radio trasmetteva un pezzo dei Simple Minds: 54G: >5; .58/-: )*5;: 3- del 1985. Mi sono tornati alla mente quegli anni, quando in estate si stava al mare per un mese intero. Il juke box sulla spiaggia suonava spesso quel brano mentre i ragazzi giocavano a flipper per tutto il pomeriggio. La costa adriatica, a metà degli anni ’80, era la principale meta di turismo per molti italiani e per qualche europeo. Gli abitanti dell’entroterra si trasferivano con tutta la famiglia nella seconda casa: la casa al mare; si trattava di una breve migrazione che aumentava in maniera considerevole la popolazione costiera riattivando una serie di servizi. Lungo la Città Adriatica non esistevano i centri commerciali, ma solo distretti industriali in corrispondenza dei principali fondovalle. Solo di recente, grazie al mio amico Antonio, urbanista giramondo, ho scoperto che il centro commerciale è un’invenzione dell’architetto viennese Victor Gruen (progettista del Southdale Mall co-

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struito a Edina in Minnesota nel 1956). Quali sono i processi mentali che inducono a pensare che un certo luogo (non-luogo) di consumo possa funzionare anche dopo sessant’anni a diecimila km di distanza in un territorio che nulla a ha che fare con il Minnesota? Coloro che hanno investito nel DO-IT avevano di sicuro una risposta plausibile, ma pare fosse sbagliata. Io credo che certi modelli vadano riletti e interpretati. Paola, tempo fa, da buona storica dell’architettura, mi fece notare come il centro commerciale non sia altro che una rivisitazione dei passages parigini. Comunque sia il DO-IT non ha mai aperto. Da centro commerciale fu trasformato in distretto culturale evoluto, da edificio per il consumo globalizzato fu riciclato in contenitore per l’artigianato made in Italy, da vetrina del prodotto seriale fu trasformato in laboratorio di prototipi. Per questo mi stavo recando al DO-IT. Dovevo arredare il nuovo bilocale di 37 mq con vista su Piazza del Popolo e volevo vedere i mobili progettati e costruiti da vecchi compagni dell’università diventati artigiani/designer. Quando arrivai Laura era già lì che mi aspettava. Stava seduta sotto il sole a consultare il suo smartphone alla ricerca dell’ultima e inutile app. Era bella. Capelli lunghi

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LAB.3

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UTURA

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% 0 IT

TO BRICO

SPIN OFF ATELIER LABORATORI

così neri e lucidi da non sembrare veri, ciglia lunghe, e qualcosa di malinconico nelle pupille di rara trasparenza. Iniziammo il nostro giro tra quegli spazi che erano stati concepiti come negozi, ma che erano stati trasformati in laboratori. Al loro interno viene praticato un artigianato colto che dialoga con la cultura, la storia, l’innovazione, il territorio. Lo spazio del DO-IT da enclave del consumo è stato trasformato in nodo di una rete globale all’interno della quale circolano idee, novità, ricerche e dove si ripudia l’omologazione. Don’t forget, il DO-IT ha aperto! Alessandro Gabbianelli

in questa pagina:

visualizzazione dello spazio pubblico nella pagina precedente:

azioni di progetto

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MULTI-CYCLE DESIGN FacoltĂ di Architettura di Pescara Massimo Angrilli Cinzia De Vincenziis Claudia Di Girolamo Francesco Garofalo Michele Manigrasso Mario Morrica Francesca Pignatelli

FacoltĂ di Architettura di Genova Sara Favargiotti Jeannette Sordi


DO IT DA COMPLESSO TURISTICO A CITTÀ. MULTI-CYCLE DESIGN A LIDO TRE ARCHI Massimo Angrilli >Facoltà di Architettura G.d'Annunzio, Pescara, UNIPE

Cicli di vita del modello turistico adriatico Tra Settecento e Ottocento si situa l’invenzione dei bagni di mare1, prima di allora il mare faceva paura, era un mondo in cui si avventuravano per necessità solo i naviganti e i pescatori. Le cronache dell’epoca registrano con stupore il caso di una signora irlandese che nel 1790 si era fermata a Rimini quindici giorni per bagnarsi nelle acque dell’Adriatico. Il progressivo successo del turismo balneare porta allo sfruttamento del mare e alla costruzione degli alberghi e case sulla costa: molte famiglie acquistano una seconda casa per le vacanze. Successivamente il mare diventa luogo di salute, le virtù dell’aria e del sole vengono fortemente propagandate dalla medicina per la popolazione italiana, all’epoca poco sana, affetta da rachitismo e da altre patologie che colpivano in modo particolare i bambini. In Italia cominciano a fiorire le colonie marine, che esploderanno soprattutto durante il fascismo, che coltivava un vero e proprio culto del corpo e della salute. Seguendo il successo delle colonie per l’elioterapia i bagni pubblici saranno presto edificati sulle spiagge cittadine, attrezzate con cabine, ombrelloni e ristoranti. Si sviluppa inoltre la cultura dei “Lungomare” e le città cominciano ad attrezzare le passeg-

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giate lungo la linea di costa, rendendo più attraenti per il turismo le città balneari. Si succedono così tre cicli di vita del turismo balneare: quello dei bagni di mare per le elite, che va dall’Ottocento ai primi del Novecento; quello salutistico che si afferma nei primi del Novecento e dura fino agli anni ottanta; quello di massa che dagli anni settanta in poi caratterizza la costa adriatica. Esaurimento del primo ciclo di vita. Da complesso turistico a “periferia balneare” Il modello del turismo di massa nella costa adriatica, seguito anche al boom economico ed edilizio, è incarnato dalla costruzione di una serie di grattacieli residenziali2, soprattutto sulla riviera romagnola, con diversi casi anche in quella marchigiana (tra i quali il grattacielo “piccolo” di Lido Tre Archi) ed anche dalla realizzazione di villaggi turistici. Il successo turistico contribuisce poi allo sviluppo di centri insediativi costieri che sorgono tipicamente come duplicati dei centri collinari di origine. Marina di Fermo, dove sorge il villaggio turistico Lido Tra Archi è uno di questi centri ed il toponimo stesso ne denuncia con evidenza l’origine balneare. Costruito negli anni ottanta il villaggio turistico Lido Tre Archi ha rapidamente esaurito il suo primo ciclo di vita3, quello di complesso turistico, ed è divenuto un rifugio per diseredati. Oggi è di fatto un quartiere dormitorio multietnico, con gravi problemi di criminalità che hanno conferito al luogo l’immagine dell'enclave malfamata, spesso presente sui quotidiani per fatti di cronaca nera. Se è vero, come scrisse Jane Jacobs, che alle ingiustizie sociali corrispondono sempre ingiustizie spaziali4 il progetto per il riciclo del “Complesso turistico abusato”, nell’ipotesi avanzata nel corso del workshop, prevede una serie di dispositivi spaziali pensati come congegni di innesco per processi di integrazione sociale, ed altri finalizzati a rimuovere i principali ostacoli alla evoluzione del quartiere verso una forma più matura di insediamento, quali ad esempio la monofunzionalità. Preparare al riciclo Con un approccio da bricoleur, attento alle potenzialità dell’esistente e disposto ad elaborare la soluzione adattandosi alla situazione che ci si trova di fronte, senza subordinarla all’applicazione di modelli precostituiti, il progetto prevede la ri-combinazione di alcuni materiali di Lido Tre

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Archi: lo spazio aperto, la spiaggia, la pista ciclabile, il fiume, la statale e naturalmente gli edifici del complesso residenziale. Per questi ultimi si prevede la trasformazione dei piani terra, prioritariamente di quelli che affacciano sulle vie pubbliche, per insediarvi attivitĂ commerciali e spazi di servizio sociale per la comunitĂ . Ciò allo scopo di favorire la mixitè funzionale, ingrediente fondamentale per scongiurare i fenomeni di segregazione spaziale. Lo spazio aperto interno al complesso, attualmente occupato dalle attrezzature sportive, è stato destinato a spazio verde, in continuitĂ con la pineta litoranea che si propone di impiantare sul fronte spiaggia, occupando anche alcuni spazi di parcheggio. Quest’ultima azione fa parte di una strategia che il progetto intende perseguire, quella del Multi Cycle Design. Con questa strategia si intende cioè “preparareâ€? il contesto per i futuri cicli di vita: tra trenta anni, quando sarĂ completamente esaurito il ciclo di vita del quartiere e quando l’obsolescenza degli edifici del complesso di Lido Tre Archi suggerirĂ la loro demolizione, la pineta litoranea sarĂ giunta allo stadio climax, costituendo per il contesto un capitale fisso sociale di rilevante importanza. Multi-cycle design/ innescare simultaneamente piĂš cicli di vita Il progetto propone di innescare nel contesto di Lido Tre Archi piĂš cicli di vita: un ciclo che guarda all’immediato futuro e pianifica l’evoluzione del complesso residenziale verso la forma del quartiere multifunzionale; un altro ciclo di vita che guarda ad un futuro piĂš lontano in cui l’insediamento costiero, alla luce delle dinamiche territoriali piĂš complessive della cittĂ adriatica, assumerĂ un profilo piĂš compiuto, nel quale la qualitĂ ambientale introdotta con la formazione della pineta litoranea giocherĂ un ruolo rilevante per la costruzione di un tessuto urbano di qualitĂ , che si sostituisca progressivamente al quartiere di Lido Tre Archi. Oggi, infatti, la cittĂ adriatica è una cittĂ adolescente, con forme e funzioni non del tutto giunte ad uno stadio di piena “urbanitĂ â€?; compito del progetto sarĂ allora quello di accompagnare, in questa fase di transizione, la crescita di Lido Tre Archi verso una forma piĂš matura di cittĂ . Corbin, A., 14<-4?154- ,-2 3)8- 5++1,-4:- - 12 .)9+145 ,-22) 961)//1) , Marsilio, Venezia 1990. Ne sono simbolo il grattacielo di Rimini, progettato nel 1958 sull’onda dell’entusiasmo per la costruzione a Milano del Pirellone, e i grattacieli di Milano Marittima (1956) e Cesenatico (1957). 3 Lido Tre Archi è un caso di speculazione edilizia: il villaggio turistico non è mai davvero partito ed alcuni edifici sono rimasti al rustico per vent’anni, per essere poi convertiti a funzioni residenziali. 4 Jacobs, J., %1:) - 358:- ,-22- /8)4,1 +1::@, Piccola biblioteca Einaudi, Milano 2009. 1

2

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1. ESAURIMENTO DEL PRIMO CICLO DI VITA

2013

1990

DA VILLAGGIO TURISTICO A "PERIFERIA BALNEARE"

1970

Produzione

Commercio

Residenza

turismo di massa

turismo della salute

Turismo

turismo balneare

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Infrastruttura

1950

Settecento nascita del turismo balneare

prima metà del Novecento turismo salutista

seconda metà del Novecento turismo di massa

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Milano Marittima Cesenatico

Rimini

2. CASI ANALOGHI DELLA CITTĂ€ ADRIATICA

Porto Recanati Porto Sant’Elpidio MARINA DI FERMO Porto S. Giorgio

Montesilvano

8)::)+1-25 )814-22), Milano Marittima

54,531415 )814-22) II, Cesenatico

1,5 #8- 8+01, Marina di Fermo

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700

Infrastruttura

Produzione

Commercio

Residenza

turismo di massa

turismo della salute

turismo balneare

Turismo

2013

3. PREPARARE AL RICICLO

1990

1970

1950

1920

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4. MULTI-CYCLE DESIGN. INNESCARE SIMULTANEAMENTE PIÙ CICLI DI VITA

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VERSO UN RICICLO Cinque punti IUAV Marco Ballarin Fernanda De Maio Alberto Ferlenga Antonella Indrigo Andrea Iorio Elisa Petriccioli Claudia Pirina

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RICICLO, ISTRUZIONI PER L’USO Fernanda De Maio, Andrea Iorio >IUAV

L’avvio di un ragionamento attorno al riciclo in architettura, tanto più nel momento in cui si intenda affrontare il tema a livello strategico, richiede necessariamente un’indagine esplorativa, utile ad approfondire e sottoporre a iniziale verifica le possibili questioni. A partire da alcuni interrogativi e osservazioni, la via percorsa è stata quella di porre una serie di ipotesi operative sotto forma di affermazioni, “cinque punti del riciclo”, la cui perentorietà, soltanto apparente, intende soprattutto costituire da stimolo a un loro approfondimento, o anche a una messa in discussione. Allo stesso tempo, operazione complementare è stata quella di provare a misurare effettivamente, sul territorio o attraverso il rapporto con casi consolidati, quanto di volta in volta fissato. Ciò, non tanto per un generico amore di concretezza – senza troppi problemi, infatti, la città tutta immaginaria di True-topia è stata assunta come fosse reale – quanto per volontà di far reagire ipotesi generali e complessità del reale, vero o verosimile che sia. Il riciclo interpreta il territorio Niente più del riciclo richiede un lavoro interpretativo sulle tracce, sugli

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elementi reali e concreti di un luogo. Il riciclo è contestuale e mai a-topico, si confronta con la densa stratificazione di segni depositati sul territorio e prova a dipanarne la trama, al fine di stabilire nuove configurazioni e nuove gerarchie. Il ragionamento è stato indirizzato ad una lettura ampia e inclusiva del contesto, al fine di individuare i segni territoriali prevalenti secondo gerarchia dimensionale, struttura e orditura, ma anche le relazioni tra gli insediamenti diffusi lungo il territorio costiero e le penetrazioni vallive all’interno dell’Appennino. L’intento è quello di provare a uscire da un discorso circoscritto al singolo manufatto e alle sue caratteristiche contingenti, in primo luogo quelle funzionali, per rivolgere lo sguardo alle relazioni che lo vedono collocato all’interno di un contesto più ampio. L’abbandono è una tecnica del riciclo Non tutto ciò che si deposita sul territorio è necessariamente da riciclare con un nuovo progetto. Se la diffusione sul territorio di manufatti dismessi o in previsione di abbandono è piuttosto consistente, d’altro lato non è ragionevole, né economicamente pensabile, che il riciclo venga avviato in

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automaticamente attraverso il riempimento con un nuovo contenuto funzionale. Qualcosa di ciò che è stato lasciato in stato di abbandono può, per le proprie caratteristiche o per il contesto in cui sorge, assumere lo status di rovina contemporanea. Nel caso di True-topia, il rilevato dell’autostrada adriatica, che individua il segno territoriale prevalente, ma anche un punto di vista privilegiato a grande scala sul territorio, assume il ruolo di elemento di discrimine tra ciò che si ricicla attraverso l’abbandono e ciò che si ricicla con un nuovo progetto. L’infrastruttura, supporto dorsale alla città costiera consolidata, assume anche il ruolo di suo bordo, di limite percettivo alla scala del territorio: l’insediamento pressoché continuo lungo costa sarà interessato da un futuro riutilizzo dei manufatti disponibili, come anche da un’eventuale densificazione; al contrario, i capannoni posti tra l’arteria autostradale e il paesaggio collinare marchigiano delle valli agricole interne, una volta dismessi, verranno lasciati diventare progressivamente rovine, permettendo alla vegetazione spontanea di aggredire e ricoprire i loro resti. La progettazione dei processi di riciclo, anche nella versione di un “abbandono attivo”, costituisce un'occasione per ridisegnare il territorio ad una grande scala.

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Il riciclo supera la funzione Nel riciclo ciascun manufatto o tessuto urbano è tanto più riciclabile quanto più il processo non si limita a sole considerazioni di ordine funzionale. La funzione, proprio in quanto espressione di una condizione contingente, non ha forza sufficiente a determinare la storia di un manufatto. Alle consegne del seminario, che proponevano una serie di casi esemplari distinti sulla base di categorie funzionali o tipologiche, si contrappone l’osservazione di come nella storia dell’architettura siano frequenti casi di manufatti che, venuta meno la loro funzione originaria, hanno efficientemente accolto altri usi. Se la questione non è il “cosa”, ma il “come”, il riciclo non ha a che vedere tanto con un interno da ri-riempire, quanto con un esterno da riconfigurare. Il riciclo passa per due punti L’ipotesi è che, nel definire una strategia di riciclo, il singolo manufatto sia secondario rispetto all’intervento sul suo contesto. Se consideriamo che un manufatto o una porzione di quartiere mantengono le funzioni origina-

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rie, la tecnica con cui intervenire è quella della correzione, della ricerca di relazioni potenziali tra i singoli pezzi da riciclare al fine di renderli necessari nel contesto in cui si collocano. A True-topia, nel ripensare ad alcune parti fondamentali della città, come il porto o il tessuto residenziale, è sembrato opportuno sovrapporre alla trama dei filamenti stradali paralleli alla costa un ordito costituito da alcuni spazi urbani a sviluppo trasversale: una passeggiata lungo il fiume, che tiene insieme l’accesso in città dall’uscita autostradale, alcuni edifici vuoti in centro e il porto; un viale alberato, che costruisce un legame tra il grande complesso ex-turistico rivolto alla spiaggia e la città che si sviluppa alle sue spalle. La tenuta di un territorio non si basa solo sulla dotazione di servizi o attrezzature, ma ha una componente fondamentale nella struttura dello spazio urbano. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si ricicla In architettura, come in natura, sappiamo che da sempre è così. In architettura, come in natura, sono le interazioni con l’ambiente a condizionare la trasformazione.

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il eta rpr nte lo i icic Il r

L’abbandono è

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In questa sezione sono raccolte alcune testimonianze delle tre mostre allestite durante il workshop True-topia nel chiostro della Scuola di Architettura di Ascoli Piceno: -SGUARDI, a cura di Mariano Andreani, raccoglie gli esiti del workshop 6WUDWHJLH GHOOR VJXDUGR 'DOO LQGDJLQH IRWRJUD¹FD DO IRWROLEUR, con Guido Guidi, Daniele Tonon, Mariano Andreani; -CONFRONTI, a cura di Luigi Coccia, Marco d'Annuntiis, Gabriele Mastrigli e Giulia Menzietti, ovvero il racconto delle aree e dei casi studio del workshop True-topia affidato agli scatti del fotografo Mariano Andreani; -VISIONI, a cura di Luigi Coccia e Marco d'Annuntiis, raccoglie alcuni lavori degli studenti dei seminari di tesi di Laurea Magistrale in Architettura, 1::@ ,81):1+) !1+1+2)91 e del Workshop di Laurea triennale in scienze dell’Architettura !1+1+2)91 +)6)44541

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MOSTRE

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" $ ! a cura di

Mariano Andreani Strategie dello sguardo. Dall'indagine fotografica al fotolibro workshop con

Guido Guidi Daniele Tonon Mariano Andreani

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! # a cura di

Luigi Coccia Marco d'Annuntiis Gabriele Mastrigli Giulia Menzietti con Luca Di Lorenzo Dania Di Pietro Alessandro Gabbianelli Emanuele Marcotullio Emmanuele Pedicone Arianna Campanelli Eleonora Capriotti Federica De Carolis Sandra Di Berardino Giada Giovagnoli Roberto Grascelli Ludovico Luciani Caterina Mari

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infrastruttura

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produzione

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commercio

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residenza

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turismo

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foto pp. 22, 26, 36, 40, 46, 52, 54, 56, 58, 60, 62, 122, 124, 125, 126, 127, 128, 130, 131, 132, 133, 134, 136, 140, 146, 156 ŠMariano Andreani.

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% " a cura di

Luigi Coccia Marco d'Annuntiis

Città Adriatica Riciclasi Seminario di Tesi di Laurea Magistrale in Architettura DOCENTI:

Luigi Coccia Marco d’Annuntiis

Riciclasi capannoni Workshop di Laurea Triennale in Scienze dell’Architettura DOCENTI:

Luigi Coccia Alessandro Gabbianelli

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CITTÀ ADRIATICA RICICLASI Marco d'Annuntiis

Il seminario di tesi +1::@ ),81):1+) 81+1+2)91 si interroga sui possibili destini dello stock edilizio inutilizzato dei territori urbanizzati del medio adriatico, nell’ipotesi che l’utopia del riciclo sia contenuta in questo territorio come virtualità e sostanza della sua evoluzione. Il problema della sovraproduzione che coinvolge l’intero territorio nazionale assume qui connotati specifici legati alla caratterizzazione dei beni da riciclare, spesso recenti e banali per localizzazione e forma, ed all’assenza di una prospettiva di sviluppo entro cui ricollocarli. Le indagini degli ultimi anni hanno constatato la rilevanza del fenomeno, divenuto ormai determinante nella configurazione degli assetti del territorio coinvolgendo manufatti ed usi: infrastrutture, attrezzature ed edifici ad uso produttivo, commerciale, direzionale, turistico e residenziale. Un problema esploso dal cortocircuito tra degenerazione dei meccanismi finanziari e crisi economica, destinato a condizionare sia le politiche di programmazione e gestione delle trasformazioni territoriali future, sia le strategie di intervento alla scala urbana ed architettonica. Le ricerche progettuali esplorano le possibilità formali offerte da strategie di programma innovative, legate a questioni oggi ineludibili che vanno dalla gestione dei rifiuti alla produzione di energia.

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RICICLASI CAPANNONI Luigi Coccia

Il workshop di laurea triennale 81+1+2)91 +)6)44541 ha posto l’attenzione su uno degli effetti della crisi economica che ha investito negli ultimi anni il nostro paese, ossia l'enorme quantità di spazi in disuso, sotto utilizzati o non finiti associati alla improduttività delle aziende nel territorio medio adriatico. A partire da una ricognizione condotta lungo le principali aree vallive, ambiti particolarmente coinvolti dal fenomeno, la ricerca ha fornito i primi indizi per una reinterpretazione dei siti improduttivi, in particolare dei capannoni all'interno di specifici contesti spaziali. Il programma di riconversione di queste aree improduttive ha sviluppato l’idea di “distretto culturale evoluto” proponendo azioni finalizzate alla valorizzazione delle risorse locali entro una nuova visione economica fondata sulla interazione tra lavoro e tempo libero. La ricerca progettuale ha messo a punto strategie di riciclo architettonico e urbano. I progetti sperimentano la progressiva “smaterializzazione” delle volumetrie originarie, ma anche lo “sconfinamento”, il superamento dei confini tracciati dai muri dei capannoni, dai recinti delle ex aree produttive, dalla zonizzazione industriale e puntano ad un “riequilibrio” dell'assetto fisico del territorio giungendo ad una possibile “rinaturalizzazione”.

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!-+>+2- *> !-+>2- 85/-::5 ,1 81+1+25 ,1 +)6)44541 14,;9:81)21 6-8 2) 8-)21??)?154- ,1 ;4 -+5<)25 81??):58- Sandra di Berardino, Roberto Grascelli, relatore: Marco d'Annuntiis, correlatore: Giulia Menzietti, SAD, 2014, pp. 142-143. !-+>+2- *> 4.8)9:8;+:;8- 85/-::5 ,1 81+1+25 ,1 ;4 );:5658:5 6-8 2) 8-)21??)?154- ,1 ;4 +-4:85 ,1 96-813-4:)?154- 9;22- -4-8/1- )2:-84):1<- Arianna Campanelli, Eleonora Capriotti, relatore: Marco d'Annuntiis, correlatore: Sara Cipolletti, SAD, 2014, pp. 144-145. !1+1+2)91 +)6)44541 " 85/-::5 ,1 ;4 +-4:85 ,1 96-813-4:)?154- *1525/1+) ) %122) " 4 :5415 Maria Di Donato, relatore: Luigi Coccia, correlatore: Alessandro Gabbianelli, SAD, 2013, pp. 148-149 !1+1+2)91 +)6)44541 ! % !$" 85/-::5 ,1 ;45 96)?15 6-8 2G)8:- +54:-3658)4-) ) "-88) " ;181+5 Francesco Perozzi, relatore: Luigi Coccia, correlatore: Alessandro Gabbianelli, SAD, 2013, pp. 150-151. !1+1+2)91 +)6)44541 5,-221 ,1 9:;,15. 1. Melissa Vagnoni, 2.Roberta D’Alessio, 3. Daniele De Angelis, 4. Serena Bracchini, 5. Fabio Tosti, 6. Francesco Perozzi, relatore: Luigi Coccia, correlatore: Alessandro Gabbianelli, SAD, 2013, p. 152.

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Queste pagine di chiusura raccolgono alcune riflessioni sul progetto contemporaneo e sulle possibilitĂ dello stesso di accogliere le richieste e le prospettive del Re-cycle.

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POSTFAZIONE

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SIAMO SOLO ARCHITETTI Giovanni Corbellini

Gran parte delle unità partecipanti al 85/8)33) ,1 81+-8+) ,1 14:-8-99- 4)?154)2- !- +>+2- :)2> hanno concentrato le loro argomentazioni sulla esigenza di indagare possibilità e strategie di reimmissione nel ciclo produttivo della crescente quantità di oggetti edilizi inutilizzati. Si tratta di intenzioni largamente condivisibili, quasi di buon senso, dalle quali parte anche questo seminario “True-topia”. La sua componente sperimentale, sia pure concentrata in un paio di mezze giornate di workshop, ha tuttavia contribuito a rivelarne alcuni aspetti problematici. Per quanto reso auspicabile e necessario dalla pura evidenza dei fatti, il riciclo architettonico e urbano, qui e ora, non è per niente agevole da mettere in pratica. Una prima motivazione è strettamente legata alla congiuntura economica. Le stesse ragioni che hanno reso vacante una così ingente massa edilizia tendono ovviamente a rallentare la sua riconversione. È evidente che in mancanza di una pressione finanziaria significativa vengono meno anche le ragioni a intervenire e gli stessi capitali in grado di sostenerle. A rendere ancora più difficili le cose è poi un effetto perverso della crisi per il quale, a fronte di un calo significativo delle compravendite, il valore del mattone non è sceso in proporzione: chi ha investito aspetta tempi migliori, soprat-

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tutto gli istituti di credito che hanno “in pancia” gli immobili invenduti, da loro stessi generosamente finanziati nel primo decennio degli anni 2000, e messi a bilancio come garanzia: se dovessero ora adeguare i valori al mercato reale rischierebbero il fallimento. Per lo stesso motivo, l’accesso ai mutui immobiliari è diventato sempre più impervio e la ridotta disponibilità di questo basilare strumento di finanziamento non aiuta a far incontrare una flebile domanda, orientata soprattutto alle abitazioni sociali e a basso costo, con una sovrabbondante offerta di uffici, spazi commerciali, capannoni, abitazioni di lusso o per turisti inutilizzati o addirittura abbandonati. Questi ultimi sono quindi confinati in una sorta di limbo commerciale in cui non sono né merce appetibile, con un valore di scambio commisurato al valore d’uso, né ancora “rifiuti”, dal valore tendente a zero. Al progetto viene quindi a mancare la spinta di un programma plausibile, capace di dare senso economico alle operazioni di riconversione, e al progetto di riciclo la materia prima, quegli scarti che, come tali, presentano alte possibilità trasformative. Quand’anche si riescano a immaginare strategie in grado di concretizzare una domanda di trasformazione adeguatamente sostenuta dalle relative risorse, emerge una ulteriore difficoltà legata all’inerzia del sistema complessivo della produzione edilizia, oggi polarizzato sulla conservazione dell’esistente da un lato e la produzione del nuovo dall’altro. Nel caso di edifici vincolati, la tutela ne riconosce il valore storico-architettonico e, con esso, il diritto-dovere a un recupero che, quanto più fedele all’originale, tanto più escluderà una ipotesi di riciclo. Viceversa, l’adeguamento di oggetti edilizi virtualmente trasformabili si deve confrontare con richieste prestazionali sempre più stringenti che rendono generalmente antieconomici riutilizzi anche parziali. Ad esempio, la sacrosanta estensione del rischio sismico all’intera penisola pone seri interrogativi sull’applicabilità nel nostro Paese di operazioni di retrofitting e ampliamento alla Lacaton & Vassal. Poco plausibile è pensare anche all’importazione di approcci come quelli proposti nella villa Welpeloo da 2012 Architekten, la cui struttura metallica è ottenuta dallo smontaggio di una macchina tessile: difficile che progettisti e altri tecnici coinvolti nel processo costruttivo si accollino la responsabilità di impiegare acciaio non certificato. E sarebbe facile continuare a presentare esempi di vincoli analoghi che, dal campo strutturale, si estendono ai più diversi requisiti energetici, distributivi, igienici, antincendio, di sicurezza ambientale ecc.

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Come si può vedere, si tratta di situazioni che collocano il progetto di architettura in una rete di limiti finanziari e restrizioni normative difficilmente modificabili dall’interno della disciplina e di una ricerca universitaria. Per quanto la nostra sia una professione che ci costringe sempre più spesso a costruire le condizioni per essere esercitata, siamo solo architetti. Siamo solo architetti anche per l’isolamento che ci impone il Prin, la cui impostazione settoriale limita le possibilità di integrare i molteplici saperi tecnico-scientifici (economici, sociali, legali, produttivi ecc.) necessari per affrontare la complessità del reale secondo una prospettiva di maggiore attendibilità. Tuttavia, l’emergere di queste contraddizioni può paradossalmente contribuire a rafforzare l’impianto della ricerca e a chiarirne gli obiettivi. Una prima conseguenza dovrebbe riguardare la delimitazione del campo, con uno spostamento del nostro sguardo dalla elaborazione di soluzioni alla formulazione di problemi o, in altre parole, dal terreno scivoloso delle applicazioni (sul quale la professione ha, in termini di concretezza, un vantaggio incolmabile rispetto all’accademia) ad ambiti maggiormente assimilabili alla ricerca di base o fondamentale. Ne deriverebbe una più specifica focalizzazione critica riguardo al ruolo del progetto nella congiuntura attuale e nei suoi possibili sviluppi, a sua volta capace di avviare una serie di sperimentazioni sugli strumenti del progetto piuttosto che degli stessi. Uno dei rischi maggiori di questa ricerca, cui nessuno di noi può dirsi immune, è infatti la tendenza ad applicare approcci disciplinari consolidati a una situazione che, palesemente, richiede una diversa attitudine. In questo senso, le proposte elaborate all’interno del seminario “Truetopia” e il dibattito che ne è seguito hanno cominciato a individuare alcune possibili questioni da approfondire. La prospettiva del riciclo assume ad esempio maggiore praticabilità all’interno di condizioni economiche differenti da quelle attuali. La mostra “Re-Cycle” del MAXXI aveva già evidenziato che il riciclo architettonico si verifica tendenzialmente per necessità economica, quando non si è abbastanza ricchi per permettersi il nuovo, o come conseguenza dell’assunzione di responsabilità etica, quando ce la si può permettere. In entrambi i casi, è evidente la necessità di riconsiderare vincoli normativi e requisiti funzionali. La simulazione progettuale può in questo caso valutare scenari in un senso o nell’altro, anche appoggiandosi a esperienze in atto. Penso, da un lato, al processo di revisione dei requisiti prestazionali tesa a facilitare azioni di recupero a Lisbona. O, dall’altro,

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alle iniziative di raccolta e catalogazione di materiali edilizi ed elementi architettonici provenienti da siti di demolizione, come nelle piattaforma belga opalis.be, promossa dai Rotor, la newyorkese Build it Green!, The ReUse People, sempre americana, le inglesi BioRegional e Salvo, la svizzera bauteilclick.ch e molte altre. Ampio spazio vi è poi per una riflessione interna alla disciplina. L’importazione del concetto di riciclo e delle sue procedure dentro il processo ideativo e produttivo dell’architettura determina effetti destabilizzanti. Essa implica infatti una mutazione del rapporto tra progetto e memoria sulla quale sono fondati ruolo e autocoscienza dell’architetto moderno, da Alberti a oggi. Le stesse difficoltà a vedere il patrimonio invenduto in termini di scarto che emergono dal punto di vista economico e normativo attraversano anche lo sguardo dei progettisti. Questi ultimi sono chiamati a sperimentare tecniche e dispositivi in grado di deviarne la visione, di superare le loro consuetudini culturali, rendendo disponibili i materiali da riciclare all’esplorazione di una gamma sempre più ampia di potenzialità. Altro terreno fondamentale, capace di restituire consistenza applicativa alla ricerca, è poi quello della comunicazione. Il riciclo ha gia dimostrato notevoli capacità di persuasione e di penetrazione sui media generalisti. La sua componente est/etica, il carattere di necessità immediatamente condivisibile, l’efficacia sorprendente delle soluzioni che vi si richiamano può aiutare il progetto architettonico a riguadagnare centralità, proponendosi come operatore credibile nella manipolazione dei molteplici scarti che ingombrano il paesaggio contemporaneo.

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Castello Franco, Paros, XIII sec.

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Finito di stampare nel mese di settembre del 2014 dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice int.le S.r.l. » di Roma



Questo volume raccoglie gli esiti del workshop di progettazione True-topia. Città adriatica riciclasi che si è svolto nelle giornate dell’11 e del 12 ottobre 2013 presso la “Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria” di Ascoli Piceno, organizzato dall’Unità di Camerino all’interno della ricerca triennale PRIN Re-cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio (2013-2016). Nella prima parte del libro i testi dei curatori disegnano la cornice di pensiero entro cui si colloca l’operazione True-topia: un invito rivolto alle Scuole d’Architettura d’Italia a confrontarsi con il riciclo di un frammento urbano inesistente, del tutto immaginario. Nella seconda parte vengono raccolte le proposte elaborate dalle otto Scuole che hanno partecipato al workshop, ciascuna delle quali concentrata su un caso studio specifico della città di pura invenzione. Una sezione del volume è dedicata alle tre mostre allestite durante il workshop ad Ascoli Piceno, nelle quali le riflessioni sulla città adriatica, poi maturate nell’elaborazione di True-topia, sono restituite attraverso lo strumento della fotografia e della ricerca progettuale. La postfazione chiude il testo con alcuni spunti di riflessione emersi nelle due giornate ascolane, e apre al ragionamento su alcune questioni cruciali nel ripensamento della disciplina progettuale.

ISBN

euro 20,00

978-88-548-7535-7


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