Marzenego Fiume Metropolitano

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Questo libro si interroga su nuovi cicli di vita per il territorio metropolitano di Venezia e raccoglie gli esiti di numerose attività di ricerca e didattica che hanno coinvolto studenti, laureandi, ricercatori e partner locali. Esplora strategie di riciclo a ridosso delle condizioni insediative, ambientali e idrauliche di un territorio fragile e le sperimenta all’interno di un Contratto di fiume. Il bacino idrografico del Marzenego costituisce il terreno di prova di queste riflessioni. Per la varietà di situazioni insediative e ambientali che attraversa, per la continuità ecologica e relazionale che garantisce a questi territori abitati, definiamo il Marzenego fiume metropolitano: dal centro di una città media come Mestre, alla sua periferia, fino al reticolo dei centri medio-piccoli e alla dispersione della centuriazione romana; dai lacerti di campagna compressi tra gli insediamenti urbani di cui costituisce la spina centrale, fino ai più ampi spazi della campagna urbanizzata, dove emergono alcune significative riserve di naturalità. Le strategie di riciclo sperimentate fanno i conti con la necessità di restituire al territorio indagato la specifica complessità e articolazione che lo dovrebbe caratterizzare, attraverso azioni mirate ad una maggiore integrazione tra gli spazi dell’agricoltura (trama agricola), la funzionalità della rete delle acque (trama idraulica) e le pratiche d’uso degli spazi aperti collettivi (trama pubblica). Nell’ipotesi che una rinnovata collaborazione tra queste diverse trame possa contribuire alla messa a punto di immagini e strumenti di rigenerazione territoriale per i contesti di dispersione insediativa. isbn

978-88-548-9617-8

Aracne

euro 21,00

Marzenego fiume metropolitano

Marzenego fiume metropolitano è il trentesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione.

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MARZENEGO FIUME METROPOLITANO SCENARI DI RICICLO PER I TERRITORI DELLA DISPERSIONE INSEDIATIVA

A CURA DI CRISTINA RENZONI MARIA CHIARA TOSI CONTRIBUTI DI CARLO BENDORICCHIO ANDREA BORTOLOTTI CLAUDIA FARAONE VIVIANA FERRARIO GIANCARLO GUSMAROLI STORIAMESTRE

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXVI Gioacchino Onorati editore S.r.l. unipersonale www.aracneeditrice.it info@gioacchinoonoratieditore.it via Sotto le Mura, 54 00020 Canterano (RM) (06) 93781065 ISBN 978–88–548–9617–8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: Settembre 2016


PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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INDICE

INTRODUZIONE Marzenego fiume metropolitano Maria Chiara Tosi

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Racconto fotografico Dalla parte dell'acqua

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GEOGRAFIE Agropolitana. Un Paesaggio agrourbano multifunzionale Viviana Ferrario

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Esplorazioni 1 Trama agraria

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Acque. Al di la del rischio idraulico Andrea Bortolotti (Latitude)

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Esplorazioni 2 Trama idraulica Beni comuni. Un reticolo di luoghi e soggetti Cristina Renzoni

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Esplorazioni 3 Trama pubblica Racconto fotografico Tracciati e orizzonti

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ESPERIENZE Territori contrattualizzati Claudia Faraone

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Il contratto di fiume Marzenego: premesse e obiettivi Carlo Bendoricchio, Giancarlo Gusmaroli

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Associazioni e territorio. Dinamiche di un processo democratico Maria Giovanna Lazzarin, Giorgio Sarto, Mario Tonello (StoriAmestre)

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CONCLUSIONI Ricapitalizzazioni: scenari di riciclo Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi

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PREMESSA

In questo libro convergono gli esiti di numerose attività di ricerca e didattica che si sono concentrate nell’area metropolitana veneziana sul territorio del fiume Marzenego e che si sono svolte all’interno di una doppia cornice: il Prin Re-cycle Italy e il Contratto di Fiume Marzenego. La ricerca Prin ha funzionato come una sorta di attivatore dell'interesse nei confronti di un tema e di un ambito specifici: la prefigurazione di scenari di riciclo per il territorio. Nei tre anni di durata del Prin abbiamo cercato di indirizzare e finalizzare gli sforzi verso questo obiettivo: corsi universitari, workshop di progettazione, mostre, assegni di ricerca, tesi di laurea, partecipazione a convegni e tavole rotonde. Nel loro insieme tutte queste occasioni hanno contribuito a far maturare e precisare il nostro lavoro, coinvolgendo studenti, laureandi, ricercatori e partner locali. A loro va il nostro ringraziamento per aver continuamente alimentato e sollecitato l’esplorazione di questo territorio e la discussione sui suoi futuri nell’integrazione sistemi insediativi, acqua e agricoltura. Claudia Faraone ha seguito con continuità una parte considerevole di questo percorso, sia attraverso la ricerca condotta nell’ambito di un assegno di ricerca FSE, sia attraverso il prezioso lavoro di collaborazione alla didattica condiviso con Luca Nicoletto, Michela Pace, Marco Paronuzzi e Anna Venerus. Il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive e in particolare il suo direttore tecnico Carlo Bendoricchio ci ha accolti nel

processo partecipato del Contratto di fiume ponendoci in contatto con le amministrazioni locali, i rappresentanti di categoria, le associazioni di cittadini e la società locale: dal confronto con tutti questi soggetti, con gli organi del Consorzio e la segreteria tecnica del Contratto di fiume sono derivati nuovi sguardi e temi di discussione che hanno orientato l’attenzione e sollevato nuovi interrogativi. L’esperienza di Giancarlo Gusmaroli, della segreteria tecnica del Contratto di fiume, ha affiancato con entusiasmo e chiarezza lo sforzo di avvicinamento tra didattica e territorio. Il libro è organizzato in due parti principali: la prima, geografie, cerca di definire le strategie necessarie per lavorare con il paesaggio agricolo, con il rischio idraulico e con il patrimonio di beni comuni; la seconda, esperienze, discute più approfonditamente del contratto di fiume. Distribuiti tra i capitoli si situano due saggi fotografici volti a descrivere il paesaggio del Marzenego e tre sequenze di esplorazioni progettuali dedicate rispettivamente alla trama agraria, alla trama idraulica e alla trama pubblica. L’introduzione si interroga sulle strategie necessarie per inserire il territorio della dispersione insediativa entro nuovi cicli di vita, mentre le conclusioni avanzano alcune ipotesi relativamente a come i contratti di fiume possano rappresentare un’occasione significativa per rafforzare l’integrazione tra saperi, competenze e pratiche, oltre che per riflettere su un futuro sostenibile e resiliente per la città diffusa. CR, MCT

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INTRODUZIONE

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MARZENEGO FIUME METROPOLITANO Maria Chiara Tosi

Questo libro si interroga su possibili nuovi cicli di vita per il territorio metropolitano di Venezia. Esplora strategie di riciclo a ridosso delle condizioni insediative, ambientali e idrauliche di un territorio alquanto fragile e le sperimenta all’interno di un Contratto di fiume, ossia un percorso decisionale partecipato, basato sulla costruzione di un linguaggio comune, sull’ascolto delle istanze, sulla valutazione delle proposte e sulla condivisione degli impegni da parte di un vasto network di soggetti interessati allo sviluppo locale. Il fiume Marzenego costituisce il terreno di prova di queste riflessioni. Attraversando il territorio metropolitano di Venezia, il fiume Marzenego incrocia situazioni insediative e ambientali diverse: dal centro di una città media come Mestre alla sua periferia che allo stesso tempo configura i primi insediamenti lineari della città diffusa, fino al reticolo dei centri medio-piccoli e alla dispersione del reticolato romano. Allo stesso tempo il Marzenego attraversa i lacerti di campagna compressi tra gli insediamenti urbani dei quali ne costituisce la spina centrale, fino ai più ampi spazi della campagna urbanizzata, dove le principali riserve di naturalità assumono un ruolo importante.

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Per la varietà di situazioni e ambienti attraversati e per il ruolo che ha saputo mantenere come uno tra i pochi elementi di continuità insediativa, ambientale e relazionale, il fiume Marzenego assume in questo contesto un carattere metropolitano. Le strategie di riciclo sperimentate in questo territorio fanno i conti con la necessità di restituire una maggiore integrazione tra gli spazi agricoli, la funzionalità della trama idraulica e le pratiche d’uso degli spazi aperti collettivi, sia negli insediamenti sia nello spazio non costruito. L’ipotesi di fondo che sorregge tali sperimentazioni è che attraverso una integrazione rinnovata tra le diverse trame, il territorio metropolitano possa essere indirizzato verso una sua ricapitalizzazione, contrastando l’insieme di disequilibri che lo connotano: elevati costi individuali e collettivi della mobilità, bassa efficienza energetica dei processi sociali ed economici, insufficiente offerta di spazi pubblici per la socializzazione e la ricreazione, bassa qualità della scena urbana e condizioni igienico sanitarie inferiori agli standard (Calafati 2009). Oltre a questi caratteri, sul fronte ambientale è da sottolineare anche un insufficiente equilibrio idraulico, l’assenza di continuità ecologica e la progressiva erosione del paesaggio agricolo. Il Contratto di fiume è l’ambito entro il quale sono state testate le riflessioni e le ipotesi maturate nel corso della ricerca, attraverso un confronto continuo con associazioni, amministrazioni, istituzioni culturali e organismi tecnici. Questa condizione di lavoro ha fatto si che le rappresentazioni, le interpretazioni e le proposte progettuali elaborate, quand’anche hanno cercato di fornire risposte a temi specifici, sono sempre state collocate all’interno di cornici di senso più generali. Territori abitati: tra spazio e società Il territorio metropolitano veneziano, caratterizzato da importanti processi di dispersione insediativa, introduce questioni solo parzialmente sovrapponibili a quelle poste da contesti a più forte metropolizzazione, come lo sono i casi del territorio romano, napoletano, torinese e finanche quello milanese. La trama di strade, case e capannoni, eredità della crescita tumultuosa che ha investito gran parte del nord est del nostro paese dopo gli anni ’60, dissipando importanti risorse territoriali e ambientali, è stata coinvolta nei decenni più recenti da fenomeni di più forte polarizzazione di infrastrutture, servizi e attività commerciali, attraverso i quali si è ri-

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disegnato il rapporto con il territorio agricolo, che nel frattempo è stato catturato da una metamorfosi di grande portata (Lanzani, Pasqui 2011). Nel suo insieme questa "rivoluzione territoriale" (Calafati 2009) ci ha restituito un territorio che oggi pone con sempre maggiore urgenza alcune richieste. La tutela delle risorse idriche attraverso una gestione capace anche di monitorare e ridurre il rischio idrogeologico, il contenimento dell’erosione di suolo agricolo e la sua progressiva impermeabilizzazione, infine, il miglioramento dell’abitabilità degli insediamenti, sono solo le istanze più rilevanti. Inoltre, i processi di valorizzazione economica promossi dai diversi attori che intervengono sul territorio, solo di rado orientati a migliorare le performaces abitative e il benessere delle popolazioni insediate, hanno trovato le condizioni per la loro affermazione nella progressiva perdita di forza dell’intervento pubblico e nel crescente indebolimento del ruolo svolto dalle istituzioni locali e centrali preposte al governo del territorio. A fronte di questa situazione la società insediata ha reagito attraverso azioni di resistenza e autorganizzazione, dispiegando pratiche collettive di ri-attribuzione di senso a spazi in disuso con l’obiettivo di intensificare il capitale spaziale depositato e di ricapitalizzare il territorio rafforzandone indirettamente la struttura democratica di governance. E’ stato attivato un importante capitale sociale, cioè un insieme di beni intangibili che hanno un valore intenso nella vita quotidiana delle persone come, ad esempio, l’appartenenza ad organizzazioni, la solidarietà e i rapporti sociali tra individui e famiglie che compongono un’unità sociale, la partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento. Grazie a queste azioni sono stati rimessi a valore territori precedentemente abbandonati, luoghi in disuso, ma anche tutte quelle parti del territorio che a causa di una eccessiva specializzazione delle funzioni, nel tempo sono state estromesse dall’uso collettivo, come, ad esempio, gran parte del territorio agricolo, spazio sempre più esclusivamente produttivo e sempre meno paesaggio culturale. Si tratta degli argini dei fiumi che diventano lunghe palestre all’aperto, delle cave in disuso che si trasformano in parchi naturali, delle attrezzature abbandonate riportate ad un uso collettivo, ma ancora delle strade agricole trasformate in segmenti di itinerari ciclabili più lunghi, delle sorgenti e i corsi dei fiumi utilizzate come piscine naturali, delle foreste, gli ex forti militari e molti altri spazi naturali tramutati negli anni recenti

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il territorio del Marzenego: morfologia e idrografia

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in palcoscenici dell’interazione sociale: nei confronti di tutti questi spazi sono state attivate azioni di grande rilevanza perché oltre a incidere direttamente sulla vita quotidiana delle persone, hanno la capacità di innescare la rigenerazione di porzioni più ampie di territorio, pur operando in modo puntuale e selettivo. Di fatto l’emergere di queste pratiche spontanee, l’affiorare dell’insieme di azioni collettive e di mobilitazione locale di uso, riuso e riciclo dell’ambiente e del territorio (Vitale 2007), finalizzate al miglioramento delle condizioni di vita quotidiana, costituisce un elemento imprescindibile nell’esplorazione di visioni per il futuro. Anche in funzione del fatto che efficacia e credibilità dell’azione pubblica nei processi di trasformazione territoriale sono spesso legate a concreti segnali di cambiamento di natura fisica, che risultano riconoscibili, comprensibili e valutabili dalle popolazioni insediate, proprio perché capaci di incidere direttamente sulla quotidianità. Va considerato che ci stiamo confrontando con popolazioni che abitano un territorio metropolitano composto di città medio-piccole, una dimensione assai rilevante e frequente per il territorio europeo, in cui nonostante l’eccesso di individualismo manifestato in molte occasioni, le popolazioni insediate si mostrano oggi sempre più attive e impegnate sul fronte dell’attribuzione di nuovi significati e ruoli collettivi agli spazi aperti ed alle attrezzature, attraverso processi di appropriazione che tendono a non escludere altri soggetti, a non isolare e rinchiudere gli spazi in nuove arene comunitarie. Risulta del tutto evidente che i processi di risignificazione di cui stiamo parlando si sono appoggiati su un palinsesto fatto di razionalità minimali, di attente pratiche collettive di uso e riuso del territorio, ma anche su estesi, diffusi, sottoutilizzati e per questo sempre più problematici patrimoni di beni pubblici. Malgrado ciò, sono proprio questi processi a cercare di ricreare, o talvolta definire ex novo situazioni di pubblicness, ampliando l’accessibilità e il diritto di presenza per un numero sempre più ampio di soggetti (Ostanel, Cancellieri 2014). Tra protagonismo sociale e nuovi patti, il ruolo del contratto di fiume I fenomeni sopra descritti si svolgono in un territorio che continua ad essere conteso tra saperi, poteri e competenze e dove i soggetti della disputa tendono a muoversi perseguendo strategie di trasformazione non sempre coincidenti, anzi assai spesso in competizione tra loro. Allo stesso tempo però, il territorio costituisce il campo di sperimentazione di nuove

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il territorio del Marzenego: reti della mobilitĂ (dall'alto: ferrovia, viabilitĂ principale, trasporto pubblico su gomma, percorsi ciclopedonali segnalati, layer complessivi della mobilitĂ e della morfologia del costruito)

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forme di convivenza e coesistenza, di ripetuti tentativi di raggiungere accordi attraverso cui comporre una pluralità di istanze entro visioni unitarie e integrate. In particolare, un sempre più forte e frequente ricorso a patti e contratti sta facendo emergere una nuova stagione di atti volontari e/o istituzionali attraverso i quali si cerca di regolamentare l’impegno condiviso da parte di soggetti sia pubblici che privati nei confronti di modalità inedite di riqualificazione e rigenerazione del territorio. Ciò ha portato la famiglia dei contratti pubblici a dilatarsi progressivamente. Dagli accordi di programma, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere, di fiume, di foce, ai protocolli e alle convenzioni, le politiche pubbliche risultano sempre meno decise in modo unilaterale e da un’unica autorità e sempre più esito di un consenso formalizzato (Bobbio 2006). Di fatto, l’efficacia di questi strumenti deriva dall’ampio coinvolgimento di attori che guardano dentro o attorno agli oggetti di cui si occupano (Bobbio, Saroglia 2008) e dagli impegni che i diversi soggetti si assumono in modo volontario ed esplicito attraverso una sottoscrizione pubblica, ma anche dal fatto che essi rappresentano una risposta alla crescente frammentazione delle istituzioni e all’incertezza che circonda i contenuti delle politiche pubbliche (Bobbio 2006). In particolare è la gestione dell’ambiente a essersi rivolta sempre più a modelli che assumono forme complesse di condivisione e co-produzione nella generazione di beni e servizi. Di fronte a problemi difficili da trattare come la gestione di situazioni ambientali complesse dove gli interessi e la competizione tra usi e funzioni è assai forte, il confronto di punti di vista, esperienze e saperi diventa una strada più facilmente percorribile. Se attraverso questo modo di affrontare i problemi non si riesce a raggiungere soluzioni definitive, almeno si riesce a raggiungere due risultati significativi: l’integrazione di approcci parziali e la ripartizione delle responsabilità tra i partecipanti. All’interno di questa svolta contrattuale i contratti di fiume, tra i quali anche quello del Marzenego, sono degli strumenti in cui gli attori che vi partecipano e che si muovono sul territorio devono riconquistarsi giorno per giorno quella legittimità che in precedenza gli derivava solamente dal loro status: consorzi di bonifica, amministrazioni locali, associazioni di categoria o ambientaliste, ciascuno è chiamato a mettere alla prova le proprie competenze sul campo, attraverso un confronto diretto con il territorio del

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fiume. In questo processo i cittadini hanno l’opportunità di imparare, valutare opzioni interrogandosi sugli impatti che le proprie attività producono, ma anche di assumersi responsabilità in fatto di gestione e manutenzione ordinaria e quotidiana. Tra gli obiettivi del contratto di fiume vi è sicuramente la trasformazione fisica dell’ambiente costruito, in assenza della quale non si danno impatti significativi di rigenerazione, compreso l’incremento del senso di appartenenza delle comunità insediate al proprio ambiente. Non è casuale infatti, che questa fase di sperimentazione dei contratti di fiume al contempo sostenga e produca la formazione di comunità contrattuali (Brunetta, Moroni 2011) in grado di maturare modelli di gestione e condivisione di azioni e misure finalizzate alla produzione di conoscenza e innovazione, avviando processi di capacitazione, di responsabilizzazione e auto-affidamento (Calvaresi, Cognetti, Cossa 2011) del governo e della manutenzione del proprio territorio. Lungo il Marzenego, così come in altri territori coinvolti da contratti di fiume, si tratta sovente di processi informali o a debole formalizzazione/istituzionalizzazione la cui portata però risulta significativa soprattutto in termini di capitale sociale costruito nel corso dell’interazione, oltre che di assunzione di responsabilità nei confronti delle trasformazioni territoriali. Integrazione/multifunzionalità/riciclo Come già richiamato in apertura, l’ipotesi esplorata in questo libro è che nuovi cicli di vita per il territorio metropolitano di Venezia siano possibili attivando una stretta collaborazione tra la disponibilità di spazi e attrezzature collettive, le problematiche legate alla fragilità idraulica e le opportunità di un’agricoltura multifunzionale capace di rinforzare la rete ecologica (Maier, Shobayashi 2001). La necessità di un approccio multidisciplinare ritenuto funzionale a favorire la circolazione dinamica di nuove idee è emersa contemporaneamente al riconoscimento dell’integrazione degli spazi e dei modi di intervento come principale traiettoria attraverso cui immaginare il riciclo del territorio. L’obiettivo comune di questi approcci è quello di superare dei saper fare squisitamente tecnici per dare risposte integrate a questioni di grande rilevanza come, ad esempio, la fragilità idraulica, che interessa molte parti del territorio tra cui anche quello Veneziano (Novotny 2009). Si tratta

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di immaginare nuove forme di organizzazione territoriale che sappiano andare oltre il trattamento settoriale di questi temi, come la progressiva impermeabilizzazione dei suoli, l’impoverimento e semplificazione del territorio agricolo, la frammentazione del sistema degli spazi collettivi e tanti altri ancora. Da ciò ne deriva che il riciclo del territorio motiva il coinvolgimento di attori non pigri e disposti a rimettere in discussione il proprio ruolo e i propri strumenti, per scommettere sul futuro cambiando profondamente alcuni aspetti determinanti del funzionamento territoriale: nella gestione del sistema delle acque così come nella produzione di servizi ecosistemici, nei modi di abitare così come nella gestione dei servizi alla persona, nella produzione di spazi collettivi così come nel sostegno alla coesione sociale, nella diversificazione delle funzioni di produzione, cura e manutenzione del territorio agricolo così come nella ricerca di un equilibrio nella competizione tra usi e proprietà dei suoli, nelle strategie quotidiane di cura del benessere individuale e collettivo così come nelle pratiche culturali. Poiché l’integrazione e la collaborazione implicano il superamento delle logiche autonome che fin qui hanno fatto agire i principali soggetti presenti sul territorio, il progetto di riciclo chiede anche di rinegoziare i diritti acquisiti per adeguarli ai vincoli posti da un modo rinnovato di guardare al territorio. Così, ad esempio, rinegoziare i diritti edificatori, implica pensare che il suolo non è solamente un supporto neutro sul quale si può depositare qualsiasi manufatto o funzione prescindendo dalla molteplicità dei suoi caratteri e che alcune misure non solo di tutela e salvaguardia, ma anche di sviluppo, per essere efficaci devono poter incidere su posizioni pregresse divenute incompatibili. Questo modo di pensare al riciclo, nel rendere evidente lo stretto legame con un approccio collaborativo, sollecita a mettere a punto regole di convivenza che rendano compatibili spazi, pratiche, usi, popolazioni ed economie così da poter inserire il territorio entro nuovi circuiti produttivi e di senso (Bonomi 2011). Inoltre, l’avvio di processi di rigenerazione del territorio dal proprio interno capaci di prestare attenzione alla diversità funzionale, sociale ed economica esistente o sforzandosi per produrne di nuova, assume un ruolo sempre più rilevante anche perché è attraverso la mescolanza di usi, pratiche e popolazioni che un modello di riciclo territoriale è forse in grado di garantire maggiore resilienza (Viganò 2011).

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L’insieme di queste riflessioni ci porta a considerare il territorio e non solo i suoi singoli elementi o sistemi, come una risorsa che complessivamente può rigenerarsi, rinnovarsi e riciclarsi (Viganò 2012). Ciò significa in primo luogo superare l’idea che vi siano solamente specifici luoghi che necessitano di essere restituiti a nuovo valore: qui penso al lunghissimo, mai finito catalogo di oggetti e spazi che consideriamo desueti, scartati e rifiutati perché usciti fuori dai cicli culturali, economici e di senso, perché qui e ora li consideriamo non far più parte del nostro mondo (Lynch 1990). Ne consegue che per immaginare un complessivo progetto di riciclo del territorio capace di traghettarlo entro nuovi cicli di vita dobbiamo, pur con qualche difficoltà, assumere un punto di vista capace di integrare e far collaborare la questione ambientale con quella della giustizia spaziale e dell’inclusione sociale. Attraverso indagini attente e minuziose dell’esistente, di quanto sta accadendo nel territorio che ci circonda, la costruzione di scenari di riciclo dovrebbe assomigliare sempre più a tentativi di escogitare e mettere alla prova forme alternative alla endless consumption del territorio cui abbiamo assistito in questi decenni, scenari da intendersi come campi di sperimentazione e allenamento per una qualche utopia (Beccattini 2015). Un’utopia che vediamo affiorare qua e la in luoghi inattesi, grazie alla collaborazione e all’attivazione di istituzioni, gruppi sociali, mondo delle imprese, mossi dal comune obiettivo di ricapitalizzare il territorio, di ritornare al territorio bene comune. Contrastando in questo modo l’egemonia incondizionata del presente che oltre a non essere più esito di una lenta maturazione del passato, non riesce nemmeno a far trasparire i lineamenti di futuri possibili, imponendosi come un fatto compiuto e innegabile, il cui sorgere improvviso fa sparire il passato e satura l’immaginazione del futuro (Augé 2011).

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Riferimenti bibliografici - Augé M. (2011), Où est passé l’avenir?, Edition du Seuil, Paris. - Beccattini, G. (2015), La coscienza dei luoghi, Donzelli, Roma. - Bortolotti A., Ranzato M., Ferrari E., (2013), ‘Forestazione integrata urbana’, in: Territorio, Franco Angeli, 67: 118-126. - Bobbio L. (2006), “Le politiche contrattualizzate”, in C. Donolo (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, Mondadori, Milano. - Bobbio L., Saroglia P. (2008), /XQJR LO ±XPH delle politiche contrattualizzate, Regione Piemonte. - Bonomi A. (2011), “Riciclare, Riciclarsi”, in Ciorra P., Marini S., (a cura di), Re-Cycle. Strategie per l’architettura, la città, il pianeta, Electa, Milano. - Brunetta G., Moroni S., (2011), La città intraprendente, Carocci, Milano, - Calvaresi C., Cognetti F., Cossa L. (2011), I laboratori di quartiere come dispositivi per la coesione sociale: Il caso di Ponte Lambro, Paper Conferenza Espanet, “Innovare il welfare”, Milano. - Calafati A. G. (2009), Economie in cerca di città, Donzelli, Roma. - Donolo C. (2005), ‘Dalle politiche pubbliche alle pratiche sociali nella produzione di beni pubblici? Osservazioni su una nuova generazione di policies’, in Stato e mercato, 73, pp. 33-65. - Lynch K. (1990), Wasting Away, Sierra Club Books, San Francisco. - Lanzani A., Pasqui G. (2011), L’Italia al futuro. Città e paesaggi, economie e società, Franco Angeli, Milano. - Maier L., Shobayashi M. (eds.), (2001), Multifunctionality. Towards an Analytical Framework, Organisation for Economic Cooperation and Development OECD, Paris. - Ostanel E., Cancellieri A. (2014), “Ripubblicizzare la città: pratiche spaziali, culture e istituzioni”, in Territorio, 68, pp. 46-49 - Novotny V. (2009), "Sustainable Urban Water Management", in Feyen J., Shannon K., Neville M., eds., Water and Urban Develop-

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GEOGRAFIE

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AGROPOLITANA UN PAESAGGIO AGROURBANO MULTIFUNZIONALE Viviana Ferrario

Una pianura agropolitana Come è noto, la struttura urbana della pianura centrale veneta vede la compresenza di una maglia policentrica di città medio-piccole e mediograndi e di una situazione di esasperata dispersione insediativa, esito di un ampio processo di urbanizzazione delle campagne, in un quadro di crescente metropolizzazione (Munarin, Tosi 2001; Fregolent 2005). Il territorio è caratterizzato dalla presenza di una rilevante quantità di aree agricole coltivate (pari a circa il 65% dell'area compresa tra le città di Mestre, Padova, Treviso, Bassano, Vicenza), dove si pratica un’agricoltura economicamente nient’affatto marginale. Sotto il profilo della forma insediativa si osserva in tutta l’area una mescolanza estrema tra spazi urbanizzati (residenziali e produttivi) e spazi coltivati, che può essere ritenuta a ragione uno dei suoi caratteri peculiari e che le ha valso in anni recenti l’appellativo di “agropolitana” (Regione del Veneto 2009). La pianura centrale veneta può dunque essere considerata un continuum urbano-rurale – o meglio agrourbano - con differenti livelli di densità, che si ritrova massima nelle città principali, e minima ai margini e nelle aree più interne.

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La superficie di contatto tra aree urbanizzate e aree coltivate è qui moltiplicata all’infinito dal ripetersi ossessivo dei filamenti insediativi, delle periferie rade, delle innumerevoli zone artigianali e industriali, dei nuovi insediamenti a placche, del moltiplicarsi delle infrastrutture. Questa mescolanza formale corrispondeva largamente in passato ad una mescolanza funzionale e sociale, che si esprimeva sia a livello individuale (piccoli e piccolissimi proprietari di terreni agricoli impiegati nell’industria o nei servizi, agricoltori part-time) sia a livello collettivo in una fitta rete di relazioni tra gli altri abitanti e i soggetti impegnati nelle attività agricole (relazioni di parentela con agricoltori, acquisto diretto di prodotti nelle aziende agricole vicine, ecc.). Questa rete di relazioni può almeno in parte spiegare il tacito patto di convivenza tra agricoltura e processo di urbanizzazione che ha contraddistinto il lungo periodo di costruzione e consolidamento della pianura agropolitana. Questo tacito patto sembra ora scontrarsi con crescenti difficoltà. La progressiva specializzazione delle attività agricole da un lato e l’intensificarsi dei processi di urbanizzazione dall’altro, rendono oggi la convivenza tra spazi agrari e spazi urbanizzati non priva di attriti. La prossimità estrema tra attività agricole e luoghi dell’abitare comincia ad essere percepita come un vincolo reciproco e una fonte di conflitti, piuttosto che come una opportunità. La difficile convivenza degli allevamenti con le aree residenziali, il "disturbo" provocato dalle lavorazioni agricole, la crescente difficoltà di muoversi con i mezzi agricoli lungo le strade normali, la difficoltà di “accesso alla terra” stante l’elevato valore dei terreni, sono solo alcune delle occasioni di conflitto che si lamentano oggi in questo territorio in maniera crescente. Tuttavia proprio nella straordinaria prossimità tra spazi coltivati e urbanizzati può essere colta una nuova opportunità: l’agricoltura potrebbe rivestire un ruolo di primaria importanza nella conservazione delle risorse naturali e nella fornitura di servizi alla popolazione. La società contemporanea esprime infatti nei confronti dello spazio agrario diverse domande: la produzione di derrate alimentari sane e sicure, la produzione di energie rinnovabili, la conservazione dell’ambiente e della biodiversità, la mitigazione dei problemi ambientali, la sicurezza idraulica (problema particolarmente acuto nel territorio veneto), l’offerta di spazi per il tempo libero e altri servizi alle popolazioni urbane, la conservazione del patrimonio culturale. È evidente però che queste funzioni non sono facilmente conciliabili nello stesso, scarso, spazio a disposizione, né

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è più possibile gestire la convivenza tra abitanti e attività agricole senza un quadro comune territoriale di riferimento. Oggi questo quadro territoriale manca. Il territorio agricolo e quello urbanizzato sono governati da politiche e da strumenti diversi e autonomi: lo spazio coltivato è campo d’azione di politiche settoriali e di competenze specializzate, su cui gli strumenti urbanistici sono sostanzialmente afasici oppure propongono mere strategie di “protezione”, spesso risibili e inefficaci. D’altro canto le norme urbanistiche in nome della zonizzazione omogenea e dei principi di igiene hanno fatto di tutto per espellere anche il ricordo dell’agricoltura urbana dalle città. La città diffusa centro veneta può essere letta come sopravvivenza di una forma insediativa ibrida, risultato di una certa inerzia (o forse di una resistenza tenace) rispetto a certi principi della modernità. Questo carattere ibrido, che mescola materiali appartenenti a mondi che si sono voluti separati e distinti, è stato oggetto di aspre critiche e tuttavia proprio per questo oggi potrebbe rivelarsi ricco di opportunità. Tre domande Durante la seconda metà del Novecento il territorio coltivato ha perso valore economico e sociale e il processo di urbanizzazione che ha portato alla costruzione della città contemporanea ha investito le aree agricole in assenza di un credibile progetto di territorio. Il rallentamento di questo processo, a causa della crisi ma anche forse a causa di una diversa consapevolezza collettiva, ci consente di osservare con occhi più attenti quello che succede nelle aree agricole. Le politiche agricole hanno perseguito a lungo il principio della massima indipendenza rispetto alle condizioni geografiche nelle quali l’agricoltura veniva praticata, ignorando la sua straordinaria capacità di produrre territorio e di costruire paesaggi. Oggi le scelte colturali sono fortemente orientate dalle politiche pubbliche (politiche agricole e di sviluppo rurale), ma si effettuano quasi esclusivamente all’interno di ciascuna strategia aziendale. Cosa succederebbe se invece le scelte colturali delle aziende fossero pensate all’interno di un quadro territoriale capace di rispondere non solo alle esigenze economiche delle aziende agricole, ma anche a quelle del territorio stesso? Le attività agricole producono impatti critici sulla qualità dell’aria e delle acque, sulla fertilità dei suoli, sul consumo di energia fossile, sulla diminuzione della biodiversità. L’agricoltura produce cibo ed energia entro

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lo spazio dell'agricoltura nella pianura agropolitana e nel bacino del Marzenego, con le componenti principali del paesaggio agrario: 1. prati, boschi, alberi e siepi campestri, aree seminaturali; 2. colture permanenti (vigneti, frutteti, colture legnose); 3. seminativi. (Regione del Veneto, CTR; Carta della copertura del suolo, 2012).

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filiere lunghe e spesso irrazionali ed energivore. Cosa succederebbe se le politiche agricole concentrassero i finanziamenti sulle attività agricole volte al raggiungimento di obiettivi collettivi, quali ad esempio l’implementazione di reti ecologiche, l’aumento della biodiversità, la riduzione del rischio idraulico, la produzione di cibo entro filiere più razionali e sostenibili? Il processo di urbanizzazione ha occupato nella seconda metà del Novecento una quantità di suolo agricolo imponente, artificializzandolo, impermeabilizzandolo, inquinandolo. Un ampio movimento di opinione a scala europea chiede di arrestare questo processo, e propone lo “stop al consumo di suolo”. Il suolo è una risorsa limitata e difficilmente rinnovabile, ma non possiamo accontentarci di fermarne il consumo, dobbiamo anche porci il problema del recupero di nuovo suolo fertile. Lo spazio dell’agricoltura lungo il Marzenego metropolitano Lo spazio occupato dalle attività agricole lungo il bacino del Marzenego presenta caratteri comuni a gran parte della pianura centrale sotto la linea delle risorgive. Esso rispecchia la situazione agropolitana sia nel livello di urbanizzazione (i terreni coltivati coprono il 61% delle aree emerse) che negli orientamenti colturali, con una assoluta prevalenza dei seminativi (poco meno del 90% del totale dei terreni coltivati). La coltura più praticata è il mais, sempre meno spesso in alternanza con il frumento. Il bacino del Marzenego ricade interamente nella zona di produzione del Radicchio rosso di Treviso IGP. Vigneti, frutteti e altre colture permanenti occupano una superficie marginale, e tuttavia sono diffusi in tutta l’area. Più recentemente si sono diffuse le colture da biomassa legnosa in short rotation per scopi energetici, finanziate dalle politiche agricole. Nell’insieme il paesaggio agrario mantiene una certa complessità, dovuta soprattutto alla dimensione piccola e piccolissima degli appezzamenti e alla presenza di numerose siepi arboree, che seguono i corsi d’acqua e i canali di scolo e dividono le proprietà. Nel tentativo di accrescere la biodiversità agricola, negli anni più recenti le politiche pubbliche hanno finanziato la messa a dimora di siepi bordo campo e boschetti. Le tendenze che si osservano nel bacino del Marzenego non sono dissimili da quelle della pianura circostante, e tracciano nel loro insieme un quadro non univoco. Da un lato domina ancora un’idea neoproduttivistica dell’attività agricola, che concepisce l’agricoltura come un settore econo-

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urbanizzazione intensa mista "campagna urbanizzata"

urbanizzazione intensa, spazio agricolo complesso al margine degli insediamenti

"filamenti" agrourbani

urbanizzazione debole, spazio agrario complesso

urbanizzazione debole, spazio agrario in via di semplificazione

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mico tra gli altri e le aziende agricole come semplici luoghi di produzione e come tali autonomi e indipendenti dal resto del territorio. Si sono estese le colture industriali, il mais in monosuccessione, il vigneto specializzato; sono aumentate le serre, gli allevamenti intensivi sono stati ingranditi senza riguardo per la struttura insediativa e il mosaico paesaggistico; con la stessa logica monofunzionale si sono concepiti anche alcuni interventi fatti in nome dell’ambiente, come la razionalizzazione dei sistemi di irrigazione (che invece per lo più ha portato ad una radicale semplificazione dello spazio agrario), la coltivazione di biomasse, l’installazione di impianti a biogas per la valorizzazione energetica dei reflui di origine animale (per le elevate potenze installabili veri e propri impianti industriali, che influenzano le scelte colturali dei territori circostanti, generano traffico pesante, aprono conflitti con le popolazioni limitrofe). Allo stesso tempo però numerosi indizi mostrano nelle politiche e nelle pratiche l’emergere di un’idea di spazio agrario multifunzionale, che affonda le sue radici in quella mescolanza funzionale e sociale di cui si è fatto cenno, ma che si aggiorna e si adatta alle esigenze e agli stili di vita contemporanei. Così ai tradizionali scambi informali con gli “ortolani” e con gli allevatori vicini che hanno sempre caratterizzato l’abitare nella città diffusa si sovrappongono oggi le esperienze di vendita diretta a bordo campo, i mercati a kmzero, i gruppi di acquisto solidale. Resistono e in alcuni casi si intensificano sia gli orti domestici sia gli orti sociali, che sfruttano la bassa densità dell’urbanizzazione e la disponibilità di terreni scoperti anche all’interno delle aree più densamente urbanizzate. Si espande sia pure timidamente un’agricoltura attenta alla presenza delle popolazioni metropolitane e ai loro bisogni, entro un’ottica di accorciamento delle filiere, soprattutto alimentari. Questo quadro non univoco lascia intravvedere la possibilità di ripensare l’agropolitana veneta in termini progettuali, per immetterla in un nuovo ciclo di vita. Strategie e azioni per un paesaggio agrario multifunzionale La risposta alle domande espresse nel terzo paragrafo richiede una strategia, che può essere provvisoriamente identificata nel principio della multifunzionalità, declinato però sul piano territoriale. Le politiche agricole fanno riferimento al carattere “multifunzionale” dell’agricoltura per indicare la sua capacità di “avere diversi output e, grazie a questi, contribuire contemporaneamente a diversi obiettivi del-

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azioni per un paesaggio agropolitano multifunzionale 1. le colture compatibili con esondazioni di breve periodo (prati, pascoli, biomasse forestali) vengono concentrate lungo i corsi d’acqua principali, nelle parti meno elevate del territorio, formando aree ad alluvionamento programmato ausiliarie; 2. i bordi dei campi affacciati lungo le strade dei “filamentiâ€? insediativi principali vengono risagomati e forestati, costruendo un filtro tra strada e campo, che può ospitare percorsi ciclopedonali; 3. agroforestazione su larga scala, articolata in fasce boscate con percorsi ciclopedonali, alternate con fasce agroforestate, dove i seminativi per la produzione alimentare convivono con la presenza di alberi per la produzione di legno da opera; 4. rammendo delle smagliature nel sistema delle siepi campestri con nuovi impianti diffusi di filari tampone lungo fossi e scoline.

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la società. Multifunzionalità è pertanto un concetto orientato all’attività, riferendosi alle specifiche proprietà del processo produttivo e ai suoi molteplici output” (Maier, Shobayashi 2001). In questa definizione il significato economico del concetto di multifunzionalità è prevalente, ma esso può avere un particolare interesse anche per le discipline territoriali. Esso infatti permette di interpretare in modo diverso non solo l’agricoltura europea in quanto attività economica, ma anche l’assetto stesso delle aree agricole e il loro ruolo territoriale. A questo fine viene introdotto il concetto di “paesaggio multifunzionale” (Brandt, Vejre 2004; Selmann 2009). A questo concetto si rifà l’approccio adottato nel progetto di ricerca “Agropolitana” (Ferrario 2013), ripreso poi nel workshop sul territorio del Marzenego descritto in queste pagine. Vengono proposte due strategie. La prima (recycle agriculture space), propone di “riciclare” lo spazio coltivato entro un quadro di valori collettivi, quali la sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti, la biodiversità, la sicurezza idraulica, la produzione di energie rinnovabili, lo spazio per il tempo libero. La seconda propone di recuperare suolo agricolo (recycle space by agriculture) nelle aree dove altre attività si ritirano; ad esempio, nel caso del territorio del Marzenego, in alcune parti delle zone industriali e artigianali. Riporto qui, a titolo di esempio, quattro azioni possibili per la prima strategia, che esplorano le forme possibili del futuro paesaggio agrario multifunzionale del Marzenego. La prima azione risponde al problema della sicurezza idraulica e all’esigenza di razionalizzare le filiere alimentari: le colture compatibili con esondazioni di breve periodo vengono concentrate lungo i corsi d’acqua nelle parti meno elevate del territorio, andando così a formare nuove aree ad alluvionamento programmato ausiliarie rispetto alle aree di laminazione principali. I terreni sono tenuti a prato o pascolo, contribuendo così ad una estensivizzazione degli allevamenti, necessaria soprattutto nella parte settentrionale del bacino del Marzenego. In queste aree possono essere concentrate anche le colture perenni compatibili con una moderata e saltuaria presenza di acqua. La seconda azione migliora la sicurezza idraulica lungo le strade, costruisce habitat potenziali e protegge le colture dagli inquinamenti originati dal traffico veicolare. I bordi dei campi affacciati lungo le strade vengono risagomati e forestati, costruendo un filtro tra strada e campo, che può eventualmente ospitare percorsi ciclopedonali.

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La terza azione risponde alla necessità di connessione naturalistica tra i corridoi ecologici della Rete Ecologica Regionale e contemporaneamente con quella di preservare i seminativi a scopo di produzione alimentare. Si tratta di un’azione di agroforestazione su larga scala, articolata in fasce boscate con percorsi ciclopedonali, alternate con fasce agroforestate, dove i seminativi convivono con la presenza degli alberi, per la produzione di legno da opera. La quarta azione è volta alla produzione di energia da biomassa, alla costruzione di habitat per ricostruire il tessuto connettivo a scala minuta tra i corridoi ecologici principali, alla fitodepurazione degli inquinanti di origine agricola. L’azione riempie le smagliature nel sistema delle siepi campestri con nuovi impianti diffusi di filari tampone lungo fossi e scoline. Le forme della multifunzionalità Nello spazio coltivato la città contemporanea cerca un modo per aumentare la sua sostenibilità e la sua resilienza. Questa possibilità è soggetta ad alcune questioni di tipo squisitamente spaziali, che possono essere affrontate solo in un’ottica sperimentale, formulando scenari ed esplorazioni progettuali. Così facendo è possibile riempire di significato alcuni suggerimenti che vengono dalle politiche settoriali e territoriali e visualizzarne le conseguenze spaziali. Le azioni più sopra individuate sono una forma di riflessione progettuale sulle forme della multifunzionalità. Interpretare il territorio come una stratificazione di paesaggi multifunzionali, può avere ricadute interessanti sulla comprensione e sul progetto di aree in forte competizione per l’uso del suolo come sono quelle metropolitane; costringe a concepire lo spazio urbanizzato e quello coltivato, le aree dell’abbandono e quelle della pressione insediativa, in un disegno unitario che lavora sulle relazioni mutue tra le diverse funzioni e componenti e che esplora le possibilità e le regole della convivenza; consente di superare la stessa categoria di “uso del suolo”, proponendo una visione alternativa a quella tradizionale della zonizzazione e una dimensione attenta tanto agli usi stabili e duraturi quanto a quelli temporanei ed effimeri; consente di misurarsi con il tema dei cicli di vita; incita a superare gli steccati disciplinari e ad avventurarsi nel confronto con altri saperi e con altre discipline, costringe all’ascolto e alla collaborazione con attori territoriali “nuovi” (gli agricoltori, le associazioni), spinge a immaginare nuovi e diversi strumenti di governo.

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Riferimenti Bibliografici - Brandt J., Vejre H. (2004), “Multifunctional landscapes. Motives, concepts and perceptions”, in J. Brandt, H. Vejre (eds.), Multifunctional landscapes. Theory, values and history, Southampton, WitPress. - Ferrario V. (2013), “Paesaggi coltivati (multifunzionali). Lo spazio dell’agricoltura nella trasformazione della città contemporanea”, in Magnier A., Morandi M., Paesaggi in mutamento. L’approccio paesaggistico alla trasformazione della città europea, Milano Franco Angeli. - Fregolent L. (2005), Governare la dispersione, Milano, Franco Angeli. - Maier L., Shobayashi M., eds. (2001), Multifunctionality. Towards an Analytical Framework, Organisation for Economic Cooperation and Development OECD, Paris. - Munarin S., Tosi M.C. (2001), Tracce di città. Esplorazioni di un territorio abitato: l’area veneta, Milano, Franco Angeli - Regione Veneto (2009), Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, Relazione generale. - Selmann P. (2009), “Planning for landscape multifunctionality”, Sustainability: Science, Practice, & Policy, 5 (2), pp. 45-52.

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ESPLORAZIONI 1 TRAMA AGRARIA

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1 #1.1. Una rete nascosta: sfalci programmati lungo la fascia delle risorgive Il progetto propone una nuova rete ecologica in grado di collegare più sistemi tra di loro: il bacino del Marzenego, quello del Sile, la pista ciclabile Treviso-Ostiglia e il sentiero degli Ezzelini. La nuova rete ecologica individua come nuclei un sistema di spazi aperti incolti, collegandoli tra di loro con dei corridoi che potenziano e danno continuità ai tratti di rete esistenti. La relazione insediamenti-spazio agricolo si articola attraverso la riqualificazione di queste aree incolte che assumono il ruolo di parco diffuso. Per i percorsi nei corridoi ecologici si prevede uno sfalcio d’erba programmato. Le strade principali e la ferrovia rappresentano delle barriere per la continuità della rete ecologica: per quanto riguarda le interruzioni lungo la ferrovia si propone di garantire la continuità utilizzando sottopassaggi esistenti di piccola dimensione incrementando la vegetazione nei pressi di questi sottopassaggi per indurre la fauna a usufruirne; per quanto riguarda il superamento delle barriere stradali, si è pensato alla realizzazione di alcune Green Streets che dialoghino con i temi dell’acqua. Queste, oltre a risolvere il problema del drenaggio dei flussi d’acqua in eccesso, definisce parallelamente alle strade dei micro corridoi ecologici, integrandosi appieno con lo scopo principale del progetto, ovvero rinforzare la rete ecologica che, al tempo stesso, prenda in considerazione le esigenze degli abitanti e della natura. (ADV, SF, IR)

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1. trame agricole lungo la fascia delle risorgive: dal bacino del Marzenego al bacino del Sile; 2. sfalci programmati e corridoi ecologici; 4. permeabilitĂ dei suoli e zone soggette a inondazione o di difficile deflusso delle acque; 3-5. microinterventi sui margini.

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1 #1.2. Ritagli, prese, microricuciture Il progetto si pone in continuità con i processi di microtrasformazione già in atto nel territorio e propone la realizzazione di alcune microricuciture di percorsi attraverso interventi puntuali che coinvolgano l’azione di diversi attori (agricoltori, consorzio di bonifica, comuni). In primo luogo si propone la realizzazione di vasche di laminazione e vasche di espansione poste in prossimità dei corsi d’acqua, con lo scopo di mitigare il rischio idraulico che minaccia questo territorio e di offrire l’occasione per nuovi spazi collettivi fruibili da pedoni e ciclisti. In secondo luogo viene proposta una piantumazione selettiva di filari di alberi o piccoli nuclei alberati con l’obiettivo di dare continuità alla rete ecologica che si presenta oggi fortemente sconnessa. Tali interventi di agroforestazione migliorano l’ecotonalità del territorio e possono garantire un ritorno economico grazie alla produzione di legname. Si tratta di interventi diffusi e di piccola dimensione che vanno ad occupare residuati e ritagli agricoli: il progetto rivaluta questi spazi dandogli un nuovo ruolo ecologico e produttivo e rendendoli accessibili. Immaginiamo che queste prese possano innescare un processo di connessione del territorio supportato da una rete di carrarecce d’appoggio: strade bianche a sezione maggiore che possono costituire la nuova struttura della mobilità lenta (EM, MP)

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5 1. concept: prese e microricuciture; 2. carrarecce d'appoggio; 4. sviluppo e sovrapposizione microricuciture (anno 2030); 3-5. evoluzione interventi

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2 #1.3. Oasi di Noale e Salzano: due nuove centralità Il bacino del Marzenego è caratterizzato da un elevato rischio di esondazione, soprattutto nei centri abitati. La proposta progettuale cerca di farsi carico di tale problema, sfruttando il territorio libero che si estende tra Noale e Robegano, non considerando l’asta del fiume esclusivamente in relazione ai centri urbani, ma interpretandola come un possibile canale di connessione ambientale fra le due oasi e come elemento strutturante la rete ecologica. Le due oasi sono siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) e fanno parte della rete Natura 2000 per la conservazione della biodiversità. Assumono il ruolo di centralità entro una ipotesi di rete ecologica e della mobilità lenta che si sviluppa con duplice obiettivo: quello di potenziare e ampliare un sistema naturale che ha la necessita di essere preservato, e quello di rendere fruibili e accessibili i suoi spazi all’intera comunità. Le oasi oggi risultano poco accessibili e necessitano un miglioramento e potenziamento tanto del reticolo di percorsi ciclabili e pedonali attraverso cui connetterle agli insediamenti principali e alle fermate della mobilità pubblica, quanto delle piccole attrezzature collettive (bar, servizi, museo, infopoint, spazi per laboratori didattici) che le rendono più attrattive. L’intervento progettuale va ad agire su questi punti deboli per conferirgli maggiore valore ambientale e sociale. (LA, VB, IP)

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5 Vegetazione a idroĮte sommerse Fasce bosco igroĮlo Canali e specchi d’acqua

Scuole, ospedale, stazione

Fasce tampone

Verde scuole Parcheggi Percorso ciclopedonale

Corridoi ecologici Vasche di laminazione

6 percorso ciclopedonale

ampliamento argine

impianto biomassa

1. centralità: oasi e corridoio; 2. schemi assonometrici di intervento: orti urbani, fasce tampone, corridoi ecologici; 3. oasi di Noale: riannodare i luoghi; 4. Noale: pratiche e usi (bambini, anziani); 5. oasi di Salzano: riannodare i luoghi; 6. sezione diagrammatica di intervento sullo spazio dell'agricoltura

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ACQUE. AL DI LÀ DEL RISCHIO IDRAULICO Andrea Bortolotti (Latitude)

Un tempo considerate vittime della ‘furia’ dei fiumi dai quali necessitavano protezione, le città sono oggi riconosciute quali causa alla base delle disfunzioni legate al ciclo dell’acqua. I territori della dispersione edilizia in Veneto non fanno eccezione e, a fronte di un legame storico con l’acqua, hanno conosciuto negli ultimi decenni un elevato consumo di suolo e conseguente alterazione dei sistemi idrogeologici. Le inondazioni avvenute in varie parti del Veneto nel novembre 2010 sono solo la manifestazione più evidente di una serie di problemi legati sia alla quantità che alla qualità dell’acqua, che si ripresentano ciclicamente nelle cronache locali. Al fine di mitigare il rischio idrogeologico, ai territori urbanizzati viene ora chiesto di riequilibrare il proprio bilancio idraulico attraverso misure compensative all’impermeabilizzazione dei suoli. Al contempo, sono sempre più richieste soluzioni alternative al convogliamento delle acque di pioggia nella rete fognaria - ad oggi di norma - attraverso l’aumento delle zone di infiltrazione, ritenzione e drenaggio superficiale in ambiente urbano. Tuttavia queste misure necessitano spazio e si attuano principalmente con nuovi interventi edilizi e infrastrutturali, mentre difficilmente si esprimono attraverso strategie di retrofitting dell’ambiente costruito con sistemi de-

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centralizzati di drenaggio urbano. Lavorare sui tessuti esistenti è tuttavia essenziale nella misura in cui questi rappresentano le stragrande maggioranza delle superfici impermeabili, e si confrontano oggi con le difficoltà legate alla manutenzione e rinnovo delle infrastrutture idrauliche esistenti. Se da una parte sono ormai noti principi e vantaggi di un modello integrato di gestione delle acque (si vedano, ad esempio, Novotny 2009; Novotny et al. 2010), dall’altra non sono ancora chiare le modalità di attuazione concrete che questo possa assumere entro un quadro di riforma dello spazio urbano. Alla stessa maniera, ci si potrebbe domandare come principi fondati sulla prevenzione del rischio e promozione di una cultura diffusa dell’acqua possano informare il progetto urbano. Questo dovrebbe essere capace di rispondere alla trasversalità delle questioni legate all’acqua al di fuori di semplici retoriche o logiche riduzioniste e di settore. Tale questione è rilevante in particolare per il territorio italiano, periodicamente in stato di emergenza idrogeologica. Un contesto, quello italiano, che tuttavia sconta una realtà di risorse pubbliche scarse, crescente complessità normativa, limitata tradizione nei processi di partecipazione e dialogo fra settori professionali, a cui si aggiunge una frammentazione dell’apparato decisionale alla scala di bacino idrografico. La Direttiva comunitaria Quadro sulle Acque — 2000/60/CE ha ribadito come i quadri conoscitivi e le misure volte ad un uso efficiente della risorsa debbano rivolgersi al complesso della qualità ambientale dei fiumi e del loro territorio, ed entro unità di pianificazione che coincidano con i bacini idrografici. Con la Direttiva Europea si sono aperte dunque nuove prospettive per le autorità di bacino quali enti territoriali di coordinamento degli interventi sui corsi d’acqua. Ciò avrebbe dovuto bilanciare, in teoria, la carenza di una regia centrale nella gestione della risorsa, venuta meno negli ultimi anni con il decentramento delle funzioni e lo spostamento delle responsabilità dallo Stato alle Regioni ed enti locali. E’ in questa cornice che i ‘Contratti di fiume’ stanno riscuotendo interesse in quanto strumenti di attuazione delle disposizioni Comunitarie per il raggiungimento di obiettivi strategici alla scala dei bacini e sottobacini idrografici, e in particolare per due ragioni. La prima è dovuta al fatto che i Contratti di fiume rappresentano un tentativo concreto di pianificazione integrata alla grande scala, ma fondata su accordi volontari e strumenti per la definizione di misure “dal basso”. La seconda perché riportando il fiume (e le comunità rivierasche) al centro di processi di concertazio-

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ne e pianificazione territoriale, contribuiscono alla definizione di misure e progetti condivisi, strumenti necessari a catalizzare progetti e fondi di sviluppo locale. L’esperienza del Contratto di fiume Marzenego si offre dunque come occasione per ripensare il tema dell’acqua nella pianificazione urbana e territoriale, e soprattutto del suo ruolo di mediazione nei rapporti fra enti pubblici, soggetti privati e associazioni coinvolti nella gestione e manutenzione del territorio. Nel bacino del Marzenego, la pianificazione richiede uno sguardo attento alla relazione fra la rete idraulica e il territorio agricolo, nonché ai conflitti con l’urbanizzazione diffusa tipica di questa porzione di Veneto. Un territorio della dispersione edilizia (come noto descritto fra altri da Indovina 1990; Munarin, Tosi 2001) che ha le sue origini nella piccola proprietà terriera e dove gli spazi privati, della casa unifamiliare, del campo agricolo e del capannone industriale, sono gli elementi dominanti del paesaggio. Un paesaggio tuttavia frammentato che da qualche tempo presenta i segni di una crisi economica e ambientale, oltre che politica e sociale, che sembra non trovare nuove prospettive oltre al riuso del capitale fisso sociale ereditato (Vallerani, Varotto 2005; Lanzani 2012). A fronte di un elevato consumo di suolo procapite e una ridotta dotazione di spazi collettivi, questo territorio è ancora ricco di spazi aperti che se ben interpretati possono diventare una risorsa per il riequilibrio del ciclo dell’acqua. Ed è proprio su questi spazi aperti - agricoli e non - che negli ultimi anni hanno riflettuto alcuni urbanisti e architetti rivolgendo lo sguardo a pratiche collettive di produzione e manutenzione del paesaggio (fra questi Viganò et al. 2009; Ranzato 2011; Lanzani et al. 2013). Questi studi hanno messo in luce il ruolo che interventi diffusi e integrati possono avere nella gestione delle risorse ambientali (quali l’acqua, ma anche suolo ed energia) in una prospettiva di riconversione ecologica, oltre che produttiva, degli spazi della dispersione edilizia, orientati alla creazione di nuove sinergie territoriali. Vivere con l’acqua Il primo esempio a cui mi riferisco è il tema del convivere con il rischio. Rischio idrogeologico che le dinamiche di riscaldamento climatico e conseguente innalzamento del livello del mare e intensificazione degli eventi meteorologici (quali prolungati periodi di siccità e concentrazione delle precipitazione) comportano in un territorio d’acqua come quello Veneto. In

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questa prospettiva emerge forte il conflitto fra una politica che per necessità (ma a fatica) è sempre più orientata verso nuovi paradigmi idraulici, quali ‘dare spazio’ all’acqua per mitigare gli effetti delle piene, e una serrata competizione territoriale fra usi e proprietà del suolo. Si fa riferimento qui alle proposte avanzate negli ultimi anni per l’inondazione controllata dei territori agricoli in passato "conquistati" al mare e oggi a maggiore rischio di esondazione. Questi sono, ad esempio, le aree iscritte nel programma "Room for the River" in Olanda, la pianura del Somerset Level in Inghilterra, o lo stesso territorio veneto del Delta del Po, come presentato nella ricerca "Living with Water" dalla piattaforma Latitude (2011). Cosa vuol dire immaginare strategie di ritenzione, infiltrazione e ricarica della falda, attraverso l’allargamento degli alvei dei fiumi e la rinaturalizzazione delle aree umide per i territori della dispersione edilizia? Per prima cosa significa orientare sforzi e fondi pubblici, oggi frammentati o concentrati in grandi opere spesso promosse sull’onda dell’emergenza, verso opere diffuse di prevenzione. Significa soprattutto ripartire dalla percezione del vivere con l’acqua, del riconoscere uno stato di fragilità territoriale comune che come tale deve essere affrontato in concertazione e non secondo logiche autonome. Infine, significa forse dover rinegoziare alcuni diritti acquisiti (o illegalmente appropriati) come l’occupazione edilizia dello spazio dei fiumi, o sacrificare alcune aree di minor valore agricolo per tutelarne altre, trovare nuove forme di accordo pubblico-privato e includere gli utenti nella gestione dell’acqua tramite incentivi e sgravi fiscali. Ad ogni modo, rispondere a tale questione comporta riservare un ruolo importante all’acqua e ai suoi spazi all’interno di nuovi progetti e politiche urbane fondati sulla costruzione di un più ampio consenso sia da parte di esperti che comuni cittadini. Generare servizi ambientali Il secondo esempio, forse meno evidente ma pur sempre correlato con l’uso dello spazio aperto, è legato alla qualità delle acque. Il caratteristico intreccio di un’urbanizzazione dispersa e un’agricoltura intensiva, principalmente dedita alla coltivazione del mais, è origine infatti di fonti di inquinamento diffuso di difficile controllo. Le acque del bacino scolante della laguna di Venezia hanno registrato negli anni ‘90 del secolo scorso un aumento dei carichi azotati generati dalle superfici agricole. Tale dato risulta in controtendenza con una generale riduzione dell’inquinamento di

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origine organica, attribuito alla graduale implementazione dei sistemi di trattamento dei reflui civili e industriali. Politiche economiche sono alla base delle disposizioni comunitarie (come la direttiva Nitrati - 91/676/CE, la stessa direttiva Acque e la nuova politica agricola comune - PAC 20142020) orientate ad un più attento uso di fertilizzanti in aree ecologicamente sensibili. Queste tuttavia non si traducono in supporto a pratiche agricole volte al riequilibrio dei sistemi agro-ambientali, ma piuttosto alla compensazione al reddito per l’uso di colture meno inquinanti attraverso pratiche convenzionali. In questo caso alcune riflessioni sono state avanzate negli ultimi anni rispetto alla necessità di una riforma forestale, che veda nello spazio agricolo e urbano oltre a quello boschivo e montano, l’opportunità di sviluppare forme di forestazione dal molteplice obiettivo. I benefici ambientali dell’agro-forestazione sono noti: maggiore protezione all’erosione dei suoli, capacità di assorbimento dei carichi azotati nelle acque superficiali e sub superficiali, incremento della biodiversità, etc. A tale proposito, sono un riferimento gli studi sperimentali di Veneto Agricoltura quali RiduCaReflui o il progetto Nicolas, che hanno dimostrato l’efficacia degli impianti forestali nel migliorare sensibilmente la ricarica delle acque di falda e la depurazione di quelle superficiali nei territori di pianura. Dall’altro lato, uno scenario positivo di forestazione consentirebbe di mitigare il rischio idrogeologico attraverso interventi nelle aree maggiormente soggette a inondazioni, nel rispetto delle condizioni topografiche e idrauliche locali, e con grande vantaggio per l’intero bacino idrografico. Infatti, oltre a stabilizzare gli argini di fiumi e canali, nuove aree forestate offrirebbero, in caso di necessità, ampie superfici allagabili. Tali interventi, potrebbero in principio ricadere su spazi di proprietà demaniale, per poi coinvolgere anche aree private, con ricadute importanti in termini di riqualificazione del paesaggio e fornitura di servizi ambientali (di depurazione delle acque, ma anche dell’aria e mitigazione dei picchi di calore) per i territori abitati. Paesaggi produttivi Infine, intrecciando i due temi di una gestione condivisa del rischio e produzione di servizi ambientali, un ulteriore argomento è rappresentato dalla valorizzazione a scopi energetici delle colture arboree (pioppo, salice e robinia) e erbacee (miscanto e canna comune) che potrebbero occupare gli spazi dell’acqua. È risaputo che le zone umide possano raggiungere tassi di produzione annuale di materia secca fino a due volte superiori a

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edificato e trama idraulica tra Trebaseleghe e Noale; permeabilitĂ dei suoli

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quelli dell’agricoltura intensiva a parità di superficie (Pousset, Belpomme 2009). La produttività rappresenta una leva importante per attirare investimenti privati (di suolo e capitali) nella logica di una gestione integrata dell’acqua, e al contempo a contribuire allo sviluppo del settore delle energie rinnovabili. In tal caso sono numerose le opzioni per la costruzione di una filiera della biomassa che potrebbe assicurare un ritorno in termini economici, altrimenti dal mercato fortemente instabile. Queste vanno dall’installazione negli edifici pubblici di reti di piccole e medie caldaie a biomassa, alla produzione e vendita diretta di energia agli utenti da parte di società agricolo - boschive. La promozione di tali imprese collettive dovrebbe tuttavia essere immaginata entro una nuova politica energetica ed edilizia che faccia leva su tradizioni consortili - piuttosto che su una deregulation nell’uso energetico delle biomasse - e rivolte alla chiusura di cicli di produzione locale (Lanzani 2015). Il Piano Energetico della Regione Veneto, per esempio, prende attentamente in considerazione il potenziale regionale di valorizzazione energetica della biomassa, valutando in particolare l’abbondante disponibilità di scarti di origine agricola (sarmenti di vite, potature di olivi e alberi da frutta). Tuttavia, per collegare la domanda ad una produzione di biomassa capace di sostenere il mercato locale, è necessario pianificare l’offerta e soprattutto creare reti che mettano a sistema le ridotte superfici agricole tipiche di questa parte di campagna entro raggi e tempistiche di lavorazione il più possibile ridotti. Quanto detto sopra sottolinea l’importanza di un progetto territoriale che riconosca nel valore aggiunto di una gestione collettiva delle risorse, e dei prodotti e servizi ambientali così generati, una leva politica ed economica alla trasformazione dello spazio urbano (Bortolotti et al. 2013). Una riflessione sul Marzenego L’esperienza di lavoro sul fiume Marzenego ha seguito alcune delle riflessioni tracciate fin ora. Lavorando entro la cornice del Contratto di Fiume è stato preso in considerazione l’intero bacino idrografico con l’obiettivo di sviluppare visioni strategiche capaci di rispondere alle criticità e opportunità del suo territorio. Questo, come detto, è esemplare per la maniera in cui al reticolo idrografico, complessa macchina di scolo e irrigazione, si è appoggiato nel passato anche recente e per graduale addizione lo sviluppo urbano (Viganò 2008). Alla stessa maniera, la lettura territoriale ha seguito tre discorsi distinti ma fra loro strettamente correlati: la trama delle

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acque, quella della città pubblica e quella dell’agricoltura, per suggerire logiche endogene di trasformazione e valorizzazione dell’esistente. Per quanto riguarda la trama delle acque, rivolgendosi alla grana fine del territorio si è riflettuto sull’opportunità di intervenire su fossi e canali del reticolo idrografico minore, con l’obiettivo di incrementare la capacità complessiva del bacino nel ritenere le acque in eccesso durante gli eventi di piena. In quanto elementi ancora pervasivi del paesaggio degli spazi aperti, quale potrebbe essere l’impatto di azioni diffuse di allargamento della sezione dei corsi d’acqua? Nel complesso, il reticolo idrografico del Marzenego si estende per 1.898 km lineari e drena fino a 425.300 m3 di volume d’acqua dall’intero bacino in caso di piena. Se solo ogni metro lineare di questa rete potesse accogliere un metro cubo d’acqua, sono stati calcolati necessari 425 km di fossi e canali per ritenere tale quantità, e cioè il 22,4 % dell’intera rete. Di questa rete, 38,4 km sono ancora di proprietà demaniale, composta in prevalenza da corsi secondari come il Draganziolo, il Roviego e altri scolmatori. La restante parte di fossi e canali minori ricade in proprietà privata ed è soggetta alle normative comunali. Il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, che raggruppa e rappresenta i proprietari degli immobili che ricadono nel proprio comprensorio, è l’istituzione principale di attuazione e gestione degli interventi pubblici e privati nel settore delle opere idrauliche e irrigue sul reticolo idrografico. In uno scenario di coordinamento, il consorzio si potrebbe fare promotore degli interventi su capofossi e corridoi principali per poi incentivare l’estensione su fossi di proprietà privata. Tali misure sono state immaginate in coerenza con nuovi interventi sui nodi dell’accessibilità e fruizione delle sponde del Marzenego, e in continuità con i percorsi pubblici che si sviluppano lungo di esse. Allo stesso tempo, anche la valorizzazione del paesaggio rurale è stata considerata in una prospettiva di diversificazione dell’attività agricola e di coinvolgimento dei privati nella manutenzione del territorio attraverso l’accesso alle misure regionali di sviluppo rurale derivate dalla PAC. Ciò potrebbe essere ottenuto per esempio attraverso azioni di inspessimento, ricucitura e razionalizzazione di siepi e filari esistenti a bordo campo lungo fossi e canali, o con la realizzazione di nuovi impianti di agro-forestazione, in linea con gli obiettivi di incremento alla biodiversità e miglioramento della qualità delle acque superficiali. Oltre agli effetti positivi di riduzione dei tempi di corrivazione (e cioè di generazione dei picchi di piena durante eventi di

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pioggia) tali sistemazioni, come precedentemente detto, hanno il vantaggio di aumentare le capacità auto-depurative dei corsi d’acqua, prevenendo l’accumulo di inquinanti nel ricettore finale. Una simile strategia trova piena giustificazione proprio in quelle aree soggette a maggiore rischio idraulico, ma potrebbe essere replicata nell’intero bacino per garantire una migliore distribuzione e ritenzione delle acque. Gli interventi sul reticolo minore potrebbe andare a rafforzare un sistema più vario e robusto di prevenzione del rischio, mettendo a sistema spazi per la laminazione delle piene attraverso l’allagamento temporaneo di aree estrattive dismesse (quali la Cava di Noale, l’ex Cave di Salzano e Martellago, ad oggi zone naturali) e/o di campi sportivi localizzati in prossimità del fiume. Infine, la manutenzione di fossi e canali potrebbe avere un ritorno economico nella gestione di siepi e filari a ceduo per la produzione di cippato destinato al mercato, oppure ad una valorizzazione in loco, tramite la dotazione, in edifici e reti pubbliche di teleriscaldamento, di caldaie a biomassa. Conclusioni Cercando di ricondurre il filo del discorso ad una conclusione, per quanto parziale, rispetto alle riflessioni svolte fin ora, emerge come l’integrazione dei temi legati all’acqua nel progetto urbano richieda almeno tre forme di riflessione. In primo luogo, e su un piano più prettamente interpretativo, dare spazio all’acqua richiede innanzitutto comprendere in profondità le caratteristiche idrauliche e geografiche del territorio, nonché la maniera in cui queste si relazionano con i sistemi urbani e paesaggistici. Questa dimensione conoscitiva si lega alle dinamiche del paesaggio, alla pratiche acquisite nel tempo e attraverso la convivenza con l’acqua o, al contrario, nell’apparente attuale dicotomia tra gestione del territorio e attività antropiche. In secondo luogo, e in una prospettiva più operativa, è necessario che il progetto urbano e territoriale si faccia sempre più carico delle disposizioni comunitarie in materia di ambiente e agricoltura, che tanta importanza danno ad una gestione più sostenibile e integrata dell’acqua, ma che tuttavia mancano di visione prospettica. La traduzione di tali politiche nello spazio, in assenza di esempi di riferimento, richiede con urgenza la realizzazione di progetti pilota e linee guida capaci di definirne le modalità attuative e valutarne l’efficacia in piani e progetti. Infine, e per accompagnare e sostenere processi di traduzione delle politiche in progetti locali, è necessario sviluppare modelli di governance flessibili e adattabili a dif-

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ferenti contesti socio-economici e amministrativi. La riflessione urbanistica oggi non si può più appoggiare ad una descrizione esclusivamente zenitale e normativa del territorio, funzionale ad una interpretazione ‘lineare’ del suo progetto pubblico. A fronte di una contrazione della sfera pubblica, e ridimensionamento di quella privata, il progetto urbano deve ora elaborare strategie di attuazione che fanno leva su un ventaglio il più possibile vario di risorse e attori. In questo senso, e da qualche tempo a questa parte, la gestione dell’ambiente si rivolge sempre più a modelli che assumono forme complesse di co-produzione nella generazione di beni e servizi (Donolo 2005). L’esempio dei contratti di fiume evidenzia come alcuni dei cambiamenti più interessanti si stiano manifestando proprio alla scala locale, attraverso sforzi volti a incorporare unità amministrative e gruppi sociali all’interno dei processi di pianificazione (Carmen Lemos, Agrawal 2006). Nonostante ciò, tale esempio si esprime più specificatamente sul piano della governance, piuttosto che su quello spaziale. Da una parte, la modificazione delle infrastrutture idrauliche risente dell’inerzia al cambiamento dell’intero apparato tecno - amministrativo dominante. Il passaggio da un approccio ingegneristico convenzionale ad uno maggiormente sensibile alle nuove questioni sociali ed ambientali è difatti considerato un processo di trasformazione ancora difficile da perseguire. E di certo, questo processo non può che fondarsi su una revisione del “contratto idro-sociale” alla base degli accordi fra comunità, stato e mercato sulla gestione dell’acqua (Lundqvist et al. 2001). Ma al contempo, l’integrazione di nuovi paradigmi idraulici e ambientali nello spazio si scontra con la difficoltà di definire e promuovere attraverso il progetto urbano una molteplicità di usi del suolo e regolare l’azione di differenti pratiche e attori nello spazio pubblico come in quello privato. In questo frangente, la capacità del progetto di funzionare come strumento operativo integrato, adattabile e collaborativo rimane ancora ampiamente da esplorare.

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ESPLORAZIONI 2 TRAMA IDRAULICA

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1 #2.1. Sinergia e cooperazione In un territorio frammentato e impoverito da pratiche d’uso poco responsabili, i processi di rigenerazione richiedono l'ottimizzazione delle risorse territoriali e ambientali, la sinergia tra le specifiche soluzioni e la cooperazione tra attori. I problemi di esondazione, la recessione del settore agricolo, la scarsa biodiversità, l'inquinamento proveniente dai fertilizzanti, l’utilizzo dell'auto privata come mezzo preferenziale e lo scarso utilizzo del collegamento ferroviario tra le località, sono alcune tra le principali criticità alle quali il progetto cerca di dare una risposta con l’obiettivo di generare sinergia tra miglioramenti economici e benefici sociali. In questo senso la diversificazione delle colture aumentando la complessità del territorio agricolo, favorisce la biodiversità e aumenta la redditività agricola. Allo stesso modo l’ampliamento della sezione delle scoline piantumate a canneto favorisce la fitodepurazione, rallenta il deflusso delle acqua nei fiumi evitandone lo straripamento. Inoltre i canneti sfalciati a rotazione, forniscono biomassa per la produzione di energia da biogas. La messa a sistema di questi interventi e la loro manutenzione genera una infrastruttura utilizzata come collegamento ciclo-pedonale tra i centri urbani e verso le stazioni della linea del SFMR che diventano a loro volta punti di snodo arricchiti da numerose attività per le comunità. Dalle stazioni si snodano i percorsi verso i servizi e le attrezzature collettive distribuiti nei nuclei urbani e verso il sistema di oasi naturalistiche. (AF, IM, AM, SP)

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1. maquette; 2. esploso assonometrico: la strategia; 3. sezione tipo; 4. sguardi nel paesaggio: sezioni; 5. filiera energetica; 6. una porta verso il territorio: nuovo snodo ferroviario.

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#2.2. Lo spessore dell'acqua Sono stati individuati tre ambiti lungo il Marzenego in cui si possono osservare preesistenti tecniche / infrastrutture idrauliche che nel tempo sono servite al funzionamento di questo territorio, nel tentativo di drenare l’acqua in eccesso e di portarla là dove necessaria: l'area di Campalto con le bonifiche del Novecento lungo la gronda lagunare; l'area tra Salzano e Robegano caratterizzata da numerosi fiumi e scoli; l'area a sud di Noale, dove si possono leggere i segni della centuriazione romana. La trama pubblica rappresenta lo spazio materiale in cui il progetto trova la possibilità di concretizzarsi: questa rete, come una maglia porosa distribuita in modo omogeneo sul territorio, può servire a garantire migliori prestazioni di connettività idraulica (controllo e manutenzione), ecologica (opere di rinaturalizzazione e disinquinamento) e di mobilità dolce e capillare. Gli attori e le strategie di intervento proposte spingono verso un progetto di sostenibilità ambientale condiviso: aziende agricole, attività educative, fattorie didattiche e servizi sociali si integrano entro una proposta di nuova fruibilità del territorio. Inoltre una strategia di infiltrazione di siepi e filari alberati necessari a garantire contiguità ecologica tra aziende agricole e zone abitate, faciliterà l'accesso a finanziamenti europei (PAC) e regionali (PSR) per la forestazione, nonché un aumento della biodiversità con conseguente miglioramento della qualità. (TS)

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1. bassorilievi della pianura irrigua (barene, risorgive, centuriazione); 2. strategie di intervento: ambiente; 3. strategie di intervento: agricoltura; 4. sezioni territoriali; 5. connettivitĂ idraulica e connettivitĂ ecologica (diagrammi); 6. scenario 2025: materiali

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#2.3. L'occasione delle placche industriali La presenza di aree produttive di media dimensione costituisce un elemento caratteristico del territorio veneto. Queste aree si trovano generalmente in condizioni di prossimità rispetto ai corsi d’acqua principali e spesso i terreni su cui sono costruiti i capannoni sono fortemente impermeabilizzati. Proprio a partire dal rischio idraulico e dalla necessità di manutenzione del territorio, abbiamo pensato ad un progetto che, nella prospettiva di riuso e riciclo del territorio, possa utilizzare al meglio le potenzialità delle aree industriali e le dotazioni di spazio pubblico e attrezzature collettive che esse offrono. Sono stati selezionati tre casi studio: 1) la placca industriale sud di Noale. Quest’area si trova a stretto contatto con il centro abitato e dunque nel progetto si cerca di ritrovare una sinergia con la dimensione urbana; 2) la placca Noale-Robegano. Quest’area collocata tra Noale e Robegano è un insediamento industriale isolato, circondato dallo spazio agricolo.Il progetto qui si pone l’obiettivo di integrare interventi di tipo ambientale come i bacini di fitodepurazione lungo il fiume con un nuovo sistema di mobilità dolce che rende accessibili gli argini del Marzenego. 3) ex fornace di Salzano. L’area produttiva di modeste dimensioni su cui sorge la fornace dismessa dell’ex cava di Salzano è stata scelta come esempio di area industriale suscettibile di un processo di riuso e riqualificazione nel prossimo futuro. (SC, AP, AP)

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placca industriale | terreno impermabile

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sistema debole degli argini


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AREA DI INTERVENTO 1 | MATERIALI DI PROGETTO

FILARE DI ALBERI

SPAZIO VERDE TRA I RETRI DELLE ABITAZIONI E L’ARGINE

COLTURE COMPATIBILI CON LE ESONDAZIONI

PARCHEGGIO CON ASFALTO DRENANTE

INSPESSIMENTO DELL’ARGINE

ALLARGAMENTO DEL LETTO FLUVIALE 0 10

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PERCORSO CICLO PEDONALE

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BIKE SHARING

AREA DI INTERVENTO 1.1 | MATERIALI DI PROGETTO

COLTURE COMPATIBILI CON LE ESONDAZIONI

BACINI DI FITODEPURAZIONE

FILARE DI ALBERI

1. placche produttive tra Robegano e Noale; 2. azioni di contrasto al rischio idraulico: diagrammi; 3. tre casi studio (Noale, Robegano, oasi di Salzano): impermeabilità dei suoli, sezioni tipo; 4. Noale: ridisegno dello spazio dell'acqua, sezione tipo sulla zona produttiva; 5. Noale: planimetria e sezione di intervento zona sportiva; 6. Noale: planimetria e sezione di intervento zona produttiva

terreno agricolo impermeabilizzato

oasi | bacino di stoccaggio

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fornace dismessa | placca rinaturalizzata


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#2.4. Spazio fluviale come palestra all'aperto Il progetto si inserisce all’interno di un’ottica di rivitalizzazione degli argini e delle aree adiacenti al Marzenego. Considerato il carattere particolare di questo fiume, i cui argini modesti e la prossimità con molti piccoli centri fanno si che esso non sia in grado di ospitare un’infrastruttura ciclabile di collegamento principale, l’ipotesi che viene esplorata è di trasformare gli argini in uno spazio dove passeggiare, fermarsi, fare sport, pescare, ma soprattutto come occasione per dare forma a nuovi spazi collettivi a servizio degli insediamenti adiacenti. La ridefinizione del ruolo degli argini procede parallelamente alla riflessione sulle potenzialità del territorio circostante contraddistinto da una importante trama di coltivazioni, strade carrarecce, filari d’alberi e siepi: qui l’alternarsi di case isolate, colture arboree e seminativi, prati stabili e aree boscate oltre che la costante presenza di canalette per lo scolo delle acque e di filari alberati costituiscono la maggiore risorsa di questo territorio. Il progetto esplora proprio questa possibilità, cioè prova a dare forma a una trama di percorsi che ha il vantaggio di servire sia le esigenze quotidiane di spostamento per andare a scuola, al lavoro, recarsi agli uffici pubblici, connettere i paesi alla mobilità pubblica, ecc. sia l’esigenza di movimento legata al tempo libero. (SDM, GG, GS)

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1. sistema delle acque e rischio idraulico tra Noale e Robegano; 2. attivitĂ collettive sugli argini; 3. intervento sulle scoline; 4. acque e insediamenti: carotaggi; 5. mobilitĂ lenta lungo il Marzenego: concept; 6. ipotesi di progetto; 7. trama dei percorsi ciclabili e trama delle acque: ipotesi di progetto.

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A’

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#2.5. M_argini: lavorare sul bordo Dall’analisi dell’area di Campalto posta sul bordo lagunare è emersa la presenza di un 'articolazione territoriale in fasce funzionali (produttive, residenziali, di collegamento, pubbliche e di interesse naturalistico) che pur offrendo risorse notevoli al territorio, appaiono chiuse in se stesse e sono difficilmente collegate se non attraverso la mobilità veloce. La strategia d’azione si propone di non alterare quest’interessante caratteristica del sito, ma di sfruttarne la morfologia e le potenzialità lavorando sui margini delle fasce, che vengono individuate e caratterizzate per viabilità e funzione. Gli interventi si collocano sui bordi diventando filtri di collegamento che attraverso dispositivi semplici e minimali si propongono di affrontare problemi di natura diversa. Il rischio di allagamento sempre più ricorrente, ad esempio, viene gestito congiuntamente al problema dell’irrisolto collegamento ciclo-pedonale tra i diversi insediamenti, al progressivo indebolimento della struttura ecologica e al rafforzamento del sistema di servizi e attrezzature collettive. Il progetto propone la costruzione di una rete di corridoi ecologici affiancati da una pista ciclabile che contribuiscono a gerarchizzare un territorio frammentato e a renderlo maggiormente leggibile. L’intervento puntuale sul margine consente un collegamento tra spazi d’interesse dando vita in tal modo a nuove e facili connessioni in contesti urbani in cui vengono attivate le potenzialità già a disposizione. (CP, LV, IV + FP, NQ)

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1. analisi territoriali; 2. masterplan e materiali del territorio: acqua, vegetazione, cilabile e atrezzature colletive; 3. sezione longitudinale di progetto; 4-5. esempi di spazi multifunzionali: sezioni e viste assonometriche.

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BENI COMUNI. UN RETICOLO DI LUOGHI E SOGGETTI Cristina Renzoni

Il presente testo ripercorre brevemente le interpretazioni prevalenti che hanno guidato, sia in termini teorici che operativi, discorsi e interventi sulla dispersione insediativa nel corso degli ultimi trent’anni alla luce del paradigma del familismo amorale da un lato e del consumo di suolo dall’altro. Prova a sostenere che la mobilitazione civile che il tema dei beni comuni è riuscito a sollevare negli anni più recenti nel nostro Paese, trovi proprio nei contesti di dispersione insediativa una declinazione in parte ancora inedita. Sia per la scala allargata con cui si confronta – quella metropolitana – che riesce a mobilitare forme di collaborazione territoriali, sia per la molteplicità di spazi collettivi di varia natura (dalle scuole agli argini fluviali, dagli spazi della produzione alla rete idraulica minore, dagli spazi collettivi urbani alle “microcentralità” sparse sul territorio) che chiedono di ripensare modelli di appartenenza e pratiche d’uso da parte delle comunità locali. Prova infine a sostenere che il progetto del futuro di questi territori possa giocarsi sull’abitabilità, sull'accessibilità e sulla presa in carico di una rete integrata di luoghi comuni per i quali impostare una regia di interventi prioritari e di microazioni diffuse.

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Narrazioni Gli sguardi che si sono depositati sull’area centrale veneta nel corso degli ultimi trent’anni hanno osservato un territorio complesso e per certi versi paradigmatico per i processi politici e economici, per le trasformazioni culturali e sociali, per le forme spaziali che azioni individuali e di gruppo hanno sedimentato sul territorio. A fasi alterne l’attenzione alla dispersione insediativa è stata guidata da alcuni discorsi prevalenti che hanno privilegiato alcuni caratteri rispetto ad altri, condizionandone in parte rappresentazioni condivise, strategie di intervento e pratiche di trasformazione. Sebbene strettamente interrelati l’uno all’altro, ci pare possibile identificare due sguardi prevalenti. Il primo ha principalmente osservato la sequenza di manufatti e materiali che si sono depositati sul territorio: la città diffusa è stata osservata a partire dalle strutture economico-territoriali che hanno caratterizzato le economie periferiche e distrettuali, con le molteplici “razionalità minimali” e le relative forme di individualizzazione della società che hanno guidato le trasformazioni spaziali attraverso aggiunte e giustapposizioni progressive di materiali urbani eterogenei. I lavori che hanno dedicato attenzione alle variazioni minute della casa su lotto e della casa-officina hanno raccontato al contempo un mutamento antropologico delle forme del lavoro e dell’abitare, e un modo di costruirsi del territorio secondo alcune figure consolidate e in parte ampiamente riconoscibili (il filamento, la placca, le addizioni di bordo, …) su cui a lungo si è soffermata una letteratura che nelle azioni del descrivere e del nominare ha riconosciuto la propria matrice disciplinare. A partire dagli anni Novanta, in parte a valle di un processo di recessione di quei sistemi economici che avevano guidato le forme tipiche della crescita di questi territori, comincia ad emergere con forza una rinnovata attenzione nei confronti della dimensione ecologicoambientale di cui questi territori sono portatori. Il secondo sguardo ha focalizzato l’attenzione sul suolo, inteso sia come risorsa che come “supporto territoriale” articolato in un complesso sistema di reti idrografiche e infrastrutturali: non si tratta solo della denuncia al consumo di suolo, che va rafforzandosi nella coscienza collettiva locale e nazionale, diventando una delle parole chiave (e delle retoriche alla base) di piani e regolamenti locali e sovralocali, ma anche dell’emergere di un’attenzione nei confronti del valore ambientale del supporto territoriale su cui la dispersione insediativa ha costruito la propria forma e la propria fortuna.

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Gli sguardi sopra ricordati hanno contribuito a consolidare posizioni in parte divergenti, non solo nelle narrazioni della città diffusa, ma anche nel consolidarsi di modelli di trasformazione e di pratiche operative. Infatti, da un lato, l’attenzione alla dimensione privata e familistica della città diffusa ha tralasciato di soffermarsi su una declinazione pubblica e condivisa di urbanità che si sia confrontata, con continuità e su un arco temporale lungo, con modelli differenti da quelli prettamente metropolitani o suburbani cui questi territori non sono completamente ascrivibili. È mancata – anche a fronte di un policentrismo e di un municipalismo che non ha contribuito a facilitare forme di coordinamento e integrazione di strategie di intervento – una scala intermedia del progetto che non ha avuto ancora modo di consolidare una rete di pratiche condivise di progetto e di riqualificazione dello spazio comune, facendo tesoro delle molteplici analogie e differenze con altri contesti metropolitani. Si pensi, ad esempio, alla pavimentazione continua e pervasiva di piazze e di spazi pedonali lungo strada, alla costruzione di microcentralità commerciali spesso introverse e poco dialoganti con il contesto, alla riqualificazione puntuale di alcuni frammenti che faticano a “fare sistema” (Renzoni 2014). Dall’altro la forza con cui negli anni più recenti l’emergere di un’attenzione nei confronti della dimensione ambientale di questi territori ha accompagnato una presa di coscienza – ma anche e soprattutto di una presa in carico di porzioni di territorio – da parte di un numero crescente di attori dalle numerose competenze, in parte attingendo da una tradizione – fino a qualche decennio fa prettamente urbana – di associazionismo “di resistenza” a difesa del patrimonio architettonico, ambientale e paesaggistico. Un associazionismo e una rete di soggetti la cui valenza progettuale è andata acquisendo un peso sempre maggiore, al di là delle istanze di difesa e protezione, verso una progressiva spinta verso il riuso, la rigenerazione e la valorizzazione. Ci pare opportuno segnalare, tra le forme emergenti di risemantizzazione degli spazi e degli usi collettivi, alcuni fenomeni di ricapitalizzazione del vasto patrimonio ambientale esistente, attraverso pratiche anche non istituzionalizzate di uso dei margini fluviali, di rinaturalizzazione di cave abbandonate, di costruzione di sistemi di percorsi tra agricoltura e tempo libero. Tanto più in contesti “periferici” che si mettono oggi in evidenza come possibili laboratori in cui praticare i diritti di cittadinanza, sperimentare buone pratiche ed elaborare nuove “cassette degli attrezzi”.

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filamenti insediativi tra Noale e Robegano (5kmx5km): ricuciture e recapiti.

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Cambiare punto di osservazione La discussione intorno al tema ambiguo e molteplice dei beni comuni si è a lungo soffermata sui contesti per lo più urbani o periurbani, anche a fronte di un’attenzione alla dimensione partecipativa della rappresentazione e definizione stessa di bene comune, della loro identificazione e presa in carico da parte delle comunità e da parte dei numerosi portatori di interesse coinvolti nei differenti processi (Arena, Iaione 2012). Non ci soffermeremo qui sulla numerosa letteratura che in particolare negli ultimi anni ha costituito in Italia un tema di dibattito pubblico dalle declinazioni molteplici e talvolta coprenti (Bevilacqua, Magnaghi 2012; Settis 2013; Mercalli, Goria 2013; Vitale 2013). Quello che ci pare interessante mettere in evidenza è il cambio di prospettiva che la nozione e la pratica dei beni comuni acquista non tanto se osservata nel binomio con il territorio (in cui assume per lo più una valenza ecologico-ambientale), quanto se osservata nella relazione con alcuni contesti insediativi specifici come quelli della dispersione. La città diffusa spinge necessariamente la riflessione sui beni comuni verso un’interazione molto stretta tra le questioni ambientali e quelle più prettamente legate all’urbanità degli spazi collettivi, delle attrezzature pubbliche, dell’erogazione di servizi. Si tratta da un lato di valorizzare un supporto ambientale fatto di acqua, strade e suoli la cui compromissione oggi è all’attenzione pubblica in senso lato; dall’altro di ricucire un sistema poco coeso e frammentato di sistemi insediativi i cui tratti di continuità morfologica non portano con sé anche una continuità di tipo fruitivo e funzionale. Entrambi consentono di mettere in discussione qualità, vivibilità ed equità dei territori della dispersione insediativa: nella loro integrazione e sinergia, nella costruzione di una trama pubblica, risiede la strategia di valorizzazione proposta. Appare urgente tenere insieme e fare interagire la consistente e problematica eredità di quel “welfare reattivo” (Lanzani, Zanfi 2013) che ha costruito a posteriori le dotazioni e le condizioni di abitabilità in questi territori (scuole, campi sportivi, biblioteche, centri civici, parchi, presìdi sanitari, ecc.) con la rinnovata consapevolezza e con le relative forme di attivazione civile che hanno investito tutti quei territori in cui il tema del rischio ambientale ha sedimentato una condivisione di attenzione che presenta delle potenzialità per una rinnovata azione di rigenerazione (Tosi 2014; Renzoni 2015). Al di là di sole risposte tecniche, e al di là della esclusiva soluzione del rischio, questa interazione può costituire a nostro avviso la chiave per

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Zelarino: planimetria intervento di riconnessione Parco Zia/Castellana. Mestre: fotomontaggio intervento lungo l'Osellino.

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ricucire e valorizzare i territori della dispersione attraverso un progetto di messa a sistema e ricapitalizzazione di trame e tessuti esistenti, di relazioni materiali e immateriali tra molteplici luoghi e soggetti. Un’eredità gravosa e al contempo un patrimonio imprescindibile che rappresenta una evidente opportunità per il futuro di questi territori e che trova proprio nella presenza attiva della cittadinanza e nella rete associativa locale uno dei punti qualificanti per pensare e attuare nuove forme di intervento sul territorio. Intorno ai beni comuni nel corso degli ultimi anni hanno preso avvio sempre più ampie mobilitazioni e condivisioni di interesse, in cui le forme di discussione e negoziazione da un lato, e le alleanze e contratti dall’altro, hanno contribuito a rendere più complessa e meno riduttiva la relazione tra domande dal basso e pratiche di attivazione, tra forme di istituzionalizzazione e processi decisionali (Arena, Iaione 2015), anche in contesti piccoli o medio-piccoli che proprio nella scala sovracomunale possono trovare il momento di presa. La scala territoriale diventa quindi una variabile imprescindibile, che chiede uno sguardo più allargato sul territorio, che vada al di là delle singole questioni puntuali, ma che riesca a trovare una scala intermedia di ragionamento e di azione. Da questo punto di vista i contratti di fiume, legati come sono alla dimensione sovra-locale di un corpo idraulico, consentono una condivisione di intenti e di obiettivi al fine di costruire orientamenti condivisi sulla complessità di un intero territorio, che possa andare oltre alle sole questioni idrauliche. Il contratto di fiume del Marzenego da questo punto di vista costituisce un’esperienza di grande interesse per esplorare le potenzialità di una scala intermedia in territori di questo tipo. Recapiti e capisaldi Il corso del Marzenego e il suo bacino idrografico possono essere interpretati come una sorta di sezione territoriale che restituisce una porzione non solo significativa, ma anche rappresentativa della condizione metropolitana dell’area centrale veneta, dalla laguna alla fascia delle risorgive. Letta in questi termini, questa sezione territoriale che si poggia sul fiume e che misura poco meno di 50km, ci consente di sondare le potenzialità di un progetto di ricucitura tra reti e nodi di beni comuni in un contesto di dispersione, sia a partire dai differenti tessuti insediativi che si snodano lungo il corso del fiume e nel suo bacino, sia a partire dalla rete infrastrut-

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turale che lo serve – affiancandolo e attraversandolo – sia osservando la varietà di “spazi del welfare” (Munarin et al. 2011) che vi si distribuiscono in modo capillare. A cavallo tra numerosi e diversificati spazi della produzione, dai campi agricoli alle placche industriali che, disposte prevalentemente ai margini di ciascun confine comunale, punteggiano con regolarità tutto il territorio. Nello spazio potenzialmente isotropico di una metropoli orizzontale (Viganò et al. 2016), appare di primaria importanza individuare da un lato alcuni reticoli possibili su cui organizzare e selezionale le trame di percorrenza e penetrazione territoriale, dall’altro riconoscere e mettere a sistema una serie significativa di recapiti e capisaldi, la cui sinergia possa imbastire un nuovo progetto per il territorio. Infatti il Marzenego in quanto fiume metropolitano porta con sé un numero considerevole di spazi aperti, attrezzature collettive e reti di connessione su cui oggi è necessario porre una rinnovata attenzione a partire da due questioni che interrogano gli strumenti del progetto urbanistico e le forme di condivisione di visioni per il futuro della città diffusa: in primo luogo è necessario ripensare in maniera integrata e sovralocale la dimensione collettiva della dispersione insediativa; in secondo luogo è necessario farlo a partire dai temi dell’accessibilità e della fruibilità del patrimonio attrezzature e del patrimonio ambientale che caratterizza questi contesti (Tosi et al. 2015). Per queste ragioni pare importante riuscire a svolgere un lavoro di regia secondo il modello contrattuale che già alcune esperienze come quella del Marzenego ha messo in piedi, di dialogo e di condivisione di intenti. Alleanze tra amministrazioni, stakeholders e cittadini che possano costruirsi attraverso l’attivazione di una serie di microazioni (il recupero di un argine, l’utilizzo di uno spazio temporaneamente in disuso, l’orientamento dei lavori di manutenzione non solo delle strade, ma anche dei manufatti e degli spazi collettivi) che seguano alcune linee guida condivise e sottoscritte da differenti soggetti e che possano essere frammenti di un progetto comune. Non coriandoli sparpagliati, ma nodi (capisaldi) e punti di arrivo (recapiti) di una rete condivisa e in progetto: un masterplan della fruibilità, come è stato definito nella cornice del Contratto di fiume Marzenego. Per questo è fondamentale un lavoro di ricognizione sul campo che restituisca la complessità dei materiali urbani, dei soggetti presenti, delle domande – più o meno esplicite – che emergono dai differenti contesti, alla luce di un progetto di abitabilità e di qualità della vita in questi territori.

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Riferimenti bibliografici - Arena G., Iaione C., a cura di (2012), L’Italia dei beni comuni, Carocci, Roma. - Arena G., Iaione C., a cura di (2015), L’età della condivisione. Le collaborazioni tra cittadini e amministrazioni per i beni comuni, Carocci, Roma. - Bevilacqua P., Magnaghi A. (2012), Il territorio bene comune, Firenze university press, Firenze - Lanzani A., Zanfi F. (2013), “Un territorio ibrido e complesso, a un bivio evolutivo”, in Lanzani A. et al., Quando l’autostrada non basta. Infrastrutture, paesaggio e urbanistica nel territorio pedemontano lombardo, Macerata, Quodlibet, pp. 44-67. - Mercalli L., Goria A. (2013), Clima bene comune, Bruno Mondadori, Milano - Munarin S., Tosi M.C., Renzoni C., Pace M. (2011), Spazi del welfare. Esperienze luoghi pratiche, Quodlibet, Macerata. - Renzoni C. (2014), “Diffusa e attrezzata. Dotazioni urbane e dispersione insediativa”, in Fabian L., a cura di, New Urban Question. Ricerche sulla città contemporanea, 20092014, Aracne, Roma, pp. 76-83. - Renzoni C. (2015), “Welfare urbano e dispersione. Bilanci e strategie per la città diffusa”, in Fabian L., Marini S., a cura di, Nella ricerca: FutuRe-Cycle, Giavedoni - IUAV DcP, Pordenone, pp. 116-132. - Settis S. (2013), Il paesaggio come bene comune, La scuola di Pitagora, Napoli - Tosi M.C. (2014), “Veneto attrezzato e accessibile”, in Fabian L., a cura di, New Urban Question. Ricerche sulla città contemporanea 2009-2014, Roma, Aracne, pp. 64-75. - Tosi M.C., Ferrario V., Faraone F., Renzoni C., Bortolotti A. (2015), "Trama pubblica lungo il Marzenego", in Fabian L., Munarin S., Donadoni E., a cura di, Re-cycle Veneto, Aracne, Roma, pp. 158-175. - Viganò P., Secchi B., Fabian L., eds. (2016), Water and Asphalt. The Project of Isotropy, Park Books, Zurich. - Vitale E. (2013), Contro i beni comuni. Una critica illuminista, Laterza, Roma-Bari.

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ESPLORAZIONI 3 TRAMA PUBBLICA

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#3.1. Potenziare reti Tra Noale e Trebaseleghe, il territorio lungo il fiume Marzenego è caratterizzato da un tessuto insediativo molto diffuso che si densifica considerevolmente in corrispondenza dei quattro nuclei urbani di Noale, Massanzago, Fossalta e Trebaseleghe. La caratterizzazione ecologica ambientale dello stesso territorio è molto omogenea con spazi rurali relativamente estesi attraversati da un reticolo molto fitto di corsi d’acqua siepi e filari. Tema del progetto è la ricucitura del rapporto tra insediamenti e fiume attraverso il reticolo di sentieri e filari presenti nello spazio rurale. Una nuova trama che è l’esito del potenziamento e della ricucitura dei frammenti esistenti e che consente di migliorare l’offerta di servizi e attrezzature collettive. Dentro ai centri questa è l’occasione per rafforzare la continuità dei percorsi pedonali rispetto al sistema dei servizi e delle attività collettive, come le scuole, gli impianti sportivi, i parchi e gli uffici pubblici. Fuori dai centri si cerca di rinsaldare la connessione ciclabile e pedonale con le aziende agricole che propongono attività didattiche, vendita diretta prodotti naturali o agriturismi, con gli argini del fiume. Infine, nelle aree produttive il progetto propone di potenziare i sistemi di mobilità lenta e garantire una diversa accessibilità a chi fruisce dei servizi presenti in queste aree (MB, MR)

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tema_01 IL MARGINE striale; ristabilire spazi e gerarchie urbane tramite percorsi di collegamento, parcheggio di interscambio e servizi di bike rent

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tema_02 IL RETRO sconnessi dal tessuto urbano esistente

tema_03 LA CONNESSIONE SPAZI PUBBLICI - FIUME rent)

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1. ricucire trame tra Trebaselego e Massanzago; 2. strategie di intervento, 3 nuovo sistema di mobilitĂ lenta tra Trebaseleghe e Massanzago; 4. diagrammi interpretativi

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#3.2. Trame pubbliche, di acque e di scuole Negli ultimi anni la discussione attorno al rapporto della città di Mestre con il fiume si è riaccesa, riscoprendo così un rapporto tra l’acqua e la città ormai quasi dimenticato. Il fiume può diventare il filo conduttore di un sistema che permette la completa permeabilità e fruizione di spazi rimasti al margine. Gli spazi aperti esistenti e praticati sono aree introverse e separate: ciò che manca è l’integrazione tra di esse attraverso dei sistemi che vadano a ramificarsi all’interno del tessuto urbano coinvolgendo anche quegli ambiti rimasti ai margini. Molte strutture attrezzate fanno parte di spazi di pertinenza scolastica. Ad esempio, alcuni complessi scolastici situati nei pressi del Marzenego non risultano minimamente relazionati a quest’ultimo, anzi sono separati, distanti e questa organizzazione “introversa” riduce le potenzialità aggregative e la costituzione di sistemi continui di percorsi pedonali, ciclabili e spazi collettivi. L’ipotesi che abbiamo proposto a Mestre è di dare forma ad un sistema di scuole, servizi e parchi utilizzando come catalizzatore il fiume Marzenego e gli spazi aperti vuoti o abbandonati lungo il suo corso. L’intento è duplice: da un lato ridare centralità al fiume e dall’altro inserire un nuovo sistema di mobilità lenta attraverso cui connettere i principali servizi e attrezzatture collettive all’interno del centro urbano. (AP, FO, AV)

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1. Mestre, distretto scolastico lungo il Marzenego; 2. Mestre, distretto scolastico Bissuola; 3. sistema di connessione tra le scuole e il fiume; 4. masterplan e layer tematici

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1 #3.3. Emerald necklace, Mestre La riconnessione della città lungo il canale dell’Osellino chiede di lavorare a tre scale: 1) Il bosco dell’Osellino accanto al quartiere Pertini, rientra nel progetto più ampio del Bosco di Mestre: la rimessa in gioco di tale area con i collegamenti su ampia scala di questa collana di smeraldi è pensata per valorizzare le aree verdi e i quartieri attigui, che diventano così parte di un disegno più ampio di città. Si intende progettare l’interconnessione attraverso canali verdi. 2. La seconda scala riguarda la connessione del sistema di spazi del welfare: scuole, poli sportivi, spazi verdi, i parchi, nonché tutti quegli spazi aperti interstiziali presenti tra i quartieri e gli edifici. Tali zone sono infatti gli smeraldi più piccoli della stessa collana la cui messa a sistema può garantire continuità tra uno spazio aperto e l’altro. Gli spazi interstiziali vengono recuperati per diventare un canale verde di collegamento che coinvolge anche altri parchi presenti sul territorio nonché l’asse del fiume Marzenego. 3. La terza scala progettuale è quella che prende in esame il collegamento tra il quartiere Pertini e il Villaggio San Marco al di là del canale dell’Osellino, instaurando un rapporto sinergico. Il fiume Marzenego da confine diventa elemento di unione e le sue sponde sono pensate come un nuovo waterfront urbano. (MC, MC, VR)

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1. la collana di smeraldi a Mestre est; 2. sequenze di spazi aperti lungo il fiume; 3. connessione tra quartiere Pertini e villaggio San Marco; 4. qualitĂ degli spazi collettivi (illuminazione e materiali); 5. concept

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1 #3.4. Rimarcare i bordi e ricucire il tessuto Scenario 1. Il bordo della città: dove gli insediamenti di frangia si interfacciano con lo spazio agricolo, l’azione più forte che si vuole proporre è quella di rimarcare e di inspessire in maniera netta e decisa il bordo della città densa, sul vuoto dello spazio agricolo. La prima strategia prevede la costituzione di una zona verde cuscinetto, che in parte ridefinisce il bordo e dall’altra offre opportunità per diverse attività sociali. Scenario 2. L'interfaccia interna: il secondo scenario si sviluppa lungo un confine largo, in cui la città perde compattezza e nelle sue maglie si inseriscono blocchi di lottizzazioni. L’obiettivo principale in questo contesto è quello di ridare integrità e scandire gerarchie. Si è scelto di lavorare con il piano stradale di alcune arterie cittadine e tutte le superfici minerali che si aggrappano ad esso. Interventi lineari che ristabiliscono una continuità fisica e visiva, e che a loro volta, coinvolgono gli spazi pubblici della città prossimi. Scenario 3. Un punto strategico: l’area di progetto è definita geometricamente come un triangolo che dalla campagna entra fino alla città, è proprio in questo ultimo vertice che si sviluppa l’ultimo scenario. La particolarità del luogo offre un’occasione unica di intervento: dove il fiume Marzenego si dirama poco prima di attraversare il centro storico di Mestre e un tessuto urbano che vede la compresenza di tutti e tre gli ambiti (agricolo, di frangia e compatto). (AB, GC, FD)

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SCENARIO UNO: IL BORDO DELLA CITTA’ CITTA’ DI FRANGIA | CITTA’ AGRICOLA ASSONOMETRIA 1:500 | SEZIONE 1:200

SCENARIO DUE͕ L’INTERFACCIA INTERNA CITTA’ COMPATTA | CITTA’ DI FRANGIA ASSONOMETRIA 1:500 | SEZIONE 1:200

PARCO

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SCENARIO TRE: UN PUNTO STRATEGICO CITTA’ COMPATTA | CITTA’ AGRICOLA ASSONOMETRIA 1:500 | SEZIONE 1:200

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1. tipi di bordi; 2. tipi di sistemi insediativi e spazi aperti; 3. rapporto tra frangia urbana e spazio dell'acqua; 4. carotaggi urbani, Mestre Gazzera e via Olimpia; 5. ipotesi di progetto; 6. sequenza spazi pubblici e privati

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ESPLORAZIONI 1 trama agraria

ESPLORAZIONI 3 trama pubblica

1.1. Una rete nascosta: sfalci programmati lungo la fascia delle risorgive Alessandro Di Vera Stefano Fontolan Ilaria Rampazzo

3.1. Potenziare reti Marco Bogoncelli Matteo Rizzo

1.2. Ritagli, prese, microricuciture Ettore Marcellan Mauro Panziera 1.3. Oasi di Noale e Salzano: due nuove centralitĂ Laura Antiga Veronica Brusauro Irene Pivato

ESPLORAZIONI 2 trama idraulica 2.1. Sinergia e cooperazione Alvise Moretti Andrea Fantin Irina Manteescu Silvia Possamai 2.2. Lo spessore dell'acqua Teresa Spinazze 2.3. L'occasione delle placche industriali Susanna Campeotto Andrea Pagan Andrea Pasqua

3.2. Trame pubbliche di acque e di scuole Angela Perazzolo Francesco Oddo Alberto Vivianetti 3.3. Emerald Necklace, Mestre Marta Casarin Maria Cigliano Valentina Rossi 3.4. Rimarcare i bordi e ricucire il tessuto Alessio Bacchin Giacomo Casarin Fabrizio D’Angelo

RACCONTO FOTOGRAFICO Dalla parte dell'acqua Susanna Campeotto Andrea Pagan Andrea Pasqua RACCONTO FOTOGRAFICO Tracciati e orizzonti Alessandro Di Vera Stefano Fontolan Ilaria Rampazzo

2.4. Spazio fluviale come palestra all'aperto Silvia Di Meo Giorgia Guiotto Giovanni Saccarola 2.5. M_argini: lavorare sul bordo Claudia Pagnacco Lorenza Villani Isabella Vivaldi Florent Paoli Nicolas Quirot

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ESPERIENZE

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TERRITORI CONTRATTUALIZZATI Claudia Faraone

Presupposti di sfondo Il 2 febbraio 2016 è entrato in vigore il "Collegato Ambientale" alla legge di stabilità 2014 e i contratti di fiume sono stati finalmente riconosciuti dallo Stato italiano. Il collegato ambientale "Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali" è stato approvato dalla Camera il 22 dicembre 2015 e all'art.51 istituisce le Autorità di bacino distrettuali; all'art. 55 un "Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico"; all'art. 59 definisce i contratti di fiume. Un bel passo in avanti per un paese a forte presenza d’acqua ed elementi geografici naturali a rischio che, confrontando l’atlante della Mappa del rischio climatico nelle città italiane (http://www.planningclimatechange.org/atlanteclimatico) dal 2010 ha subìto 112 gravi fenomeni metereologici che hanno provocato pesanti danni al territorio urbano, con casi di allagamenti da piogge intense, trombe d’aria ed esondazioni pluviali, danni alle infrastrutture e al patrimonio storico, oltre che numerosi feriti e 138 vittime. Questo percorso di riconoscimento, consapevolezza e azione per la mitigazione del rischio idraulico è molto positivo, ma va comunque a rilento

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nel processo di messa in sicurezza dei territori abitati rispetto a contesti come la Francia dove il contratto come strumento di programmazione negoziata è stato introdotto sin dagli anni ottanta (Bastiani 2011). Come evidenziato in diversi contesti, il territorio italiano fortemente costruito e antropizzato è sempre più esposto ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici estremi (Fabian, Viganò 2010; Musco, Zanchini 2014) e dalle conseguenti minacce idauliche che ne derivano. Questo stato delle cose chiama in causa prima di tutto il governo del territorio (Magnaghi 2011; Tosi 2012) e in secondo luogo ciò che nei territori urbanizzati si può fare per mitigare e attutire queste condizioni estreme: i contratti di fiume in qualità di atti in cui c’è la condivisione di un impegno da parte di soggetti pubblici e privati che sono coinvolti in vario modo con il fiume e la sua valorizzazione, sembrano offrire un plateau di discussione proficua a riguardo. Non è un caso che questo strumento di negoziazione territoriale sia stato ripreso negli anni ottanta, in quanto già da fine anni settanta si torna a ragionare sulla categoria di contratto e il suo senso in ambito sociale e di conseguenza urbanistico (Bobbio 1980). Sono anni in cui non si immaginava più un governo che decidesse per tutti ma al contrario un nuovo contratto sociale del "conflitto territoriale regolato". Da questa necessità, il riverbero sul territorio si è manifestato con una stagione molto prolifica di urbanistica negoziata, con patti territoriali, accordi programmatici che hanno cercato di sopperire alle mancanze dell’urbanistica tradizionale, soprattutto quella top-down. Per entrambi un bilancio è ancora in fieri, nonostante ciò, un passo avanti, un salto oltre lo steccato, è stato fatto da ricerche e riflessioni che sempre più stanno guardando oltre la norma e oltre il piano, provando a misurarsi con le nuove forme di comunità (Brunetta, Moroni 2011) o i nuovi strumenti culturali per l’urbanistica (Bianchetti 2011). Questo contributo prova a porsi a metà tra il bilancio e il passo oltre e propone una riflessione sul contratto, la sua natura, il suo utilizzo come forma di negoziazione partecipata delle "cose" territoriali. Contratto e città: alcuni spunti Provare ad affrontare le questioni poste dalla gestione e miglioramento della città esistente e dei suoi spazi collettivi e in comune richiede ai processi di manutenzione e riqualificazione che tengano conto dei diversi

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aspetti di un territorio abitato esistente: fisico-spaziale, socio-economico, ma anche culturale e ambientale. A partire dalla crisi degli impalcati disciplinari dell’urbanistica, soprattutto per quanto concerne i suoi strumenti, nell’ultimo decennio infatti si è assistito alla proposta di nuovi modi e forme di rigenerazione urbana e regionale, ovvero di scala vasta, che si sono confrontati con le istanze dettate dal cambiamento delle condizioni sociali, economiche e politiche degli ambiti in cui la pratica urbanistica si attua. Il periodo di crisi socio-economica che stiamo affrontando e la dispersione insediativa che ha caratterizzato la crescita del paese nei passati cinquant’anni, costruendo più di quello che si era realizzato nei secoli precedenti, ci chiedono da tempo di provare a ripensare un’azione sullo spazio abitato esistente, immaginando conoscenze, modi e strumenti capaci di governare dinamiche di trasformazione complesse (Caudo 2007). Nello stesso tempo richiedono lungimiranza nella gestione del rapporto tra urbanistica, servizi, sviluppo urbano e della comunità, questione dirimente il vivere insieme e nella città, intesa come amministrazione del bene comune. Nel caso del bene comune inteso come pubblico, Karrer e Ricci rilevano come "proprio a partire da questo legame l’amministrazione pubblica alle diverse scale, in prima istanza comunale e provinciale, non ha solo il ruolo di erogare direttamente i servizi di propria competenza, ma anche quello di "coordinare", per quanto possibile, in forme diverse, i servizi stessi, relative modalità di erogazione, che sul territorio amministrato vengono offerti da altri soggetti, sia pubblici che privati" (Karrer, Ricci 2003). Per questo gli strumenti di urbanistica negoziata quali i contratti hanno ripreso forza dopo una stagione applicativa rilevante, con non pochi successi ma anche alcuni fallimenti. Forza data dal fatto che finora i contratti intesi come patti territoriali avevano guardato più all’elemento immateriale degli attori e della gestione del territorio che non alla natura della componente fisica e le questioni che solleva, condivise dai diversi attori: si passa cioè da accordi di programma a contratti su elementi geografici definiti, il fiume, la foce, elementi definiti e riconoscibili. Contratto sociale e contratto naturale Cos’è un contratto? Come si pone in relazione alla città e i suoi territori? Secondo l'art. 1321 del codice civile italiano, il contratto è "l’accordo di

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due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale". Inoltre, il contratto è sia un modo di acquisizione di diritti reali sia una fonte di obbligazioni. Fonte del diritto, la forza vincolante del contratto "deriva dall’accordo fra parti astrattamente eguali e dall’accettazione del principio di reciprocità". Il contratto come strumento di accordo tra due o più parti può avere diverse declinazioni secondo il campo in cui è applicato: vi è, infatti, una dimensione sociale del contratto, che quindi regola il vivere insieme. Questa prospettiva parte dall’assunto esplicitato da Bobbio che fa riferimento anche ad altri giuristi, politologi e sociologi per il quale il potere si è socializzato (Bobbio 1980) confermando una tendenza alla "privatizzazione del pubblico" che ha portato giocoforza il negoziato, e principalmente il contratto, a divenire modalità di gestione dei rapporti di potere per eccellenza. Gianfranco Miglio, citato da Bobbio, afferma che "i regimi veramente monistici sono un mito e che il comportamento privatistico dei pubblici poteri è probabilmente un ulteriore segno dell’indistruttibilità dell’area del mercato e del contratto" (Bobbio 1980). Laddove, secondo l'autore, la categoria fondamentale del diritto privato è il potere sui beni, "mentre la categoria del diritto pubblico è il "potere sugli uomini" (imperium). "Queste due forme di potere riconoscono due modi principali e specifici di produzione normativa (o, più correttamente, due fonti del diritto), rispettivamente il contratto, la cui forza vincolante deriva dall’accordo fra parti astrattamente eguali e dall’accettazione del principio di reciprocità, e la legge, la cui forza vincolante deriva dall’esercizio esclusivo del potere coattivo. Sinteticamente, tutta la storia della formazione dello stato moderno può essere interpretata, per un verso, come fine della confusione fra dominium e imperium, con la crisi della stato patrimoniale e con la nascita dello stato amministrativo o di polizia" (Bobbio 1980). La riproposizione del contratto si pone dunque come strumento per una forma di gestione del territorio, un bene, capace di raccogliere le proposte di tutti e trovare un compromesso, attraverso l’assunzione di un impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti per la propria competenza e l’obbligo di portarlo a termine. Contratto e territori Riferito all’urbanistica e al governo del territorio, il contratto si è declinato negli anni sotto varie forme, che potrebbero essere tutte comprese

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all’interno del grande cappello dei patti territoriali (Magnaghi, 2011). Vi si riconoscono due stagioni, la prima con una finalità di sviluppo socio-economico comprendente i contratti di sviluppo territoriale, di programma o di area, e i contratti di quartiere. La seconda e più recente stagione ha finalità di sviluppo integrato sostenibile che comprende i contratti territoriali per il paesaggio o un ambito omogeneo, i contratti ambientali per le foreste e l’agricoltura e infine i contratti di corpo idrico, in altre parole di fiume, di falda, di lago e di costa (Bastiani 2011). A questa prima stagione di contratti frutto di un’urbanistica negoziata riformista, ma basata su un dibattito principalmente incentrato sul tipo di accordo da fare, su un oggetto di tipo territoriale, sullo strumento, si è passati a un contratto che ha iniziato a mettere in relazione la sfera umana con la sfera del mondo terrestre. Il contratto è uno strumento non solo di gestione delle trasformazioni ambientali, ma anche della convivenza e uso di spazi e servizi che si fanno pubblici o che non sono necessariamente pubblici ma sono investiti da una vocazione collettiva quindi urbana, laddove l’amministrazione pubblica si pone come coordinatrice dei servizi e delle modalità di erogazione offerti da soggetti sia pubblici che privati. In quest’ultimo caso, rilevano Brunetta e Moroni (Brunetta, Moroni, 2011) negli anni si sono andate via via sviluppando e consolidando delle comunità contrattuali che di rimando hanno avuto e stanno avendo la capacità di influenzare le regole e le politiche pubbliche. E proprio in virtù del riconoscimento di quest’altra dimensione, a fronte di un’emergenza ecologica e ambientale senza precedenti e che ha portato a grandi rischi e un elevato sentimento d’insicurezza, che il contratto si ripresenta come strumento capace di riallacciare un rapporto di dialogo tra noi (umanità) e il mondo restante, cosiddetto naturale, il mondo fatto di tanti elementi geografici e territori non umani. Un nuovo patto tra gli attori e i portatori d’interesse che si rivolgono all’elemento geografico di riferimento sotto il cappello di quello che Michel Serres definisce "contratto naturale". Contratto naturale Si tratta cioè della "necessità di rivedere e anzi di rifirmare il contratto sociale primitivo", come scrive Serres (Serres 1991) laddove il contratto sociale fornisce la base per un’associazione che di fatto permette la convivenza su questo mondo e di fronte a qualsiasi pericolo, il filosofo ci esorta a "un patto nuovo da firmare con il mondo: il contratto naturale. S’incro-

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Contratto di fiume Marzenego, mappa degli stakeholders

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Comune di Loreggia

WWF Comitato Noale Ambiente

Comune di Noale

Comune di Salzano

Ass. Terraviva

Coldiretti di Padova

Comune di Venezia-Mestre

Consorzio di Bonifica Acque Risorgive Confederazione Italiana Agricoltori Coldiretti Confagricoltura Ass. Amici della Poiana Ass. Aqua e Tera Ass. storiAmestre Ass. Vivere la laguna Gruppo La Salsola UniversitĂ Iuav

Comune di Spinea

Comune di Martellago

Comune di Scorzè

Comune di Trebaseleghe

Comune di Camposanpiero

Comune di Massanzago

Comune di Piombino Dese

Ass. Cason de Pometo

Comune di Resana


ciano così i due contratti fondamentali" (ibidem). È evidente come sia proprio questo che i contratti di fiume e tutti quelli concernenti gli elementi naturali provano a fare. Nel suo libro "Contratto naturale" Serres prova a tracciare in termini filosofici una base teorica a sostegno delle azioni di tutela per l’ambiente e di mitigazione delle questioni legate al maltrattamento del territorio, dato tra gli altri dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici, tenta di ristabilire un fondamento epistemologico e fondativo nei principi di un contratto tra l’umanità intera e la terra (madre). Il contratto naturale quindi come accordo che argini la "violenza oggettiva" così come definita da Serres, in altre parole quella senza fine, data dalle minacce ambientali e non quella data dal conflitto tra due o più parti per le quali prima o poi un compromesso si raggiunge. Basato su un lungo tempo, il contratto naturale tra il collettivo globale e il mondo s’imposta su un principio di simbiosi e reciprocità invece che dominio e proprietà. In questo senso i contratti di fiume, così come tutti quelli di corpo idrico e ambientali hanno molte più possibilità di avere successo poiché si basano su un approccio di sviluppo integrato sostenibile e non su modelli di sviluppo socio-economico come per la prima stagione di contratti. In altri termini si aggiunge la minaccia del rischio, in questo caso idrogeologico. Doreen Massey (Massey 2012) s’interroga sui modi in cui il paesaggio come interpretazione soggettiva dello spazio aperto e costruito, oltre ad essere soggetto ai diversi sguardi è soggetto alle diverse dinamiche politiche e di potere, e già nel 2005 si pone proprio questa domanda: a chi appartengono questi territori? Sicuramente i proprietari sono molteplici e i poteri che lo influenzano numerosi, ma è proprio con il contratto che si arriva ad accogliere le diverse richieste che lo riguardano. Secondo Bastiani il contratto di fiume svolge un ruolo di catalizzatore dei soggetti interessati allo sviluppo di strategie fluviali, al pari di Agenda21Italy per le politiche ambientali o il Patto dei Sindaci in campo energetico (Bastiani 2011). Al termine "politico" di potere sostituisce "etico e collettivo". Ce n’è abbastanza da convincerci a guardare con occhi nuovi e propositivi a sfide come quelle lanciate dal contratto di fiume Marzenego. Contratto di fiume Marzenego Il Marzenego è un fiume che ha origine nei pressi di Resana in provincia di Treviso, da sorgenti risorgive, attraversa i comuni delle due province di Pa-

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dova e Venezia e infine attraversa la città di Mestre e il suo centro storico per andare a sfociare nella laguna di Venezia. Il Contratto di Fiume Marzenego è stato attivato ad aprile 2014, anche se i primi passi si muovono già dal 2013 in seguito e come risposta alle inondazioni occorse nell’entroterra mestrino tra il 2007 e il 2009 per le quali si chiedeva conto al Consorzio di bonifica Acque Risorgive, gestore ed ente deputato alla manutenzione del fiume e dei suoi argini. In seguito a diversi incontri con le istituzioni e le popolazioni fu evidente che questi accadimenti erano molto più complessi di quanto una caccia al capro espiatorio potesse supporre. Promosso dal Consorzio stesso, che partecipò a un bando della regione Veneto e ricevette i finanziamenti per poterlo sviluppare, il Contratto di Fiume si è quindi proposto come un percorso di riflessione e interazione tra tutte le istituzioni coinvolte e la cittadinanza. Essendo un "atto volontario d’impegno condiviso da diversi soggetti pubblici e privati", si è articolato in diversi momenti d’incontro-confronto, laboratoriale e di lavoro sul campo, d’interazione e coinvolgimento delle associazioni di cittadini, portatrici di diversi interessi e intenzionate a contribuire. Questi stakeholder dunque erano e sono a vario titolo interessati al corso d’acqua con l'idea di "trovare modalità condivise per perseguire obbiettivi di riqualificazione ambientale, paesaggistica e di rigenerazione socio-economica del sistema fluviale", come esplicitato nel sito istituzionale del contratto di fiume. Partecipano alla costruzione per la stipulazione del contratto un’ampia compagine d’istituzioni, i rappresentanti dei Comuni attraversati dal fiume (Resana, Piombino Dese, Loreggia, Trebaseleghe, Camposampiero, Massanzago, Noale, Scorzè, Salzano, Martellago, Spinea e Venezia), il Magistrato alle Acque di Venezia, le rappresentanze politiche e dell’amministrazione della Regione Veneto e le province di Treviso, Padova e Venezia. A questi si aggiunge un ampio spettro di associazioni di cittadini riunite nel Coordinamento del Forum per il Contratto di Fiume Marzenego–Osellino: dall'associazione Vivere la Laguna al Comitato allagati di Favaro Veneto, dall'Associazione StoriAmestre a Legambiente Venezia, per un totale di ventitré associazioni di cui si rimanda all’elenco dettagliato sul sito del Forum delle associazioni https://marzenego.wordpress.com/chi-siamo/. Dal punto di vista giuridico il contratto è descritto come un accordo di programmazione negoziata che "consente di individuare un Programma di Azione in cui possano trovare spazio le azioni strategiche per il territorio". Sul sito ufficiale del contratto di fiume ospitato dal Consorzio Acque Ri-

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sorgive http://www.acquerisorgive.it/cdfmarzenego/ si trovano tutti i materiali esplicativi e normativi, nonché la prima fase di analisi conoscitiva, esito della raccolta e incrocio di dati e numerosi sopralluoghi, a cura della segreteria tecnica del contratto coordinata dall’ing. Giancarlo Gusmaroli con Cinzia Zugolaro e composta dai rappresentanti del Consorzio di bonifica (direttore Carlo Bendoricchio), dal Comune di Venezia Franco Schenkel, da Regione e Provincia. Successivamente ci sono stati alcuni momenti di interazione con quattro tavoli di lavoro tematici (ambiente e natura, fruizione, rischio idraulico e assetto del territorio), l’ultimo coordinato con le attività del workshop Re-Cycle Ve-Net dell’università IUAV, tenutisi a fine 2014. Successivi incontri di coordinamento ed esposizione degli esiti delle ricerche dell’Università IUAV di Venezia; dell’associazione StoriAmestre nel sito http://www.ilfiumemarzenego.it/ e una fase conclusiva di integrazione delle istanze e degli impegni. Il contratto ha beneficiato di esplorazioni progettuali, letture geografiche e trasferimento di competenze tra università e istituzioni. I risultati di tutti questi confronti sono confluiti in un set di 22 misure e 64 azioni che la rete territoriale firmataria del contratto si è impegnata a sviluppare, seguendo la direzione condivisa di quattro obiettivi generali indicati dal contratto. Gli obiettivi da perseguire per poi impegnarsi a realizzarne quanti più possibile attraverso le misure e le azioni sono "migliorare la funzionalità ecologica e paesaggistica, gestire il rischio idraulico in modo integrato, valorizzare i luoghi sotto il profilo socio-economico e tutelare la qualità della vita delle comunità locali che insistono sul bacino fluviale". In occasione delle elezioni comunali di Venezia, tenutesi tra fine maggio e metà giugno 2015, il processo del contratto ha avuto un momento di rallentamento, ripreso non appena la nuova amministrazione si è insediata. Il 6 novembre 2015 è stato firmato e illustrato in conferenza stampa l’accordo di programma quinquennale sottoscritto da tutti gli attori coinvolti a meno del comune di Venezia che sconta un ritardo dato dall’insediamento della nuova amministrazione eletta diversa da quella che aveva seguito il contratto. Per l’attuazione delle azioni sottoscritte sono tuttora in atto le Assemblee pubbliche di bacino che periodicamente e di comune in comune indirizzano e coordinano le mosse per raggiungere gli obiettivi sui quali i diversi attori si sono impegnati. Quando si parla di governance si pone soprattutto l’accento sulla parte immateriale del processo e degli ambiti che regola, della loro gestione

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e valorizzazione, condividendo le proposte con gli abitanti e stakeholder: all’interno di questo Contratto di Fiume Marzenego, invece, sono state avanzate anche proposte progettuali che si confrontano con l’assetto dello spazio fisico e si preoccupano dell’impatto che i cambiamenti avranno sugli abitanti e la loro cultura del fiume guardando alla mitigazione del rischio idraulico e alla trasformazione. Conclusioni aperte Quanto detto permette di avanzare alcune ipotesi e prime riflessioni in merito a uno strumento che sembra presentare elementi innovativi e interessanti per futuri sviluppi nel campo delle politiche di rigenerazione nella città neoliberale e i suoi territori. In particolare il loro ruolo di progetti di ricucitura: fisica, amministrativa, d’intenti. Una ricucitura che, se avviene sul capitale frammentato di attrezzature e servizi pubblici che nel dopoguerra si sono depositati sul territorio (Munarin et al. 2011) può contribuire a mitigare quelle forme di ingiustizia sociale che si rispecchiano nello spazio: mancanza di servizi e attrezzature, inaccessibilità alle infrastrutture ambientali e della mobilità dolce, carenza di alloggi sociali, rischio idrogeologico. Lavorare con la città esistente presuppone provare a re-immaginarla avanzando proposte che affrontino i temi salienti della nuova questione urbana (Secchi 2013). Il contratto è diventato il banco di prova, il tavolo dove i cittadini possono suggerire soluzioni discutendole con i soggetti tecnici e politici responsabili delle trasformazioni. É stato quindi utilizzato come strumento di mediazione degli interessi in campo e di messa "in comune" (Dehaene 2012). Da queste prime riflessioni emergono alcuni elementi per un’analisi critica: il tempo lungo dell'attuazione, le modifiche avvenute in corso d'opera, la complessità delle reti di partecipazione attivate, il protagonismo o l’assenza di alcuni attori chiave. Nonostante i punti critici, emerge il ruolo svolto da questi programmi complessi nell'azione di ricucitura di una trama pubblica in cui proposte spaziali e coinvolgimento degli stakeholder vanno di pari passo. Il consolidamento di trame e reti territoriali è indispensabile per la realizzazione di programmi complessi di area vasta a carattere ambientale ed è facilitato dal fatto che si riferisce a un preciso ambito geografico. L'esperienza del contratto di fiume del Marzenego ha sicuramente dimostrato che una cabina di regia capace di gestire contemporaneamente le

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forme della relazione istituzionale e delle associazioni e il portato spaziale della trasformazione futura sono condizioni senza le quali si rischia la paralisi delle trasformazioni stesse o un lavoro scoordinato e controproducente. Con l'intento di rilanciare la dimensione pubblica e collettiva del progetto di trasformazione urbana alla scala territoriale, questi strumenti ci permettono di guardare alla pratica urbanistica come disciplina flessibile e capace di adattarsi alle diverse scale e connotazioni, cogliendo le opportunità e risorse esistenti.

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IL CONTRATTO DI FIUME MARZENEGO: PREMESSE E OBIETTIVI Carlo Bendoricchio Giancarlo Gusmaroli

Il fiume e la comunità Il fiume Marzenego nasce nell’entroterra veneziano, nel cuore della pianura veneta, alimentato da un residuale sistema di risorgive e, tramite una connessione idraulica regolata presso Castelfranco Veneto, da un sottobacino che si estende fino alle propaggini delle Prealpi venete. Sfocia in Laguna di Venezia, di fronte alla città anfibia, dopo un percorso di circa 40 km, drenando un bacino di circa 140 km2 grazie a diversi corsi d’acqua tributari naturali e artificiali (in parte a scolo meccanico). Interessa il territorio di 12 comuni su tre province – Camposampiero (PD), Loreggia (PD), Martellago (VE), Massanzago (PD), Noale (VE), Piombino Dese (PD), Resana (TV), Salzano (VE), Scorzè (VE), Spinea (VE), Trebaseleghe (PD), Venezia (VE) – attraversando alcuni dei relativi centri storici e un ambito agroambientale caratterizzato da un'urbanizzazione diffusa (sistema agropolitano della pianura veneta centrale), e ricade interamente nel comprensorio idraulico del Consorzio di bonifica Acque Risorgive. Il Contratto di Fiume Marzenego considera congiuntamente due ambiti territoriali di riferimento: il bacino idrologico del corso d’acqua, quale unità di riferimento idrografico, e l’inviluppo dei confini amministrativi dei

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dodici comuni da questo interessati, quale unità di riferimento territoriale. Per quanto riguarda il Comune di Venezia, si considera solo l’ambito di terraferma, in quanto il contesto lagunare e litorale presenta caratteristiche che, seppur da più punti di vista interconnesse alle dinamiche del bacino idrografico del Marzenego, sono dotate di una complessità e specificità che richiede percorsi dedicati di governance (si veda la proposta di Contratto di Laguna riportata in P. Pedrocco, a cura di, 2012. L' ottavo sestiere. La laguna come matrice di connessione. Aracne, Roma). In questo modo è possibile affrontare in modo coerente e mutuamente sinergico questioni attinenti la gestione tanto del reticolo idrografico (nei suoi aspetti idraulico-ambientali, paesaggistici e fruitivi) quanto del relativo territorio afferente (nei suoi aspetti paesaggistici, socio-economici e fruitivi). Il Contratto di Fiume Marzenego affronta il processo di governance delle acque in un territorio complesso, dove la componente insediativa si è densamente coagulata attorno agli assi infrastrutturali della fitta maglia viabilistica e idrografica, eclissando i valori agro-ambientali del territorio e disperdendo negli ambiti periurbani ed extraurbani modelli di vita che uniscono quelli rurali a quelli tipici della città. In questa condizione di forte dispersione insediativa, elementi di grave criticità idraulica convivono con emergenze naturalistiche e paesaggistiche di pregio, offrendo ancora la possibilità di una ricucitura della relazione uomo-ambiente secondo i principi stabiliti dalle disposizioni europee in materia di gestione delle acque (Direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE) e dalla Convenzione europea per il paesaggio (Firenze, 2000). La genesi del Contratto di Fiume per il Marzenego è avvenuta nel corso del 2012 a seguito dell’iniziativa di un gruppo di associazioni attive nel territorio di Mestre, le quali hanno avviato un dibattito pubblico a favore della gestione integrata e partecipata del fiume Marzenego e del territorio a questo connesso. Grazie allo stimolo offerto da tale confronto, le amministrazioni comunali del bacino del Marzenego e il Consorzio di bonifica Acque Risorgive hanno accolto l’idea del Contratto di Fiume esprimendo con un protocollo d’intesa la volontà politico-istituzionale a promuovere e sostenere attivamente tale percorso di governance. Contestualmente le associazioni promotrici si sono organizzate in un coordinamento informale, il Forum per il Contratto di Fiume Marzenego-Osellino, che ha svolto per tutto il processo il ruolo di animatore territoriale a fianco delle amministrazioni coinvolte. Tutte le parti hanno riconosciuto la necessità e la sfi-

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da di riuscire ad identificare, riscoprire o finanche generare una comunità del fiume, nella quale la convivenza e collaborazione di idee, competenze e impegni possa produrre un uso del territorio in equilibrio con la propria dimensione idrografica (storica, attuale e futura). L’attivazione complessiva del territorio ha portato a fine 2013 al riconoscimento dell’iniziativa da parte della Regione Veneto, che ha concesso un contributo finanziario a sostegno della sua realizzazione (DGRV n. 2769 del 30 dicembre 2013), consentendo l’avvio formale e strutturato del processo di governance. I lavori del Contratto di Fiume sono dunque iniziati a inizio 2014 con la definizione e condivisione di un documento di indirizzo strategico per il processo partecipato, denominato Carta del Marzenego, che ha consentito ai soggetti interessati di riconoscersi attorno ad un progetto comune. Dalla strategia all’azione Il Contratto di Fiume per il Marzenego costituisce un atto volontario di impegno condiviso da parte di diversi soggetti pubblici e privati, a vario titolo interessati al corso d’acqua e al territorio a questo connessi, finalizzato a individuare e favorire l’implementazione di misure tese a perseguire obiettivi di riqualificazione paesaggistico-ambientale e di rigenerazione socioeconomica del sistema fluviale. Dal punto di vista giuridico si è configura come un accordo di programmazione negoziata (come definita nell’art. 2, comma 203, lett. a) della L. 662/1996), proposto alla sottoscrizione volontaria dei soggetti a vario titolo interessati alla gestione del territorio fluviale del Marzenego e in grado di comporre le diverse istanze in una visione unitaria e integrata. Da una lettura dei contributi emersi durante i lavori propedeutici al Contratto di Fiume, è stato possibile definire una immagine guida del fiume Marzenego, ovvero una visione complessiva del corso d’acqua e del territorio a questo connesso in grado di tracciare una “rotta” (strategia) per il Contratto di Fiume: - Un territorio in cui i valori agro-ambientali residuali vengono riconosciuti e salvaguardati, tanto nell’assetto di area vasta quanto nell’articolazione in siti ed elementi puntuali, contenendo il consumo del suolo e comunque rispettando le pertinenze fluviali. - Un reticolo idrografico, dal fiume Marzenego ai suoi tributari fino agli elementi idrici minori (fossi), con un assetto morfologico il più natura-

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SCORZÈ

RESANA

9.517 abitanti

18.888 abitanti

XXXXX XX

XXXX X

NOALE

PIOMBINO DESE

15.965 abitanti

9.443 abitanti

XXXXXX XXXXXX XXXXX X SALZANO

LOREGGIA

12.778 abitanti

7.259 abitanti

XXXXXX XXXXXX XXXX X MARTELLAGO

CAMPOSAMPIERO

12.194 abitanti

21.494 abitanti

XXXXXX XXXX

SPINEA

TREBASELEGHE

27.794 abitanti

12.656 abitanti

XXXX X

VENEZIA

MASSANZAGO

264.030 abitanti

5.941 abitanti

10.000

1.000

100 abitanti

X azione: soggetto responsabile X azione: soggetto coinvolto

CONSORZIO ACQUE RISORGIVE

UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA

ASS. STORIAMESTRE

XXXXXXXXXXX XXXXXXX

X XXXXXXXX

X XXX

Azioni previste nell'accordo di programmazione negoziata suddivise per soggetti (comuni, enti, associazioni).

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le possibile, officioso dal punto di vista idraulico per minacciare il meno possibile le comunità rivierasche e le relative attività socio-economiche, ma dotato di equilibrio ecologico e naturalistico per ospitare una flora e una fauna diversificata e consentire una fruizione gradevole, oggetto di una manutenzione gentile e di una gestione complessiva di tipo preventivo rispetto alle criticità ereditate dal passato. - Una spina dorsale blu per il territorio, non strozzata da cemento e barriere, con una qualità dell’acqua soddisfacente e una trama di accessibilità e percorribilità a terra e in acqua rispettosa sia del fiume che delle attività rivierasche. - Un’agricoltura di qualità, che costituisca valore e presidio ambientale e territoriale, colonna portante di un modello di sviluppo locale basato sulla cittadinanza e il turismo responsabile, modello di cura del bene comune e tesa ad una produzione di eccellenza. - Un patrimonio architettonico riconosciuto e valorizzato, volano di iniziative culturali di interesse sovralocale ma anche laboratorio per il recupero della tradizione e dell’identità dei luoghi. - Una rete di luoghi, eventi, vicende e memorie che sia testimonianza vera dell’anatomia del territorio del Marzenego, fruibile e vivibile come occasione di socializzazione e di ricreazione tanto per i residenti quanto per i visitatori. - Una comunità locale consapevole e responsabile, in cui istituzioni e cittadini dialogano apertamente, custode del proprio territorio, impegnata a sviluppare iniziative di interesse collettivo fondate sull’ascolto e sulla condivisione. Le finalità del Contratto di Fiume per il Marzenego, in linea con le disposizioni dell’Unione Europea date dalla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) e dalla Direttiva sulla valutazione e gestione dei rischi di alluvione (2007/60/CE), oltre che con l’immagine guida sopra richiamata, sono riconducibili ai seguenti obiettivi generali e specifici (si veda la tabella nella pagina successiva). Con in mente questi obiettivi si sono tenute quattro assemblee di bacino, quattro incontri tematici (ambiente e natura; fruizione; rischio idraulico; assetto del territorio) e due incontri di approfondimento su temi specifici. Queste tappe, con il coinvolgimento di oltre 70 organizzazioni rappresentate e quasi 200 persone, hanno caratterizzato il processo che ha portato, ad ottobre 2015, alla sottoscrizione del primo “Contratto di Fiume per il

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Marzenego”. L’accordo scaturito dal processo partecipato, oltre alla formalizzazione del quadro strategico definito dalla vision e dagli obiettivi già richiamati, ha formalizzato un programma costituito da 65 azioni per la gestione integrata del territorio fluviale, diversamente declinate tra studi e indagini, strumenti amministrativi ed organizzativi, buone pratiche, progetti, comunicazione e formazione.

OBIETTIVI GENERALI

miglioramento ecologico e paesaggistico del sistema fluviale

gestione integrata del rischio idraulico

valorizzazione sociale ed economica dei luoghi

tutela della qualità della vita delle comunità locali

OBIETTIVI SPECIFICI riduzione dell’inquinamento puntuale e diffuso miglioramento dell’interconnessione ecologica a scala territoriale e della gestione naturalistica delle aree tutelate miglioramento delle condizioni morfologico-ambientali del reticolo idrografico incremento della laminazione diffusa nel reticolo idrografico minore e minuto miglioramento dell’officiosità idraulica dei corsi d’acqua promozione della gestione integrata e aggiornata della prevenzione promozione dell’accessibilità e della percorribilità delle vie d’acqua promozione della fruizione fluviale sostenibile, responsabile e consapevole valorizzazione in senso identitario, culturale e turistico del patrimonio architettonico promozione di un assetto urbanistico e territoriale equilibrato e sostenibile promozione della conoscenza del fiume e dell’attività in rete tra associazioni miglioramento dell’interconnessione tra ambiti residenziali e rete di fruizione fluviale

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Per (non) concludere Il percorso del Contratto di Fiume per il Marzenego si è ispirato ai principi di informazione, consultazione e partecipazione attiva espressi dalla vigente normativa nazionale e a quanto disposto dall’Unione Europea, in particolare dalla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) e dalla Direttiva sulla valutazione e gestione dei rischi di alluvione (2007/60/CE). In tal senso l’accordo è maturato da un processo decisionale partecipato basato sulla condivisione dei saperi, sull’ascolto delle istanze, sulla valutazione delle proposte e sulla condivisione degli impegni. In questo modo è stato possibile comporre obiettivi diversi, risolvere conflittualità e cogliere sinergie, favorendo la collaborazione di risorse diverse (culturali, tecnico-scientifiche, organizzative e finanziarie) e, grazie a queste, mettendo a sistema, in una visione di bacino, idee di ampio respiro e piccole iniziative. L’iniziativa del Contratto di Fiume ha prodotto un significativo valore aggregativo, facilitando partenariati pionieri grazie ad un'azione multi-stakeholder promossa congiuntamente da realtà associative, istituzionali e accademiche. La tensione delle parti verso una programmazione integrata e partecipata del bene comune rappresentato dal territorio fluviale ha costituito un'occasione di innovazione del modello di governo del territorio favorendo modalità collaborative e sussidiariali di prendere le decisioni. La complessità del territorio interessato ha imposto un impegno significativo da parte di cittadini, funzionari pubblici ed esperti, complessivamente teso a produrre un risultato positivo in termini di miglioramento idraulico-ambientale, paesaggistico e del welfare. Questo conferma la tesi che la partecipazione non è un corollario della programmazione, ma, se deliberatamente adottata nel processo decisionale, costituisce un impegno che richiede cura e continuità. A fronte di tale sforzo profuso, il bilancio delle energie in gioco ha prodotto un'interessante performance, con significative convergenze di vedute e tangibili iniziative già attivate. In particolare il processo in atto sta consentendo una concreta prossimità tra livelli normalmente separati, che favorisce una fluida circolazione di informazioni e conoscenze. La capitalizzazione di queste premesse è avvenuta nelle fasi di specificazione e valutazione condivisa delle proposte, nonché di negoziazione e impegno per l’attuazione delle stesse. Intanto il processo dialettico e collaborativo ha preso avvio, attivando proficuamente la valenza culturale del Contratto di Fiume in termini di condivisione di linguaggi, posizioni, interessi e visioni.

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ASSOCIAZIONI E TERRITORIO. DINAMICHE DI UN PROCESSO DEMOCRATICO

Maria Giovanna Lazzarin, Giorgio Sarto, Mario Tonello (StoriAmestre)

La Regione Veneto ha invitato (con DGR del 10/09/2013, n. 1608) Enti pubblici o di diritto pubblico a candidare progetti di attività per la formazione di Contratti di Fiume a valere su un bando di finanziamento per la loro realizzazione. Un Gruppo Proponente costituito essenzialmente da Enti locali e dal Consorzio di bonifica Acque Risorgive come capofila e assegnatario e dal Forum delle Associazioni ha ottenuto il finanziamento per il Contratto di fiume Marzenego. Negli stessi anni in cui la Regione Veneto prendeva questa iniziativa, varie associazioni e gruppi di interesse promuovevano le prime riflessioni e azioni volte a portare l’attenzione sul fiume e a formulare le ipotesi iniziali di un diverso modo di governare le acque di terraferma. A marzo 2013 il Contratto di Fiume Marzenego viene proposto da A. Pattaro durante uno dei seminari organizzati dall’associazione storiAmestre presso il Centro culturale Candiani di Mestre, dal titolo Fiumi fossi canali. Storie di ieri e di oggi per progettare il futuro, che faceva il punto su una serie di studi, pubblicazioni e incontri. Nel giugno dello stesso anno l’associazione La Salsola - che già aveva pubblicato uno studio sul paleoalveo del Marzenego-Osellino - convoca un

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convegno sul Contratto di fiume e le criticità ambientali insieme con storiAmestre, il Comitato allagati di Favaro, verso il Comitato di Liberazione Nazionale dei Corsi d’Acqua e a dicembre 2013 organizza una tre giorni di seminari preparatori al Contratto di Fiume Marzenego-Oselino, presso la sede Veritas di Mestre. Queste e altre simili iniziative - come quelle di storiAmestre al Candiani del gennaio 2014 che documentano le azioni dal basso e dell’associazione Urbanistica Democratica degli anni ottanta per il Marzenego e rilanciano l’obbiettivo del parco fluviale - hanno dato vita e vitalità al Forum delle associazioni per il Contratto di fiume Marzenego-Osellino. Diverse altre manifestazioni hanno mostrato la ricchezza e la varietà di interessi portati dalle associazioni, secondo la loro specificità: il 25 aprile 2014 Il Caicio ha organizzato una risalita in barca del Marzenego nel tratto urbano; in giugno storiAmestre e I Sette Nani hanno portato un folto gruppo ad esplorare gli argini del Marzenego nella zona che il Comune di Venezia ha individuato per un progetto di parco fluviale. Le associazioni hanno dato corpo poi con le loro proposte e obiettivi alle varie assemblee di bacino e tavoli tematici organizzati dalla Segreteria Tecnica del Contratto di Fiume Marzenego, finché si è arrivati alla sottoscrizione dell’accordo. Come si capisce da questa breve sintesi, l’iniziativa e il dinamismo delle associazioni hanno avuto un ruolo importante nella gestazione del Contratto di Fiume. D’altro lato è innegabile che su temi quali il governo delle acque, la sicurezza idraulica e la tutela ambientale, le competenze specialistiche, le dotazioni tecnologiche, la conoscenza analitica e complessiva del territorio sono condizioni necessarie del “conoscere per deliberare” e sono possedute, beninteso in modo non esclusivo, dagli organi istituzionali e competenti (tra cui le Università), da cui non si può ragionevolmente prescindere. La funzione degli stakeholders e delle associazioni territoriali e ambientaliste sarà allora quella di incidere sia rispetto alle finalità e obiettivi di sostenibilità e vivibilità, sia per il migliore plafond conoscitivo e per le buone pratiche, richiamando la politica e gli organi elettivi al loro compito direzionale, di indirizzo degli organi tecnici, ma con la coscienza che non sarà certo un astratto primato della politica a risolvere tutti i problemi. Questi, a nostro parere, sono i temi di fondo che delineano una dialettica tra istituzioni pubbliche e cittadini lungi da essere risolta, anche

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se non mancano esempi incoraggianti di buone pratiche. L’istituto del Contratto di Fiume è un terreno largamente sperimentale, in Italia forse più che in altri paesi. È un procedimento complesso, che coinvolge non solo molti interessi divergenti o addirittura conflittuali tra privati, tesi spesso tra le polarità bene comune (o pubblico) - bene privato, ma anche interessi che si collocano su livelli diversi e apparentemente non comunicanti (anche se non necessariamente divergenti). Ad esempio, appartengono al primo tipo gli interessi dei mugnai del passato che frenano l’acqua per l’energia necessaria a muovere le loro ruote, e quelli dei coltivatori che ne subiscono i conseguenti allagamenti. O dei proprietari rivieraschi che non possono costruire edifici troppo vicino agli argini, destinati invece alla sicurezza di tutti, e ad un uso pubblico. Altri conflitti sorgono tra le esigenze delle Associazioni ambientaliste e naturaliste e quelle dei costruttori ad ogni costo e di chi opera per esclusivi interessi immediati e privati. Le prime hanno una visione di lungo periodo e ad ampio spettro e si oppongono a interventi e trasformazioni che vedono come un rischio di denaturalizzazione e di degrado del territorio, e avanzano sempre più frequentemente, oltre alla critica, alternative di riqualificazione. A lungo andare le associazioni trovano riconosciute le loro buone ragioni, anche se spesso con irrimediabile ritardo. Una conversione del genere è avvenuta dopo la mobilitazione di associazioni e comitati di quartiere in seguito agli allagamenti a Favaro Veneto del 2006-2007, le cui puntigliose indagini sul territorio hanno fatto scoprire i veri punti critici della rete idrica e hanno costretto l’Amministrazione a correre ai ripari. Poistiva invece l’inversione di tendenza che il Consorzio negli ultimi quindici anni ha saputo attuare dando avvio ad una serie di interventi di riqualificazione idraulico ambientale dei corsi d’acqua, un esempio riguarda la Fossa Pagana, un piccolo corso d’acqua, sempre nel quartiere di Favaro. L’alveo della Fossa era stato cementificato, secondo criteri di sicurezza idraulica in voga un tempo. Ora finalmente si è stato riqualificato coniugando la sicurezza idraulica con la qualità biologica delle acque, la biodiversità e il paesaggio procedendo alla rimozione del rivestimento in calcestruzzo e alla riconformazione dell’alveo. La stessa necessità viene riconosciuta oggi anche sulla monumentale opera del Canale Scolmatore di Mestre. Esempi di questo tipo fanno riflettere sulla ricchezza del mon-

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do associativo, e anche sulla grande varietà di motivazioni che spinge le persone ad associarsi. Per il Contratto di Fiume Marzenego le associazioni che hanno partecipato ai dibattiti sono state - come detto - molto numerose. Alcune sulla base dei propri obiettivi, come portatrici di interesse da difendere. Per esempio i pescatori, i diportisti e canoisti, i coltivatori, ecc.; altre per interessi più generali, come gli ambientalisti, gli urbanisti, gli ecologisti, ecc. Altre ancora, perché il fiume è stato oggetto dei loro studi e osservazioni anche molto prima che il Contratto di Fiume fosse ufficialmente posto come obiettivo comune, e quindi si sono trovate in possesso di conoscenze ed esperienze da mettere a disposizione. L’associazione storiAmestre appartiene a quest’ultima categoria. L’interesse per l’indagine storica, sollecitata dall’attualità e con lo sguardo diretto all’oggi, ha portato storiAmestre a promuovere con altre associazioni questo Contratto di Fiume e a lavorare sulla spinta della propria vocazione storiografica: seguendo il proprio stile di lavoro, in piena autonomia ha proposto e realizzato il progetto di ricerca Documenti e Storie

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per il presente di cui è testimonianza il sito www.ilfiummarzenego.it, che raccoglie quanto prodotto. La ricostruzione delle storie del fiume e in particolare delle trasformazioni delle acque e del paesaggio fino ai nostri giorni anche attraverso l’interpretazione della cartografia storica - nella quale si è ricompresa la documentazione urbanistica, i progetti e le opere idrauliche – è una delle basi conoscitive per una nuova cura del fiume e del suo ampio ambito come bene comune dopo che nell’ultimo mezzo secolo gli si è voltato le spalle, e per reinserirlo con progetti sostenibili e radicati nella vicenda storica nella vita degli abitanti e degli insediamenti. Si è trattato di una forma di partecipazione paragonabile come tipologia a quella del Corso di Progettazione Urbanistica dello IUAV che all’interno della sua istituzionale attività didattica e scientifica ha affrontato il tema del Marzenego e del riuso del territorio, e - con l’esposizione degli elaborati degli studenti alla mostra tenutasi allo IUAV il 15 settembre 2015 e la pubblicazione del presente volume - ne ha offerto i risultati a cittadini e amministratori del territorio.

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Il territorio percorso dal Marzenego-Osellino (43 km) è amministrativamente diviso in 11 comuni che fanno parte della Città Metropolitana di Venezia e delle Province di Padova e Treviso: ciò non facilita certo la gestione, né i processi decisionali che riguardano un sistema complesso e sostanzialmente unitario. Ogni intervento sul fiume ha ripercussioni a valle (trascinamento di materiali, inquinamento, regime delle acque, ecc.) ma anche a monte (allagamenti dovuti a strozzature, ecc.). La continuità del corso d’acqua si è imposta come concetto di base per merito anche del processo per il Contratto di Fiume, non solo perché si è rivolto a tutte le amministrazioni del bacino, che hanno sottoscritto il protocollo di intesa, ma per un motivo più strutturale: i tavoli di discussione tematica preparatoria hanno visto la partecipazione di associazioni e cittadini residenti in tutto il territorio, che forse per la prima volta si sono “visti in faccia”, hanno percepito un’uscita dall’isolamento e la convergenza di aspirazioni, hanno messo con fiducia in comune conoscenze ed esperienze. Questi incontri hanno rivitalizzato e “nutrito” il tessuto associativo locale, mostrando l’esistenza di un impegno civico collettivo. In sintesi: - il fiume - nel contratto in questione - è visto nel suo insieme, dalla sorgente alla foce; - non è considerato come elemento lineare, bensì come parte di uno spazio complesso di relazioni in cui le persone vivono, si muovono, producono, passano il tempo libero; - la gestione di questo bene pubblico non è delegata alle istituzioni e ai tecnici, ma i cittadini e le associazioni sono chiamati a progettare insieme un piano operativo, approfondendo la conoscenza di quel territorio per arrivare ognuno ad assumersi delle responsabilità, in base alle proprie competenze; - i conflitti di interesse esistenti tra i vari fruitori di quel bene non sono negati o nascosti, ma presentati e discussi per arrivare a concordare dei punti di accordo. Un altro frutto di questa attività comune si potrebbe manifestare con il progressivo raggiungimento degli obiettivi concordati nel Contratto. Si pensi alla strategia tesa a riconoscere l’influenza del fiume molto oltre alle strette fasce contigue, ma più all’interno nel territorio interessato. La fascia di cui il Marzenego è l’asse centrale è molto più ampia di quanto oggi sia possibile percepire. La rete degli affluenti, dei canali, delle fosse, degli scolmatori, dei rii, fino ai fossati di campagna, agli invasi di lami-

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nazione, ecc. mostra palesemente che l’area fisica del sistema idrico va molto oltre gli argini o le rive del fiume (da cui per esempio la necessità di mantenere i fossati in grado di ricevere le piene e ridurne in misura decisiva i danni). Ma l’idea di rilevare gli elementi costituivi del tessuto civile, delle infrastrutture del welfare, e metterli in comunicazione fisica con il fiume ricostruendo collegamenti di strade, carrareccie, sentieri, ponti e quant’altro, significa anche mettere in rapporto persone, cittadini, e associazioni che prima soffrivano il loro presunto isolamento. Queste considerazioni ottimistiche hanno ricevuto un conforto proprio nel lavoro dello IUAV e di storiAmestre: le ricerche e i progetti urbanistici pubblicati in questo volume, e la grande mappa simbolica del Marzenego presentata da storiAmestre assieme alla ricca cartografia storica del territorio nella mostra sopra ricordata del 15 settembre, convergono sull’idea che il corso del fiume non solo unisce i territori che attraversa ma attrae e unisce, non divide, anche le persone e le comunità che abitano le sue sponde. È questo che fa di una serie di cittadine una metropoli, e del Marzenego un fiume metropolitano.

L’associazione storiAmestre nasce nel 1988 come spazio di mutuo scambio e di mutuo apprendimento tra storici e storiche, archivisti, insegnanti impegnati nel Movimento di cooperazione educativa, urbanisti provenienti dall’esperienza di Urbanistica democratica. Nel corso degli anni si è occupata di storia locale, di storia delle donne, di storia orale, dell’uso politico della memoria, dell’insegnamento della storia, del rapporto tra storiografia e impegno civile, di archivi e musei cittadini. L’associazione intende riflettere sui più recenti mutamenti urbanistici e ambientali, su come la città si racconta e viene raccontata, e sul rapporto tra luoghi, potere e memoria.

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CONCLUSIONI

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RICAPITALIZZAZIONI: SCENARI DI RICICLO Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi

È possibile immaginare scenari di rigenerazione territoriale per i contesti di dispersione insediativa attraverso cui instaurare nuove relazioni tra infrastruttura ambientale, pratiche d’uso del territorio e forme della governance? Gli esiti delle attività qui raccolte ci hanno consentito di avanzare alcune ipotesi formulate da un punto di osservazione specifico: i contratti di fiume come occasione significativa per costruire nuove strategie di integrazione tra saperi, competenze e pratiche, e per riflettere su un futuro sostenibile e resiliente per la città diffusa in Italia e non solo. Il carattere volontario, orientativo e condiviso di uno strumento di governance di questo tipo consente infatti di praticare visioni territoriali unitarie capaci di far collaborare la moltiplicazione di soluzioni parziali, per lo più non dialoganti, frutto di competenze specialistiche e applicate ad ambiti specifici. Nella constatazione che in modi sempre più efficaci sia in corso un importante mutamento di paradigma: alla rappresentazione conflittuale di un territorio oggetto di contesa si va sostituendo via via l’immagine fertile di un territorio interpretato, in primo luogo, come oggetto di accordo, sul quale instaurare relazioni di confronto e dialogo tra attori differenti.

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1 La prima ipotesi è che sia possibile immaginare nuovi cicli di vita per i territori della dispersione attivando una stretta collaborazione tra differenti ambiti: le problematiche legate alla fragilità idraulica, le opportunità di un’agricoltura multifunzionale, la necessità di rinforzare reti ambientali ed ecologiche, la disponibilità di una trama pubblica di spazi collettivi, l’urgenza di rigenerazione di uno stock edilizio residenziale e produttivo che chiede di essere fortemente ripensato. Ci pare infatti possibile intravedere gli effetti rilevanti di una strategia di rigenerazione territoriale che proceda per parti e interventi minuti e integrati, supportati da una regia accorta delle azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria cui periodicamente sistemi idraulici, infrastrutturali, insediativi e agricoli sono soggetti. Una nuova cultura della manutenzione – alle sue diverse scale – chiede di andare al di là della settorialità e frammentazione tipica delle azioni manutentive (di strade, argini, spazi pubblici ed edifici), verso la costruzione di alcune immagini complessive e di un “patrimonio progetti” – piccoli e coordinati – in grado di rimettere a sistema risorse e elementi del territorio. 2 La seconda ipotesi fa leva sulla necessità di considerare lo spazio dell’acqua come parte integrante di una trama di attrezzature collettive e di spazi di uso pubblico che condiziona in modi significativi scelte, pratiche abitative e strategie di fruizione del territorio individuali e condivise. La “trama pubblica”, così intesa, è costituita da quell’insieme ampio e articolato di edifici (scuole, palestre, biblioteche, centri civici e sociali), spazi aperti (playground, parchi, aree sportive e naturali, piazze e luoghi di incontro informali) e percorsi (piste ciclabili, marciapiedi e strade bianche): essa può svolgere un ruolo estremamente importante nei territori a bassa densità, se messa in stretta relazione con lo spazio articolato dell’acqua e con la sua valorizzazione. In questi termini non solo – e non tanto – i corsi principali dei fiumi, ma in particolare la fitta rete idraulica minore fatta di fossi, capofossi e scoline rappresenta un supporto fondamentale per incrementare la continuità e valorizzare la connessione sia ecologica che fruitiva di questi territori. Entro questo approccio di ricomposizione dei molteplici materiali territoriali che compongono la trama degli spazi pubblici, il trattamento delle acque è a sua volta funzionale al recupero di alcuni spazi e nodi non risolti di fruizione e accessibilità al fiume, nonché di criticità idraulica del territorio.

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A corollario di questa ipotesi vi è la necessità di uno spostamento di approccio progettuale che vada al di là della specificità tecnica e dell’autoreferenzialità funzionale dei singoli interventi, attraverso l’esplorazione di soluzioni non solo tecniche, ma strategiche, capaci di allargare lo sguardo all’intero territorio, all’incrocio tra approcci e saperi. 3 Al deposito di lungo periodo di spazi aperti (parchi, giardini e aree protette), che costituisce la struttura più o meno frammentata delle dotazioni urbane e territoriali, si aggiunge una serie di spazi in via di formazione – e formalizzazione – in grado di produrre la ricapitalizzazione e risignificazione di un patrimonio ambientale dallo statuto incerto (ex cave dismesse, margini fluviali, ecc.). La terza ipotesi è che in questi spazi, anche a motivo dell’apertura (di usi, pratiche e funzioni) e al contempo dell’articolata fragilità che li caratterizza, sia possibile sperimentare strategie innovative di immaginazione / costruzione condivisa dello spazio pubblico e di ricategorizzazione dei beni comuni. Diverse sono le ragioni di questa disponibilità: in primo luogo per la capacità di riconnettere tessuti urbani, idraulici e rurali sempre più frammentati, garantendo una migliore accessibilità a servizi e attrezzature pubbliche; in secondo luogo per le molteplici potenzialità di integrazione con le esigenze di mitigazione del rischio idraulico e con la reinvenzione dello spazio agricolo e produttivo; in terzo luogo per la promozione di una prospettiva di fruizione lenta del territorio, attenta agli abitanti e alle pratiche di vita quotidiana. Le ipotesi sopra brevemente descritte ci paiono mettere in luce alcuni fertili temi di lavoro e di discussione, che si collocano nello scarto tra forme tradizionali di intervento sul territorio e nuove sperimentazioni progettuali, e che siano in grado di mettere in tensione rinnovate alleanze tra territori, attori, tempi e risorse. Riassumendo, ci si propone di riflettere sul superamento di alcuni temi e parole chiave, attraverso uno sguardo più ampio e integrato che prenda avvio dalla contaminazione tra approcci e competenze: - al di là della manutenzione: nuovi cicli di vita dei sistemi territoriali; - al di là del piano: forme consensuali di trasformazione del territorio; - al di là delle attrezzature: infrastruttura ambientale come parte di una trama pubblica di beni comuni alla scala metropolitana; - al di là del tempo libero: accessibilità del territorio come strategia minuta di attraversamento e percorrenza lenta e quotidiana; - al di là della mitigazione: fare spazio all’acqua / progettare con l’acqua.

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Strategie Per dare forma a queste idee abbiamo elaborato scenari e strategie per il territorio del Marzenego, riconoscendo un ruolo di primo piano alla trama pubblica. Abbiamo proposto di intervenire in maniera diffusa attraverso un generale processo di ricucitura e connessione che investa in modo capillare l’intero bacino idraulico del fiume, coinvolgendo a differenti scale il sistema di servizi e attrezzature, il sistema delle acque minori e quello delle aree coltivate, il sistema vegetazionale ed ecologico. Le descrizioni del territorio e le indagini progettuali hanno proceduto in modo integrato tra acque, percorsi e sistemi insediativi: la definizione di reticoli di connessioni riservati alla mobilità lenta, attraverso i quali connettere l’insieme dei servizi e delle attrezzature esistenti è andata di pari passo con il riconoscimento delle potenzialità non solo idrauliche, ma anche fruitive della trama minuta delle acque minori. Percorsi lenti e acque minori infatti, debitamente affiancati e integrati, consentono da un lato di dare avvio ad un capillare processo di rafforzamento del sistema idraulico in grado di infiltrare e accumulare quantità maggiori di acqua, dall’altro di costruire un nuovo supporto reticolare di percorsi nel territorio e di accessi al fiume. Con l’insieme di queste azioni può collaborare la messa a punto di un progetto di rafforzamento di siepi campestri e

scenario per il bacino del Marzenego

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fasce tampone boscate, bande di seminativi arborati (agroforestazione) e sistemi di prati e pascoli. Tali trasformazioni, che sono guidate da uno sguardo allargato sull’intero territorio legato al fiume, contribuiscono inoltre a mettere in forma un sistema articolato di accesso al Marzenego, rendendone percorribili gli argini, anche se non in modo estensivo (tratti di percorsi pedonali, o per mountain bike, la scelta mirata di alcuni punti di sosta disseminati lungo il corso del fiume), e rimuovendo le barriere e le discontinuità che allo stato attuale ne rendono difficoltosa la frequentazione. 1 La principale strategia di intervento suggerita investe l’insieme dei manufatti e delle aree collettive presenti in modo diffuso, intesi quali capisaldi di una trama che li connette e che al contempo possa rendere più accessibile l’intero territorio del fiume Marzenego. Un’idea semplice e apparentemente banale: ogni abitante deve venire messo nella condizione di raggiungere a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, in un tempo ragionevole (15/20 minuti), scuole elementari e medie, parchi giochi, spazi naturali, presidi sanitari, spazi sportivi, centri anziani, biblioteche, ludoteche e municipi, la stazione ferroviaria, i corsi d’acqua e le oasi fau-

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STRATEGIE

MATERIALI

AZIONI

RICUCITURE A PETTINE: Unisce i punti focali della zona analizzata progettando delle ramificazioni di tracciati che abbiano come base di partenza un percorso lineare (esistente o non).

RICUCITURA SPINE MORBIDE: La rete lineare a “pettine” interagisce in corrispondenza dei principali punti del walfare dando luogo ad una nuova strategia in grado di legare all’interno di una comune area differenti luoghi di interesse, anche a diversa distanza tra loro.

RETICOLI: Sfrutta le trame agricole appartenenti al contesto, realizzando una rete di collegamenti secondari o minuti, che uniti a quelli principali, permettono una maggiore fruibilita’.

GRAFFE: Permette di intercettare diversi punti di interesse tramite percorsi di avvicinamento e allontanamento dal fiume.

P ACCOSTAMENTI: Sfruttare, ove possibile, l’argine del fiume per creare percorsi o collegamenti panoramici ad uso turistico e quotidiano.

scenari di riammagliamento: abaco strategie, materiali e azioni.

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nistiche adiacenti. In sicurezza e in condizioni confortevoli. Ciò significa operare sinergicamente da un lato sul sistema di connessione (di acque e strade, percorsi pedonali e ciclabili), dall’altro sulla modificazione dei bordi e dei “punti di soglia” di edifici e luoghi pubblici (aree di sosta e parcheggio, costituzione di woonerf e zone 30, articolazione della promiscuità degli spazi di auto, biciclette e pedoni), dall’altro ancora su una riformulazione dello statuto e quindi degli usi degli spazi di pertinenza delle attrezzature collettive (giardini delle scuole, cortili, playgrounds). 2 La seconda strategia riguarda azioni graduali e diffuse di risezionamento e allargamento delle canalette attraverso le quali è possibile incrementare sensibilmente la capacità complessiva del bacino nel ritenere le acque in eccesso. Tale operazione potrebbe inoltre consentire azioni di ispessimento, ricucitura e razionalizzazione di siepi e filari esistenti, nonché nuovi impianti di agroforestazione in linea con gli obiettivi di salvaguardia e incremento della biodiversità. La necessità di ricostruire il tessuto connettivo naturalistico a scala minuta tra i principali corridoi ecologici della Rete Ecologica Regionale può dare un contributo significativo verso un’azione di agroforestazione su larga scala, articolata in fasce boscate con percorsi ciclopedonali, alternate con fasce agroforestate, dove i seminativi preservati a scopo di produzione alimentare convivono con la presenza di alberi per la produzione di legno da opera. Tali sistemazioni, oltre agli effetti sul drenaggio, possono contribuire ad aumentare la capacità depurativa diffusa del reticolo dagli inquinanti di origine agricola, migliorando la qualità delle acque nei ricettori finali. Ci pare infine di grande interesse segnalare l’opportunità fornita dai 1.898 km lineari complessivi di reti di drenaggio esistenti nel bacino idrografico del Marzenego: infatti, se solo ogni metro lineare di questa rete potesse raccogliere un metro cubo d’acqua attraverso una modesta variazione della propria sezione, sarebbero necessari 425 km di fossi e canali, ossia il 22,4% dell’intera rete per stoccare i 425.300 metri cubi di volume d’acqua drenato dall’intero bacino in caso di eventi di piena. Quantità che ci invitano a riflettere sul carattere minuto, capillare e diffuso che caratterizza questi territori e che potrebbe orientare le relative strategie di intervento. 3 La terza strategia tratteggia un possibile paesaggio agrario multifunzionale per il territorio del Marzenego, articolandosi in due azioni integrate

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tra loro. La prima propone di “riciclare” lo spazio coltivato entro un quadro di valori collettivi, quali la sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti, la biodiversità, la sicurezza idraulica, la produzione di energie rinnovabili, lo spazio per il tempo libero. La seconda propone di recuperare suolo agricolo nelle aree dove altre attività si ritirano – ad esempio, nel caso del territorio del Marzenego, in alcune parti delle zone industriali e artigianali. Oltre alle azioni già delineate sopra, altri interventi suggeriscono le forme possibili di un futuro paesaggio agrario per questi territori: per rispondere al problema della sicurezza idraulica e all’esigenza di razionalizzare le filiere alimentari, le colture compatibili con esondazioni di breve periodo possono essere concentrate lungo i corsi d’acqua nelle terre più basse, andando così a formare nuove aree ad alluvionamento programmato ausiliarie rispetto alle aree di laminazione principali. In uno scenario di coordinamento di queste azioni, il pubblico si potrebbe fare promotore degli interventi su capifosso e corridoi principali incentivando a replicare tali azioni sui fossi di tutti quei privati interessati ad accedere alle misure della nuova PAC (Politica Agricola Comune) per le operazioni di greening, in questo modo rafforzando la trama delle acque, la rete ecologica e contemporaneamente andando a preservare i seminativi a scopo di produzione alimentare. Infine I soggetti coinvolti in questa attività di ricerca e sperimentazione progettuale, oltre all’Università IUAV di Venezia, sono stati il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, le amministratori locali, le associazioni e tutti i soggetti partecipanti al Contratto di fiume Marzenego, i ricercatori di Veneto Agricoltura. Ciò ha fatto sì che la proposta di scenari virtuosi per il riciclo del territorio del fiume Marzenego abbia assunto un carattere multidisciplinare per la pluralità di saperi e competenze coinvolti: urbanisti, agronomi, scienziati forestali, ingegneri ambientali, storici del territorio, oltre a quel variegato insieme di saperi di cui la società locale nelle sue varie forme associative è portatrice. Durante i tavoli del Contratto di fiume Marzenego in cui sono stati presentati gli scenari e le strategie elaborate attraverso i workshop e i laboratori progettuali, gli stakeholder ne hanno discusso i contenuti e le forme. Alcune amministrazioni comunali si sono rese disponibili a discutere e recepire tali proposte all’interno dei propri strumenti di programmazione e pianificazione: il lavoro in parte qui presentato costituisce la base per l’elaborazione di un “masterplan della fruibilità” che è confluito nel programma delle azioni sottoscritte dal Contratto di fiume Marzenego.

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La possibilità di attivare occasioni di progettazione interdisciplinare e condivisa, associata alla partecipazione dei portatori di interesse su temi di assetto territoriale, ha avuto la capacità di proporre interventi praticabili in grado di scardinare ipotesi precostituite, così come una serie di soluzioni parziali frutto di competenze specialistiche applicate a ambiti specifici. Il Contratto di fiume può sicuramente, da questo punto di vista, essere uno dei tavoli in cui innestare questo tipo di sguardi e di attività che coniughino ricerca, didattica e territorio, e che consentano la sperimentazione di strategie innovative di assetto territoriale.

* Il presente contributo riformula le questioni proposte dalle autrici in: Maria Chiara Tosi, Cristina Renzoni, “Trama pubblica lungo il fiume Marzenego: scenari di riciclo territoriale”, paper vincitore della menzione speciale della giuria del X Tavolo nazionale contratti di fiume La buona governance dell’acqua e del territorio, Milano, 15-16 ottobre 2015; e in Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi, “Ricapitalizzazioni: al di là del rischio idraulico”, tavolo tematico coordinato in occasione della IX giornata di studi INU Infrastrutture blu e verdi, reti virtuali, culturali e sociali, Napoli 18 dicembre 2015.

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Corsi di urbanistica e progettazione urbanistica Università IUAV di Venezia a.a. 2014/15 Urbanistica, Cristina Renzoni, con Claudia Faraone; a.a. 2014/15 Progettazione Urbanistica, Maria Chiara Tosi, con Claudia Faraone, Luca Nicoletto, Marco Paronuzzi, Anna Verenus; a.a. 2015/16 Urbanistica, Cristina Renzoni, con Claudia Faraone; a.a. 2015/16 Atelier Città Paesaggio (urbanistica), Maria Chiara Tosi, con Claudia Faraone, Luca Nicoletto, Michela Pace. Workshop di progettazione 2015, Re-cycle Ve.net, IUAV-Fondazione Fabbri docenti: Andrea Bortolotti, Claudia Faraone, Viviana Ferrario, Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi; partecipanti: Andrea Babolin, Cristina Di Francia, Chiara Girardi, Elena Calafati, Giacomo Squaquara, Laura Spezzon; partner: Sinergo, Consorzio di Bonifica Acque risorgive, Ecoingegno Erasmus + Strategic Partnership 2016-2017, Integrated urban design E-studio for XXIst century sustainable metropolitan region: Barcelona, Brussels, Venice ULB La Cambre Horta (Brussels), ETSAB Barcelona, IUAV Università di Venezia docenti: Andrea Bortolotti, Carles Crosas, Geoffry Grulois, Jorge Perea, Marco Ranzato, Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi. Tesi di laurea Giovanna Muzzi, Spazi d’ascolto. La rigenerazione urbana e territoriale nella cornice del Contratto di Fiume Marzenego, Laurea Magistrale in Architettura per il nuovo e per l’antico, Università IUAV Venezia, a.a. 2014-15, relatore: Cristina Renzoni; correlatore: Armando Dal Fabbro. Filippo Bressan, Andrea Pasqua, Marzenego. Strategie di percorsi nella città diffusa, Laurea Magistrale in Architettura per il nuovo e per l’antico, Università IUAV di Venezia, a.a. 2015-16, relatore: Cristina Renzoni; correlatore: Armando Dal Fabbro. Assegno di ricerca 2014-2015, 5LFLFOR XUEDQR GHL TXDUWLHUL UHVLGHQ]LDOL SXEEOLFL QHO WHUULWRULR GHO ±XPH 0DU]HQHJR Prospettive d’innovazione per progetti e politiche di rigenerazione urbana della "città pubblica" Claudia Faraone Contratto di fiume Marzenego 2015/2016, partecipazione ai tavoli di lavoro per la preparazione del Programma di azione e firma dell'Accordo di programmazione negoziata; mostra-dibattito, Iuav 15 settembre 2015. Tavola rotonda INU 2015, IX giornata di studi INU Infrastrutture blu e verdi, reti virtuali, culturali e sociali Coordinamento tavolo tematico "Ricapitalizzazioni: al di là del rischio idraulico", Cristina Renzoni, Maria Chiara Tosi, Napoli 18 dicembre. Tavolo Nazionale Contratti di Fiume 2015, X Tavolo nazionale contratti di fiume, La buona governance dell’acqua e del territorio "Trama pubblica lungo il fiume Marzenego: scenari di riciclo territoriale", Maria Chiara Tosi, Cristina Renzoni, Milano, 15-16 ottobre 2015. Paper vincitore della menzione speciale della giuria - sezione ricerca.

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Urbanistica Laurea magistrale Architettura per il nuovo e per l'antico, IUAV 2014-15 Cristina Renzoni, con Claudia Faraone studenti: Filippo Andrighetto, Gianluca Ardiani, Laura Antiga, Alessio Bacchin, Tania Baldassa, Maria Marcella Barigozzi, Alessia Barrini, Giulia Bazzaco, Marco Bogoncelli, Violetta Breda, Veronica Brusauro, Alessandro Bussola, Susanna Campeotto, Chiara Canturan, Francesco Carraro, Giacomo Casarin, Krizia Cazzaro, Veronica Costantini, Fabrizio D’Angelo, Stefano Del Ben, Alessandro Di Vera, Piero Feiffer, Stefano Fontolan, Alessandra Gallas, Serena Innocente, Ettore Marcellan, Elisa Mariani, Marta Martini, Laure Miedico, Nicola Andrea Moro, Nicolò Murianni, Giovanna Muzzi, Francesco Oddo, Andrea Pagan, Mauro Panziera, Andrea Pasqua, Angela Perazzolo, Irene Pivato, Ilaria Rampazzo, Elisa Rizzato, Ivan Rizzo, Matteo Rizzo, Renzo Tolomeo, Marta Tosone, Simone Val, Francesca Vanzo, Sofia Vezzaro, Alberto Vivianetti. Progettazione urbanistica Laurea triennale Tecniche e culture del progetto, IUAV 2014-15 Maria Chiara Tosi, con Claudia Faraone, Luca Nicoletto, Marco Paronuzzi e Anna Venerus studenti: Francesca Angelillo, Adalberto Angulo Sosa, Francesco Baratelli, Gloria Basso, Jessica Bombarda, Federico Bonomo, Roberto Bonturi, Enrico Cariolato, Nicolò Carlon, Marta Casarin, Enrico Chinellato, Maria Cigliano, Alice Curtarolo, Mauro Da Ros, Gianmarco De Poli, Matteo De Rossi, Silvia Di Meo, Jacopo Donato, Elena Duminuco, Lisa Gallina, Martina Germanà, Mirko Geromin, Stefano Graziotto, Alvise Guerra, Giorgia Guiotto, Riccardo Iacobellis, Igor Kamenovic, Alice Mondin, Francesco Montagner, Paolo Nadin, Giulio Nalon, Claudia Pagnacco, Alberto Pisani, Maria Elena Poloni, Elisa Rimetra, Sara Rachele Risi, Simone Rossato, Valentina Rossi, Giovanni Saccarola, Anna Sarzetto, Teresa Spinazzè, Emanuele Stefanuto, Alberto Tinello, Federico Tomasoni, Deborah Varago, Cesare

Marzenego, maquettes territoriali

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Vicentini, Robert Vincentini, Lorenza Villani, Isabella Vivaldi, Alice Volpe, Pietro Zampieri. Urbanistica Laurea triennale Tecniche e culture del progetto, IUAV 2015-16 Cristina Renzoni, con Claudia Faraone studenti: Omar Al-Abkal, Marco Angelini, Giorgia Antonioli, Marco Bassi, Elisa Bernardi, Sara Bertin, Piero Bigatello, Doina Bizgan, Annapaola Bordignon, Irene Bordin, Eleonora Borsato, Zineb Bouhadi, Elena Bredariol, Giulia Calesella, Anna Calligaris, Mariachiara Cerceo, Luca Ciciriello, Paolo Ciocchetti, Riccardo Conte, Camilla Corato, Alessia Corradini, Daniele Cortez, Maria Crestani, Elena Dal Bosco, Rebecca Dalla Torre, Paolo Dallapozza, Matteo De Bernardini, Francesca De Bon, Gianmarco De Pieri, Luca Brenno Dessì, Anna Disarò, Ayoub Elhachiri, Matteo Faccin, Ludovica Farina, Andrea Fedrigo, Matilde Focchesato, Giada Gavin, Sharon Giammetta, Allegra Maria Girolami, Luca Granzotto, Livia Grigori, Alessandro Guarese, Giulia Guizzo, Mattia Lazzarato, Filippo Lunardelli, Giulia Manfrin, Nicolò Marcato, Richard Marcuzzi, Andrea Maso, Davide Mattarolo, Annamaria Mazzi, Cesare Mazzocato, Giancarlo Melillo, Marco Menegus, Elisa Montanari, Marta Murru, Carolina Neuhaus, Lorenzo Nigro, Carolina Olivares, Paola Padovan, Sara Paneghel, Daniele Panozzo, Andrea Pastrello, Beatrice Pelizzo, Diletta Perin, Alessandro Peruzzo, Luca Piazzon, Angela Pranovi, Filippo Prendin, Matteo Qualizza, Serena Ramorino, Maite Raschilla, Marco Rizzi, Elena Rossi, Elisa Rossi, Elisa Rubele, Elena Salvalaggio, Maha Sobhy, Nazarin Soufian, Ambra Tieghi, Gloria Tombolato, Francesca Vallarsa, Marco Zanchetta, Elisa Zemiglian, Laura Zovatto. Atelier Città Paesaggio, Laurea magistrale Culture del progetto, 2015-16 Maria Chiara Tosi, con Claudia Faraone, Luca Nicoletto e Michela Pace studenti: Evelin Bignotti, Francesco Bortolato, Gabriele Bortoluzzi, Anais BourguignonPitet, Marco Chironi, Carlo Federico Dall'o-

mo, Eriona Elezi, Andrea Fantin, Victorie Louchart, Lorenzo Luise, Irina Manteescu, Aure Elise Mahieu, Juliette Martin-Guiheneuc, Enrica Mazzon, Maria Letizia Mazzoni, Alvise Moretti, Martina Nadalini, Florent Paoli, Alberto Poloni, Silvia Possamai, Veronica Preseglio, Nicolas Quirot, Giacomo Rio, Ana Caterina Salgado, Cyrielle Samb, Marco Toblini, Emanuele Zampieri, Claudia Zanella.

CREDITS IMMAGINI p. 14, Anais Bourguignon-Pitet, Gabriele Bortoluzzi, Giacomo Rio, Marco Chironi, Laboratorio integrato, Iuav 2015-16; p. 16, Aure Elise Mahieu, Baptiste Boyer, Carlo Federico Dall'omo, Jordi Pujol March, Leire Lamata Ibañez, Marco Toblini, Romane Pelanchon, Workshop Atelier Città Paesaggio, Iuav 2015-16; pp. 34, 36, 38, Viviana Ferrario; p. 58, Marco Bogoncelli, Matteo Rizzo; Susanna Campeotto, Andrea Pagan, Andrea Pasqua, corso di Urbanistica, Iuav 2014-15; p. 84, Chiara Canturan, Serena Innocente, Francesca Vanzo, corso di Urbanistica, Iuav 2014-15; pp. 86, 146-147, 148, Filippo Bressan, Andrea Pasqua, tesi di laurea magistrale, Iuav 2015/16; p. 86, fotomontaggio: Alessio Barrili, Alessandro Bussola, Renzo Tolomeo, corso di Urbanistica, Iuav 2014-15; p. 112, fotografia di Claudia Faraone; pp. 118, 128, Giovanna Muzzi, tesi di laurea magistrale, Iuav 2014-15; pp. 136-137, StoriAmestre; p. 142, maquette, studenti del workshop Recycle Ve.net, Iuav 2015; p. 152, maquette, Alberto Poloni, Emanuele Zampieri, Evelin Bignotti, Victorie Louchart, Laboratorio integrato, Iuav 2015-16; p. 154, studenti del corso di Urbanistica, Iuav 2015-16. Tutte le foto sono delle autrici ove non espressamente indicato.

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Finito di stampare nel mese di settembre del 2016 dalla tipografia «la Cromografica S.r.l.» per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale» di Canterano (RM)



Re-It 30

Questo libro si interroga su nuovi cicli di vita per il territorio metropolitano di Venezia e raccoglie gli esiti di numerose attività di ricerca e didattica che hanno coinvolto studenti, laureandi, ricercatori e partner locali. Esplora strategie di riciclo a ridosso delle condizioni insediative, ambientali e idrauliche di un territorio fragile e le sperimenta all’interno di un Contratto di fiume. Il bacino idrografico del Marzenego costituisce il terreno di prova di queste riflessioni. Per la varietà di situazioni insediative e ambientali che attraversa, per la continuità ecologica e relazionale che garantisce a questi territori abitati, definiamo il Marzenego fiume metropolitano: dal centro di una città media come Mestre, alla sua periferia, fino al reticolo dei centri medio-piccoli e alla dispersione della centuriazione romana; dai lacerti di campagna compressi tra gli insediamenti urbani di cui costituisce la spina centrale, fino ai più ampi spazi della campagna urbanizzata, dove emergono alcune significative riserve di naturalità. Le strategie di riciclo sperimentate fanno i conti con la necessità di restituire al territorio indagato la specifica complessità e articolazione che lo dovrebbe caratterizzare, attraverso azioni mirate ad una maggiore integrazione tra gli spazi dell’agricoltura (trama agricola), la funzionalità della rete delle acque (trama idraulica) e le pratiche d’uso degli spazi aperti collettivi (trama pubblica). Nell’ipotesi che una rinnovata collaborazione tra queste diverse trame possa contribuire alla messa a punto di immagini e strumenti di rigenerazione territoriale per i contesti di dispersione insediativa. isbn

978-88-548-9617-8

Aracne

euro 21,00

Marzenego fiume metropolitano

Marzenego fiume metropolitano è il trentesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione.

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