Riciclare distretti industriali

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28 RICICLARE DISTRETTI INDUSTRIALI RECYCLING INDUSTRIAL DISTRICTS



RICICLARE DISTRETTI INDUSTRIALI. INSEDIAMENTI, INFRASTRUTTURE E PAESAGGIO A SASSUOLO RECYCLING INDUSTRIAL DISTRICTS. SETTLEMENTS, INFRASTRUCTURE AND LANDSCAPE IN SASSUOLO

A CURA DI/EDITED BY ARTURO LANZANI CHIARA MERLINI FEDERICO ZANFI CONTRIBUTI DI/ CONTRIBUTIONS BY ANDREA DEBERNARDI CRISTIANA MATTIOLI CLAUDIA PARENTI MARCO ZANINI

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Rappresentazioni/Drawings Cristiana Mattioli, Claudia Parenti, Marco Zanini, con la collaborazione di/with Benedetta Fantini e Alessandra Galli: 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 43, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 80, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95. Fotografie/Photographs Stefan Baguette (wikimedia commons): 36; Laminam S.p.A.: 12; Andrea Debernardi: 35; Cristiana Mattioli: 11, 56, 57, 59, 60, 62, 63, 65, 68, 79; Federico Zanfi: 14, 15, 16, 17, 18, 42, 44, 45, 46, 66, 67, 89, 101, 102. Fotografie aeree/Aerial images Droneria Emiliana (www.droneriaemiliana.com): 1, 2, 13, 30, 41, 54, 64, 78, 87, 96; Google Earth: 5, 55, 58, 61, 81, 82, 97, 98, 99, 100. Impaginazione/Layout Cristiana Mattioli, Claudia Parenti Traduzioni/English translation Eurostreet, Biella, www.italiantranslationscommunity.eu Copyright Š MMXIII MMXVI S.r.l. ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Quarto Negroni, 15 0072 Ariccia (RM) (06) 93781065 ISBN 978-88-548-9082-4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: Settembre 2016

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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Gruppo di ricerca/Research team Arturo Lanzani Cristiana Mattioli Chiara Merlini Claudia Parenti Federico Zanfi Marco Zanini Cura dell'apparato iconografico/Drawings and graphic by Cristiana Mattioli Claudia Parenti Marco Zanini con/with Benedetta Fantini Alessandra Galli

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INDICE/TABLE OF CONTENTS

DOPO LA CRESCITA/AFTER THE GROWTH Muovere da quel che c'è/Starting from What We Have Arturo Lanzani, Chiara Merlini, Federico Zanfi

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Dal distretto alla città/From the Industrial District to the City Cristiana Mattioli, Arturo Lanzani

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RICICLARE GLI SPAZI DELL'ABITARE/ RECYCLING DWELLING SPACES Ricomporre l'urbanizzato e costruirne l'urbanità/Recomposing the Urbanised Area and Building its Urbanity Federico Zanfi La mobilità nel distretto: prospettive di integrazione/District Mobility: Integration Perspectives Andrea Debernardi

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RICICLARE GLI SPAZI PER PRODURRE/ RECYCLING INDUSTRIAL SPACES Fare paesaggio muovendo dagli spazi del lavoro/Modelling Landscape Starting from Workplaces Chiara Merlini

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Storie di imprese, storie di luoghi/Stories of Companies and Places Cristiana Mattioli

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RICICLARE GLI SPAZI RURALI E DI NATURALITÀ/ RECYCLING RURAL AND NATURAL SPACES Un suolo e una natura da riscoprire e da riformare/A Soil and a Nature to be Rediscovered and Reformed Arturo Lanzani

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Reti blu e infrastrutture ambientali/Blue Networks and Environmental Infrastructures Claudia Parenti

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IMMAGINI AL FUTURO/FORWARD-LOOKING IMAGES Una visione di insieme/Overall Picture Cristiana Mattioli, Claudia Parenti

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Una visione in cammino/Walking Gaze Marco Zanini

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Controstoria, tra sconfitte e possibilità/Counter-Story, between Setbacks and Opportunities Arturo Lanzani, Chiara Merlini, Federico Zanfi

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APPARATI/APPENDIX Bibliografia/Bibliography

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Diario della ricerca/Research Diary

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Autori/Authors

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RINGRAZIAMENTI/AKNOWLEDGMENTS Nella costruzione di questo lavoro abbiamo maturato molti debiti. Innanzitutto nei confronti dei nostri studenti, che attraverso i loro esercizi progettuali ci hanno consentito di discutere e di mettere alla prova le ipotesi di ricerca che andavamo maturando sul territorio del distretto ceramico. Desideriamo inoltre ringraziare: l’assessore del Comune di Sassuolo Gregorio Schenetti, che si è sempre dimostrato un interlocutore sensibile; il Comune di Fiorano Modenese, che ci ha ospitati nella biblioteca Bla e nel Castello di Spezzano in occasione di seminari con i nostri studenti; Marzia Cerchiari, del gruppo Marazzi; gli imprenditori Claudio Lucchese (Florim), Mauro Manfredini (Casalgrande Padana) e Franco Stefani (System), che ci hanno accompagnato nelle loro aziende; Margherita Russo della Facoltà di Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ci ha introdotto alla storia economica del distretto; i cittadini attivi Claudio Borsari, Nicola Prodi, Vincenzo Vandelli, David Zilioli e il comitato di quartiere “Attraverso Braida”, con cui ci siamo confrontati nel pensare un futuro possibile per la “città distretto”. In the development of this work we have taken on many debts. First of all to our students who helped us, through their design exercise, to discuss and test the research hypotheses we were developing on the ceramics district territory. We also wish to thank: Gregorio Schenetti, Councillor in the Municipality of Sassuolo, who has always demonstrated to be a receptive interlocutor; the Municipality of Fiorano Modenese that hosted our workshops at Bla library and Spezzano Castle; Marzia Cerchiari from Marazzi Group; the entrepreneurs Claudio Lucchese (Florim), Mauro Manfredini (Casalgrande Padana) and Franco Stefani (System) who welcomed us in their companies; Margherita Russo from the Faculty of Economics-University of Modena and Reggio Emilia who introduced us to the economic history of the ceramics district; the engaged professionals Claudio Borsari, Nicola Prodi, Vincenzo Vandelli, David Zilioli and the neighbourhood association 'Attraverso Braida', whom we consulting with in thinking about a possible future for the 'città distretto'. 7


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DOPO LA CRESCITA/ AFTER THE GROWTH

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MUOVERE DA QUEL CHE C'È Arturo Lanzani Chiara Merlini Federico Zanfi

Le condizioni demografiche e socio-economiche sono cambiate Il passaggio del secolo ci ha accompagnato entro un mondo assai diverso da quello che abbiamo conosciuto. Un secolo di crescita economica, demografica e del territorio urbanizzato sembra passarci alle spalle. Già prima della crisi (dalla metà degli anni Novanta) l’Italia sembra segnata da un andamento del Pil in via di stabilizzazione, con tassi prossimi allo zero e che, nelle migliori delle ipotesi, non potranno superare valori positivi di uno o due punti percentuali. Con la moneta unica, la produzione manifatturiera del nostro paese si è drasticamente ridotta, perdendo punti sia rispetto a quella dei nuovi paesi manifatturieri dell’estremo oriente, sia rispetto a quella della Germania e dell’Europa del Nord. A questa riduzione del Pil manifatturiero si è affiancata una riduzione drastica nell’occupazione. Se alcuni impianti si sono accresciuti e riqualificati, molti spazi produttivi sono al contrario sempre più sottoutilizzati, o sono stati definitivamente dismessi, mentre una quota consistente della nuova offerta di generici capannoni è rimasta invenduta. Nello stesso tempo, l’andamento positivo delle porzioni più dinamiche del 11


settore terziario (servizi alle imprese, ricerca e sviluppo, comunicazioni, attività creative e culturali) fatica a compensare la contrazione di lavoro e di spazi nei segmenti più tradizionali. I grandi sviluppi immobiliari urbani hanno offerto spazi terziari in eccesso, proprio nella fase in cui si contraeva la domanda di spazio del sistema bancario, della pubblica amministrazione e del terziario generico. D’altra parte la domanda di nuove attività innovative e creative non è stata tale da riutilizzare i molti spazi dismessi, siano essi quelli industriali o quelli tradizionali del commercio, delle libere professioni, degli sportelli bancari. Gli stessi grandi scossoni nel sistema commerciale e distributivo – con lo sviluppo di nuovi mall regionali e il rilancio di qualche distretto commerciale centrale, in un quadro di contrazione dei consumi e di crescita dell’ecommerce – sembrano delineare giochi a somma zero o negativa, che comportano sia estese chiusure delle attività tradizionali ai piani terra degli edifici, sia l’abbandono di molti grandi contenitori della nuova distribuzione. Deboli segni positivi vengono dall’industria turistica e culturale, che poteva costituire un settore di sviluppo, e che invece non ha avuto dinamiche particolarmente positive a fronte di quelle più effervescenti di altri paesi quali la Francia e la Spagna; mentre qualche segnale più incoraggiante sembra venire da alcuni comparti del settore agroalimentare. Ne è conseguito qualche interessante – ma ancora troppo limitato – processo di riuso di territori e insediamenti in aree rurali interne a lungo abbandonate, o di qualche storico insediamento industriale urbano. La dinamica demografica è segnata da una pesante contrazione della componente naturale (con il conseguente invecchiamento e la drastica riduzione dei nuovi nati), solo faticosamente compensata da quella immigratoria. Nell’ultimo decennio il nostro paese sembra ormai segnato più da migrazioni internazionali di passaggio, che da processi di nuovo insediamento. D’altra parte non si vede all’orizzonte nessuna politica che favorisca la natalità. Si segnala anzi, in anni recenti, l’inizio di un’emigrazione di italiani verso l’estero, riconducibile a un’offerta occupazionale in contrazione, specialmente per la forza lavoro più qualificata. A fronte di queste dinamiche demografiche emerge, dal punto di vista sociale, la continua fragilizzazione di quel ceto medio che ha costituito, nel 12


bene e nel male, la spina dorsale del modello di sviluppo italiano. Alcune dinamiche lo indeboliscono: la perdita di valore di patrimoni edilizi invecchiati, la precarizzazione o il venir meno del lavoro impiegatizio urbano, il calo occupazionale e del lavoro autonomo legato alla piccola impresa dei distretti, la contrazione del welfare state. Crescono, al contrario, sia un piccolo segmento di popolazione sempre più ricca, sia quote sempre più ampie di popolazioni povere. I segni di tutto ciò nel paesaggio sono evidenti: territori con forte presenza di abitazioni abbandonate o sottoutilizzate, caduta della manutenzione dell’enorme (e disordinato) patrimonio edilizio del ceto medio, riuso di edifici generalmente poco qualificati da parte di nuove popolazioni immigrate. Fenomeni a cui si accompagna una “molecolare” combinazione di due elementi: nuovi insediamenti per ricchi, appartati e sicuri, ed enclave di patrimonio, non solo pubblico, per popolazioni povere o in via di impoverimento. Certo gli andamenti delle variabili economiche e demografiche sono territorialmente diversi: decisamente negativi nel Mezzogiorno, prossimi allo zero nell’Italia di mezzo, debolmente positivi per il Nord Italia (con qualche maggior dinamismo in Lombardia, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna). Certo si segnalano alcuni cluster di attività con andamenti positivi: una pattuglia non esigua di medie imprese fortemente esportatrici e ben ancorate negli storici distretti industriali del paese (come nel distretto a cui è dedicato questo libro); alcuni segmenti di artigianato evoluto ancora in contesti distrettuali con lo spostamento sempre più verso l’alto delle tipiche produzioni del Made in Italy; alcune imprese del settore dell’agroalimentare rivitalizzato e del più dinamico turismo culturale, nonché naturalmente i servizi alle imprese, l’industria della cultura e le attività creative sempre più integrate ad attività commerciali, di intrattenimento e di turismo d’affari in alcuni principali nodi metropolitani, in particolare a Milano. La geografia delle aree forti e di quelle deboli, pur segnalando tradizionali e perduranti divergenze macroregionali, assume in ogni caso nuovi aspetti e disegna una geografia molecolare differente di quella emersa tra gli anni Ottanta e Novanta. Il quadro economico, sociale e demografico è drasticamente mutato. L’attività di governo del territorio, la progettazione urbanistica, del paesaggio e dell’architettura non potrà non tenerne conto. 13


Un territorio fragile, un paesaggio degradato Nel contempo il territorio, il supporto materiale del nostro vivere e delle nostre attività, non gode buona salute. Già alla metà degli anni Ottanta del Novecento il nostro paese, geologicamente giovane ma con un suolo stabilizzato da una delle più antiche vicende di antropizzazione al mondo, sembra ferito da una lunga ondata di urbanizzazione, concentrata e diffusa, poco attenta alle sue delicate condizioni idrogeologiche. Anzi, con l’estesa impermeabilizzazione dei suoli, con l’edificazione in ambiti di esondazione fluviale o su rilievi instabili ed in aree sismiche, con una infrastrutturazione che ha progressivamente occluso i fiumi, l’esposizione al rischio naturale della sua popolazione è via via aumentata. Parimenti, il suo paesaggio è sempre più compromesso per una crescente divaricazione: da un lato un’“immagine” di tale paesaggio attenta al passato e tesa a promuovere un’azione di tutela che si rivela spesso inefficace, dall’altro un “farsi” delle nuove urbanizzazioni privo di qualsiasi immagine guida, di qualsiasi codice visivo di riferimento, e pertanto non solo poco rispettoso di alcuni quadri paesaggistici del passato, ma anche incapace di costruirne di nuovi sufficientemente qualificati. L’ultima esplosiva crescita edilizia, tra l’inizio degli anni Novanta e la fine del primo decennio del nuovo secolo, non ha migliorato la situazione. Essa infatti non solo si è realizzata, ancora una volta, prevalentemente su green±eld, ma è parsa non di rado disaccoppiata da una reale domanda. La conseguenza è non solo l’ulteriore abbandono di patrimonio edilizio storico delle aree interne o dei nuclei più antichi inglobati nelle nuove urbanizzazioni (in coerenza con quanto avvenuto nel trentennio precedente). Per la prima volta, tra le conseguenze di questa crescita disaccoppiata dalla domanda vi è anche la perdita di valore, la scarsa manutenzione, il sottoutilizzo e la dismissione di quote consistenti del patrimonio edilizio costruito nel secondo dopoguerra. Ne sono stati investiti diversi materiali urbani: non poche case autocostruite nel periurbano e sulle coste del Mezzogiorno d’Italia, molti capannoni e contenitori commerciali “moderni”, alcuni tra gli edifici residenziali più degradati risalenti agli anni Sessanta e Settanta nell’urbanizzazione diffusa centro settentrionale, alcuni condomini degli anni del boom, estesi piani terra commerciali, oltre a caserme, attrezzature urbane e aree industriali in molte città medie. A 14


tutto ciò si aggiunge un’inedita presenza di urbanizzazioni non finite e di edifici non venduti, siano essi palazzine residenziali, nuovi capannoni o nuovi contenitori terziari e commerciali. Conseguentemente, nell’ultimo quinquennio, il settore edile sembra segnato da due dinamiche. Da un lato, un complesso di attività un tempo complementari e oggi sempre più autonome dall’impresa di costruzioni (affidate a impiantisti, serramentisti, installatori di pannelli e rivestimenti), dà forma a un processo pulviscolare di ristrutturazione del patrimonio esistente che ha due caratteristiche: non sempre riesce a essere totalmente virtuoso dal punto di vista edilizio (con riferimento al miglioramento delle condizioni energetiche, al trattamento delle acque piovane, della sicurezza), e quasi mai riesce ad assumere una valenza urbanistica e paesaggistica positiva, fornendo ad esempio un contributo ad una più generale politica di riqualificazione del suolo e delle attrezzature del welfare. Dall’altro lato, senza vincoli al consumo di suolo e/o senza consistenti penalità e incentivi che spingano, a livello nazionale e locale, verso l’utilizzo dei brown±eld, si segnala una più contenuta, ma non assente, attività di nuova costruzione. Un’attività che continua a occupare nuovi spazi verdi cercando di catturare l’esigua domanda con nuovi formati commerciali, residenze in classe A, quartieri protetti per ricchi o anche – più virtuosamente ma non senza esiti discutibili – con interventi di social housing e nuovi servizi, o con qualche necessario ampliamento di medie imprese manifatturiere. Per contro, essa non si fa carico del destino del patrimonio edilizio in eccesso e delle sue diverse condizioni. Un patrimonio che solo in – minima – parte potrà essere oggetto di ristrutturazioni urbanistiche intensive, con demolizioni e ricostruzioni, mentre più spesso dovrà essere riadattato con demolizioni parziali, aggiunte e riusi più virtuosi dal punto di vista ecologico, o che sarà da delocalizzare, demolendo e rinaturalizzando il suolo nelle aree di mancata tutela idrogeologica, sismica e paesaggistica. Conseguentemente, il perdurare della crescita edilizia ha non solo ulteriormente degradato da un punto di vista ecologico e paesaggistico il territorio italiano, ma ha anche avuto effetti negativi dal punto di vista economico e sociale. Ancora una volta essa ha infatti premiato la rendita 15


fondiaria con consistenti plusvalenze, distogliendo le imprese e le banche dal sostegno di altre attività. Nello stesso tempo, ha contribuito a indebolire il ceto medio italiano, riducendo drasticamente il valore delle sue case e favorendo semmai i facili guadagni del capitale finanziario (in alcune grandi città) o dell’economia illegale e criminale (nel resto del paese), che hanno continuato a investire nella nuova costruzione fino in tempi recenti. Non meno preoccupante il quadro delle infrastrutture e delle attrezzature. Dopo una lunga stagione (tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta) segnata da una politica di riuso e incrementalismo non priva di qualche miopia (per il sovrautilizzo e il congestionamento di alcune reti, per la mancanza di indirizzi a garanzia di buon funzionamento e sostenibilità ambientale del territorio urbanizzato), l’Italia ha focalizzato la sua spesa su nuove infrastrutture. Da un lato grandi opere che, con poche eccezioni, non rispondono a una domanda effettiva e che quasi sempre hanno erroneamente privilegiato la mobilità di lungo raggio rispetto a quella locale, le infrastrutture viarie rispetto a quelle tecnologiche ed ambientali. Dall’altro una miriade di nuove opere che vi si affiancano (porti e aeroporti turistici, centri di servizio, aree attrezzate), in risposta ad esigenze più propriamente clientelari, con le più fantasiose motivazioni e dai destini spesso infelici. Anche nel campo delle nuove attrezzature, l’urbanistica contrattata dei progetti urbani non di rado ha generato servizi di dubbia utilità e di difficile manutenzione, a fronte di un patrimonio esistente – fatto di acquedotti, sottoservizi, scuole, ospedali, centri civici, musei, siti archeologici, cinema, teatri – cui si è riservata scarsa cura. In sintesi, nel paesaggio italiano molte nuove opere si affiancano a vecchie che declinano, mostrando al contempo una relazione problematica con l’esistente, vuoi per un inadeguato inserimento nella rete complessiva (delocalizzando i problemi di congestione o di inefficienza della rete), vuoi per l’indifferenza verso le trame insediative infrastrutturali e naturali sottostanti (con enormi danni ambientali e paesistici). Una fase d’investimenti infrastrutturali cospicui non ha così dato avvio a quella stagione – necessaria oltre che auspicabile – di più capillare riqualificazione del capitale fisso sociale del paese. Lo ha, semmai e non di rado, ulteriormente degradato. Il dissesto idrogeologico, la quota non marginale 16


di aree a rischio ambientale, il cattivo funzionamento di non pochi territori urbanizzati e città compatte, la scarsa qualità dei nuovi paesaggi ordinari e l’inefficace tutela delle porzioni più qualificate che ereditiamo, non sono solo l’esito di una stagione di crescita sregolata, ma anche di una più recente politica infrastrutturale e dei servizi inadeguata. Il senso del recycle La questione del recycle va posta a nostro parere entro questo orizzonte di senso, nazionale e, per molti versi, europeo. Si lega a un’idea di urbanistica che cessa di interrogarsi su come organizzare la crescita, quant’anche in nuovi quartieri smart, green e solidali. Ragionare in termini di riciclo vuol dire, all’opposto, porre al centro il riordino, la ricomposizione e la riforma dell’intero variegato sistema insediativo e infrastrutturale, del suo suolo naturale e artificiale, del suo paesaggio di antica origine o di più recente formazione. In termini più generali, in una prospettiva di continuità del modello economico sociale, ciò vuol dire orientare la continua distruzione creatrice del capitale fisso sociale (pubblico e privato) proprio dell’economia capitalista, sui luoghi in cui si è già in passato depositata, riducendo così l’impronta ecologica del suo farsi. Dentro una prospettiva diversa, orientata a una possibile nuova bioeconomia, ciò vuol dire privilegiare la dimensione della “cura” più che quella della produzione edilizia ed infrastrutturale. Dove è chiaro che la seconda prospettiva, se avrà spazio, lo avrà negli interstizi e nei gusci vuoti dell’economia capitalistica, con la conseguenza che si renderà esplicita l’inutilità di ogni contrapposizione radicale tra le prospettive della green economy e della deep ecology, ed emergerà, al contrario, l’importanza di cogliere pregi, ma anche limiti, della prima attraverso il pensiero radicale della seconda. La prospettiva del riciclo intreccia d’altra parte una questione sia ecologica sia paesistica. Da un punto di vista ecologico, spinge a riflettere sul ciclo di vita dei materiali, sulla chiusura dei cicli, sulla minimizzazione dei rifiuti anche nel campo edile e infrastrutturale, sulla riduzione dei consumi energetici nei processi di trasformazione e nella gestione degli spazi, ivi inclusi quelli agricoli e dei movimenti delle persone e delle merci. Da un punto di vista paesistico, spinge a pensare al mondo costruito non tanto 17


come ad un insieme di oggetti legati ad una esclusiva dimensione d’uso entro una logica utilitaristica e “bulimica”, ma ad un mondo fatto di cose dotate di una loro vita, che ci implicano e di cui non abbiamo l’esclusivo controllo: riserve di senso che passano attraverso le generazioni modificandosi incessantemente, per aggiunte, deformazioni, reinterpretazioni. In tutti i casi, ritornando alle specifiche condizioni del territorio italiano, la prospettiva del riciclo implica la volontà di “far presa” sul patrimonio esistente rimettendolo il più possibile “al lavoro”, consapevoli della limitatezza dei capitali investibili nel nostro paese (per vincoli interni e per difficoltà di attrazione dall’esterno). Implica mettere al centro il patrimonio dei suoi cittadini, in particolare del suo ampio ma in crescente difficoltà ceto medio tutelandone il valore, piuttosto che quel capitale finanziario (o quell’economia criminale) che spesso, con interventi edilizi e infrastrutturali, ha contribuito alla polarizzazione aggravando ulteriormente i divari tra ricchi e poveri. La questione infrastrutturale Ancora oggi il progetto infrastrutturale continua a rimanere focalizzato su singole nuove opere, molto specializzate, prevalentemente di mobilità stradale, totalmente sovrapposte al territorio e al paesaggio. La prospettiva del riciclo vi si contrappone. Essa muove dalla rete e all’interno della stessa privilegia gli interventi di riforma dell’esistente, pur non negando la necessità di qualche nuovo intervento di integrazione; valorizza la multifunzionalità e ibrida tra loro interventi differenti che solitamente procedono oggi rigidamente separati (e spesso vedono contrapporre i disegni irrealizzati di infrastrutture ambientali alle azioni trasformatrici di altre infrastrutture); muove dalle trame insediative e dello spazio aperto esistenti pensando alle nuove infrastrutture come elementi che le innervano, le reinterpretano e modificano, anziché come elementi che vi sovrappongono ignorandole. Questo diverso operare può tradursi nel riuso più intenso di reti ferroviarie regionali e suburbane in cui sperimentare forme nuove di gestione, maggior integrazione con le politiche rivolte alla riorganizzazione degli insediamenti esistenti e della mobilità lenta, o alla localizzazione delle strutture di servizio e commerciali; o può talvolta tradursi in qualche limi18


tato tratto di nuova realizzazione (come nell’ipotizzato sistema di trenotram dalla stazione Mediopadana AV a Maranello). Può tradursi nel miglioramento di strade esistenti anziché nelle più consuete proposte di duplicazione con nuovi tratti autostradali (ad esempio, nel territorio esaminato, con la messa in sicurezza della superstrada esistente tra Modena e Sassuolo e con un ridisegno dell’inefficiente casello autostradale di Modena Nord). Oppure, tale diverso operare, può esplicarsi nel riordino di bacini fluviali con la rinaturalizzazione delle fasce (che può comportare anche rilocalizzazioni edilizie e la chiusura di attività di escavazione), o nella più oculata gestione delle piene, con la messa al lavoro della più estesa rete storica di canalizzazioni minori e con una più accorta progettazione delle eventuali vasche di laminazione (come interventi plurifunzionali, da realizzarsi prioritariamente su aree dismesse). O ancora, e a titolo esemplificativo, può tradursi in un programma complesso di riqualificazione dello spazio scolastico nelle periferie metropolitane e nell’urbanizzazione diffusa. Una riqualificazione che non solo migliori le prestazioni energetiche degli edifici e rimuova eventuali condizioni di insalubrità e insicurezza; l’obiettivo è anche valorizzarne la possibile multifunzionalità rivolta a popolazioni differenti (scolari di differenti fasce di età, residenti in ambiti prossimi, comunità sportive più mobili nel territorio), o uscire dal perimetro delle recinzioni per ripensare gli spazi aperti prospicenti – spazi troppo spesso banalizzati e specializzati funzionalmente – connettendoli possibilmente a reti verdi e di mobilità lenta. In generale, non si tratta di immaginare l’applicazione di nuovi modelli infrastrutturali smart o green, o di principi di sostenibilità unilaterali e con modelli di offerta “chiavi in mano”. Piuttosto, muovendo da quel che c’è e usando una rete infrastrutturale ormai in gran parte conformata, si tratta di delineare le traiettorie plurali e specifiche di miglioramento della dotazione informatica, delle prestazioni energetiche, dei modi di trattamento delle acque, di organizzazione del ciclo dei rifiuti, di promozione della mobilità sostenibile e, infine, di valorizzazione della valenza ecologica e fruitiva dell’agricoltura periurbana. Tutto ciò, facendo economia d’investimenti e sfruttando le capacità degli attori locali. 19


Oltre la rigenerazione urbana La prospettiva del riciclo porta del resto oltre l’orizzonte della ristrutturazione urbanistica tramite “progetti urbani” nelle aree dismesse, o oltre la “rigenerazione” di nuclei storici e di periferie pubbliche in crisi attraverso azioni d’innesto. Essa richiede anzitutto una riflessione sui limiti di molte di queste operazioni. Nel primo caso, tali limiti si ritrovano frequentemente nel mancato inserimento delle singole trasformazioni in una visione d’insieme, o nell’insoddisfacente disegno di suolo, o nella limitata “cattura” e nella discutibile destinazione dei plusvalori fondiari verso opere pubbliche spesso inutili e oggetto di cattiva gestione. Nel caso dei tessuti storici riqualificati, il limite maggiore sta nell’avvio di discutibili dinamiche di valorizzazione immobiliare e gentri±cation tramite risorse pubbliche, mentre per i quartieri pubblici le politiche di rigenerazione, per quanto virtuose, si ritrovano nell’impossibilità di affrontare situazioni di disagio che nascono anzitutto dall’inadeguatezza dell’offerta rispetto alla domanda (che ha portato alla concentrazione delle situazioni di disagio più estremo nel patrimonio pubblico). Consapevoli di ciò, va promossa una logica d’intervento diversa. Nel caso delle aree dismesse è spesso più opportuno riusare lo spazio già costruito e modificarlo con inserimenti e demolizioni parziali, più che promuovere radicali demolizioni e ricostruzioni, peraltro economicamente insostenibili in un contesto di plusvalenze assenti e dissipative dell’energia grigia incorporata nei manufatti. Soprattutto, è necessario in questi casi promuovere le trasformazioni delle singole aree entro un’ipotesi di riordino d’insieme dell’urbanizzato, entro una griglia e un disegno di suolo non episodico e introverso. Nel caso della periferia pubblica, l’intervento socio-urbanistico nei quartieri non può eludere un sempre più necessario ripensamento della politica abitativa nel suo complesso. Infine, nei nuclei storici degradati, vanno messi al centro il possibile sostegno agli investimenti dei residenti e va promossa una più estesa e isotropa politica di riqualificazione dello spazio pubblico, che limiti le dinamiche di gentri±cation o perlomeno le renda più “temperate”. Ma la prospettiva del riciclo richiede soprattutto una politica diversa rivolta all’intero patrimonio esistente. 20


La precondizione necessaria è quella di evitare nuove urbanizzazioni, cancellando l’enorme offerta residua di aree di espansione previste negli strumenti urbanistici, o rendendola poco attivabile mediante pesanti oneri di urbanizzazione e compensazioni aggiuntivi. Da qui, vanno messe al centro due diverse direzioni di lavoro. La prima direzione porta a ipotizzare rilocalizzazioni volumetriche con demolizioni e talvolta rinaturalizzazioni nelle aree di esondazione fluviale o di rischio, nei paesaggi agrari degradati dalla presenza di volumi incongrui, nelle porzioni di territorio di più difficile infrastrutturazione. Una rilocalizzazione con la “caduta” delle suddette volumetrie va cercata in forma di densificazioni e cristallizzazioni nei punti di maggior accessibilità, o eventualmente anche a favore di quelle poche ma importanti imprese che, dovendo espandersi in prossimità e non trovando altre opportunità insediative, dovranno inevitabilmente consumare nuovo suolo. In altre parole, si tratta di pensare a un’urbanistica che proceda congiuntamente per sottrazioni e aggiunte, che ottimizzi l’uso delle infrastrutture esistenti e collabori a ricostruire il paesaggio. La seconda direzione di lavoro è legata a un diffuso e molecolare rinnovo del patrimonio edilizio privato “laddove è”, ma non necessariamente “com’è”. Le questioni da porre al centro sono molteplici: un’attenzione a più decisi miglioramenti delle prestazioni ambientali del costruito (energetiche e idrauliche); una ridefinizione dello spazio abitato che tenga conto di nuove pratiche di vita e di lavoro, di forme della famiglia e dell’impresa che cambiano; una attenzione alle logiche di prossimità e di separazione ricercate da alcune attività dentro un mix funzionale che va indirizzato, e che non può essere ottenuto solo affermando un principio di generica flessibilità negli usi; una ricerca, infine, di un’immagine di paesaggio che possa essere condivisa da popolazioni diverse, non tanto in una ormai improponibile uniformità di linguaggio del costruito, ma agendo su comuni modalità di disposizione al suolo e su spazi di intermediazione. Nel suo farsi, quest’azione modificativa non potrà basarsi sulla saggezza individuale del singolo progetto, né tanto meno su una procedura regolativa edilizio-paesaggistica centralizzata a cui il singolo progetto debba conformarsi. Abbiamo bisogno di un dialogo – non facile – tra due dimensioni. Da una parte una sorta di design code essenziale e allo stesso tempo 21


contestuale (ossia differenziato per diverse situazioni insediative), con indicazioni categoriche ma anche con indirizzi e suggerimenti specifici che si depositi nei piani urbanistici. Congiuntamente, una pratica di design review delle trasformazioni proposte dai privati che abbandoni ogni giudizio di conformità, entrando nel merito delle scelte progettuali. Ciò con la consapevolezza che, nel particolare e sovraffollato mercato professionale del nostro paese, la cultura architettonica più sensibile sarà protagonista dell’elaborazione del progetto di trasformazione solo in alcuni casi, essendo piuttosto chiamata a fornire la sua consulenza nel processo di revisione. Il tutto reintroducendo forme autorevoli e trasparenti di discrezionalità nell’agire tecnico-amministrativo, oggi negate da ordinamenti giuridici e prassi organizzative, e attivando una più proficua collaborazione tra amministrazioni e altre istituzioni pubbliche (tra cui l’Università). Questa azione modificatrice, infine, richiederà sempre più spesso l’esercizio di un sapere tecnico architettonico-ingegneristico-paesaggistico nuovo. Un sapere che sappia assumere una dimensione imprenditoriale integrata ad una filiera avanzata e industriale delle costruzioni, e che organizzi l’accesso a strumenti finanziari e gestionali adeguati per intervenire più efficacemente in realtà segnate da condizioni di crescente fragilità e polverizzazione del ceto proprietario. In ultimo, ma innanzitutto, lo spazio aperto Purtuttavia, in totale controtendenza con la storia dell’urbanizzazione italiana di tutto il Novecento (ma non con quella di diversi filoni dell’urbanistica, e con la storia della bonifica agraria), sarà il progetto dello spazio aperto il vero centro di una ipotetica politica di riciclo. Un “progetto di suolo” e di “natura intermediaria” che dovrà declinarsi perlomeno in tre modi. Innanzitutto definendo una griglia a maglie larghe che possa gradualmente riorganizzare nel tempo lo spazio già urbanizzato. Di fronte ad un costruito che rimarrà sostanzialmente frantumato, disomogeneo e plurale, è possibile immaginare uno spazio intermedio di connessione e di relazione. Questo dovrà includere certamente lo spazio aperto della città antica, con le sue strade scavate nei volumi, ma da esso dovrà diramarsi verso la città contemporanea lungo alcune strade riconquistate ad una prevalente mobilità ciclopedonale e pertanto ampiamente ripensate nella 22


sezione e nell’eventuale corredo vegetale, dovrà entrare negli interstizi verdi rimasti nell’urbanizzato, siano essi giardini pubblici, fasce di fiumi e canali, spazi di risulta inedificati, facendo coincidere una possibile rete verde con una rete della mobilità lenta. Uno spazio, quindi, al tempo stesso di urbanità e di naturalità diffusa. Uno spazio di tale natura potrebbe diventare luogo di condivisione più che di comunità, aperto a popolazioni e comunità di pratiche diverse, che possano trovare qui comuni protocolli di comunicazione e di convivenza. Uno spazio a maglie larghe, ma relativamente isotropo, redistributivo e democratico; uno spazio che ad esempio dia ospitalità alla pratica del camminare nel costruito così come nella natura. Uno spazio, infine, “reticolare” che, catturando una rete di attrezzature e di servizi pubblici spesso dalle più disparate localizzazioni, dia loro un ambito esterno (come lo era la piazza per l’edificio civile o religioso della città antica) e ristabilisca delle connessioni reciproche e con l’urbanizzato, oggi troppo spesso assenti. Dentro questo possibile disegno, grande attenzione dovrà essere rivolta all’enorme quantità di superfici asfaltate o male inerbite poste tra un edificio e l’altro, che troviamo nell’urbanizzazione degli ultimi quarant’anni: parcheggi mal fatti e rigidamente monofunzionali, strade da rimodulare nelle sezioni per recuperare il possibile uso pedonale e il valore paesistico, e non solo per garantire una migliore funzionalità automobilistica. Analoga attenzione andrà rivolta a quella rete di fiumi, canali, percorsi d’acqua superficiali, troppo spesso negata dall’urbanizzazione contemporanea (salvo poi riscoprirne l’esistenza al primo evento meteorico) con la consapevolezza delle possibili integrazioni tra reti blu e reti verdi. In secondo luogo, e in stretta connessione con questa griglia come suo punto notevole o come suo grande spazio aperto intercluso, un sistema di grandi parchi low-cost e di parchi agricoli. Nel primo caso, in un regime di contenimento della spesa pubblica e di minori redditi individuali, questi ambiti potranno dare spazio alla dimensione corporea del nostro vivere, a una condizione di benessere psicofisico, a momenti temporanei e mutevoli di vita pubblica. Nello stesso tempo, potranno favorire sia pratiche individuali di autoproduzione alimentare, sia lo sviluppo di politiche pubbliche di forestazione urbana, con profili ora più marcatamente ecologici (in relazione alle possi23


bilità di cattura del carbonio, di produzione di ossigeno, di mitigazione climatica), ora produttivi (di legname e di biomassa), ora paesaggistici e di natura compositiva (nei vuoti residui tra l'urbanizzato). È all’interno di parchi di questo tipo, cosi come in non pochi segmenti della griglia di cui si è detto, che può e deve trovare spazio anche la prospettiva più radicale del terzo paesaggio secondo la prospettiva di Gilles Clément. Nel caso dei parchi agricoli sarà centrale un ripensamento veramente multifunzionale dell’agricoltura e un’effettiva relazione di scambio – in termini culturali e di pratiche di vita e non solo mercantili – tra mondo urbano e mondo rurale. Ben sapendo che una nuova impresa agricola vi potrà emergere (come può avvenire nel distretto di Sassuolo) ora con un decisivo sostegno e accompagnamento a imprese esistenti in trasformazione (ossia riconoscendo veramente e selettivamente le esternalità positive che esse producono), ora con un ruolo forte dell’amministrazione pubblica che, come nelle riforme agrarie del Novecento, ponga le basi per una nuova agricoltura su terreni di propria proprietà. D’altra parte è soprattutto in questi spazi che spesso ci si deve confrontare con il tema del recupero o di una messa in sicurezza di suoli degradati, nella consapevolezza peraltro di avere risorse troppo limitate per una radicale bonifica. Dentro questi ambiti, siano essi grandi parchi low-cost o parchi agricoli, non è impossibile pensare isole ad accesso limitato dove avviare sia misure di lunga durata di bio-rigenerazione e/o di messa in sicurezza, sia qualche più veloce ed eccezionale progetto di totale bonifica e di più profondo ridisegno del suolo. Infine, vanno riattivate delle relazioni di scambio tra aree geografiche anche molto differenti per popolazione e caratteristiche insediative, ma ecologicamente e idrogeologicamente integrate in una logica bio-regionale. Da un lato riconoscendo i servizi ecosistemici che alcune aree interne, di collina e montagna (tra queste quelle dell’appennino reggiano e modenese) forniscono alle estese conurbazioni contemporanee di pianura e di costa. Dall’altro, riconoscendo la valenza economica e sociale di un turismo di prossimità che può portare a riscoprire il benessere e la sostenibilità ecologica ed economica di ciò che un tempo si chiamava “gita fuori mura”, anche evolvendo verso forme di doppia residenzialità. 24


Questo libro Il territorio a cui è dedicato questo libro è un buon campione di quell’Italia un poco dimenticata che non ricade né nelle grandi città e metropoli che stanno recentemente attraendo investimenti pubblici e privati a seguito delle potenti retoriche dell’economia creativa e della conoscenza, né in quelle aree interne che hanno conosciuto un forte spopolamento e su cui più timidamente si sta accendendo l’attenzione per il ruolo decisivo nell’equilibrio idrogeologico del paese e per la capacità di ospitare dinamiche di ripopolamento in controtendenza. Un territorio contraddistinto da una densa urbanizzazione diffusa, consolidatasi a seguito di un forte sviluppo dell’economia manifatturiera distrettuale, che oggi rimane vitale nella sua base manifatturiera locale ma che al tempo stesso va inteso anche come la componente di una più vasta “urbanizzazione post-metropolitana regionale” che sembra per qualche verso caratterizzare in forme diverse l’intera Italia del Nord. Un’urbanizzazione che trova struttura entro alcuni “corridoi” – sull’arco pedemontano alpino che si dispiega da Torino a Treviso e sulla direttrice della Via Emilia da Milano all’Adriatico – e che oggi vede presenti tutti i temi di lavoro che abbiamo richiamato. Temi che qui trovano declinazione in una forma originale, forse specificatamente italiana, sulla quale sarebbe bene riflettere evitando di proceder per facili – ma non sempre efficaci – trascrizioni di politiche e progetti maturati in altri contesti. Le pagine che seguono propongono uno svolgimento di questi temi secondo un approccio che ha cercato di coniugare la radicalità della visione e del progetto di recycle con lo “stare dentro” le condizioni specifiche e i processi reali entro cui il territorio studiato si trova. Dal confronto e dalla tensione tra questi due aspetti, che ogni progetto fa emergere, il lettore può comprendere le difficoltà che il fare urbanistica entro una prospettiva di riciclo incontra in contesti come quello attuale del nostro paese e – ci auguriamo – cogliere qualche spunto per avanzare in una direzione che ci pare tanto di difficile percorribilità quanto necessaria.

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The same great commercial and distribution system shocks – with the appearance of new regional malls and the relaunching of certain town centre shopping districts, within a framework of consumption contraction and growth in e-commerce – seem to have paved the way for zero-sum or negative games. We are increasingly witnessing wholesale closure of traditional ground floor businesses and the abandonment of large-scale retail outlets. Weak positive signs are coming from the tourist and cultural industries. If this may be a sector in expansion, it should also be noted that it has not shown especially positive dynamics as compared with the more effervescent tourist sectors of other countries, such as France and Spain. Some more encouraging signs seem to be coming from certain food industry sector segments. Some interesting – but still too limited – territorial re-use processes in long ago abandoned inner rural areas or some historic urban industrial developments are under way. The demographic dynamic has been marked by significant contraction of the natural component (with consequent ageing of the population and a drastic reduction in new births) which immigration has struggled to compensate for. In the last decade Italy has shown more signs of international migratory passage than real new settlement. On the other hand, no policies to encourage higher birth rates are visible on the horizon. Recent years have, in fact, seen Italian emigration as a result of a contracting employment market, especially for higher skilled segments. In the face of these demographic dynamics, what emerges from a social

STARTING FROM WHAT WE HAVE The demographic and socio-economic conditions have changed The turn of the millennium has taken us to a very different world from the one we were used to. A century of economic, demographic and urbanisation growth seems to be behind us now. Already before the crisis (from the mid 1990s) Italy’s GNP seemed to be flat lining with rates near zero and, in the best of hypotheses, a just 1 or 2 percent growth rate. With the single currency Italy’s manufacturing base was drastically reduced, losing points to both the manufacturing economies of the Far East and Germany and Northern Europe. This reduction in manufacturing GNP was accompanied by a drastic drop in employment rates. If some plants have grown and renewed, many manufacturing spaces are – by contrast – increasingly underused or abandoned, while a significant proportion of the new industrial building space has remained unsold. At the same time, positive trends in the more dynamic parts of the tertiary sector (business services, research and development, communications, creative and cultural activities) are struggling to soak up the excess workforce and space from the more traditional segments. The large urban real estate developments resulted in excess tertiary spaces precisely at the phase at which the demand for banking system, local government and generic tertiary system space was contracting. On the other hand, the demand for new innovative and creative activities has not been sufficient to reuse many abandoned spaces. 26


upwards, in the characteristic ‘Made in Italy’ products scale; a number of firms in the food industry sector, which have been revitalised and made more dynamic by cultural tourism as well, naturally, as services to business; the cultural industry and creative activities increasingly integrated into commercial business, entertainment and business-tourism in some of the main metropolitan areas, especially Milan. A map of the strong and weak areas shows traditional, long lasting macroregional divergences, but is also showing new aspects and designing a different molecular geography from that which emerged in the 1980s and 90s. The economic, social and demographic framework has changed drastically: local government, town and landscape planning and architecture cannot ignore this.

point of view is the weakening of that middle-class which has made up the backbone of the Italian development model, for both good and ill. Certain dynamics are gradually weakening it: the loss of value of an ageing real estate patrimony, the increasingly precarious nature of urban white collar employment, a drop in employment and freelance work linked to the industrial district’s small scale business, the contraction of the welfare state. By contrast a small, rich segment of the population is increasing, as is the everlarger category of the poor. The signs of all this in the landscape are tangible: territories with a significant presence of abandoned or underused housing, declining maintenance standards in the huge – and untidy – middle-class real estate patrimony, and the re-use of generally low standard housing by the new immigrant population. These are phenomena which have been accompanied by a ‘molecular’ combination of two elements: new estates for the rich, which are sheltered and safe, and enclaves – and not simply of public housing – for the poor or soon to be so. Economic and demographic trends admittedly vary from region to region. They are markedly negative in the south, near zero in the centre, and weakly positive in northern Italy (with some dynamism in Lombardy, TrentinoSouth Tyrol and Emilia Romagna). There are also certain clusters showing positive trends: a by no means insignificant platoon of strongly exportoriented medium-scale firms with solid roots in the country’s historic industrial districts (like the ceramics district this book is about); certain evolved craft segments – still in industrial district contexts – moving gradually

A fragile territory, a degraded landscape In the meantime the territory – the material support to our lifestyles and activities – is not in good health. Already in the mid 1980s a geographically young country – but one bearing witness to one of the oldest human settlement patterns in the world – was scarred by a long sequence of concentrated and diffused urban developments, which paid scant attention to its delicate hydro-geological conditions. Quite the contrary, with wide ranging land impermeabilisation, building in river flood zones or on unstable hillsides and earthquake risk areas, with an infrastructure which has progressively blocked the rivers, the population’s exposure to natural risk is increasing. At the same time the landscape is being progressively compromised 27


in particular residential apartment buildings, new warehouses or new tertiary and retail spaces. Over the last fifteen years, then, the building sector has shown two dynamics. On the one hand, a complex of once complementary, activities which are now increasingly independent of traditional building firms – entrusted to electricians, fitters, panel and insulation installers –, has given rise to a fragmented renovation process of the existing patrimony. It is a renovation work which has two characteristics. Firstly it is one which does not always succeed in being entirely virtuous from the building perspective (in reference to energy savings, rain water treatment, safety), and secondly it almost never manages to be positive in urban and landscape terms, making – for example – a contribution to a more general land improvement and welfare infrastructure policy. On the other hand, in the absence of land use regulations and significant incentives prompting brownfield use, a more limited building process is under way. It is an activity which continues to occupy greenfield in an attempt to capture demand with new commercial formats, energy-efficient residences, protected districts for the rich and also – of greater value, but not free of controversial outcomes – social housing and new expansions for medium-sized manufacturing firms. All this takes no account of the fate of the real estate patrimony in excess. Only a small proportion of this patrimony is suitable for intensive urban development involving demolition and rebuilding. More frequently it will need to be remodelled with partial demolitions, added sections and more

by a growing gap. On one hand an ‘image’ which is attentive to the past, and oriented towards landscape safeguards which are often revealed to be ineffective. On the other hand, a new urbanisation free of any guiding image or visual reference code at all, and thus not simply disrespectful of certain past landscape frameworks, but also incapable of creating sufficiently high quality new ones. The last real estate boom – from the early 1990s to the end of the first decade of the new century – has done nothing to improve this situation. Not only has it been mainly built on greenfield land, but also building production has frequently appeared to be unrelated to any real demand. The consequence has been not simply further abandonment of the historic real estate patrimony in the inner city areas, or older town centres swallowed up by new urban developments. For the first time, one of the consequences of this non-demand pushed growth has also included loss in value, low maintenance, underuse and the abandonment of large segments of the post World War Two real estate patrimony. This has impacted on a range of urban contexts: many houses built by their owners in the suburbs and coastal areas of southern Italy, many prefabricate warehouses and ‘modern’ commercial buildings in the diffused central-northern urbanisation, a number of apartment blocks built in the ‘boom’ years, large ground level shopping spaces as well as military barracks, urban facilities and industrial areas in many mediumsized towns. All this is supplemented by a huge presence of unfinished urban developments and unsold buildings, 28


planning contracts have often led to services of doubtful utility and difficult to maintain. And this in the face of an existing patrimony of underground networks, schools, hospitals, civic centres, museums, archaeological sites, cinemas and theatres which is often neglected. In sum, a great deal of new work is built alongside older buildings falling into disrepair, showing a problematic relationship with the existing patrimony: sometimes as a result of inadequate integration into the overall network (delocalising congestion, or creating network inefficiency problems), sometimes as a symptom of indifference to the underlying infrastructure and natural patterns (causing huge environmental and landscape damage). A significant investment phase has thus not generated a necessary as well as desirable ‘new start’, involving an in-depth renovation of the country’s fixed social capital. If anything, it has frequently worsened it further. Hydrogeological instability, a significant share of environmental risk areas, badly functioning urban areas, lower quality ordinary landscapes and ineffective safeguarding of the better quality heritage: all this is not simply the outcome of a period of unregulated growth, but also of an inadequate recent infrastructure and services policy.

virtuous re-use from an environmental point of view. Or, in other cases, it will need relocating, demolishing and renaturing the land in areas in which hydrogeological, seismic and landscape safeguards are today absent. Consequently, the continuation of real estate growth has not only further degraded the Italian landscape from the environmental and landscape points of view, but it has also had negative economic and social effects. Once again it has incentivised real estate profits with large capital gains, distracting firms and banks from other activities. At the same time it has contributed to weakening the Italian middle-class by drastically reducing the value of houses and favouring easy financial capital earnings (in some large cities) and the black and criminal economy (in the rest of the country) which continued to invest in new building until recent years. The infrastructure and facilities framework is no less worrying. After a long period (from the mid 1970s to the early 1990s) characterised by a somewhat shortsighted re-use and incrementalism policy, Italy has focused its spending on new infrastructure. On one hand large-scale work which, with very few exceptions, is not responding to real demand and which has always mistakenly favoured long distance over local mobility and roads over technological and environmental infrastructure. On the other, a multiplicity of new works (tourist ports and airports, service centres), responding to demands which might be defined cronyist, justified in the most ‘creative’ ways and often destined to fail. In the new facilities field, too, urban

The meaning of recycling In our opinion the recycling issue is to be contextualised within this – national and, in many ways, European – horizon. It is linked to an urban planning concept which no longer focuses on organising growth – however smart, green or social – in new districts. 29


which are not under our exclusive control: ‘reserves’ of meanings, which pass through the generations changing incessantly, being deformed and reinterpreted. In any event, returning to the specific state of Italian territory, the recycling perspective implies to act on the existing patrimony putting it – as far as possible – ‘back to work’, whilst conscious of the limits of investable capital. It implies putting citizens’ patrimony centre-stage, especially that of Italy’s large but increasingly struggling middle-class, safeguarding its value, rather than putting financial capital (or the criminal economy) centre-stage, whose building and infrastructure work has contributed to the polarising process and aggravated the gap between rich and poor.

By contrast, thinking in terms of recycling means placing centre-stage the re-ordering, the recomposition and the reform of the whole settlement, landscape and infrastructure system. In more general terms, this means directing the continual ‘creative destruction’ of fixed social capital (both public and private) – which is such a feature of the capitalist economy – into places in which it has already built, thus reducing the environmental impact of its action. From within a different perspective, oriented towards a possible new bioeconomy, this means privileging the ‘care’ dimension over the one of building and infrastructure construction. It is clear that, if the latter perspective is to find a space, it will do so in the interstices and empty spaces of the capitalist economy. As a consequence, the futility of all radical juxtapositions between the green economy and deep ecology perspectives will be made explicit, and the importance of understanding the value but also the limitations of the former by means of the radical thought of the latter will, by contrast, emerge. The recycling perspective intersects an issue which is both environmental and landscape-related. From an environmental point of view, it prompts a rethinking of material lifecycles, cycle closure, minimising refuse in the building and infrastructure spheres, and reducing energy consumption in transformation processes and space management. From a landscape point of view, it prompts us to think of the built environment not simply as a collection of objects linked to a utilitarian and ‘bulimic’ logic, but rather of a world made up of things with a lifecycle,

The infrastructure question The infrastructure issue still today continues to focus on new work, which is generally highly specialised, mainly focusing on road transport and given total priority over territory and landscape. The recycling perspective is the flip side of the coin. It develops within the existing network, privileging reform action, without denying the need for some new integration work. It values multi-purpose work, and the hybridization of processes that normally work independently of one another. Its starting point is the interweaving of built areas and existing open spaces, viewing new infrastructure as elements which reinterpret and remodel them, rather than elements which overlay and ignore them. This different way of working can translate into a more intensive use 30


Rather, it’s a matter of starting from what we already have on the ground, and using the infrastructure network largely now in place to set out plural trajectories and improvement specifications.

of the regional and suburban rail network, experimenting new forms of management and greater integration with urban reform policies and slow mobility networks. It may also translate into certain specific new lines (like the hypothetical Reggio Emilia-Maranello train-tram system proposed in this book). It may translate into improvements in existing roads, rather than the usual duplication proposals involving new motorways (for example, in the area considered here, making safe the existing fast road between Modena and Sassuolo and redesigning the nonfunctional Modena Nord motorway exit). This different way of working may also take the form of tidying up the river basins by renaturing strips (which may also involve relocating buildings and closing down quarries), or a shrewder management of high water, putting to work the extended historic network of minor canals and a more intelligent planning of detention basins (multi-function action, and priority location in abandoned areas). Another possible example may be a complex redevelopment of the metropolitan school spaces. This redevelopment would not only improve buildings’ energy saving performance and eliminate any unhealthy or unsafe conditions, but would focus on potential multifunctional objectives targeting different sections of the population (children of different ages, residents of neighbouring areas, mobile sports communities) and connecting buildings to green and slow mobility networks. In general, it is not a matter of envisaging how to apply new ‘smart’ or ‘green’ infrastructure models, or oneway sustainability principles.

Beyond ‘urban regeneration’ The recycling hypothesis goes well beyond the redevelopment of abandoned areas by means of ‘urban projects’, or the ‘regeneration’ of historic town centres and public housing in crisis by means of ‘grafting’ actions. First and foremost it requires consideration of the limits of many of these operations. In the first case, these limitations are frequently to be found in the lack of integration between individual design and a holistic view, or in nonsatisfactory ground design, or in a limited catchment and controversial use of land rents. In the case of the redeveloped historical fabric, the greatest limitation consists in launching controversial real estate enhancement dynamics and gentrification by means of public resources. In public districts, on the other hand, regeneration policies – however virtuous – have been incapable of taking on social deprivation, prompted mainly by the inadequacy of supply in relation to demand. Seen in this light, diverse action logic needs to be put in place. In the case of abandoned areas, it is frequently more useful to reuse and adapt existing spaces, rather than sponsoring radical demolition and rebuilding which are also financially unaffordable – given the lack of capital gains – and wasteful of ‘grey’ energy. In such cases it is necessary to 31


collaborating in rebuilding landscape. The second action perspective is linked to a diffused and molecular renewal of the private building patrimony where – but not necessarily as – it is. The issues to be placed centre-stage are manifold: attention to energy and hydraulic performance in the built environment; a redefinition of the housing space which takes account of new life and work styles, as well as changed family and business forms; attention to the neighbourhood and separation logics required by certain activities, within a functional mix which needs targeting, and cannot be achieved simply by asserting a generic ‘flexibility’ principle in use; lastly, a search for a landscape image which can be shared by different sections of the population. Not through a now unachievable built language unity, but rather acting on land organisation processes and intermediation spaces. This modification work cannot be based on the wisdom of each individual project, nor on centralised building and landscape regulation procedures to which each individual project must conform. What is needed is a – by no means straightforward – dialogue between two dimensions. On one hand, we need a sort of simultaneously essential and context-specific design code, with categoric indications but also with specific guidelines and suggestions to be enshrined in town plans. At the same time, a design review of renovation work put forward by private citizens is required, which abandons all attempts at standardisation and enters into the specifics of each project. All this with an awareness that, in the specific and overcrowded Italian professional market, the

promote transformations in the context of a holistic reorganisation of the urban area, through a ground design which is neither episodic nor inward-looking. In the case of public housing, sociourban planning work cannot avoid an increasingly necessary rethinking of the overall residential policy. Lastly, in degraded historic town centres, resident investment is to be placed centre-stage as far as possible and a more extended redevelopment of public spaces needs to be put forward limiting gentrification dynamics or at least tempering them as far as possible. But recycling perspective requires above all a different policy targeting the whole existing patrimony. The necessary precondition is avoiding new urbanisation, and eliminating – or making them difficult to activate with heavy urbanisation penalties and additional compensation – the huge excess of zoned areas in town plans. From this, two different action perspectives must be put centre-stage. The first hypothesises volume relocations with demolition work and sometimes renaturing river flood zones, high-risk areas or agricultural landscapes degraded by the presence of incongruous volumes. A relocalisation impacting on the volumes mentioned above should be sought in forms of densification in the most accessible areas, or also favouring those few – but important – firms which would inevitably have to take over new land if they need to expand, and find no other settlement options. In other words it is a question of thinking of urban planning which moves forward simultaneously with subtractions and additions, optimising the use of the existing infrastructure and 32


the historic town, it will also have to branch out into the modern city, along certain roads requiring rethinking in terms both of section and surrounding vegetation, or entering into the green intervals in the urban area both in public gardens, river and canal strips and residual spaces, bringing together a potential green network with a slow mobility network. These will thus be simultaneously urban and diffused natural spaces. They will be relatively isotropic, redistributive and democratic spaces, open to communities with diverse habits. ‘Reticular’ spaces which, lacing up to the existing equipment and public services, will rethink and restore their mutual connections with the city. Within this potential design, great attention will have to be paid to the huge quantity of tarmacked or grassy land surfaces with ill-designed, rigidly mono-use car parks, or road sections requiring remodelling to recover pedestrian access and landscape value. Similar attention should be paid to the network of rivers and canals, which is all too often ignored in contemporary urbanisation (and then rediscovered after heavy rainfall) with an awareness of possible integrations between blue and green networks. In the second place, and closely linked to this grid, would be a system of large low-cost and agricultural parks. In the former case, in a regime of public expenses limitation and lower individual earnings, these spaces could provide a place for the bodily dimension of our lives, psychophysical well being and temporary and changeable moments of public life. At the same time, they would also be able to favour both individual home food production and the development

more sensitive architectural culture will play a part in building work only in a few cases, and will be called upon more frequently in the revision process. All this reintroduces authoritative and transparent forms of discretionary decision-making in the technical-administrative sphere, which is currently denied by the legal and organisational framework, and activates a more fertile partnership between local government and other public institutions (including the university). These amendments, lastly, will increasingly require new technical architecture, engineering and landscape know-how. This know-how should be capable of taking on an entrepreneurial dimension integrated into an advanced building chain, and organizing access to the financial and management tools required to act more effectively in situations marked by growing fragility and fragmentation of the propertyowning class. Last but not least, open spaces Going totally against the history of Italian urbanisation through the whole of the twentieth century, the design of open spaces will be the true centre of a hypothetical recycling policy. A ‘ground design’ and an ‘intermediate’ nature, which will take three forms. First and foremost, it will set out a wide-mesh grid capable of gradually reorganising the existing urbanization. In the face of a built environment which will remain substantially fragmented, non-homogeneous and pluralistic in its forms, it is possible to envisage an intermediate, connecting up and relationship space. This will certainly have to include the open space of 33


Lastly, exchanges between different geographical areas in both population and settlement characteristic terms should be reactivated into an environmental and hydrogeologicalintegrated bioregional logic. On one hand, by recognising the ecosystem services which some internal hill and mountain areas (including the Reggio Emilia and Modena Apennines) provide for contemporary extended plains and coastal conurbations. On the other hand, by recognizing the economic and social value of local tourism, which can lead to rediscover the well-being – as well as the ecological and economic sustainability – of what was once the daily ‘trip’ outside the town, even evolving into forms of dual residency.

of public urban forestry policies: sometimes with more environmentally friendly profiles (in relation to possible carbon capture, oxygen production and climatic mitigation), sometimes with more productive profiles (timber and biomass), sometimes with more landscape-designed features. It is within parks of this sort, as in many other segments of the grid mentioned above, that spaces can and must be found for a more radical perspective on the ‘third landscape’, according to Gilles Clément’s approach. In the case of agriculture parks, a fundamental multi-purpose rethinking of agriculture and an effective exchange relationship between the urban and rural worlds is crucially important, in both cultural and lifestyle terms. Fully aware that a new agricultural firm could emerge (as may occur in the Sassuolo district) sometimes thanks to the public support to existing companies in transformation, thus recognising the positive external effects that these can have, or sometimes thanks to the role played by the local government which, as in 20th century agricultural reform, sets the bases for a new agricultural policy on its own lands. It is, in fact, above all in these spaces that we frequently have to face up to the issue of recovering or making safe degraded land, despite the absence of resources sufficient for thoroughgoing land reclamation work. Within these limits, whether they are large low-cost or agricultural parks, it’s possible to think of limitedaccess ‘islands’ where long-term bioregeneration and/or safety measures can be implemented, as well as some shorter-term and exceptional land reclamation and more thoroughgoing land redesign.

This book The area this book focuses on is a portion of that slightly forgotten Italy which is neither one of those large cities or metropolises – which have recently been attracting public and private investment in the aftermath of powerful creative economy and knowledge rhetoric – nor one of those inner areas which have experienced radical depopulation – and which drew attention for the decisive role they have in the hydrogeological balance of the country. It is a territory characterised by dense and diffused urbanisation, which developed as a result of the powerful economic development of the district’s manufacturing industry. A territory that is today still dynamic in its local manufacturing base, but at the same time is to be understood as a component of a much larger ‘regional post-metropolitan urbanisation’ 34


considerations on these themes, according to an approach which has attempted to adopt a radical recycling approach whilst remaining grounded in the specific conditions and real ongoing processes of the studied area. It is from the comparison and tension between these two aspects – which every project brings out – that readers will understand the difficulties that a recycling approach encounters in contexts such as modern day Italy and, we hope, come away with some insights with which to advance in a direction that seem to be as challenging as it is necessary.

which has characterised the whole of Northern Italy. Such urbanisation has taken shape within certain ‘corridors’ along the Alpine foothills arc, from Turin to Treviso and on the Via Emilia from Milan to the Adriatic, which are now demonstrating all the work issues referred to in this book. These are issues which take an original, perhaps specifically Italian form here, a subject which it is important to consider further to avoid facile but not always effective transcriptions of policies and projects used in other contexts. The following pages put forward

35


2.

36


DAL DISTRETTO ALLA CITTÀ Cristiana Mattioli Arturo Lanzani*

Lo sviluppo distrettuale italiano e il “peculiare” caso di Sassuolo I distretti industriali rappresentano, nella storia socio-economica del nostro paese, non solo uno dei suoi maggiori assi di sviluppo, ma anche un’alternativa di successo alla produzione di massa di stampo fordista, strettamente legata al suo sviluppo industriale tardivo e ai suoi caratteri originari urbano-rurali, artigianali e proto-industriali. Secondo la nota definizione di Giacomo Becattini (1989), che per primo applica in Italia la nozione introdotta circa un secolo prima da Marshall, il distretto industriale è “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territorialmente circoscritta, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese”. Non solo, quindi, una concentrazione territoriale di piccole imprese autoctone, specializzate in fasi produttive differenti ma integrate all’interno dello stesso ciclo produttivo e legate tra loro da rapporti di cooperazione e competizione. Esso sarebbe anche un articolato milieu socio-culturale e istituzionale che riproduce e sostiene l’imprenditorialità, veicola le informazioni e agevola le relazioni fiduciarie, fornisce il capitale sociale e 37


home products leather, shoes textile, clothes food paper mechanics goldworking plastic, rubber

3.

38


umano indispensabile all’innovazione continua delle tecnologie industriali. I distretti industriali danno vita a una “struttura spaziale della produzione lenticolare” (fig. 3) entro cui l’ubicazione delle imprese non trova riscontro nei tradizionali fattori di localizzazione, ma si lega piuttosto a un sapere contestuale preesistente, in particolare all’intreccio di due peculiari sistemi socio-economici e territoriali. Da una parte, quella che De Rita ha chiamato “Italia borghigiana”, l’Italia dei Comuni e delle aree del primo capitalismo. Territori cioè costellati di centri di piccola e media dimensione, ricchi di funzioni urbane e servizi, che hanno conservato strutture amministrative efficienti e democratiche e un’attività privata vivace nei settori del commercio e dell’artigianato. Dall’altra, l’organizzazione dell’ambiente rurale, caratterizzato dalla prevalenza della piccola proprietà terriera e della mezzadria, quindi da un particolare modello di famiglia-impresa, da una diffusa consuetudine all’imprenditorialità e da una fitta rete di infrastrutture che consente continui scambi con i vicini centri urbani. Da un punto di vista territoriale, il distretto industriale è pertanto un’unità socio-economica che comprende “un’area urbana e un bacino rurale circostante” (Bagnasco, 1988: 55); o meglio, per dirla con le parole di Becattini, una “campagna urbanizzata”. In questi territori tanto la dimensione urbana quanto quella rurale giocano, infatti, un ruolo chiave nell’avvio del processo di industrializzazione diffusa. Attraverso l’espansione della domanda e la presenza di figure specializzate (artigiani, commercianti, professionisti) e istituzioni (banche locali, scuole professionali), i nuclei urbani svolgono il ruolo di attivatori del processo di crescita economica. Un processo reso però possibile dalla campagna, ovvero dalla disponibilità – nella fase iniziale – di una manodopera elastica e a basso costo, primo vero vantaggio competitivo dei distretti industriali italiani. I costi di riproduzione della forza-lavoro possono essere mantenuti bassi, senza compromettere il tenore di vita della popolazione, grazie all’integrazione tra redditi diversi, al sostegno solidaristico della famiglia “appoderata” e alla disponibilità della casa in proprietà, vero punto di appoggio e base della rete di protezione sociale. Il processo di industrializzazione diffusa, seppur nei suoi elementi di novità, “mantiene e accresce quell’aspetto Pagina a ±anco/opposite page 3. Distretti industriali in Italia/Industrial districts in Italy.

39


Brescia Verona

Milano

Padova

Parma

Bologna

4. Regione padana tra Milano, Padova e Bologna/Po valley region among Milan, Padua and Bologna.

di spazio diffusamente edificato” (Bellicini, 1989: 78) del territorio e, per contenere i costi iniziali, riutilizza abbondantemente non solo il capitale umano, ma anche il capitale fisso sociale ereditato dal sistema mezzadrile: reti relazionali, opere di infrastrutturazione e dotazioni collettive (capillari e spesso ben manutenute). Nei contesti distrettuali, dunque, l’urbanizzazione diffusa è esito dell’autoctona evoluzione (di lungo periodo) di un contesto socio-economico e territoriale preesistente che si confronta con cambiamenti produttivi e degli stili di vita: “ciò che visto dalla città appare come un processo di dispersione, visto da una campagna come quella italiana già intensamente abitata, appare come un processo di progressiva densificazione” (Secchi, 1996: 32). Una densificazione che almeno inizialmente non assume forme caotiche ma, riutilizzando l’esteso capitale fisso sociale ereditato, genera alcune figure territoriali che rispondono a principi di “razionalità minimale”. Le strutture insediative dei molteplici territori distrettuali assumono pertanto forme plurali. In alcuni casi, si osserva l’irrobustirsi di borghi e centri urbani di piccola dimensione, non di rado coinvolti in veri e propri 40


processi di conurbazione e fusione. In altri, si tratta piuttosto dell’articolarsi di sistemi reticolari e policentrici, come nel Veneto centrale o nel Salento. In altri casi ancora, si tratta del formarsi di sistemi lineari e conurbazioni continue lungo strade di collegamento tra centri, come avviene a Sassuolo ma anche in tanti territori pedemontani della Lombardia, o nei fondovalle alpini e appenninici, come ad esempio nelle Marche (fig. 4 e 5). Si tratta, dunque, di “una logica di sviluppo che valorizza al massimo le preesistenze e minimizza i traumi e le fratture” (Fuà e Zacchia, 1983: 14) e che tuttavia, dal punto di vista insediativo e urbanistico, presenta due criticità. In una prima fase, in cui prevalgono le dinamiche di autopromozione edilizia, lo sviluppo incrementale e il massimo riuso delle infrastrutture ereditate producono “intasamento” nell’urbanizzato, congestione delle infrastrutture, carenza di servizi. Nella seconda – nonostante il prevalere di una qualche forma di pianificazione, una migliore dotazione di attrezzature e uno sviluppo per “placche” –, lo scontro tra differenti razionalità di settore e l’introduzione di logiche di organizzazione spaziale esogene generano maggiore frammentazione spaziale e non di rado indeboliscono le pur deboli tracce delle figure emerse negli anni precedenti, tanto da produrre una certa convergenza tra il modello di urbanizzazione diffuso distrettuale e quello dello sprawl metropolitano. Il modello di crescita quantitativa e dissipativa delle risorse locali finisce così con l’erodere le stesse pre-condizioni del successo dei distretti industriali, trasformando il territorio da “fattore attivo” di sviluppo socio-economico a “diseconomia” per le imprese che vi sono insediate (problemi di congestionamento, inquinamento, scarsa abitabilità e qualità del paesaggio, ecc.). Il distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano, localizzato nell’area pedemontana emiliana, a cavallo tra le province di Modena e Reggio Emilia e comprendente almeno otto diverse municipalità comunali, rappresenta un caso emblematico di sviluppo distrettuale, un vero e proprio “modello”. Esso è stato indagato da numerosi studiosi, anche stranieri, per la messa a punto di nuove teorizzazioni economiche (Piore e Sabel ne hanno evidenziato la flessibilità; Porter l’integrazione e la conformazione a cluster). Pagine seguenti/following pages 5. Il territorio del distretto ceramico/Ceramics district territory.

41


Rubiera

Scandiano Casalgrande

Castellarano

5.


Formigine

Sassuolo

Fiorano M. Maranello


Lo studio di questo territorio consente, quindi, di ripercorrere le fasi di sviluppo e di trasformazione di molti altri contesti italiani (ed europei), accomunati dalle caratteristiche fisiche, sociali e culturali di cui si è detto. Ciononostante, è importante anche evidenziarne fin da subito alcune peculiarità. La vicenda del distretto ceramico emiliano, infatti, non è specifica solo perché si riferisce a un determinato contesto locale, le cui caratteristiche spaziali hanno evidentemente a che fare con la specializzazione produttiva, con le condizioni socio-territoriali ereditate e con il particolare contesto politico e socio-culturale nel quale l’industria si radica. Gli elementi di differenziazione sono ravvisabili anche nella forma organizzativa e insediativa assunta dalle sue imprese (si veda il cap. 3), sin dall’inizio fabbriche di grandi dimensioni verticalmente integrate e tecnologicamente avanzate che impiegano centinaia di addetti e trovano spazio ai margini del nucleo abitato, configurandosi come vere e proprie “isole produttive” inserite in un contesto rurale fatto di vigne e frutteti. Nonostante quindi l’elevato numero di aziende manifatturiere dell’indotto – nate da processi di successiva esternalizzazione – la piccola e piccolissima dimensione delle imprese, tipica dei distretti industriali, è qui meno presente. A ciò si aggiunga la ridotta scomposizione in fasi produttive del sistema manifatturiero ceramico. Caratteristica, questa, talmente rilevante – almeno nella fase di avvio – da far dubitare ad alcuni studiosi, come Brusco, di trovarsi effettivamente di fronte a un esempio di sviluppo distrettuale. Anche negli anni più recenti, la grande dimensione produttiva e societaria ha rappresentato un fattore competitivo importante (e un elemento di grande adattamento) perché ha consentito alle maggiori imprese di consolidarsi, aprendosi precocemente all’internazionalizzazione produttiva, intesa in questo caso non come delocalizzazione e ricerca di minori costi di produzione, ma come avvicinamento ai mercati più dinamici. Altre peculiarità hanno a che fare, infine, con la crescita iper-accelerata del sistema produttivo e insediativo locale (fig. 6), comparabile a quella di centri urbani e industriali di ben altra dimensione (Bologna e Reggio Emilia, per esempio), e con l’importante ruolo giocato dalle politiche pubbliche locali non solo nel sostenere e incentivare lo sviluppo socioeconomico e produttivo, ma anche nel guidarlo verso obiettivi di sosteni44


Parma

Carpi

Reggio Emilia Modena Scandiano Sassuolo Bologna

6. Il distretto ceramico e la città mediopadana: urbanizzato e rete infrastrutturale/Ceramics industrial district and 'città mediopadana': urbanisation and infrastructural network.

bilità e compatibilità ambientale, a volte imponendo anche pesanti restrizioni alla crescita industriale. La recente metamorfosi dei distretti industriali e la traiettoria di sviluppo di Sassuolo È solo all’interno di questa stratificazione di lungo periodo – che interessa tanto gli attori e le economie, quanto le loro pratiche spaziali e i materiali fisici da essi prodotti – che è possibile comprendere le trasformazioni in atto, interpretare i bisogni e le esigenze di popolazioni e imprese e, a partire da questi, formulare proposte concrete per lo sviluppo qualitativo del territorio. In questo senso, anche la più recente crisi economica, sociale e ambientale che scuote i sistemi distrettuali, va inserita all’interno di un processo di loro continua “transizione” o “metamorfosi” che, per essere pienamente compreso, richiede tanto una lettura ravvicinata del territorio e dei fenomeni di cambiamento, quanto un loro inserimento in una cornice più ampia e complessa. Dopo decenni di successo e di crescita espansiva, negli ultimi quindici 45


anni i distretti industriali sono, infatti, profondamente cambiati, adattandosi a un quadro competitivo e socio-economico mutato per effetto di alcuni shock esogeni rilevanti. Tra questi vanno ricordati: l’introduzione della moneta unica con la conseguente riduzione della competitività delle produzioni italiane; la globalizzazione crescente dei mercati e il loro allargamento a nuovi competitors; la rivoluzione tecnologica che ha completamente trasformato l’organizzazione produttiva e commerciale della stessa grande impresa; lo spostamento, infine, del valore aggiunto dai fattori materiali a quelli immateriali della produzione. Di fronte a tutto ciò, non solo pochissime delle grandi imprese italiane – peraltro non numerose – hanno retto ai cambiamenti, ma è emerso anche un panorama sempre più eterogeneo nelle traiettorie di sviluppo dei diversi sistemi produttivi locali. Alcuni, legati a produzioni a basso valore aggiunto, con reti relazionali corte e bassi livelli di innovazione (seppur di processo), sono entrati in una definitiva crisi (fra questi, molti dei pochi diffusisi nel sud Italia, ad esempio). Altri sopravvivono in una condizione di crescente incertezza e con livelli di occupazione e fatturato decrescenti e/o sono diventati principalmente piattaforme logistiche di produzioni ormai delocalizzate; salvo, in qualche caso, “riaccendersi” grazie a improvvise crisi internazionali che indeboliscono alcuni competitor stranieri e/o rendono insicure quelle delocalizzazioni più banalmente legate alla ricerca del massimo risparmio dei costi di produzione. Altri, ancora, hanno imboccato due differenti strade “vincenti”, nel comune quadro di una crescente internazionalizzazione e qualificazione della produzione ad alto valore aggiunto. La prima è quella che, entro una logica “neo-artigianale” e attraverso l’applicazione di lavoro altamente qualificato, trasforma la manifattura in produzione “di lusso” e customizzata. La seconda ha a che fare con la crescente automazione delle imprese più dinamiche dei rispettivi distretti. In questo secondo caso, il passaggio da una fitta rete di piccole e medie imprese a mediograndi imprese (le cosiddette multinazionali tascabili) è quasi obbligato. Anche il distretto ceramico ha intrapreso percorsi di profonda riorganizzazione e di riposizionamento competitivo, soprattutto grazie al dinamismo dei maggiori gruppi aziendali. Attraverso processi di acquisizione e fusione, queste imprese raggiungono una dimensione tale da consentire loro di investire in ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e automazione 46


– con conseguente contrazione della manodopera operaia poco qualificata –, aprendosi al contempo all’internazionalizzazione. Nonostante la forte contrazione delle quantità prodotte, tali aziende sono state in grado di mantenere la propria posizione di leadership nelle fasce più alte del mercato mondiale grazie alla qualità e sofisticazione dei loro prodotti e servizi (fig. 9). Il distretto ceramico di Sassuolo, dunque, si verticalizza e gerarchizza intorno a pochi grandi gruppi aziendali che integrano in modo originale le due suddette tendenze di sviluppo dell’industria più avanzata: la personalizzazione del prodotto sostenuta da nuove forme di comunicazionecommercializzazione e l’innovazione tecnologica ed energetica della “Fabbrica 4.0” (fig. 11 e 12). Nel suo insieme esso sembra descrivere una delle più felici evoluzioni dei distretti industriali, nella direzione di un vero e proprio “sistema” di medie imprese globalizzate e dinamiche che tuttavia mantengono un forte radicamento nel territorio locale. Questa metamorfosi della produzione genera profondi effetti sulle urbanizzazioni distrettuali, chiaramente leggibili anche nel territorio del distretto ceramico. In una prima fase, si assiste a un grande sviluppo edilizio con ingente consumo di suolo che sembra rispondere non solo alla crescita della popolazione locale (fig. 5), ma anche a livelli crescenti – per certi versi spasmodici – di consumo abitativo e di servizi privati (quasi che lo spazio privato costruito potesse agire a compensazione della condizione di scarsa urbanità). Uno sviluppo edilizio associato anche a un’incentivazione degli investimenti d’impresa verso il settore immobiliare più che in ricerca tecnologica (con la doppia leva della defiscalizzazione degli investimenti in capannoni prevista della legge Tremonti e la possibilità di realizzare una forte rendita sull’insediamento dismesso attraverso un suo riuso residenziale). In questo intenso ciclo di edificazione si realizzano non solo case e capannoni, ma anche molte attrezzature e servizi indoor. Al tempo stesso, le logiche di organizzazione per razionalità settoriali dei diversi spazi, l’assenza di una qualche visione di territorio (al di fuori di burocratici e adattativi piani comunali), così come la mancanza di un progetto qualificato del suolo che si situa tra gli edifici, trasformano la campagna urbanizzata in una sempre più densa e frammentata urbanizzazione diffusa. Il rappor47


200.000 184.973 184.584

180.000

171.345

160.000 140.000

Modena

120.000 100.000

Reggio Emilia

80.000 60.000

distretto ind./ind. district

40.000 20.000 0 1951

1961

1971

1981

1991

2001

2011 2016

7. Distretto ceramico e capoluoghi di provincia: popolazione residente 1951–2011/Ceramics district and Provincial capitals: resident population ¥ . 25

20

23,8% Reggio Emilia

20,3% 19,7%

Modena

16,9% 15,4%

15

13,7% 10

Sassuolo

distretto ind./ind. district

9,2%

5

0 1991 Over 65/elderly

2001 Stranieri/foreigns

2011

2016

8. Distretto ceramico e capoluoghi di provincia: % popolazione straniera e over 65 (1991–2016)/ Ceramics district and Provincial capitals: foreign and 'over ' population rates ( ¥ ).

48


o/

eur i di s n iard mil billio o eur

/ mq i di ion mil illions 2 m m

/ etti add kers r wo

600

6

60.000

500

5

50.000

400

4

40.000

300

3

30.000

200

2

20.000

1991

1995

2000

2005

2010

2013

9. Addetti, volumi prodotti e fatturato dell'industria ceramica in Italia (rispetto alla quale il distretto di Sassuolo contribuisce per circa l'80%)/Workers, production and sales volumes of the Italian ceramics industry (in which regard the Sassuolo district contributes for the ).

to con lo spazio aperto rurale tende a venir meno e l’urbanizzazione non produce di norma spazi di urbanità . In una seconda fase, questa crescita assume tratti ancor piÚ dissipativi, specialmente nei territori distrettuali che faticano a rinnovarsi. La grande attività edilizia risponde sempre piÚ a una logica di tesaurizzazione della ricchezza. PiÚ che orientata, organizzata e regolata, essa pare stimolata oltre ogni misura dalle amministrazioni comunali per ragioni fiscali di breve periodo. Sostanzialmente assenti valutazioni serie circa la domanda effettiva di spazi, la sostenibilità dei costi di gestione, le modalità di buon funzionamento dell’urbanizzazione. Il consumo di suolo assume sempre di piÚ i tratti dello spreco per l’alternarsi di spazi di nuova urbanizzazione e spazi esistenti abbandonati e non riutilizzati. La crisi del 2008 aggrava tale situazione, aggiungendovi quote sempre piÚ consistenti di invenduto. Rispetto a questo divenire, il distretto di Sassuolo non sembra presentare particolari originalità , anche se la tenuta di alcune delle sue grandi imprese ha certamente limitato due processi insediativi altrove piÚ diffu49


si: l’estesa dismissione di spazi industriali (si pensi al caso di Biella) e il molecolare processo di ri-abitazione e di riuso di alcuni spazi da parte di nuove popolazioni o attività (si pensi al caso di Prato). D’altra parte, una certa tenuta demografica – anche per decentramenti residenziali da Reggio Emilia e Modena – ha (per il momento) limitato i danni della sovrapproduzione residenziale, più evidente nei capoluoghi provinciali (fig. 7 e 8). Alla difficile ricerca della città lontana e di quella vicina Anche nei distretti economicamente vivaci come quello di Sassuolo, ove alcune aziende leader hanno dato avvio a processi di riqualificazione e restyling che talvolta si sono estesi anche ad alcuni ambiti di prossimità, l’urbanizzato nel suo insieme stenta a conoscere un’analoga traiettoria evolutiva. Emerge una duplice domanda di città, che stenta tuttavia a trovare una risposta positiva. In primo luogo, si tratta di una domanda di città-metropoli e di relazioni metropolitane. In conseguenza dell’apertura delle reti produttive, lo spazio di riferimento dei maggiori gruppi aziendali non è più solo quello del distretto di Sassuolo, né quello delle città medie di Modena e Reggio Emilia (che continuano comunque a fornire servizi importanti alle imprese). L’ambito di riferimento è uno spazio metropolitano che si colloca tra il globale e il locale, tra global cities e aree interne (fig. 4). Le aziende più innovative hanno bisogno della città “lontana”, dove trovano servizi avanzati, attrezzature collettive (come la fiera di Bologna) e occasioni di visibilità (non a caso la maggior parte delle grandi aziende del distretto dispone di un proprio punto vendita a Milano, a diretto contatto con i maggiori studi di architettura e design). Questa domanda di connessione metropolitana può, dunque, trovare più facilmente risposta nell’autonoma azione della medio-grande impresa, anche grazie a una rinnovata infrastrutturazione sovralocale (ferroviaria, autostradale e aeroportuale) del Nord Italia. Tuttavia, essa potrebbe essere rafforzata da una duplice mossa. Innanzitutto, dal costituirsi di un’originale – ma in fondo tipicamente europea – “metropoli territoriale” mediopadana, organizzata sulla fitta interconnessione di cinque città, vecchie e “nuove”: Reggio Emilia, Parma, Modena, la città-distretto di Sassuolo, 50


la città-distretto di Carpi (fig. 6). In secondo luogo, dalla complementarietà tra il sistema di servizi e di luoghi di questa metropoli territoriale e quelli della città metropolitana di Bologna (fiera e aeroporto), da un lato, e dell’area milanese dall’altro. Un’ipotesi che, pur evocata da qualche studio, non ha dato seguito a nessuna scelta di organizzazione territoriale (delle infrastrutture di mobilità e di quelle verdi in particolare), né di modalità di riorganizzazione delle istituzioni (Camere di commercio, sistema bancario, sistema formativo, ecc.). In secondo luogo, emerge anche una domanda di “città vicina”, di trasformazione dell’urbanizzazione diffusa distrettuale in una “città”, per quanto dalla forma nuova e originale. Nonostante la loro organizzazione multinazionale, infatti, le maggiori imprese continuano a svilupparsi nel distretto e a mantenere un forte radicamento locale. Ciò in ragione non solo di forme di management famigliare – che oggi affronta il difficile passaggio generazionale –, ma anche per via delle costanti e consolidate relazioni intra-distrettuali con piccole imprese e fornitori specializzati. Ed è qui che si apre un nodo di ancor più difficile soluzione, per de±cit cognitivi, organizzativi e istituzionali. Da un lato, diventa importante un profondo recycle di questo territorio (dei suoi edifici, delle sue infrastrutture) che abbandoni una logica di crescita quantitativa per aggiunta di singoli elementi autonomamente definiti (come ancora recentemente sta avvenendo su importanti scelte infrastrutturali, di riuso di grandi aree dismesse, di espansione produttiva). La prospettiva deve, invece, essere quella di relazionare e comporre tra loro i diversi elementi costitutivi di questo territorio per farlo diventare “città”. In altre parole, diventa importante la qualità del territorio e la ricostruzione di un’immagine del paesaggio, intesa in un’ottica tanto di marketing aziendale e di efficienza di infrastrutture e servizi locali, quanto di abitabilità per le popolazioni e i lavoratori high-skilled ricercati dalle imprese più innovative. Non sembra, infatti, del tutto illusorio pensare che, dopo un lungo dissidio, le ragioni dello sviluppo manifatturiero e quelle del paesaggio e dell’urbanità possano ridiventare sinergiche. Infatti, se il distretto ceramico vorrà rimanere competitivo in un panorama sempre più globalizzato e vorrà aumentare la propria attrattività nei confronti delle imprese – di quelle già presenti, ma anche di quelle nuove che potrebbero localizzar51


si qui per sfruttare le economie di scala ancora presenti, soprattutto nel settore logistico –, esso probabilmente dovrà investire sul proprio capitale territoriale, curando le eccellenze locali, migliorando la qualità urbana e paesaggistica, promuovendo un’organizzazione sinergica e complementare di attrezzature e servizi alla scala sovra-comunale (fig. 10). Dall’altro lato, per fare questo, è necessario un progetto di lungo periodo che inserisca ciascuna azione e ciascun attore all’interno di una visione collettiva e condivisa. Non basta più, infatti, assecondare lo sviluppo autopromosso dai soggetti locali più dinamici e sostenere quello delle imprese minori. Diventa importante “investire per costruire uno dei futuri possibili, che va scelto tra tanti” (Rullani, 2009: 468). Non basta più un approccio quantitativo al capitale fisso sociale (più case, capannoni, scuole, strade, ecc.), ma è il suo disegno che diventa essenziale, tanto più entro una fase di sviluppo sempre più qualitativo. Il distretto è chiamato, dunque, a riconoscersi come “città” e a diventare tale, cioè a produrre più urbanità – intesa come occasione d’incontro tra diversità – e garantire un maggiore livello di benessere alle comunità locali e alle imprese a parità di reddito o, addirittura, in condizioni di contrazione economica. Ciò vuol dire non solo aumentare l’attrattività del territorio per sostenere la competitività delle maggiori imprese, ma anche individuare spazi e occasioni per l’avvio e lo sviluppo di altre attività imprenditoriali (legate alla filiera ceramica ma anche a quella turistica e culturale), consapevoli dell’impossibilità di un completo assorbimento della forza lavoro locale da parte della sola industria ceramica. Entro questa visione, la componente territoriale assume un ruolo di primo piano come elemento propulsivo e di innesco per processi di diversificazione economica, di efficientamento gestionale del tessuto urbano distrettuale, di riduzione delle disuguaglianze sociali, di risarcimento e qualificazione ambientale. Senza questa metamorfosi, di fronte al consolidarsi di gerarchie industriali e al contrarsi delle risorse locali, il distretto industriale rischia di perdere le sue capacità di autodeterminazione. E, da un lato, di diventare solo una Pagina a ±anco/opposite page 10. Il territorio del distretto ceramico: a) confini provinciali e comunali; b) le due Unioni di Comuni; c) toponomastica/Ceramics district territory: a) provincial and municipal boundaries; b) the two Unions of Municipalities; c) places names.

52


Rubiera

Scandiano Formigine

Casalgrande

Unione Tresinaro Secchia

Fiorano Modenese

Castellarano

Unione dei comuni del distretto ceramico

Maranello

Sassuolo

a)

b)

Castellazzo Fontana

San Faustino Bagno

Rubiera

Marmirolo

Fogliano

Sabbione

Bosco

Corticella Cacciola

Arceto

Cognento

Marzaglia Nuova

San Donnino di Liguria

Fellegara

Borzano

Marzaglia

Bruciata

Baggiovara

Colombarone

Pratissolo

Salvaterra

Scandiano

Chiozza Boglioni Iano San Ruffino Cà de’ Caroli Ventoso Rondinara Casalgrande Dinazzano Alto

Tabina

Magreta

San Gaetano Corlo Dosile

Casalgrande Villalunga

Montebabbio

Viano

Sant'Antonino

Veggia

Cadiroggio

Telarolo

San Valentino

Cà de Fii

Fiorano Sassuolo Modenese

Pontenuovo

Castellarano

Salvarola Terme

Riola

Montegibbio

San Michele dei Mucchietti

Roteglia

Pigneto

Cartiera

Formigine

Montale

Casiglie Ponte Fossa Borgo Colombaro Venezia Quattropassi Borgo Braida Ubersetto Mezzavia

Tressano

Baiso

Casinalbo

Spezzano Crociale

Nirano

c)

53

Pozza

Solignano

Maranello Nuovo

Torre delle Oche Fogliano

Gorzano

La Siberia Torre Maina

San Venanzio

Rocca Santa Maria Montagnana Montebaranzone Montardone

Muraglione

Bell'Italia


concentrazione di attività produttive che perseguono strategie competitive individuali staccandosi da un contesto territoriale in lento degrado; dall’altro lato, di seguire sentieri di sviluppo eterodiretti, non preoccupandosi della qualità della vita delle popolazioni locali e consegnando alle generazioni future un territorio sempre più inquinato e sfruttato a fini economici. Per evitare che ciò accada, servono sicuramente nuove dotazioni e attrezzature, incentivi e norme fiscali innovative, ma serve soprattutto una visione d’insieme, nonché alcuni concreti progetti multifunzionali e territorializzati che la anticipino e precisino di volta in volta. Serve, infine, un nuovo sistema di governance sovralocale che dia rappresentanza a quelle “città in nuce” nate per coalescenza territoriale descritte da Calafati (2009). Ma tutto ciò stenta a riconoscersi all’orizzonte. L’avvio di un percorso finalizzato alla creazione di un’unica entità sovra-comunale e alla definizione di politiche comuni sta incontrando notevoli problemi attuativi a causa degli ancora forti campanilismi locali. Al più e al meglio, si riconduce a quel percorso qualche modesta razionalizzazione della macchina amministrativa ma nessuna costruzione di visione e di politiche strategiche. Le grandi imprese, che pur potrebbero dare un contributo al farsi di questa nuova governance, preferiscono attivare concertazioni strumentali con i singoli Comuni (con un’evidente e straordinaria asimmetria di potere) o, al meglio, perseguire qualche intervento ricco di esternalità positive, mentre faticano a costruire progetti a livello dell’intero distretto. I progetti urbanistici e infrastrutturali che avanzano sono stati quasi tutti pensati dieci o venti anni fa in un contesto differente, in ogni caso come interventi settoriali che calano sul territorio come se esso fosse una tabula rasa. Le immagini di futuro, per quanto riguarda la dimensione fisico-territoriale e di società, a differenza di quella economica e di impresa, dunque non ci sono o sono ripetizioni di immagini del passato. Il recente invito di Bernardo Secchi a valorizzare maggiormente la ricchezza imprenditoriale dei distretti produttivi e a coinvolgerla in un “grande piano di opere diffuse” di riuso e risignificazione del capitale fisso sociale esistente, di manutenzione e attrezzatura del territorio che rimetta in moto contesti socio-economici che hanno mostrato in passato una straordinaria vitalità, fatica a essere raccolto. È tuttavia da esso che muove questo libro. 54


11. Florim Gallery (Fiorano M.): nuovi spazi espositivi per eventi/Florim Gallery (Fiorano M.): the new showroom dedicated to events and meetings.

12. Laminam Spa (Fiorano M.): gli spazi della produzione automatizzata/Laminam Spa (Fiorano M.): spaces for automated production.

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De Rita called ‘Italia borghigiana’, the Italy of Municipalities and the areas of early capitalism. Regions dotted with small and medium-sized towns, rich in urban functions and services; places where effective and democratic administrative structures and lively activities in the trade and artisanal sectors have been preserved. On the other hand, the organisation of the rural environment, characterised by the prevalence of small land ownership and sharecropping, therefore, by a particular family-business model, a common practice of entrepreneurship, and a dense network of infrastructures that enable intense communication with neighbouring urban centres. From a territorial point of view, the industrial district is therefore a socioeconomic unit that includes ‘an urban area and a surrounding rural basin’ (Bagnasco, 1988: 55) or better, to use Becattini’s words, an ‘urbanised countryside’. In these regions, in fact, both the urban and rural dimension play a key role in initiating the process of diffused industrialisation. Through the expansion of demand and the presence of specialised figures (artisans, traders and professionals) and institutions (local banks and professional schools), the urban centres play the role of activators in the economic growth process. However, it is a process made possible also by the countryside. In fact, the availability of elastic and low cost labour is – at least in the initial phase – the main competitive advantage of Italian industrial districts. The workforce’s production costs can be kept low and without compromising the population’s standard of living, due to the integration of different incomes, the family’s solidarity-based support and the availability of home ownership,

FROM THE INDUSTRIAL DISTRICT TO THE CITY Italian industrial district development and the ‘unique’ case of Sassuolo Industrial districts are, in the socioeconomic history of our country, not only one of its major axes of development, but also a successful alternative to Fordist mass production. This condition is closely linked to Italian late industrial development and urbanrural, artisanal and proto-industrial original features. According to the well-known definition of Giacomo Becattini (1989), who first applied in Italy the concept introduced approximately a century before by Marshall, the industrial district is ‘a socio-territorial entity characterised by the active presence in a delimited territorial area, of a community of people and a population of businesses’. Not only, therefore, a spatial concentration of small local firms, specialised in different production phases but integrated within the same production cycle, and linked by relationships of cooperation and competition. It would also be a complex and structured socio-cultural and institutional milieu that supports entrepreneurship, conveys information, facilitates fiduciary relationships, while providing the social and human capital that are essential for the continuous innovation of industrial technologies. The industrial districts create a ‘spatial structure of lenticular production’ (fig. 3) within which the location of firms is not reflected in the traditional location factors, but is rather linked to a pre-existing contextual knowledge, in particular interweaving two unique socio-economic and territorial systems. On the one hand, that which 56


and the Apennines valley floors, as in Le Marche (fig. 4 and 5). It is, therefore, a question of ‘a logic of development that makes the most of the pre-existing and minimises the traumas and fractures’ (Fuà & Zacchia, 1983: 14) and which however, from a settlement and urban planning perspective, presents two critical issues. In the first stage, in which the dynamics of self-promoted construction prevail, the incremental development and the maximum reuse of inherited infrastructures produce urban clogging, infrastructural congestion and lack of services. In the second stage – despite the presence of some form of planning, which means better equipment and mono-functional and uniform town districts – the clash between the different sector-based rationalities and the introduction of exogenous logics of spatial organisation generate greater spatial fragmentation. Not infrequently this weakens the already faint traces of the figures emerged in previous years, so much so as to produce a certain convergence between the diffused urbanisation of industrial districts and the metropolitan sprawl. The quantitative and dissipative growth model thus ends up eroding the same pre-conditions of the success of industrial districts. The territory is transformed from an ‘active factor’ of socio-economic development, to a veritable ‘diseconomy’ for companies that are established there (problems of congestion, pollution, poor habitability and landscape quality, etc.). The ceramics district of SassuoloScandiano, located in the foothills of Emilia, in the provinces of Modena and Reggio Emilia and including at least

a veritable foothold and the basis of the social safety net. Albeit in its elements of novelty, this diffused industrialisation process ‘maintains and increases that aspect of widely-built space’ (Bellicini, 1989: 78) of the territory. As a matter of fact, it abundantly reuses both the human and the social fixed capital inherited from the rural system (relational networks, infrastructure works and collective, capillary and often well-maintained equipment) to contain initial costs. In district contexts, therefore, diffused urbanisation is the outcome of the autochthonous evolution of a preexisting socio-economic and territorial context which compared to production and lifestyle changes: ‘What appears a dispersion process from a city-centred point of view, reveals to be a process of progressive densification, if seen from a countryside such as the Italian one, which is already densely populated’ (Secchi, 1996: 32). A densification that at least initially does not assume chaotic forms; by reusing the inherited social fixed capital, on the contrary, it generates some territorial figures that respond to the principles of ‘minimal rationality’. The settlement structures of the district regions assume plural forms. In some situations, it can be observed that villages and small-sized urban centres are becoming stronger, not infrequently involved in genuine processes of conurbation and fusion. In others, it is rather comprised of reticular and polycentric systems, as in Central Veneto or in Salento. In yet other cases, it is the formation of linear systems and continuous conurbations along main roads, as in Sassuolo but also in many foothill regions of Lombardy, or in the Alpine 57


an important feature – at least in the start-up phase – that it has caused some scholars, such as Brusco, to doubt whether they are actually faced with an example of industrial district development. Even in more recent years, the large corporate dimension was an important competitive factor (and an element of high adaptation), because it has enabled main companies to consolidate and open themselves to the internationalisation. Often intended as ‘outsourcing’, it is worth mentioning that in the ceramic sector this process is mostly linked to the necessity of getting closer to more dynamic markets. A further distinctive feature relates to the hyper-accelerated growth of both the production and local settlement system (fig. 6), comparable to the one of urban and industrial centres of a much larger size (for example, Bologna and Reggio Emilia). Finally, it is worth noting the important role played by local public policies. They not only support and encourage the socio-economic and productive development, but also guide it towards objectives of sustainability and environmental compatibility, at times even imposing heavy restrictions on industrial growth.

eight different municipalities, is an emblematic case of industrial district development. We can consider it a ‘model’ as several scholars, including foreigners, examined and used it for the development of new economic theories (Piore and Sabel highlighted its flexibility; Porter, its integration and cluster configuration). The study of this territory, thus, enables the retracing of the developmental and transformation phases of many other Italian and European contexts, joined by the above-mentioned physical, social and cultural characteristics. Nevertheless, it is also important to highlight some of its distinctive features. The story of the Emilia ceramics district, in fact, is not only specific because it refers to a peculiar local context, whose spatial characteristics are connected with the productive specialisation, the inherited socio-territorial conditions and the particular political and sociocultural environment in which the industry is rooted. The elements of differentiation are also discernible in the organisation and settlement form assumed by firms (see Chapter 3). From the outset, we find large-sized vertically integrated and technologically advanced factories which employ hundreds of workers and locate on the outskirts of the inhabited centre, as they were ‘production islands’ among vineyards and orchards. Therefore, despite the high number of spin-off manufacturing companies – arising from processes of subsequent outsourcing – the small and very small size of firms that is typical of industrial districts, is less present here. Added to this is the reduced breakdown of the ceramics manufacturing system into production phases. This is such

The recent metamorphosis of industrial districts and Sassuolo’s development trajectory It is only within this long-term stratification – that concerns the stakeholders and the economies as much as their modes of establishment and physical outputs – that it is possible to understand actual changes, to interpret the needs of local population and businesses and, eventually, to formulate concrete proposals for a 58


They sometimes become mainly logistic platforms of productions by now outsourced; sometimes they can be started up again due to sudden international crises that weaken certain foreign competitors and/or render insecure those outsourcings that are merely linked to the search of maximum savings in production costs. Others have embarked on two different ‘winning’ trajectories, albeit in the common framework of growing internationalisation and the development of high value-added production. In some cases, within a ‘neo-artisanal’ logic and through the application of highly skilled labour, district manufacture is transformed into ‘luxury’ and customised production. In some others, it experiments increasing levels of automation, especially inside the more dynamic companies. In this second case, the passage from a dense network of small and medium-sized enterprises to medium-large companies (the socalled ‘pocket-sized multinationals’) is almost obligatory. Even the ceramics district has undertaken paths of deep reorganisation and competitive repositioning, above all, due to the dynamism of its major business groups. Through processes of acquisition and merger, these companies achieve a size that enables them to invest in R&D, technological innovation and automation – with a consequent reduction of low-skilled labour –, at the same time opening themselves up to internationalisation. Despite the sharp decline in quantities produced, these companies have been able to maintain their leadership in the highest tiers of the world market thanks to the quality and sophistication

qualitative development of the territory. In this regard, even the most recent economic, social and environmental crisis is embedded within a process of industrial districts’ continuous ‘transition’ or ‘metamorphosis’. A process which, to be fully understood, requires a close reading of the territory and its transformation and their inclusion in a broader and more complex context. After decades of success and expansive growth, in the last fifteen years industrial districts have, in fact, undergone profound changes. They adapted themselves to a new competitive and socio-economic framework affected by some significant exogenous shocks. These include: the introduction of the single currency with the consequent reduction in the competitiveness of Italian productions; growing market globalisation and its enlargement to new competitors; the technological revolution that has completely transformed the productive and commercial organisation of large companies; the repositioning, finally, of added value from tangible to intangible factors. In the face of all this, not only very few of the large Italian companies withstood the changes, but also different local production systems experimented more and more heterogeneous trajectories of development. The ones linked to low value-added productions, with short relational networks and low levels of innovation (albeit of process), entered into a definitive crisis (among these, for example, many of the few spread in the south of Italy). Others survive in a situation of growing uncertainty and with decreasing levels of employment and turnover. 59


regional vision (outside of bureaucratic and adaptive municipal plans), as well as the lack of a qualified project for the land situated between buildings, transform the urbanised countryside into an increasingly dense and fragmented diffused urbanisation. The relationship with the open countryside tends to decline, and urbanisation does not generally produce spaces of urbanity. In the second stage, this growth assumes even more dissipative traits, especially in industrial districts that are struggling to renew themselves. High building activity increasingly responds to a logic of hoarding wealth. Rather than being oriented, organised and regulated, it seems stimulated beyond all measure by the municipalities for short-term fiscal reasons. Serious assessments on the actual demand for spaces, the sustainability of management costs, and the methods for the good functioning of urbanisation, are essentially absent. Land use is ever increasingly taking on the traits of waste, for the succession of new urbanisation and abandoned, non-reused spaces. The 2008 crisis aggravates this situation, adding numbers that are increasingly unsold. Within this framework, the Sassuolo district does not seem to present original characteristics, even if the success of some of its major companies has certainly limited two processes that are more widespread elsewhere: the extensive demise of industrial spaces (consider Biella’s case); the molecular reuse of some spaces by new populations or activities (consider Prato’s case). On the other hand, a certain demographic hold – also due to residential decentralisation from Reggio Emilia and Modena – has

of their products and services (fig. 9). Sassuolo’s ceramics district, therefore, is verticalised around a few large corporate groups that integrate the above two trends of development in an original way: product customisation supported by new forms of communication and marketing, and technological and energetic innovation of the so-called ‘4.0 Factory’. As a whole, it seems to describe one of the happiest evolutions of industrial districts, in the direction of a genuine ‘system’ of globalised and dynamic medium-sized companies, which, however, still retain strong roots in the local territory. This production metamorphosis generates profound effects on district urbanisation, clearly legible even in the territory of the ceramics district. In the first stage, we are witnessing real-estate development with very high levels of land consumption. It seems to respond not only to the growth rates of the local population, but also to increasing levels – spasmodic in some respects – of housing consumption and private services (almost as the private built space could compensate for the lack of urbanity). This construction activity is also associated with the stimulation of business investment towards the real-estate sector more than in technological research. A condition affected by a double lever: on the one hand, the tax-exempt investment on warehouses provided by the Tremonti Law and, on the other, the possibility of generating high income on residential reuse of brownfields. This intense construction cycle has not only created houses and warehouses, but also many facilities and indoor services. At the same time, the sectorial policies, the absence of any 60


airport) in Northern Italy. However, it could be reinforced by a double move. First of all, by the creation of an original – but ultimately typically European – Medio-padana ‘regional metropolis’, organised on the dense interconnection of five cities, both old and ‘new’: Reggio Emilia, Parma, Modena, the ‘city district’ of Sassuolo and the ‘city district’ of Carpi. Secondly, by the complementarity between the system of services and the places of this ‘regional metropolis’ and those of the metropolitan city of Bologna (trade fair and airport) on the one hand, and the Milanese area on the other. This is a hypothesis that, although evoked by some study, by now has not given rise to any choice of regional organisation (mobility and green infrastructures), nor to any form of institutional reorganisation (Chambers of Commerce, banking systems, educational systems, etc.). In the second place, a demand for the ‘neighbouring city’ also emerged. This means to transform the diffused urbanisation of the district into a true ‘city’, although in a new and original form. Despite their multinational organisation, in fact, the larger companies continue to develop themselves within the ceramics district and maintain strong local roots. This by reason of family management forms – that today face the difficult generational transition – but also because of the consolidated intradistrict relationships with small firms and specialist suppliers. This second issue is even more difficult to solve due to cognitive, organisational and institutional shortfalls. On the one hand, a deep recycling of this territory (of its buildings and infrastructure) becomes important.

(for the moment) limited the damage of residential overproduction that is more evident in the provincial capitals (fig. 7 and 8). On the difficult quest of the distant and the neighbouring city Even in the economically vibrant districts such as Sassuolo – where leading companies are starting redevelopment and restyling processes that are not limited to their plants – the urbanised area as a whole does not meet a similar evolutionary and qualitative trajectory. A twofold demand of ‘the city’ therefore emerges which, however, is struggling to find a positive response. In the first place, it is a demand for a ‘city-metropolis’ and metropolitan relations. As a consequence of the opening of production networks, the reference space of the major business groups, in fact, is no longer just that of the Sassuolo district, nor that of the medium-sized cities of Modena and Reggio Emilia (which still continue to provide important services to firms). The reference area is a metropolitan space positioned between the global and the local scale, between the global cities and the inland areas. The more innovative companies have need of the ‘distant’ city, where advanced services, collective facilities (such as the Bologna fair) and visibility opportunities are to be found. And it is no coincidence that most of these companies have their own point of sale in Milan, in direct contact with the major architecture and design studios. This demand for metropolitan connection can, therefore, find an easier response in the autonomous action of medium-large enterprise, also due to a modernised supra-local infrastructure (railway, motorway and 61


more dynamic stakeholders. On the contrary, it becomes important to ‘shape one of the possible futures, chosen from among many’ (Rullani, 2009: 468). A quantitative approach to social fixed capital (more houses, warehouses, schools, roads, etc.) is no longer sufficient. It is its design that becomes essential; all the more so in a development phase that is increasingly qualitative. The district is, therefore, being called upon to recognise itself as a ‘city’ and to become such. That is, it is being called upon to produce more urbanity – understood as the opportunity to encounter diversity – and to ensure higher levels of well being to local communities and businesses without any loss of income, even in conditions of economic downturn. This does not only mean increasing the attractiveness of the territory to sustain the competitiveness of industrial major companies. It also means identifying spaces and opportunities for the development of other entrepreneurial activities (related to the ceramics industry but also to the tourist and cultural industries), aware of the impossibility of a complete absorption of the local workforce solely by the ceramics industry. Within this vision, the territorial component assumes a leading role as the impetus and trigger for economic diversification processes, the increase of urban sustainability and efficiency, the reduction of social inequalities, and environmental reparation and requalification. Without this transformation, taking into account also the consolidation of industrial hierarchies and the contraction of local resources, the ceramics district risks losing its capacity for self-

This means firstly to abandon the logic of quantitative growth realized by adding individual and autonomous elements (on the contrary, it is still happening on important infrastructural choices, the reuse of large brownfields, and production expansions) in favour of a more integrated approach. It has to relate and bring together the various constituent components of the territory for it to become a ‘city’. In other words, the quality of the territory becomes crucial. The reconstruction of a landscape image must therefore be intended in marketing terms, linked to infrastructural and local services efficiency, related to habitability for the people and the high-skilled workers sought by the more innovative companies. In fact, it seems possible to think that, after long dissension, the reasons for the development of manufacturing, of the landscape and of urbanity can once again become synergistic. If the ceramics district wishes to remain competitive and to increase its attractiveness towards companies – in particular, those that could move in to take advantage of the existing economies of scale, especially in the logistics sector – it will have to invest in its ‘territorial capital’. It must, in other words, take particular care of its ‘local excellences’ and improve the urban and landscape quality, by promoting a complementary organisation of facilities and services at the supramunicipal level (fig. 10). On the other hand, to do this, it is important to define a long-term project that inserts each action and each stakeholder within a collective and shared vision. It is no longer enough, in fact, to support the development promoted by local firms, nor the 62


that path but there are no visions, nor strategic policies. Despite their possible contribution to the implementation of such a governance system, large companies prefer to activate specious agreements through consultation with individual municipalities (with an evident and extraordinary asymmetry of power). Or, at best, they pursue individual interventions – albeit full of positive externalities –, while struggling to build collective projects at the level of the entire district. Urban and infrastructural projects that move forward were almost all conceived ten or twenty years ago in a different context, as sectorial interventions that see the territory as a blank slate. Unlike the economic and business dimensions, physical, territorial and social future visions are absent, or they are mere repetitions of past concepts. Bernardo Secchi recently urged to valorize the entrepreneurial wealth of industrial districts and to involve it in a ‘great plan of diffused works’ capable of bringing back these socioeconomic contexts to their original vivacity. However, this bid for the reuse of the existing social fixed capital, the maintenance and endowment of the territory is struggling to be harvested. Nevertheless, it is from this point that this book moves forward.

determination. It risks, on the one hand, becoming a concentration of industrial activities where each one pursues its own competitive strategies, and detaches itself from a territorial context in slow decline. On the other, it risks following paths of heterodirected development, unconcerned about the quality of life of the local population and delivering to future generations an increasingly polluted and exploited territory. To prevent this from happening, there is definitely a need for new endowment and facilities, incentives and innovative fiscal rules. Above all, there is a need for a holistic vision, as well as some multifunctional and spatial projects that pre-empt and clarify it from time to time. Finally, there is also a need for a new supra-local governance system, able to give representation to those ‘cities in formation’ arising from processes of regional coalescence, as described by Calafati (2009). However, all this is hard put to come together. The start of a process leading to the creation of a single supramunicipal entity and the definition of common policies is encountering significant implementation problems due to political local interests. At most, some modest rationalisation of the administrative machine trails back to

* I due autori hanno condiviso l'impostazione generale del saggio. La stesura del primo e secondo paragrafo è tuttavia da attribuire a Cristiana Mattioli, mentre il terzo paragrafo ad Arturo Lanzani/7he two authors Mointly conceived this paper. However, Cristiana Mattioli wrote the ±rst and second paragraphs, while Arturo Lanzani the third one.

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RICICLARE GLI SPAZI DELL'ABITARE/ RECYCLING DWELLING SPACES

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RICOMPORRE L'URBANIZZATO E COSTRUIRNE L'URBANITÀ Federico Zanfi

Scarsa urbanità dell’ambiente costruito e contraddizioni dello sviluppo recente La storia dei distretti industriali italiani è la storia di un divorzio tra la crescita economica di alcune dinamiche comunità locali e la qualità spaziale dei loro territori. È la storia di uno straordinario sviluppo imprenditoriale, e allo stesso tempo della costruzione di urbanizzazioni segnate da scarsissima urbanità e abitabilità. Si tratterebbe di una semplificazione eccessiva, tuttavia, se riconducessimo questo aspetto alla qualità dell’edilizia che i territori a industrializzazione diffusa hanno costruito durante la loro rapida crescita, a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Non vi è dubbio che – come molti geografi, urbanisti, architetti e fotografi hanno avuto modo di osservare a più riprese negli scorsi tre decenni – tali territori si siano costruiti attraverso edifici semplici, spesso banali, strutturalmente omogenei nonostante la loro ricerca di unicità. Si pensi in tal senso alle personalizzazioni della casa isolata su lotto, o alle variazioni di facciata del capannone prefabbricato. Tutto ciò è vero, ma la carenza di urbanità 67


e abitabilità che contraddistingue oggi l’ambiente costruito dei distretti va piuttosto e soprattutto ricondotta alle peculiarità del loro processo di crescita e alle modalità di aggregazione dei singoli oggetti edilizi che li compongono. Un processo incrementale – almeno nella prima fase dello sviluppo distrettuale – per il quale i nuovi fabbricati residenziali e produttivi si sono appoggiati al reticolo di infrastrutture rurali preesistenti, solo debolmente indirizzati dalle amministrazioni locali entro un qualche disegno. Un processo che è riuscito poco o per nulla a costruire spazi pubblici e spazi stradali di qualità tra gli oggetti che andavano depositandosi al suolo, o a generare centralità urbane alternative alle piazze dei piccoli o medi centri abitati originari. Sembrano proprio questi centri storici – anche se di veri e propri centri in molti casi non si può parlare, ma piuttosto di brandelli di edilizia storica disposti lungo alcune strade – i luoghi che nell’immaginario delle popolazioni distrettuali ancora incarnano l’identità collettiva, sebbene la loro vita si svolga dentro un’urbanizzazione estesa del tutto esterna e spesso indifferente a essi. Questa ipotesi pare rafforzata dal fatto che proprio su tali ambiti storici si sono concentrate in tempi recenti azioni di pedonalizzazione stradale e di qualificazione degli spazi pubblici: azioni dagli esiti non sempre soddisfacenti, il più delle volte tradottesi in un arredo urbano banale, ma pur tuttavia sostenute da investimenti importanti in rapporto alla dimensione dei contesti di riferimento. Investimenti che sono stati molto più scarsi o addirittura assenti, invece, sugli spazi aperti minerali e vegetali a supporto degli ambiti artigianali e industriali, delle lottizzazioni residenziali, degli insediamenti commerciali o di servizio nei medesimi contesti. Spazi, questi, che non sono mai stati oggetto di un disegno attento, e che oggi rimangono spogli e privi di caratterizzazione. Tutto ciò è vero per i distretti industriali cresciuti tra i reticoli urbanizzati della Lombardia pedemontana, o negli insediamenti dispersi del Veneto centrale e del Friuli, o ancora nelle urbanizzazioni allungate lungo le valli marchigiane. Ed è vero anche per il distretto ceramico nato ai piedi dell’Appennino emiliano, nel territorio delle province di Modena e di Reggio Emilia. Anche qui è possibile riconoscere – annidati dentro un’eterogenea e ramificata conurbazione – alcuni insediamenti storici appoggiati sul telaio 68


14. Complesso residenziale costruito su un’area industriale dismessa a Sassuolo (anni Novanta)/Residential complex built on a former industrial area in Sassuolo (1990s).

delle più antiche direttrici di comunicazione. Si tratta dei centri di Scandiano, Casalgrande, Sassuolo, Fiorano Modenese e Maranello lungo la via Claudia; Formigine lungo il tracciato declassato della Strada Statale n. 12-via Giardini; Castellarano lungo la via Radici in Monte, antica strada di collegamento tra montagna e insediamento pedemontano; Rubiera all’intersezione tra quest’ultima e la Strada Statale n. 9-via Emilia. Anche qui la rapida crescita avvenuta dagli anni Sessanta si è depositata – verso la collina – in lottizzazioni seriali e a bassa densità di case isolate su lotto e di piccole palazzine e – verso la pianura – in insediamenti industriali estesi, dapprima più caotici e sorti lungo i tracciati infrastrutturali ereditati, successivamente organizzati in più regolari aree industriali. Anche qui, nell’insieme, si assiste alla costruzione di un ambiente urbano povero di urbanità e faticoso da abitare: ove la presenza dell’industria ceramica – il paesaggio dei suoi depositi a cielo aperto, il rumore e le polveri del trasporto pesante su gomma – è persistente; ove lo spazio stradale è uno spazio automobilistico, inospitale per il pedone e il ciclista; ove lo spazio pubblico al di fuori dei centri storici è esiguo e poco confortevole, poco 69


15. Centro commerciale costruito su un’area industriale dismessa a Casalgrande (anni Duemila)/Shopping centre built on a former industrial area in Casalgrande (2000s).

curato e poco integrato alla rete dei servizi alla persona e ai sistemi del commercio. Un ambiente, quello del distretto ceramico, che non ha peraltro conosciuto apprezzabili miglioramenti sotto il profilo dell’abitabilità e dell’urbanità – come invece avrebbe potuto, e in tal senso ha perso importanti occasioni – a valle delle numerose operazioni di sostituzione edilizia che sono state attuate sulle aree industriali dismesse a partire dai primi anni Novanta. Quando si è trattato di sostituzioni in chiave residenziale, queste hanno perlopiù consegnato al territorio del distretto complessi di edifici che – aldilà di configurazioni più o meno convincenti sul piano della qualità architettonica – si sono rivelati nella maggior parte dei casi introversi e incapaci di costruire relazioni di connessione e inclusione a livello del piano terra della città (fig. 14). Quando si è trattato di sostituzioni di tipo commerciale, queste hanno perlopiù restituito spazi per la grande distribuzione dai formati molto tradizionali, circondati da ampi parcheggi a raso e privi di integrazione con i quartieri in cui si andavano a insediare, mai associati a politiche compensative rivolte al commercio e ai 70


16. Complesso commerciale-direzionale e nuova piazza a Spezzano (2013)/Mixed-use complex and new square in Spezzano (2013).

17. Complesso commerciale-direzionale e nuova piazza costruiti su un’area industriale dismessa a Fiorano M. (anni Duemila)/Mixed-use complex and new square built on a former industrial area in Fiorano M. (2000s).

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servizi di prossimità. Gli effetti sulla rete stradale e commerciale esistente sono stati pesanti – un sovraccarico della prima e un impoverimento della seconda – mentre molto limitata è stata la loro capacità di superare quel carattere d’introversione che connotava gli impianti industriali cui tali nuovi edifici andavano a sostituirsi (fig. 15). Quando, infine, si è trattato di operazioni di sostituzione più articolate sotto il profilo funzionale e orientate – almeno negli intenti – a un’integrazione col sistema dello spazio pubblico, del commercio di prossimità e della strada, si è sovente approdati alla costruzione di frammenti di città – con portici, piazze, “palazzi”, arredi urbani che richiamano una città storica fatalmente posticcia e decontestualizzata – incapaci di fondersi coi contesti in cui si calavano e di produrre le condizioni per le forme contemporanee che la vita in pubblico ha assunto. Un aspetto, quest’ultimo, che interessa in generale tutti gli spazi pubblici realizzati in anni recenti nel territorio del distretto (fig. 16 e 17). Il risultato che oggi si mostra a chi attraversa l’urbanizzazione del distretto è un ambiente costruito frammentato e complessivamente povero, in cui – nonostante la presenza di alcuni edifici e spazi singolarmente ben progettati – ogni elemento rimane separato dall’altro; in cui manca del tutto un progetto di suolo che al piano terra della città sappia costruire connessioni e integrazioni tra oggetti e spazi specializzati. In questo quadro non sorprende che gli abitanti del distretto esprimano da tempo una domanda abitativa e ricreativa centrifuga, e si muovano alla ricerca di localizzazioni periferiche più salubri e meno congestionate: dall’ambizione – per chi se lo può permettere – di abitare in collina, alla ricerca di un contatto con la natura passeggiando lungo le sponde del fiume Secchia, alla fuga verso località esterne ove trascorrere il fine settimana. Come non sorprende che, per contro, vi siano quartieri centrali e semicentrali – emblematico è il caso della zona di Braida a Sassuolo – ove significative quote del patrimonio edilizio costruito nei decenni del secondo dopoguerra stanno conoscendo traiettorie di declino, con conseguenze sulla concentrazione del disagio e della tensione sociale (fig. 18). Non sorprende, infine, il crescente successo d’iniziative che – seppure in modo occasionale e temporaneo – creano le condizioni per una fruizione collettiva dello spazio urbano da parte dei cittadini. Le sagre ospitate nelle parrocchie, le feste e le manifestazioni organizzate nei parchi urbani, le 72


18. "Edificio-ghetto" sgomberato nel quartiere Braida di Sassuolo/Cleared 'ghetto-building' in Braida neighbourhood, Sassuolo.

iniziative culturali e i festival promossi nei centri storici: sono momenti in cui viene alla luce una domanda sociale latente – trasversale rispetto al ceto di appartenenza e caratterizzata da una forte componente giovanile – che non trova risposta nelle dotazioni e nei formati dello spazio pubblico oggi presenti nel distretto. Una domanda di relazione sociale non mediata dai codici del lavoro o dello shopping, da cui possano originarsi incontri ed esperienze impreviste. Una riforma dei tessuti esistenti, tra reinfrastrutturazione e nuove centralità urbane Si comprende allora l’importanza, per ogni futura azione di pianificazione urbanistica nel territorio del distretto, di una riflessione orientata alla riforma e alla qualificazione degli spazi che ospitano la vita quotidiana delle persone. Intendendo con ciò non solo una strategia di ristrutturazione diffusa degli edifici residenziali, ma anche e soprattutto un radicale cambio di paradigma nel progetto del suolo, delle infrastrutture e delle attrezzature che stanno attorno e a supporto di tali edifici. Questa 73


riflessione può essere articolata in due principali prospettive di lavoro, che rimandano a due principali ordini di argomentazione e che convergono verso un progetto infrastrutturale e di mobilità comune. In primo luogo vanno richiamati alcuni aspetti relativi alla demografia e al patrimonio abitativo del distretto. La popolazione residente sembra aver negli ultimi anni rallentato la sua crescita – mostrando persino un andamento negativo nel comune di Sassuolo – e dagli anni Ottanta il numero di alloggi disponibili si mantiene al di sopra del numero delle famiglie residenti di oltre cinque punti percentuali (fig. 19). Tale patrimonio risulta in ampia parte goduto in proprietà dalle famiglie che lo occupano, e per oltre la metà risale al periodo precedente il 1981 (fig. 20). In questo quadro, se la crescita della domanda di nuovi alloggi in proprietà appare incerta, si pone piuttosto la questione di come mantenere e in taluni casi di come riassegnare valore al patrimonio residenziale privato: un patrimonio che – se il distretto saprà evolvere attirando segmenti di economie avanzate e capitale umano più qualificato – si troverà a dover riconquistare appetibilità di fronte a una domanda abitativa per forza di cose più esigente. Dal punto di vista della pianificazione urbanistica, ciò dovrebbe tradursi in un’azione di contenimento dello stock residenziale e della rete infrastrutturale esistente – mettendo in discussione ogni ipotesi di nuova espansione su terreno agricolo – e nella definizione di sistemi di regolazione che creassero condizioni più favorevoli per una qualificazione diffusa del patrimonio edilizio: allentando le restrizioni sulle destinazioni d’uso, semplificando le operazioni di frazionamento o di accorpamento di alloggi, diminuendo le dotazioni di parcheggio dovute per ogni unità abitativa o attività commerciale. Tutto ciò, integrato a un progetto di suolo che creasse migliori condizioni di accessibilità e di fruibilità dello spazio urbano, costruendo nuovi ambienti collettivi di qualità – e quindi valore aggiunto anche per il patrimonio privato – dentro la città esistente. In secondo luogo occorre riflettere sui potenziali nessi virtuosi che potrebbero instaurarsi tra una politica d’investimento sullo spazio pubblico, e le politiche sociali e di welfare. È una prospettiva che assume come sfondo la delicata composizione sociale di questo territorio (a lungo meta d’intensi flussi migratori, prima dal Mezzogiorno e poi da paesi extracomunitari), la domanda di servizi di vicinato espressa dalla popolazione più anziana, e la 74


100.000 90.000 80.000 70.000 60.000 Modena

50.000

Reggio Emilia distretto/ ind. district

40.000 30.000 20.000 10.000 0 1971

1981

1991

Alloggi/dwellings

2001

2011

Famiglie/households

19. Distretto ceramico e capoluoghi di provincia: famiglie e alloggi (1971–2011)/Ceramics district and Provincial capitals: households and dwellings (1971–2011). 5% 3% 9%

8%

8,8% 6% 18,2% 11%

14%

21%

73,1%

23% Fino al/until 1918 1919–1945 1946–1960 1961–1970 1971–1980

Proprietà/ownership Affitto/rent Altro titolo/other

1981–1990 1991–2000 2001–2005 dal/since 2006

20. Distretto ceramico: edifici residenziali per epoca di costruzione e famiglie per titolo di godimento dell’alloggio occupato/Ceramics district: residential buildings by period of construction and private households by tenure status.

75


domanda di spazi di relazione riconducibile alla popolazione più giovane. Ma che considera anche, più in generale, i benefici sulla salute pubblica sottesi allo sviluppo di un sistema di mobilità meno centrato sull’automobile privata e più spostato sulla possibilità di compiere una parte dei percorsi quotidiani casa-scuola, casa-lavoro o casa-centro sportivo in condizioni di maggiore comodità e sicurezza, muovendosi a piedi o in bicicletta. Dal punto di vista della pianificazione urbanistica ciò dovrebbe tradursi nella costruzione di sequenze di centralità urbane interne ai tessuti – in particolare negli ambiti residenziali – che fossero in grado di integrare la componente relazionale veicolata dallo spazio pubblico, dal commercio di prossimità e dalle attrezzature collettive con la componente di benessere veicolata dall’uso di percorsi pedonali e ciclabili per gli spostamenti quotidiani. Tali “centralità estese” dovrebbero costruirsi massimamente muovendo da ciò che già esiste: limitando quindi la costruzione di nuovi tracciati o attrezzature, e al contrario cucendo assieme gli spezzoni di piste ciclabili esistenti; riformando alcune sedi stradali riducendone lo spazio automobilistico; collegando entro un sistema a rete i parchi e le piazze, il commercio di prossimità e i servizi. Queste due prospettive convergono sull’idea di un nuovo telaio infrastrutturale che si costruisce dentro l’urbanizzato e che assume un fondamentale ruolo ordinatore nei confronti delle vecchie e nuove centralità urbane, del sistema di trasporto pubblico e della mobilità lenta, nonché dei valori immobiliari. Tale telaio dovrebbe costruirsi in primo luogo a partire da alcuni efficienti assi di trasporto pubblico, collocati in corrispondenza della principale domanda di mobilità, che collegassero le maggiori centralità urbane con i più densi insediamenti del lavoro e dell’abitare. Attorno a questa principale ossatura di trasporto pubblico dovrebbero costruirsi due tipi di integrazioni: da un lato con una più estesa e continua rete di percorsi pedonali-ciclabili, per raggiungere ogni attrezzatura collettiva o parco; da un altro lato con un più frequente impiego delle “zone 30”, per riorganizzare la mobilità di ogni quartiere residenziale. Ora, che cosa trattiene le comunità del distretto dall’intraprendere un percorso di riforma dei propri spazi dell’abitare nella prospettiva indicata? Quali sono gli attriti che impediscono ad alcuni elementi di visione che già sono entrati nel dibattito pubblico e politico – come l’idea di “città76


distretto” – di concretizzarsi? Non certo la mancanza di una tecnicalità urbanistica, che di fatto sarebbe già disponibile. Questa può contare infatti su esperienze già vissute da diversi territori italiani ed europei, e da queste il distretto potrebbe importare soluzioni per gli aspetti coerenti con le proprie problematiche e caratteristiche. Ciò che manca sembrano piuttosto due requisiti di tipo organizzativo e culturale, che presuppongono una non scontata capacità d’innovazione istituzionale. Si tratta, in primo luogo, di un coordinamento dei comuni del distretto sui temi della mobilità e del trasporto pubblico, in grado di superare l’approccio municipalista e settoriale che ha finora contraddistinto l’azione pubblica su questi aspetti. In secondo luogo, di un coordinamento trasversale tra i diversi assessorati e dipartimenti dei municipi, poiché un progetto per gli spazi dell’abitare come quello qui immaginato presuppone l’integrazione tra settori della pubblica amministrazione che troppo spesso vediamo procedere separati: politiche urbanistiche e lavori pubblici, politiche di welfare e mobilità, politiche commerciali e misure d’incentivo alla qualificazione del patrimonio residenziale privato. Una visione al futuro, una figura strutturante La figura 21 propone un progetto di ricomposizione dell’urbanizzato del distretto e di ricostruzione della sua urbanità. Tale progetto si articola in tre componenti principali, che pur mantenendo una relativa autonomia, devono essere considerate come strettamente intrecciate e complementari. La prima riguarda un’ossatura di trasporto pubblico di rilievo territoriale, composta di due assi ferro-tramviari perpendicolari che s’incontrano nel centro urbano di Sassuolo. Un asse si estende dalla stazione del treno ad alta velocità Mediopadana AV (a nord della città di Reggio Emilia) al Bus terminal del Comune di Maranello, attraversando da est a ovest la conurbazione distrettuale. Un altro asse si estende invece da nord a sud, dalla stazione ferroviaria di Modena FS al Terminal ferroviario e delle autolinee di Sassuolo, e con una biforcazione si spinge fino al polo scolastico e del benessere in località Salvarola (sotto il centro urbano di Sassuolo, pagine seguenti/following pages 21. Riciclare gli spazi dell'abitare, immagine di struttura/Recycling dwelling spaces, structural image.

77


Scandiano Casalgrande

historic centres and facilities urban transformation areas brownfields rail-tram route pedestrian/cycle path reformed urban roads

21.

Castellarano


Secchia river

Fossa canal

Formigine

via Radici in Piano via Giardini

train station

Sassuolo

Salvarola

Braida

former Cisa-Cerdisa area

Fiorano M.

bus terminal via Claudia

Maranello


nei pressi del parco fluviale del Secchia e dello stabilimento termale). Si tratta di un sistema di mobilità che assegna un ruolo di forte centralità ai tratti di urbanizzazione entro i quali si sviluppa, promuovendo articolate connessioni tra funzioni urbane esistenti e incentivando processi di riqualificazione del patrimonio edilizio. Un sistema che è possibile immaginare di estendere verso nord – utilizzando la linea ferroviaria esistente – fino a raggiungere il distretto tessile di Carpi, e verso est – ricalcando un tratto del vecchio tracciato ferroviario dismesso Modena-Vignola – fino a raggiungere la stazione del treno ad alta velocità Bologna AV e quindi l’aeroporto Marconi, collegando numerose funzioni urbane di primo rango. La seconda componente del progetto riguarda una sorta di centralità urbana estesa che si costruisce tra i centri di Scandiano e di Maranello, lungo il tracciato dell’antica via Claudia. Si tratta di un percorso pedonaleciclabile che ripensa la sede stradale recuperando spezzoni di piste ciclabili, piazze, parchi, attrezzature urbane esistenti e li riconnette entro un progetto di suolo unitario. Anche in questo caso si assegna un nuovo valore di centralità ai tessuti attraversati, ma ora lavorando sul sistema della mobilità dolce e sul disegno del suolo. Nella conurbazione pressoché continua tra Maranello e Sassuolo tale nuovo suolo assume un ruolo di collegamento e di intensificazione delle relazioni tra i diversi centri storici, i servizi pubblici e commerciali, i comparti residenziali e alcune importanti aree industriali dismesse in attesa di trasformazione. Nel tratto tra Sassuolo e Scandiano il tracciato si snoda invece tra centri urbani e alcuni tratti di spazio rurale, e costruisce nuove connessioni fisiche e visive con la collina a sud e la pianura agricola a nord. La terza componente, infine, interessa la riforma e la riarticolazione di una sottile porzione di urbanizzato che si estende tra i centri di Sassuolo e Maranello, compresa tra le due strade pedemontane (gli assi su cui si sviluppano rispettivamente il tracciato ferro-tramviario e il percorso pedonale-ciclabile appena richiamati). Si tratta di un ambito che occupa una posizione intermedia tra le aree industriali pianificate dagli anni Ottanta (disposte verso nord) e le grandi lottizzazioni residenziali (cresciute a sud verso la collina), e che è composto di materiali urbani eterogenei. Non solo edifici residenziali e aree industriali dismesse, ma anche e soprattutto attività artigianali, servizi e impianti sportivi, tra loro fram80


misti. La forma dell’urbanizzato e il suo carattere ibrido suggeriscono di tematizzare tale ambito come una sorta di “città-lineare” che trova il suo elemento di attrattività nella presenza simultanea e prossima di attività urbane diverse, e che potrebbe costituire la localizzazione ideale per insediare spazi dedicati alle nuove forme di lavoro. Tale città lineare viene strutturata mediante una sequenza di progetti che ridisegnano strade, spazi aperti e aree industriali dismesse e che collegano in più punti le due strade pedemontane. Un’ossatura ferro-tramviaria di livello territoriale: trasporto pubblico e leva per ristrutturare le urbanizzazioni esistenti Riutilizzando e ripensando le due linee ferroviarie che attraversano il distretto secondo la modalità del “treno-tram” – si veda il contributo di Andrea Debernardi in questo volume – è possibile ottenere un nuovo sistema di trasporto pubblico su rotaia che risponde alla richiesta di mobilità delle persone lungo le principali direttrici est-ovest e nord-sud, limitando al massimo la realizzazione di nuovi tracciati. Poiché i binari di cui s’ipotizza il riuso si sviluppano per buona parte dentro l’urbanizzato, tale ipotesi consente di integrare la mobilità per le persone con una strategia di ristrutturazione urbanistica. Questa integrazione si esprime in due principali aspetti. Da un lato, aumentando la frequenza delle fermate, il treno-tram moltiplica i punti di contatto con i quartieri residenziali, i luoghi del lavoro, i servizi pubblici: costruisce in tal senso una sequenza di punti più accessibili e più centrali che possono essere gli inneschi per operazioni localizzate di riforma urbana. Da un altro lato, il treno-tram riduce gli elementi di separazione – barriere, cancelli, distanze di sicurezza – oggi esistenti tra il treno e la città attraversata: ciò consente di rendere più leggere le intersezioni con la viabilità ordinaria, di riformare le sezioni stradali entro cui corre il nuovo sistema di trasporto, di creare più numerose e fluide occasioni di scambio intermodale (con l’automobile, con la bicicletta, con l’autobus). Due situazioni, in particolare, consentono di esplorare il paesaggio urbano che può essere ottenuto in questa prospettiva. Quando l’asse del treno-tram si biforca – nei pressi della stazione di Sassuolo Quattroponti – per raggiungere il polo scolastico e del benesse81


re in località Salvarola, questo investe e trasforma lo spazio stradale della circonvallazione che corre a est del centro urbano di Sassuolo (fig. 22). Il passaggio dei nuovi binari – che per buona parte di questo asse viario corrono in sede propria al centro della carreggiata, eccezion fatta per un tratto nel quale la presenza di un sottopassaggio impone al treno-tram di spostarsi sui lati – ridefinisce la ampia sezione stradale oggi dedicata all’automobile, e le nuove fermate vengono allacciate mediante percorsi ciclabili e pedonali alle funzioni pubbliche dislocate lungo il percorso o a poca distanza da esso (parchi, scuole, l’ospedale). Ai lati della strada, un doppio filare alberato e un doppio percorso ciclabile costruiscono un elemento di ordine e di continuità laddove oggi non esiste un fronte stradale e il paesaggio è costituito dagli ampi parcheggi a raso degli edifici – centri commerciali, concessionarie di automobili, carrozzerie e uffici pubblici – che si susseguono lungo la circonvallazione. L’incontro tra i due assi ferro-tramviari in corrispondenza del centro storico di Sassuolo è invece l’occasione per costruire una nuova stazione di interscambio in sostituzione delle due stazioni terminali esistenti, e per riorganizzare una parte di città che oggi è priva di disegno urbano (fig. 23). Un nuovo grande isolato consente di ripensare la circolazione automobilistica secondo uno schema rotatorio, e di riorganizzare in un progetto unitario tutte le funzioni presenti nell’area (il centro di formazione Cerform, una banca, la fermata del treno-tram e il Terminal delle autolinee). La nuova sistemazione del suolo – che prevede essenzialmente parcheggi alberati e percorsi pedonali – è studiata per favorire l’utilizzo intermodale della stazione del treno-tram e la sua integrazione con un grande parcheggio pubblico, col Terminal delle autolinee e col percorso ciclabile che sale lungo via Radici in Piano. Nel cuore dell’isolato si prevede poi un grande prato rettangolare: uno spazio verde flessibile che – assieme al recupero dell’adiacente fabbricato dismesso del Consorzio Agrario Provinciale – è pensato per accogliere allestimenti e usi temporanei, e per funzionare in una logica di complementarietà con mercati, sagre o festival ospitati nelle piazze pavimentate del centro storico. pagina a ±anco/opposite page 22. Il tracciato del treno-tram e la riforma della circonvallazione di Sassuolo/The rail-tram route and the reform of Sassuolo bypass road.

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shopping centre bridge station cemetery mall tram stop redevelopment area collective services school parish church Braida square public park city hall reused building parking lots Mezzavia square former Cisa-Cerdisa area new public building new pedestrian space

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Sassuolo existing train station rail terminal and new platform roof bus service terminal rail-tram line from Mediopadana AV station (RE) to Maranello rail-tram line to Modena FS intermodal parking and town centre entrance large ‘urban lawn’ pedestrian path 4

23. Il nodo della nuova stazione di Sassuolo Centro/The new intermodal terminal in Sassuolo town centre.

Va infine richiamato un risvolto relativo all’incremento di valore indotto dal passaggio del treno-tram nei tessuti attraversati. La nuova geografia dell’accessibilità definita dai tracciati e dalle fermate potrebbe infatti essere utilizzata come leva per stimolare e guidare due diversi processi di trasformazione urbana. Il primo, più molecolare, e che potrebbe investire in modo diffuso un’estesa fascia attorno alla dorsale ferro-tramviaria, è legato alla riattivazione delle attività commerciali e di servizio nei piani terra, alla ristrutturazione dell’edilizia residenziale, alla sostituzione di edifici esistenti con maggiori volumi in corrispondenza dei luoghi meglio 84


serviti (si pensi, in particolare, alle possibilità di densificazione offerte dai tessuti di case isolate su lotto lungo il tracciato). Il secondo, più concentrato, è invece legato alla riattivazione delle aree industriali dismesse raggiunte dal tracciato del treno-tram. Aree che grazie alle nuove condizioni di centralità e accessibilità create dall’infrastruttura potrebbero conoscere la ripartenza di processi di trasformazione bloccati, e che a partire dal tracciato e dalle fermate del treno-tram potrebbero utilmente ripensare il proprio disegno urbano alla ricerca di una più robusta ed efficace integrazione coi sistemi del trasporto pubblico e della mobilità dolce. Un percorso pedonale e ciclabile tra Scandiano e Maranello: nuove forme del muoversi e dello stare insieme L’antica via Claudia è una delle direttrici principali del distretto: non solo per il ruolo fondamentale che questa strada ha avuto nella storia lunga del territorio, ma anche per il ruolo di epicentro che tuttora svolge nella vita e nelle pratiche dei suoi abitanti. Sul suo tracciato tra Scandiano e Maranello, oltre ai centri storici, si attestano grandi lottizzazioni residenziali, spazi e servizi collettivi, attività commerciali al dettaglio, supermercati e grandi superfici di vendita specializzata. A questo sistema di recapiti e di attività non è mai corrisposto, tuttavia, un progetto unitario di connessione a livello del suolo. La presenza di collegamenti pedonali e ciclabili è frammentata, e anche laddove si fa più costante – tra i centri di Sassuolo e Maranello, e tra Casalgrande e le sue frazioni a est – questa presenza si riduce a una “pista” ciclabile poco riconoscibile nella forma e solitaria nel tracciato: troppe e diverse le sue pavimentazioni; poche le ramificazioni verso i quartieri residenziali o le integrazioni con gli spazi e gli edifici pubblici; inesistenti infine le discese verso la piana agricola o le risalite verso la collina. In un paesaggio stradale costituito da edifici non connessi tra loro e da superfici orizzontali frammentate, l’ipotesi di lavoro diventa allora quella di costruire una sorta di centralità urbana estesa incorporando i tratti di pista ciclabile e gli spazi pubblici esistenti e riorganizzandoli in un nuovo percorso pedonale e ciclabile più articolato e ramificato. Unitario nella pavimentazione e nelle alberature che lo compongono, tale percorso non 85


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Fiorano M. piazza BLA library church school commercial centre cemetery fishing centre

8 municipal vegetable gardens 9 new vegetable gardens 10 reused abandoned building 11 new pedestrian space 12 parking lots

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12

24. Centralità urbana estesa tra Fiorano M. e Spezzano/The extended urban centrality between Fiorano M. and Spezzano.

ha una sezione fissa, ma assume profondità differenti ogni qualvolta si allaccia – e parzialmente riforma – ai diversi spazi aperti minerali e vegetali che incontra sul proprio tracciato. Due esempi ne mostrano le principali declinazioni. Nel tratto compreso tra il centro storico di Fiorano M. e il torrente che attraversa l’urbanizzato di Spezzano il percorso si sviluppa dentro un’urbanizzazione continua, ove l’esigenza è costruire relazioni spaziali qualificate tra le diverse attrezzature collettive presenti e rendere possibile l’accesso agli spazi aperti della collina e della campagna. Il percorso si ramifica allora in più punti per raggiungere i quartieri residenziali e alcuni importanti servizi scolastici e sportivi; riorganizza alcune piazze-parcheggio prive di disegno urbano; infine si allaccia in più punti ai percorsi naturalistici che conducono verso la collina e nella piana agricola (fig. 24). In prossimità del centro di Casalgrande il percorso attraversa invece Pagina a ±anco/opposite page 25. Ricomposizione del sistema della mobilità dolce e del paesaggio a Casalgrande/Landscape reform and new soft mobility system in Casalgrande.

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1 uphill path parish church sports complex multi-purpose space commercial centre urban park train station collective services

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Sassuolo

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Fiorano Modenese

26. Città lineare tra Sassuolo e Maranello/'Linear city' between Sassuolo and Maranello.

un’urbanizzazione più discontinua e disordinata: qui l’esigenza è costruire elementi minimi di orientamento, e una sede ciclabile e pedonale protetta che colleghi i luoghi dell’abitare con i servizi alla persona e con alcuni ambiti di naturalità fruibili. Qui il percorso si fa meno ramificato, e si affianca a filari alberati che si articolano in corrispondenza delle aree dismesse, delle rotatorie e dei parcheggi, costruendo elementi di raccordo o di schermo. L’intenzione è costruire una grammatica semplice che dia ordine al paesaggio stradale e organizzi prospettive visuali verso la collina e la piana, sottolineando alcuni elementi naturali o rurali (fig. 25). 88


market square intermodal station park and municipal buildings former Cisa-Cerdisa area urban axis former industrial area industrial condo redevelopment area

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6 7 Spezzano

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Maranello

Una “città lineare” tra Sassuolo e Maranello: un abitare qualificato tra servizi, nuovi spazi del lavoro, accessibilità pubblica La porzione di urbanizzato che si estende tra i centri di Sassuolo, Fiorano Modenese e Maranello, e che è compresa tra i tracciati delle due strade pedemontane su cui abbiamo immaginato l’asse ferro-tramviario e il percorso pedonale-ciclabile, può essere concettualizzata come una sorta di “città lineare” collocata nel cuore del distretto. Un pezzo di città dal carattere ibrido in cui s’integrano spazi dell’abitare storici e contemporanei, servizi collettivi, attività artigianali e aree industriali dismesse, e in 89


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2 4 5 Piazza della Libertà: parking lots and market area Piazza Martiri Partigiani: piazza and market area pedestrian path new rows of trees separation hedge between roadway and parking permeable surfaces

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27. Sistemazione delle due piazze di mercato nel centro storico di Sassuolo/A new layout for the market piazzas in Sassuolo historic town centre.

cui – in prospettiva – potrebbero trovare sede le nuove forme d’imprenditorialità che il distretto si propone di attirare. Tipologie di lavoro riconducibili all’indotto dell’industria ceramica – anche se non in modo esclusivo – e orientate alla ricerca, alla progettazione, alla manifattura digitale e allo sviluppo di piccole serie, che beneficiano dell’inserimento in contesti urbani densi e dell’intreccio con funzioni residenziali e di servizio. Questa vocazione è già presente nell’area, in ragione del suo mix funzionale, e può essere valorizzata da un progetto che la conduca verso un assetto spaziale coerente. 90


La figura 26 mostra la ristrutturazione di tale ambito mediante una sequenza di progetti che riformano porzioni di spazio urbano – strade, piazze, parcheggi, parchi pubblici, cluster produttivi, aree industriali dismesse – e che si alternano a porzioni di tessuto residenziale consolidato. I progetti si agganciano a nord alle fermate del tracciato ferro-tramviario, e a sud al percorso pedonale-ciclabile sulla via Claudia: questa integrazione dà ritmo alla struttura della città lineare, ordina la composizione dei vari elementi – suoli, alberature, edifici – che i singoli progetti mettono in campo, aiuta l’organizzazione degli usi. Due situazioni, in particolare, consentono di esplorare il paesaggio urbano che può essere ottenuto entro questa prospettiva. La prima situazione riguarda la trasformazione di Piazza della Libertà e Piazza Martiri Partigiani nel centro storico di Sassuolo, spazi oggi utilizzati come parcheggi e sedi del mercato settimanale. Le piazze e il viale che le unisce vengono ripensate in una sequenza unitaria di superfici, alberature e siepi che si innesta a nord sul tracciato ferro-tramviario di via Radici in Monte e a sud sul sistema di spazi pubblici che ricalca il tracciato dell’antica via Claudia (fig. 27). Le piazze non vengono pedonalizzate, ma si prevede un nuovo suolo che può ospitare la sosta delle automobili, il mercato o altre iniziative, e che costruisce un ambito riconoscibile e intermedio tra lo spazio della strada carrabile e lo spazio del marciapiede e delle zone pedonali. La pavimentazione in pietra e gli elementi vegetali ordinano con uno stesso disegno la sosta delle automobili e la disposizione degli stalli del mercato, e introducono alcuni elementi lineari – sedute, siepi, filari– per dare ordine a un uno spazio urbano oggi privo di qualità e caratterizzato da fronti edilizi molto disomogenei. La seconda situazione riguarda invece l’area ex Cisa-Cerdisa, un comparto industriale dismesso di oltre 38 ettari collocato tra i comuni di Sassuolo e Fiorano Modenese. La sua trasformazione viene immaginata a partire da un disegno di suolo che si limita a definire alcuni fondamentali elementi di ordinamento spaziale, mentre riguardo i volumi e le funzioni insediabili il progetto rimane aperto a configurazioni differenti, oggi non del tutto prevedibili (fig. 28). In particolare, il disegno del suolo ricalca la giacitura Pagina seguente/following page 28. Trasformazione dell’area industriale dismessa ex Cisa-Cerdisa/Transformation of the former Cisa-Cerdisa industrial site.

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9 hangar and covered plaza public park and sports complex Braida square Braida parish church Mezzavia area kindergarten Fiorano M. sports complex mixed-use complex collective facilities and mixed-use buildings

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Programs commercial and A service polarity condo housing B and workplaces row and patio housing C

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degli edifici esistenti e si compone di due assi principali. L’asse est-ovest riutilizza una banchina industriale facendone un robusto percorso pedonale-ciclabile, che penetra da un lato nel quartiere Braida di Sassuolo e nell’ambito di Mezzavia e dall’altro lato raggiunge alcuni importanti servizi collettivi nel centro di Fiorano Modenese. L’asse nord-sud assume invece l’aspetto di un boulevard urbano, che consente un accesso carrabile alle funzioni insediate nell’area ed è affiancato da un doppio percorso ciclabile e da parcheggi alberati. I due assi si incontrano in corrispondenza di un grande hangar metallico un tempo utilizzato come deposito per le argille. A tale manufatto il progetto assegna un particolare valore, e ne propone il riutilizzo come piazza coperta multifunzionale entro una logica di complementarietà con altri due spazi pubblici – Piazza Braida e Piazza Mezzavia – di cui si propone la qualificazione. Appoggiato a questo progetto di suolo, s’immagina un programma di funzioni possibili che possono conoscere attuazioni in tempi diversi, e da parte di soggetti altrettanto diversi. Il comparto a sud della via Claudia si presta a ospitare residenze, per via del suo stretto rapporto con la collina e della struttura degli edifici esistenti – occasione, quest’ultima, per realizzare tipologie abitative meno standardizzate. Nel comparto a nord, il quadrante adiacente al quartiere di Braida può accogliere attività commerciali e di servizio che possono integrarsi al quartiere e all’ambito di trasformazione Mezzavia. Il grande edificio industriale affacciato sulla via Claudia ha le dimensioni per rinascere – anche gradualmente, sfruttando la sua struttura modulare – come luogo simbolo del nuovo lavoro nel distretto ceramico, integrando spazi di lavoro in coworking, schiere di residenze-laboratorio e funzioni di supporto alle imprese. Infine, il quadrante a nord-est, a contatto con un pezzo di campagna interclusa nell’urbanizzato e con alcuni impianti sportivi, può intelligentemente trasformarsi in un grande parco pubblico a vocazione sportiva, riciclando parte della pavimentazione e della struttura di un edificio a piastra prefabbricato per realizzare attrezzature sportive (fig. 29).

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new commercial spaces gallery former industrial hangar/‘Ex Cisa’ plaza sloping surface of grass flight of steps facing onto the plaza vehicular access and parking boulevard parking lots ramp and pedestrian access sports complex and playground on demolished areas former industrial building reused for housing and coworking

7

7

29. Nuovi spazi pubblici nell’area industriale dismessa ex Cisa-Cerdisa/New public spaces in the former Cisa-Cerdisa industrial site.

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weakly located by local governments within some overall plan. It is a process which has succeeded little – if at all – in building quality public and road spaces, or in generating alternative centres to the squares of the original small towns. It would seem to be these historic centres – although in many cases it is really not a question of full-blown historic centres, but rather of historical fragments laid out along roads – which still embody collective identity, despite the fact that inhabitants’ life revolves around an extended urbanisation which is external to such centres. This hypothesis would seem to be reinforced by the fact that it is precisely in these historical contexts that pedestrian areas and public space redevelopments have taken place; work which has not always been satisfactory and has often translated into banal urban décor despite the relatively large sums of money pumped into it. Such investments have been very limited or even non-existent, on the other hand, for the open spaces in support of artisan and industrial areas, residential allotments and commercial or service developments. These latter spaces have never been subjected to conscious planning and are barren and characterless today. All this is true for the industrial districts of the Lombard mountain foothill region, central Veneto and Friuli and for the Marche valleys. And it is also true for the ceramics district which sprung up in the Emilia Apennine foothills in the provinces of Modena and Reggio Emilia. Here too historic settlements are recognisable – harboured within heterogeneous and multi branched conurbations – and supported by the framework of the older road

RECOMPOSING THE URBANIZED AREA AND BUILDING ITS URBANITY Lack of urbanity and recent development contradictions The history of the Italian industrial districts is the story of a divorce between the economic development of a number of dynamic local communities and the spatial quality of their environment. It is the story of an extraordinary entrepreneurial development and, at the same time, of urbanisation marked by very limited urban quality and liveability. We would, however, be guilty of over simplification if we attributed these limitations entirely to the quality of the buildings which these settlements have erected during their rapid growth, from the 1960s and 70s onwards. There is no doubt that – as many architects, town planners, geographers and photographers have observed on several occasions over the last three decades – these settlements have been built with simple, ordinary and homogeneous building materials, despite their search for uniqueness. Think of the personalisation involved in detached houses, or façade variations in prefabricated warehouses. All this is certainly true, but the lack of urbanity and liveability which marks out the environment of these industrial districts should rather, and above all, be attributed to their growth process and the ways in which their elements were put together. It has been an incremental process – at least in the first phase of district development – in which new residential and industrial buildings have relied on the preexisting rural infrastructure networks (local roads, gravel roads, ditches) only 95


network. We are talking of Scandiano, Casalgrande, Sassuolo, Fiorano Modenese and Maranello along the old Via Claudia; Formigine along the route of Ss no. 12-Via Giardini; Castellarano along Via Radici in Monte, a historic link road between the mountains and foothill settlements; Rubiera on the crossroads between this latter and Strada Statale no. 9-Via Emilia. Here too the rapid growth which took place in the 1960s and 70s resulted in detached houses being deposited in the direction of the hills, and industrial developments in the direction of the plain. Here too, overall, it is an urban environment lacking in urbanity, one in which the ceramic industry – the landscape of its open air deposits and the impact of goods transport – is ever present, in which road spaces are hostile to pedestrians and cyclists, in which public spaces outside the town centres are small and uncomfortable, little cared and little integrated with amenities and retail network. The ceramics district is also an environment whose liveability and urban quality have not appreciably improved even after the great deal of work done to replace abandoned industrial areas from the early 1990s onwards. When these have taken residential form, they have mostly resulted in building complexes which – whatever their more or less convincing architectural quality – have turned out in the majority of cases to be inward looking and incapable of building interconnection and inclusion networks on the town ground level (fig. 12). When it has been a matter of retail type re-developments, these have mainly taken the form of traditional ‘boxes’, surrounded by large car parks, not integrated into the fabrics they

were built in and without any policy in support of the existing neighbourhood retail and services. The negative impact on the existing road and retail network has been considerable, while their ability to overcome the fragmentation and the introversion which were such a feature of the replaced industrial plants has been limited (fig. 15). Lastly, when it has been a matter of more complex replacements in functional terms targeting, at least in theory, integration with public spaces and neighbourhood retail, this has often led to the creation of fragments – with porticoes, squares, palazzi and sculptures that recall a false and decontextualized historic town – which are incapable of melding into the contexts they form part of, or generating the requisites for true public life. An issue that affects, more in general, all the public spaces that have been constructed in recent years in the territory of the ceramics district. (fig. 16 and 17). The outcomes which are evident to all those passing through this district is a built environment in which every element remains inward looking and distinct from the next, in which inter-connection and integration planning between solitary objects and specialised spaces are entirely absent. In this context it is unsurprising that residents’ living and recreational demands are for healthier and less congested suburban areas: the ambitions – of those who can afford – is to dwell in the hill, or walking along the banks of the Secchia River in search of contact with the natural world, or fleeing to areas outside the ceramics district for weekends. Just as it is unsurprising, by contrast, that there are central and semi-central areas in the towns – the Braida neighbourhood in Sassuolo is a case in point – in which 96


units available has remained 5% higher than the number of resident families (fig. 17). Such housing is in large part owner-occupied, and more than half has been built before 1981 (fig. 20). In this framework, the growth in demand for new residential accommodation seems uncertain, and the issue is rather how to maintain and in some cases how to reassign value to the private residential heritage. A heritage that – if the ceramics district will be able to evolve and magnetize more advanced economies and skilled human capital – will have to regain attractiveness in front of a housing demand inevitably more demanding. From the town planning perspective, this should translate into the containment of residential stock and existing infrastructure – casting doubt on every potential expansion into agricultural areas – and into the definition of regulation systems able to create more favourable conditions for capillary redevelopment of the existing building heritage (weakening land use restrictions, facilitating portioning up or merging of residential units, diminishing car park requirements for each housing or retail unit). These actions should integrate into a ground level project generating improved accessibility and usability, building new quality environments and thus adding value to residential stock. Secondly, thought is required on the potential virtuous circles which could be generated by the integration of policies focusing on public space, welfare and social inclusion. It is a perspective which adopts as backdrop the delicate social composition of the area, the demand for neighbourhood services expressed by the elderly, and demands for spaces of social interaction coming

significant portions of the post Second World War building heritage are falling into decay, with social deprivation and tension related outcomes (fig. 18). Lastly, the growing success of initiatives creating the conditions for collective use of the urban spaces by citizens, however temporary and occasional, is also unsurprising. The parish church festivals, the events in town parks and cultural initiatives hosted in the town centres are moments at which latent social demands come to the surface. Demands which are not satisfied by the ceramics district’s existing public space formats. A “hunger” for social relationships which is not mediated by work or shopping, in which unforeseen new friendships and experiences can take place. Reforming existing fabric, reworking the infrastructure, creating new urban centralities The importance of focusing on the upgrading of the living spaces in any future urban planning action is clear then. By this, I mean not simply strategies aiming at widespread redevelopment of residential buildings, but also and above all a radical shift in designing the ground and the infrastructure supporting such buildings. This horizon can be structured into two working perspectives, which are traceable to two orders of reasoning and converge on a shared infrastructure and mobility project. In the first place, certain fundamental demographic aspects must be referenced. Growth in the ceramics district’s residential population seems to have slowed down in recent years – and even reversed in Sassuolo – and since the 1980s the number of housing 97


from another side a more frequent use of ‘30 km zones’ to reorganize the mobility around the residential areas. Now what is stopping the ceramics district’s communities from adopting an urban reform approach in accordance with these perspectives? What are the hurdles which are blocking the positive visions peeping out in the public and political debate – such as the idea of ‘city-district’ (see chapter 1.2) – from being translated into operational terms? It is not the lack of town planning technical expertise, which is effectively already there. What is missing are rather two requisites of an organisational and cultural type, that require institutional innovation. In the first place it is a matter of co-ordinating the towns which make up this ceramics district on themes such as mobility and public transport, in order to overcome the narrow and sectorial approach that has characterised public action on these issues to date. Secondly, what is required is cross-department co-ordination within town councils, in order to integrate those sectors of the public administration which too often work separately: town planning and public work policies, welfare and mobility policies, retail policies and incentives to the renovation of the existing private residential heritage.

from younger population. It is a perspective which also considers the benefits to public health implicit in a mobility system less focused on cars, and more on the potential safe and confortable travelling by bicycle or on foot. From the point of view of urban planning this should translate into the building of sequences of urban centralities within the existing urban fabric, which are capable of integrating relational aspects by means of public spaces, neighbourhood retail and collective services with the well-being aspects facilitated by pedestrian and cyclist areas for daily movements. These ‘extended urban centralities’ should ideally be generated from the existing situation, limiting the building of new roads or infrastructure but rather linking together existing cycle track sections, reworking certain roads and reducing car-related spaces, linking parks and squares together into a network with neighbourhood retail and existing public facilities. These two perspectives converge on the idea of a new infrastructure framework to be built within urbanised areas and which takes on a crucial ordering role in relation to both new and old urban centres, public transport systems and slow mobility, as well as real estate values. This framework should be built, primarily, from a few public transport axes corresponding to the main mobility demand lines, and linking up the main urban centralities, the principal workplaces and the main residential areas. Around this main public transport backbone, two types of additions should be built: on the one side a more extended and continuous network of pedestrian-cycle paths, to achieve collective facilities and parks;

A vision of the future, a structuring image Figure 21 proposes a project for the recomposition of ceramics district urbanization and for the building of its urbanity. This project is sub-divided into three main components which retain a certain autonomy, but are to be considered strictly inter-linked and complementary. The first relates to an important 98


Scandiano sector the system winds through town centres and certain sections of agricultural land with the objective of building physical and visual bonds with the hills to the south and the agricultural plains to the north. The third component, lastly, relates to reforming and restructuring a portion of urbanised territory which stretches from the centre of Sassuolo to the centre of Maranello and encompasses the rail-tram route and the pedestriancycle path just referred to. It is a context that occupies an intermediate position between 1980s planned industrial areas (northwards) and the main residential areas (southwards, towards the hill) and is made up of heterogeneous urban material. It is not solely residential and abandoned industrial buildings, but also and above all artisan workshops, public services and sport infrastructure. The urban conformation and its hybrid character suggest that this environment should be conceived as a ‘linear city’ integrating living spaces, services and spaces devoted to new forms of work. This linear town is to be structured by means of a sequence of projects which redesign roads, open spaces and abandoned industrial areas.

territorial public transport backbone made up of two perpendicular rail-tram axes, which would meet up in Sassuolo town centre. One axis would extend from the Mediopadana AV high speed train station (north of Reggio Emilia) to the Maranello bus terminal crossing the ceramics district conurbation from east to west. A further axis would be north-south from Modena FS train station to the railway and bus routes terminus in Sassuolo, with a branch continuing to the schools and the Salvarola area (south of Sassuolo town centre). It is a people moving system that assigns a strong role to the traits of urbanization within which develops, promoting dense connections between existing urban functions and by encouraging the redevelopment process of the housing stock. It is a system, finally, which could potentially extend northwards to the Carpi textile district – by means of the existing railway line – and eastwards – following the old disused railway line ModenaVignola – to the Bologna AV high speed train station, and from there to Marconi airport. The project’s second component relates to a sort of extended urban centrality to be built between the town centres of Scandiano and Maranello along the old Via Claudia. This is to be a pedestriancycle path which rethinks the road by means of existing cycle tracks, squares, parks and infrastructure and links them into a coherent ground design. In the conurbation between Maranello and Sassuolo this system would pass through an urban environment and link up and intensify links between historic centres, public and retail services, residential areas and a number of abandoned industrial areas awaiting redevelopment. In the Sassuolo-

A territory wide rail-tram framework: a public transport system and a trigger for urbanization redevelopment Reusing and rethinking the two rail lines which cut through the ceramics district in a hybrid ‘railtram’ perspective would generate a potential transport system responding to mobility demands on the main eastwest and north-south lines. As the rails whose re-use is conjectured are mainly within the urban area, this hypothesis would allow the new people moving 99


The meeting point between the two rail-tram axes in proximity to Sassuolo town centre would, on the other hand, be an opportunity to build a new interchange station and will also serve to re-organise a part of the town which is currently lacking quality and structure (fig. 23). A new large urban block would allow car traffic to be re-channelled within a roundabout scheme and, at the same time, would be an opportunity to reorganise all the services currently present in the area into a unitary project (the Cerform training centre, the Inps agency for social security, a bank, the rail-tram stop and the bus terminal). The new ground layout – with tree-lined car parks and pedestrian areas – has been designed to facilitate intermodal use of the rail-tram system and its integration with a large public car park, the bus station and the cycle track from Via Radici in Piano. In the heart of the block a large rectangular lawn is planned: a flexible space which – together with the re-cycle of the disused Provincial Agricultural Consortium building adjacent to it – is intended to host temporary uses which could function hand in hand with markets, festivals and feast days hosted in the historic centre squares. One further aspect, related to the added value which rail-tram transit would bring to the areas crossed by it, is worth highlighting. The new accessibility geography would be used as a trigger to stimulate and target two different urban transformation processes. The first, more capillary transformation process would be linked to the reactivation of ground level retail activities and services, residential building renovation and in the best served areas to the substitution of

system to be integrated with a spatial renovation strategy for the existing fabric. This integration expresses itself in two main ways. On one hand, by increasing the number of stops, the rail-tram would multiply the points of contact between residential districts, workplaces and public services, thus building a sequence of more accessible and centralised points which could be the pre-requisites for urban reform operations. On the other hand, the rail-tram would reduce elements of separation – barriers, gates, safety distances – currently existing between the train and the town, facilitating intersections with ordinary transport links, reforming road segments which the new transport system runs through, and creating more numerous and fluid opportunities for inter-modal exchange (with cars, bicycles and buses). Two situations, in particular, give us an opportunity to explore the urban landscape which could be obtained in this perspective. Where the rail-tram splits into two branches – at Sassuolo Quattroponti station – to reach the schools in the Salvarola area, this would impact on and transform the space of the bypass road running east of Sassuolo town centre (fig. 22). The passage of the new rails would redefine the large road segment currently dedicated to car traffic and the new stops would be linked with cycle and pedestrian tracks to the important public services set out along the route or a short distance from it (parks, schools, Sassuolo hospital). Along the road, a double row of trees and a double cycle track would attempt to give order and continuity where a road façade does not exist and the street landscape is made up of large car parks. 100


fragmented context, the aim should be to build an extended urban centrality around Via Claudia, incorporating and re-organising the existing cycle track sections into a new multibranch, complex pedestrian and cycle path. Such a system would provide continuous road surfaces and trees, and its width would take on new depth every time the various open spaces along the route are joined onto it. Two examples will demonstrate the main forms this would take. In the section from the historic centre of Fiorano M. to Spezzano, the route develops within an urbanisation continuum in which the need is for better spatial relations between the various community services, and for making access to the hills and countryside possible. The route would thus branch out into multiple points to reach residential quarters and main services, reorganise a number of unplanned car parking areas into a coherent single pattern, and lastly it would link to nature trails in the directions of the hills and the agricultural plains (fig. 24). In proximity to the centre of Casalgrande, on the other hand, the route would cut through a more discontinuous urbanisation area: here the requirement is to establish a minimum of landscape signage, and provide a protected cycle and pedestrian path linking the residential areas and the existing community services and retail buildings. In this section the route would be flanked by a row of trees whose depth would vary in proximity to the abandoned areas, roundabouts and car parks, creating small woods and screens. The intention would be to build a simple landscape grammar, which would tidy up the road’s adjacent

existing buildings with new denser volumes (think, in particular, of the potential for densification offered by old detached houses). The second, more concentrated process, on the other hand, is linked to the reactivation of abandoned areas served by the railtram routes. These areas are currently on indefinite stand-by, given the state of the ceramics district’s real estate market, and their attractiveness could increase as a result of new accessibility generated by the rail-tram transit. This would also give them a chance for reworking in design and functional terms. A pedestrian and cycle path between Scandiano and Maranello: new forms of moving and being together The historic Via Claudia is one of the ceramics district’s main roads, not solely for the crucial role it has had throughout the area’s long history, but also for the epicentre role which it still performs in the life and customs of the inhabitants. Along its path, in the Scandiano to Maranello section, we find historic centres, large residential allotments, collective services, retail businesses, supermarkets and large specialised retail areas. All this activity, however, has never been encompassed by an overall spatial project. Pedestrian and cycle links are fragmentary, and even where they are more constant they are limited to cycle tracks which are only generically so and end in themselves: too diverse road surfaces, few branches towards residential districts above and below the Via Claudia, few integrations with public spaces and buildings, non-existent tracks down to the agricultural plain or climbs back up to the hill. In such a disconnected and 101


the opportunity to explore the urban landscape which could be obtained in this perspective. The first case concerns the transformation of Piazza della Libertà and Piazza Martiri Partigiani in the centre of Sassuolo, two squares now used as parking lots and as locations for the weekly market. The surfaces of the two piazzas – as well as the avenue that joins them – are restructured in a unified sequence of paving, trees and hedges that engages north on the railtram track of via Radici in Monte and south on the system of public spaces which retraces the route of the ancient Via Claudia (fig. 27). A new ground accommodates the parking of cars, the weekly market or other initiatives, and creates a recognizable and intermediate environment between the space of the driveway and the space of sidewalks and pedestrian zones. The paving pattern and the other linear elements – seating, hedges, rows – try to create order in a space which is today devoid of quality and characterized by very uneven building fronts. The second case concerns the former Cisa-Cerdisa area, a disused industrial sector of over 38 hectares between the towns of Sassuolo and Fiorano M. Its transformation is hypothesised from a ground plan that only defines some basic spatial ordering elements. In relation to the possible building volumes and functions, the project remains instead open to different configurations, aware of the uncertainties of the real estate market and the unforeseeable implementation time frames (fig. 28). The public space retraces the layout of the existing buildings and is made up of two main axes. The east-west axis follows an industrial ditch making

areas, and establish a number of visual funnels in the direction of the hills and plains (fig. 25). A ‘linear city’ between Sassuolo and Maranello: higher living standards among services, new workplaces and public accessibility The urbanised portion stretching from the centres of Sassuolo and Maranello, which would be encompassed by the new rail-tram axis and the Via Claudia pedestrian-cycle path, can be conceptualised as a sort of ‘linear city’ in the heart of the ceramics district. In this environment we find today living spaces, community services, artisan activities, and disused industrial areas that could potentially accommodate the new entrepreneurship forms which the ceramics district proposes to attract. These types of work – research, design, advanced craftsmanship – are not incompatible with residential life and, quite the contrary, benefit from being integrated into dense urban contexts. This vocation is already present in the area as a result of its functional mix and could be enhanced by a project which gives it a coherent spatial framework. Figure 26 shows a potential redevelopment plan for the linear city, consisting in a sequence of projects which renew portions of urban spaces – roads, car parks, public parks, manufacturing clusters, disused industrial areas – mixed in with residential areas. The projects link up on one side to the rail-tram stops and, on the other, to the Via Claudia pedestrian-cycle path: this integration gives a rhythm to the structure of the linear city, and organizes the elements – surfaces, trees, buildings – which each single project generates. Two situations in particular give us 102


of Via Claudia could accommodate high-quality residencies, thanks of its proximity to the hill. In the northernmost sector, the area adjacent to Braida neighbourhood can accommodate commercial and service activities, tightly integrated with neighbourhood fabric and Mezzavia site. The large industrial building on the Via Claudia can reborn – also gradually, by leveraging its modular structure – as a symbol of the new entrepreneurship in the ceramic district. It could host coworking spaces, rows of housing-labs, as well as more structured company service functions. Finally, the northeastern area, next to a residual piece of countryside and to some sports facilities, can cleverly turn into a large public park with sports equipment obtained by recycling the floor and the roof of a prefabricated abandoned warehouse (fig. 29).

a strong pedestrian-cycle route: this route enters on one side the Braida neighbourhood in Sassuolo, and on the other reaches some community services in the centre of Fiorano M. The north-south axis, on the other hand, takes on the appearance of a urban boulevard allowing car access to the area and is flanked by a double cycle lane and a tree-lined car parking system. The two axes meet in proximity to a large metal hangar once used as a deposit for clays. This object is assigned a special historical memory value by the project, and is to serve as a multi-purpose covered square, working in conjunction with a further two public spaces in the Braida area whose redevelopment is also planned. On the basis of this public space framework, a number of potential activities could be implemented later on. The sector located to the south

103


30.

104


LA MOBILITÀ NEL DISTRETTO: PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE Andrea Debernardi

Muoversi nel distretto ceramico Con un peso insediativo del tutto comparabile a quello delle città di Parma o di Modena, il distretto ceramico – che qui consideriamo come l’insieme degli otto Comuni di Sassuolo, Fiorano Modenese, Formigine, Maranello, Casalgrande, Castellarano, Rubiera e Scandiano, collocati entro i confini provinciali in parte modenesi e in parte reggiani – costituisce un bacino di mobilità di notevole rilievo, e nel contempo ben diversamente organizzato rispetto alle realtà urbane circostanti. È sufficiente, infatti, dare uno sguardo ai dati della mobilità sistematica (spostamenti casa-scuola e casa-lavoro) rilevati dall’Istat in occasione dell’ultimo censimento della popolazione (2011) per rendersi conto del forte grado di coesione interna che lega fra loro le diverse realtà locali: gli oltre 240 mila spostamenti quotidianamente generati o attratti dal distretto si sviluppano per ben il 63% completamente al suo interno (fig. 31), relegando a un ruolo secondario la mobilità di scambio, pure in sensibile crescita (+47% tra il 1991 e il 2011). Le dinamiche dei flussi entranti e uscenti rispecchiano inoltre una certa differenziazione a seconda del motivo di 105


90.000 work

80.000

study

People movements

70.000 60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 0

1991

2001

2011

Internal trips

1991

2001

2011

Outgoing trips

1991

2001

2011

Incoming trips

31. Mobilità sistematica per motivo (1991-2011) - Fonte ISTAT/Systematic mobility by reason (1991-2011) - Source: ISTAT.

viaggio. Da un lato la mobilità studentesca, tradizionalmente orientata verso l’esterno, sembra aver beneficiato negli ultimi vent’anni di un certo arricchimento dell’offerta formativa interna che ha limitato la necessità di pendolarismo verso Modena e Reggio Emilia, senza tuttavia riuscire a tradursi in un fattore attrattivo per studenti domiciliati in zone esterne. Dall’altro lato, la mobilità per motivi di lavoro ha conosciuto un incremento superiore alla media sia in uscita (+56%) che in entrata (+67%), evidenziando una sempre maggior interdipendenza con le vicine aree urbane, senza che ciò abbia alterato l’equilibrio esistente fra la generazione e l’attrazione degli spostamenti, orientati verso le importanti aggregazioni industriali presenti soprattutto a Sassuolo, Fiorano e Maranello (relativamente più orientato alla residenzialità appare invece il profilo funzionale dei comuni reggiani). Da tali trasformazioni della domanda di mobilità è derivata una graduale espansione del bacino funzionale di Sassuolo che, estendendosi soprattutto in direzione Ovest, ha teso a rendere sempre più interdipendenti i sistemi urbani collocati sui due lati del fiume Secchia (fig. 32). Rispetto ad altri bacini più nettamente connotati in senso urbano, il 106


32. Evoluzione del bacino funzionale di Sassuolo (1991-2011) - elaborazione Meta su dati ISTAT/ The development of the Sassuolo functional basin (1991-2011) - drawn by Meta from ISTAT data.

distretto ceramico si caratterizza però – data anche la sua localizzazione marginale rispetto ai grandi sistemi di comunicazione – per una sostanziale debolezza dei flussi di attraversamento: questi sono quasi assenti lungo la direttrice Ovest-Est e comunque modesti su quella Sud-Nord (quest’ultima connette le aree appenniniche più interne, poco abitate, ai grandi poli della pianura). I pochi elementi qui esposti testimoniano di una realtà insediativa rela107


22%

23%

home-school trips

4% 1% 1%

1%

2%

23%

40%

1%

58%

16%

17%

54% 37%

INTERNAL

OUTGOING 1% 2%

14%

2%

home-work trips

0% 1% 5%

INCOMING 1% 1% 4%

91%

80% INTERNAL

not motorized

4%

92% OUTGOING

train

2%

bus

car (passenger)

INCOMING

car/motorbike (driver)

33. Ripartizione modale della mobilità sistematica: distretto delle ceramiche (2011) - elaborazione su dati ISTAT/Modal split of systematic mobility: ceramics district (2011) - drawn by Meta from ISTAT data.

tivamente compatta, seppur poco polarizzata e organizzata piuttosto per giustapposizione di medi attrattori di traffico terziari, commerciali e industriali. Di per sé, una struttura di questo genere non preluderebbe di necessità a uno squilibrio strutturale dei flussi di traffico a favore del mezzo privato. Tuttavia, questa è proprio la situazione che tende chiaramente a presentarsi, anche a livello di mobilità sistematica. In termini di ripartizione modale, infatti, il trasporto pubblico tende a svolgere una funzione primaria soltanto per la mobilità casa-scuola in uscita (60% del totale, di cui il 23% su ferro), in entrata (40%) e interna (16%); ma tutte queste quote risultano invariabilmente in calo (nel 1991 erano pari, rispettivamente, al 78%, al 68% ed al 23% del totale), a fronte della crescita dell’accompagnamento su auto privata, che ormai supporta oltre la metà dei flussi scolastici interni al distretto (fig. 33). La sostanziale – e crescente – dipendenza dal mezzo motorizzato individuale trova del resto chiare conferme nell’esame della mobilità per motivi di lavoro, supportata dall’auto come conducente per quote variabili dall’80% (spostamenti 108


interni) al 92% (spostamenti in entrata), con quote marginali (minore del 2%) attribuibili sia ai servizi automobilistici, che a quelli ferroviari. Nel determinare questo forte squilibrio giocano certamente diversi fattori strutturali connessi alla dispersione spazio-temporale degli spostamenti generati e attratti dalle diverse parti del distretto. Un ruolo importante tuttavia è da attribuirsi anche alla configurazione complessiva dell’offerta di trasporto pubblico, ancora basata sulla distinzione amministrativa, evidentemente obsoleta, tra servizi “urbani” in quanto confinati a livello comunale, e servizi “extraurbani” che coprono le relazioni interne al distretto con frequenze e tempi di percorrenza non competitivi rispetto al mezzo privato (si consideri ad esempio una relazione del tipo ScandianoMaranello, che in auto può essere coperta in circa 20 minuti, e che con il mezzo pubblico richiede circa un’ora e mezza). Una prospettiva di riuso intelligente Alla luce della situazione sin qui descritta, è difficile negare l’esigenza di un ripensamento della rete del trasporto pubblico locale secondo modalità capaci di rispondere in modo più efficace alle esigenze di mobilità interne al distretto, così come a quelle di connessione con i poli urbani esterni. Tale ripensamento dovrebbe essere volto, innanzi tutto, a garantire una maggiore integrazione fra la componente interna e quella di scambio, guardando al distretto come ad un area unitaria, dotata di una rete urbana integrata a livello intercomunale, e non più come ad un aggregato di municipalità collegate tra loro da servizi solo formalmente extraurbani. Le difficoltà a operare in questo senso non mancano: esse investono principalmente il livello istituzionale-amministrativo, vista la frammentazione delle competenze tra due distinte agenzie della mobilità, sia pure in presenza di un’unica impresa di trasporto pubblico automobilistico la cui costituzione è tuttavia coincisa con lo scorporo delle attività ferroviarie, un tempo gestite dalle società consortili provinciali e oggi afferenti al livello regionale. A tali difficoltà si aggiungono oggi le restrizioni finanziarie che stanno costringendo il settore a operare economie talora drastiche, e tali da non favorire il potenziamento delle reti poste a servizio di aree tradizionalmente prive di un forte orientamento verso il trasporto collettivo. Ciò nonostante, restano evidenti le importanti potenzialità associate alla 109


Carpi

Reggio Emilia

Modena

Sassuolo

34. Il possibile ruolo di connessione delle linee Sassuolo-Modena e Sassuolo-Reggio con la rete nazionale - elaborazione Meta su dati RFI/The possible connection of the SassuoloModena and Sassuolo-Reggio lines with the national network - drawn by Meta from RFI dati.

qualificazione dell’esercizio ferroviario sulle linee Sassuolo-Modena e Sassuolo-Reggio: rami di connessione primaria non solo ai due capoluoghi provinciali, ma anche – per mezzo delle loro stazioni vecchie e nuove – al resto del paese, nonché supporto di un sistema passante Est-Ovest atto a sostenere anche la mobilità interna (fig. 34). Una condizione essenziale per uscire dalla subalternità di questi sistemi è certamente il miglioramento dell’esercizio, da ottenersi in termini sia di frequenze che di velocità commerciali, secondo logiche che sappiano ovviare alle limitazioni infrastrutturali, connesse in primo luogo alle difformità funzionali ed alla mancata interconnessione tra le due linee. Una possibile modalità per ottenere risultati di questo genere consiste nell’ibridare il sistema ferroviario con quello tramviario, attraverso la tecnologia del tram-treno che, dopo le prime convincenti sperimentazioni nella città tedesca di Karlsruhe (risalenti ormai a più di vent’anni fa), ha trovato applicazione in diverse altre aree urbane europee (fig. 35 e 36). Questa soluzione innovativa è da qualche tempo entrata anche nel dibattito tecnico italiano, conducendo ad alcune realizzazioni significative, 110


35. Esempio di tram-treno: Karlsruhe/Tram-train example: Karlsruhe.

36. Esempio di tram-treno: Zurigo/Tram-train example: Zurich.

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37. La proposta di tram-treno Modena-Sassuolo (2007) - Fonte: ing. W.Hüsler (IBV Zurigo)/ The Modena-Sassuolo tram-train proposal (2007) - Source: Engineer W. Hüsler (IBV Zurich).

seppur parziali, nelle città sarde e a una ricca progettualità che riguarda, ad esempio, le città siciliane, ma anche metropoli settentrionali come Brescia. Una simile progettualità è stata in effetti già richiamata anche nel caso della linea Modena-Sassuolo, la cui trasformazione in un sistema tramtreno è stata oggetto, alcuni anni or sono, di una specifica proposta avanzata dall’ingegnere svizzero Willi Hüsler (fig. 37). Ipotesi ancor più ambiziose sono state avanzate nell’ambito dello studio RegioTram (2012), che ipotizzava la realizzazione di collegamenti tramtreno per oltre 250 km tra Modena, Carpi, Sassuolo e Reggio Emilia. In modo più circostanziato, un altro studio di fattibilità del medesimo periodo, valutando la possibile adozione della tecnologia tram-treno in area reggiana, ipotizzava la completa tramviarizzazione della linea per Ciano d’Enza e l’esercizio misto di quella per Guastalla, con possibile proseguimento dei veicoli su tratte tramviarie di nuova realizzazione che, attraversando il centro storico, proseguissero in direzione Sud fino a Rivalta. Da tale quadro restava invece esclusa la linea di Sassuolo, che essendo interessata anche da un rilevante traffico merci non presenta i margini funzionali per l’intensificazione dei servizi, necessaria a giustificare la trasformazione dell’esercizio in senso tramviario. 112


Da dove cominciare? La tecnologia tram-treno costituisce una soluzione promettente per far fronte alle mutate geografie del trasporto urbano ed extraurbano attraverso investimenti contenuti, finalizzati al riuso del capitale fisso esistente. Essa, infatti, consentirebbe di affrontare a costi relativamente limitati alcune fra le principali criticità del sistema attuale (passaggi a livello, raccordo tra le due stazioni), ponendo inoltre la prospettiva di possibili estensioni del servizio verso Maranello, ma anche nelle zone più centrali di Sassuolo. Nondimeno, l’ibridazione fra sistemi ferroviari e tramviari presenta aspetti tecnici complessi, da non sottovalutare: infatti, nonostante le apparenti somiglianze, essi presentano molte difformità (contatto ruota/rotaia, tensioni di alimentazione, modalità di controllo della circolazione, altezza delle banchine), che debbono essere affrontate caso per caso, determinando di volta in volta le soluzioni più idonee a riutilizzare le strutture esistenti (fig. 38). La situazione è ulteriormente complicata in Italia da un certo grado d’incertezza normativa: le linee-guida ministeriali, predisposte in materia già da diverso tempo, non sono infatti – alla data in cui si scrive – ancora approvate, e contengono comunque vincoli abbastanza stringenti, tali da risultare compatibili, al momento, soltanto con soluzioni di tipo “attenuato". Nello specifico dell’area reggiana-modenese lo sviluppo di un sistema tram-treno deve confrontarsi con un quadro differenziato in termini di trazione (elettrica alla tensione tipicamente ferroviaria di 3.000 Volt in corrente continua sulla linea di Modena, termica ma con prospettive di elettrificazione su quella di Reggio Emilia) e anche di esigenze di circolazione (solo passeggeri lato Modena, mista passeggerimerci lato Reggio Emilia). Questi elementi, chiaramente orientati a un esercizio ferroviario, lasciano però irrisolto il nodo della connessione fra le due stazioni cittadine del Comune di Sassuolo, senza la quale è impossibile pianificare un servizio di trasporto passante, che funga da “colonna vertebrale” del distretto (sulle prospettive di integrazione delle due stazioni si veda il saggio di F. Zanfi in questo volume). Nello spirito del riuso e della massima valorizzazione dell’esistente, vale forse allora la pena di esplorare ipotesi di trasformazione più graduali, volte innanzitutto a definire una soluzione non troppo impegnativa a questo annoso problema: più che una soluzione tram-treno, si potrebbe allora pensare ad una soluzio113


Tram

Train

Vehicle Tramway

Ulm / Neu-Ulm

Infrastructure

ZǁŝĐkau ƾƌŝĐŚ Lugano

KĂƌůƐƌƵŚĞ RegŐŝŽ ŵŝůŝĂ

Railway

38. Schema orientativo per l’ibridazione tram-treno - Fonte: studio di fattibilità della linea tram-treno Nord-Sud di Reggio Emilia/Policy outline for tram-train hybridisation - Source: Feasibility Study for the North-South Reggio Emilia tram-train line.

ne “treno-tram”, mutuando l’esperienza della città tedesca di Zwickau, o anche da quella prevista a Briga in Svizzera, dove i convogli ferroviari sono autorizzati a percorrere brevi tratti urbani in regime tramviario (fig.39 e 40). Si tratta di una soluzione non contemplata dalle linee-guida nazionali (ma già oggetto di almeno un’applicazione su suolo italiano), che richiederebbe comunque di affrontare alcune problematiche non marginali (ad esempio, per evitare l’elettrificazione a 3.000 Volt in ambiente urbano potrebbero essere utilizzati convogli ferroviari a trazione ibrida elettrica e termica, del tipo recentemente acquistato per i collegamenti fra Torino e Aosta), ma che consentirebbe di rispondere in modo relativamente economico all’esigenza di continuità Est-Ovest del servizio, senza precludere a futuri sviluppi, anche di altro genere. Tuttavia, come sempre accade, perseguire con successo innovazioni efficaci richiede grande chiarezza d’intenti, coerenza programmatica e, non ultimo, rigore progettuale: tutti ingredienti senza i quali è probabile che la mobilità del distretto ceramico continuerà ad essere campo d’azione quasi esclusivo del mezzo privato. 114


39. Bahnhofplatz (Briga, Svizzera): progetto di Luigi Snozzi (2015)/Bahnhofplatz (Brig, Switzerland): Luigi Snozzi's project (2015).

40. Soluzioni treno-tram: Zwickau (Germania)/Rail-tram solutions at Zwickau (Germany).

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On the other hand, mobility for work reasons has experienced an above average increase in both outbound (+56%) and inbound (+67%) mobility, highlighting an ever greater interdependence with neighbouring urban areas, without this having altered the existing balance between the generation and the attraction of trips directed towards the important industrial clusters present especially in Sassuolo, Fiorano M. and Maranello (the functional profile of the municipalities in Reggio Emilia Province, instead, seems to be relatively more residential). These changes in demand for mobility have resulted in a gradual expansion of Sassuolo’s functional area which, extending mainly in a westerly direction, has tended to make the urban systems placed on the two sides of the river Secchia ever more interdependent (fig. 32). Compared to other areas with more distinct urban connotations, the ceramics district is characterised however – also given its marginal location as regards large communication systems – by a substantial weakness in crossing flows: these are almost absent along the west-east direction and still modest on the south-north one (the latter connects the inner sparsely-populated Apennine areas to the large centres of the plain). The few elements present here show a relatively compact settlement, albeit not very polarised and somewhat organised for the juxtaposition of related attractors for tertiary, commercial and industrial traffic. In itself, a structure of this type would not necessarily preclude a structural imbalance of traffic flows in favour of private transport.

DISTRICT MOBILITY: INTEGRATION PERSPECTIVES Moving around in the ceramics district With a settlement density that is comparable to that of the cities of Parma or Modena, the ceramics district – which is here considered as the totality of the eight municipalities of Sassuolo, Fiorano M., Formigine, Maranello, Casalgrande, Castellarano, Rubiera and Scandiano, placed within the provincial boundaries partly of Modena and partly of Reggio Emilia – is a notably important area of mobility, and at the same time, organised very differently with respect to the surrounding urban areas. It is sufficient, in fact, to take a look at systematic mobility data (homeschool and home-work trips) revealed by Istat following the last census of the population (2011) to become aware of the high degree of internal cohesion that binds together the different local contexts: a good 63% of over 240,000 daily trips generated or attracted by the district occurs completely inside it (fig. 31), relegating exchange mobility, also in significant growth (+47% between 1991 and 2011), to a secondary role. The dynamics of inbound and outbound flows also reflect a certain differentiation depending on the reason for the journey. On the one hand, student mobility, traditionally oriented outwards, seems to have benefitted over the last twenty years from a certain enrichment of the internal educational offer that has limited the need of commuting towards Modena or Reggio Emilia, without however succeeding in transforming itself into an attractive factor for students domiciled outside of the areas. 116


A smart reuse perspective In light of the situation described so far, it is difficult to deny a need for the rethinking of the local public transport network in a manner that is capable of responding more efficiently to the internal mobility needs of the district, as well as to the connection with external urban centres. This rethinking should be aimed, first and foremost, at ensuring greater integration between the internal and the exchange component, looking at the district as one area, equipped with an integrated urban network at the inter-municipal level, and no longer as an aggregate of municipalities linked by services that are only formally suburban. The difficulties in operating in this manner are not lacking: these primarily invests the institutional-administrative level, given the fragmentation of responsibilities between two distinct mobility agencies, even in the presence of a single undertaking for automotive public transport whose establishment, however, coincided with the divestiture of railway activities, once managed by the provincial consortia and today regulated at the regional level. Today, these difficulties are compounded by financial restrictions that are forcing the industry to operate economies that are at times drastic, and which do not encourage the development of the networks placed at the service of the areas that are traditionally lacking in a strong orientation towards collective transport. Nevertheless, the important potential associated with the development of railway operations on the SassuoloModena and Sassuolo-Reggio Emilia lines remains evident: branches of primary connection not only to the two provincial capitals, but also – by means

However, this is precisely the situation which clearly tends to occur, even at the level of systematic mobility. In terms of modal split, in fact, public transport tends to perform a primary function only for home-school mobility: outbound (60% of the total, of which 23% is by rail), inbound (40%) and internal (16%); but all these percentages are invariably falling (in 1991 they were equal to 78%, 68% and 23% respectively of the total), in the face of growth of accompaniment in private cars, which now sustains more than half of the school flows within the district (fig. 33). Moreover, the substantial – and growing – dependence on individual motorised transport finds clear confirmation in the examination of mobility for work reasons, sustained by the automobile at the lead with variable percentages from 80% (internal trips) to 92% (inbound trips), with marginal percentages (<2%), attributable to both automobile services and railway. In determining this strong imbalance, various structural factors certainly come into play and are related to the spatial and time dispersion of trips generated and drawn in by the different parts of the ceramics district. However, an important role is also to be attributed to the overall configuration of the public transport service, still based on administrative distinction – evidently obsolete – between ‘urban’ services insofar confined to the municipal level, and ‘suburban’ services that cover the internal routes to the district, with non-competitive frequencies and travel times when compared to private transport (consider, for example, a Scandiano-Maranello type of route, which can be covered in about 20 minutes by car, and which takes about an hour and a half by public transport). 117


study of the same period, assessing the possible adoption of tram-train technology in the Reggio Emilia area, envisaged the complete tramway of the Ciano d’Enza line and the mixed operation of that for Guastalla, with the possible continuation of vehicles on newly-constructed tram tracks which, crossing the historical centre, will continue towards the direction of the south to Rivalta. However, the Sassuolo line was excluded from this framework which, also being involved in significant freight traffic, does not have the functional margins for the intensification of services needed to justify the transformation of the operation into tramway.

of their old and new stations – to the rest of the country, as well as support in the form of an east-west system also designed to support internal mobility (fig. 34). An essential condition for exit from the subordination of these systems is certainly the improvement of the operation, to be achieved in terms of both frequencies and commercial speed, according to logics that know how to overcome the limitations in infrastructure, connected in the first place to the functional non-conformity and the lack of interconnection between the two lines. A possible way to achieve results of this kind lies in the hybridisation of the railway system with the tramway, through tram-train technology which, after the first convincing experiments in the German city of Karlsruhe (now dating back to more than twenty years), has found application in various other European urban areas (fig. 35 and 36). This innovative solution has for some time also entered the Italian technical debate, leading to some significant achievements, albeit partial, in Sardinian towns and to extensive planning involving, for example, Sicilian towns, but also northern metropoles such as Brescia. Similar planning was, in fact, already also mentioned in the case of the Modena-Sassuolo line, whose transformation into a tramtrain system was the subject, some years ago, of a specific proposal put forward by the Swiss engineer Willi Hßsler (fig. 37). Even more ambitious hypotheses were put forward in the framework of the RegioTram study (2012), which envisaged the creation of tram-train connections for more than 250 km between Modena, Carpi, Sassuolo and Reggio Emilia. In more detail, another feasibility

Where to start from? Tram-train technology is a promising solution to cope with the changing geographies of urban and suburban transport through contained investment aimed at the reuse of existing fixed capital. Indeed, it would address some of the main critical issues of the current system with relatively limited cost (level crossings and the connection between the two stations), also establishing the prospect of possible service extensions to Maranello, but also in the most central areas of Sassuolo. Nevertheless, hybridisation between rail and tram systems presents complex technical aspects that must not be underestimated: in fact, notwithstanding apparent similarities, they have many differences (wheel/rail contact, voltages supply, control mode of movement, height of the platforms), which must be dealt with on a case by case basis, determining from time to time the most suitable solutions to reuse the existing structures (fig. 38). In Italy, the situation is further 118


scenarios, especially aimed at defining a solution that is not too challenging for this perennial problem: more than a tram-train solution, one could consider a ‘train-tram’ solution, by copying the experience of the German city of Zwickau, or even that provided in Brig, Switzerland, where trains are authorised to travel short urban stretches in the tramway system (fig. 39 and 40). This is a solution that is not contemplated by the national guidelines (but already the subject of at least one application in Italy), that would however need some non-marginal problems to be addressed (for example, in order to avoid 3,000-Volt electrification in urban environments, trains with a hybrid electric and thermal traction could be used, like the type recently purchased for the links between Turin and Aosta), but which would be capable of meeting the need for the service’s east-west continuity in an economic way and without precluding future developments, even of another kind. However, as is always the case, pursuing effective innovations with success requires great clarity of purpose, policy consistency and, not least, design precision: all ingredients without which the ceramics district’s mobility is likely to continue to be almost exclusively dominated by private transport.

complicated by a certain degree of regulatory uncertainty: ministerial guidelines, already drawn up some time ago, have not yet been approved – at the date in which this is written – and still however contain quite stringent constraints, such as to only be compatible at the moment with ‘attenuated’ type solutions. Specifically in the area of Reggio Emilia-Modena, the development of a tram-train system must accommodate a differentiated context in terms of traction (electric at a typical rail electromotive force of 3,000 volts Direct Current on the Modena line and, thermal but with prospects of electrification on that of Reggio Emilia) and also in terms of traffic needs (passengers only on the Modena side, mixed passenger-freight on the Reggio Emilia side). However, these elements that are clearly geared towards railway operations leave the connection node between the two town stations in the Municipality of Sassuolo unresolved, without which it is impossible to plan a through-transport service that acts as a ‘spinal column’ of the whole industrial district (on the integration prospects of the two stations, see Chapter 2.1). In the spirit of the reuse and the maximum development of the existing infrastructure, then perhaps it is worth exploring more gradual transformation

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RICICLARE GLI SPAZI PER PRODURRE/ RECYCLING INDUSTRIAL SPACES

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41.

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FARE PAESAGGIO MUOVENDO DAGLI SPAZI DEL LAVORO Chiara Merlini

L’eredità del distretto e la metamorfosi recente, tra svuotamento e prospettive di rilancio La crescente industrializzazione e lo sviluppo di economie distrettuali hanno come è noto esercitato un ruolo prioritario nell dar forma, a partire dalla metà del secolo scorso, a quei processi di urbanizzazione delle campagne che costituiscono uno dei tratti più significativi dell’assetto paesistico del nostro paese. Fortemente segnata proprio dalle dinamiche legate ai luoghi del lavoro, la diffusione insediativa ha assunto caratteri specifici dove si è definita in termini distrettuali, anche grazie alle particolari condizioni che ne hanno guidato la genesi: una fitta rete infrastrutturale sottoposta a continue modifiche; nuclei urbani che hanno via via reinterpretato il loro ruolo di servizio; buoni collegamenti viari; una forte identità locale ben ancorata ad una propensione all’imprenditorialità, alla condivisione di valori solidaristici, a famiglie-azienda che hanno fatto convivere attività industriali e agricole. Il paesaggio che ne è derivato – sia nei casi in cui l’urbanizzazione si è addensata lungo qualche strada principale, sia dove vaste aree produttive hanno occupato ambiti agricoli 123


42. Fiorano M., la prossimità tra i grandi capannoni di un'impresa ceramica (gruppo Laminam) e un vecchio edificio rurale/The proximity between big industrial plants (Laminam Group) and an old rural building in Fiorano M.

inedificati – è dunque morfologicamente legato a una trama generalmente preesistente, ma percettivamente marcato dalla presenza di materiali edilizi nuovi. Il capannone ne è l’iconema principale. Dapprima come manufatto relativamente povero e condizionato dalle esigenze funzionali; in alcuni contesti strettamente integrato con l’abitazione; nelle fasi più tarde dell’urbanizzazione diffusa nelle forme più anonime e standardizzate del contenitore prefabbricato, singolo o parte di più ampie placche produttive. Tratto distintivo è in ogni caso il suo essere un elemento isolato, posto su un suolo ridotto a supporto tecnico, indifferente al contesto se non in ragione dell’accessibilità, generalmente usato secondo ritmi e codici prestabiliti e rigidi. Tutto ciò fa sì che il paesaggio dei luoghi del lavoro che ereditiamo sia complessivamente poco qualificato e poco attraente. Non fa eccezione il distretto di Sassuolo, sia pure con alcuni tratti singolari. Va segnalato infatti che qui l’avvio della specializzazione nel settore ceramico si dà con grandi fabbriche di impronta fordista, poste ai margini dell’edificato. Spesso organismi architettonici complessi che comprendono manufatti speciali come 124


i grandi depositi delle terre, veri e propri monumenti produttivi che segnano tuttora il paesaggio. Analogamente, è un elemento distintivo la sostanziale assenza della casa-capannone, che altrove incorpora i caratteri di quello sviluppo endogeno e in continuità con l’organizzazione agricola. Qui prevale piuttosto un tessuto industriale che si organizza per incremento di singoli lotti, anche di tagli dimensionali sensibilmente diversi: prima nelle forme del capannone più semplice, con le facciate in mattoni e le volte a botte, poi con più grandi recinti in cui al fabbricato monolitico si accompagnano estesissime superfici impermeabili per il deposito delle piastrelle. La progressiva densificazione produce le grandi aree industriali che occupano oggi la piana (soprattutto tra Sassuolo, Fiorano, Maranello), accostandosi alle maglie dell’abitato o, in qualche caso, inglobandone piccole porzioni e incorporando vecchi edifici rurali (fig. 42). Una saldatura a cui non sono stati estranei, in alcune fasi, processi guidati dall’azione pubblica che hanno promosso la realizzazione di quartieri artigianali e industriali destinati soprattutto alle piccole e medie imprese dell’indotto, o al trasferimento di grandi fabbriche inglobate nell’abitato. A valle di una crescita dello spazio produttivo che è stata rapida e imponente quali sono oggi i processi di trasformazione e le dinamiche emergenti? Quali nuove domande nascono dal mondo imprenditoriale e, più in generale, quali nuove relazioni tra questo e la città è possibile immaginare? Come il progetto urbanistico è chiamato a interpretarle e orientarle? Due fenomeni principali che riguardano la filiera produttiva – ma hanno importanti risvolti sul piano insediativo – vanno richiamati. Da un lato assistiamo sempre più a processi di ritrazione, sottoutilizzo, svuotamento di edifici e suoli che interessano principalmente le aziende di più piccola dimensione, tecnologicamente meno avanzate, legate all’indotto locale, che entrano in crisi per effetto di una ridefinizione dei mercati e dei processi di globalizzazione. Lungo le infrastrutture di collegamento che hanno organizzato la prima espansione industriale, ai margini dell’insediamento, nei quartieri industriali meno qualificati, troviamo manufatti – grandi e piccoli – che progressivamente declinano consegnandoci dei Pagine seguenti/following pages 43. Grado di utilizzo degli stabilimenti produttivi in una porzione del territorio distrettuale/ Industrial plants degree of use in a portion of the ceramics district.

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demolished buildings abandoned buildings unsold/unfinished new buildings underused buildings reused buildings restyled buildings

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44. Sassuolo, un’area dismessa riutilizzata per la logistica/The logistical reuse of a former industrial area in Sassuolo.

vuoti da riusare (fig. 43 e 44), se non degli scarti in attesa di una valorizzazione sempre meno probabile. Dall’altro lato assistiamo a una nuova geografia di segno opposto, con l’emergere di alcune aziende medie e grandi che si configurano come gruppi “vincenti”. Queste aziende, ben collocate sul mercato internazionale, esprimono domande nuove: esigenze di visibilità e razionalizzazione dell’ambiente produttivo, investimenti in restyling e architettura, talvolta domande di espansione per poter installare macchinari più avanzati, spesso una ridefinizione della logistica con importanti ripercussioni sul rapporto tra edifici e spazi aperti (fig. 45). Si tratta di un processo di polarizzazione avviato già negli anni ’90 che si è fatto via via più evidente, e che diviene nelle attuali condizioni lo sfondo principale entro cui pensare un progetto di riforma dei luoghi del lavoro. Per un progetto dello spazio produttivo che costruisca paesaggio I luoghi del lavoro devono essere luoghi di qualità. Se i distretti industriali vogliono rimanere attrattivi e vitali, è necessario che il territorio assicuri 128


alti livelli di efficienza ma che sia anche abitabile e ricco di opportunità per chi lo vive, lo usa, lo attraversa. Se il mondo imprenditoriale si orienta verso produzioni con sempre maggiore valore aggiunto, più intensi legami con la ricerca, possibili intrecci con forme di turismo industriale, occorre porre termine a una modalità di sviluppo che ci ha consegnato luoghi spesso banali e poveri in termini di urbanità. Si tratta di una prospettiva – ridare dignità e maggiore complessità allo spazio del lavoro – che si ravvisa solo in parte in quegli interventi promossi negli anni recenti da alcune delle componenti più vivaci della imprenditoria locale. Qualche nuova architettura firmata, qualche intervento sulle strade, qualche nuova attrezzatura di servizio: si tratta di segnali di un cambiamento che può essere alimentato e incanalato più virtuosamente se si supera la loro episodicità. La politica e il tessuto imprenditoriale devono a questo riguardo prendere coscienza che i luoghi del lavoro non coincidono più con lo spazio “dell’industria” e che la “fabbrica”, da tradizionale edificio macchina, si apre a una differente articolazione di materiali e soggetti. Spazi più puliti ed efficienti, ma anche relazioni tra luoghi dove si produce, si fa ricerca, si commercializza, si esibisce e si comunica. La consapevolezza di questi aspetti deve indirizzare una riflessione progettuale che la cultura architettonica e urbanistica ha per anni marginalizzato o convogliato verso la trattazione di aspetti parziali: la riorganizzazione dei grandi vuoti seguiti alle prime fasi della dismissione, qualche esercizio progettuale sul solo manufatto, qualche operazione di arredo stradale, qualche norma per una migliore gestione di infrastrutture e servizi o per garantire buoni requisiti sul piano della sicurezza e della sostenibilità ambientale. Come andare oltre questi aspetti interpretando nuove esigenze e facendo sì che il progetto dello spazio produttivo contribuisca in modo più sostanziale alla costruzione della “città distretto” e del suo paesaggio? Come ricomporre in un progetto urbanistico responsabile le spinte opposte verso la qualificazione e verso la dismissione che si manifestano nell’economia distrettuale? Anzitutto occorre che le vaste aree dei capannoni e della logistica non siano schiacciate sulla loro specificità settoriale. Lo spazio produttivo, tanto più nei contesti distrettuali, deve uscire da una condizione di isolamento per 129


divenire a tutti gli effetti spazio “urbano”, parte a pieno titolo della città. Ampliare l’insieme delle funzioni e delle popolazioni che lo frequentano in ragione di interessi e ritmi diversi (lavoratori, abitanti, turisti) può articolarne forme e senso moltiplicando le occasioni di incontro, aprendo all’imprevedibilità, ridefinendo la mappa di attraversamenti e recapiti. Un contributo all’urbanità che un ambiente produttivo come quello di Sassuolo può fornire in vari modi, a seconda del ruolo che le sue diverse componenti potranno e sapranno giocare. Il convivere dei due fenomeni opposti richiamati – qualificazione e dismissione – è la semplificazione di un quadro più sfumato di domande: esigenze di espansione spesso legate al ridefinirsi della logistica; di riordino ed efficientamento di spazi più ordinari; di visibilità; di superfici più ridotte e gestibili da parte di piccole imprese e start-up in formazione. Perché ciascuna componente possa collaborare ad una riforma del distretto occorre probabilmente attivare un nuovo patto tra mondo dell’impresa, popolazione locale e governo del territorio. Da un lato si tratterà di trovare nuove relazioni tra pubblico e privato che consentano di convogliare le risorse delle imprese sulla definizione dello spazio urbano (ad esempio con la “adozione” di strade industriali), e di supportare così amministrazioni pubbliche che non riescono a sostenere in toto la riqualificazione della città. Un modo, di fatto, per rinsaldare quel legame tra economia e società che è stato alla base del successo del distretto. Dall’altro lato si tratterà di pensare nuovi modi con cui il soggetto pubblico possa incentivare l’intervento privato, ad esempio agendo sulla fiscalità, posto che le forme di premialità volumetrica tradizionalmente proposte dagli strumenti urbanistici risultano ora inefficaci. Oggi lo spazio della produzione industriale, a Sassuolo come in molte altre situazioni, è diviso tra un “dentro” improntato all’efficienza, e un “fuori” generalmente poco attrattivo e qualificato, talvolta anche poco funzionale. Un progetto di riforma deve riattivare questa relazione tra interno ed esterno, nella consapevolezza che occorre cercare la massima incisività agendo su poche cose e con poche risorse. Interventi quindi sugli involucri, sulle aree di stoccaggio, sulle estese superfici impermeabili, sugli ambiti residuali, che siano a basso costo e che sappiano usare elementi apparentemente “minori”: muri, recinti, cartellonistica, insegne pubblicitarie possono diventare materiali cruciali, in una prospettiva di costru130


45. Sassuolo: la Sp 467, asse di attraversamento del distretto e “vetrina” dei principali gruppi ceramici/Sp 467 highway in Sassuolo: the main axis of the industrial district and 'showcase' for the most innovative companies.

zione del paesaggio che non si riduca né al camuffamento di uno spazio del lavoro ritenuto visivamente impattante, né alla esibizione immotivata. Una forma di esibizione ben orientata può al contrario diventare un’altra risorsa importante. L’architettura pubblicitaria dell’edificio produttivo che aspira ad essere un landmark ne è solo un aspetto, che se inteso come esercizio isolato e autoreferenziale può dare però un contributo molto parziale alla riconfigurazione della città. Una riflessione sui modi di mostrarsi e comunicare potrebbe viceversa essere un elemento di forza del distretto, interpretando virtuosamente i valori del Made in Italy (fig. 46). Ciò a patto che si diano due condizioni. Da un lato occorre che il progetto eventualmente promosso dalle aziende interessi lo spazio pubblico e si faccia meno univoco, andando oltre le forme più usuali dell’arredo stradale. Dall’altro occorre che il distretto faccia tesoro della propria storia. Le grandi volte monumentali dei vecchi depositi delle argille sono a tale riguardo delle risorse straordinarie sul piano dell’architettura come del significato simbolico che incorporano, che la città può rimettere in gioco al pari – se non più – di qualche architettura firmata o di qualche elemento 131


scultorio posto nelle rotatorie. Anche il progetto dello spazio del lavoro deve in sostanza essere un progetto di riforma paesaggistica dell’esistente. Un progetto consapevole dei diversi connotati che i luoghi del lavoro assumono nelle varie situazioni: là dove si affacciano su grandi spazi aperti ancora agricoli, là dove possono esibire la loro specificità, là dove si devono comporre con altri pezzi del tessuto urbano e altre forme dell’abitare. In ogni caso lo spazio produttivo va inteso come un materiale operabile da riordinare più che un patrimonio da amministrare; un capitale fisso fatto di fabbriche e industrie che può essere chiave di ingresso per delineare visioni al futuro di maggiore respiro. Una visione al futuro, una figura strutturante Oggi il territorio del distretto ha bisogno di un importante sforzo di immaginazione. Affinché la grande immagine della “città distretto”, enunciata ripetutamente dalla politica locale, non rimanga un’affermazione aleatoria, è necessario cioè delineare una visione complessiva (fig. 47). Riconoscendo indizi del cambiamento, valorizzando la varietà di forme e domande che il territorio esprime, facendo riferimento a scelte strategiche e di lungo periodo, essa dovrà delineare quelle priorità e punti di forza su cui appoggiare una riforma dei tessuti produttivi capace di incidere sulla riqualificazione dell’intera città, svolgendo un ruolo strutturale. Al centro di questa nuova figura del territorio del distretto è la ridefinizione dell’ossatura principale del paesaggio industriale. Essa si compone di due assi, con ruoli diversi. In senso est-ovest la strada Pedemontana Sp 467 da Scandiano a Maranello che, alimentando un processo già parzialmente in atto, si caratterizza come una lunga “strada vetrina”. È qui che il distretto ceramico, sfruttando le potenzialità comunicative oltre che logistiche e trasportistiche dell’infrastruttura, potrebbe costruire la sua immagine più rappresentativa da veicolare all’esterno. In senso nord-sud, sulla sponda reggiana del Secchia, l’asse della Ss 486 che lambisce l’area produttiva di Castellarano. Una strada che, pur mantenendo un ruolo importante in relazione ai paesaggi della produzione, potrebbe ridefinirsi in rapporto al più generale ripensamento del sistema ambientale del fiume e alla sua possibile fruizione pubblica. 132


46. Casalgrande: la rotonda sulla Sp 467 con la scultura progettata da Daniel Libeskind per Casalgrande Padana (2015)/Daniel Libeskind's sculpture built for Casalgrande Padana (2015) in the middle of a roundabout on the Sp 467 highway in Casalgrande.

Sulla grande direttrice est-ovest della Pedemontana si innestano – secondo elemento di struttura – una serie di strade industriali che hanno nel tempo organizzato la più parte dei tessuti produttivi disposti nella piana, soprattutto sul versante modenese. La qualificazione della città e del territorio di Sassuolo dipende in buona misura dalla riforma che lungo di esse i diversi attori – amministrazioni pubbliche e privati – sapranno attivare. È nella capacità di assumere un nuovo assetto non schiacciato sulla sola dimensione specializzata della mobilità e della funzionalità e diventando strade “urbane”, aperte alla convivenza di pratiche d’uso diverse, che il distretto potrà rafforzare il suo definirsi come città. La riassegnazione di senso e ruolo ad alcuni assi infrastrutturali non esaurisce la complessità di un generale ripensamento dei luoghi del lavoro. Un progetto urbanistico per il distretto ceramico dovrà riguardare anche quel paesaggio esteso, più ordinario e incerto, fatto di capannoni vecchi e nuovi, di aziende commerciali, di piazzali di deposito. Uno spazio Pagine seguenti/following pages 47. Riciclare gli spazi produttivi, immagine di struttura/Workplaces recycling, structural image.

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Scandiano

Casalgrande

Dinazzano

Ss 486

rail yard brownfields leading companies 'industrial condos' 'showcase highway' industrial roads

47.

Castellarano


Secchia river

Fossa canal

Formigine

Ss 467 via Giardini

via Ghiarola Nuova

Sassuolo

Circondariale Fiorano M. via Claudia

Maranello


di poca qualità e spesso inefficiente, che potrebbe essere ricomposto con la formazione di “condomini industriali”. Ancora una volta un progetto che ristabilisce dei pesi, assegnando al definirsi di una grana più grossa due ruoli sostanziali. Da un lato i condomini consentono alle imprese di condividere dotazioni, reti energetiche, servizi, risparmiando sui costi e riqualificando il loro spazio di pertinenza; dall’altro collaborano a stabilire più articolate relazioni con l’ambiente urbano. In generale, un progetto per la “città distretto” saprà essere qualificante se saprà tenere insieme l’esigenza di rendere meno univoco il paesaggio produttivo con quella di consentire una buona abitabilità anche a quei piccoli inserti residenziali inglobati al suo interno. Tra gli elementi che dovranno comporre la figura strutturante del distretto vanno dunque comprese anche alcune isole residenziali – di villette, piccole palazzine – che oggi, penalizzate dal traffico pesante e dalla prossimità con le fabbriche e i depositi a cielo aperto, sono la scena di un abitare difficile. Il tema che si pone riguarda sia le forme della protezione dello spazio per l’abitare (delineando margini, confini, elementi di filtro) sia le forme della convivenza (immaginando modi di percorribilità lenta, o immettendo funzioni di servizio e di vicinato). Addensati prevalentemente nella piana, gli spazi produttivi di Sassuolo incorporano, oltre a qualche piccolo nucleo abitativo, anche alcuni antichi manufatti rurali. Sia pure privi dell’eccellenza architettonica che troviamo nelle ville e nelle rocche, essi testimoniano della storia lunga del distretto e ci consegnano valori culturali e identitari preziosi. Spesso questo patrimonio storico minore e diffuso versa in condizioni precarie, se non in uno stato di degrado avanzato o di abbandono. Anche questa costellazione di piccoli edifici può nondimeno costituire una risorsa importante da riattivare, naturalmente da declinare in relazione alle diverse collocazioni rispetto all’urbanizzato e alle funzioni esistenti. Laddove sono inglobati nei tessuti industriali, essi ben si prestano a recuperi e riusi, ad esempio come occasioni per fornire servizi collettivi agli addetti del settore industriale (mense, asili, centri sportivi, ecc.), attivando anche opportune strategie di parternariato tra imprese, soggetto pubblico e terzo settore. Altre due esigenze emergono infine nel definire una nuova immagine. Fuori dai grandi areali dell’industria, la campagna del distretto è talvolta 136


punteggiata da manufatti produttivi isolati e dispersi. Poca qualità e difficile accessibilità danno spesso avvio in questi casi a un progressivo declino, oltre a rendere manifesta la loro incongruità con il paesaggio. Accanto a queste puntuali storie di ritrazione, altre vicende di segno opposto prendono corpo nelle aree più dense del distretto, per voce di quei segmenti più dinamici del settore ceramico di cui si è detto. Si tratta di due condizioni estreme che potrebbero essere legate attivando trasferimenti volumetrici e azioni di risarcimento tra siti industriali non più recuperabili e imprese vincenti in espansione. Gli ampliamenti richiesti da qualche azienda più vitale potrebbero cioè essere subordinati a interventi di compensazione con opere di demolizione, bonifica, rinaturalizzazione di suoli ed edifici che per la loro localizzazione non potranno rientrare nel ciclo immobiliare. L’orizzonte di tali azioni è evidentemente il saldo zero: in un territorio così urbanizzato non si aggiunge nulla se congiuntamente non si ricicla qualcosa d’altro; non si può crescere se ciò non si lega a un risarcimento che rimetta al centro i beni comuni. Una “strada vetrina”: produzioni di eccellenza e immagine del territorio distrettuale Nel territorio distrettuale, la Nuova Pedemontana si candida a diventare la “vetrina” delle imprese ceramiche più avanzate, luogo in cui esse potrebbero manifestare una nuova cultura del prodotto e una sensibilità nascente per il paesaggio (fig. 45). Questa l’ipotesi che sorregge il progetto, e che si àncora ad alcuni segnali di cambiamento che già vanno, sia pure in modi episodici, in questa direzione (il Green lab, grande centro di ricerca di Kerakoll, o le rotonde allestite da Kengo Kuma e Daniel Libeskind promosse da Casalgrande Padana, ad esempio) (fig. 46). Si tratta di una strada che deve garantire prestazioni elevate come grande infrastruttura di supporto al traffico industriale e commerciale, ma che nello stesso tempo può costituire un percorso ricco dal punto di vista dell’esperienza che offre. Da un lato essa va assunta dunque come un manufatto specializzato funzionalmente, con una successione di svincoli, rotatorie, stazioni di servizio; tra Scandiano e Maranello, poco più di 19 chilometri che accolgono un traffico giornaliero di 30.000 veicoli, di cui 5.000 mezzi pesanti. Al contempo, fuori dall’addensamento industriale, 137


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48. Il ridisegno paesistico della Sp 467, tra i lotti produttivi e la campagna/The rede±nition of the Sp 467 highway among industrial areas and countryside.

essa è una strada che consente di ritrovare una percezione dell’ambiente naturale e della campagna. Questa successione di scene differenti orienta le mosse principali del progetto. Nei tratti più urbanizzati esso si misura con decisione con le forme del paesaggio industriale agendo sulle superfici orizzontali e sulla definizione di nuovi margini. Dove la strada attraversa gli ambienti naturali il progetto si fa invece più discreto, limitandosi al ridisegno del bordo stradale e all’inserimento di nuovi filari che inquadrano il paesaggio rurale, offrendo una visione della piana e della collina meno distratta, sia pure in velocità (fig. 48). 138

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ceramic tiles wall permable white gravel ground rows of trees small woods gas station Kerakoll GreenLab cemetery shopping centre storage areas

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Nella porzione più urbana la costruzione della “strada vetrina” si basa su due elementi principali. Anzitutto il progetto ridisegna le recinzioni esistenti con un nuovo muro in pannelli di ceramica che rende più unitario e ordinato il paesaggio stradale, mascherando i pallet di piastrelle stoccate e predisponendo un’estesa superficie espositiva e pubblicitaria per le aziende. L’attuale cacofonia della cartellonistica si ricompone con la definizione di questo schermo continuo che, approssimandosi o allontanandosi dalla carreggiata per riprendere o modificare in parte il confine dei lotti, ristabilisce per la strada delle pareti e dà forma a un ambiente 139


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ceramic tiles wall permable white gravel ground parking lots parking areas equipped for heavy vehicles gas station Kerakoll GreenLab cemetery cemetery green buffer zone storage areas

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49. La “strada vetrina” con il sistema dei muri in ceramica e il nuovo trattamento del suolo/ The 'showcase highway' with its ceramic walls and the new design of the ground.

molto espressivo, fatto di elementi artificiali, colorati, illuminati. L’intero spessore dell’infrastruttura viene messo in gioco. Il muro è un elemento duttile che gira intorno alle grandi rotatorie formando delle specie di stanze, si raddoppia in alcuni punti per inglobare le aree di servizio o i piazzali di parcheggio, si piega e si interrompe formando dei grandi portali di ingresso che sottolineano il carattere speciale della Pedemontana. Dove possibile, un controviale accompagna la carreggiata principale e, riordinando il sistema dell’accessibilità, collabora a dare un assetto più unitario alla strada. 140


Il secondo elemento del progetto è il trattamento delle superfici che affiancano le corsie di asfalto, che vengono immaginate con ghiaia indurita. L’architettura del manufatto stradale si caratterizza grazie a questa sorta di colata bianca che riempie lo spazio residuale generato dalle esigenze tecniche (banchine, superfici interne alle rotatorie, raccordi, ecc.) e che diventa una sorta di sfondo su cui si stagliano i nuovi muri (fig. 49). Un’immagine unitaria e ben riconoscibile del paesaggio stradale, basata su pochi elementi ripetuti, può probabilmente oggi inverarsi solo facendo leva su un nuovo dialogo tra soggetto pubblico e imprese. La sua realizzazione può essere cioè affidata in parte ai tanti soggetti privati che affacciano sulla strada, che ne possono trarre effetti positivi in termini di visibilità e attrattività, ma le cui azioni devono naturalmente essere guidate dal soggetto pubblico. Il meccanismo immaginato è il seguente: piccole strisce di terreno pubblico residuale a fianco della strada esistente sono cedute alle aziende a fronte di contributi per la realizzazione di una porzione del muro pubblicitario e delle superfici orizzontali. Per parte sua l’Amministrazione si fa carico dell’adeguamento della strada (spartitraffico, rotatorie, immissioni, controviali, eventuali marciapiedi, ecc.) e fornisce delle regole per la gestione degli spazi privati, per le aree verdi e a parcheggio, per lo stoccaggio fronte strada e la disposizione delle insegne. In sintesi, un modo per convogliare la più consueta sponsorizzazione delle rotatorie da parte delle aziende verso un disegno che possa maggiormente contribuire alla costruzione di una identità collettiva. Le strade industriali: tra le difficoltà delle opere pubbliche e le spinte della sponsorizzazione Fin dalle fasi di esordio dell’economia distrettuale, lo sviluppo del sistema produttivo si è dato attraverso grandi manufatti attestati fuori dall’abitato, spesso lungo le strade di collegamento tra i centri urbani. La progressiva saldatura dell’urbanizzato non impedisce di leggere ancora il ruolo di una serie di strade nord-sud con le ininterrotte sequenze di fabbriche e il posizionamento, lungo di esse, di alcuni dei principali marchi ceramici (Marazzi su via Regina Pacis, Laminam ed Emilceramica su via Ghiarola Nuova, System su via Ghiarola Vecchia, Florim e Gruppo Atlas su via del Canaletto). Anche lungo questi assi, come nella più parte delle strade che 141


innervano il tessuto produttivo, l’attrezzatura è carente e il paesaggio è complessivamente povero: il marciapiedi spesso non c’è, il parcheggio non è regolato, la piantumazione è discontinua, la segnaletica e la cartellonistica sono invadenti ma inefficaci ai fini della definizione di un carattere della strada. Una riforma di tali strade implicherebbe evidentemente interventi pubblici consistenti e ben coordinati, che peserebbero non poco sui bilanci comunali. La localizzazione su questi tracciati di aziende leader è dunque un’opportunità che il progetto cerca di sfruttare. Il meccanismo che si immagina – estendendo e finalizzando maggiormente una pratica già in uso da parte delle imprese – è quello della “adozione” di una strada da parte di uno dei gruppi industriali che vi si affacciano. Ancora una volta si tratta di immaginare un incontro virtuoso tra le esigenze comunicative e promozionali di industrie via via più sensibili alla qualità dell’ambiente, considerata come carta vincente in termini di competizione economica, ed esigenze collettive che non sempre riescono a trovare adeguata risposta da parte del soggetto pubblico. Assumendo questo dispositivo operativo, il progetto esplora la riqualificazione di quattro strade. In particolare si mostra qui l’assetto di via Ghiarola Nuova, sulla quale si affaccia Laminam, un marchio che ha già saputo investire nell’immagine aziendale e che potrebbe farsi soggetto attivo della trasformazione urbana. L’intervento si configura come un ridisegno paesistico della strada, affidato in primo luogo al trattamento di tutta quella superficie vaga e residuale che affianca la carreggiata (fig. 50). Una pavimentazione permeabile in resina e ciottoli dà forma un nuovo nastro che si allarga o si assottiglia a seconda dei vincoli che incontra, e al quale si affiancano una fascia verde e una pista ciclabile. Al complessivo incremento della superficie permeabile garantito da questo disegno di suolo, che rimuove anche delle porzioni di asfalto in alcuni piazzali vuoti, si accompagna il rafforzamento della vegetazione e dell’illuminazione, con la definizione di un’immagine più pagina a ±anco/opposite page 50. L’asse di via Ghiarola Nuova, con gli interventi di ridisegno promossi da un'azienda leader (Laminam)/Ghiarola Nuova road: requali±cation projects promoted by a leading company (Laminam).

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unitaria lungo l’intero tracciato, dalla Circondariale est-ovest fino al segno naturale del canale Fossa. Il riuso di suoli ed edifici dismessi costituisce il secondo elemento del progetto. Un grande lotto contiguo alla Laminam viene immaginato come parcheggio attrezzato per i mezzi pesanti. Il tema è qui dare risposta ad alcune esigenze minimali, anche se sovente insoddisfatte, dei conducenti: poter sostare, mangiare, riposare, in un ambiente sufficientemente agevole e sicuro. L’edificio esistente accoglie spazi per la ristorazione e il suolo viene riorganizzato con piccoli accorgimenti (stanze aperte delimitate da siepi, zone d’ombra) che rendono la sosta più confortevole. La prossimità con vecchie presenze rurali e con la linea ferroviaria suggerisce la formazione, in questo tratto della strada, di una sequenza di spazi di natura collettiva, che possano normalizzare e articolare il paesaggio industriale (ad esempio con un asilo nell’edificio rurale) (fig. 51). La natura monolitica e impermeabile di un contenitore dismesso consiglia invece funzioni che possono diventare infrastrutture strategiche per la modernizzazione del distretto (come ad esempio la formazione di un data-center per l’archiviazione dei dati digitali). Dei nuovi muri infine ridefiniscono il rapporto tra lotti e strada, collaborando a rafforzarne il carattere industriale. Complessivamente, un progetto urbanistico fatto di poche mosse trasformative che tuttavia, per attivarsi, deve integrarsi con una politica di incentivi pubblici capaci di sollecitare e coinvolgere i soggetti privati più lungimiranti, siano essi grandi marchi o aziende raggruppate in consorzi. I “condomini produttivi”: mettersi insieme come strategia di efficientamento e ridisegno dei tessuti ordinari Le grandi aree produttive e per la logistica che compongono il 50% della superficie urbanizzata di Sassuolo si diversificano naturalmente a seconda della posizione pur presentando alcuni caratteri ricorrenti: sequenze di capannoni al centro del lotto, circondati da grandi piazzali impermeabili destinati allo stoccaggio e alla circolazione interna, strade spesso poco equipaggiate e qualificate. Difficile sintetizzarne i processi di mutamento: lotti sottoutilizzati, talora oggetto di parziali riconversioni, qualche adattamento e riqualificazione, magari con l’inserimento di nuove dotazioni. Il progetto presentato muove da qui, cercando di immaginare come anda 144


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Laminam industrial plants guest house parking area equipped for heavy vehicles reused building for collective services rest area facilities parking lots kindergarten Fiorano M. rail station cycle path Laminam potential expansion area

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51. Il nodo terminale di via Ghiarola Nuova, con i servizi e il grande parcheggio attrezzato/The terminal at the end of Ghiarola Nuova road: a big equipped parking area and its facilities.

re oltre l’episodicità di tali processi e far sì che l’azione urbanistica possa avere effetti più estesi ed efficaci in termini di costruzione della città. La risposta è in un principio di aggregazione dei lotti. Nel tessuto produttivo – lungo la pedemontana intermedia, a ridosso della Sp 467, più ai margini lungo le vie Regina Pacis, Radici in Piano, Ghiarola vecchia, o lungo via Giardini nei pressi di Ubersetto – si individuano situazioni differenti ma ugualmente composte da lotti di dimensione intermedia, che per posizione e relazioni con l’intorno potrebbero dar forma a dei “condomini produttivi”. 145


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main entrance collective services impermeable free surface vehicular mobility ground pedestrian path lawns and small woods parking lots

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52. Fiorano M.: una serie di lotti industriali riaccorpati in un “condominio produttivo”/Workplaces merged into a single 'industrial condo' in Fiorano M.

Si tratta di una strategia che cerca di far convergere piani di riflessione differenti. Da un lato interpretando domande emergenti nel tessuto produttivo locale: le piccole e medie imprese dell’indotto o le realtà imprenditoriali in formazione sembrano oggi interessate a sperimentare modalità di organizzazione e gestione condivise. Per consolidare il proprio posto e ruolo in un’economia che si polarizza, una risposta possibile sta nel mettersi insieme condividendo costi, rischi, dotazioni. Dall’altro lato la strategia si basa su una ricomposizione per pezzi più unitari, considerati un’opportunità per dar forma a un paesaggio più ordinato, collettivamente riconoscibile, funzionale alle attività economiche come alla città nel suo insieme. Una delle esplorazioni progettuali specifiche è condotta a Fiorano M., su una serie di lotti compresi tra lo storico asse est-ovest della via Claudia e il II tronco della via Pedemontana intermedia. Tre le mosse principali. Anzitutto l’eliminazione delle attuali recinzioni e la perimetrazione con un grande recinto unico. Questo si configura come un muro attrezzato che incorpora piccole strutture di servizio (la portine146


ria comune, un edificio per la ristorazione) e a cui si appoggia una fitta alberatura. Accorgimenti elementari che delineano intorno ai capannoni una sorta di cuscinetto di natura collettiva, costruiscono un microclima interno più confortevole, e contribuiscono a ridefinire percettivamente l’interfaccia con la città (fig. 52). Un secondo elemento riguarda la modifica dell’accessibilità pesante. Il sistema si semplifica facendo convergere i flussi sulla strada principale da cui si accede al lotto, e ridefinendo la circolazione interna lungo un asse principale. L’idea è che ristabilendo una gerarchia chiara nella distribuzione, molto spazio possa essere recuperato rendendo più funzionale lo svolgersi delle varie pratiche, ivi comprese quelle delle attività industriali. Il terzo elemento del progetto è la definizione di un nuovo suolo, segnato dai punti di una griglia regolare che svolge funzioni differenti organizzando i parcheggi interni, i depositi, le alberature e le siepi che delimitano gli ambiti più privati, gli elementi dell’illuminazione, i percorsi interni, ma anche predisponendosi a una reinfrastrutturazione condivisa dell’area. È a questo disegno soprattutto che si affida il compito di dare maggiore unitarietà a uno spazio oggi fatto di singoli frammenti (fig. 53). Infine, il progetto immagina che alcune dotazioni – ad esempio il posizionamento di pannelli fotovoltaici sulle coperture – possano essere oggetto di impianti condivisi, anche attivando rapporti con soggetti specializzati nello sviluppo e gestione di servizi per il miglioramento dell’efficienza energetica (tipo Energy Service Company). La prospettiva potrebbe essere, più in generale, quella di una progressiva autosufficienza del condominio, che avrebbe un risvolto positivo su più fronti: per le imprese che vedrebbero ridotti i consumi e potrebbero puntare su un’immagine ambientalmente virtuosa, per l’Amministrazione pubblica che potrebbe scaricare in parte la propria rete di distribuzione. Si tratta, in sintesi, di delineare forme specifiche di condivisione facendo i conti con i caratteri del patrimonio edilizio esistente e con una disponibilità di risorse contenuta ma, nello stesso tempo, migliorando le prestazioni ambientali complessive, all’interno come all’esterno dei lotti produttivi.

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53. Il “condominio produttivo� con il nuovo recinto e il suolo reinfrastrutturato/The 'industrial condo' with its new fence and a reinfrastructured ground.

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container, either on its own or as part of larger manufacturing settlements. In all cases, these were free standing, resting on land reduced to the status of technical support, indifferent to their context except insofar as accessibility was concerned and generally conceived according to pre-set and rigid rhythms and codes. Therefore, the workplaces landscape we have inherited is generally unattractive and lacking in services. Sassuolo district is no exception to this, certain special features notwithstanding. It should firstly be noted that here the specialisation in the ceramics sector took the form of large Fordist-style factories. Often these buildings were erected at the edges of the urban area and with a distinct architectural style, sometimes together with special features such as large deposits of clay, veritable manufacturing monuments which still mark out the landscape. A second distinguishing feature was the overall absence of the housewarehouse, generated elsewhere by endogenous development and continuity with the agricultural system. The dominant model in this area was rather an industrial fabric that took incremental form in the addition of individual lots, sometimes in tangibly diverse sizes. It was a development that first took the form of simple warehouses with brick façades and vaulted roofs; later of larger enclosures in which monolithic buildings were accompanied by extended and impermeable surfaces used as tiles deposits. This progressive densification generated the large industrial areas that now occupy the plains (in particular between Sassuolo, Fiorano M., Maranello), right next to residential areas or around them.

MODELLING LANDSCAPE STARTING FROM WORKPLACES Industrial district legacy and its recent metamorphosis, from abandonment to redevelopment perspectives From the mid-20th century onwards rapid industrialisation and the development of industrial district economies have, as is well known, played a priority role in shaping those forms of industrialisation of the countryside which constitute one of the most significant features of Italian landscape. Within industrial districts, settlement patterns have taken on specific features also thanks to particular conditions which guided their genesis: dense infrastructure network subjected to on-going modifications; urban centres which have reinterpreted their service roles over time; good road links; a strong local identity based on an entrepreneurial culture, shared solidarity values and the role of familyrun firms focusing on both industrial manufacturing and agricultural work. The resulting landscape – both in cases in which urbanisation has accumulated along main roads and where large manufacturing areas have occupied former agricultural lands – is thus linked, morphologically speaking, with a generally pre-existing fabric. From a perceptional point of view, on the other hand, it is the presence of new building materials that is most evident. Industrial warehouses in all their various incarnations and evolutions over time play a central role. These were initially relatively basic and purely functional in nature. In some areas they were closely bound to people’s homes. Later diffused urbanisation adopted the more anonymous and standardised form of the prefab 149


global market terms and express new demands: manufacturing environment rationalisation, restyling and architecture investments, sometimes demands for expansion involving installing more up-to-date machinery, often a redefinition of logistics with important repercussions on the builtopen space ratio. It is a polarisation process that began in the 1990s but has recently intensified. In the current circumstances, it has emerged as the principal backdrop in which a workplace reform process is to be conceived.

It was a process that, in some phases, did not escape public action-led building processes promoting the construction of artisan and industrial neighbourhoods designed principally for the small and medium-sized firms of ceramics sector. In the aftermath of a growth in manufacturing space that was both rapid and large in scale, what transformation processes and dynamics are now emerging? What new demands are now coming out of the entrepreneurial world and, more generally speaking, what new relationships between workplaces and the town can be envisaged? How is urban planning being called on to interpret and guide these demands? Two principal manufacturing chain phenomena, which have important consequences on settlement framework, are of note here. On one hand we are currently witnessing an accelerating process of withdrawal, under-use and abandonment of buildings and land mainly affecting the smaller and technologically less avant-garde firms, in crisis due to the effects of market readjustments and globalisation processes. Along the main infrastructures that organized the first industrial expansion phase, on the edges of settlements and in the less qualified industrial neighbourhoods, we find objects both large and small that are progressively declining leaving empty buildings to be re-used or, in some cases, 'wastes' to be demolished in the expectation of increasingly less likely re-development. On the other hand we are facing the opposite process with certain medium-large scale companies that are emerging as the ‘winners’. These companies are well placed in

For a workplaces project able to build the landscape Workplaces must be quality spaces. If industrial districts are to remain attractive and vibrant, they must be able to ensure top efficiency standards and also be liveable and rich in opportunities for those who live and use them. If the business world is increasingly oriented towards production with greater added value, closer bonds with research and potential interweaving with forms of industrial tourism, it is time to bring an end to a development that has frequently produced anonymous and unattractive urban spaces. Giving new dignity and greater complexity to workplaces is an approach that has only partially featured in action in recent years by the more vibrant components of the local business world. Some new designer buildings, some road works, and certain new services: these are signs of changes that could be nurtured and better guided if their episodic character were overcome. Policy and the business world must, in this respect, take on board the fact that workplaces are no longer synonymous with ‘industry’ 150


spaces and that the traditional ‘factory’ model must open up to an alternative articulation of materials and actors. It is not simply cleaner and more efficient spaces that are needed, but also bonds between manufacturing spaces and places dedicated to research, selling, exhibition and communication activities. An awareness of these aspects must guide considerations that architecture and town planning culture has for years ignored or taken only partially on board. In fact, the centre of discipline reflection has been the great abandoned spaces, certain planning works on such buildings, limited road works, a few laws to encourage better management of infrastructure and services to guarantee higher safety and environmental sustainability standards. How can these aspects be overcome, interpreting new demands and making sure that workplaces planning contributes in a significant way to the building of the ‘city district’ landscape? How can the on-going opposing processes of requalification and abandonment be reconciled in a responsible town-planning project? First and foremost it is crucial that the vast warehouse and logistics areas should not be limited to their own sector specific features. Production spaces – and this is particularly true in industrial district contexts – must emerge from their current isolated status to become veritable ‘urban’ spaces and part of the town. Extending the whole of the functions and people who use these areas for different reasons and in different ways (workers, residents, tourists) can give new shape and meaning to them, multiplying intersection points, opening up to unpredictability, and rewriting the maps of itineraries and urban addresses.

It is a contribution to urban life that the manufacturing context of Sassuolo can provide in various ways in accordance with the roles played by its various components. The cohabitation of the two opposing phenomena – requalification and abandonment – is a simplification of a more multi-faceted demand context. These include needs for expansion mostly linked to the redefinition of logistics, reorganisation and efficiency requirements of ordinary spaces, visibility, demand for smaller and more manageable spaces for small businesses and emerging startups. For each of these components to be able to contribute to the reform of the industrial district probably means activating a new pact between the business world, local people and the local government. On one hand it is a matter of finding a new relationship between public and private sector in order to allows business resources to be channelled into the urban space definition (with the ‘adoption’ of industrial road, for example) and thus supporting the efforts of local government, which have not fully succeeded in redeveloping the town as a whole. It is an effective way of reinforcing the bond between economy and society that has been the basis of the industrial district’s success. On the other hand it will also be necessary to conceive new ways in which public bodies can provide incentives to private action, with tax breaks, for example, also in consideration of the fact that the volume awards traditionally used by town planning are now ineffective. The manufacturing space, in Sassuolo as in other industrial districts, is now divided into an efficiently run ‘inside’ and a generally undeveloped and sometimes non-functional ‘outside’. 151


substantially a project of landscape reform of the existing too. What is needed is a project which is sensitive to the various meanings that production spaces can take on in different situations: where they overlook agricultural spaces, where they can showcase their specific nature, where they have to combine with other elements of the urban fabric and other functions. In any event, production spaces are to be understood as working material to be reorganised rather than as a given element to be administered, a social fixed capital made by factories and industries that can provide an opportunity for the definition of broader visions of the future.

Any project of reform must therefore reactivate this relationship between inner and outer areas, conscious that what is needed is seeking the maximum incisiveness by means of work on the few elements and with minimal resources. It is thus a matter of working on the outer shell, storage, impermeable surfaces, residual spaces with low cost materials and by using apparently ‘minor’ elements well. Walls, fences, and advertising hoardings can be crucial elements in the rebuilding of a landscape that cannot be reduced to concealing the spaces with high visual impact nor to pointless showing off. A welltargeted form of exhibition can, on the contrary, become a further important resource. The architectural promotion of manufacturing buildings aspiring to landmark status is only one aspect of this approach. Moreover, if considered as an individual project, it gives a very limited contribution to the town reconfiguration. Thinking about how to communicate and to show could, on the other hand, be one of the industrial district’s strengths and demonstrate the values of Made in Italy positively. This on two preconditions. On one hand it is crucial that any projects put forward by companies impact on public space, going beyond the simple ‘roads decor’. On the other hand it is important that the industrial district values its historical legacy. The great monumental arches of the old clay deposits are, in this respect, extraordinary architectural resources as is the symbolic meaning they embody. The town can put them into play as well as – if not more so – certain designer architectures or sculptures positioned inside the roundabouts. The workplaces project must be

A vision of the future, a structuring image Today the district territory needs a significant image boost. If the grand image of the ‘city district’ so frequently reiterated by local politicians has to be more than simply wishful thinking, an overall vision needs to be delineated. Recognising signals of change, enhancing the variety of forms and demand which the area expresses, making reference to long term strategic choices, such a vision will have to set priorities and strengths to be used as the foundations for a reform of the manufacturing fabric capable of impacting on the requalification of the whole town, playing a structural role. Centre-stage in this new image of the district is a redefinition of the industrial landscape’s main backbone. This is made up of two axes with different roles. The east-west Sp 467 Pedemontana highway from Scandiano to Maranello, whose development is already partially underway, is a long ‘showcase road’. It is here that the ceramics district, 152


enable companies to share facilities, energy networks and services, saving money and redeveloping their own spaces. On the other hand they would contribute to establish more articulated contacts with the urban context. In general, in order to qualify the territory, the project for the ‘city district’ has to bring together two needs: the definition of less monofunctional manufacturing landscape and the increase of liveability standards for the small residential islands swallowed up within it. The main elements of the structuring image of the district thus encompass a number of residential islands – detached houses, small apartment blocks – which are today penalised by heavy traffic and nearness to factories. The project theme relates to both the forms of space safeguards for residential living (margins, fences, elements of mediation) and the forms of cohabitation (slow mobility, neighbourhood services and functions). Accumulated mainly in the plains, the Sassuolo manufacturing area encompasses also certain historic rural buildings. Whilst they have nothing of the architectural excellence of certain villas and hunting lodges, they are evidence of the district’s long history and bearers of precious cultural and identity values. This diffused and minor historical legacy is often in precarious condition, if not in a state of abandonment. However, this network is another resource to be reactivated accordingly to rural building location and existing functions. Where they are inside the manufacturing fabric, they can be easily recycled and re-used, for example, providing collective services to industry employees and activating partnerships between businesses, public bodies and the third sector.

exploiting also the communications potential of the infrastructure, could show its most representative face. North-south, on the Reggio Emilia side of the Secchia River, is the SS 486 axis that run along the Castellarano manufacturing area. This is a road that could be redefined in relation to the more general rethinking of the river’s environmental system and its possible public functions, albeit maintaining its industrial role. The great east-west Pedemontana highway is intersected by a series of ‘industrial roads’ – a second structural element – that have provided a structure to the bulk of the manufacturing fabric over the years, especially on the Modena side of the plain. The requalification of Sassuolo and its territory depends to a significant extent on the public-private investments in ‘industrial road’ reform. Thanks to the ability of overcoming the single specialised character of mobility and functionality, they can become veritable ‘urban’ roads open to various uses, so important elements to strengthen the industrial district’s urban status. The reassignment of meanings and roles to certain infrastructural axes is just part of the complex rethinking of workplaces. An urban plan for the ceramics district will also have to address the extended, ordinary, and uncertain landscape made up of new and old industrial warehouses, retail companies, and storage areas. It is a low quality and frequently inefficient space that could be recomposed with the formation of ‘industrial condos'. Once again what is needed is a project which re-establishes relative weight by assigning two significant roles to the shaping of wider production spaces. On one hand the ‘industrial condos’ would 153


however episodically, in this direction (the roundabout designed by Kengo Kuma and Daniel Libeskind for Casalgrande Padana, for example). In the project hypothesis, it is an infrastructure that must guarantee high performance in relation to industrial and commercial traffic but, at the same time, could constitute an experiential journey. On one hand, then, this highway is to be viewed as a specialised infrastructure with a sequence of junctions, roundabouts and petrol stations: from Scandiano to Maranello, just over 19 km, a traffic of more than 30,000 vehicles per day of which 5,000 are heavy goods vehicles. At the same time, outside the industrial agglomeration, it is a road that gives some feel for the natural environment and the countryside. This sequence of different scenarios guides the project. In the more urbanised areas, it decisively deals with the different forms of industrial landscape, acting on horizontal surfaces and defining new borders. Where the road crosses natural environments, on the other hand, it is more discreet. It is limited to the kerb redesign and the addition of new rows of trees that give a framework to the rural landscape and offer a more focused view of the plains and the hills, even at speed. In the urban sector, the ‘showcase highway’ is based on two main elements. Firstly the project draws up new ceramic enclosures which gives a more homogeneous and ordered look to the road landscape, while concealing the pallets of tiles stockpiled and setting out large surfaces for companies publicity hoardings. The current chaotic advertising situation is thus reorganised into this continual screen.

A further two issues have to be taking into account in the definition of the structuring image. Outside the great industrial areas, the countryside is sometimes dotted with isolated manufacturing buildings. In many cases, low quality and limited accessibility have led to progressive decline as well as making their incongruity with the landscape manifest. Alongside these punctual stories of abandonment, other very different stories have taken shape in the district’s densest areas. They related to the already mentioned dynamic ceramics companies. These two extremes could be considered together by activating volume transfers and compensation action between industrial sites that cannot be reused and expanding successful businesses. The enlargement work requested by some of the most vibrant companies could thus be subordinated to compensation works, such as demolition, land reclamation, the re-greening of buildings and areas that cannot be brought back into the real estate circuit. The aim of such measures is evidently ‘no net land take’. It states that, in such an urbanised area, nothing can be added unless something else is recycled. Therefore, growth cannot take place unless it is bound to a compensation mechanism centred to commons. A ‘showcase highway’: product excellence and district land image In the district the Nuova Pedemontana is a candidate to become the showcase of the most avant-garde ceramics companies, a place in which to exhibit a new product culture and embryonic landscape sensibility. The project indeed is anchored to certain signals of change that are already moving, 154


reservation, roundabouts, cross streets, side roads, pavements, etc.) and give rules for the management of private space, car parks, roadside storage and advertising hoardings arrangement. In sum, it is a way to channel the more common private sponsoring of the roundabouts in the direction of a design that would contribute to a greater degree to the creation of a collective identity.

Moving closer to or further from the road, it reiterates and partially modifies the land plot borders, restores the road walls, and shapes a highly expressive environment made up of artificial, colourful and lit elements. The whole width of the infrastructure is brought into this picture. Walls are flexible elements: sometimes they encircle the large roundabouts, forming some kinds of rooms; in other points, they double up to encompass service areas or car parks; furthermore, they bend in order to shaping great entrance portals which underline the special character of the Pedemontana highway. Where possible, a secondary road follows alongside the main one and contributes to its unitary look. The project’s second element is the treatment of the surfaces alongside the tarmac lanes with hardened gravel. This white cast will characterize the road architecture by filling up the residual space generated by technical requirements and becomes the backdrop to the new walls. A unitary, well recognisable image of the infrastructure landscape based on a few repeated elements can probably only originated from a new dialogue between public bodies and firms. It can thus be partially entrusted to a great many companies overlooking the road. While the firms can potentially benefit in visibility and attractiveness, their actions clearly need to be guided by local administrations. The mechanism envisaged for this is as follows: the narrow strips of residual public land along the highway would be ceded to companies in exchange for their contributions to the building of a portion of advertising wall and horizontal surfaces. On its side the local government would take over responsibility for the road itself (central

Industrial roads: between public works problems and sponsoring tendencies From the very beginning of the industrial district economy, development arrived by means of large buildings outside the urban area, often localized along main roads. The progressive creation of a unique urban conurbation does not reduce the importance of a series of north-south roads surrounded by an unbroken sequence of factories, among which we can find also the most important ceramics brands. Along these axes too, as in the bulk of the manufacturing fabric, furniture is lacking and the landscape is generally poor in quality: frequently there is no pavement, car parks are unregulated, tree planting is discontinuous and road signs and advertising hoardings intrusive and ineffective for the purposes of defining the road’s character. A reform of such roads would evidently involve significant and well-coordinated public investment, which would be a burden on local governments. The positioning on these infrastructures of leading companies would thus be an opportunity that the project could exploit. The mechanism envisaged – extending and giving greater purpose to a custom already resorted to by many firms – is road 155


would be reorganised with minor interventions (open spaces surrounded by hedges, shadowed areas) to make the space more comfortable. The proximity of historic rural buildings and the rail line lends itself to the creation in this area of a sequence of collective spaces that can normalise and articulate the industrial landscape. The monolithic and impermeable nature of an abandoned building lends itself to functions that can be strategic to the modernisation of the district (for example, a data centre for digital data archiving). The new walls would finally redefine the relationship between land plots and the road reinforcing its industrial character. Overall, it is a town planning approach made up of few transformations which, to be activated, must integrate into a policy of public incentives capable of involving the more future-oriented private actors, whether the great brands or companies grouped together in consortia.

‘adoption’ by one of the industrial groups overlooking it. Once again it is a question of imagining a successful interaction between the needs of communication and promotion of such firms that are increasingly sensitive to environmental quality – intended as a competitive factor too – and collective needs, which do not always succeed in finding satisfactory responses from the public sector. On the basis of this operational approach, the project examines the potential requalification of four roads. Via Ghiarola Nuova is here examined in detail, especially where Laminam, a brand that has already invested in corporate image and could take an active part in the transformation, is located. The work would take the form of a landscape reconfiguration of the infrastructure, entrusted firstly to treatment of the vague and residual surface alongside the roadway. A permeable surface in resin and pebbles would give shape to a new external strip, with variable width, flanked by a green area and a cycle path. The overall increase in permeable surface ensured by the project would be accompanied by the strengthening of the vegetation and illumination, defining a more unitary image of the whole road, from the east-west Circondariale road as far as its natural conclusion on the Fossa canal. The reuse of abandoned land and buildings is the second element of the project. The large plot alongside Laminam contains a car park equipped for heavy vehicles. The theme is to respond to a number of minimum, frequently unsatisfied, demands from drivers: an adequately safe and convenient place to stop, eat and rest. The existing building contains spaces for restaurants, while the ground

‘Industrial condos’: working together as a strategy to increase efficiency and redesign the ordinary urban fabric The large manufacturing and logistics areas making up 50% of Sassuolo’s urbanised surface presents a number of recurrent features, albeit their different location: warehouses in the centre of large impermeable spaces used for storage and internal circulation and roads which are frequently illequipped and low quality. It is difficult to sum up the changes that have taken place: underused plots sometimes partially reconverted, certain episodes of adaptation and requalification, in some cases with the addition of new equipment. The project presented here is based on these processes and attempts to 156


redefining the external image of the condo. A second element relates to modifying heavy goods vehicle access. The system was simplified by converging traffic flows from the main road and redefining internal circulation along a main access. The idea was that by re-establishing a clear hierarchy of distribution, a great deal of space could be used for increasing the functionality of various operations, industrial activities included. The project’s third element was the definition of a new ground with a regular grid performing a range of functions. It organises the internal car parks, storage areas, trees and hedges surrounding the more private areas, lighting, internal routes. It also arranges a shared re-organisation of the area’s infrastructure. Through this design, in particular, the project gives greater unity to a space now made up of individual fragments. Lastly the project envisages that certain equipment could be shared-use, also by means of activating contacts with actors specialised in the development and management of services for the improvement of energy efficiency (e.g. Energy Service Company). The overall vision could be progressive selfsufficiency for the condo, which would impact positively on both private and public spheres: firms would be able to reduce their consumption, counting also on an environmentally friendly image; local government could offload a part of its distribution network. It is essentially a matter of delineating forms of sharing which take account of the characteristics of the existing building materials using limited resources but at the same time improving overall environmental performance both within and outside manufacturing plots.

go beyond their occasional nature, ensuring more extended and incisive effects in urban terms. The response is a lot aggregation approach. The situation in the manufacturing fabric – along the Circondariale, next to the Sp 467 and along the industrial roads, in particular at their margins – is varied but similarly made up of medium-sized plots, whose position and relationship with the surrounding area could give rise to ‘industrial condos’. This strategy seeks to bring a range of different considerations together. On one hand it interprets demand arising from the local manufacturing system: the small and medium-sized satellite activities or the embryonic businesses reveals an interest in experimenting with shared organisational and management methods. To consolidate firms’ place and role in a polarising economy, a potential response lies in aggregation to share costs, risks and facilities. On the other hand the strategy is based on urban recomposition of more unitary fragments, viewed as an opportunity to give order and character to landscape and make it functional to both economic activities and the town as a whole. One of the specific pilot projects was carried out in Fiorano M. on a series of land plots located between the historic east-west Via Claudia axis and the second section of Circondariale road. The project consists here of three main actions. First and foremost, it eliminated the current enclosures and fenced the area with a single one. This element took the form of a wall equipped with small services and is supported by dense tree cover. These simple devices add a sort of collective buffer zone around the warehouses making for a more comfortable microclimate and contributing to 157


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STORIE DI IMPRESE, STORIE DI LUOGHI Cristiana Mattioli

Oltre la polarizzazione, un’eterogeneità di situazioni e di spazi La polarizzazione tra imprese di medio-grande dimensione e aziende dell’indotto in contrazione non riguarda solo la loro organizzazione produttiva o l’occupazione locale, ma si traduce anche in strategie insediative ed esigenze spaziali differenti che, per essere comprese, richiedono all’urbanista di entrare nelle aziende, parlare con gli attori responsabili delle trasformazioni, andare a vedere cosa si produce e come lo si fa, catturando il cambiamento “mentre accade”. Richiedono di ricostruire alcune “biografie” che sono, al contempo, “storie di impresa” e “storie di luoghi”. Da un lato, infatti, raccontano dell’evoluzione del distretto, delle sue differenti realtà economiche (fortemente legate alle vicende famigliari della proprietà) e dei suoi processi produttivi; dall’altro, ci parlano della genesi, espansione e trasformazione degli spazi dell’industria. Le microstorie indagate rivelano una molteplicità ed eterogeneità di situazioni, esito di fenomeni ormai consolidati ed emergenti, che si affiancano e intersecano. Questi processi sono l’espressione delle diverse (e contradditorie) esigenze espresse, non sempre in modo esplicito e chiaro, 159


da soggetti diversificati: dalle medio-grandi imprese innovative e internazionalizzate che investono nella propria immagine e ampliano i propri stabilimenti, dalle aziende dell’indotto e dalle nuove realtà imprenditoriali alla continua ricerca di nuovi spazi di stoccaggio o di occasioni di diversificazione, dalle imprese in difficoltà che si trovano a gestire un patrimonio ormai privo di valore e svuotato della propria funzione. È a partire da queste tre “famiglie” di imprese – esemplificate dalle storie qui presentate – dai loro bisogni e da alcuni processi già attivati (che hanno importanti ricadute sul territorio distrettuale), che l’urbanistica può rileggere e riordinare le attuali trasformazioni degli spazi produttivi, alla ricerca di opportunità, ma anche di elementi di resistenza o inerzia; di relazioni, ma anche conflittualità esistenti o potenziali, da mettere alla prova con il progetto. Casalgrande Padana: un modello per lo sviluppo qualitativo delle “multinazionali tascabili” Casalgrande Padana, azienda leader del distretto ceramico che impiega circa 1.150 dipendenti, rappresenta una felice eccezione nel panorama delle medio-grandi imprese locali. Ciò è dovuto alla grande attenzione posta nei confronti della riqualificazione del territorio nel quale si inserisce. Un territorio, quello della sponda reggiana del distretto, caratterizzato ancora da un’importante presenza dell’attività agricola, con vaste porzioni rurali intervallate da urbanizzazioni concentrate in pochi centri di medio-piccola dimensione o filiformi lungo strada, come quella che ospita gli stabilimenti di Casalgrande Padana. Fondata nel 1960 come società di trentatré soci – esempio delle cosiddette “ceramiche di contadini” ad azionariato condiviso e autoctono –, Casalgrande Padana è cresciuta nel tempo in modo incrementale, assecondando le esigenze della produzione e avvantaggiandosi della disponibilità, a poca distanza, di spazi industriali dismessi (fig. 55): l’ex ceramica Universal (20.000 mq), acquistata e riadattata nel 1990; un altro più ampio stabilimento produttivo in località Dinazzano (50.000 mq coperti e 150.000 pagina a ±anco/opposite page 55. Gli stabilimenti di Casalgrande Padana nelle località di Casalgrande e Dinazzano/Casalgrande Padana industrial plants in Casalgrande and Dinazzano.

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56. Intervento di qualificazione sul margine dello spazio industriale/Corporate image project on the boundary of the industrial space.

57. Moderni impianti produttivi per la cottura delle piastrelle di ceramica/Modern machineries for ceramic tiles Âąring.

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mq di deposito esterno), riqualificato nel 2000. Con l’acquisizione nel 2006 dell’impresa Riwal e dei suoi due stabilimenti, l’azienda conclude il suo processo di espansione – contando su un’area complessiva di 659.000 mq, di cui 225.000 mq coperti – ed entra in una nuova fase di qualificazione e consolidamento. Si tratta di un importante cambiamento nelle modalità insediative e di sviluppo dell’impresa, in cui l’attenzione si sposta, da un lato, alla riqualificazione degli spazi direzionali e di rappresentanza; dall’altro, alla riorganizzazione e all’ampliamento di quelli logistici. Un primo intervento di restyling riguarda l’ex palazzina uffici dello stabilimento di Dinazzano affacciata sulla strada Statale e trasformata, per opera dello Studio Cerri & Associati, in Creative Centre, contenitore polifunzionale a diretto contatto con la fabbrica, luogo di incontro tra ricerca, comunicazione, produzione ed esposizione, nonché occasione per collaudare ed esibire un nuovo prodotto: il grès porcellanato autopulente per rivestimenti esterni. Lo stesso materiale è utilizzato per la realizzazione di Casalgrande Ceramic Cloud, un lungo muro permeabile di ceramica attorniato da ghiaia e acqua e collocato all’interno della rotatoria che, dalla nuova arteria Pedemontana, consente l’accesso al deposito aziendale. L’intervento, firmato dall’architetto giapponese Kengo Kuma, dialoga con la casa rurale recuperata che vi sorge a fianco, e costruisce un sistema unitario che ridà ordine a un paesaggio – quello rurale, quello stradale e quello dell’industria – segnato da profondi contrasti (fig. 56). La Old House, casa colonica di 572 mq trasformata in archivio e piccolo centro eventi e circondata da un bel giardino piantumato di 480 mq, si colloca sul margine dell’area industriale e interpreta le diversificate esigenze dell’industria: il fronte privato, con i due volumi che accolgono le funzioni di servizio legate alla logistica, risponde alle esigenze di funzionalità ed efficienza, mentre quello pubblico qualifica l’immagine aziendale (ma anche quella dell’intero sistema produttivo locale, per il quale diventa una sorta di “porta d’ingresso”). Il monumento e l’edificio di rappresentanza giocano, dunque, il ruolo di “interfaccia”, di “filtro” fra spazio della produzione (fig. 57) e territorio circostante. È attraverso tali operazioni che Casalgrande Padana si apre all’esterno, a volte addirittura invadendo lo spazio stradale, come accade anche nel 163


successivo progetto, firmato questa volta da Daniel Libeskind. Recuperando, ma innovando, la pratica dell’allestimento delle rotatorie stradali ormai consolidata e diffusa sul territorio, l’architetto realizza un vero e proprio landmark che gioca sulla verticalità della spirale metallica rivestita con innovative piastrelle “frattali”. Al di là della loro valenza architettonica, le operazioni di riqualificazione avviate da Casalgrande Padana rivelano importanti cambiamenti nelle modalità organizzative e nelle strategie di comunicazione dell’impresa, i cui prodotti oggi si rivolgono a un target di clientela professionale. Oltre a essere frutto di una complessa collaborazione tra architetti di fama mondiale, istituzioni universitarie, amministrazioni locali e mondo dell’impresa, i progetti sono concepiti come strumenti di marketing e di valorizzazione della corporate image dell’azienda. I monumenti diventano, dunque, occasioni di visibilità e di attrattività, tanto da rendere necessaria la realizzazione di appositi punti di sosta “panoramici”. Casalgrande Padana non è la sola azienda del distretto ceramico a puntare oggi sulla qualità dei luoghi di lavoro e sulla loro immagine architettonica. Diverse imprese hanno avviato interventi di restyling delle palazzine uffici/sale mostra o hanno creato servizi di welfare aziendale per i propri dipendenti. In questo caso, tuttavia, l’industria non si chiude all’interno del proprio recinto, in spazi introversi seppur di grande qualità, ma invade, trasforma e innova spazi esterni ordinari testimoniando un impegno decennale nei confronti del benessere delle comunità locali, come ricordato dal presidente: “siamo un’azienda glocal […] e siamo orgogliosi di esserlo, perché fermamente convinti che, prima di pensare a competere nel Mondo, dobbiamo dare l’esempio, gestendo al meglio la nostra casa e il nostro paese”. L’intervento attuato da Casalgrande Padana è certamente un esempio da seguire per i privati, da incoraggiare e sostenere da parte del soggetto pubblico. Un pubblico che, in questo caso, non ha saputo però gestire appieno l’operazione, approvando la realizzazione di una stazione di rifornimento proprio accanto al progetto di Kengo Kuma. Occorre, dunque, fare di più. Se si vuole creare un nuovo paesaggio della produzione qualificato, è necessario, infatti, operare in due direzioni. Da un lato, le singole esperienze, per ora minoritarie e individuali, devono essere guidate e messe 164


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58. Fiorano M.: il piccolo capannone dell'azienda di terzo fuoco/The small warehouse owned by the 'third ±ring' company in Fiorano M.

a sistema; dall’altro, è fondamentale che il soggetto pubblico si muova in coerenza al disegno generale, senza ridurre la portata delle operazioni messe in atto dalle grandi imprese del distretto, cercando piuttosto di ben indirizzarne il contributo in termini di riqualificazione territoriale. Il “terzo fuoco”: le macerie di un indotto in crisi Il processo di verticalizzazione in atto nel distretto ceramico contrappone oggi i grandi gruppi industriali di cui si è detto – attivi per la maggior parte sul fronte della qualificazione spaziale e architettonica dei luoghi del lavoro – a piccole realtà manifatturiere tradizionali che sperimentano crescenti dinamiche di svuotamento e contrazione. È in particolare l’indotto ceramico a soffrire maggiormente del dimezzamento dei volumi prodotti e della riorganizzazione dell’intera filiera manifatturiera. Intere fasi di produzione, infatti, sono riportate all’interno delle maggiori aziende per contenerne i costi e raggiungere la massa critica necessaria a sostenere i processi di innovazione. Il “terzo fuoco”, cioè l’attività di decorazione delle piastrelle ceramiche, è 165


oggi uno dei settori più in difficoltà. Molte piccole e medie realtà produttive hanno cessato la propria attività, con pesanti ricadute non solo sull’occupazione locale, ma anche su un patrimonio edilizio industriale interessato oggi da crescenti fenomeni di svuotamento, sottoutilizzo e completa dismissione. Nel caso dell’impresa analizzata – che ha scelto di mantenere l’anonimato –, il declino non è conseguenza solo della recente crisi economica, che ha certamente agito come acceleratore. Nell’arco di poco più di un decennio l’azienda è passata da un fatturato annuo di circa 2.500.000 euro a uno di appena 300.000 euro nel 2014, importo nemmeno sufficiente a coprire i costi fissi dell’attività industriale; da un organico di 25 dipendenti a un’organizzazione incentrata sui soli 4 soci che, di fronte al continuo aumento delle tasse e alla riduzione degli ordini esteri, hanno deciso di imboccare la strada del concordato preventivo. La storia dell’impresa, originariamente insediata all’interno di un’altra azienda ceramica di Formigine, inizia nel 1986. La successiva diversificazione produttiva – con una virata verso la produzione di “pezzi speciali” – obbliga l’azienda a innovare i propri impianti e ad ampliare gli spazi. L’acquisto di un capannone a Fiorano Modenese risponde a tali esigenze. Si tratta di un immobile che sorge a poca distanza dalla Pedemontana, servito però da una stretta strada secondaria e collocato tra un nucleo residenziale periferico fatto di palazzine e villette e una grande piastra produttiva (fig. 58). Al momento dell’acquisto il manufatto è obsoleto e malandato. Importanti investimenti sono destinati alla sua ristrutturazione. L’attuale aspetto esteriore è quello di un ordinario capannone prefabbricato, con palazzina uffici e abitazione in facciata (fig. 59). Fino a poco tempo fa, una porzione era utilizzata per la produzione, l’altra per le attività di stoccaggio. Oggi lo spazio è completamente inutilizzato (fig. 60). Poco dopo la fine dei lavori e il trasferimento dell’azienda, infatti, le cose cominciano a cambiare: cambiano i gusti dei clienti; cambiano i prodotti; cambia il modo di fare piastrelle. Il know-how produttivo è speso per qualche tempo sul mercato estero, in particolare su quello spagnolo, dove la decorazione ceramica non si è mai sviluppata. Negli ultimi anni, l’avvento della decorazione digitale peggiora ulterior166


59. Il corpo di facciata del capannone, adibito a uffici e residenza/The front building of the warehouse dedicated to residential and tertiary functions.

60. Lo spazio dismesso ancora ingombro di materiali e macchinari/The abandoned workplace Âąlled with materials and machineries.

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mente la già difficile situazione delle aziende di “terzo fuoco”. Chi può, investe in impianti molto costosi o si specializza nelle fasi di ideazione e ricerca; chi non ne ha le capacità economiche, invece, è espulso dal mercato. La scomparsa del “terzo fuoco” non equivale solo alla perdita di una componente importante della filiera ceramica, ma anche dell’ultimo baluardo di “artisticità” del distretto di Sassuolo. Da un punto di vista spaziale, tale processo comporta l’inevitabile dismissione di numerosi piccoli stabilimenti, diffusi su tutto il territorio, in particolare nei quartieri artigianali di piccola taglia. L’inutilizzo è però solo l’ultima fase di un processo di svuotamento fatto di arresti e ripartenze, sottoutilizzi impiantistici e immobiliari a volte irrecuperabili, soprattutto quando i costi fissi degli stabilimenti si mantengono elevati: “In 4 anni la tassa sugli immobili è passata da 10.000 euro l’anno a 21.000 euro! Poi ci sono i consumi. Nel 2014, anche se abbiamo lavorato poco, abbiamo speso circa 1.200 euro/mese di energia elettrica e 2.000 euro/mese di gas metano. Da inizio anno [2015], a impianto fermo, continuiamo a pagare le utenze minime, l’assicurazione antincendio e le tasse”. Sono proprio i costi legati all’immobile a portare, dunque, alla chiusura dell’azienda. Tuttavia, è solo grazie alla sua (s)vendita – qualche anno fa il valore dell’immobile era stato stimato in 2 milioni di euro; oggi sicuramente questa cifra non potrà essere raggiunta – che sarà possibile ripagare i debiti accumulati. I manufatti produttivi di taglio medio sono però sovrabbondanti e non intercettano la domanda locale, oggi indirizzata piuttosto a spazi di grande o ridottissima dimensione. D’altra parte, il riuso di questo immobile comporterebbe spese di adeguamento impiantistico e anti-sismico, forse anche interventi di tipo strutturale, insostenibili per i soggetti che potenzialmente potrebbero insediarvisi. Il capannone è inoltre limitrofo a nuclei abitati e a porzioni di spazio verde fruibile (orti, ritagli di campagna interclusa) che ne limitano l’uso produttivo. Il riciclo cede, dunque, il passo a un’ipotesi di rilocalizzazione volumetrica che consentirebbe non solo al proprietario di ottenerne una remunerazione, ma che favorirebbe anche l’espansione in prossimità di imprese in crescita e, al contempo, la demolizione e rinaturalizzazione del suolo liberato. 168


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61. MecTiles: magazzini e depositi a cielo aperto in località Sant'Antonino (RE)/MecTiles warehouses and storage areas in Sant'Antonino (RE).

MecTiles: riciclare macchinari, riutilizzare spazi La leadership mondiale del distretto di Sassuolo non ha a che fare solo con la produzione ceramica. Anche il settore meccanico gioca un ruolo di primo piano. Per produrre lastre ceramiche di grandi dimensioni e piastrelle autopulenti, infatti, sono necessari macchinari e impianti tecnologicamente avanzati, frutto di una ricerca e un’innovazione continua. La meccanica per ceramica si sviluppa negli anni Settanta come settore complementare e fortemente dipendente dalla specializzazione manifatturiera locale, almeno fino all’avvio di percorsi autonomi di esportazione. Oggi questo settore conosce processi di verticalizzazione e internazionalizzazione analoghi a quelli dell’industria ceramica: pochi grandi gruppi multinazionali controllano una sempre più esigua filiera locale, saldamente radicata al tessuto socio-economico emiliano. MecTiles rappresenta, per certi versi, un’eccezione all’interno di questo panorama. Fondata nel 1999 in una frazione di Casalgrande (RE), l’azienda si occupa, infatti, non della produzione di macchinari ma del loro recupero e rigenerazione. Un’impresa di riciclo, insomma, nata per offrire impianti 169


a basso costo ai produttori dei Paesi in via di sviluppo (del Medio Oriente e del Nord-Africa), che mette al lavoro in modo originale il capitale locale: il know how depositatosi nel corso di diversi decenni e l’abbondante surplus di impianti velocemente sostituiti all’interno delle imprese più innovative. Gli anni della crisi sono, per MecTiles, anni di grande crescita: da un lato, aumentano le cessazioni d’impresa (in Italia e soprattutto in Spagna) e le aziende liquidano i loro impianti; dall’altro, si allarga il bacino di domanda. Per contenere i costi fissi, infatti, anche i produttori italiani ed europei cominciano a completare le loro linee produttive con macchinari usati e rigenerati, spesso più affidabili di quelli nuovi prodotti all’estero. Mentre il numero dei dipendenti si mantiene contenuto – circa una trentina –, la continua crescita aziendale significa ininterrotta espansione spaziale. Oggi MecTiles utilizza oltre 100.000 mq di deposito nel distretto ceramico, nella frazione di Sant’Antonino (RE) (fig. 61). Il ciclo di recupero, lavorazione e stoccaggio degli impianti usati necessita di spazi molto ampi, magazzini ricavati dal riuso di edifici o aree industriali dismessi. La sede dell’azienda, localizzata a pochi passi dalla strada Pedemontana, è l’esito della successiva acquisizione e trasformazione di fabbriche abbandonate risalenti alla prima fase di industrializzazione del territorio. Inizialmente, sono stati i 4.500 mq dell’ex-ceramica Master ad accogliere le funzioni amministrative, produttive e logistiche dell’impresa. Le lunghe campate voltate a botte, tipiche degli stabilimenti produttivi degli anni Sessanta, sono oggi ricolme di macchinari (fig. 63); un rudimentale telone in plastica separa il deposito dalla piccola officina; la palazzina uffici ha (finora) mantenuto la propria funzione originaria, così come gli ampi piazzali che si sviluppano sul retro (4.000 mq). Ben presto si rende però necessario un ulteriore ampliamento. Questa volta sono i 60.000 mq dell’ex-ceramica Omega, posta proprio al di là della recinzione e prospicente la trafficata strada Statale, ad attirare l’attenzione di MecTiles. Di proprietà del gruppo Cooperativa Ceramica d’Imola e dismessa dal 2007 per favorire un processo di riconcentrazione aziendale, l’area è stata utilizzata in modo intermittente. Contemporaneamente, MecTiles ha cominciato a riutilizzarne le strutture e i piazzali, fino a trasferirvi nel 2015 anche gli uffici e l’officina per razionalizzare la propria attività e beneficiare della migliore accessibilità. 170


62. L'aspetto poco qualificato degli spazi esterni dell'azienda/The unqualiÂąed external spaces of the company.

63. Il riuso logistico degli spazi interni dello stabilimento/Internal reuse of industrial buildings for logistical purposes.

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Gli interventi di adattamento degli immobili recuperati e trasformati perlopiù in depositi sono ridotti al minimo, limitati all’eliminazione delle coperture in eternit, alla rintonacatura interna e all’installazione di impianti di riscaldamento nelle zone di lavoro. Ciò si traduce in un aspetto esteriore piuttosto banale e “disordinato”, dovuto non solo all’obsolescenza dei manufatti – raramente interessati da interventi strutturali –, ma anche all’alta densità di macchinari disposti nei piazzali e utilizzati addirittura come elementi di recinzione (fig. 62). Tutto diventa magazzino, ogni spazio inutilizzato offre occasioni di riuso. “Le società commerciali riempiono gli spazi produttivi di minori dimensioni, trasformandoli in sale mostra e magazzini; la logistica necessita, invece, di spazi sempre maggiori da adibire a deposito”. Questi i segnali di un cambiamento che coinvolge l’intero sistema produttivo locale: la sua trasformazione in un grande hub logistico.

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by some already activated processes (which have important effects on the district’s territory), that townplanning can review and rearrange the current transformations of production spaces. The project, therefore, must move from existing opportunities, although recognising also elements of resistance or inertia; the relationships, but also on-going or potential conflicts.

STORIES OF COMPANIES AND PLACES Beyond polarisation, a heterogeneity of situations and spaces Polarisation between mediumlarge sized companies and satellite activities in decline does not only concern their productive organisation or local employment, but also results in settlement strategies and different spatial requirements. Town planners must therefore go into companies, talk to local stakeholders, go and see what it is being produced and how it is being done, to capture the change ‘as it happens’. They must reconstruct some ‘company biographies’, which relate to the evolution of the district, of its different economic activities and of its production processes. Events that are, at the same time, also stories of production spaces because they also talk of the creation, expansion and transformation of the places of industry. The short stories investigated reveal a multiplicity and heterogeneity of situations, the outcome of the juxtaposition and intertwining of consolidated and emerging processes. The transformations are the expression of the different (and contradictory) needs expressed by diverse parties: the innovative and internationalised medium-large enterprises which invest in their image and expand their plants, the old and new ancillary companies on the constant search for storage spaces or diversification opportunities, and the companies in difficulty that find themselves managing assets that are by now devoid of value and stripped of their function. It is by starting from these three “families” of companies – exemplified by the stories presented here –, by their needs and

Casalgrande Padana: a model for qualitative development of ‘pocketsized multinationals’ Casalgrande Padana, a leading company in the ceramics district that employs approximately 1,150 workers, is a welcome exception among the local medium-large enterprises. The distinguishing element is related to the great attention given to the requalification of the territory in which it is established. A territory, on the Reggio Emilia side of the district, that is still characterised by vast rural parcels interspersed with an urbanisation concentrated in a few medium-small sized centres or situated along the road, such as the one that accommodates the industrial plants of Casalgrande Padana. Founded in 1960 as a company with shared and autochthonous ownership, Casalgrande Padana has grown incrementally over time, complying with production requirements and recovering disused industrial spaces located nearby (fig. 55): the former Ceramica Universal (20,000 sq. m.), purchased and readapted in 1990; another larger production facility in Dinazzano (50,000 sq. m. internal and 150,000 sq. m. of external storage facilities), redeveloped in 2000. With the acquisition of the Riwal firm in 2006 and its two plants, the company concludes 173


spaces and services for logistics. The public front, instead, qualifies the corporate image and the whole district, creating a true ‘entrance’ to the west. The monument and the head office therefore play an interfacing role, that of a ‘filter’ between the production space (fig. 57) and the surrounding territory. It is through these operations that Casalgrande Padana opens to the outside, at times even encroaching on the road space, as also happens in the next project, this time signed by Daniel Libeskind. Through the innovation of the practice of outfitting road roundabouts, the architect creates a true landmark centred on the verticality of a metallic spiral covered in tiles. Requalification operations initiated by Casalgrande Padana reveal important changes in the company’s organisational procedures and communication strategies. In addition to being the result of a complex collaboration between archistar, universities, local administrations and businesses, projects are conceived as marketing tools for the enhancement of the company’s corporate image. The monuments become opportunities for visibility and attraction. Casalgrande Padana is not the only company in the ceramics district that is today focusing on the quality of workplaces and on their architectural image. Several companies have started restyling operations for office buildings/exhibition halls or have created corporate welfare services for their employees. In this case, however, the industry does not close itself up within its boundary, in introverted spaces albeit of great quality. It invades, transforms and innovates external and ordinary spaces, attesting to a ten-year commitment in respect of the wellbeing of the local communities,

its expansion process – counting on a total area of 659,000 sq. m. including 225,000 sq. m. of indoor areas – and enters a new phase of development and consolidation. It is an important change in the company’s settlement arrangements and development. The focus shifts, on the one hand, on the requalification of executive offices and showrooms; on the other, on the reorganisation and expansion of logistics spaces. A first restyling operation involves the former office building of the Dinazzano plant. A structure overlooking the state road and transformed into a Creative Centre by Studio Cerri & Associati. It is a multifunctional container in direct contact with the factory and a meeting place for research, communication, production and exhibit. At the same time, the intervention is the opportunity to test and promote a new product: the self-cleaning grès tiles for external cladding. The same material is used for the creation of Casalgrande Ceramic Cloud, a long ceramic wall placed inside the roundabout that gives access to the company’s storage facilities from the new Pedemontana highway. The intervention, signed by the Japanese architect Kengo Kuma, interacts with the restored rural house that stands beside it. Together they build a unified system that restores order to a landscape – the rural, the road and that of the industrial spaces marked by deep contrasts (fig. 56). The Old House, a rural building of 572 sq. m. converted into a small events centre and surrounded by a beautiful garden of 480 sq. m., is located on the edge of the industrial area. The private front meets the requirements of functionality and efficiency thanks to two new volumes that contain 174


processes. The ‘third firing’ – the activity of decorating ceramic tiles –, is today one of the sectors most in difficulty. Many small and mediumsized production companies have gone out of business, with serious repercussions not only on local employment, but also on the industrial building heritage affected today by the growing phenomena of being emptied, underutilised and completely demised. In the case of the company analysed, the decline is not only the result of the recent economic crisis, which, however, acted as an accelerator. In the span of a little more than a decade, the company passed from an annual turnover of about 2,500,000 euros to one of just 300,000 euros in 2014, an insufficient amount to cover fixed costs. In the face of increasing taxes and a reduction in foreign orders, it was therefore decided to enter into an arrangement with creditors. The company’s story begins in 1986 within another ceramics company in Formigine. The subsequent product diversification obliges the company to modernise its machineries and expand its spaces. The purchase of a warehouse in Fiorano M. meets these needs. It is a property that stands within a short distance from the Pedemontana highway, between a residential peripheral neighbourhood and a large production site (fig. 58). At the time of purchase, the structure is obsolete and run down. Significant investments are allocated for its restructuring. The current external appearance is that of an ordinary prefabricated warehouse, with an office building and dwelling on the front (fig. 59). Until a short time ago, a section was used for production and the other for warehousing purposes. Today, the space is in complete disuse

as stated by the Chairman: “We are a glocal company […] and proud of it, because we are firmly convinced that, before even thinking of competing in the world, we must set an example by better managing our house and our country”. The intervention implemented by Casalgrande Padana is certainly an example to follow by private individuals, to be encouraged and supported by public bodies. A municipality that, in this case, has been unable to manage the operation, as the approval for the construction of a nearby gas station demonstrates. It is therefore necessary to do more. If local stakeholders want to create a new landscape of qualified production, it is in fact necessary to operate in two directions. On the one hand, the individual experiences, for now the minority and fragmented, must be guided and coordinated; on the other, it is essential that the public moves in line with the general design, without reducing the scope of the operations implemented by the large companies in the district. The 'third firing': the ruins of a spinoff in crisis The ongoing process of verticalisation today counterposes the large industrial groups, active for the most part on spatial and architectural qualification of workplaces, with small traditional manufacturing companies experiencing the growing dynamics of abandonment and contraction. The halving of volumes produced and the reorganisation of the entire manufacturing supply chain primarily impinges on ceramics spinoff companies. Entire production phases, in fact, have been brought back into the leading companies in order to contain costs and reach the critical mass needed to support innovation 175


However, it is only through its sale that it will be possible to repay accumulated debts. Medium-sized manufacturing structures are, however, in abundance and do not intercept local demand, which is today rather addressed to spaces of a large or very small size. The reuse of the building would entail costs for anti-seismic and plant upgrading, perhaps even structural interventions, unsustainable for parties that could potentially wish to settle in. The warehouse also borders residential neighbourhoods and parcels of green usable space (vegetable gardens, swathes of countryside) that limit its productive use. Therefore, recycling gives way to volumetric relocation. A scenario that would not only enable the owner to obtain incomes from his property, but would also be conducive to expansion in the proximity of growing businesses and, at the same time, demolition and reclamation of the released land.

(fig. 60). Shortly after the end of the works and the transfer of the company, things began to change: the clients’ tastes changed; products changed; tiles production itself changed. The manufacturing know-how has been spent for some time in the foreign market, in particular in Spain, where ceramic decoration never developed. In recent years, the advent of digital decoration worsens the already difficult situation of companies in the ‘third firing’. Whoever can, invest in very expensive plants or specialises in the design and research phases; those who do not have the financial capacity instead, are expelled from the market. The disappearance of the ‘third firing’ does not only equate to the loss of an important phase of the ceramics industry, but also of the last ‘artistic’ component of the Sassuolo district. From a spatial point of view, this process involves the inevitable abandonment of several small plants, spread throughout the territory, in particular in the artisanal smallsized neighbourhoods. Disuse is, however, only the final phase of a process made up of stops and restarts, underuse of plants and property that is irrecoverable at times, especially when the fixed costs of the establishments remain high: “In 4 years, property tax increased from 10,000 euros per year to 21,000 euros! Then there are the consumables. In 2014, even if we did not work much, we spent about 1,200 euros/month on electricity and 2,000 euros/month on methane gas. From the beginning of the year [2015], with a stationary plant, we continued to pay for minimum utilities, anti-fire insurance and taxes”. It is precisely the costs related to the property that lead, therefore, to the closure of the business.

MecTiles: recycling of machineries, reuse of spaces The world leadership of the Sassuolo district is not only connected to the production of ceramic tiles. The mechanical engineering industry also plays a prominent role. In fact, machinery and technologicallyadvanced plants, the result of research and continuous innovation, are needed to produce large-sized ceramic slabs and self-cleaning tiles. Machinery for ceramics was developed in the seventies as a complementary sector, heavily dependent on the specialisation of ceramics, at least until the beginning of autonomous export. Today, this sector is experiencing processes of verticalisation and internationalisation similar to the tile industry: a few large 176


Master. The long barrel-vaulted bays are now packed with machinery (fig. 63). A rudimentary plastic tarpaulin separates the storage depot from the small workshop. The office building has (so far) maintained its original function, just like the wide outdoor depot that runs at the back (4,000 sq.m.). Very soon, however, it will be necessary to expand further. This time, MecTiles turns its attention to the 60,000 sq. m. of the former Ceramica Omega, situated just beyond its fence and facing the busy state road. Owned by the Cooperativa Ceramica d’Imola group and unused since 2007, the area has been used intermittently and informally. At the same time, MecTiles began to reuse the structures and open spaces until, in 2015, it also moved its offices and workshop there to rationalise its operations and benefit from better accessibility. Interventions for the adaptation of the buildings are reduced to a minimum, limited to the removal of Eternit roofs, internal re-plastering and the installation of heating systems in the work areas. This results in a rather ordinary and “disorderly” external appearance that is not only due to the obsolescence of the plant, but also to the high density of machinery arranged outside and even used for fencing off purposes (fig. 62). Everything turns into a warehouse, any unused space offers opportunities for reuse. “Commercial companies fill smaller production spaces, transforming them into showrooms and warehouses; instead, logistics always needs more space to be used for storage purposes”. These are the signs of a more general change that involves the entire local production system: its transformation into a large logistics hub.

multinational groups controlling an increasingly small local industry. In some respects, MecTiles is an exception within this landscape. Founded in 1999 in a small town next to Casalgrande (RE), the company deals with the recovery and reconditioning of machinery. A recycling company established to offer low-cost plants to producers in developing countries (the Middle East and North Africa). A company that puts the local capital to work in an original way, innovating the know-how generated over several decades, and recycling the abundant local surplus of old machineries. For MecTiles, the crisis years are actually years of tremendous growth. On the one hand, the number of companies that cease to trade increases (in Italy and especially in Spain) and companies liquidate their plants. On the other, the demand potential widens. In fact, in order to contain fixed costs, Italian and European producers also supplement their production lines with used and reconditioned machinery. While the number of employees remains contained to about thirty, continuous company growth means uninterrupted spatial expansion. Today, MecTiles uses over 100,000 sq.m. of storage facilities in the ceramics district in the hamlet of Sant’Antonino (RE) (fig. 61). The recovery, processing and storage cycle of the machineries requires very large spaces. The company’s headquarters, located a few steps away from the Pedemontana highway, is the outcome of the subsequent acquisition and transformation of abandoned factories dating back to the first phase of the district’s industrialisation. The company’s administrative, production and logistics functions initially occupied 4,500 sq.m. of the former Ceramica 177


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RICICLARE GLI SPAZI RURALI E DI NATURALITÀ/ RECYCLING RURAL AND NATURAL SPACES

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64.

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UN SUOLO E UNA NATURA DA RISCOPRIRE E DA RIFORMARE Arturo Lanzani

Una grande frattura alle spalle, tra sfruttamento delle risorse naturali e povertà del disegno dello spazio aperto Il supporto di partenza della maggior parte delle urbanizzazioni diffuse italiane legate allo sviluppo di economie distrettuali è un territorio segnato dalla presenza di città medie e piccole e di una campagna finemente lavorata e abitata. Conseguentemente lo spazio aperto ereditato ha due fondamentali e chiari statuti. È spazio collettivo, preciso nelle forme e vago negli usi, tra il sistema continuo delle facciate delle città e dei borghi; è spazio produttivo, finemente lavorato e fittamente abitato, nella campagna. A questo spazio aperto se ne affianca e sovrappone per linee e aree uno di formazione più recente, legato ad alcuni giardini urbani delle ville e ad alcuni grandi assi prospettici che solcano lo spazio urbanizzato e si proiettano nello spazio rurale. Lo spazio di naturalità è assai contenuto, per non dire quasi del tutto assente: non è certo lo spazio di “delizia” e caccia dei roccoli, non è il bosco produttivo di collina e di montagna, non è neppure lo spazio delle fasce fluviali. Tutto ciò vale anche per il territorio del distretto ceramico emiliano. Vale 181


65. L'asse prospettico del Palazzo Ducale/Palazzo Ducale perspective axis.

per le piazze e le vie dei suoi centri antichi scavati nel volume, con il sistema delle facciate che costruisce in un misto di coralità e irregolarità gli “invasi” in cui si svolge la vita collettiva – a Sassuolo e Scandiano in primo luogo, ma non solo. Vale per i non pochi elementi di riorganizzazione dello spazio urbano e rurale risalenti all’età barocca che trovano attorno al Palazzo Ducale di Sassuolo, al suo parco e alle campagne circostanti la loro maggiore ma non esclusiva manifestazione (fig. 65). Vale, infine, per una campagna di pianura e di collina con un suolo e un sistema irriguo finemente rimodellati. Un paesaggio agrario che si è via via caratterizzato sia per le complesse forme agroforestali, con fasce boscate e filari lungo le strade rurali e i canali, alberi da frutta o da legna e vite maritata, campi inframezzati ai seminativi; sia per le forme di insediamento disperso legate alla mezzadria e alla piccola proprietà; sia per l’originale combinazione tra allevamento, foraggiere e colture promiscue (che ibridava i modelli emiliani più dedicati all’allevamento con quelli bolognesi e romagnoli più ricchi di alberi da frutta). Lo sviluppo distrettuale ha un rapporto ambiguo con il passato, con la 182


sua eredità economico-sociale e con quella paesistica e materiale. Il suo primo sviluppo economico (1950–1980) sembra rimettere al lavoro istituzioni e tratti socio-culturali di quel territorio di piccole città e campagne abitate (la famiglia-impresa, il comune-comunità, le diverse reti associative, le professionalità artigianali, ecc.) in uno sviluppo che si è definito “senza fratture” dal punto di vista sociale. Il capitale sociale di partenza non è solo premessa dello sviluppo, ma elemento che, perlomeno inizialmente, lo plasma. Diverso, tuttavia, pare fin da subito il suo rapporto con il capitale fisso sociale, con le infrastrutture e con le risorse naturali. Certo, lo sviluppo vi si appoggia: riusa l’enorme palinsesto che si è depositato sul territorio; riusa i nuclei storici con le loro attrezzature e spazi collettivi; riusa le strade rurali (in tutta la fascia di pianura pedemontana) e territoriali (lungo l’antica via Claudia e nelle strade verso Modena e verso Reggio), talvolta riusa gli stessi assi barocchi (a nord del Palazzo Ducale). Tuttavia, lo sviluppo è tutt’altro che “senza fratture” rispetto al capitale fisico. Esso introduce anzi una cesura radicale. Nella prima fase, il rapporto con le risorse naturali è decisamente rapace e di puro sfruttamento: non solo nelle cave di argilla della collina - sulle quali di norma non arriverà nessun ripristino, così come accadrà per la maggior parte delle sempre più numerose cave di ghiaia sul Secchia - ma anche con i frequenti e incontrollati depositi di fanghi e scarti di produzione ceramica nel suolo del distretto e con l’immissione di sostanze inquinanti nell’acqua e nell’aria. Solo a partire dagli anni Settanta, in una stagione di ancora forte ed autorevole governo locale, si inizieranno faticosamente a porre dei limiti a questi disastri ecologici (anche se ben poco all’attività estrattiva). È però il modello di urbanizzazione quello che pone, ancor di più nella seconda fase (1980–2008), i problemi più rilevanti nel rapporto con il suolo, inteso in tutto il suo spessore naturale e storico. Da un lato in Italia – e in particolare nelle sue urbanizzazioni diffuse – il superamento dei modelli classici di spazio aperto propri della città compatta non è supportato da alcun tentativo di progettazione del suolo che si dispone tra gli edifici, per valorizzarne la natura “intermediaria” e la potenziale flessibilità d’uso. Anzi, questo spazio tende più che altrove 183


66. I bordi del parco agricolo verso le nuove urbanizzazioni di Formigine/The edge between the agriculture park and the new residential units in Formigine.

a farsi spazio banale, ridotto, segmentato e specializzato. Ciò avviene sia nella stagione della crescita pulviscolare di case e fabbriche su antichi tracciati, sia in quella successiva dei nuovi quartieri e aree industriali. Anche le nuove attrezzature del welfare, vanto del buon governo locale, rimangono oggetti isolati, spazi introversi che non si rapportano a una griglia e un progetto di suolo capace di accoglierle e di organizzarne la presenza nello spazio urbanizzato. Dall’altro lato, la discontinuità con il mondo rurale e naturale è particolarmente violenta. La volontà di rottura con un passato di povertà e relazioni sociali oppressive, la diffusa cultura urbana (che permane anche nelle campagne) e, soprattutto, un rapporto culturale per taluni versi conflittuale con la natura (che ritroviamo diffusamente nel Sud Europa), porta l’urbanizzazione a volgere le spalle alla campagna e allo spazio naturale. In una parola, la diffusione degli insediamenti non è guidata da una popolazione urbana che cerca fuori dalla città elementi di ruralità e di natura, ma da una popolazione rurale diffusa che, densificandosi su alcuni assi e direttrici, si allontana economicamente, socialmente, culturalmente e 184


paesaggisticamente dalla campagna e dalla natura. Non può sorprendere allora che, a differenza di quanto accade nel Nord e nel Centro Europa, il vecchio edificio rurale sia abbandonato e spesso affiancato da una modesta casa unifamiliare; che i percorsi rurali dal potenziale valore ricreativo vengano distrutti (e l’idea di fruizione del verde si chiuda in banali giardinetti urbani); che, soprattutto, il nuovo urbanizzato – pur necessario – non solo non si arricchisca di un qualificato spazio vegetale, ma anche si affacci direttamente sui fiumi, tombini i canali, impermeabilizzi buona parte del lotto, frantumi enormemente lo spazio rurale e si mangi brani di campagna qualificata, persino distruggendo straordinarie orditure barocche. A tutto ciò si assomma poi la rivoluzione dell’agricoltura industriale che proprio in questi territori di pianura pedemontana segnati da mezzadria e piccola proprietà, da insediamento diffuso rurale e dalla policoltura ha gli impatti paesaggistici ed economici più dirompenti (qui assai più che nella bassa padana). La complessità ecologica e la qualità formale del paesaggio agrario nel distretto ceramico, come in altri distretti italiani, scompare (fig. 66): l’omologazione monoculturale, con i suoi deserti agricoli solo qua e là interrotti dal vigneto specializzato, si diffonde; i filari sul limite dei campi e dei canali vengono eliminati e, nei peggiori dei casi, lo sviluppo dell’allevamento suino intensivo edifica la campagna, rompendo ogni storico rapporto tra allevamento e agricoltura, tra foraggio e animali, tra coltivazioni e letame. Se, dunque, qualche cosa negli ultimi vent’anni è stato fatto per ripensare positivamente il rapporto tra economia, urbanizzazione distrettuale e qualità dell’aria e delle acque, quasi tutto è ancora da fare con riferimento al suolo, al suo spazio aperto, al suo disegno e alle sue coperture vegetali, alla sua rete idrica superficiale (fig. 67). In una parola, al suo paesaggio. Un suolo e un paesaggio che, in anni recenti, subiscono un colpo ulteriore: si riempiono di nuovi manufatti che rimangono invenduti e/o che si affiancano a sempre più numerosi edifici abbandonati, con un vero e proprio spreco di prezioso suolo permeabile e vegetale. Si passa, cioè, da un’urbanizzazione mal fatta a una nuova urbanizzazione in eccesso, sempre più segnata da edifici e suoli impermeabilizzati che si fanno scarti e rifiuti, dentro cicli di vita sempre più brevi. 185


Ragioni e difficoltà per un progetto di spazio aperto urbano, rurale e naturale Vi sono molte ragioni per sottolineare l’importanza e forse la centralità urbanistica di un ripensamento dello spazio aperto dell’urbanizzazione diramata del distretto e, in particolare, dello spazio aperto naturale e rurale che vi è intercluso e la cinge. L’attrattività del territorio per le imprese più evolute e per i consumatori che spesso vi si recano, le possibilità di diversificazione occupazionale, il livello del benessere dei suoi abitanti a parità di reddito, il riequilibrio ecologico del suo territorio dipendono essenzialmente da questo progetto. Le prestigiose architetture e la cura degli spazi interni di imprese vincenti, qualche nuova architettura firmata di promozione pubblica, nuove attrezzature urbane o infrastrutture, rotatorie riqualificate o qualche cava recuperata a maneggio o a riserva naturale danno un contributo importante, ma inevitabilmente marginale alla riqualificazione di questa urbanizzazione. Anzi, in qualche caso, nella loro separatezza, possono persino contribuire al suo degrado ambientale e paesaggistico. Queste opere possono, però, essere più facilmente realizzate dall’iniziativa di qualche imprenditore illuminato, o attraverso un finanziamento statale ottenuto per una singola opera settoriale. Il sempre più necessario progetto di suolo (in particolare di quello permeabile e vegetale) è viceversa difficile, per ragioni non tanto economiche, ma cognitive e organizzative. Esso richiede, innanzitutto, di mettere in relazione più imprenditori e questi con l’Amministrazione pubblica attraverso forme pattizie o consortili (ad esempio, nella promozione di un parco agricolo). Tale progetto richiede, inoltre, lo sviluppo di un’opera pubblica di rete di tipo non settoriale, ma multifunzionale e attentamente inserita nell’insediamento (come abbiamo visto per le ipotesi di treno-tram e di ciclabilità pedemontana, ma anche, come vedremo, nel recupero ecologico e fruitivo del sistema dei fiumi, dei canali o delle strade rurali e di collina). Questo in una stagione dove tutto, al contrario, ha spinto verso la progettazione di singole opere dal carattere settoriale e sovrapposte al territorio. Per quanto riguarda poi gli spazi aperti vegetali, ulteriori difficoltà nascono dal fatto che i saperi agrari, forestali, idraulici, urbanistici necessari per la loro riprogettazione e gestione si sono nel tempo sempre più separati, e che la nascita 186


67. Il Rio Fossa: filamento di naturalità nell’urbanizzazione lineare pedemontana/Fossa canal: natural ±lament within the linear foothill urbanisation.

di nuove necessarie imprese agricole multifunzionali che ripensino i non pochi brani di campagna rimasti richiederebbe una forte (e oggi inusuale) azione di indirizzo pubblico. Queste difficoltà cognitive e organizzative devono e possono tuttavia essere superate se la società locale e nazionale, le culture tecniche e politiche saranno consapevoli che nei prossimi anni dovremo operare muovendo sempre più spesso “da quel che c’è”. Utilizzando al meglio e “facendo presa” sull’esistente – gli edifici che già vi sono, ma anche le forme e gli assetti del suolo, le infrastrutture rurali, gli elementi residui di naturalità - ma soprattutto facendo i conti con possibilità di investimenti pubblici e privati contenuti. Il progetto di paesaggio degli spazi aperti verdi trova infatti la sua forza nel suo essere un progetto di riordino che riusa e ricicla l’esistente, talvolta modificandone il senso e l’uso: connettendo e ampliando zone boscate, filari e percorsi rurali in pianura; riqualificando tracciati minori e sentieri in collina; inserendo edifici preesistenti in un nuovo e più ampio quadro di relazioni (fig. 68). Il più delle volte l’intervento si appoggia sulla presenza 187


di imprese agrarie, ipotizzando una loro riorganizzazione, anche in senso multifunzionale, potenziando produzioni di prossimità e nuove coltivazioni. Solo in qualche campo a ridosso delle aree più urbanizzate, o lungo qualche percorso di fruizione collettiva si prevede una nuova destinazione pubblica a prato e bosco fruibile o a orti, che si accompagna al recupero di un edificio rurale o produttivo dismesso. Infine, solo eccezionalmente, il progetto propone, entro un più ampio ridisegno paesaggistico, la rinaturalizzazione o un uso alternativo (collettivo) di alcune superfici impermeabili (dismesse o da dismettere) e il recupero a fini naturalistici e/o idraulici di una cava. Quest’azione di modificazione e riforma paesaggistica richiede una mole di investimenti contenuta (ma, sia chiaro, non inesistente) rispetto a quella delle più usuali “grandi opere”, e ha principalmente tre obiettivi: riequilibrare ecologicamente il territorio, incrementare i livelli di benessere per chi lo abita, riattivare un dialogo tra passato e presente riciclando antichi materiali in paesaggi contemporanei. Non vanno tuttavia sottovalutate neppure due valenze economiche: l’incremento di attrattività del territorio può oggi giocare a favore delle imprese più dinamiche – nonché attrarne altre – e può promuovere nuove attività legate al settore agro-ecologico e del tempo libero (turismo di prossimità e di più lungo raggio). Ovviamente, queste attività non avranno mai la potenza economica delle più innovative medie imprese manifatturiere presenti sul territorio, ma possono comunque aiutare ad affrontare un problema occupazionale che non trova più totale risposta nella filiera della ceramica (e nel terziario generico). Una visione al futuro, una figura strutturante La figura 69 propone un disegno di insieme per un ripensamento del sistema degli spazi aperti verdi del distretto ceramico. Al suo centro (e come luogo centrale interconnesso a quello esteso della vecchia strada pedemontana di cui già si è detto) troviamo un grande parco low cost che si dispone tra una sponda e l’altra del fiume Secchia, tra le province di Reggio Emilia e di Modena, organizzandosi su un anello ciclabile di fruizione collettiva e su numerosi percorsi minori che lo connettono con il territorio urbanizzato. Il parco ha come spina centrale un lungofiume riconquistato e, nel tratto che va da Castellarano a Villalunga, ingloba il 188


68. L'itinerario panoramico a monte/Scenic route above the town.

Parco Ducale e la sua campagna disegnata. Riorganizza inoltre l’area delle feste di Villalunga, potenzia boschi esistenti e recupera cave abbandonate. A valle e a monte di questo grande parco low cost e lungo altri sei torrenticanali che innervano il territorio del distretto si riconoscono e potenziano alcuni filamenti di naturalità che uniscono collina, urbanizzazione pedemontana e campagna. Si tratta di filamenti di connessione ecologica, ma anche di luoghi per facili e quotidiani camminamenti all’area aperta che intercettano non solo alcune infrastrutture sportive e scolastiche e alcune possibili aree di sosta, ma anche tre differenti paesaggi ed ecologie: quello ampio ma visivamente chiuso delle “vallette”; quello più introverso e ricco di alterità e punti di accesso nell’urbanizzato; infine, quello aperto verso l’orizzonte della campagna. A monte, due percorsi. Il primo è una cornice stradale panoramica prevalentemente di crinale, che scende al piano a Maranello, sul fiume Secchia e a Scandiano, costruendo un anello con il sistema pedemontano; il tema Pagine seguenti/following pages 69. Riciclare gli spazi di naturalità, immagine di struttura/Recycling natural spaces, structural image.

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Scandiano

Casalgrande

Villalunga

Sassuolo

Palazzo Ducale park Secchia river

Salvarola

Castellarano quarries and landfills woods principal existing cycle paths agriculture park central large park natural filaments trekking path panoramic itinerary

69.

Montegibbio


Colombarone

Fossa canal

Formigine

Modena canal

Quattropassi

Fiorano M.

Maranello

Salse di Nirano


è qui dare nuovo senso a una collina di prossimità facilmente fruibile, indipendentemente dal possesso di una seconda casa. Il secondo percorso è un sentiero intercollinare di trekking periurbano che interseca alcune emergenze ambientali e paesistiche. Nella piana, in una campagna da rendere più fruibile e da riqualificare nelle sue componenti ecologico-paesistiche, troviamo tre parchi agricoli urbani, totalmente o parzialmente interclusi nell’urbanizzato. Questi parchi, da un lato attivano forme di agricivismo e valorizzano il loro essere attraversati e vissuti nel tempo libero dai cittadini, oltre che dagli agricoltori (in un caso raccogliendo il suggerimento dello stesso toponimo “Quattropassi”); dall’altro lato, essi sono luogo di sperimentazione e incubazione di più moderne imprese agricole che scommettono sulla multifunzionalità e/o sul consumo di prossimità. Al di fuori di questi perimetri, nella più ampia campagna, si segnalano tre ulteriori temi di lavoro: la definizione di alcuni iconemi paesistici capaci di guidare e orientare – non negli aspetti economici, ma nell’ordinamento spaziale e visivo – il possibile potenziamento o sviluppo di alcune colture (ad esempio, della canapa o delle biomasse); la questione del recupero di molti edifici rurali dismessi di straordinaria qualità e del restyling dei molti recenti infelici edifici che vi si sono affiancati; infine, il tema della rimozione di non poche porcilaie dismesse. Un “luogo centrale” lungo il fiume: un grande parco low cost tra sponda reggiana e modenese, tra collina e pianura Non si tratta di un progetto tradizionale di un parco pubblico, ma di un “progetto di paesaggio” che ingloba sia alcune aree pubbliche, più o meno disegnate e qualificate, sia alcune aree che rimangono agricole e le fasce fluviali con più forte naturalità (fig. 70). Il principale elemento di strutturazione del parco è la rete dei percorsi ciclo-pedonali: si tratta di un doppio anello sul fiume che si sviluppa in un primo tratto a sud del tracciato dell’antica via Claudia (in gran parte già realizzato) e in un secondo tratto tra le due strade pedemontane. Dai due anelli si diramano alcuni percorsi verso l’area feste di Villalunga, il parco storico di Palazzo Ducale e i quartieri di Sassuolo, il plesso scolastico di Sassuolo, l’abitato di Castellarano e la collina. L’accesso a questi percorsi 192


– oggi infelice – viene ripensato, mentre per alcuni tratti si ipotizza una loro possibile illuminazione in coerenza con un uso sempre più differenziato e temporalmente esteso da parte di differenti popolazioni e “comunità di pratiche”. L’emergenza più rilevante è ovviamente il parco e l’asse prospettico del Palazzo Ducale, che organizza lo spazio rurale a nord e che, attraverso una serie di percorsi, viene collegato all’anello ciclabile del fiume Secchia. Il progetto si muove in questo caso con la massima discrezione. Innanzitutto, ricostruisce la continuità del filare e del percorso storico verso il Belvedere settecentesco, oggi semi-abbandonato. In secondo luogo, estende il parco pubblico esistente: lo fa riordinando a prato fruibile alcune “strisce” di suolo attorno all’asse, anche rivedendo il disegno, oggi incoerente, di alcuni tratti di verde pubblico a ridosso dell’edificato ed eliminando qualche piccolo edificio. Una particolare attenzione viene rivolta agli spazi a ridosso del plesso scolastico, alla valorizzazione dei collegamenti verso l’anello fluviale e ai modi con cui assorbire, senza nessuna enfatizzazione (vegetale e percettiva), il taglio eccentrico causato dal tracciato della circonvallazione. Infine, si propongono procedure di incentivazione alla rilocalizzazione edilizia di alcuni manufatti e suoli produttivi che, nel lungo periodo, possano favorire l’inserimento all’interno del parco di ulteriori spazi, entrando in relazione anche con quelli del disegno originario del sistema del Palazzo Ducale, in prossimità del Belvedere. A questo spazio di più estesa fruizione pubblica, se ne affiancano altri tre tutti organizzati attraverso la definizione di una “griglia” che ordina percorsi e disegno della vegetazione. Il primo spazio nasce dal riordino dell’area feste e delle attrezzature sportive già esistenti e localizzate in parte su aree scavate in prossimità di Villalunga. Il progetto investe uno spazio intensamente utilizzato e vissuto, ma il cui disegno appare oggi irrisolto. In particolare, si rivede il sistema degli accessi e dei parcheggi e, grazie a ciò, si crea un sistema di grandi piani terrazzati a prato fruibili. Semplicità di disegno e basso costo di gestione si combinano tra loro. Il secondo spazio è, invece, un’area che viene più intensivamente trasformata in un nuovo parco pubblico urbano (fig. 71). Si tratta dell’area immediatamente a sud dell’antica via Claudia, sulla sponda modenese, dove la 193


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Villalunga festival area former quarries vegetable gardens parish church former mill Veggia urban park pedestrian/cycle bridge Sassuolo urban park Palazzo Ducale park

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municipal vegetable gardens Tressano urban park school and sports complex demolished buildings former industrial area reused for events Palazzo Ducale perspective axis piers on Secchia canyon Castellarano urban park parking lots

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70. Il grande parco centrale low cost lungo il fiume Secchia/The central low cost park along the Secchia river.

presenza di alcuni estesi depositi a cielo aperto e volumi legati ad attività di autotrasporto impedisce un rapporto tra la città di Sassuolo e il Secchia. Anche per ragioni trasportistiche si propone di rilocalizzare queste attività all’interno di aree dismesse meglio collocate da un punto di vista della viabilità. A valle di tale trasferimento si ipotizza ora la rinaturalizzazione di alcuni spazi liberati, ora il loro riuso come superfici asfaltate – o sedi per edifici – a servizio di un nuovo parco pubblico. La griglia ordina con semplicità percorsi e vegetazione, e consente un’attuazione graduale del progetto. A ridosso del fiume la naturalezza dell’istmo sabbioso e ghiaioso 194


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si rapporta con un elemento di progetto più disegnato: una gradinata che accompagna i fruitori a bordo del fiume. Un terzo spazio fruibile, sempre organizzato attraverso una griglia – seppur di minori dimensioni – riguarda alcuni spazi aperti attorno a Tressano, a ovest della trafficata Strada provinciale 486R. Si tratta di spazi residuali ma già collegati all’anello fluviale da un sottopasso. La terza componente del parco è lo spazio più a ridosso del fiume. Qui – con l’eccezione di della gradinata di cui si è detto – il progetto ritorna a lavorare “in punta di piedi”. 195


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building reused as collective space new semi-covered plaza 6 farmer’s market area vegetable gardens riverside reforestation works pedestrian/cycle bridge existing cycle path new cycle path pedestrian path parking lots Secchia river festival area/parking lots

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71. Area di stoccaggio rinaturalizzata e trasformata in parco pubblico/The new public urban park on a reclaimed storage area.

Nella parte meridionale, esso riguarda alcuni interventi di ripristino vegetazionale e la realizzazione di alcuni pontili che, disposti a spina, consentano di osservare il paesaggio delle gole. Castellarano ritrova così un affaccio al fiume in un punto di notevole valore paesistico. A nord prevale l’azione di cura e di riqualificazione delle aree boscate a ridosso del fiume e la creazione di alcuni prati a libero accesso che si adattano al disegno del suolo esistente: sia in corrispondenza dei ruderi di alcuni manufatti dismessi e recuperati come landmark, sia nello spazio aperto non più agricolo a ridosso delle residenze. 196


I filamenti di natura lungo i percorsi d’acqua: infrastrutture ecologiche, turistiche e di welfare Lo schema strutturale individua diversi filamenti di naturalità legati al percorso delle acque. Essi hanno il pregio di collegare l’ecosistema della collina e quello della pianura e di mantenere alcuni spazi aperti all’interno di un’urbanizzazione che, nel corso del tempo, ha teso a saturare la direttrice pedemontana. Nelle diramazioni a sud e a nord del large park prima descritto, il fiume Secchia può diventare un grande itinerario ciclopedonale che, staccandosi dal percorso sul fiume Po, lambisce Modena, attraversa la “città distretto” e penetra nel territorio collinare. Questo itinerario collega alcune emergenze naturalistiche, paesistiche e architettoniche ma, nel suo farsi, può e deve anche intrecciarsi con un progetto più generale di sistemazioni ecologiche e paesistiche delle numerose cave che lo affiancano. Tale recupero può essere anche l’occasione per un intervento di regolazione idraulica del fiume, replicando in forme diverse la felice esperienza delle casse di espansione/riserva naturale realizzata nei pressi di Rubiera e Marzaglia. Un secondo asse esplorato è il canale Fossa che nasce nei primi rilievi collinari all’interno del distretto, lambisce la riserva naturale delle Salse di Nirano, interseca l’urbanizzazione pedemontana tra Fiorano Modenese e Maranello e l’ipotizzato parco agricolo di Quattropassi e, segnando il confine comunale tra l’urbanizzato industriale di Sassuolo e le campagne di Formigine, si sviluppa fino al Secchia, sfociandovi poco a sud dell’Oasi del Colombarone (fig. 72). Esso mette in connessione, dunque, differenti ecosistemi, presentandosi come un importante corridoio ecologico che può essere rafforzato con interventi vegetazionali e passaggi protetti per la fauna. Al tempo stesso, con un intervento estremamente leggero, può diventare uno straordinario percorso ciclopedonale che mette in relazione ambienti assai differenti. Uscendo dal nucleo urbano di Fiorano Modenese in direzione sud, in corrispondenza del centro sportivo e della scuola materna, il percorso si dirige dapprima in un’ampia piana, dove tra i campi agricoli configura un anello (fig. 73). Successivamente, penetra nelle due “vallette” a fianco dei torrenti, riutilizzando in modo promiscuo la strada a fondo 197


chiuso, nel primo caso; creando, nel secondo, un nuovo percorso protetto di mobilità lenta che dà accesso all’area delle Salse di Nirano e a un fabbricato produttivo riutilizzato a fini sportivi. Entrambi i percorsi – in leggera salita – terminano dove l’arco collinare chiude la “valletta” e crea una notevole scena paesistica. In tali percorsi, alcune piantate offrono dei punti d’ombra, ma non assumono mai un carattere continuo e occlusivo della vista delle colline. Nel tratto più urbanizzato, a fianco del percorso ciclabile, il progetto rafforza la componente vegetazionale. Non solo per potenziare le valenze ecologiche del corridoio, ma anche per consentire una diversa esperienza di paesaggio: in questo caso, non si tratta di un’apertura alla vista delle colline, bensì di un isolamento nel verde all’interno di una zona residenziale e produttiva assai densa. Qui si promuovono il riordino del suolo vegetale e la riorganizzazione dei parcheggi attorno ad alcuni spazi sportivi esistenti (campi di calcio, piscine, bocciofila, spazio dedicato al gioco della ruzzola). Più a nord, il camminamento corre dapprima a fianco del rio canalizzato dentro il parco agricolo della zona Quattropassi, quindi attraversa alcuni spazi rurali, diventa occasione per riqualificare la piccola frazione di Magreta e sfocia, infine, a ridosso dell’Oasi: un luogo di qualità da rimettere al centro di esperienze di vita e di pratiche a cielo aperto. Un terzo filamento esplorato in sede progettuale è quello del canale di Modena in un tratto urbano di prima industrializzazione, dove ha sede anche la storica fabbrica Marazzi (fig. 74). Questo intervento ha più limitato ruolo ecologico (non è un corridoio collina-pianura, essendo intubato a Sassuolo), ma ha una valenza urbanistica che era già stata colta dalla Variante al Piano Regolatore Generale di Sassuolo redatta dall’arch. Lugli nel 1984. L’ipotesi d’intervento, oltre ad inspessire la vegetazione attorno al canale e realizzare un percorso ciclopedonale, crea un sistema di “campi lunghi” accessibili da tre fragili quartieri residenziali inglobati nel continuo dei tessuti produttivi. Il progetto organizza qui un sistema di attrezzature sportive – solo in parte esistenti –, di orti, di boschi e di prati, Pagina a ±anco/opposite page 72. Il Rio Fossa: filamento di natura nelle “vallette” collinari e nell'urbanizzato/Fossa canal: natural ±lament through hilly valleys and urbanisation.

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'ruzzola' court 'bocce' court sports complex school parking lots private house vegetable gardens library parish church Spezzano Castle picnic area industrial building reused as indoor sports complex 13 Salse di Nirano natural reserve

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existing sports complex pedestrian/cycle path along Fossa canal uphill pedestrian/cycle path existing outdoor swimming pool lawns for free activities riverside reforestation works junior high school 2

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73. Inserimento dell'area sportiva esistente nel filamento del Rio Fossa/The he inclusion of existing sports complex within the Fossa canal ±lament.

facilmente accessibili dai quartieri, ma anche dalle non poche strutture di ristorazione e di attività ricreative che si sono localizzate in aree un tempo produttive, offrendo loro uno spazio aperto fruibile. Più a nord, oltre alla creazione di un percorso principale che si muove a ridosso del canale, si prevedono tre connessioni perpendicolari: un percorso sul limitare dei campi, tra strutture ricettive di diverso tipo (un ex dopolavoro divenuto club e un McDonald’s); un percorso verso un piccolo nucleo residenziale in direzione est; un percorso lungo l’asse del giardino della Palazzina di caccia settecentesca – oggi sede di Confindustria Cera200


mica – aperto alla fruizione collettiva nelle ore diurne. Vero punto notevole dell’intero progetto è il recupero dello straordinario complesso rurale delle Casiglie con la stalla monumentale, di cui si propone un recupero a fini collettivi. Infine, nella parte settentrionale, si promuovono tre azioni: il ripristino e potenziamento della fascia boscata lungo il canale; l’eliminazione di due depositi a cielo aperto che hanno invaso il filamento; il recupero di due capannoni abbandonati. All’interno dell’area produttiva il recupero del canale consentirebbe di localizzare alcune rumorose attività ricreative (discoteca, spazio per concerti); a ridosso del quartiere residenziale intercluso nella zona industriale, invece, spazi sportivi e di ritrovo. Un itinerario panoramico a monte: un riuso discreto di luoghi singolari, tra esperienze percettive e pratiche del tempo libero Nel territorio collinare, da sempre pensato dai cittadini come luogo della buona cucina e del tempo libero, la visione strutturale segnala due percorsi che ne favoriscono la fruizione. Il primo è un sentiero di trekking, segnato a est da un’altimetria nervosa e in molti punti tale da consentire di sentirsi isolati nel bosco, ad ovest più dolce e aperto alla vista del paesaggio della pianura. Un trekking che, laddove possibile, riutilizza qualche sentiero esistente e valorizza alcuni storici belvedere, e che è pensato sia per i residenti della città pedemontana, sia in relazione a una più ampia valenza turistica (collega, tra l’altro, due recapiti importanti nel territorio distrettuale: le Terme della Salvarola e le Salse di Nirano). Il secondo percorso va da Scandiano a Fiorano Modenese-Maranello, scendendo e attraversando il fiume Secchia in prossimità di Castellarano. Esso disegna un grande arco, una “cornice panoramica” del distretto, fruibile in bicicletta o - a velocità contenuta - in automobile; da sportivi così come da famiglie “in gita fuori porta”. Il progetto insiste su strade esistenti e agisce su alcuni (pochi) elementi ricorrenti: la sottolineatura di alcuni bivi e punti d’interesse (ad esempio la diramazione verso un punto notevoPagina seguente/following page 74. Il filamento del canale di Modena tra industrie, aree agricole e quartieri residenziali/ Modena canal ±lament among industrial, rural and residential areas.

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1 heritage building 2 industrial building reused for social interaction 3 storage area to be removed 4 parking lots 5 historic rural building 6 Confindustria Ceramica 7 Ca’ Marta sports complex and restaurant 8 restaurant 9 private tree nursery 10 vegetable gardens 11 sports complex 12 school 13 parish church

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1 reused buildings 2 new facilities 3 multi-purpose space on a demolished area 4 law/parking lots 5 covered pedestrian path 6 panoramic point 7 street graphics

75. Recupero di un’area dismessa come zona di sosta lungo l’itinerario panoramico collinare/Along the scenic route, a former industrial site is recycled as a rest area.

le come Montegibbio) mediante una segnaletica grafica realizzata al suolo; la creazione di alcuni slarghi e punti panoramici nonché di alcune zone di sosta per le auto, in cui si predispongono minimali sistemazioni del suolo e della vegetazione; la eventuale schermatura di alcuni manufatti là dove costituiscono presenze incongrue nel paesaggio. A ciò si associa, infine, l’azione di recupero di alcuni edifici dismessi o dei loro suoli (ad esempio in alcune cave). Anche in questo caso un progetto low cost di riuso e riciclo, che lavora principalmente sottolineando in modo discreto elementi esistenti e che solo raramente ne aggiunge di nuovi (fig. 75). 203


Un parco agricolo nella piana: una nuova complessità ecologica e paesistica aperta all’uso collettivo ed economicamente sostenibile Dei tre possibili “parchi agricoli” esploriamo in particolare l’area di Quattropassi, compresa tra gli abitati di Formigine, Fiorano Modenese e Maranello. Le figure 76 e 77 evidenziano alcune possibili azioni di organizzazione di uno spazio che rimane principalmente collegato alle imprese agricole locali. In primo luogo, la creazione di un anello ciclabile principale a cui si affianca un sistema di boschi, prati fruibili e parcheggi in adiacenza al tessuto residenziale. In secondo luogo, l’eliminazione di alcuni attraversamenti stradali e la sistemazione dei viali di accesso alle imprese, sottolineati ai lati con una vegetazione ad alto fusto. In terzo luogo, la definizione di un sistema di “quadre” di strade rurali, utilizzate per la mobilità ibrida di mezzi agricoli e camminatori urbani, a cui si affianca una piantumazione. Allo storico sistema della “piantata”, oggi scomparso, si sostituisce così un sistema di alberature a maglie larghe che, seppur in forme diverse, ricrea complessità ecologica e qualità paesistica. Infine, il progetto fornisce alcuni suggerimenti per le imprese agricole: la coltivazione della canapa a ridosso del tracciato della Strada provinciale 467; il riordino degli spazi produttivi e commerciali di alcune imprese; il riuso come fattoria didattica di una cascina abbandonata. Come in altre esplorazioni progettuali, s’ipotizza qui anche qualche prima mossa di innesco del processo: hanno carattere prioritario la creazione del percorso ciclabile a fianco del canale Fossa, la realizzazione di alcuni collegamenti ai quartieri residenziali limitrofi al parco agricolo e, infine, la definizione paesaggistica dei viali di accesso alle cascine. L’assetto colturale ed eventualmente multifunzionale delle imprese non può ovviamente che legarsi a una qualche forma pattizia di “progetto di paesaggio” che metta a confronto le valutazione economiche degli imprenditori e la possibilità di accedere a diversi canali di finanziamento, vedendosi riconosciuti gli eventuali servizi eco-sistemici.

Pagina a ±anco/opposite page 76. L'esteso parco agricolo tra i comuni di Fiorano M., Maranello e Formigine/The large agriculture park among the Municipalities of Fiorano M., Maranello and Formigine.

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reused pig shed reused farmhouse Fossa Canal hemp fields along the Pedemontana highway industrial building reused as sports complex storage area to be removed parking lots

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industrial building reused as indoor sports complex outdoor sports complex on demolished areas parking lots ring cycle path entrance boulevards cultivated fields implemented rows of trees vineyards

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77. Ai bordi del parco agricolo: una strada alberata conduce alle case rurali e un’area logistica incongrua si trasforma in zona sportiva/On the edges of the agriculture park: a tree-lined road leads to farmhouses, while a bad located storage site is trasformed into a sports complex.

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A SOIL AND A NATURE TO BE REDISCOVERED AND REFORMED A great fracture line behind us, among the exploitation of natural resources and poor open space design The foundation stones of the bulk of Italy’s capillary urbanisation linked to the development of industrial district economies is a territory marked by the presence of medium and small scale towns and an intricately worked and inhabited countryside. Consequently, open spaces have two fundamental, clear statutes. They are collective spaces – precise in form and vague in use – encompassed by town and village façades, and productive spaces – intricately worked and densely inhabited – in the countryside. Alongside and overlapping these open spaces is a more recent formation linked to a number of urban villa gardens and certain large perspective axes furrowing the urbanised space and projecting into the rural space. Natural spaces are thus extremely limited, almost entirely absent: they are certainly not there in the hunting ‘roccoli’, not there in the productive hill and mountain forests and not there either in the river land areas. All this is true of the Emilia ceramics district too. It is true of the squares and streets of its historic centres with their façade systems building community life in a blend of unanimity and irregularity in Sassuolo and Scandiano, in the first place, but not restricted to them. It is true of a countryside of plains and hills in which the land has been remodelled with the addition of an intricately worked irrigation system in which forested strips alternate with rows of trees on rural roads and canal systems, fruit and timber trees and vines. It is

also true, lastly, of the by no means few elements reorganising the urban and rural space dating to the Baroque era, best but not exclusively represented by Sassuolo Palazzo Ducale, its park and the surrounding countryside (fig. 65). The district’s development has an ambiguous relationship with the past, with its socio-economic and material-landscape legacy. The first phase of economic development (195080) harnessed the institutions and socio-cultural characteristics of that territory of small towns and inhabited countryside (the family business, the Municipality-community, the various association networks, the artisan professions) in a development which has been defined ‘fracture-less’ from a social point of view. The starting social capital was not simply a pre-requisite for development but also a formative element, at least initially. Quite different right from the start, however, was its relationship with fixed social capital: with infrastructures and natural resources. Certainly, development rested on it reusing that enormous historical heritage present in the area, reusing the historic centres with their collective infrastructure and spaces, reusing its rural roads (in the whole of the plains-foothills strip) and territory (along historic Via Claudia and the roads to Modena and Reggio Emilia), sometimes the very Baroque roads (north of the Palazzo Ducale). However, such development was anything but ‘fracture-less’ in physical capital terms, constituting a radical break with the past. In the first phase, its relationship with the natural resources was decidedly rapacious, pure exploitation: not just in the hills’ clay quarries – which normally were not even minimally restored as 207


to break with a past of poverty and oppressive social relations, capillary urban culture (which was a feature of the countryside too) and, above all, a cultural relationship with nature which was in some ways conflictual (commonly found in southern Europe) prompted urbanisation to turn its back on the countryside and natural spaces. In a word, the dissemination of settlements was not prompted by an urban population, which sought elements of rural life and nature outside the towns, but by a capillary rural population which aggregated around certain axes and roads and moved away economically, socially, culturally and in landscape terms from both countryside and nature. There is thus nothing surprising about the fact that, in contrast to what happened in northern and central Europe, old rural buildings were abandoned and modest detached homes frequently built alongside them, rural areas of potential recreational value were destroyed, the however necessary new urban areas not only were not equipped with attractive green areas but was also built directly over rivers and ditches draining many of these, breaking up the rural space drastically and eating up top quality country areas. Even extraordinary Baroque structures were wiped out. A similar process occurred during the industrial agriculture revolution which had its most drastic economic and landscape impact precisely in this foothill plain area marked by sharecropping and small land ownership, by disseminated rural settlement and polyculture. The environmental complexity and formal quality of the ceramics district’s agricultural landscape, as in other Italian industrial

later occurred for the bulk of the ever more numerous gravel quarries on the Secchia river bed – but also with the frequent and uncontrolled mud and ceramics making waste deposits on the district’s land and with the polluting substances emitted into the water and the air. It was only from the 1970s onwards, in a period of still strong and authoritative local government, that these environmental disasters began to be restrained (although very few limitations were placed on mining activities). It was, however, the urbanisation model which posed the most significant problems in the relationship with the land in both natural and historical terms, and not only in the initial phase, but even more so in the second (19802008). On one hand in Italy – and in particular in its capillary urbanisation pattern – the end of the classic compact town open space models was not buttressed by any attempts at planning the land between buildings to enhance this ‘intermediate’ nature and its potential for flexible use. Quite the contrary, such spaces tended even more than elsewhere to become hackneyed, reduced, segmented and specialised. This occurred both in the phase involving the mushrooming of houses and factories on historic roads and the subsequent new districts and industrial area building phase. The new welfare infrastructure, the local government’s pride and joy, also remained isolated and inward-looking, buildings with no relationship to a land planning system capable of organising and making space for them in the urbanised area. On the other hand, the discontinuity with the rural and natural world was especially violent. The desire 208


districts, disappeared (fig. 66). Monocultural standardisation – with its agricultural deserts broken up only here and there by vineyards – took over. Rows of trees and canals along the edges of fields were eliminated and, in the worst cases, the development of intensive pig breeding populated the countryside breaking every historic link between breeding and agriculture, between forage and animals, crops and manure. Thus if something positive has been done over the last twenty years to rethink the nexus between industrial district economy, urbanisation and air and water quality, almost everything still remains to be done in relation to the land itself, its open spaces, patterns, flora and superficial water network (fig. 67). In a word, its landscape. A land and landscape that has been dealt a further blow in recent years. It has filled up with new objects, which either remain unsold and/or join the increasing number of abandoned buildings with a veritable waste of precious permeable land and flora. We have, that is, moved from an illmade urbanisation to a new excessive urbanisation once again scarred by buildings and newly impermeable land surfaces, which turn into waste and rubbish within ever briefer life cycles. Motives and difficulties behind an urban, rural and natural open space project There are many reasons to underline the importance of rethinking the open spaces of the ceramics district’s urbanisation and, in particular, the natural and rural open space, which is enclosed by it and encircles it. The attractions of the area for the more evolved businesses and the clients who frequently visit, the

potential for employment diversity, the living standards of its residents, the environmental re-balancing of its territory: all this depends essentially on this project. The prestigious architecture of its successful businesses, a few new buildings designed by public sponsorship, new urban spaces and infrastructure, redesigned roundabouts, a few reworked quarries made into stables or nature reserves all make an important contribution, but it is one which is marginal to the re-development of this urbanisation. In fact, in some cases, their very separateness even contributes further to overall environmental and landscape degradation. Such work can easily be generated by initiative of some enlightened entrepreneur or via state funding obtained for a single sectorial work. A comprehensive ‘ground design’ – always more necessary, in particular for permeable land and flora – is, by contrast, more difficult to implement, for reasons that are less financial than cognitive and organisational. First and foremost it requires placing entrepreneurs in contact with one another and with the local government by means of agreements or consortia (for example in promoting an agriculture park). This project also requires the development of a integrated public work network – non-sectorial but multi-purpose and carefully inserted into the urban area – in a period in which everything is pushing in the opposite direction: towards hyper-sectorial single projects overlapping the territory. Lastly, as far as the open rural land spaces are concerned, further difficulties arise from the fact that the requisite agricultural, forestry, hydraulic and town planning expertise has 209


natural state or alternative collective use of certain impermeable surfaces (abandoned or soon to be so) and recovery of quarries for natural and/or hydraulic purposes. This landscape modification and reform requires only limited investment and has three principal objectives: finding a new equilibrium for the territory, increasing well-being levels for those residing in it and reactivating a dialogue between past and present by recycling historic materials in contemporary landscapes. Two economic values should not be underestimated either however: an increase in the attractions of the territory can now work in favour of the more dynamic businesses located there, as well as attracting others and promoting new activities linked to the agricultural-environmental sector and leisure time. Obviously these activities will never have the economic power of the more innovative medium-sized manufacturing industries present in the area, but they can in any case help to tackle an employment demand which can no longer be fully satisfied by the ceramics chain (or the generic tertiary sector).

increasingly fragmented over the years, and the creation of the new agricultural multi-purpose businesses necessary for the rethinking of countryside rural space would require powerful (and rare today) public promotion action. These cognitive and organisational difficulties must and can be overcome, however, if local and national society, as well as technical and political cultures, will be aware that in the next few years we will have to work increasingly relying more often on ‘what we have’. Using what is already there to the best of our abilities – the buildings but also forms and land layout, rural infrastructure, residual natural elements – but above all facing up to the potentially limited scale of public and private investment. The strength of the green spaces landscape project lies in the fact that it is a project which reuses and recycles what already exists to the maximum extent, sometimes modifying its meaning and purpose: connecting up and extending wooded areas, rows of trees and rural paths through the plains; redeveloping minor routes and hill paths; integrating pre-existing buildings into a new and broader relationship framework (fig. 68). In the following proposals, most often action rests on the presence of agricultural businesses, hypothesising re-organisation of these in the multipurpose sense too, strengthening neighbourhood production and new crops. It has only been in a few fields near urban areas or along a few collective use routes that a new kind of public purpose for useable forests and fields or vegetable gardens has been planned, accompanied by the recovery of abandoned rural or industrial buildings. Lastly, only exceptionally have projects proposed a return to a

A vision of the future, a structuring figure Fig. 69 proposes an overall plan for a rethinking of the ceramics district’s open green spaces system. At its heart is a large low-cost park encompassing both banks of the Secchia river, between Reggio Emilia and Modena, organised on the basis of a circular cycle track for community use and a great many minor branches connecting it with the urbanised territory. The backbone of the park overlooks the re-appropriated river and, in the section between Castellarano and 210


as farmers (in one case taking up the suggestions of the very toponym Quattropassi). On the other, they are places for experimentation and incubation of the more modern agricultural businesses, which have invested in diversification and/or neighbourhood consumption. Outside these perimeters, in the wider countryside, three further working themes are worthy of note: defining a number of landscape iconyms capable of guiding and orientating – not in financial terms but in spatial and visual order – the potential strengthening or development of certain crops (such as hemp or biomass); the issue of recovering the many top quality abandoned rural buildings and the restyling of many recent unattractive buildings put up alongside them; lastly, the removal of many abandoned pig sheds.

Villalunga, encompasses the Palazzo Ducale and its landscape garden. It also reorganises the Villalunga festival area, strengthens the existing forest and recovers abandoned quarries. Above and below this large low-cost park and along a further six streamscanals which are the district’s nerve centres a number of natural landscape threads can be recognised and strengthened linking up hills, foothill urbanised areas and countryside. These are environmental threads but also places for easy daily open air exercise linking up not only certain sport and school buildings and a number of potential rest areas, but also three different landscapes and eco-systems: the broad ‘vallette’ (small valleys) area; the more introverted zone with frequent access points in the urban areas; lastly the open area with views towards the countryside. Above it there are two routes. The first is a panoramic road framework mainly on the ridges which descends to the plains at Maranello, on the Secchia river, and in Scandiano making up a circuit with the foothills system. This new road gives new meaning to a user-friendly neighbourhood hill system even for those without second homes. The second is a hillto-hill suburban countryside trekking footpath, which passes through a number of environmental and landscape emergencies. In the plains, in a countryside to be made more user-friendly and whose eco-systemlandscape elements need renewing, we find three urban agricultural parks which are totally or partially enclosed by urbanised areas. On one hand these parks activate environmentally responsible behaviours and promote transit and use by citizens as well

A ‘central place’ along the river: a large low-cost park encompassing Reggio Emilia and Modena provinces, hills and plains It is not a traditional public park project, but a ‘landscape project’ that encompasses both certain public areas (planned and redeveloped to varying extents), a number of areas which remain agricultural, and the river side areas closer to the natural state (fig. 70). The main structuring element of the large park is its network of cyclepedestrian tracks: it involves a double river circuit whose first section is south of the route of the historic foothills road (most of which has already been built) and a second section between the two foothills roads. Various routes branch off from the two circuits towards the Villalunga festival area, the Palazzo Ducale historic park and the Sassuolo 211


Villalunga. The project would affect an intensely used and lived in space, which was casually and often unattractively planned. In particular, the access and car parking system has been reworked and this would lead to a system of large terraced useable lawns, where design simplicity and low management costs combine. The second space, on the other hand, is an area that is to be more intensively transformed into a new urban park (fig. 71). It is the area immediately to the south of historic Via Claudia on the Modena bank of the river, where the presence of several large open-air deposits and volumes linked to vehicle transport impede links between the town of Sassuolo and the Secchia river. For transport-related reasons too, it is suggested that these could be transferred to abandoned areas better placed from a road access perspective. It is also proposed that some of these freed up areas could be restored to their natural state, while others could be re-used as tarmacked areas or building locations to serve the new public park. The grid orders routes and vegetation in a straightforward way and allows the project to be implemented in stages. Along the riverbanks, the wild sandy and gravelly isthmus area would link in with a flight of steps to take users along the river. A third useable space, once again organised on a grid, though a smaller sized one, relates to certain open spaces around Tressano, west of the busy foothills road SP486R. These are residual spaces linked to the river circuit by an underpass. The third component of the large park is the space closest to the river. Here – with the exception of the flight of steps mentioned above – the project will once

districts, a complex of school buildings in Sassuolo, Castellarano and the hills. Often the access to these routes – currently difficult – requires rethinking, while certain sections could potentially be lit in accordance with an increasingly differentiated and extended time bracket use by different groups of the population and ‘practice communities’. The most urgent emergency is obviously the park and the Palazzo Ducale’s perspective axis, which organises the rural space to the north and, via a series of routes, links it with the Secchia river cycling circuit. In this case the project foresees the utmost discretion. First and foremost, it restores the continuity of the rows of trees and the historic route towards the eighteenth century Belvedere, now semi-abandoned. Secondly, it extends the existing public park by reorganising a number of ‘strips’ of land around the axis into useable meadows. Special attention is paid to spaces near school building complexes, enhancing river circuit links and ways in which to integrate, without highlighting (in either vegetation or perceptional terms) the eccentric cut of the land caused by the bypass. Lastly, incentive provision measures to encourage the relocation of a number of buildings along the perspective axis have been proposed, with the additional long-term objective of favouring the integration of the spaces around the Belvedere into the original plan. This extended public use space would be accompanied by a further three, all organised by means of a ‘grid’ to plan routes through them and overall designs for the vegetation. The first space is generated by the reorganisation of the area for festivals and pre-existing sports facilities located partly on quarried areas, near 212


A second axis explored is the Fossa canal. Its starting point is the ceramics district’s first hills, from where it flows through the Salse di Nirano nature reserve, intersects the foothills urban development between Fiorano M. and Maranello and the planned Quattropassi agriculture park, and – marking the town border between the industrial urban area of Sassuolo and the Formigine countryside – continues as far as the Secchia river, flowing into it to the south of Oasi del Colombarone (fig. 72). It thus connects up different eco-systems, taking the form of an important environmental corridor, which could be enhanced with vegetation work and protected passageways for fauna. At the same time, treading very lightly, it could become an extraordinary cyclepedestrian route linking up very different environments (fig. 73). Leaving the town of Fiorano M. in a southerly direction, in proximity to the sports centre and the nursery school, the route first passes through a wide plain where the agricultural fields make up a ring. It subsequently penetrates the two vallette (small valleys) along the stream, re-using the dead-end road in various ways in the first case and, in the second case, creating a new protected slow-mobility route which gives access to the Salse di Nirano area and a former manufacturing building re-used for sports purposes. Both routes climb gently, terminating in the area in which the hill arc closes off the valley, creating an attractive landscape scene. Along the route a number of plantations offer shade, but never blocking the view of the hills. In the most urbanised section, alongside the cycle track, the project would enhance the vegetation

more tread lightly on the terrain. In the southern part, it will involve rewilding action and the building of a number of platforms in a herringbone layout to enable the public to observe the landscape of the gorge. Castellarano would thus gain a riverside area in a point of notable landscape interest. Northwards, it is a question of maintaining and redeveloping the forested areas along the river and creating free access meadows which adapt to the existing land layout, both in proximity to the ruins of a number of abandoned buildings recycled as landmarks, and in no longer agricultural areas near residential buildings. Natural filaments along watercourses: environmental, tourist and welfare infrastructure The structural layout identifies diverse natural filaments linked to watercourses. These have the virtue of linking the existing hill eco-system to the plains and maintaining certain open spaces within an urbanisation which has tended to saturate the foothills route over the years. In the southern and northern branches of the large park, the Secchia river has the potential to be made into a large scale cycle-pedestrian track, which branches off from the Po river, flows through Modena, cuts through the ceramics district and penetrates the hill area. This itinerary links certain natural, landscape and architectural emergency areas, but in so doing it can and must link up with the more general project of environmental and landscape renewal of the many quarries alongside it, and could be an occasion for hydraulic action at the river. 213


from these districts, but also from the many restaurant and recreational buildings located in areas which were once working spaces, offering them a useable open space. Further to the north, beyond creating a main route, which follows the canal, three perpendicular links are also planned. The first is a route along the edge of the fields in the midst of accommodation of various sorts; the second is a route towards a small residential nucleus eastwards; the third is a route along the axis of the eighteenth century Palazzina gardens – now Confindustria Ceramica – open for community use in daylight hours. The heart of the project as a whole is the renovation of the extraordinary Casiglie rural building complex with its monumental cattle shed, which is planned for community use. Lastly, in the northernmost part, three further actions are planned: recovering and enhancing the wooded strip along the canal; eliminating two open air deposits which have invaded the area; recovering two abandoned warehouses. Within the manufacturing area, the recovery of the canal would provide an opportunity to locate certain noisy recreational activities (night clubs, concert spaces), while sports facilities and meeting places could be located near the residential district encompassed by the industrial zone.

component. It is not only in order to enhance the environmental value of the corridor, but also to provide an alternative landscape experience. In this case it is not a matter of opening up the view of the hills, but of isolating it in a green area within a very dense residential and industrial area. Here, the area’s vegetation would be reorganised as would the car parks alongside the existing sports facilities (football fields, swimming pools, boules grounds and spaces for the Ruzzola game). Further south, the route runs firstly along the stream channelled within the Quattropassi zone’s agriculture park, and then through a number of rural areas becoming an occasion to redevelop the small village of Magreta, before emerging near the Oasi, a quality location to be placed centre stage once again in open air life experiences and habits. A third filament explored during planning was Modena canal in an urban segment of industrialisation history and the site of the historic Marazzi factory (fig. 74). This work has more limited environmental value (it is not a hills-plains corridor as it is linked to Sassuolo) but it has a certain urban value which had already been taken up by the amendments to the Sassuolo General Town Plan drawn up by architect Lugli in 1984. The proposed action, in addition to creating a denser layer of vegetation around the canal and establishing a cycle-pedestrian route, has also created a ‘long fields’ system accessible from three vulnerable residential districts swallowed up by the manufacturing industry continuum. The project organises a system of sports facilities – some of which already exist –, vegetable gardens, forests and meadows which are easy accessible

A panoramic itinerary above the town: a discreet use of some singular places for perceptive and practical free time experiences In the hilly areas, always regarded locally as a place for good food and leisure time, the structural vision envisages two routes, which would facilitate use of the lower hills. The first is a trekking path: to the 214


Formigine, Fiorano M. and Maranello town areas. Figures 76 and 77 highlight certain potential organisational actions aimed at organising a space, which remains mainly linked to local agricultural businesses. In the first place, a main cycling circuit flanked by a system of forests, useable meadows and car parks in proximity to the residential fabric. Secondly, eliminating certain road transit points and re-organising business access roads emphasised at the sides with tall trees. Thirdly, defining a system of rural road squares to be used for hybrid agricultural vehicles and urban walkers flanked by tree plantations The now no longer extant historic planting system is to be replaced by a system of widely branching trees, which will create environmental complexity and landscape quality in the area in various ways. Lastly, the project will supply a number of suggestions to agricultural businesses: growing hemp alongside provincial road 467; reorganising the manufacturing and retail spaces of some businesses; reusing an abandoned farmhouse as a children’s farm. As in other planning explorations, here too a few initial stages are envisaged: firstly creating a cycle track along the Fossa canal (already there, moreover, in the ‘natural filament’ project); creating link routes to residential districts bordering the agriculture park; lastly, landscape definition of the farmhouse access routes. The crop framework and any diversification can obviously only be linked to some form of ‘landscape planning’ agreement, putting business assessments face to face with the potential for accessing funding and getting the eventual eco-system services recognised.

east, with sharp altitude differences enabling hikers to get away from it all in remote forests; to the west, gentler slopes provide open views of the plains landscape. It is a trekking path for those living in this foothills town – but which also has a wider tourist value (, as it also links the Salvarola spa baths and Salse di Nirano – where it’s possible to reuse certain existing footpaths and promoting the use of a number of historic viewpoints. The second route links Scandiano to Fiorano M. and Maranello, descending to and crossing the Secchia river near Castellarano. It forms a panoramic framework for the ceramics district, a bicycle route which is also accessible at low speeds by car, by both sports people and families wanting a day out in the country. The project plans to use existing roads and acts on only a few recurring elements: certain crossroads and points of interest needing graphic on site signing (for example the branch leading to important points like Montegibbio); a number of open areas and panoramic points as well as car parking areas requiring recurrent and essential re-organisation of land and vegetation; certain buildings that need screening. All this is to be associated, lastly, with the recovery of certain abandoned buildings and land (such as certain quarries). In this case too the project is low-cost, recycling and reusing to highlight certain elements and rarely adding others (fig. 75). An agriculture park for the plain: a new environmental and landscape complex open to community use and financially sustainable Of the three potential ‘agriculture parks’ we will explore in particular the Quattropassi area between the 215


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RETI BLU E INFRASTRUTTURE AMBIENTALI Claudia Parenti

Acque piovane come opportunità di progetto La gestione delle acque e in particolare di quelle piovane sta diventando un tema di riflessione per molte città europee e non solo. A causa dell’aumento delle superfici impermeabili, come conseguenza dell’urbanizzazione in continua crescita, della realizzazione di opere idrauliche sbagliate o improprie, e delle precipitazioni sempre più intense e violente dovute ai cambiamenti climatici che negli ultimi decenni hanno provocato devastanti alluvioni (con conseguenti danni sia al sistema agricolo sia urbano) il tema della gestione delle acque, della sicurezza e riqualificazione fluviale è diventato prioritario per i nostri territori. Ingenti fondi sono messi a disposizione dallo Stato e dalle Regioni per la “messa in sicurezza” del territorio dalle esondazioni dei fiumi (fig. 79). Si continua a pensare che le grandi opere di difesa idraulica siano legittimate a sottrarre nuovo spazio ai nostri fiumi, già irrimediabilmente attaccati dall’urbanizzazione, attraverso interventi di contenimento degli argini, di sistemazione e cementificazione che non considerano i corsi d’acqua come organismi complessi, continuamente in mutamento, ma come dei sistemi statici da controllare. 217


Parallelamente esistono situazioni virtuose di riqualificazione fluviale, che attraverso progetti di rinaturalizzazione aspirano a restituire la qualità chimico-fisica, biologica e idromorfologica ai corsi d’acqua. In particolare queste azioni hanno come obiettivi la riduzione dell’artificializzazione dei sistemi fluviali, allargando le sezioni, preservandone la forma ed evitando la realizzazione di nuove opere, il recupero della capacità auto-depurativa del corso, con opere di ripiantumazione, attraverso la depurazione delle acque e la ricostruzione degli habitat danneggiati. Ma è possibile agire attraverso questi progetti di rinaturalizzazione fluviale anche in ambiti densamente urbanizzati? E in tali contesti, con particolare riferimento al tema della gestione delle acque piovane, non sarebbe opportuno allargare lo sguardo spostando l’attenzione dai corsi d’acqua principali al reticolo idrico minore, in un progetto che cerchi di integrare maggiormente le azioni di rinaturalizzazione e le azioni localizzate di riforma urbana? Posto che le città devono adeguarsi ai cambiamenti in corso, sarebbe auspicabile indirizzare l’attenzione verso progetti che uniscano la gestione delle acque piovane alla costruzione di un paesaggio urbano più naturale rispetto al passato, dove il progetto di “natura” sia in grado di dialogare in maniera creativa con gli elementi del presente. In linea con questo pensiero, diverse città dell’Europa settentrionale si stanno dotando di masterplan strategici per la gestione delle acque piovane in caso di precipitazioni regolari e alluvionali, al fine di capire come sviluppare progetti urbani che siano in grado di gestire i grandi flussi d’acqua e di re-immaginare gli spazi “comuni” per una nuova visione di città più naturale e vivibile. Questo nuovo approccio permetterebbe innanzitutto di aumentare la resilienza dei sistemi urbanizzati diminuendone la vulnerabilità e parallelamente attiverebbe politiche di recycling del territorio tramite progetti di riforma urbana integrati al disegno degli spazi pubblici verdi e alla costruzione di un paesaggio più naturale. Un cambio di prospettiva: dal bacino idrografico al reticolo idrico minore Il macro sistema di riferimento è dato dal bacino idrografico, vale a dire la porzione di territorio che concorre alla formazione dei deflussi d’acqua nella totalità, e che comprende i flussi d’acqua in superficie – corpi idrici quali torrenti, fiumi e risorgive – e nel sottosuolo. È composto dal corso 218


79. Il fiume Secchia in un periodo di forti piogge/Secchia river during a period of heavy rains.

d’acqua principale, quelli secondari e da tutto il reticolo idrico di superficie che vi confluisce (fig. 80), ma anche dal sistema dei suoli e dei sottosuoli che drenano le acque. Solitamente è un territorio esteso, di vari paesaggi ed ecosistemi in equilibrio tra loro, un sistema unitario in cui il corso d’acqua rappresenta un elemento inscindibile dal territorio che attraversa. Il bacino idrografico è caratterizzato da due variabili principali, quella ambientale – clima, vegetazione, morfologia, geologia – e quella antropica – uso del suolo, interventi di regimentazione dei flussi, attività estrattive – che determinano l’assetto del corso d’acqua. Data la complessità e l’ampiezza territoriale degli interventi che vi si eseguono, questi possono avere ricadute a distanza di chilometri: ad esempio i disboscamenti in montagna lungo il corso d’acqua, così come le variazioni nelle pratiche agricole e le sistemazioni idrauliche, producono modifiche dei deflussi fluviali generando una maggiore attività erosiva che, nei momenti di precipitazioni intense, possono comportare ripercussioni nel fondo valle e nei sistemi pagine seguenti/following pages 80. Il sistema idrografico del distretto ceramico/The hydrographic system of the ceramics district.

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urbanizzati. Viceversa è possibile agire sul reticolo idrografico principale prevedendo progetti di rinaturalizzazione che ripristinino il naturale andamento del letto fluviale: ad esempio attraverso l’arretramento o la rimozione di argini e difese non utili, l’abbassamento e la riconnessione di aree golenali rialzate, la riattivazione e l’ampliamento della piana inondabile, il ripristino della continuità longitudinale attraverso la rimozione di briglie o dighe o interventi di ricostruzione di habitat. Questo tipo di azioni risulta però difficilmente attuabile nei tessuti della “città diffusa” dove le abitazioni, le industrie e la maglia infrastrutturale hanno intercluso e modellato secondo le loro necessità fiumi e torrenti deviandone il corso e irrigidendo le sponde, limitando di fatto le possibilità di intervento. Il fiume Secchia che attraversa il distretto ceramico di Sassuolo è un caso esemplificativo di come le opere d’ingegneria idraulica e le attività produttive lungo gli argini abbiano, nel tempo, modificato l’alveo del fiume. Ne è un esempio la traversa di Castellarano che, immediatamente a valle, ha generato una forte attività erosiva disegnando il “canyon di Castellarano”, oggi meta di molti visitatori incuriositi dalla sua particolarità. Anche le numerose cave, disseminate lungo gli argini del Secchia, attraverso l’attività estrattiva e la rimozione dei detriti fluviali hanno lentamente abbassato il letto del fiume modificandone l’andamento (fig. 81). Come pure la realizzazione dello scalo delle acciaierie di Rubiera che ha provocato un significativo restringimento dell’alveo. Tutte queste opere di difesa idraulica e di sfruttamento dell’alveo possono innescare fenomeni d’instabilità morfologica con importanti riflessi sulle infrastrutture esistenti e sui sistemi urbanizzati – sui quali persistono peraltro rischi di esondazione – che non possono non essere considerati nelle pratiche urbanistiche. Nei territori più densamente urbanizzati, come nel caso di Sassuolo, uno scenario alternativo può essere rappresentato dal reticolo idrografico minore che – quando non interrato e “tombinato”– s’infiltra nei tessuti residenziali e produttivi costituendo una rete di spazi aperti discontinui e Pagina a ±anco/opposite page 81. Cave lungo il fiume Secchia tra Sassuolo e Villalunga/Quarries along the Secchia river between Sassuolo and Villalunga.

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frammentati, spesso inaccessibili con conseguenti difficoltà di gestione e manutenzione. A questo articolato sistema di spazi ed elementi è possibile associare un’ampia gamma di funzioni vitali per l’ecosistema urbano. In primo luogo esso riveste un ruolo importante dal punto di vista ambientale, riducendo i fattori di inquinamento e mitigando il clima. In secondo luogo assolve ad una funzione sociale e ricreativa, migliorando le condizioni di vivibilità dei luoghi e aumentando di conseguenza la percezione del benessere da parte degli abitanti. È possibile individuare delle ricadute anche dal punto di vista economico, sia in relazione alle funzioni direttamente connesse alle attività produttive, sia indirettamente, in quanto un territorio piacevole attira maggiori investitori e investimenti. Infine i piccoli corsi d’acqua superficiali, quali fiumi, canali e fossi, sono una risorsa necessaria al funzionamento e smaltimento del ciclo delle acque urbane in quanto costituiscono il percorso preferenziale che le acque meteoriche, inizialmente infiltrate nel sottosuolo, compiono per arrivare ai bacini di raccolta e successivamente al mare. L’insieme di tali funzioni può essere definito come il “capitale naturale” di un territorio, una sorta di “assicurazione” per gli impatti dei cambiamenti in atto, tra cui quello climatico, poiché i territori più dotati di servizi ecosistemici sono, in genere, più resilienti e meno vulnerabili a fronte di eventi naturali estremi, come piogge intense e ondate di calore. Se gli ecosistemi sono in buona salute, saranno, per esempio, in grado di assorbire inquinanti atmosferici, di auto-depurare le acque, di ricaricare le falde e regolare il ciclo idrogeologico, di fornire spazi ricreativi e possibilità di benessere psicologico. Per queste ragioni il reticolo idrico minore può diventare la struttura su cui ricostruire e valorizzare, anche nei tessuti più densamente urbanizzati, l’ossatura per un nuovo paesaggio urbano ecologico. Pur non configurandosi come un sistema di spazi naturali esistenti da preservare – come le aree naturali e le riserve – esso costituisce un sistema di spazi aperti frattali da riattivare e ripensare attraverso un progetto di paesaggio che gli restituisca dimensione fisica e valori socio-economici. Negli spazi aperti della “città diffusa”, apparentemente disabitati, si ritro224


82. Spazi aperti di naturalità che attraversano il sistema delle aree industriali/Green open spaces in the middle of industrial areas.

va una possibilità già in essere e un potenziale valorizzabile attraverso il progetto. Nel distretto ceramico questa possibilità è data dai filamenti di naturalità, un sistema di spazi aperti naturali, in parte esistenti e in parte da riattivare e implementare, principalmente collocati lungo i corsi d’acqua (fig. 82). Questo sistema di spazi collega l’ecosistema della collina e quello della piana agricola infiltrandosi nei tessuti urbanizzati pedecollinari, e in particolare nei tessuti produttivi dove il sistema acquista una dimensione più rilevante seppur meno evidente. Sono spazi nascosti, spesso inutilizzati e inutilizzabili, recintati, incolti e abbandonati; in passato opere d’impermeabilizzazione dei suoli, di copertura e tombinatura dei corsi d’acqua, o la realizzazione di manufatti e recinzioni in prossimità degli argini ne hanno ristretto lo spazio e dequalificato il ruolo. Sono oggi tasselli di verde e acqua sparsi in modo frammentario e discontinuo nei tessuti urbanizzati. Oggi questi filamenti sono l’occasione per ridisegnare un nuovo sistema di spazi aperti che integri la funzione fruitiva a quella naturalistica ed ecologica. 225


83. Templeuve (Francia) - Agence Canopée. Gli spazi di pertinenza stradale ridisegnati come luoghi di sosta e di raccolta delle acque meteoriche/Sideroad areas redesigned both as plazas and rainwater collection and out²ow areas.

Per un progetto d’infrastrutture blu-verdi A partire da questa reinterpretazione del reticolo idrico minore come parte di un sistema più articolato e complesso di spazi all’interno del tessuto urbanizzato, le città dovrebbero dotarsi di una “cassetta degli attrezzi” di progetti e interventi in grado di gestire i grandi eventi meteorici e la qualità delle acque e che siano al contempo capaci di creare la massima sinergia possibile con l’ambiente urbano. L’idea è di ripensare gli spazi della città, i parchi, le piazze e le strade attribuendo loro la duplice funzione di spazi “allagabili” di raccolta delle acque piovane, nei momenti critici, e di luoghi fruibili piacevoli, funzionali e vivaci, nei momenti di normale quotidianità. Questo nuovo approccio al progetto di spazio pubblico fornisce la base per un sistema dinamico e multifunzionale, crea una nuova generazione d’infrastrutture blu-verdi che rispondono pienamente ai servizi essenziaPagina a ±anco/opposite page 84. Copenhagen (Danimarca) - Ramboll Studio Dreiseitel. Progetto di trasformazione di una strada urbana in infrastruttura blu-verde/An urban road turns into blue-green infrastructure.

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85. Aalborn (Danimarca) - Polyform Architects. Spazi aperti e area gioco progettati con un sistema di pendenze per guidare le acque piovane in punti di raccolta/Slope-shape open spaces and playgrounds designed to guides rainwater to reservoirs.

li della città come la mobilità, la ricreazione, la salute e la biodiversità; al contempo offre un approccio strategico, attuabile, che garantisce la sostenibilità di un sistema urbano complesso. Le principali questioni da affrontare nei progetti di riqualificazione urbana che pongono al centro i temi della gestione delle acque sono molteplici. In primo luogo è necessario compiere un importante cambio di rotta nell’impermeabilizzazione dei suoli: la riduzione della superficie asfaltata deve essere uno degli obiettivi prioritari per il miglioramento della qualità dell’abitare, tramite progetti che tendano ad aumentare la superficie permeabile nei tessuti più densi. Questo può avvenire ad esempio attraverso la riqualificazione del sistema infrastrutturale, dei viali urbani, dello spazio delle strade e delle piazze che costituiscono un’importante quota della superficie impermeabile (fig. 83). Gli elementi della rete viaria non devono essere più visti soltanto come spazi tecnici destinati ai sottoservizi e alle auto, ma devono diventare luoghi piacevoli in cui la funzione tecnica e la funzione sociale possano coesistere combinandosi anche con il tema della gestione delle acque piovane. L’idea è quella di immaginare e 228


86. Nantes (Francia) - Atelier Bruel-Delmar. Progetto di rinaturalizzazione del corso d'acqua che attraversa l'area multifunzionale di Bottière Chênaie/Renaturalization project of the waterway crossing the mixed-use area of Bottière Chênaie.

realizzare progetti di strade e spazi aperti che possano essere allagati nei momenti di forti piogge (fig. 84). A tal fine è necessario pensare a spazi organizzati con quote altimetriche differenti, così che alcune aree possano essere allagate e altre permettano il passaggio dei pedoni anche durante i momenti di pioggia intensa. Ci saranno quindi livelli di depressione, e pertanto di raccolta delle acque piovane regolari, livelli intermedi allagabili nei momenti di forti piogge, e spazi definiti safety zones, cioè aree e percorsi che permettono la percorribilità anche nei momenti più critici. Nel distretto, l’occasione per realizzare spazi di questo tipo sono i progetti relativi al percorso ciclabile e pedonale lungo il tracciato dell’antica via Claudia, o la costruzione di una “strada vetrina” della ceramica evoluta lungo la Pedemontana Sp 467, o la costruzione di un tracciato ferrotramviario per il trasporto passeggeri tra Sassuolo e Maranello. In queste situazioni, gli spazi vuoti tra i tessuti, i piccoli lotti inedificati, i parcheggi, i giardini esistenti e le aree al margine della carreggiata stradale sono materiali urbani su cui è possibile immaginare progetti – di piazze, giardini, parcheggi e slarghi – che coniughino le necessità di raccolta delle 229


acque – quindi spazi verdi permeabili e allagabili nei momenti di pioggia – alla capacità di ospitare funzioni e usi differenti. In secondo luogo, sono necessarie opere di rallentamento delle acque meteoriche nel loro deflusso verso i corsi d’acqua. Ciò può essere attuato tramite un progetto consapevole di dislivelli e di salti di quota che incanalano e dirigono le acque verso i punti di raccolta. Diventa quindi importante riprogettare gli spazi aperti urbani prevedendo un sistema di pendenze che guidi le acque piovane in eccesso verso determinate zone filtranti, in modo da essere assorbite nel terreno e scendere in falda senza sovraccaricare la rete fognaria (fig. 85). Nel caso in cui le precipitazioni fossero troppo elevate per essere assorbite dal sistema drenante, un reticolo di tubi posti nel sottosuolo permetterebbe all’acqua piovana di scorrere verso i sistemi fluviali minori. In accordo con questo sistema, la rete fognaria dovrebbe servire esclusivamente per lo smaltimento delle acque da depurare, mentre la raccolta delle acque piovane dovrebbe essere indirizzata verso punti di raccolta che lascino filtrare le acque nel sottosuolo. Nel territorio del distretto ceramico, tutti i progetti che agiscono sulla riorganizzazione dello spazio stradale sono l’occasione per ridisegnare un sistema di suoli utili alla raccolta e al deflusso delle acque meteoriche. Si pensi, ancora, al progetto della “strada vetrina” lungo la strada Pedemontana Sp 467: le superfici a fianco delle corsie, ripensate in un disegno di suolo coerente alla nuova immagine urbana, divengono uno spazio ideale in cui incanalare le acque piovane. Un ulteriore aspetto riguarda poi la realizzazione di aree di raccolta e deflusso per le acque piovane nelle fasi di inondazione, che possano svolgere anche la funzione di zone umide. Tali zone hanno la capacità di mantenere un quantitativo di acqua necessario alla sopravvivenza degli ecosistemi tipici durante i periodi di siccità, mentre possono consentire di accumulare l’acqua in eccesso nei periodi di piogge intense. Contestualmente, tali aree funzionano come agenti di purificazione ecologica delle acque piovane prima della loro re-immissione nei sistemi fluviali attraverso processi chimici, fisici e biologici a carico della vegetazione. Nel distretto ceramico i progetti che potrebbero prevedere un sistema di aree umide o di fitodepurazione sono quelli che ridisegnano gli spazi naturali e le aree rurali. Il progetto del parco agricolo immaginato tra i 230


centri di Fiorano Modenese, Maranello e Formigine potrebbe, per esempio, prevedere aree umide in vicinanza dei corsi d’acqua o in prossimità di fossati e piccoli canali, utili – oltre al loro valore ecologico – all’irrigazione dei campi. Ma seppur con caratteri diversi, anche i progetti di riqualificazione stradale, come ad esempio quello delle strade industriali “adottate” dai grandi gruppi industriali, possono accogliere aree verdi dalle capacità fitodepurative. A tal fine potrebbe essere utile attivare spazi residuali quali aiuole, aree spartitraffico e rotatorie – tutti luoghi che concorrono oggi a costruire un paesaggio poco qualificato – in un progetto di spazio stradale che sia capace di integrare al nuovo disegno di suolo la funzione di raccolta e depurazione delle acque. Infine, sarebbe auspicabile prevedere la progressiva rinaturalizzazione del reticolo idrico. Operazione che, oltre a creare spazi fruibili, permetterebbe di rallentare il deflusso delle acque verso i corsi principali (fig. 86). Rinaturalizzare un corso d’acqua implica differenti azioni e gradi di progetto: modellare il letto del fiume, ripristinare gli argini erosi, piantumare sistemi vegetali lungo gli argini per ridurre la velocità e migliorare la qualità dell’acqua. Queste azioni permettono di migliorare la condizione ecologica del corso d’acqua, oltre ad arricchire la qualità ambientale degli spazi circostanti, apportano benefici climatici e riducono i rischi di allagamenti incontrollati in caso di forti precipitazioni. Entro tale prospettiva, tutti i corsi d’acqua, canali e fossi che innervano l’urbanizzazione del distretto costituiscono un capitale ambientale fondamentale da riqualificare e preservare. In questa direzione si muovono i progetti dei “filamenti di naturalità” immaginati lungo i percorsi d’acqua minori, nonché il progetto del “grande parco low-cost” immaginato lungo il fiume Secchia. Progetti che attraverso operazioni di rinaturalizzazione e rimboschimento degli argini, riordino e ripensamento degli spazi pubblici esistenti, riqualificazione delle aree abbandonate o dismesse – cave, depositi e aree di lavorazione degli inerti – potrebbero restituire spazio e qualità ambientale a sistemi naturali che oggi ne sono privi, coniugando la qualificazione degli spazi aperti a un progetto di valenza ecologica e idraulica.

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of new works, the recovery of the selfpurifying capacity of the waterway through replanting operations, the purification of the waters and the reconstruction of damaged habitats. But is it possible to act through these projects to renaturalise rivers even in densely urbanised areas? And in these contexts, with particular reference to the issue of rainwater management, would it not be appropriate to broaden our outlook by shifting the focus from the main waterways to the smaller water networks, in a project that primarily seeks to integrate renaturalisation actions and localised actions for urban reform? Given that cities must adapt to the changes under way, it would be beneficial to direct attention towards projects that combine rainwater management with the construction of an urban landscape that is more natural than in the past, where the ‘nature’ project is able to creatively communicate with the elements of the present. In line with this thinking, various northern European cities are setting up strategic masterplans for rainwater management in the case of regular and torrential rainfall, in order to understand how to develop urban projects that are capable of managing large flows of water and to re-shape ‘common’ spaces for a new, natural and liveable vision of the city. This new approach would, first of all, make it possible to increase the resilience of urbanised systems by decreasing vulnerability and, in parallel, activate recycling policies for the territory through urban reform projects integrated into the design of green public spaces and the construction of a more natural landscape.

BLUE NETWORKS AND ENVIRONMENTAL INFRASTRUCTURES Rainwater as an opportunity for projects. Restructuring urban systems by starting from water management Water management and, in particular, rainwater is becoming a topic for reflection not only for many European cities. Due to the increase of impermeable surfaces, as a consequence of ongoing growth in urbanisation, the creation of bad or imprecise hydraulic projects, and increasingly intense and violent rainfall due to climate change which, in recent decades, has caused devastating floods (with consequent damage to both agricultural and urban systems), the subject of water management, safety and river restoration has become a priority for our territories. Substantial funds have been made available by the State and the regions for the ‘securing’ of the territory from the flooding of the rivers. It is thought that the great hydraulic protection works justify the detraction of new space from our rivers, already irreparably attacked by urbanisation, through containment and concreting actions of embankments that do not consider the waterways as complex, continuously changing organisms, but as static systems to be controlled. In parallel, there are virtuous situations of river restoration, which, through renaturalisation projects, aspire to restore the chemical and physical, biological and hydromorphological quality of waterways. In particular, the aim of these actions is to reduce the artificial state of river systems, by widening sections, preserving their shape and avoiding the implementation 232


A change of perspective: from water catchment area to smaller water networks The macro system of reference is given by the water catchment area, that is, the portion of the land that contributes to the formation of water outflows, and which includes surface water flows – water bodies such as streams, rivers and springs – and in the subsoil. It consists of the main waterway, the secondary ones and all the surface water networks that flow into it, but also includes the soil and subsoil system that drain the water. It is usually a large area of land, with various landscapes and ecosystems that are in balance between them, a unitary system in which the waterway is an element that is inseparable from the territory it crosses. The water catchment area is characterised by two main variables: environmental – the climate, vegetation, morphology and geology; and anthropogenic – the use of the soil, actions for flow regulation, and extraction activities, which determine the structure of the waterway. Given the complexity and territorial scope of the actions that are performed, these can have an impact at a distance of kilometres away. For example, deforestation in the mountains along the waterway, as well as changes in agricultural practices and hydraulic arrangements produce changes in river outflows, generating major erosion which, in times of heavy rainfall, can have repercussions on the valley floor and on urbanised systems. Conversely, it is possible to act on the main water networks by providing renaturalisation projects that restore the natural course of the riverbed. For example, by moving back or

removing embankments and useless protection systems, the lowering and the reconnection of the raised alluvial areas, the activation and enlargement of the flood plain, the restoration of the longitudinal continuity through the removal of dams or actions for the reconstruction of habitat. These types of actions are, however, difficult to achieve in the fabrics of the ‘città diffusa’ (diffused city) where housing, industries and the infrastructural mesh have enclosed and modelled rivers and streams according to their needs by diverting the waterway and reinforcing the banks, thus limiting the possibilities for intervention. The Secchia river, which crosses the Sassuolo ceramics district, is a casestudy of how hydraulic engineering and production activities along the embankment have, over time, changed the riverbed. One example is the Castellarano dam, which, immediately downstream, has caused heavy erosion forming a sort of ‘canyon’, today the destination of many visitors intrigued by its uniqueness. Even the numerous quarries, scattered along the banks of the river Secchia, have slowly lowered the riverbed and changed its course through mining activities and the removal of river debris. Just like the construction of the Rubiera rail yard, that has caused a significant narrowing of the riverbed. All these hydraulic protection works and exploitation of the riverbed can trigger morphological instability with significant repercussions on the existing infrastructures and urbanised systems – on which the risk of flooding still prevails – that cannot be ignored in urban planning practices. In the more densely urbanised regions, 233


such as heavy rains and heat waves. If ecosystems are in good health, they will be, for example, be able to absorb air pollutants, to self-purify the waters, recharge the strata and regulate the hydrologic cycle, to provide recreational spaces and the possibility of psychological well-being. For these reasons, the smaller water networks can become the structure on which to rebuild and enhance, even in the most densely urbanised areas, the framework for a new ecological urban landscape. While not configured as a system of existing natural spaces to be preserved – like natural areas and nature reserves – it is a system of fractal open spaces to be reactivated and re-planned through a landscape project, which restores their physical size and socio-economic values. In the open spaces of the ‘città diffusa’, apparently uninhabited, there is an already available possibility and a potential to be exploited. In the ceramics district, this possibility is provided by a series of ‘natural filaments’, a system of natural open spaces, partly in existence and partly to be reactivated and implemented, mainly located along the waterways (see Chapter 4.1). These spaces connect the ecosystem of the hill and that of the agricultural plain infiltrating the fabric of the urbanised foothills, and in particular, the productive fabric where the system acquires a more significant, albeit less obvious, dimension. They are hidden spaces, often unused and unusable, fenced off, uncultivated and abandoned; in the past, works for the sealing of the soil, the covering and interment of waterways or the construction of structures and barriers in the vicinity of the river banks have restricted their space and downgraded

as in the case of Sassuolo, an alternative scenario could be represented by the smaller water networks which – when not buried – seep into the residential and production fabric, generating a series of discontinuous and fragmented open spaces, that are often inaccessible with consequent difficulty for management and maintenance. A wide range of vital functions for the urban ecosystem can be associated with this complex system of spaces and elements. In the first place, it plays an important role from an environmental perspective, by reducing pollution factors and mitigating the climate. Secondly, it fulfils a social and recreational function, by improving the living conditions of the places and consequently increasing the perception of well being on the part of the inhabitants. It is also possible to identify the consequences from an economic point of view, both with regard to the functions directly related to production activities, and indirectly, since a pleasant region attracts more investors and investment. Finally, the small surface waterways, such as rivers, canals and ditches, are a necessary resource for the functioning and the disposal of the urban water cycle in so far as they are the preferred route that storm waters, initially infiltrated into the subsoil, take to arrive at the catchment areas and then to the sea. The combination of these functions can be defined as the ‘natural capital’ of a territory, a sort of ‘insurance’ against the impact of changes under way, including those related to the climate, since the territories most equipped with ecosystem services are generally more resilient and less vulnerable in the face of extreme natural events 234


their role. They are now wedges of greenery and water scattered without continuity in the urbanised fabric. Today, these filaments are the opportunity to redesign a new system of open spaces that integrates the useful function to the naturalistic and ecological one. For a blue-green infrastructure project Starting from this reinterpretation of the smaller water networks as part of a more structured and complex system of spaces within the urbanised fabric, cities should adopt a ‘toolbox’ of projects and actions capable of managing exceptional weather conditions and the quality of the waters that are, at the same time, able to create the greatest possible synergy with the urban environment. The idea is to re-plan city spaces, the parks, squares and the streets by giving them the dual function of ‘flooding’ spaces for rainwater harvesting at critical moments, and pleasant, functional and lively places, accessible in normal everyday life. This approach to the design of public space provides the basis for a dynamic and multifunctional system, creates a new generation of blue-green infrastructures that fully meet the city’s essential services such as mobility, recreation, health and biodiversity; at the same time, it provides a viable strategic approach that ensures the sustainability of a complex urban system. The main issues to be addressed in the urban redevelopment projects that focus on the themes of water management are several. In the first place, it is necessary to implement an important shift in the sealing of soils: the reduction of asphalt

surfaces must be one of the priority objectives for the improvement of the quality of living, through projects that tend to increase the permeable surface in the denser tissues. This can occur, by way of example, through the upgrading of the infrastructure system, urban roads, street spaces and the squares that make up an important share of the impermeable surface within cities. The elements of the road network should no longer only be viewed as technical spaces for underground utilities and cars, but must become pleasant places where the technical and social functions can coexist even by being combined with the topic of rainwater management. The idea is to imagine and implement projects of streets and open spaces that can be flooded in times of heavy rain. To this end, it is necessary to consider spaces organised with different altitudes, so that some areas may be flooded while others allow the passage of pedestrians even during moments of heavy rain. There will, therefore, be depression levels and regular collection of rainwater harvesting, intermediate levels which can be flooded at times of strong rain, and spaces defined as safety zones – areas and paths that allow passage even during the most critical moments. In the ceramics district, the opportunity to create spaces of this type lies in the projects related to bicycle and pedestrian paths envisaged along the route of the ancient Via Claudia, or the construction of a ‘showcase highway’ for ceramics companies that evolved along the Pedemontana Sp 467 road, or the construction of a rail-tram track for the transport of passengers between Sassuolo and Maranello (see, respectively, Chapters 2.1 and 3.1). In these situations, the empty spaces 235


redesigned into the type of ground that is consistent with the new urban image, become an ideal space in which to channel rainwater. A further aspect therefore concerns the creation of collection and outflow areas for rainwater during flooding phases, which can also perform the function of wetlands. These areas have the ability to retain a quantity of water necessary for the survival of typical ecosystems during periods of drought, while they can enable the accumulation of excess water in periods of heavy rainfall. At the same time, these areas function as agents for the ecological purification of rainwater before their re-entry into river systems through chemical, physical and biological processes provided by the vegetation. In the ceramics district, projects that could provide for a system of wetlands or of phyto-purification are those that redesign natural spaces and rural areas. The agricultural park project envisaged between the urban centres of Fiorano M., Maranello and Formigine could, for example, provide wetlands in the vicinity of the waterways or near ditches and small canals, useful – beyond their ecological value – to irrigate fields (see Chapter 4.1). Albeit with different characteristics, even the road redevelopment projects, such as that of the industrial roads ‘adopted’ by large industrial groups, can accommodate green areas with phyto-purification capacity (see again Chapter 3.1). To this end, it could be useful to activate residual spaces such as flowerbeds, traffic islands and roundabouts – all places that work together today to build a relatively undeveloped landscape – in a project of road space that is capable of integrating the function of water collection and

between the fabrics, the small unbuilt lots, the parks, the existing gardens and the areas at the edge of the roadway are urban materials on which projects can be planned – from squares, parks, car parks and clearings that combine the need to harvest water and, therefore, permeable green spaces which can be flooded when it rains – to the ability to host functions and different uses. Secondly, works to slow down rainwater in its flow towards the waterways are necessary. This can be implemented by means of a conscious design in the dislevelling and the drops in height that channel and direct the water towards the collection points. Thus, it is important to redesign urban open spaces by providing a system of gradients that guides excess rainwater towards certain filter regions, so as to be absorbed into the ground and down into the stratum without overloading the sewage network. In the case where precipitations are too high to be absorbed by the drainage system, a network of pipes placed strategically in the subsoil would allow the rainwater to flow towards the smaller river systems. Through this system, the sewage network should only be used for the disposal of the water that is to be purified, while rainwater harvesting should be directed towards collection points that let the water filter into the subsoil. In the ceramics district region, all projects that act on the reorganisation of road space are an opportunity to redesign a system of land use for the collection and drainage of rainwater. Consider, once again, the project of the ‘showcase highway’ for ceramics companies that have evolved along the Pedemontana Sp 467 road: the surfaces at the side of the lanes, 236


Within this perspective, all the waterways, canals and ditches that innervate the district’s urbanisation are a fundamental environmental capital to be redeveloped and preserved. The ‘natural filaments’ project envisaged along the smaller waterways, as well as the ‘large low-cost park’ project envisaged along the Secchia river are moving in this direction (see Chapter 4.1). Projects which, through renaturalisation operations and the reforestation of the river banks, the reorganisation and restructuring of existing public spaces, the redevelopment of derelict or disused areas – quarries, depots – could restore space and environmental quality to natural systems that today have none, by combining the development of open spaces with a project of ecological and hydraulic value.

purification into the new land design. Finally, it would be desirable to provide for the progressive renaturalisation of the water network. This is an operation that, in addition to creating green usable open spaces, would make it possible to slow down the flow of water towards the main waterways. Renaturalising a waterway involves different actions and project levels: shaping the riverbed, restoring the eroded riverbanks, planting vegetal systems along the banks to reduce the speed and improve the quality of the water. These actions enable the improvement of the ecological condition of the waterway as well as the enrichment of the environmental quality of the surrounding spaces, climatic benefits and a reduction in the risks of uncontrolled flooding in the event of heavy rainfall.

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IMMAGINI AL FUTURO/ FORWARD-LOOKING IMAGES

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UNA VISIONE DI INSIEME Cristiana Mattioli Claudia Parenti

Alcuni anni fa, ritornando sul dibattito su quale sia stata la prima città, il geografo Franco Farinelli afferma che Catal Hoyuk è la prima città perché è la prima società stabilmente insediata che rappresenta in pianta e in veduta il suo volto. Questa riflessione – apparentemente lontanissima – non è irrilevante per il distretto di Sassuolo che si è sempre rappresentato unitariamente solo come sistema socio-economico, mai come vera e propria “città distretto”. Questa immagine ne evidenzia il possibile volto ed, essendo al contempo progettuale e interpretativa, è l’esito di migliaia di processi trasformativi ed edificatori individuali più o meno indirizzati da diverse amministrazioni locali, nonché di una possibile (e necessaria) nuova progettualità collettiva che, facendo presa su quel che c’è, mette in relazione elementi diversi, accentua alcuni caratteri, valorizza alcune possibilità, propone misurate e contestuali innovazioni. Questa visione d’insieme, prodotta ricomponendo le tre immagini di struttura e i progetti che a esse si relazionano, vuole dunque fornire un contributo al possibile “farsi città” del distretto ceramico, in coerenza con le nuove esigenze economiche e la volontà di garantire una maggiore qualità di vita. 241


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1 Un'ossatura ferro-tramviaria territoriale: un sistema di trasporto pubblico e un'occasione per la ristrutturazione dell’urbanizzato. La linea dalla stazione Mediopadana AV (Reggio Emilia) a Maranello/A territory wide rail-tram network: a public transport system and a trigger for urbanisation redevelopment. The line from Mediopadana AV Station (Reggio Emilia) to Maranello. 2 Un'ossatura ferro-tramviaria territoriale: un sistema di trasporto pubblico e un'occasione per la ristrutturazione dell’urbanizzato. La linea dalla stazione di Modena FS a Sassuolo centro fino alle Terme della Salvarola/A territory wide rail-tram network: a public transport system and a trigger for urbanisation redevelopment. The line from Modena Station through Sassuolo center to the Salvarola Spa. 3 Un percorso pedonale e ciclabile tra Scandiano e Maranello: nuove forme del muoversi e dello stare insieme/A pedestrian and cycle path between Scandiano and Maranello: new forms of moving and being together. 4 Una “città lineare” tra Sassuolo e Maranello, ai piedi della collina: un abitare qualificato tra servizi, nuovi spazi del lavoro e accessibilità pubblica/A 'linear city' between Sassuolo and Maranello, at the foothills: higher living standards among services, new workplaces and public accessibility. 5 La Sp 467 Nuova Pedemontana: una “strada vetrina” della produzione di eccellenza e una nuova immagine del territorio distrettuale/The Sp 467 Nuova Pedemontana: a 'showcase highway' for the production excellence and a new image of the district territory. 6 Il sistema delle strade industriali “adottate”: il ridisegno del paesaggio industriale e il contributo delle aziende ceramiche leader/Industrial 'roads adoption' system: the redesign of industrial landscape and the contribution of leading companies. 7 I “condomini produttivi”: strategie di efficientamento e riforma dei tessuti ordinari/'Industrial condos': strategy to increase ef±ciency and redesign the ordinary spaces. 8 Un grande parco low cost lungo le sponde del fiume Secchia: un nuovo “luogo centrale” tra collina e pianura/A large and low-cost park along the Secchia river: a new 'central place' between hills and plains. 9 I filamenti di natura lungo i percorsi d’acqua: infrastrutture ecologiche, turistiche e di welfare tra collina, territorio urbanizzato e campagna/Natural landscape ±laments along water courses: environmental, tourist and welfare infrastructure among hilly, urbanised and rural areas. 10 Una cornice panoramica a monte: un itinerario paesistico lungo i crinali collinari/A scenic route above the town: an itinerary on the ridges. 11 Un sentiero intercollinare: esperienze di trekking periubano, tra pratiche del tempo libero e emergenze ambientali/A path up and down the hills: free time trekking experiences in an environmental framework. 12 Un parco agricolo nella piana tra Sassuolo, Fiorano M. e Formigine: complessità ecologica e paesistica, uso collettivo, sostenibilità economica/An agriculture park among Sassuolo, Fiorano M. and Formigine: environmental and landscape complexity, collective use, economic sustainability.

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OVERALL PICTURE Some years ago, reflecting on which was the first city in history, the geographer Franco Farinelli chose Catal Hoyuk as it had been the first society to set itself up and represent its image both in plan and in elevation. This reflection – apparently very distant – is important even for the industrial district of Sassuolo, which has produced a unitary image limited to its socio-economic system, leaving aside the question of ‘city district’ form. This image shows its possible layout. It displays design and interpretative information, thus reveling thousands of transformative and design processes, more or less addressed by local administrations, and also a possible (even necessary) new collective project. Starting from what we have, it relates different elements, strengthens some characters, valorizes some opportunities, and proposes limited and contextual innovations. This overall picture, made from the unification of the previous three structural images and the projects related to them, is so intended as a contribution to the ‘city district’ planning. It is based on new economic needs and the effort of guaranteeing a better quality of life to its inhabitants.

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UNA VISIONE IN CAMMINO Marco Zanini

L’immagine al futuro di una possibile città non può nascere solo da una rappresentazione zenitale o a volo d’uccello che mette in relazione una molteplicità di spazi, di edifici, di elementi vegetali nell’area vasta di un territorio geologicamente e storicamente configurato. Essa deve emergere anche con delle viste al suolo che possano dar conto dell’orizzonte quotidiano concretamente esperibile dai suoi abitanti, di una molteplicità di luoghi entro i quali si sviluppa “la vita in città”. Queste visioni di paesaggio colte in cammino muovendosi in un distretto che vuole farsi città non parlano di uno spazio e di luoghi “altri”, radicalmente diversi da quelli esistenti, e non propongono nemmeno quelle immagini seducenti che si trovano di frequente nei documenti di marketing territoriale o di nei concorsi di architettura riservati a qualche luogo eccezionale. Raccontano di piccole modificazioni di luoghi esistenti, che con poche e misurate mosse diventano spazi più abitabili e paesaggi più qualificati. La ricerca di qualità diventa occasione per costruire condizioni di nuova urbanità e naturalità diffusa che vogliono coinvolgere con equità tutto l'insediamento, evidenziando al tempo stesso la specificità dei luoghi. 247


90. L'antica via Claudia si fa piazza allungata, spazio di sosta, sede di incontro, di vita in pubblico e di movimento dolce, e non solo spazio deputato al movimento automobilistico e al parcheggio/The ancient via Claudia ceases to be a mere car-oriented and parking space in order to become an extended piazza where people can rest, gather, experience public life and soft mobility.

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91. L’area industriale dismessa ex Cisa-Cerdisa viene riabitata senza operare una completa tabula rasa. Nuovi elementi e permanenze del passato si relazionano entro nuove pratiche di vita, di consumo e di lavoro/The former Cisa-Cerdisa industrial site is reused even if without a complete and preventive demolition. Brand new elements and traces of the past dialogue within new practices of dwelling, consuming and working.

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92. La Sp 467 Pedemontana si fa vetrina della ceramica evoluta: muri di ceramica definiscono i disordinati bordi della strada, proteggono insediamenti, nascondono depositi e si aprono ai principali luoghi di lavoro/The Sp 467 Pedemontana road becomes a ‘show-case’ for the most innovative ceramics industry. Tiles walls better deÂąne the untidy street boundaries, protect built spaces, cover storage areas and ultimately open themselves to most important workplaces.

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93. Una strada industriale che, mantenendo la sua funzione tecnica di accesso alle fabbriche, presenta tratti di naturalitĂ e urbanitĂ diffusa e organizza in nuove forme la raccolta delle acque meteoriche/While allowing the entrance to workplaces, the industrial road hosts urban practices and becomes more natural in order to manage rainwater more efÂąciently.

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94. Un nuovo parco low cost ridefinisce un ampio settore a lato dell'urbanizzato di Sassuolo, rinaturalizzando alcune aree a deposito. Lo spazio pubblico della città scende con una gradinata verso il fiume, riappropriandosene/A new, low-cost, and large park reorganizes a wide sector of the urban area next to Sassuolo historic centre, while regreening bad located storage sites. Urban public space takes the Secchia River back, reaching it with a ²ight of steps.

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95. Il territorio collinare viene riscoperto e riabitato come spazio di loisir quotidiano, direttamente e democraticamente accessibile da tutti. Un paesaggio dove riscoprire la dimensione corporea del nostro vivere e i tempi della natura/Hilly territory is rediscovered and re-inhabited by local people as a recreational space, freely and directly usable on a daily bases. It is a landscape that allows people to experience their body dimension and the cycles of nature.

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WALKING GAZE The image of the future configuration of a potential city cannot be represented solely with an aerial view, nor with a bird’s-eye view that puts in relation a multiplicity of spaces, buildings, green elements in a wide area, namely a geologically and historically organized territory. Indeed, it requires also groundbased images representing spaces that are experienced daily by local inhabitants, and a variety of places where ‘city life’ shows up. Thus, these landscape images are caught ‘on the road’, walking through an industrial district that seeks to become ‘a city’. They do not show spaces that are radically different from the existing ones, neither the tempting images frequently produced by territorial marketing documents or in occasion of architectural competitions related to exceptional places. They tell about little modifications occurred in existing spaces that become more livable and qualified thanks to limited actions. Quality research becomes then the trigger for creating conditions of urbanity and naturality that fairly spread over the whole territory, while reinforcing places’ specificity.

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96.

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CONTROSTORIA, TRA SCONFITTE E POSSIBILITÀ Arturo Lanzani Chiara Merlini Federico Zanfi

Di fronte a un bivio Nel triennio in cui si è svolta la ricerca Re-cycle Italy e in cui la nostra riflessione sul distretto ceramico ha preso forma, la politica, l’economia e la società locali si sono trovate di fronte a un fondamentale bivio evolutivo. Sul tavolo della decisione tre temi cruciali, tre scelte inerenti al futuro del proprio modello di sviluppo che incideranno profondamente sugli assetti del territorio e sul come le popolazioni del distretto potranno viverlo. In quest’intervallo tutto sommato breve, in un oscillare tra inerzie e brusche accelerazioni nelle decisioni, queste tre scelte sono state prese assumendo una prospettiva profondamente diversa – per molti versi diametralmente opposta – rispetto a quella che abbiamo proposto in queste pagine. Si può dire che questo libro descrive una sorta di controstoria rispetto alla realtà, e che l’assetto concretamente assunto dalle cose nei prossimi anni sarà sensibilmente distante dall’immagine al futuro qui proposta. Il bivio che il territorio del distretto ceramico si è trovato davanti ha preso forma in tre vicende diverse. 257


Com’è andata, quando si è trattato di concepire una nuova infrastruttura strategica Nel primo caso, il tema è quello delle “infrastrutture per lo sviluppo”. Sul tavolo c’è solo un vecchio progetto degli anni Ottanta, che prevede l’estensione dell’A22-Autostrada del Brennero per circa quindici chilometri da Campogalliano fino a Sassuolo (fig. 97). Il senso dell’opera è migliorare il collegamento del distretto con la rete autostradale, vista come canale fondamentale per la movimentazione delle materie prime e del prodotto finito. La cosiddetta “bretella” compare tra le opere strategiche indicate dalla Legge Obiettivo nel 2001, ma la sua realizzazione non avanza fino al 2014, quando quello che pareva un progetto incagliato conosce una risolutiva accelerazione. Il decreto “Sblocca Italia” inserisce l’opera tra quelle da finanziare; la nuova Presidenza della Regione Emilia-Romagna assume pubblicamente un forte impegno per avviarne i cantieri entro il proprio mandato; il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti s’impegna a più livelli – rinnovando concessioni senza gara, ampliando la partecipazione pubblica nell’operazione, intervenendo con misure di de-fiscalizzazione sui proventi della gestione – per puntellare un traballante castello di project ±nancing. Il progetto della “bretella” è da considerarsi un errore non solo per le criticità che il tracciato definitivo pone sul piano ambientale e idrogeologico (corre dentro il corridoio ecologico primario costituito dal fiume Secchia), ma soprattutto per la sua incoerenza rispetto l’evoluzione della domanda di mobilità per le merci nel distretto. Il bisogno di rendere più fluido il trasporto su gomma si registra lungo l’asse est-ovest, lungo la congestionata Pedemontana Sp 467, mentre la domanda lungo la direttrice nord-sud è piuttosto rivolta al miglioramento dei collegamenti ferroviari, in particolare al collegamento tra gli scali di Dinazzano e di Marzaglia. È da considerarsi un errore non solo perché l’attuale superstrada ModenaSassuolo – completata nei primi anni Duemila – già provvede a collegare il distretto con la rete autostradale, ma poiché le maggiori scelte infrastrutPagina a ±anco/opposite page 97. Il previsto tracciato dell'autostrada lungo il fiume Secchia tornata in auge con il decreto "Sblocca Italia"/Layout of the new motorway running along the Secchia river, brought back to the top after the 'Sblocca Italia' (Unlock Italy) decree approval.

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1 junction with A1 motorway 2 junction with Modena ringroad and Marzaglia rail yard 3 junction with Sp 467 Pedemontana

1

2

3 0

259

1

2Km


turali fatte sia dall’Unione Europea che dal Governo Italiano con la collaborazione dei paesi confinanti stanno andando nella direzione di rendere più conveniente il trasporto su ferro attraverso le Alpi. In questo quadro, ciò che preoccupa è che risorse pubbliche così consistenti – l’entità del contributo pubblico all’opera è di circa 215 milioni – confluiscano in un investimento oggi così sbagliato, e che il distretto non possa più contare in futuro sui finanziamenti pubblici necessari per ammodernarsi sul piano delle ben più strategiche e sempre più utilizzate infrastrutture ferroviarie. Com’è andata, quando si è trattato di ripensare la principale area dismessa del distretto La seconda vicenda ha a che fare con la ristrutturazione urbanistica delle aree industriali dismesse. L’area in questione è la più grande e importante della Provincia di Modena – una superficie di 38,5 ettari, più estesa dell’intero centro storico di Sassuolo – ed è collocata sul tracciato dell’antica via Claudia, in una posizione baricentrica tra Sassuolo e Fiorano Modenese. Sede di uno stabilimento ceramico del gruppo Cisa-Cerdisa attivo fino alla fine degli anni Novanta, è stata in seguito oggetto di un processo di dismissione che ha progressivamente liberato una serie di grandi fabbricati industriali obsoleti, ma in gran parte riutilizzabili. Dopo numerosi progetti sviluppati senza esito, nell’estate del 2015 l’interesse del gruppo Coop Alleanza 3.0 per la realizzazione di una struttura commerciale e la stipula di una convenzione per l’avvio dei lavori di demolizione e di bonifica conferiscono un nuovo impulso al processo di riconversione dell’area. Tale processo segue tuttavia un’idea di progetto urbano datata, che risente delle idee sedimentatesi sull’area nel corso tempo, e finisce col prevedere la sostituzione dei fabbricati industriali esistenti con un centro commerciale, un complesso terziario e alcune lottizzazioni residenziali a media e bassa densità. Comparti mono-funzionali cui si affianca un “parco urbano” mal collocato, che paradossalmente separa anziché mettere insieme, e da una viabilità di scorrimento dal carattere marcatamente suburbano (fig. 98). Nel gennaio del 2016 tutti i fabbricati presenti nella parte nord dell’area vengono abbattuti, compreso un grande hangar metallico per il deposito delle argille dal grande potenziale simbolico. Le voci che si levano nel dibattito locale invitando a riflettere su una strada alternativa – una 260


3 2 1

4

2

mall residential lots and public facilities offices public park 0

100

1 2 3 4

200 m

98. La ripartizione dell'area ex Cisa-Cerdisa prevista dall'accordo pubblico-privato /Zoning scheme of the former Cisa-Cerdisa industrial area according to the private-public agreement.

maggiore attenzione al disegno dello spazio pubblico e all’inserimento nel contesto, il riuso dei manufatti, una trasformazione graduale dell’area – rimangono inascoltate. La sensazione è di avere perso una grande occasione – probabilmente la principale tra le occasioni – per rilanciare il territorio del distretto. Ciò che preoccupa non attiene solo al disegno urbano che sta prendendo forma – un disegno banale, del tutto incapace di costruire relazioni qualificate tra l’area in trasformazione e i tessuti circostanti – ma anche e soprattutto alle funzioni insediate. Ci si chiede quali rischi in termini di dismissione 261


potrà comportare l’insediamento di una nuova grande superficie di vendita in un territorio già denso di centri commerciali; quali rischi sul piano del mancato completamento della trasformazione dell’area comporti la previsione di formati terziari e residenziali molto tradizionali, in un contesto già segnato da numerosi cantieri interrotti; quali occasioni perse, infine, sul piano della mancata attrazione di capitali privati che avrebbero potuto assumere la forma – qui, nel cuore del distretto, e non altrove – di funzioni più strategiche e di tipologie edilizie più coerenti con la vocazione pienamente urbana dell’area. Com’è andata, quando si è trattato di governare la richiesta di nuove espansioni industriali La terza e ultima vicenda riguarda la dialettica tra la dismissione di fabbricati produttivi, il contenimento del consumo di suolo agricolo e le nuove espansioni industriali. Alla porta degli amministratori compare nel corso del 2015 una delle maggiori aziende del distretto – System S.p.a., leader nella produzione di tecnologia per la filiera industriale ceramica – che intende realizzare un massiccio ampliamento dei propri stabilimenti nel territorio di Fiorano Modenese. La presenza nello stesso comune di numerose aree dismesse, anche di grandi dimensioni, non riesce a incontrarsi con una razionalità aziendale che chiede di costruire i nuovi edifici a fianco di quelli esistenti per ottimizzare la catena produttiva e la logistica. Si stipula allora una convenzione che consente l’espansione industriale su aree aventi diversa destinazione, in variante al Piano Strutturale vigente: espansione che interessa circa 18 ettari di superficie territoriale complessiva (fig. 99) e che per quasi 10 ettari si estende su terreni ad alta vocazione produttiva agricola, nel cuore del potenziale parco agricolo tra i comuni di Fiorano Modenese, Maranello e Formigine (si veda il cap. 4.1). Le misure compensative che accompagnano l’operazione – del valore di circa 4 milioni di euro, quota di rendita differenziale catturata sulla base di percentuali contenute, tra il 10 e il 30% a seconda delle diverse aree oggetto di variante – seguono l’intenzione del Comune di ammodernare alcune infrastrutture scolastiche obsolete e creare dei poli di concentrazione dei servizi pubblici. La scelta tuttavia non ricade su un progetto di qualificazione e ristrutturazione del patrimonio pubblico esistente, ma 262


3

1

2 existing industrial plants 1 industrial expansion on areas 2 zoned for mobility infrastructures industrial expansion on farmlands 3 0

100

200m

99. L'ampliamento degli stabilimenti di System S.p.a. in variante al Piano Strutturale Comunale/System S.p.a. expansion plans approved via an amendament to the Municipal Structural Plan.

nell’acquisto di un terreno – anch’esso agricolo e di particolare pregio paesaggistico, ai piedi del castello di Spezzano – e nella realizzazione, su detto terreno, di un nuovo polo scolastico integrato (fig. 100). L’operazione, al di là del caso particolare, assume una valenza generale di grande rilievo, poiché riguarda il tema emergente del come accogliere e del come governare le richieste di espansione su suolo agricolo avanzate da grandi gruppi ceramici in crescita, in un contesto segnato da numerosi edifici e aree dismesse. 263


2

1

urban expansion on farmlands 1 brownfield under transformation 2 Spezzano Castle 3

3

0

100

200m

100. Spezzano: localizzazione del nuovo plesso scolastico, compensazione dell'ampliamento del Gruppo System/Spezzano: the location of the new school complex, compensation for the System Group industrial expansion.

È alla luce di questa valenza che l’operazione mostra almeno tre gravi criticità. La prima riguarda il non aver saputo “agganciare” alla nuova espansione qualche operazione compensativa orientata alla demolizione e alla rinaturalizzazione di manufatti industriali abbandonati e particolarmente mal collocati, entro la prospettiva del non aumento della quota di suolo impermeabilizzato per usi industriali. La seconda è legata al mancato recupero delle infrastrutture scolastiche esistenti e all’assenza di una strategia per la gestione e la valorizzazione del patrimonio pubblico 264


dismesso, considerato che la prospettiva della vendita dei lotti per interventi residenziali privati si rivela quanto mai remota. La terza, infine, è legata all’insensata localizzazione del nuovo plesso scolastico: scelta che non solo impone di urbanizzare nuovo suolo in un contesto molto sensibile, paradossalmente in prossimità di diverse aree dismesse, ma che risulta particolarmente mal collocata rispetto alle principali infrastrutture e ai potenziali assi di trasporto pubblico. Perché è andata così Le ragioni per cui la politica territoriale e urbanistica del distretto si è orientata in tali direzioni sono molteplici. Anzitutto, hanno pesato fortissime inerzie nelle procedure e nelle linee d’azione. In tutte e tre le vicende – che si sia trattato di concepire una nuova infrastruttura, di re-immaginare una grande area dismessa, o di concordare la contropartita pubblica collegata a un’espansione industriale privata – ha prevalso un approccio consolidato che la politica locale fatica a mettere in discussione. Anche nel quadro di un contesto mutato. Nel caso della “bretella” autostradale, a pesare è ancora il primato – nel distretto, come nel paese – del trasporto delle merci su gomma e del relativo indotto, nonché l’influenza politica di un settore delle costruzioni pericolosamente arretrato, che nel cantiere di una nuova opera di cemento vede un’occasione per sopravvivere nella crisi, senza aggiornare il proprio modus operandi. Nel caso dell’area ex Cisa-Cerdisa, a resistere è la vecchia idea di ristrutturazione urbanistica radicata nelle amministrazioni e nei professionisti locali: idea che prevede la tabula rasa dei manufatti esistenti, un “progetto urbano integrato” in cui la dimensione del tempo e delle sue incertezze non è contemplata, una generosa quota di nuove volumetrie. Il tutto, presupponendo domande e plusvalenze che semplicemente non esistono più. Nel caso dell’espansione del gruppo System, a valere ancora è la logora formula dell’urbanistica “contrattata” che dall’accordo col privato ambisce a ottenere sempre nuove infrastrutture e nuovi oggetti: anche quando questi non costituiscono l’opzione più assennata, o quando le misure compensative dovrebbero più utilmente tradursi nella qualificazione e nell’ammodernamento del patrimonio pubblico esistente, anziché nel suo ampliamento. È palese il ritardo nel prendere consapevolezza 265


dell’emergere di nuove condizioni, l’incapacità nell’adattare il progetto – i suoi obiettivi, i suoi temi, le sue forme – a un mondo che è cambiato. Hanno poi influito alcune gravi semplificazioni nel modo di intendere il progetto delle infrastrutture, la rigenerazione urbana, le opere pubbliche e il rapporto tra tutto ciò e l’urbanizzazione distrettuale contemporanea. Si tratta di semplificazioni che stanno non solo nella prassi amministrativa, ma anche nella cultura tecnica, e che si manifestano in progetti riduttivi, che rispondono in modo banale a problemi complessi. Nel caso della “bretella” autostradale la domanda di una più efficiente mobilità per le merci viene automaticamente associata all’aggiunta di una nuova “grande opera”, anziché a un ragionamento di ammodernamento complessivo della rete esistente. Peggio ancora: ad un’opera concepita in modo iper-settoriale, un “tubo” che si sovrappone al paesaggio senza integrarvisi, che continua a ragionare entro una logica rimediale di “mitigazioni d’impatto” senza mettere in discussione il proprio modo di appoggiarsi al suolo, di inserirsi nella trama dei tracciati agricoli o nell’alveo del fiume, di costruire i manufatti di raccordo o la viabilità complementare. Nel caso della grande area dismessa ex Cisa-Cerdisa il progetto non riflette minimamente sulla possibilità di riutilizzare i manufatti esistenti, ne prevede la completa demolizione – peraltro non necessaria ai fini della bonifica dei suoli – e si pone il solo “problema” del vuoto da riempire: “riempimento” che avviene in modo riduttivo, suddividendo l’area in grandi ambiti di intervento funzionalmente distinti e proponendo una viabilità interna che risponde solo all’esigenza di accessibilità automobilistica – di fatto creando una dannosa separatezza tra i nuovi comparti e i tessuti circostanti. Il caso dell’espansione dello stabilimento System mostra come l’Amministrazione comunale continui a intendere le operazioni d’iniziativa privata e i lavori pubblici come mondi separati, che non possono mai integrarsi. Perdendo, di fatto, un’occasione rara per promuovere un più ampio progetto di riforma urbana nel tessuto consolidato della città attraverso il rinnovo di un’infrastruttura scolastica, o per riconsiderare una tra le tante operazioni immobiliari private interrotte, integrandovi quote di funzioni pubbliche. Infine, ci pare di riconoscere nell’andamento delle tre vicende una strutturale debolezza dell’amministrazione pubblica – a diversi livelli – nel far 266


valere ragioni di utilità collettiva nei confronti di posizioni e razionalità espresse da alcuni forti poteri settoriali. Nel caso della “bretella” autostradale sono le ragioni di alcuni grandi gruppi del mondo delle costruzioni e le posizioni dell’associazione Confindustria Ceramica a influire sulle decisioni del Ministero, della Regione e della Provincia, spegnendo le voci delle associazioni ambientaliste, dei comitati di cittadini e dei segmenti della politica locale che pure hanno buoni argomenti da opporre alla realizzazione all’opera. Nel caso del recupero dell’area ex Cisa-Cerdisa è la volontà di “presidiare” il territorio espressa da un importante operatore della grande distribuzione che fa avviare l’operazione, e che la conduce verso una soluzione spaziale palesemente a vantaggio della razionalità commerciale, ma del tutto a scapito dell’urbanità e della capacità d’integrazione col contesto. Nel caso dell’espansione industriale su suolo agricolo è la forza di uno dei principali gruppi imprenditoriali del distretto – nonché la promessa-ricatto dei “nuovi posti di lavoro” in un territorio che dal 2007 ha assistito al crollo degli addetti nel settore ceramico – che rende sostanzialmente indiscutibile l’operazione: in un rapporto così sbilanciato l’Amministrazione comunale non riesce né a governarne più di tanto l’estensione e la collocazione, né a catturare in pieno la rendita fondiaria implicata. Come avrebbe potuto andare Consapevoli che un qualunque mutamento di prospettiva incontra sempre ostacoli e difficoltà, riteniamo che le cose avrebbero potuto seguire un corso differente se le questioni a esse sottostanti si fossero impostate entro quadri di senso meno univoci e limitati. Se, ad esempio, si fosse guardato alla questione infrastrutturale in modo più integrato, considerando l’insieme delle opere legate all’accessibilità e prestando una maggiore attenzione al contesto nei suoi diversi aspetti (non solo quello economico, ma anche quello fisico e sociale) la risposta avrebbe potuto essere diversa. Con una quota di finanziamento pubblico inferiore a quella incorporata dalla nuova autostrada si sarebbe potuto ammodernare la superstrada Modena-Sassuolo e la strada Pedemontana Sp 467 – allargandone e mettendone in sicurezza i tracciati, ridisegnandone tutti gli svincoli problematici, ricostruendo il ponte sul fiume Secchia che oggi 267


101. Area ex Cisa-Cerdisa: hangar per il deposito delle argille, demolito nell'inverno 2016/ Former Cisa-Cerdisa site: hangar for clays storage, demolished in winter 2016.

costituisce una strettoia. Ma soprattutto – in relazione al traffico delle merci – si sarebbe potuto realizzare il collegamento ferroviario tra gli scali di Marzaglia e Dinazzano, integrandolo a una più ampia sistemazione paesaggistica e idraulica del fiume Secchia sul suo versante reggiano (ove è già esistente un ramo ferroviario sottoutilizzato). Intervento, quest’ultimo, che avrebbe liberato dal transito delle merci il ramo ferroviario tra Reggio Emilia e Sassuolo, aprendo di fatto alla possibilità di ripensare tale tracciato come parte di un sistema ferro-tramviario di valenza territoriale dedicato al trasporto passeggeri (vedi cap. 2.2). Tutti interventi, questi richiamati, che per loro natura avrebbero potuto instaurare relazioni con i pezzi di urbanizzato e di paesaggio agricolo al loro intorno: contribuendo a ricomporli, quindi, e non a frammentarli ulteriormente. D’altra parte, anche il progetto di trasformazione dell’area dismessa ex Cisa-Cerdisa avrebbe potuto assumere forme ben diverse se i registi dell’operazione avessero interpretato più consapevolmente le condizioni di partenza. La presenza di alcuni interessanti edifici industriali da riusare (fig. 101); la posizione baricentrica tra i centri storici di Sassuolo e Fiorano 268


Modenese; la vicinanza di attrezzature e la potenziale accessibilità a piedi, in bicicletta o col trasporto pubblico; la vocazione dell’area ad accogliere spazi per il nuovo lavoro; la dislocazione dei fabbricati idonea a consentire trasformazioni graduali. Se questi elementi fossero stati colti, l’area Cisa-Cerdisa avrebbe potuto essere ripensata a partire principalmente da un disegno dello spazio pubblico collegato ai quartieri circostanti e agli spazi naturali della collina; un disegno pensato come “ossatura” capace di costruire le condizioni per l’insediamento di funzioni urbane negli edifici industriali adattati, e per delineare un ambiente di lavoro e di vita attrattivo per nuove imprese avanzate. Avrebbe potuto essere insomma un luogo di urbanità, di intensità, il punto di forza di un più esteso progetto di centralità tra Sassuolo e Maranello, e avrebbe potuto giocare un ruolo realmente strategico per la “città distretto” nel suo insieme. Infine, nel caso dell’espansione del gruppo System, le richieste di spazio avanzate dall’azienda avrebbero potuto essere pienamente accolte concordando tuttavia una contropartita pubblica più consapevole e più orientata. In primo luogo, almeno una parte delle nuove volumetrie che il gruppo chiede di realizzare su aree libere avrebbe dovuto essere recuperata attraverso il trasferimento di volumi reali da siti industriali dismessi e particolarmente mal collocati (siti, questi, da demolire e ri-naturalizzare). In secondo luogo si sarebbe dovuto operare con più rigore nei confronti della rendita fondiaria, e catturare una quota maggiore (rispetto al 30%) del plusvalore che l’impresa privata realizza dalla trasformazione dei terreni agricoli in edificabili. In terzo e ultimo luogo, la volontà politica di rinnovare le infrastrutture scolastiche avrebbe dovuto orientarsi verso operazioni di riuso e di adattamento degli edifici esistenti, interpretando le potenzialità urbane che esse possono avere se intese non come dotazioni entro recinti chiusi ma come luoghi della città, o comunque verso la scelta di una nuova localizzazione che non generi nuovi problemi (da un lato la gestione delle scuole dismesse, non facilmente riutilizzabili; dall’altro lato, la distruzione del paesaggio in un punto di grande bellezza). Tutte questioni che assumono una valenza emblematica poiché, in un contesto in cui i segnali di ripresa sono espressi quasi esclusivamente dai grandi gruppi aziendali, questa operazione avrebbe potuto assumere un ruolo di riferimento e di apripi269


sta, segnando la strada per una relazione più virtuosa tra imprenditoria e qualificazione del territorio. Cosa ci insegna l’esperienza nel distretto Le tre vicende, osservate nel loro insieme, mandano un messaggio preciso. Ci dicono che il riciclo e la dimensione relazionale del progetto urbanistico – potremmo dire, con un solo termine, il riciclo non di edifici ma “di territori” – nel nostro paese non sono all’ordine del giorno né nell’agenda futura. Il discorso accademico può celebrare il cambio di paradigma, ma – nella migliore delle ipotesi – nella prassi politico-amministrativa permangono delle fortissime inerzie. Come interpretare questa situazione? Ci troviamo nel mezzo di una fase di transizione in cui un cambio di prospettiva, che pur può contare su molte e solide ragioni, incontra fortissime resistenze se non un esplicito rifiuto all’ascolto. Le tre vicende locali qui raccontate, come diverse vicende nazionali che si sono svolte in parallelo – si pensi al percorso del decreto per lo sviluppo “Sblocca Italia” o del disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo – lo testimoniamo con evidenza. Riflettendo su ciò che tutto questo comporta in relazione al nostro doppio ruolo di progettisti e di educatori, nascono due annotazioni conclusive circa le possibili direzioni di lavoro da intraprendere. Da un lato vi è un oggettivo problema di comunicazione nei mondi dell’architettura e dell’urbanistica che stanno nell’accademia. L’Università deve arricchire i propri codici e sistemi comunicativi per riprendere contatto con l’opinione pubblica, per far comprendere con più efficacia le proprie ragioni e per dialogare in modo più persuasivo con la politica e i diversi attori locali. Da un altro lato, vi è un problema di posizionamento dei percorsi di ricerca e degli esercizi didattici. Troppo frequentemente questi appaiono collocati entro sfondi che possono essere disciplinarmente gratificanti, ma che rischiano di essere esercizi autoriflessivi sostanzialmente poco rilevanti. È fondamentale che l’attività di ricerca e l’insegnamento stiano invece “nelle cose”: per imparare a misurarsi col conflitto, per comprendere e indicare possibili linee di azione. (luglio 2016) 270


project is to improve the connection of the ceramics district with the motorway network, seen as a fundamental channel for the movement of raw materials and the end product. The motorway appears among the strategic works indicated in the ‘Legge Obiettivo’ in 2001, but its implementation did not progress until 2014, when what seemed to be a shelved project sees a resolute acceleration. The ‘Sblocca Italia’ (Unlock Italy) Decree includes the project among those to be financed; the new presidency of the Emilia-Romagna Region publicly makes a strong commitment to start the works within his mandate; the Ministry of Infrastructure and Transport commits itself at several levels – renewing concessions without a tender process, expanding public participation in the project and intervening with tax exemption measures on the operating income – to prop up a shaky project financing castle. The motorway project is to be considered a mistake not only for the critical issues that the final route poses on the environmental and hydrogeological plan (it runs within the main ecological corridor established by the Secchia river), but above all for its inconsistency with the evolvement of the mobility demand for goods in the district. The need to streamline road transport shows along the east-west axis – along the congested Pedemontana SP 467 – while demand along the north-south axis is rather aimed at the improvement of railway connections, particularly the connection between the rail yards of Dinazzano and Marzaglia. Not only because the current Modena-Sassuolo motorway – completed in the early 2000s – already

COUNTER-STORY, BETWEEN SETBACKS AND OPPORTUNITIES Facing a crossroads In the three years in which the Recycle Italy research was carried out and our reflections on the ceramics district took shape, politics, the economy and local society faced a crucial evolutionary crossroad. Placed before them were three crucial issues, three choices relating to the future of their development model that will impact profoundly on the territory’s assets and on how the people of the district will be able to endure it. In this altogether short interval, in an oscillation between inertia and sudden accelerations in decisions, these three choices were taken through a fundamentally different perspective – in many ways completely at odds – in respect to what we have proposed in these pages. We can say that this book describes a sort of counter-story when compared to reality, and that the structure specifically adopted from the events in the coming years will be significantly distant to the image of the future proposed here. The crossroads that the ceramics district region found itself confronted with has taken shape in three different events. What transpired when it came to devising a new strategic infrastructure In the first case, the topic is ‘infrastructures for development’. Only one old project from the Eighties has been tabled, which provides for the extension of the A22-Brennero Motorway for approximately fifteen kilometres from Campogalliano up to Sassuolo (fig. 97). The aim of the 271


connects the district with the motorway network, but because the major infrastructural choices made by both the European Union and by the Italian Government with the collaboration of neighbouring countries are moving in the direction of making rail transport more convenient through the Alps. In this context, the concern is that such extensive public resources – the extent of public contribution to the project is about 215 million – are flowing into an investment that is so wrong today, and that in future the district can no longer rely on the public funding needed to modernise itself in terms of far more strategic and increasingly used railway infrastructures.

give a new impetus to the area’s reconversion process. However, this process follows a dated urban project concept, which reflects the ideas that settled on the area over time, and ends with substituting the existing industrial buildings with a shopping centre, a tertiary complex and some medium and lowdensity residential allotments. Monofunctional compartments which are flanked by a poorly placed ‘urban park’, that paradoxically separates rather than assembles together, and a road for traffic flows of a markedly suburban character (fig. 98). In January 2016, all buildings in the northern part of the area are demolished, including a large metal hangar for clays storage of great symbolic significance. The voices that rise up in the local debate asking to consider an alternative course of action – greater attention to the design of public space and its integration into the context, the reuse of structures, a gradual transformation of the area – remain unheard. The feeling is that of having lost a great opportunity – probably the main opportunity – to revive the ceramics district’s territory. Preoccupation is not only over the urban design that is taking shape – a banal design, totally incapable of establishing qualified relationships between the area being transformed and the surrounding fabric – but also and above all with the established functions. One wonders what risks are inherent, in terms of divestment, in the establishment of a new large retail space in a region that is already dense with commercial centres; what risks in terms of failure to complete the area’s transformation involving the provision of tertiary and very traditional residential developments in a context

What transpired when it came to replanning the ceramics district’s main brownfield area The second event concerns the urban restructuring of brownfield areas. The area in question is the largest and most important in the province of Modena – an area of 38,5 hectares, larger than the entire historic centre of Sassuolo – and is located on the route of the ancient Via Claudia, in a central position between Sassuolo and Fiorano M. The site of a ceramic factory belonging to the CisaCerdisa Group and operational until the end of the 1990s, it was subsequently the subject of a divestiture process that has progressively released a series of large and obsolete – but largely reusable – industrial buildings. After several projects with an unsuccessful outcome, in the summer of 2015 the interest of the Coop Alleanza 3.0 Group (a large-scale group operating in supermarkets) for the construction of a commercial facility and the signing of an agreement for the commencement of demolition and reclamation works, 272


that is already marked by several idle construction sites; what missed opportunities, finally, in terms of the failure to attract private capital that could have taken the form – here, in the heart of the district, and not elsewhere – of more strategic functions and types of buildings that are more consistent with the totally urban nature of the area.

Compensatory measures that accompany the project – worth about 4 million euros, a relatively low proportion of the rent derived from the zoning of the farmland area – follow the municipality’s intention to modernise some obsolete school infrastructures and create public service focus hubs. However, the choice does not fall on a development and restructuring project of existing public assets, but in the purchase of land – which is also agricultural and a landscape of particular value at the foot of Spezzano Castle – and in the construction, on the land in question, of a new integrated school centre (fig. 100). The operation, beyond the particular case, assumes great importance of general value because it concerns the emerging issue of how to grant and how to steer expansion requests on agricultural soil put forward by large, growing ceramic Groups, in a context marked by numerous buildings and abandoned areas. It is in the light of this value that the operation shows at least three serious criticalities. The first is related to not having been able to ‘hook’ some compensatory operation aimed at the demolition and renaturalisation of abandoned and particularly poorly placed industrial structures onto the new expansion, within the perspective of not increasing the amount of sealed land for industrial uses. The second is linked to the non-recovery of existing school infrastructures and the absence of a strategy for managing and enhancing unused public assets, given that the prospect of the sale of lots for private residential projects is extremely remote. The third, finally, is linked to the senseless location of the new school complex: a choice that

What transpired when it came to steering the application for new industrial expansion The third and final event concerns the dialectic between the divestiture of manufacturing buildings, the containment of agricultural land consumption and the new industrial expansion. During 2015, one of the largest companies of the district – System S.p.a., a leader in the production of technology for the industrial ceramics industry – turns up at the administrators’ door. It intends to implement a massive enlargement of its establishments in the Fiorano M. region. The presence of several brownfield areas in the same municipality, including large ones, fails to meet the rationality of a company that asks to build new buildings beside existing ones to optimise the production and logistics chain. Then, an agreement is entered into which allows industrial expansion on areas having a different end use, in variation to the Structural Plan in force: expansion that affects about 18 hectares of total land area (fig. 99), and which for almost 10 hectares extends on land with a high agricultural production purpose, in the heart of the potential agricultural park between the municipalities of Fiorano M., Maranello and Formigine (see Chapter 4.1). 273


not only imposes the urbanisation of new land in a very sensitive context, paradoxically in close proximity to a number of brownfield sites, but which is particularly poorly placed with respect to the major infrastructures and the potential public transport corridors. Why it turned out this way The reasons why the district’s territorial and urban policy has moved in these directions are several. First of all, very strong inertia weighed down the procedures and lines of action. In all three events – which were to devise a new infrastructure, to re-plan a large abandoned area, or to reach an agreement with the public counterpart in relation to private industrial expansion – there has prevailed a consolidated approach which local policy struggles to call into question. Even in the framework of a changed context. The case of the new motorway shows the primacy still maintained – in the ceramics district, as in the country – by road freight transport and related service sectors, as well as the political influence of a construction sector that is dangerously backwards and which, in such motorway, spots an opportunity to survive in the crisis without upgrading its modus operandi. In the case of the former Cisa-Cerdisa area, the old idea of urban restructuring rooted in the administration and in the local professionals still hangs in there: an idea that envisages the tabula rasa of the existing structures, an ‘integrated urban project’ in which the dimension of time and uncertainty is not contemplated, and a generous share of new volumes. All this, in the presupposition of demand and an increase in capital gains that simply

no longer exist. In the case of System Group’s expansion, we’re still in the presence of the worn-out formula of ‘contracted’ urbanism, which from the agreement with private operators strives to always obtain new infrastructures and new objects: even when these are not the most sensible option, or when the compensatory measures should more usefully result in the development and modernisation of existing public assets, rather than in their enlargement. The delay in becoming aware of the emergence of new conditions, the inability to adapt the project – its objectives, its themes, its forms – to a world that has changed, is evident. Moreover, some serious simplifications affected the way of understanding the design of the infrastructure, the urban regeneration, the public works and the relationship between all this and contemporary ceramics district urbanisation. These are simplifications that not only lie in administrative practice but also in the technical culture, and which are manifested in reductive projects that respond banally to complex problems. In the case of the new motorway, the demand for more efficient mobility for freight is automatically associated with the addition of a new ‘large project’, rather than the reasoning of an overall modernisation of the existing network. Worse still: a project conceived in a hyper-sectoral manner, a ‘pipe’ that is superimposed on the landscape without integrating with it, that continues to be argued within a remedial logic of ‘impact mitigation’ without calling into question its method of being placed on the land, of being inserted into the texture of agricultural tracts or along the river, of building 274


complementary structures or road access. In the case of the former CisaCerdisa disused area, the project does not in any way consider the possibility of reusing the existing structures but provides for total demolition – which is not necessary for the purposes of land remediation – and poses the sole ‘problem’ of the void to be filled. Filling that occurs in a reductive way, by dividing the area into large areas of intervention that are functionally distinct, and proposing an internal road system that only responds to the need of vehicle accessibility (effectively creating a harmful separation between the new sections and the surrounding fabric). The case of the expansion of the System establishment shows how the Municipal Administration continues to interpret private initiative operations and public works as separate worlds that can never be integrated. Losing, in fact, a rare opportunity to promote a wider urban reform project in the town’s consolidated fabric through the renewal of a school infrastructure, or to reconsider one of the many interrupted projects by incorporating public function dimensions. Finally, the trend in all the three events seems to be a structural weakness in public administration – at different levels – in asserting reasons of collective utility in respect of the positions and rationality expressed by some strong sectoral powers. In the case of the new motorway, they are the reasons of some large groups in the world of construction and the positions of the Confindustria Ceramica Association that influence the decisions of the Ministry, the Region and the Province, shutting out the voices of environmentalist associations, citizens’ committees and segments of local

politics that also have good arguments to oppose the implementation of the project. In the case of the restoration of the former Cisa-Cerdisa area, it is the desire to ‘safeguard’ the territory as expressed by an important largescale retailer that is starting the operation, and will lead it towards a spatial solution that is clearly for the benefit of commercial rationality, but entirely to the detriment of urbanity and the capacity for integration within the context. In the case of industrial expansion on agricultural land, it is the power of one of the main business groups of the district – as well as the promise/blackmail of ‘new jobs’ in a region which, since 2007, has witnessed the collapse of jobs in the ceramic sector – which makes the project substantially indisputable: in such an unbalanced relationship, the Municipal Administration cannot succeed in controlling the extension and location all that much, nor to fully capture the land rent involved. The way it could have been Aware that any change of perspective always encounters obstacles and difficulties, we believe that things could have followed a different course if the underlying issues were set within less clear-cut and limited frameworks. For example, if the infrastructure issue had been looked at in a more integrated way, considering the totality of the works linked to accessibility and paying greater attention to the context in its different aspects (not only economically, but also physically and socially) the answer could have been different. With a share of public financing that is less than that incorporated for the new motorway, it would have been possible to modernise 275


the Modena-Sassuolo motorway and the Pedemontana SP 467 road by widening and securing the routes, redesigning all the problematic junctions, and reconstructing the bridge on the Secchia river which today is a bottleneck. But above all – in relation to freight traffic – it would have been possible to implement the railway link between the rail yards of Marzaglia and Dinazzano, integrating it with wider landscaping and hydraulics of the Secchia river on its Reggio Emilia side (where an under-utilised railway track already exists). The latter is an action that would have freed the railway track between Reggio Emilia and Sassuolo from freight transit, effectively opening the possibility of re-planning this track as part of a rail-tram system of territorial value dedicated to passenger transport (see Chapter 2.2). All the mentioned interventions, by their very nature, could have established relations with the urbanised parts and the agricultural landscape around them: therefore, helping to put them back together and not to fragment them further. On the other hand, the conversion project of the former Cisa-Cerdisa area could also have taken a very different form if the project coordinators had more consciously interpreted the starting conditions. The presence of some interesting industrial buildings to be reused (fig. 101); the central position between the historic centers of Sassuolo and Fiorano M.; the proximity of facilities and potential accessibility on foot, by bicycle or by public transport; the use of the area to accommodate spaces for new jobs; the location of buildings suitable to allow gradual changes. If these elements had been chosen, the Cisa-Cerdisa

area could have been re-planned by starting mainly from a design of public space connected to the surrounding neighbourhoods and to the natural spaces of the hill; a design planned as a ‘backbone’ capable of building the conditions for the establishment of urban functions in adapted industrial buildings, and to outline a work and life environment that is attractive for new advanced enterprises. In short, it could have been a place of urbanity and intensity, the core of a larger project of centrality between Sassuolo and Maranello and it could have played a truly strategic role for the ‘city district’ in its entirety. Finally, in the case of the System Group’s expansion, the requests for space put forward by the company could have been fully met by agreeing, however, to a more informed and oriented public counterpart. In the first place, at least a part of the new volumes that the group has asked to construct on free areas would have had to be recovered through the transfer of real volumes from abandoned and particularly poorly placed industrial sites (sites to be demolished and renaturalised). Secondly, it would have been necessary to operate with greater rigour in respect of land rent, and capture a larger share on the increase in value that the private company achieves from the conversion of agricultural land into zoned land. Thirdly and lastly, the political will to renovate school infrastructures should have been directed towards operations for the reuse and adaptation of existing buildings, interpreting the urban potential that they can have if not only intended as facilities within sealed enclosures but as town places, or at least towards the choice of a 276


new location that does not generate new problems (on the one hand the management of disused schools, not easily reusable; on the other, the destruction of the landscape at a place of great beauty). All issues that take on a symbolic value because, in a context in which the signs of dynamism are almost exclusively expressed by large corporate groups, this operation could have taken on a leading role as a forerunner, marking the road for a more virtuous relationship between entrepreneurship and the development of the territory.

be heard. The three local events related here, as different national events that occurred in parallel – reflect on the path of the ‘Sblocca Italia’ (Unblock Italy) decree for development, or on the Draft Law on the containment of land consumption – bear witness with evidence. Reflecting on what all of this implies in relation to our dual role of designers and educators, two conclusive annotations come to the fore on the possible directions of work to be undertaken. On the one hand, there is an evident communication problem in the academic spheres of architecture and urban planning. Universities need to enrich their rules and communication systems to resume contact with public opinion, to more effectively understand their reasons and to enter into more persuasive dialogue with politics and the various local stakeholders. On the other hand, there is a problem with the positioning of research paths and didactic exercises. Too frequently, these appear to be placed within backgrounds that can be educationally rewarding, but which are likely to be substantially self-reflective exercises of little importance. Instead, it is essential that research activity and teaching lie ‘in the things’: to learn and measure against conflict, and to understand and indicate possible lines of action.

What we learn from the experience in the district The three events, seen together, send a clear message. We are told that recycling and the relational dimension of urban planning – that is, the recycling of ‘territories’ and not of buildings – in our country are not on today’s agenda, nor are they on the agenda of the future. Academic discourse can celebrate the paradigm shift but – in the best case scenarios – there is still strong inertia in political-administrative practices. How to interpret this situation? We are in the midst of a transition phase in which a change of perspective, which although can be based on many and solid reasons, encounters considerable resistance if not a downright refusal to

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APPARATI/ APPENDIX

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102.

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DIARIO DELLA RICERCA/ RESEARCH DIARY

La ricerca presentata in questo libro è frutto di un lavoro collettivo svolto tra il 2013 e il 2016. Esso si è via via costruito con il contribuito degli studenti del Laboratorio di progettazione urbanistica tenuto dai prof. Arturo Lanzani, Chiara Merlini e Federico Zanfi (Laurea Magistrale in Architettura, Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano) cui hanno collaborato i tutors Cristiana Mattioli, Claudia Parenti e Marco Zanini e si è alimentato attraverso numerosi sopralluoghi e incontri nel distretto ceramico. A tutti coloro che hanno partecipato va il ringraziamento degli autori. The research presented in this book is the result of a collective work carried out between 2013 and 2016. It has been gradually built with the contribution of the students attending the Urban Design Workshop - taught by professors Arturo Lanzani, Chiara Merlini and Federico Zan± (Master of Science in Architecture, School of Architecture and Society of the Politecnico di Milano) and tutors Cristiana Mattioli, Claudia Parenti e Marco Zanini - and fueled by several ±eld surveys and meetings organized in the ceramics district. To all those who participated deserve the thanks of the authors. 293


Laboratorio di progettazione urbanistica/Urban Design Workshop Anno Accademico/Academic Year 2013-14 Studenti/Students: Agostino Laura, Arestia Davide, Arrighetti Cristiano, Baglioni Nicolas, Bariani Irene, Bertone Eleonora, Caliò Francesco, Camaggio Roberta, Cardinale Giulia, Castellani Camillo, Cinquegrana Rossana, Cossu Tommaso, Di Mare Jessica Giovanna, Fata Federica, Favotto Annalisa, Ferrari Clara, Figaroli Fabio, Fortunato Andrea, Gandelli Lucia, Gastaldelli Andrea, Germani Alberto, Giambelli Andrea, Giannotti Fulvio, Gramellini Matteo, Guegan Donatien, Hadjimichalis Lucas, Kalivas Alessia, Lissignoli Dario, Liu Jingyao, Maltese Gabriele, Martinoglio Marta, Mennuni Tommaso, Moradi Zirkohi Azin, Ottaviano Silvia, Ozsahin Ceren, Palumbo Michele, Pasta Federico, Perale Giorgia, Pettinaroli Matteo, Pizzinga Giordana, Plebani Elena, Procopio Giulia Palma, Proserpio Fulvia, Rigon Federica, Rota Omar, Ruatti Maria Caterina, Sacripante Alessandra, Sgargi Mario, Simoni Davide, Sorgini Valerio Maria, Sorrentino Domenico, Taronna Greta Maria, Tolotti Martina, Torsiglieri Carlotta, Vailati Simone, Venditti Simone, Versari Elisa, Visioli Lorenzo, Volpe Giacomo, Zucca Valentina Rossella Anno Accademico/Academic Year 2014-15 Studenti/Students: Alampi Fabio Umberto, Allegretti Greta, Ambrosi Francesca, Andreoni Greta, Angelillo Gabriella, Aragni Annalisa, Barausse Diletta, Benedetti Giulia, Bronzi Simone, Cardozo Paniccia Andres Camilo, Colombo Giulia, Colucci Giulio, Comi Serena, Consonni Claudia, Cortesi Paola, Cortinovis Michele, Cremonesi Andrea Filippo, Cuttitta Giulia, D’Agrosa Roberta, Dalbosco Daniele, De Capitani Paolo, Deibis Rodriguez Laureana Isabel, Donati Clara, Eidani Asl Nastaran, Fabris Martina, Gallizioli Luca, Ghizzoni Giulia, Giraldo Carmona Sebastian, Grecchi Lorenzo, Grigato Valentina, Gruber Figarelli Andrea Carolina, Guarano Viola, Guzzini Vanessa, Inselvini Mattia, Lanzi Giovanni, Li Yanxi, Mertens Diet, Pagani Luca, Pastore Cecilia, Pisano Giacomo, Pucci Daniele Francesca, Rizzo Carla, Rocco Sara, Sadikaj Aurela, Sala Nicolò, Sala Roberto, Sannino Nicolò, Santi Matteo, Song Tiantian, Vekemans Annelies, Vidotto Damiano, Xiong Li Anno Accademico/Academic Year 2015-16 Studenti/Students: Baldi Gino, Bernardi Andrea, Bocchi Paolo, Bruhat Emmanuelle, Buttà Francesco, Cadamuro Andrea, Cittadini Alessandra, Corbani Federica, Cossa Gloria, Croci Valerio, De Costanzo Tommaso, Demasi Vincenzo, Esposito Fabrizio, Fantini Benedetta, Forti Laura, Trivella Francesca, Galli Alessandra, Galli Costanza, Gambero Paola Elena, Graziani Giulia, Hannebert Vincent, Lanzini Mattia, Lazzari Luca Andrea, Lunghi Sofia Costanza, Maestroni Sabrina, Maio Marika, Monte Pauline, Paulot Ines, Pialli Giulia, Pirillo Davide, Portela Santoa Aline, Pugliese Andrea, Pulici Valentina, Rossi Andrea, Ruggieri Andrea, Santoni Mirko, Santos Aline Portela, Savanco Cecilia, Sperotto Sonia, Terracini Giorgia, Tettoni Mattia, Trivella Francesca, Turatto Giulia, Valmori Ruggero, Vignardi Giulia, Visentini Matteo, Sun Yi, Zanon Sandro, Ziglio Chiara 294


Sopralluoghi ed eventi nel distretto/Field surveys and events organized in the ceramics district Sassuolo (MO), Confindustria Ceramica, conferenza stampa e presentazione della ricerca/Press conference and research launch (autunno/fall 2013). Territorio della città-distretto, visita ad alcune delle principali aziende ceramiche/ Ceramics district territory, visit to some of the major companies: Marazzi Group, Florim Group, Casalgrande Padana (ottobre/October 2013). Spezzano (MO), 23.10.2014: Seminario/Seminar “Voci dal distretto ceramico. Temi per un’agenda urbana e territoriale/Voices from the Ceramics District. Issues for an Urban and Territorial Agenda”. Interventi/Interventions: Bandieri Roberto (agronomo/Agronomist, Università di Modena e Reggio Emilia), Debernardi Andrea (ingegnere trasportista/Transport Engineer, Studio META), Lugli Francesca (geologa/Geologist, Provincia di Modena), Schenetti Gregorio (Assessore alla cittàdistretto, Comune di Sassuolo/Councillor on Strategic Planning and ‘City-district', Municipality of Sassuolo), Vandelli Vincenzo (architetto/Architect, Studio Progettisti Associati, Sassuolo). Territorio della città-distretto, visita ad alcune delle principali aziende ceramiche/ Ceramics district territory, visit to some of the major ceramics companies: Marazzi Group (ottobre/October 2014). Territorio della città-distretto, visita al Museo della Ceramica, sezione “Manodopera”/Ceramics district territory, visit to Ceramics Museum, “Manodopera” section (ottobre/October 2014). Sassuolo (MO), Teatro Carani, 19.05.2014: Convegno/Convention “La città-distretto. Una nuova idea di sviluppo territoriale/The city-district. A New Idea of Territorial Development”. Interventi/Interventions: Aldo Bonomi (sociologo/Sociologist, AASTER Milano), Roberto Masiero (professore/Professor, IUAV Venezia), Franco Mosconi (professore di economia/Economics Professor, Università di Parma), Magda Antonioli (professoressa/Professor, Bocconi Milano), Claudio Bertorelli (Presidente/Chairman Centro Studi Usine, TV), Federico Zanfi (ricercatore/Assistant Professor, DAStU - Politecnico di Milano, per il Gruppo di ricerca Re-Cycle Italy). Sassuolo, Aula Magna Polo Scolastico, 23.06.2015: Convegno/Convention “Obiettivo sviluppo: dalla visione alla progettazione operativa/Development Objective: from vision to planning”. Interventi/Interventions: Claudio Pistoni (Sindaco di Sassuolo/ Major of Sassuolo), Aldo Bonomi (sociologo/Sociologist, AASTER Milano), Arturo Lanzani (professore/Professor, DAStU - Politecnico di Milano, per il Gruppo di ricerca Re-Cycle Italy), Gregorio Schenetti (Assessore alla città-distretto, Comune di Sassuolo/Councillor on Strategic Planning and ‘City-district', Municipality of Sassuolo), Vittorio Borelli (Presidente/Chairman of Confindustria Ceramica), Andrea Giorgi (Vice-sindaco/Deputy major of Scandicci-FI), Patrizia Messina (professoressa/ Professor, Università di Padova), Renato Mattioni (Segretario Generale/Secretarygeneral of CCIAA of Monza and Brianza), Stefano Bonaccini (Presidente Regione Emilia-Romagna/Governor of the Emilia-Romagna Region). 295


Sassuolo, località Salvarola. Visita agli impianti delle Terme della Salvarola/Visit to Salvarola Spa Center (ottobre/October 2015). Fiorano Modenese. Visita alle aziende ceramiche/Visit to ceramics companies: Laminam, Gruppo System (ottobre/October 2015). Fiorano Modenese. Visita al centro ippico Riola Valley, recupero sito dismesso/ Visit to Riola Equestrian center, reused former industrial area (ottobre/October 2015). Fiorano Modenese, Biblioteca "Paolo Manelli", 16.10.2015: Seminario/Seminar “Immagini al futuro per la città-distretto/Forward-looking Images for the city-district”. Interventi/Interventions: Francesco Tosi (Sindaco di Fiorano Modenese/Major of Fiorano Modenese), Ferruccio Giovannelli (Assessore Provinciale all’Ambiente 2000– 2004/Provincial Councillor on Environment 2000-2004), David Zilioli (abitante del quartiere Braida/inhabitant of Braida neighbourhood), Antonio Caselli (presidente/ Chairman Greslab soc. coop.), Gregorio Schenetti (Assessore alla città-distretto, Comune di Sassuolo/Councillor on Strategic planning and ‘City district, Municipality of Sassuolo). Seminari presso il Politecnico di Milano/Seminars at the Politecnico di Milano 17.10.2013. Seminario/Seminar “Nascita e sviluppo del distretto ceramico di Sassuolo: analisi delle trasformazioni di un modello/Genesis and Evolution of the Ceramics District in Sassuolo”. Intervento/Intervention: Margherita Russo (professoressa di Economia/Economics professor, Università di Modena e Reggio Emilia). 05.12.2013. Seminario/Seminar “Tavolo di crisi. Impresa, lavoro e urbanistica nel distretto di Sassuolo/Business, Labour and Urban Planning in the Ceramics District of Sassuolo”. Interventi/Interventions: William Ballotta (Segretario Generale/ Secretary-general CISL Modena), Cristina Ceretti (Assessore alla formazione professionale e mercato del lavoro, Provincia di Modena/Councillor on Vocational Formation and Labour Market, Province of Modena), Graziano Pattuzzi (Sindaco di Sassuolo 2004-2009/Major of Sassuolo 2004-2009). 30.10.2015. Seminario/Seminar. Interventi/Interventions: Luca Lombroso (metereologo/Meteorologist, DIEF/Università di Modena e Reggio Emilia) e Antonio Longo (urbanista/Urban Planner, Politecnico di Milano). 13.11.2015. Intervento di Andrea Debernardi (ingegnere trasportista/Transport Engineer, Studio META, Mobilità Economia Territorio Ambiente).

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AUTORI/ AUTHORS

Andrea Debernardi Ingegnere civile, Dottore di ricerca in Pianificazione territoriale ed ambientale, è titolare dello Studio META, con il quale svolge attività di consulenza professionale nel campo della mobilità. Ha redatto numerosi piani del traffico e della sosta, e progetti sull'assetto delle reti di trasporto pubblico e privato a scala regionale e locale. Svolge attività di supporto alla "project review" delle opere di interesse nazionale per conto della Struttura Tecnica di Missione istituita presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Civil Engineer and PhD in territorial and environmental planning. Principal of META Studio, a consulting company in the mobility sector. He developed many plans and projects about public and private transport network, at local and regional scale. He is also consultant for the project review of national major infrastructural works within the 'Struttura Tecnica di Missione' at the Italian Ministry of Infrastructure and Transport. Arturo Lanzani Urbanista e geografo, è Professore Ordinario presso il Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano. Nella sua attività di ricerca si è occupato della trasformazione dei paesaggi italiani, dell’emergere di nuove configurazioni insediative e di nuovi modi di abitare nella metropoli milanese e nei territori dell'urbanizzazione diffusa italiana. All’attività didattica e di ricerca in ambito universitario ha sempre affiancato una attività politico-amministrativa e di consulenza tecnica all’interno di Amministrazioni pubbliche ed Enti parco, 297


redigendo diversi piani urbanistici comunali e d’area vasta e alcuni progetti territoriali. Urban planner and Geographer, he is Full Professor at the Department of Architectural and Urban Studies of Politecnico di Milano. During his research activity he dealt with the transformations of Italian landscape, the emerging of new settlement forms and new ways of life within the Milanese metropolis and the territories of 'città diffusa'. He always combined the academic activity with political, administrative and technical commitment for Municipalities and Park Authorities, developing several urban and territorial projects, as well as strategic plans. Cristiana Mattioli Architetto e Dottore di Ricerca in Governo e Progettazione del Territorio. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla metamorfosi dei contesti a urbanizzazione distrettuale, sulla riattivazione delle aree industriali dismesse e sul riarticolarsi del rapporto produzione-territorio-società. Ha partecipato a diverse attività di ricerca, masterclass e workshop internazionali e dal 2011 è cultore della materia in Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Architect and PhD in Territorial Government and Design. Her research activity has focused on the metamorphosis of industrial districts, brown±elds reactivation and the evolution in the nexus between production, territory and society. She has contributed to several researches, masterclass and international workshops, and since 2011 she is tutor of Urbanism at the Department of Architecture and Urban Studies of Politecnico di Milano. Chiara Merlini Architetto e Professore Associato di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. La sua attività di ricerca si è concentrata sulle forme e sulle trasformazioni della città e dei territori contemporanei, con particolare riguardo agli insediamenti dispersi e a bassa densità in diversi contesti italiani. Ha approfondito i temi della qualità urbana, della qualità del progetto urbanistico e della regolazione delle trasformazioni edilizie, soprattutto in relazione ai paesaggi “ordinari” dell'abitazione. Architect and Associate Professor in Urbanism at the Department of Architecture and Urban Studies of Politecnico di Milano. Her research activity has focused on the forms and transformations of contemporary city and territory, paying particular attention to widespread and low-density settlements in different Italian contexts. She has deepened issues relating to urban quality, quality of urban design and building regulation codes, with speci±c attention to 'ordinary' residential landscapes. Claudia Parenti Architetto e Dottore di ricerca in Pianificazione Urbanistica Territoriale e Ambientale. Si occupa di progettazione urbanistica e paesaggistica a differenti scale, sia in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, sia come consulente per Enti pubblici e privati. La sua 298


attività di ricerca si è concentrata sullo studio e il progetto dei sistemi ambientali, esplorando in particolare i temi della riqualificazione degli spazi aperti e della gestione delle acque nei tessuti urbanizzati. Architect and PhD in Territorial, Environmental and Urban Planning. She deals with urban and landscape design, as a consultant for the Department of Architecture and Urban Studies of Politecnico di Milano and for private and public commitments. Her research activity has focused on environmental systems design, exploring in particular open space redevelopment and water management in urban contexts. Federico Zanfi Architetto e Ricercatore in urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. La sua attività di ricerca si è concentrata sulle trasformazioni “dopo la crescita” di alcuni ambienti insediativi italiani. In particolare ha sviluppato strategie di riforma per la città abusiva nel Mezzogiorno, per le urbanizzazioni diffuse al centro-nord del paese e per gli habitat residenziali dei ceti medi in alcune grandi aree metropolitane. Architect, Assistant Professor in Urbanism at the Department of Architecture and Urban Studies of Politecnico di Milano. His research activity gravitates around the 'post-growth' transformation of the 20th century built heritage, with a focus on Italian urban systems: he has developed reform strategies for unauthorised southern settlements, for the 'città diffusa' in central-northern regions, and for middle-class condominiums in the main metropolitan areas. Marco Zanini Ha studiato architettura al Politecnico di Milano e alla TU di Vienna, e si è laureato con una tesi sulle trasformazioni degli insediamenti residenziali a bassa densità nel territorio dell'ovest milanese a fronte dei recenti cambiamenti sociali e demografici. Oggi pratica la professione di architetto presso lo studio Brusa Pasquè, ed è tutor in urbanistica presso il Politecnico di Milano. È promotore di diverse iniziative partecipative rivolte alla rigenerazione urbana sul territorio di Varese. He studied Architecture at Politecnico di Milano and TU Wien. His master thesis dealt with the trasformations of low-density residential settlement in nort-western Milanese region in the light of the recent evolutions in society and demography. Nowadays he is working as designer at Brusa Pasquè architectural ±rm, and he is tutor in Urban design courses at Politecnico di Milano. He is promoting several urban regeneration initiatives within Varese area.

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Finito di stampare nel mese di settembre del 2016 dalla tipografia «la Cromografica S.r.l.» 00156 Roma – via Tiburtina, 912 per conto della «Aracne editrice int.le S.r.l.» di Ariccia (RM)



Riciclare distretti industriali è il ventottesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – ½nanziato dal 0inistero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la de½nizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. Questo libro raccoglie una serie di progetti per il territorio del distretto ceramico di Sassuolo, sviluppati nell’ambito dell’attività didattica e di ricerca da un gruppo di urbanisti del Politecnico di 0ilano. $lla base delle proposte sta la convinzione che questo distretto – come altri distretti industriali italiani in trasformazione – riuscirà a rimanere attrattivo e vitale solo se il progetto urbanistico saprà coniugare le esigenze delle imprese e della società locale con la ricerca di qualità nello spazio urbano, rurale e naturale. Recycling Industrial Districts is the twenty-eighth volume of the “Re-cycle Italy” series. The series returns intentions, results and events of a three-year research program – funded by the Italian Ministry of Education, University and Research – which has involved more than one hundred scholars in architecture, urban planning and landscaping from eleven Italian universities. “Re-cycle Italy” program targets the exploration and the development of new lifecycles for those spaces of the city and the territory that have lost meaning, use and care. This book gathers a set of projects concerning the ceramics district of Sassuolo, conceived as part of the research and teaching activities of a group of urban planners from Politecnico di Milano. The proposals are formulated on the basis of the belief that this district – as well as other Italian industrial districts undergoing transformation – will manage to remain attractive and viable only if urban planning will combine the needs of both enterprises and local community with urban, rural and natural quality.

ISBN

euro 30,00

978-88-548-9082-4


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