Territori interni

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Territori interni

Territori interni è il diciasettesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. Il libro contribuisce al paradigma Re-cycle definendo in che modo esso possa essere applicato a specifiche condizioni territoriali, come i territori interni, declinando i contorni epistemologici, gli strumenti progettuali e le applicazioni territoriali della pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da cicli di vita rurali alimentati dai metabolismi culturali e ambientali. Gli Autori, insieme alle voci che contribuiscono allo sviluppo del tema, chiariscono in che modo l’integrazione tra le strategie di sviuppo territoriale, la tutela delle risorse culturali e paesaggistiche, i paradigmi ecomonici, gli aspetti imprenditoriali e quelli della valutazione strategica in campo ambientale creano un milieu di integrazione delle voci dello sviluppo, in territori “interni” che hanno perso la continuità dei cicli di vita che ne hanno costituito per secoli armatura di identità e sviluppo. Viene proposto quindi un progetto di territorio fatto dalla ricucitura di cicli insediativi e produttivi dei territori dei Sicani, una delle aree previste dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, attraverso politiche attive di interazione delle attività didattiche e di ricerca universitaria con le azioni di sviluppo locale. Il libro raccoglie anche gli esiti del Master Universitario di secondo livello in “Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile” svolto nell’anno accademico 2013-2014 a Bivona presso il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina per l’energia, l’ambiente e le risorse del territorio. isbn

TERRITORI INTERNI

978-88-548-9009-1

Aracne

euro 24,00

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TERRITORI INTERNI LA PIANIFICAZIONE INTEGRATA PER LO SVILUPPO CIRCOLARE: METODOLOGIE, APPROCCI, APPLICAZIONI PER NUOVI CICLI DI VITA

MAURIZIO CARTA DANIELE RONSIVALLE

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright Š MMXV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (06) 93781065 ISBN 978-88-548-9009-1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. Il volume contiene ricerche condotte nell'ambito del PRIN 2011 "Re-cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della cittĂ e del paesaggio", del Laboratorio di Sviluppo Locale | SicaniLab di Bivona e del Master di II livello in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio I edizione: dicembre 2015

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA PRIN 2013/2016 DI INTERESSE NAZIONALE PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE

Unità di Ricerca Università di Venezia Unità diIUAV Ricerca Università degli Studi di Trento Università IUAV di Venezia Politecnico di Milano Università degli Studi di Trento Politecnico di Torino Politecnico di Milano Università deglidiStudi di Genova Politecnico Torino Università degli Studi di Roma Università degli Studi di Genova “LaUniversità Sapienza”degli Studi di Roma Università degli Studi di Napoli “La Sapienza” “Federico II” degli Studi di Napoli Università Università degli “Federico II” Studi di Palermo Università degli Studi Università degli Studi di Palermo “Mediterranea” di Università degliReggio Studi Calabria Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria “G. Università d’Annunzio” Chieti-Pescara degli Studi Università degli Studi di Camerino “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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INDICE

INTRODUZIONE I territori dell'innovazione locale: dalla ricerca allo sviluppo sperimentale Maurizio Carta, Daniele Ronsivalle

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RE-CYCLING INNER LAND: PARADIGMI E PROSPETTIVE Innovazione, Circolarità e Sviluppo Locale. La sfida dei territori interni Maurizio Carta

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Lo sviluppo locale non è un'ovvietà, non è un luogo comune Giovanni Panepinto

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Zero esternalità per la pianificazione integrata. La valutazione strategica per la tutela e la valorizzazione delle risorse culturali, paesaggistiche e ambientali dei territori interni Daniele Ronsivalle

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SVILUPPO LOCALE: METODOLOGIA E PROCESSI La prospettiva “rurbana” nello sviluppo regionale: risorse, opportunità e nodi per le aree interne della Sicilia Ignazio Vinci

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Marginalità e sviluppo locale: il caso di Bivona Vincenzo Provenzano

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Il Ruolo del Paesaggio e del Patrimonio Culturale per la Valorizzazione del Territorio Alessandra Badami

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Il territorio dei Monti Sicani. Il sistema delle risorse territoriali per l'attivazione di politiche di sviluppo locale Annalisa Contato, Marilena Orlando Filiera della conoscenza, innovazione ed imprenditorialitĂ Umberto La Commare

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RI-PENSARE I MONTI SICANI: APPLICAZIONI E SPERIMENTAZIONI DI PIANIFICAZIONE INTEGRATA Permanenze, resistenze, adattamenti. Il riciclo e la "lentezza" come strategie di metamorfosi per i Sicani Barbara Lino

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La greenway dei Sicani Andrea Carubia, Francesco Gravanti, Emanuele Messina Maria Teresa Pollara, Pietro Sardina

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170 Le stazioni del gusto: coesione territoriale e opportunitĂ di sviluppo Salvatore Cimino, Giorgio Cuccia La VAS come strumento per la progettazione sostenibile Luca Torrisi

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Riferimenti bibliografici

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Note Biografiche

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INTRODUZIONE

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I TERRITORI DELL’INNOVAZIONE LOCALE: DALLA RICERCA ALLO SVILUPPO SPERIMENTALE Maurizio Carta Daniele Ronsivalle

Introduzione I nuovi assetti territoriali regionali e nazionali tra riforma delle province e introduzione operativa delle città e delle aree metropolitane, soprattutto nelle vicende regionali siciliane, sta contribuendo a modificare ancora una volta la relazione tra comunità locali e università. La fine della stagione delle sedi decentrate e delle politiche di forte territorializzazione e radicamento nei territori e la riduzione delle occasioni (anche di budget) per la localizzazione di corsi e attività di ricerca fuori dalle mura degli Atenei ha per lungo tempo determinato forti crisi di relazione con i territori. Quel modello di attività didattica universitaria e di ricerca deriva dal disegno di lungo periodo del modello programmatico del Progetto 80, in cui le sedi universitarie avrebbero dovuto essere poste ad una distanza massima di un’ora dalle provenienze degli studenti. Il decentramento e la territorializzazione delle sedi raggiunte negli ultimi decenni con una progressiva strutturazione di didattica tematica orientata alla domanda dei territori hanno dovuto essere ripensate per la difficile sostenibilità di alcune scelte. Inoltre, l’Università ha progressivamente incrementato le proprie relazioni – materiali e immateriali – nei confronti dei territori, basate sulla pre-

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senza di laboratori e di luoghi di sperimentazione, piuttosto che solo sulla presenza di aule per la formazione universitaria di primo e secondo livello. Dalla parte degli enti locali e delle amministrazioni che rappresentano i territori, inoltre e molto di recente, si è venuta a creare una condizione di vuoto rispetto ai soggetti di riferimento al livello regionale e di area vasta: la fine delle province regionali siciliane nella configurazione derivante dalla legge regionale 9/86 ha posto ai soggetti locali il problema di individuare nuovi riferimenti che non sono più riscontrabili solo nel soggetto amministrativo regionale. La struttura della coesione locale, sussidiata e supportata dalle figure intermedie delle province regionali, viene sostituita dalla presenza di altri soggetti intermedi: gli Enti Parco e le Società di Sviluppo Locale, ad esempio, diventano fulcro per una nuova aggregazione di obiettivi strategici di sviluppo e di interessi convergenti per l’innovazione dei sistemi territoriali nell’ambito della Smart Specialization Strategy. L’Università, in questo contesto, assume un ruolo di garanzia e supporta gli approcci innovativi dei territori locali su cui sarà possibile costruire nuovo sviluppo. Alcuni casi specifici che riflettono su questo nuovo stato di cose sono accomunati, pur nella loro diversità di contenuti sperimentali, da un nuovo approccio in cui la progettazione del futuro dei territori è esso stesso un caso di sperimentazione, in cui l’innovazione delle procedure, dei conte-

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nuti e degli strumenti adottati spinge i territori a candidarsi sempre più frequentemente come oggetti della sperimentazione. Laboratori come il SicaniLab per lo sviluppo locale costruiscono sviluppo sperimentale in territori innovativi. SicaniLab ha una mission di forte impatto territoriale: la presenza dell’Università, non solo come ente di ricerca, ma anche come facilitatore ed attivatore di sviluppo sembra essere per i territori locali il punto di forza per l’incremento delle proprie potenzialità. Questo volume racconta da vari punti di vista il modo in cui si costruiscono nuove relazioni di “affidamento” ai think-tank territoriali e alle istituzioni culturali e coglie alcuni aspetti significativi: la relazione con l’innovazione territoriale come framework di riferimento per la costruzione di nuovi cicli di vita, di nuove economie circolari e di intersezioni feconde fra identità, territori, tecnologie, insieme con la nuova smartness urbana e territoriale. Il SicaniLab ha già affidato al suo territorio di riferimento gli esiti del Master Universitario di secondo livello in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile, presentati nella terza parte di questo libro, e ha dimostrato la sua capacità di operatore territoriale nel veicolare idee, progetti, innovazione: questo è stato possibile solo perché i framework di riferimento e i modelli operativi sono già consolidati per potere aggiungere ulteriori livelli di innovazione e perché i territori hanno riconosciuto la rilevanza del Laboratorio come promotore e attivatore di sviluppo.

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I territori interni nel progetto del Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina per l’energia, l’ambiente e le risorse del territorio Il contesto territoriale dei Sicani presenta una forte prevalenza delle risorse naturali, agricole e zootecniche e di qualità culturali identitarie e una ridotta complessità dei sistemi urbani: in questa realtà nasce il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina per l’energia, l’ambiente e le risorse del territorio. Il Polo prende avvio nel 1999 attraverso la stipula di un Accordo di Programma tra la Regione Siciliana, l’Università di Palermo, la Provincia Regionale di Agrigento e i Comuni di Bivona e Santo Stefano Quisquina. Tale Accordo configura la realizzazione di un polo di ricerca applicata avente la connotazione di collegamento tra l’insegnamento superiore, la ricerca e lo sviluppo, i centri di innovazione e il tessuto economico del territorio. In particolare le attività previste possono essere così sintetizzabili: 1. applicazione e diffusione - compreso il trasferimento di tecnologie - di prassi e processi che permettono di controllare, ridurre o prevenire le emissioni, causate dall’uomo, di gas ad effetto serra nei settori dell’agricoltura, della forestazione e della gestione dei rifiuti; 2. promozione di una pianificazione e gestione sostenibile nonché la conservazione e l’incremento, se del caso, della biomassa, delle foreste, nonché degli altri ecosistemi terrestri, costieri e marini e dei sistemi culturali locali; 3. sviluppo ed elaborazione di opportuni piani integrati per la gestione delle zone montane e costiere, per le risorse idriche e per l’agricoltura, nonché per la protezione del paesaggio e dell’ambiente; 4. promozione della ricerca scientifica, tecnologica, tecnica, socioeconomica con indagini sistematiche finalizzate alla creazione di archivi di dati concernenti il sistema climatico e volti a migliorare le conoscenze, riguardo alle cause, gli effetti, alla portata e al periodo dei cambiamenti climatici e riguardo alle conseguenze economiche e sociali delle varie strategie di intervento; 5. promozione di interventi formativi finalizzati a sensibilizzare la popolazione locale riguardo ai cambiamenti climatici, nonché a formare esperti in gestione sostenibile del territorio e sviluppo locale. L’intervento si inquadra in un piano più generale per l'ex provincia di Agrigento e ha come obiettivo strategico quello di favorire l’interazione tra le attività di ricerca e le attività produttive altamente qualificate, nonché

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la diffusione attraverso interventi formativi- informativi. Esso è pensato quindi come un insieme integrato di attività che, attraverso la ricerca e la diffusione dei risultati con interventi divulgativi e formativi mirati, possono promuovere la valorizzazione economica del territorio conseguente al trasferimento di tecnologia e saperi al mondo delle imprese locali. Questo obiettivo strategico viene perseguito attraverso specifici interventi ed azioni volti a introdurre modificazioni di natura strutturale nel tessuto produttivo del territorio di Bivona e Santo Stefano Quisquina attraverso la promozione di nuove specializzazioni su aree scientifiche e tecnologiche di valenza strategica ed inoltre promuovere il trasferimento tecnologico come condizione essenziale per l’irrobustimento del tessuto produttivo esistente. I territori di contesto sono già molto attivi dal punto di vista della progettazione e realizzazione di interventi di diversificazione delle linee di sviluppo. In particolare, le attività relative alla tutela e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali e quelle relative al potenziamento delle risorse agricole ed energetiche sono già attivate e, quindi, il Laboratorio "Sicani Lab" lavora su territori già sufficientemente fertili e attivi. Quello che il Laboratorio porta è la ricentralizzazione di questi territori nel quadro regionale e la presenza di soggetti esterni, non solo con funzione di visitatori, ma come componenti stanziali e persistenti all’interno del territorio dei Sicani.

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La funzione che l’Università assume, in questo caso, è duplice: si produce conoscenza attraverso le attività di un laboratorio polifunzionale, su incarico o su indicazione di imprese del territorio o come promozione sulla base delle interazioni con imprese o altri centri di ricerca, sullo sfondo delle nuove esigenze del mercato; si diffonde conoscenza avanzata attraverso attività seminariali, incontri a tema, corsi di specializzazione. Queste macro attività saranno svolte nell’ottica di stimolare altre iniziative quali, ad esempio: • produrre servizi innovativi (legati principalmente alle attività del laboratorio polifunzionale); • migliorare l’efficienza produttiva (favorendo l’ottimale utilizzo delle strutture esistenti, quali i laboratori e i locali di accoglienza); attrarre altre imprese che vogliono insediarsi nel territorio, offrendo supporto logistico per le attività di start-up. L’approccio proposto ai territori è da intendersi come supporto ad un’evoluzione sociale, economica ed ambientale, proprio grazie all’integrazione delle attività umane con le risorse disponibili, le caratteristiche ambientali e gli obiettivi sociali. A tal fine, il Polo Universitario si configura con una forte connotazione interdisciplinare che promuove la valorizzazione dei risultati e delle competenze a fini produttivi e sociali e favorisce il trasferimento tecnologico dei risultati sia delle ricerche svolte che di quelle facenti parte del contesto della letteratura scientifica nazionale ed internazionale. Le attività di ricerca del Polo Il core delle attività del Polo Scientifico attiene ai temi dell’energia e delle risorse territoriali, con la partecipazione di due strutture di ricerca dell’Università di Palermo. Per quel che attiene l’energia, i temi e gli obiettivi di lavoro sono: • caratterizzazione dell’impatto ambientale delle attività agricole ed industriali del territorio; • caratterizzazione delle biomasse ai fini della loro trasformazione in bio carburanti; • controllo di qualità dell’Ambiente a sostegno del prodotto agricolo (marchi di qualità, marchi ambientali); • sistemi di gestione per la qualità ambientale;

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monitoraggio ambientale indoor per edifici di pregio e adibiti ad attività museali ed espositive; • monitoraggio ambientale outdoor per il controllo e la classificazione dei parametri climatici locali. Per quel che riguarda le risorse territoriali il Polo Scientifico sta lavorando a: • attività di approfondimento e aggiornamento dello stato della pianificazione di area vasta per l’individuazione di eventuali buone pratiche da valutare nell’ottica di conservazione-trasformazione di questo territorio a forte rilevanza naturale e culturale; • partecipazione a gruppi di ricerca su temi relativi alle trasformazioni in territori riconoscibili come sistemi culturali locali maturi o in condizioni di predistretto; • individuazione di percorsi di intepretation planning volti al rafforzamento delle identità locali prima che alla valorizzazione delle risorse culturali e ambientali; • attività di approfondimento dei temi della valutazione dei piani e dei processi di pianificazione, in particolar modo di studio degli strumenti di valutazione dei piani e dei progetti orientati alla riqualificazione, alla costruzione di nuovi paesaggi urbani e di dotazione infrastrutturale di territori – simili a quelli dei Sicani - definibili “a sviluppo lento”; • attività di valutazione delle ricadute degli interventi in campo di sostenibilità energetica e ambientale sulla qualità del territorio e dei paesaggi locali. Il Polo, inoltre, lavora su più fasi operative, in relazione alla domanda che il territorio pone. In fase iniziale la produzione delle analisi di contesto e di scenario e la produzione di soluzioni finalizzate ad una nuova e più efficiente regolazione dei cicli di vita e pianificazione della localizzazione delle funzioni attrattrici (culturali, economiche e di servizio) include aspetti tradizionali e innovativi, guarda alle funzioni urbane e territoriali attraverso ottiche nuove che includono tempo, energia, human data. In fase intermedia viene strutturata una costante connessione con le esigenze di pianificazione e gestione urbana, producendo o assumendo analisi o proposte operative di settore e elaborando indirizzi di governance urbana e di pianificazione integrata dello sviluppo sostenibile: il laboratorio diventa un “hub intelligente” di progettazione integrata.

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In fase permanente nel Laboratorio si struttura la comunicazione e diffusione delle metodiche, dei protocolli operativi e degli esiti della progettazione, concorrendo al rafforzamento dell’innovazione sociale. Le attività formative rivolte al teritorio Le attività di ricerca sono accompagnate da attività formative di terzo livello nella forma di due master universitari che si tengono a Bivona e che riguardano i due settori di ricerca del Laboratorio: il Master Universitario di secondo livello in “Pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile del territorio” (coordinato da Maurizio Carta, vicecoordinatore Daniele Ronsivalle) e il Master Universitario di secondo livello in “Energy Management” (coordinato da Gianfranco Rizzo). L’elemento interessante nelle relazioni con il territorio è che la presenza dell’attività didattica in un territorio interno, a 150 km da Palermo, ha ristabilito positivamente le relazioni funzionali, gli usi, le attività e i cicli urbani di Bivona. Il master in Pianificazione integrata assume i protocolli dello smart planning e l’innovazione dell’approccio allo sviluppo dei territori locali, il master in Energy Management forma esperti capaci di applicare i principi della gestione dell’energia in territori, come i Siciani, con profili energetici specifici, ma la stessa presenza dei due master ha già prodotto effetti di riflesso rispetto ad alcune componenti: 1. ha attivato un legame permanente di relazioni istituzionali tra gli organi di governo della piccola cittadina dei Sicani e le strutture amministrative e di ricerca dell’istituzione universitaria; 2. ha portato city users in un contesto non abituato alla presenza di soggetti esterni rispetto al fatto che il tessuto sociale è deformato da questa presenza; 3. ha localizzato a Bivona studenti che non sono più giovani universitari dei corsi di laurea o laurea magistrale, ma professionisti che si propongono come soggetti economici attivi e che, a complemento dell’attività didattica, stanno già proponendosi come protagonisti dello sviluppo locale; 4. ha prodotto effetti di modifica di alcune destinazioni d’uso a Bivona, in quanto l’Istituto Scolastico Superiore "Pirandello" che presenta classi non numerose per una popolazione scolastica ridotta, è diventato il luogo delle attività didattiche dei master con ottimizzazione di spazi, servizi, opportunità di incontro e di riflessione.

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Questa ibridazione tra attività didattiche e ricerca si integra con i progetti che il Master in Pianificazione Integrata ha prodotto nelle sue tesi e nelle dissertazioni finali e, alle porte della programmazione 2014-2020 per i fondi strutturali comunitari, diventa il luogo in cui alcuni progetti potranno essere pensati e realizzati grazie alla presenza degli esperti dei master come soggetti dello sviluppo locale dei Sicani. L’ultimo atto sin qui compiuto è figlio dell’ibridazione dei punti di vista della formazione frutto dei due master insieme con la consapevolezza dell’esistenza di un tessuto territoriale già fitto e attivo: la Bivona School, Corso di Alta Formazione sull’Innovazione e sulla Creatività Territoriale ha prodotto un momento formativo rivolto ai giovani del territorio sicano, principali protagonisti del rilancio del sistema produttivo locale. La tematica che ha guidato le giornate formative della Bivona School ha avuto come punto di partenza l’ipotesi che la competitività di un territorio è elemento decisivo per il suo sviluppo e la sua crescita e che le dinamiche contemporanee a livello internazionale impongono l’adozione di approcci innovativi per favorire adeguate condizioni di competitività. Questo libro, quindi, si propone come framework metodologico completo di tutte le componenti necessarie al progetto dei territori interni e mostra quale quadro strategico di riferimento viene adottato per le successive sperimentazioni: le tesi menzionate del Master in Pianificazione Integrata contribuiscono a strutturare questa strategia generale, adottando il paradigma della costruzione di nuovi cicli di vita per i territori interni, chiudendo e ricucendo luoghi, territori, identità e paesaggi dei Sicani.

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RE-CYCLING INNER LAND: PARADIGMI E PROSPETTIVE

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INNOVAZIONE, CIRCOLARITÀ E SVILUPPO LOCALE. LA SFIDA DEI TERRITORI INTERNI Maurizio Carta

La metamorfosi dei territori locali nell’economia circolare Le aree interne della Sicilia, i centri storici collinari e montani, i borghi della riforma agraria, gli straordinari mosaici colturali dell’entroterra, i paesaggi produttivi e le nuove manifatture delle eccellenze agroalimentari non vanno più guardati e governati – più spesso assistiti – come marginalità o come versioni ridotte del modello urbano, destinati inesorabilmente a perdere popolazione nel conflitto con le città maggiori. Si offrono invece come componenti significative nell’ambito della metamorfosi dello sviluppo locale che dobbiamo attraversare come antidoto al declino e alla desertificazione dei territori rurali. Da luoghi da abbandonare o da consegnare alla stanca memoria degli anziani si cominciano a trasformare in soggettualità attive di proposte, in nuove centralità locali nell’identità e globali nell’attrattività, in luoghi identitari nelle forme e innovativi nelle funzioni1. Nella Sicilia che non riesce ancora a diventare metropolitana, nuovi arcipelaghi territoriali si stanno formando tra le Madonie, i Sicani e il Val di Noto. I pluripremiati borghi rurali di Gangi e Montalbano Elicona, da eresie resistenti al paradigma modernista della città iper-competitiva, diventano le nuove avanguardie della qualità insediativa, della diversità culturale, della sostenibilità ambientale e dell’innovazione sociale come categorie del progetto di futuro2. Favara con Farm Cultural Park, oggi

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meta mondiale della creatività, dell’arte e del design, Cianciana con le strategie di attrattività residenziale, Menfi con una nuova cultura paesaggistica del vino, i sette siti della WHL dell’Unesco (22.000 ettari di patrimonio dell’umanità con le relative zone di rispetto e protezione) con le loro reti lunghe del turismo mondiale – solo per citare alcuni esempi – non sono casi isolati, ma stanno generando dal basso un ecosistema culturale, offrendo una dimostrazione che si può ancora immaginare un diverso futuro possibile, come invocava Danilo Dolci. Generano imitazioni, stimolano emulazioni, spingono verso innovazioni normative e gestionali, accendono l’interesse di investitori e intercettano risorse finanziarie. I territori interni sono strutturati a partire da prospettive molteplici, sono intrinsecamente abituati a prevedere la fluttuazione delle condizioni ambientali e sono preparati ad affrontare gli imprevisti e le incertezze che ne punteggiano la storia: sono resilienti. E la loro riserva di resilienza è oggi indispensabile per una Sicilia che voglia con decisione intraprendere la strada della generazione della qualità e della cura dei beni comuni. La distanza delle aree interne dai centri propulsori costieri, consumatori di suolo ed eroditori di risorse in molti casi – non tutti – ne ha preservato alcuni valori insediativi, comunitari, paesaggistici e identitari che possono oggi costituire una preziosa riserva per ripensare piccole città che, a partire dalla necessità di assorbire la crisi e di adattarsi ai cambiamenti climatici ed energetici, vogliano ripensare la loro forma, ripensare i rapporti con la dimensione rurale, proporre nuova creatività3. L’impegno nell’immaginare un diverso futuro possibile reclama la questione della cura e rigenerazione delle aree interne non limitandosi ad un loro recupero fisico, al risanamento ambientale o all’indispensabile miglioramento dell’accessibilità viaria, ma chiede anche di agire sulla più complessiva capacità rigenerativa dei tessuti sociali, economici e produttivi4. Serve una nuova visione di piccole città e borghi che smettano di consumare suolo tornando con rispetto a dialogare con la natura, che riciclano tutto quello che producono e che combattono il degrado edilizio attraverso un recupero delle antiche sapienze costruttive o attraverso azioni di autocostruzione da parte degli abitanti. Potremo agire in maniera efficace solo attraverso azioni che siano capaci di intervenire anche sul capitale sociale, coinvolgendo le donne e gli uomini che vi abitano. Occorre attivare processi di rivitalizzazione delle attività produttive, riposizionando questi centri come

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nodi di nuove comunità agricole o come luoghi delle manifatture artigianali o di quelle innovative legate al digitale. Occorre utilizzare le basse densità edilizie ed i palinsesti identitari per offrire un’alternativa abitativa alla congestione delle città costiere per le comunità di cittadini più responsabili e in cerca di luoghi dell’abitare più in sintonia con i loro cicli di vita ecologici5. Nei territori interni in metamorfosi di sviluppo si sperimentano nuovi insediamenti ecologici e creativi, più resilienti, intelligenti, dialogici e sensibili. È qui che viene verificata con maggiore responsabilità la dimensione e la portata degli effetti di quella “ecologia integrale” richiamata da Papa Francesco nella sua Enciclica6, applicata ai sistemi insediativi delle aree interne, andando oltre il territorio strettamente urbano. La nuova alleanza tra cicli ecologici rurali e urbani richiede soluzioni non convenzionali. Un rinnovato approccio olistico dimostra la necessità multiscalare di una urbanistica ecologica e circolare che sappia agire sia sui territori metropolitani che su quelli rur-urbani e rurali. Tale approccio richiede che il metabolismo del territorio – non solo funzionale, ma anche sociale e culturale – debba essere principio cardine della pianificazione e dei conseguenti strumenti progettuali, aiutando a riconnettere i sistemi agricoli, residenziali, industriali, naturali, culturali e ricreativi perché inizino a collaborare e interagire entro uno scambio di interessi tra diverse situazioni reciprocamente vantaggiose o tra nuove relazioni produttive in grado di determinare una nuova organizzazione dello spazio insediativo. I territori interni dovranno mettere i loro capitali territoriali e sociali sul banco di un nuovo capitalismo7 frutto della transizione accelerata prodotta dalla rivoluzione manifatturiera e delle start-up, dell’azione capillare dei makers e dalla metamorfosi dell’economia circolare: un modello di sviluppo ancora capitalistico, sì, ma più responsabile e capace di rimodellare gli obiettivi della produzione dei beni materiali e immateriali, ma soprattutto capace di ripensare il modello insediativo a supporto delle nuove relazioni economiche. Un pensiero olistico e strategico sta generando usi temporalmente differenziati, riusi pervasivi, ricicli programmati, innovazioni dirompenti ed evoluzioni creative. L’impegno degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, dei cittadini e delle imprese è quello di lavorare su insediamenti rur-urbani caratterizzati dalla eccedenza e sovrapproduzione generata dal modello di sviluppo che ne ha prodotto lo spopolamento, prima, e ne stimola l’attrattività, adesso. I sistemi insediativi in

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dismissione e contrazione, i servizi sanitari o sportivi in disuso e le reti infrastrutturali in trasformazione dovranno essere affrontati attraverso azioni di modifica funzionale, di clusterizzazione o di reinvenzione grazie a cui le componenti oggi inutilizzate vengono ricreate, senza distruggerle, ma mutandone le funzioni, perseguendo un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa. Riciclo non è solo una delle principali parole chiave dell’azione progettuale dell’urbanistica più avanzata8, dell’architettura e del design performativi, ma è uno dei più potenti pensieri-guida per la trasformazione da una economia lineare dissipativa ad una economia circolare rigenerativa per città e paesaggi che vogliano percorrere la strada della sostenibilità, della qualità e della creatività. Nell’economia circolare i flussi di materiali rimessi in gioco sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere valorizzati entro un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione delle materie, passando dalla produzione fino al consumo, sono organizzate in modo che gli scarti di una fase diventino risorse per la successiva9. La stessa progettazione dei “prodotti” – i luoghi e le infrastrutture del nuovo territorio circolare – deve essere basata sulla possibilità di smontarne le parti e riutilizzarle attraverso successivi cicli produttivi basati sulla cooperazione di filiera e su nuove reti produttive: un più creativo “riciclo programmato” al posto della consumistica “obsolescenza programmata”. Infine, l’economia circolare postula il passaggio dalla proprietà del prodotto al suo utilizzo, con il minor impatto ambientale possibile. Questi principi sollevano la questione fondamentale di quanto il riciclo dei materiali, dei prodotti semilavorati, degli scarti, dei prodotti alla fine del ciclo di utilizzo e della biomassa potrebbe contribuire all’incremento di un PIL più responsabile e meno erosivo, perché il valore della produzione verrebbe mantenuto più a lungo attraverso il riutilizzo e, ove possibile, l’up-cycling, innescando un nuovo ciclo di prosperità sostenibile (nuovi servizi, combinazione di nuovi prodotti, minore impatto ambientale e tossicità). Nell’economia circolare la responsabilità urbanistica per città medie e piccole che tornino a essere accoglienti per le persone, attrattive per le idee, generative per le imprese e solidali per gli arcipelaghi di comunità, impone di attuare azioni concrete per garantire un nuovo equilibrio tra rurale, urbano e urbanizzabile ovvero tra trame paesaggistiche e orditi infrastrutturali, non solo ponendo limiti al consumo di suolo, ma soprattutto

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stimolando, incentivando e premiando il riutilizzo delle zone già urbanizzate e la densificazione delle funzioni. Pianificare città e territori nell’era del re-ciclo urbano significa rifiutare la consolazione di un approccio molecolare e accettare la sfida dell’approccio ecosistemico, organico, e farsi guidare da una nuova visione che sia lungimirante per guardare oltre, nell’orizzonte dell’innovazione, ma anche capace di riguardare indietro recuperando sapienze, rituali e pratiche. Servono anche visioni efficaci e progetti concreti intesi come impegni che devono agire per un’urbanistica che sappia influire sul metabolismo urbano, ricombinando il codice genetico contenuto nelle aree da riciclare, spesso frammentato o indebolito, ma ancora in grado di generare nuovo tessuto urbano se riattivato da nuova energia vitale. Non basta quindi immettere la sensibilità al riciclo nei tradizionali processi di progettazione urbana e territoriale, ma serve una innovazione dirompente dei processi e degli strumenti urbanistici: serve un approccio progettuale ecosistemico basato su un salto di paradigma, poiché deve agire contemporaneamente sia sui materiali produttivi in disuso e in dismissione (le aree in deindustrializzazione, le manifatture erose dalla crisi o le aree agricole in transizione), sia su quelli logistici (le aree ferroviarie e industriali in contrazione o in ristrutturazione funzionale), sia sugli spazi abitativi lasciati vuoti nei piccoli centri in spopolamento. Serve un nuovo modello di sviluppo iper-dimensionale che agisca attraverso l’azione congiunta delle diverse dimensioni (politica, sociale, economica, ecologica e territoriale) della sostenibilità e del governo del territorio, non solo accostandole o integrandole, ma interconnettendole in una relazione strutturale. In questa nuova relazione strutturale, la "dimensione politica" conferisce innanzitutto lo sviluppo di una cultura della comprensione e del riconoscimento della diversità ecologica, sociale e culturale come valore fondativo delle nuove relazioni insediative e dell’arricchimento incrementale che lo scambio fra diversità può portare al bene comune. Le identità locali, attraverso una visione politica della sostenibilità, vengono individuate come risorse attive per lo sviluppo di socialità, di collettività, in opposizione a una cultura della polarizzazione sociale che tende a ridurre le differenze. Vi è infatti un evidente rapporto fra la indispensabile crescita della società locale, il rafforzamento degli istituti di democrazia, lo sviluppo delle reti

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civiche e la crescita della capacità di contrattazione efficace del locale nel contesto della globalizzazione. La conseguente "dimensione sociale" concorre a che la concertazione tra attori pubblici e privati per comuni obiettivi di sviluppo sia sufficientemente articolata da garantire non solo la presenza e i problemi degli attori sociali più deboli, ma sia in grado di incentivarne l’individuazione, la proposizione e la responsabilizzazione concorrendo ad ampliare il “metabolismo sociale” dei territori interni. Le espressioni più mature di sviluppo locale auto-sostenibile fondano, infatti, i loro obiettivi e le pratiche conseguenti sulla promozione della responsabilizzazione delle comunità locali, in grado di riequilibrare il rapporto tra poteri e garantire alla comunicazione e alla partecipazione il suo statuto fondativo di legittimità dei soggetti. La "dimensione economica" che ne discende richiede economie sempre più immateriali, fondate sull’accesso piuttosto che sulla proprietà, sulla socialità piuttosto che sull’egoismo, sul benessere piuttosto che sull’avere e sull’efficienza piuttosto che sul consumo, imponendo la modellazione di un futuro “prospero anche senza crescita”10, chiedendo una integrazione con la pianificazione che si traduce in un rafforzamento della potenza generativa della sharing economy. La "dimensione ecologica", sorretta da una rinnovata visione politica ecosofica11, concorre ad un impegno verso progetti di territorio che garantiscano la riduzione dell’ecological footprint attraverso la riappropriazione di modelli insediativi capaci di perseguire contemporaneamente la riduzione del tasso di mobilità, l’aumento della qualità e unicità dei prodotti (ambientali e culturali, ma anche agroalimentari), la riqualificazione delle attività agricole verso la multifunzionalità e la socialità come fattori di rigenerazione del territorio e delle città. Infine, la "dimensione territoriale" impone alla pianificazione dei sistemi infrastrutturali, al progetto di paesaggio, alla gestione dei sistemi agricoli e all’urbanistica l’elaborazione/sperimentazione di modelli insediativi integrati, capaci di promuovere il radicamento delle altre quattro sostenibilità non solo attraverso l’individuazione di soglie al consumo di suolo, ma con progetti per il recupero, il re-ciclo e il riavvio degli insediamenti. Serve un vero e proprio re-boot delle città medio-piccole e dei territori interni generato dall’azione congiunta del ridisegno dei tessuti urbani, della localizzazione delle nuove manifatture micro e nano, della capacità innovativa delle startup fondate sulle eccellenze locali. Ma soprattutto la dimensio-

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ne territoriale della sostenibilità richiama gli urbanisti all’esercizio della creatività per progettare nuovi territori: da quelli materiali dello sviluppo locale, a quelli reticolari degli arcipelaghi territoriali a quelli virtuali delle human smart cities in cui numerose intelligenze collettive, pluriculturali e multietniche, interagiscono producendo nuova comunità. Sviluppo locale 2.0: l’innovazione come fattore abilitante Sono ormai numerose le tracce che ci fanno riconoscere la necessità di uno "sviluppo locale 2.0 creativo e collaborativo" che, a partire dalle riflessioni teoriche e dalle numerose pratiche in contesti che lo sperimentano non solo come reazione alla crisi, richiede un approccio adattivo all’innovazione come fattore abilitante di indirizzi meta-progettuali per un nuovo metabolismo del territorio locale12. La prima è più potente innovazione abilitante è quella prodotta dalla "resilienza", poiché i cicli del metabolismo rur-urbano dei territori interni richiedono di superare l’inefficace azione di resistenza alla metamorfosi, per adottare un atteggiamento elastico, dialogico e, appunto, metamorfico, in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e l’adattabilità degli insediamenti non vengano più affrontati come problemi puramente concettuali e spaziali, ma debbano essere messe in relazione con il portato sociale, economico e tecnologico della rigenerazione, diventando temi/strumenti/norme del progetto della resilienza. Il paradigma della resilienza produce pratiche urbane, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo, capaci di gestire meglio i cambiamenti climatici o i mutamenti idrogeologici, capaci di assorbire i sempre più frequenti nubifragi producendo nuove forme urbane porose soprattutto negli spazi pubblici. L’acqua nei territori collinari o nelle valli fluviali, anche quando alluvionale o inondante, diventa materia viva di progetto per essere assorbita da parchi, strade e piazze permeabili, sia per alleviare il sistema fognario sia per creare nuovi spazi collettivi legati all’acqua e che respirano con essa. Ma resiliente è anche il recupero di antiche sementi, di lavorazioni artigianali di cibi ed oggetti, di pratiche preindustriali in cui l’intera comunità si fa filiera produttiva. L’innovazione culturale è un secondo fattore abilitante poiché agisce non solo sulla memoria dei luoghi ma anche sulla loro reputazione, sia attraverso una maggiore identificazione degli abitanti e dei fruitori, sia attraverso la legittimazione delle opportunità offerte dalla vasta comunità globale che interagisce con i progetti di sviluppo locale. Nella reputation

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economy13 i territori dell’innovazione fondata sulla cultura locale, attraverso la loro rinomanza e credibilità ricostruita da premi e riconoscimenti nazionali e internazionali, tornano a essere fattore educativo della comunità e occasione di conoscenza e formazione, e impegna urbanisti e architetti a elaborare nuove forme, luoghi e relazioni che contengano e connettano i flussi di informazione e comunicazione generati con sempre maggiore frequenza, portata e velocità. Sulla riattivazione dei capitali identitari possono essere generate energie low impact che alimentino la rigenerazione urbana basata sulla infrastrutturazione culturale, sulla localizzazione di attrattori creativi nei centri storici, in antiche masserie o nei mulini che punteggiano le linee fluviali, o su iniziative di formazione residenziale finalizzati a ridefinire l’attrattività dei luoghi attraverso la connessione tra educazione, benessere e qualità ambientale. L’innovazione prodotta dalla conoscenza incoraggia l’apprendimento, poiché i sistemi ecologico-sociali delle aree interne per evolvere devono saper affrontare il cambiamento permanente e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri, apprendendo dalla conoscenza e dall’esperienza. Per questo occorre agire sulla comunicazione, progettando occasioni e luoghi in cui la conoscenza esca dalle torri degli specialisti per diffondere competenze collettive e generare nuovo pensiero di comunità, diventando materiale concreto per rinnovare il patto di convivenza delle popolazioni dei territori interni e per alimentare il conseguente patto di sviluppo. Sono sempre più numerosi nei territori interni siciliani gli esempi di imprese innovative realizzate riattivando cicli produttivi tradizionali o legati alle nuove eccellenze turistiche e agroalimentari o connessi alle energie rinnovabili e che fungono anche da punto di incontro e creatività, da veri e propri living lab per comunità sempre più fondate sulla conoscenza e orientate alla partecipazione attiva. Il metabolismo della conoscenza concorre a promuovere l’innovazione nella creazione di attività, imprese e luoghi e ad alimentare l’emergere di idee, la sperimentazione e la diffusione di progetti più adeguati ai nuovi stili di vita e di consumo, la nascita di nuove imprese nel punto di intersezione tra identità, creatività e innovazione. L’innovazione della economia e geografia della condivisione14 produce un’elevata sinergia tra la nuova poli-centralità dei servizi, la struttura edilizia dei centri storici in rigenerazione e l’offerta di servizi digitali. Nei territori interni che vogliono essere protagonisti di una nuova Sicilia, gli abitanti attraverso le nuove forme di cooperazione tornano ad essere

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produttori, diventano agricoltori per rianimare parti dismesse di città attraverso l’agricoltura urbana, diventano lavoratori della conoscenza attraverso atelier o incubatori creativi, producono eventi culturali attraverso il crowdfunding, gestiscono in forme temporanee spazi comuni sottratti all’incuria e al degrado. Vecchie stazioni, caselli ferroviari, castelli medievali, macelli, tonnare, conventi, fari e torri di avvistamento compongono in Sicilia una armatura di attività creative che sta offrendo ai giovani talenti locali occasioni per sperimentare nuove forme di gestione condivisa. Infine serve una innovazione reticolare che abiliti il ciclo delle multi-centralità delle nuove geografie policentriche, in opposizione a modelli vetero-gravitazionali, protese verso l’inserimento nell’armatura territoriale di nuovi nodi di aggregazione sociale che la fluidifichino, utilizzando luoghi dell’architettura intercettati nel loro mutamento e riutilizzati per occasioni di socialità come nuovi attivatori urbani. I territori delle nuove economie arcipelago e dei rizomi sociali accelerano l’affermazione di nuovi valori che permettano di produrre nuovi cicli semantici sulle aree in trasformazione e in dismissione capaci di indirizzare il mutamento. Perché le innovazioni sopra descritte siano fattori abilitanti dello sviluppo richiedono non solo un cambio di paradigma in cui il territorio venga inteso quale risorsa da preservare, sia in termini di riduzione del suo consumo, sia considerandolo un detentore di cellule di sviluppo spesso dimenticate, sottoutilizzate o mistificate dall’illusione di onnipotenza del progressismo. Serve anche una profonda innovazione dei protocolli e soprattutto degli strumenti dell’urbanistica perché sappiano intercettare i mutamenti e guidare il futuro. Nella più ampia cassetta degli attrezzi del pianificatore dello sviluppo locale 2.0 dovranno trovare posto programmi di rigenerazione urbana e territoriale basati su distretti di riciclo urbano, all’interno dei quali integrare e valorizzare la domanda pubblica, la riduzione del consumo, gli incentivi energetici e fiscali e le istanze private di interventi di riqualificazione. La loro fattibilità dovrà essere sostanziata dalla stipula di patti a sostegno di forme distrettuali di gestione dei cicli del metabolismo territoriale, da progetti efficaci di sostenibilità ambientale e sociale, valutati sulla base di parametri di riciclo riguardanti gli edifici, gli spazi pubblici, la mobilità, il ciclo dei rifiuti e l’infrastrutturazione digitale. Indispensabile è l’attivazione di laboratori territoriali di sviluppo e di agenzie di corresponsabilità progettuale, economica, urbanistica e gestionale tra pubblico e privato,

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connessi ad una semplificazione responsabile ed a una maggiore efficacia dell’azione amministrativa. Infine dovrà essere stimolata l’innovazione degli strumenti di partenariato pubblico-privato attraverso l’estensione degli strumenti di compensazione e perequazione urbanistica, della leva fiscale e degli incentivi. Da Bivona, dove l’Università di Palermo e i Comuni di Bivona e Santo Stefano Quisquina hanno istituito dal 2013 il SicaniLab per lo sviluppo locale e le energie rinnovabili15, emerge la determinazione di usare la creatività e l’intraprendenza come fattori propulsivi di qualità, sostenibilità e innova-

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Il Manifesto di Bivona: ambienti innovativi per lo sviluppo locale

zione, come nuove energie per un migliore rapporto con l’ambiente e con le comunità. Ha inoltre formato nel 2014, attraverso il Master Universitario di secondo livello in “Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile”, ventotto nuovi professionisti che sappiano mettere insieme competenze e sensibilità, capacità tecniche e professionalità gestionali per un diverso sviluppo locale fondato sui principi dello smart planning. Ha avviato nel 2015 la prima “Scuola di alta formazione su creatività e innovazione terri-

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toriale” in cui cinquanta giovani innovatori e altrettante persone e imprese con esperienze già mature hanno proposto progetti e studi di fattibilità per creare nuova impresa, benessere e sviluppo per il territorio sicano. È finito il tempo dello sviluppo locale assistito, dei progetti che durano il tempo del finanziamento. Il territorio locale del futuro è esso stesso il propulsore dell’innovazione, è un potente motore di nuove economie circolari e condivise, è un efficace promotore culturale della nostra identità cosmopolita. La Sicilia che vuole essere terra di innovazione e circolarità per lo sviluppo locale, tuttavia, non può limitarsi alle pur numerose sperimentazioni, ma deve attivare alcune azioni di sistema che ne aumentino la portata. Dalle esperienze condotte a Bivona emerge una “agenda per lo sviluppo locale” – che abbiamo chiamato appunto Manifesto di Bivona – che individua sette azioni operative per le istituzioni, le comunità e le professionalità capaci di modificare modi e strumenti per la riattivazione dei territori interni. Tra le azioni proposte, innanzitutto, dobbiamo pretendere che gli spazi e i servizi pubblici siano disponibili per usi differenti e per utilizzatori differenti nel tempo per agevolare la nascita di imprese e servizi innovativi, ma anche per distribuire i costi di gestione, massimizzare l’efficienza e garantire la manutenzione. E dobbiamo pretendere che i dati dell’amministrazione pubblica siano facilmente accessibili per chiunque in ogni momento, da ogni luogo e da qualsiasi dispositivo. Deve essere, quindi, agevolato il credito e finanziamento d’impresa modificando le forme di garanzia e i tempi di rientro e il partenariato pubblico-privato deve avere sempre più forme di corresponsabilità piuttosto che di semplice cofinanziamento. La sfida per uno sviluppo locale generativo e non dissipativo ci chiama all’impegno di una nuova responsabilità e una nuova ermeneutica del piano territoriale e del progetto urbanistico come esito di una creatività generatrice fatta di cure, di recuperi e di riattivazioni di centri urbani che tornino ad alimentare cicli di vita, a coltivare i talenti degli abitanti, ad attrarre idee, a generare innovazione, a produrre nuove economie e a rafforzare reti di solidarietà. Ci impone che vengano attivate azioni orientate ai cicli di vita delle aree interne, attraverso la riattivazione dei potenziali latenti o esclusi dalle scelte di un modello di sviluppo drogato da politiche urbane inefficienti, omologanti, insensibili ai capitali culturali e costruite in deficit, non solo finanziario, ma soprattutto qualitativo.

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La Sicilia, come terra dell’innovazione locale, richiede quindi un nuovo approccio dirompente che distrugga positivamente il conformismo delle scelte e l’inerzia dei comportamenti che frenano il nostro sviluppo. 1. L’armatura territoriale siciliana fondata sulla matrice culturale offre efficaci occasioni e potenti strumenti di sviluppo locale. Cfr. Carta M. (2002), L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, Milano, FrancoAngeli. 2. Opportunità e minacce del modello metropolitano e consortile in Sicilia sono descritte in Carta M. (2014), “Città Metropolitane: dall’eco-sistema funzionale al super-organismo di sviluppo”, in D’Amico, R. Piraino, A (a cura di), Il governo locale in Sicilia. Materiali per la riforma, Milano, FrancoAngeli. 3. Paradigmi e dispositivi progettuali per ripensare l’urbanistica nell’era della metamorfosi verso città e territori più creativi, intelligenti ed ecologici sono approfonditi in Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, Barcelona-Trento, ListLab. 4. Cfr. Emery N. (2010), Progettare, costruire, curare. Per una deontologia dell’architettura, Bellinzona, Casagrande. 5. Cfr. Carta M. (2014), “Re-immaginare il Sud. Le sfide del buongoverno per la metamorfosi dello sviluppo”, in Russo M. (a cura di), Urbanistica per una diversa crescita. Progettare il territorio contemporaneo, Roma, Donzelli. 6. Cfr. Papa Francesco (2015), Laudato si’. Sulla cura della casa comune, Lettera Enciclica. 7. Cfr. Kaletsky A. (2010), Capitalism 4.0: The Birth of a New Economy in the Aftermath of Crisis. New York, Perseus. 8. In Italia il tema del riciclo delle città, delle infrastrutture e del paesaggi è stato introdotto nel 2011 dalla mostra “Re-cycle” curata al MAXXI e descritta in Ciorra P., Marini S., (a cura di, 2011), Re-Cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta. Milano, Electa, diffondendosi rapidamente nella comunità scientifica più sensibile, cfr. Fabian L., Giannotti E., Viganò P., (eds., 2012), Recycling City. Lyfecycles, Embodied Energy, Inclusion. Pordenone, Giavedoni; D’Arienzo R., Younès C., (sous la direction de, 2014), Recycler l’urbain. Pour une écologie des milieux habités, Genève, MētisPresses. Anche la comunità professionale ha sancito l’importanza dei temi della riduzione del consumo di suolo, del riuso e del riciclo, cfr. Consiglio Nazionale degli Architetti (2012), RI.U.SO. Roma, CNAPPC. Il tema successivamente è diventato l’oggetto di una ricerca di interesse nazionale finanziata dal MIUR e coinvolgente 11 Atenei italiani e altrettanti stranieri. Cfr. Marini S., Santangelo V., (eds., 2013), Re-cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio. Roma, Aracne. 9. Sulla economia circolare si veda Ellen MacArthur Foundation (2012), Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, EMF. Alcune sperimentazioni concrete sono contenute in Alexander C. 10. Cfr. Jackson T. (2009), Prosperity without Growth: Economics for a Finite Planet, Earthscan, New York. 11. Una nuova dimensione ecologica del progetto urbanistico, attiva e non puramente reattiva, è stata proposta dalla scuola urbanistica di Harvard, cfr. Mostafavi M. and Doherty G., (eds., 2010), Ecological Urbanism. Baden, Lars Müller Publishers; Reed C., Lister N.-M. 2014, Projective Ecologies, Actar, Barcelona. In Italia è stata rilanciata da alcuni urbanisti che si riconoscono nella rete REDS, cfr. Ricci M. (2012), Nuovi paradigmi, Trento-Barcelona, List Lab. 12. Cfr. Carta, M., Lino, B., (a cura di, 2015), Urban Hyper-Metabolism, Roma, Aracne. 13. Cfr. Fertik M., Thompson D.C. (2015), The Reputation Economy, New York, Crown Business. 14. Cfr. Rifkin J. 2014, La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del

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«commons» collaborativo e l’eclissi del capitalismo, Mondadori, Milano. 15.Missione e programma operativo del SicaniLab sono descritti in Carta M., Ronsivalle D. (2014), “I territori dell’innovazione locale”, in Atti della XXXV conferenza AISRE, Padova. Il Laboratorio si pone nel solco della strategia europea verso uno sviluppo sostenibile e una economia carbon free, cfr. European Climate Foundation (2010) Roadmap 2050. A practical guide to a prosperous, low-carbon Europe, Den Haag, ECF; European Commission, Directorate-General for Research and Innovation (2012), Global Europe 2050, Luxembourg, Publications Office of the European Union.

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LO SVILUPPO LOCALE NON È UN’OVVIETÀ, NON È UN LUOGO COMUNE Giovanni Panepinto

Gli ultimi documenti relativi alla programmazione di livello nazionale rivelano una certezza, ormai consolidata: non esiste più la questione meridionale. Ad oggi non esistono più tutti quegli elementi che garantiscono alle regioni “a sviluppo lento” la possibilità di perdurare nelle loro condizioni di inefficienza dell’uso delle risorse finanziarie; non c’è più il plafond di sostegno economico che garantisce che le spese correnti, la spesa sanitaria e la spesa per la gestione della pubblica amministrazione possano essere pagate con potere sostitutivo dal governo centrale. Questo comporta una scelta di campo, rispetto al fatto che tutti dovranno mettersi nelle condizioni di autogovernare le questioni specifiche appartenenti ai vari capitoli di spesa. Un’economia territoriale a zero budget pubblico costringe tutti i protagonisti delle trasformazioni del territorio a farsi carico di una parte dei problemi dello sviluppo, a mettere in campo tutte le capacità della classe dirigente, a impegnare risorse, le poche rimaste, per costruire opportunità e professionalità nei territori delle trasformazioni. Turismo e patrimonio culturale possono ancora essere considerati asset fondamentali per costruire questo nuovo quadro dello sviluppo locale, ma solo se con esso si producono stabili quadri di sviluppo fondati sulle risorse agricole: ma c’è del nuovo all’orizzonte. C’è un nuovo big bang, una nuova deflagrazione che rischia di cogliere impreparati sia i territori sia gli operatori dello sviluppo locale, i quali potran-

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no trovarsi isolati, inesorabilmente fuori dal mercato, se non troveranno il modo per allineare le proprie idee di sviluppo al nuovo quadro appena delineato. L’unica soluzione è, quindi, quella di fare rete intorno alle occasioni che si aprono per i prossimi dieci anni, grazie anche alla programmazione regionale dei fondi strutturali: una cifra pari a un miliardo e mezzo di euro, circa, sarà dedicata al tema dell’energia ma si corre il rischio, diventato abituale nei periodi di programmazione precedente, di non essere capaci di sfruttare le risorse disponibili. Innovazione nell’approccio e forti legami tra sviluppo sperimentale e territorio possono condurre verso una reale qualificazione dei territori, in special modo dei territori interni che come altri luoghi della Sicilia, nei decenni passati, avevano immaginato che modernità fosse demolire edifici storici, chiese, castelli per realizzare nuovi edifici residenziali, per moltiplicare la rendita investendo sull’edilizia. Il percorso per cambiare il modo di pensare e di operare è stato lungo: sono gli ultimi venticinque anni che hanno fatto sì che le comunità riconoscessero inutile, oltre che dannosa, la demolizione di un convento per la realizzazione di un edificio residenziale multipiano o che si rendessero conto quanto fosse uno spreco usare un edificio arricchito da stucchi di scuola serpottiana come deposito per mezzi da cantiere. In questo solco è necessario collocare la grande sfida che ci offre la Strategia Nazionale Aree Interne: frenare l’emigrazione delle giovani generazioni nelle comunità locali mediante processi di innovazione e di “rigenerazione” del capitale sociale, naturale ed economico del comprensorio sicano. Questo obiettivo può essere raggiunto solo se, contestualmente, saremo capaci di ripensare radicalmente il nesso tra istruzione e innovazione con capacitazioni operative (capabilities) in grado di determinare una ri-costituzione dell’ecosistema territoriale in chiave resiliente. In tal senso sarebbe sbagliato non cogliere molte delle straordinarie esperienze maturate “dal e nel territorio”. Una “società orizzontale”, indipendente molto spesso dalla politica e unicamente connessa ad una governance territoriale matura come quella espressa dalle agenzie di sviluppo, fatta di esperienze di prossimità, di reti di makers, di giovani creativi, di precari imprenditori testardamente custodi di memoria ed identità che vanno sostenuti e incentivati. Il modo di operare è cambiato nell’approccio reale dell’imprenditoria all’uso delle risorse territoriali, degli amministratori alla tutela delle stesse.

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Una delle risorse più importanti dei Sicani è l’acqua sulla quale lunghe lotte sono state condotte perché rimanesse risorsa della comunità e non interamente privatizzata dagli interessi delle multinazionali dell’acqua minerale in bottiglia. Il contesto del territorio interno dei Sicani pone allora una grande opportunità: le capacità dell’Università come catalizzatore dell’innovazione dagli aspetti sperimentali a quelli applicativi, la forza di un territorio che ha già rafforzato la sua rete amministrativa e gestionale anche attraverso la società di sviluppo locale della SMAP che interessa sia il Parco dei Monti Sicani, sia l’intera valle del Platani, la comunità dei ricercatori di Bivona, gli innovatori anche nel campo normativo per la presenza di un piccolo gruppo di operatori che stanno scrivendo un disegno di legge sulle startup guardando alle risorse dei territori interni. Due possono essere gli strumenti di innovazione che saranno messi in campo: i Laboratori territoriali, come quelli attivati dall’Università di Palermo a Bivona e Santo Stefano Quisquina e i Distretti Produttivi, aggiornati ed integrati in un nuovo punto di vista, più legato ai territori. Il Dipartimento della Programmazione regionale, nell’obiettivo di favorire l’interazione tra le attività di ricerca e le attività produttive altamente qualificate ha strutturato la propria strategia di ricerca e innovazione tecnologica per la specializzazione intelligente (Smart SpecialisationStrategy – RIS3, “braccio operativo” del Po-Fesr ancorato saldamente agli obiettivi tematici 1, 2 e 3). Occorre puntare ai suoi contenuti e alle risorse per definire e supportare strutture, i "Laboratori Territoriali", che svolgeranno un insieme integrato di attività che, attraverso la ricerca, promuoveranno la valorizzazione economica del territorio conseguente al trasferimento di tecnologia e “saperi” al mondo delle imprese locali. La loro natura è sperimentale e avranno come obiettivo l’incontro tra le Università siciliane, i Poli di Ricerca e Innovazione, le Pubbliche Amministrazioni e tutti gli attori del territorio per mettere in comunicazione persone e idee, per produrre iniziative concrete che incidano sul territorio, per costruire un progetto condiviso e partecipato di sviluppo locale. Con questa finalità tali Laboratori potranno svolgere attività di supporto agli Enti, alla rete delle piccole e medie imprese e a tutti gli operatori locali, che mirano a contribuire alla valorizzazione delle potenzialità economiche provenienti dal territorio, tra cui quelle legate ai settori dell’agricoltu-

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ra e delle produzioni locali, dell’ospitalità diffusa e ricettività rurale, della sostenibilità ambientale ed energetica, dei servizi all’impresa e servizi per il tempo libero e la cultura; attività di formazione finalizzata a diffondere la cultura d’impresa nel territorio, nonché valutazione delle opportunità aggregative delle imprese in distretti e proposte di recupero di aree ed edifici dismessi per l’insediamento di nuove attività produttive. I "Distretti Produttivi", invece, sono stati già definiti in virtù della legge regionale n. 17 del 28 dicembre 2004. Il distretto produttivo esprime la capacità degli attori pubblici e privati di promuovere la realizzazione di una serie di progetti strategici ricompresi all'interno di un patto che mira a realizzare lo sviluppo stesso del distretto, in conformità agli strumenti di programmazione comunitaria, nazionale e regionale. I soggetti che possono concorrere alla formazione di un distretto produttivo sono enti locali, imprese con sede nel territorio regionale, associazioni di categoria, enti e associazioni pubblici e privati, consorzi, fondazioni, aziende speciali, società a partecipazione pubblica, che svolgono attività nell'ambito della promozione, della ricerca e dell'innovazione finalizzate allo sviluppo del sistema produttivo. Rimane tuttavia necessario ripensare alle politiche di livello sovraregionale e alla internazionalizzazione delle filiere e dei distretti, in modo da incrementarne la massa critica e potenziarne la capacità di accesso ai mercati. L’impegno del territorio dei Sicani nella ristrutturazione delle politiche di rete e nell’aggiunta di processi e pratiche innovative, visti anche i positivi risultati dell’approccio alle aree interne già avviato sulle Madonie, dovrà ancora progredire e verificare se sarà possibile rivedere radicalmente tutti i modelli di sviluppo: i lavori sono già aperti. È certamente inusuale tracciare bilanci e ricordare tappe raggiunte quando si delinea una prospettiva entusiasmante, si è soliti farlo al profilarsi di un approdo. Tuttavia è necessario in questa sede, proprio ai nostri fini, evidenziare alcuni passaggi che permettono oggi a questo territorio di “osare“ ancora di più nella direzione sopra esposta nel segno dell’innovazione. Dal 2009 solo grazie alla caparbietà si è costituito il Parco dei Monti Sicani. Una vera propria odissea fatta di ricorsi, petizioni, sentenze, assemblee cittadine e atti che, senza una vigorosa determinazione di amministratori consapevoli, sarebbero rimasti impigliati negli iter giudiziari ed amministrativi sino al 2013, anno di svolta per la nascita del parco. Sulle sue pietre va ricordato che indelebili sono scritte le parole di Angelo Vassallo, Sindaco di Pollica e Presidente del Parco del Cilento, trucidato dalla camorra

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che proprio nei mesi del “decollo” della nostra area venne a testimoniare il suo impegno e la sua tenacia amministrativa. Di questa abbiamo conservato memoria e tratto la forza per tutti gli altri obiettivi. Risultato tangibile è rappresentato dalla straordinaria animazione territoriale dei GAL che in poco tempo hanno consentito a questo territorio di realizzare un patrimonio nei processi di caseificazione di qualità e di selezione zootecnica, entrambi apprezzati adesso in tutto il mondo. Ciò è stato possibile anche e soprattutto in ragione dell’impronta di sistema che il territorio si è voluto dare. La Smap (Società di Sviluppo Magazzolo Platani) quale leva operativa dello sviluppo locale, ha veicolato e promosso traccia e ricerca di un nuovo modus operandi dello sviluppo territoriale, sino al punto di ottenere a livello regionale il riconoscimento per queste realtà della capacità programmatoria, realmente botton down, mediante la strutturazione istituzionale degli “organismi intermedi”. La strada è ancora in salita, ma le direttrici sono ampiamente marcate. Il binomio che vogliamo costituisca in assoluto l’orizzonte è identità e innovazione. Sotto questa insegna, per ultimo, ma solo per temporalità, è nato il distretto turistico dei Monti Sicani e Valle del Platani. Rappresenta una novità tra le mete del turismo italiano perché situato nel centro della Sicilia: del margine, del confine si fa per l’appunto il “grimaldello” del suo sviluppo. Il distretto è compreso tra le province di Agrigento e Palermo e raggruppa le ex quattro riserve tra la valle del Sosio, Palazzo Adriano, Monte Carcaci, Monte Genuardo e Monte Cammarata. Un complesso eterogeneo che ospita oltre 700 specie vegetali, di cui una quarantina endemiche. Bivona non è solo pesche, ma lunga tradizione religiosa, testimoniata dalle numerose chiese e cappelle dai manufatti di pregio; l’eremo di Santa Rosalia nei pressi di Santo Stefano Quisquina, ma anche Palazzo Adriano, Sant’Angelo Muxaro e San Biagio Platani con suoi archi di pane, Burgio e le sue ceramiche artistiche, Cammarata, Casteltermini, noto per la bellezza dei suoi luoghi sacri, il castello di Giuliana, da poco restaurato, che si affaccia sulla vallata del fiume Sosio. Questo immenso patrimonio, per usare le parole di Franco Arminio, non dice soltanto che i paesi non stanno finendo affatto, ma che proprio in questo “non finire” si aprono fessure che danno emozione e segnano la rinascita nel solco di un nuovo umanesimo.

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ZERO ESTERNALITÀ PER LA PIANIFICAZIONE INTEGRATA. LA VALUTAZIONE STRATEGICA PER LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE CULTURALI, PAESAGGISTICHE E AMBIENTALI DEI TERRITORI INTERNI Daniele Ronsivalle

La formazione dei paesaggi contemporanei in Sicilia: un quadro di riferimento sui modelli di sviluppo attivi I paesaggi siciliani contemporanei, a partire dal secondo dopoguerra, sono stati generati dalla coesistenza di due spinte opposte: un’ampia convergenza dell’intellighenzia regionale e nazionale sui temi della tutela costituzionale e allo stesso tempo una forte spinta alla trasformazione, spesso attuata nella totale indifferenza nei confronti delle riflessioni e delle azioni volte alla conservazione. I modelli di sviluppo contrapposti hanno portato alla formazione di paesaggi contemporanei ‘terzi’ non come Clement (2005) li immagina nell’ottica del progetto di paesaggio, ma la cui terzietà dipende dall’incapacità di definire azioni progettuali nel medio e lungo termine, anche là dove il progetto appare forte, orientato al futuro, visionario. Potremmo dire che esiste una cronologia culturale di questi eventi che segue una precisa linea di sviluppo: • prima fase: l’intervento statale e la produzione di quadri di sviluppo che non sono riusciti a creare identità e continuità nei processi di identificazione; • seconda fase: il consumo delle risorse del territorio e il conseguente stato di crisi delle comunità locali private delle risorse chiave per lo sviluppo;

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terza fase: la presa di coscienza e della volontà delle comunità locali di superare gli esiti dello scollamento tra i luoghi, le risorse, i paesaggi, le economie. La terza fase è in atto, ma solo alcuni territori, in particolare in Sicilia, sono in condizione di sviluppare programmi e progetti utili a ricucire lo scollamento generato nelle fasi precedenti. I Sicani: azioni di sostituzione del locale e processi di pianificazione regionale Laddove alcuni territori locali, per tradizione o per riconoscimento dell’esistenza di una identità locale, sono stati capaci di produrre un percorso alternativo o di orientare percorsi di pianificazione e programmazione sovralocale, le occasioni per lo sviluppo del locale si sono concretizzate come nel caso dei Monti Sicani. L’istituzione del nuovo Parco Regionale è, ad esempio, un tassello importante di questo quadro di tutela e valorizzazione, con l’obiettivo di lavorare non solo alla tutela dei valori naturalistici e culturali, ma anche alla definizione di contesti di sviluppo locale coerenti con le risorse esistenti e orientate dalle sapienze locali, anche quando integrate con le tecnologie e le prospettive della contemporaneità. Le politiche locali e sovralocali attivate già nel corso dell’ultimo decennio nell’area interessata dalla pianificazione paesaggistica e dalle strategie di valorizzazione sopra esposte rivelano la grande vitalità di questi territori per i quali l’ulteriore spinta data dalle più recenti politiche per il paesaggio e per l’ambiente (Ronsivalle, 2007) gioca a favore della possibilità di integrare le scelte, costruendo un programma di sviluppo complesso che comprenda sia le scelte relative al settore del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico, sia le scelte insediative e di uso compatibile delle risorse a fini economico-produttivi. La questione, tuttavia, appare complessa da dirimere in quanto, nonostante le dichiarazioni di intenti, i soggetti regionali non sembrano allo stato attuale pronti ad attivare politiche integrate. Il modello dell’interpretation planning adottato in alcuni piani di tutela e valorizzazione del paesaggio (ad esempio il Piano Paesaggistico del Partinicese, del Corleonese e dei Monti Sicani per il quale cfr. Carta, 2009) è allo stato attuale candidato ad essere il modello per la redazione di questo

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grande affresco in cui i paesaggi dei Sicani assumono la natura di motore dello sviluppo locale (Carta, Ronsivalle, 2014). I progetti di paesaggio per i monti Sicani, tuttavia, non riusciranno ad essere operativi se non si provvederà alla costruzione di una strategia unitaria integrata con l’uso delle risorse economiche derivanti dai co-finanziamenti comunitari, laddove, tuttavia, necessita una visione di strategie integrate con la trasformazione degli usi del suolo e con la qualificazione ambientale delle strategie di sviluppo. Le questioni aperte riguardano la continuità dello sviluppo, la disponibilità di economie non provenienti dall’esterno, la capacità di costruire processi perduranti di sviluppo che vanno risolte dal basso, secondo una visione relazionale ed interscalare (Provenzano, 2012; Arnone, Carta, Provenzano, 2014). Le soluzioni riguardano anche la revisione progettuale dello spazio urbano e la complessiva revisione di alcuni meccanismi di progettazione e controllo delle risorse territoriali in chiave strategica che avvengono al livello dell’interazione per l’approvazione degli strumenti operativi che poi configurano la forma del suolo. Qui si manifesta una specifica condizione di debolezza del sistema di pianificazione, progettazione e valutazione: la terra di mezzo tra strategie territoriali, strumenti operativi di destinazione d’uso dei suoli e processi di valutazione ambientale non si relazionano mai tra loro, vivendo spesso una condizione di indifferenza o di conflittualità che può essere risolta adottando in chiave progettuale i framework della valutazione ambientale che analizzando alcuni ordini di questioni contenutistiche, procedurali e amministrative è il luogo più adatto per cucire processi disgiunti e risolvere condizioni di conflitto. 1. La questione dei contenuti: i territori locali, come i Sicani appunto, producono sviluppo non più solo attraverso la manifestazione cartografica di uno zoning urbanistico statico, ma agiscono attraverso atti di programmazione e finanziamento che, collateralmente al processo urbanistico, danno linfa ai progetti e alle destinazioni urbanistiche assegnate dai piani. 2. La questione procedurale: azioni territoriali e attuazione dei piani non è scissa e non deve esserlo se l’obiettivo è proprio il superamento delle condizioni di crisi descritte dalla prima e seconda fase della terzietà del paesaggio siciliano. 3. La questione amministrativa: le amministrazioni che esercitano il

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controllo sulle trasformazioni locali in modo diretto o indiretto (Dipartimento Regionale dell’Urbanistica, Autorità Ambientale, Autorità di Gestione dei processi di finanziamento) non lavorano su schemi di coerenza territoriale capaci di adire ad un effetto coerente, se non quando urbanistica, pianificazione strategica, programmazione e finanziamento sono realmente coordinati dai territori che producono quadri di sviluppo locale. La rilevanza della valutazione ambientale strategica: pianificazione ecologica “senza esternalità” Relazioni funzionali e nuova visione “ecologica” del Piano Con il supporto scientifico di chi scrive, il Dipartimento Regionale dell’Urbanistica ha avviato un percorso di revisione delle relazioni tra pianificazione territoriale e valutazione ambientale strategica con l’obiettivo di: • adottare la valutazione come strumento argomentativo e partecipativo per accrescere la sostantività e la condivisibilità del piano; • integrare la normativa del piano e dei processi valutativi aprendo il piano alle esternalità ambientali, culturali e sociali; • esplicitare i processi valutativi nelle politiche urbane e territoriali con la diversificazione e integrazione nei processi di pianificazione; • rivedere i processi organizzativi del piano dalla sua formulazione alla sua attuazione con strumenti di gestione amministrativa integrata del piano con maggiore riconoscibilità e tracciabilità. I processi di valutazione ambientale strategica applicata agli strumenti urbanistici hanno rivelato, nel corso degli ultimi anni nelle riflessioni teoriche e nella prassi operativa di molte regioni italiane, la necessità di rivedere il punto di vista da cui i soggetti competenti e le comunità insediate vedono lo strumento valutativo. Nel ripensare il modo in cui valutazione ambientale e pianificazione si incrociano, possiamo soffermarci su quattro questioni teoriche e metodologiche principali: • la valutazione come strumento argomentativo e partecipativo: in un’ottica argomentativa e partecipata, la pianificazione delle trasformazioni territoriali adopera gli strumenti valutativi attraverso tutto il processo di piano per accrescere la sostantività e la condivisibilità del piano;

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l’integrazione normativa del piano e dei processi valutativi: la valutazione viene sempre più frequentemente integrata nelle procedure indicate dalla legge per la redazione dei piani e dei programmi aprendosi alle esternalità ambientali, culturali e sociali che indirizzano il piano attraverso tutto il suo processo di formazione e quindi internalizzandole nei processi; l’esplicitazione dei processi valutativi nelle politiche urbane e territoriali: la diversificazione degli strumenti e la loro innovazione, nelle forme delle politiche urbane, della programmazione negoziata e della progettazione integrata UE, impone che i processi valutativi siano resi espliciti all’interno dei progetti, preventivamente alla presentazione dei progetti, in corso d’opera e nella valutazione dei risultati; l’esplicitazione dei processi organizzativi del piano dalla sua formulazione alla sua attuazione: la costruzione di processi complessi di pianificazione e valutazione impone di adoperare strumenti che rendano espliciti ed evidenti le fasi del processo di piano e ne accrescano la riconoscibilità e la tracciabilità.

La VAS è intanto una valutazione strategica delle trasformazioni con qualificazione e caratterizzazione ambientale sicché è orientata alla costruzione di strategie: il Piano regolativo, ad esempio, non è uno strumento privo di relazioni esterne e di ricadute anche nell’ambito delle strategie di trasformazione e sulla qualità ecologica delle trasformazioni. Se intendiamo il termine “ecologico” non come una pura osservazione, valutazione e protezione delle risorse naturali e ambientali, ma come un modo di interpretare la ciclicità delle azioni sul territorio, allora è molto probabile che anche il nesso (operativo) tra VAS e Piano possa essere rivisto. Solo un esempio: i piani in corso di redazione, tra quelli più illuminati, prevedono come ineluttabile la necessità di ridurre a zero l’espansione urbana e di ricostituire le trame del sistema agricolo periurbano. Questa intenzione, quando si realizzerà nell’implementazione del piano, produrrà degli effetti indotti che potrebbero provocare ampie frizioni tra i singoli portatori di interesse: quali economie sosterranno un'agricoltura incapace di generare mercato? quale produzione a fini alimentari potrà essere attivata in assenza di verifiche sulla fattibilità di un’agricoltura di produzione in aree che per anni sono state oggetto di usi impropri? Ener-

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gia e agricoltura potranno essere nuovamente saldate in una relazione con basso profilo di entropia all’interno di cicli energetici lunghi e con basso impatto termico? Solo una valutazione preventiva – e parallela al processo di redazione del piano – potrà definire effetti e orientare gli obiettivi di sviluppo territoriale. Questa visione si arricchisce ulteriormente se guardiamo alla realtà territoriale animata da cicli di vita che l’azione umana, nel tempo, genera, modifica, alimenta o abbandona: non è più tempo di mettere nei PRG un retino verde ad indicare il mitico “verde pubblico” o un tratto largo di ugual colore per segnalare le aree agricole E (con tutte le sue cavillose variazioni sul tema). Il processo di Valutazione Ambientale può venire incontro a queste necessità per un piano capace di leggere e interpretare i cicli di vita dei nostri territori. I contenuti delle VAS degli strumenti urbanistici: sincronizzazione o internalizzazione? Per potere sincronizzare e rendere utile la VAS all’interno della redazione degli strumenti urbanistici, è necessario fare alcune considerazioni sui contenuti dei rapporti ambientali e sulla complessità delle procedure: 1. il processo di valutazione per i grandi interventi (e per i territori più complessi) è identico a quello per i piccoli; 2. il disallineamento dei processi di redazione e valutazione rende vana la redazione della VAS; 3. la grana e la scala dei dati ambientali non sempre è adatta alle realtà territoriali per una fisiologica assenza di dati di dettaglio su estensioni territoriali ridotte; 4. i documenti da produrre per il processo di VAS non sempre sono redatti in modo paragonabile dal punto di vista formale e sostanziale e quindi rende estremamente soggettiva la procedura valutativa; 5. il livello di pubblicità dei processi in corso non sempre è trasparente per la comunità insediata attraverso i canali istituzionali (ad es. documenti on line protetti con password, siti web delle autorità regionali non sempre raggiungibili, etc.). Per potere indagare e individuare possibili soluzioni è opportuno iniziare da una disamina delle realtà regionali: la realtà amministrativa e gestio-

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nale sul tema VAS, infatti, nelle varie regioni italiane è estremamente differenziata. L’ISPRA, in un recente “Repertorio sulla normativa in materia VAS” ha messo in evidenza che solo in alcuni casi la normativa è organica e le procedure sono standardizzate. Uno di questi casi è la Regione Lombardia in cui i modelli metodologici sono differenziati in ragione della taglia, delle dimensioni e della presunzione di impatto ambientale che un determinato piano o programma può avere prescindendo dai suoi specifici contenuti. In considerazione di quanto suddetto, guardando ai report ISPRA e alle realtà regionali si potrebbero ipotizzare in fase preliminare alcune soluzioni possibili da declinare in: a. interventi sulla struttura dei documenti prodotti dai soggetti procedenti in ragione della taglia territoriale dei piano/programma con limitazione/orientamento delle informazioni necessarie alla redazione delle fasi di VAS; b. riorganizzazione della struttura amministrativa del servizio VAS per ottimizzare la tempistica delle procedure standard (piani sicuramente assoggettabili per legge) e di quelle che necessitano di procedure preventive (piani e programmi di cui valutare l’assoggettabilità); c. interventi sulla procedura di redazione di PRG e di VAS da includere insieme nelle direttive di piano come due facce dello stesso processo operativo; d. produzione di un framework di redazione e valutazione unico che consente al soggetto procedente e alle autorità competenti in materia ambientale di redigere, leggere e valutare i contenuti in modo univoco e quindi limitando – per quanto possibile in un documento testuale – l’alea valutativa e i tempi di risposta dell’Amministrazione del DRU nel merito della singola Valutazione; e. adozione di un software o di una piattaforma/servizio on line che guidi alla redazione dei documenti di VAS e che limiti i tempi di trasmissione degli atti.

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I contenuti innovativi del tavolo tecnico Dipartimento Regionale dell’Urbanistica – Dipartimento di Architettura La valutazione numerica e quantitativa non è sufficiente a dare corpo e forma ai suoi effetti urbani: risulta infatti particolarmente complesso riuscire a sincronizzare i processi valutativi e di piano, in special modo quando si tratta di costruire la forma urbana secondo un approccio che potremmo assimilare ai principi dell’Ecological Urbanism (Mostafavi, Doherty, 2010). Condizione necessaria affinché questo si possa realizzare è che la VAS sia realmente la valutazione delle politiche da mettere in campo nella trasformazione urbana, al livello dello schema strutturale di trasformazione, in modo che la struttura territoriale proposta sia valutata in termini strategici, di fattibilità, di consequenzialità delle scelte, di tempistica delle opzioni di piano. Ma condizione sufficiente a che la VAS abbia un senso è che la forma della città progettata risponda ad una serie di verifiche formali degli esiti del progetto. Gli indicatori di qualità ambientale possono diventare gli strumenti per indirizzare alla formalizzazione della qualità ambientale dello spazio urbano: se da un set di indicatori condiviso e riconosciuto come quello prodotto da ISPRA per la VAS estraiamo un sottoinsieme di quegli indicatori che più di altri hanno ricadute territoriali e proviamo a capire come il progetto può agire sulla qualità richiesta da quell’indicatore, potremmo proporre soluzioni formali, anziché semplici target numerici per valori privi di significato. La qualità delle trasformazioni si valuta, quindi, sulla riduzione delle emissioni, sul rispetto delle soglie quantitative e sulla capacità del vincolo di proporsi come opportunità di trasformazione. La compensazione ambientale viene controllata attraverso soglie progettuali di riferimento, differenti a seconda del tipo di strumento di piano e a seconda dell’indicatore proposto e suggerisce al progettista in che modo la trasformazione può essere proposta in coerenza con la qualità ambientale e la regolamentazione urbanistica ed edilizia sostenibile. Proprio per questo motivo la strumentazione attuativa, dalla progettazione per comparto fino ai regolamenti urbanistici ed edilizi, dovrà confrontarsi con i vari tipi di valutazione ambientale previsti dal D.Lgs. 152/2006 e dal D.P.Reg. Siciliana 23/2014 in ragione del fatto che la formalizzazione delle trasformazioni e la quantificazione delle destinazioni d’uso inter-

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cetta inevitabilmente il modo in cui gli spazi urbani si concretizzano. La Direttiva DRU 1/2014 VAS emanata dalla Regione Siciliana, redatta con il contributo scientifico di chi scrive, non allega parametri di benchmark di tipo numerico, ma lavora, come riportato in figura, su modalitĂ switchon or switch-off al fine di riconoscere se esiste nel progetto di piano presenza, incremento, riduzione o variazione di interventi di urbanizzazione che potranno inevitabilmente cambiare il livello di qualitĂ ambientale e che, in special modo al livello dei territori interni o con ridotta capacitĂ di monitoraggio ambientale, difficilmente potranno accedere a serie di dati realmente significative dal punto di vista statistico e ambientale.

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SVILUPPO LOCALE: METODOLOGIA E PROCESSI

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LA PROSPETTIVA “RURBANA” NELLO SVILUPPO REGIONALE: RISORSE, OPPORTUNITÀ E NODI PER LE AREE INTERNE DELLA SICILIA Ignazio Vinci

Introduzione Nel 1909, alle prese con l’incarico di progettare l’ampliamento del giardino zoologico di Edimburgo, Patrick Geddes concepisce la sua prima “valley section”, un modello interpretativo delle relazioni tra la città ed il proprio contesto regionale nella quale esseri viventi, funzioni sociali insieme all’ambiente che li accoglie vengono descritti come elementi interagenti di un sistema organico. Il modello intendeva rappresentare, con la forza evocativa che caratterizza larga parte del pensiero del biologo scozzese (egli affermava in proposito come “it takes the whole region to make the city”), come i destini della città e della campagna, delle zone costiere e delle aree interne, siano intimamente interconnessi non solo attraverso i sedimenti di un comune percorso evolutivo, quanto anche per la necessità di assumere una visione olistica dello sviluppo territoriale in grado di contrastare gli squilibri che, ai tempi di Geddes, la rivoluzione industriale ed i correlati processi di urbanizzazione stavano irrimediabilmente affermando1. L’unità città-regione immaginata da Geddes, per il suo carattere visionario e radicale, tarderà ad essere tradotta e sperimentata nelle pratiche, anche se per molti nella letteratura territorialista (e per

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Lewis Mumford in primis) costituisce l’atto fondativo della moderna pianificazione regionale. Ad un secolo di distanza – in un intervallo in cui l’economia mondiale ha esaurito diversi cicli di sviluppo, la popolazione del pianeta si è quadruplicata e la sua quota urbana ha superato quella rurale – il tema della relazioni tra città e campagna è tornato con grande risalto all’attenzione di studiosi e policy makers. Le ragioni di questo neo-regionalismo risiedono nel permanere di alcune questioni irrisolte tra quelle segnalate a sua tempo da Geddes (spopolamento delle aree rurali, concetrazione di ricchezza nelle città, squilibri ambientali), ma anche nell’emergere di alcuni processi dirompenti che, più recentemente, stanno mutando radicalmente l’interazione urbano-rurale nella sfera economica ed in quella sociale (OECD, 2013).

La "valley section" di Patrick Geddes

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Il primo processo discende da quell’insieme di fattori che hanno condotto, e stanno conducendo, a ciò che Basile e Cecchi (2001) hanno efficacemente etichettato come la “trasformazione post-industriale della campagna”. Con il cambiamento negli stili di vita delle popolazioni urbane lo spazio rurale comincia ad essere percepito non necessariamente come dimensione territoriale subalterna, chiamata a soddisfare, perlopiù attraverso una produzione massificata, la domanda di consumi alimentari delle città. Esso, piuttosto, può configurarsi come ambiente privilegiato per la produzione di beni sofisticati (cibo di qualità, cultura, paesaggio, forme alternative di accoglienza e leisure), che in termini economici significa accrescere il valore aggiunto delle produzioni locali e diversificare le fonti di reddito per le comunità rurali. Un secondo processo, più legato a determinanti tecnologiche che culturali, riguarda l’identificazione dello spazio rurale come “giacimento” nella generazione di energia tratta da fonti rinnovabili2. Queste tipologie di risorse si caratterizzano per instaurare con lo spazio geografico ed il territorio, inteso come insieme di componenti ambientali e sociali che interagiscono tra loro, una relazione più complessa di quella che si determina nel caso delle fonti non rinnovabili. Mentre rimane aperto il dibattito sulle ricadute e gli impatti socio-ambientali dei sistemi dedicati a captare le fonti energetiche rinnovabili (Puttilli, 2014), non vi è dubbio che il loro impiego può attivare processi di valorizzazione di risorse esistenti ma sottovalutate nello spazio rurale, quali ad esempio il potenziale bioenergetico derivabile dal patrimonio boschivo o dalle sottoproduzioni delle filiere agricole e zootecniche. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di processi che, ad un diverso stadio di maturazione, tendono a fare emergere nuove percezioni dello spazio rurale con le proprie risorse localizzate, a sollecitare processi organizzativi tra gli attori sociali, a ridisegnare scenari di sviluppo che chiamano in causa le relazioni allargate tra sistemi rurali ed aree urbane nella dimensione regionale. Questi processi costituiscono, dunque, le leve di un processo più ampio e globale, consistente nell’ibridazione di modelli di sviluppo territoriale – quello urbano e quello rurale – che la cultura occidentale ha percepito a lungo separati, per ragioni culturali e tecnologiche, ancor prima che economiche e politiche (Vinci, 2015).

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Le risorse della Sicilia nella prospettiva “rurbana” La Sicilia è una regione che si configura, per densità e rilevanza delle risorse oggetto di riflessione in questo scritto, un campo di osservazione di particolare rilievo. Da un lato, il territorio regionale è intessuto di una rete densa e ramificata di aree urbane che si dispiega su vari ambiti geografici, con città che si relazionano reciprocamente e con il proprio contesto ambientale in forme diversificate. La rete urbana della regione, inoltre, appare come un sistema demograficamente strutturato, accogliendo al proprio interno un cospicuo numero di città medie – più di trenta con oltre 30.000 abitanti, di cui 15 con oltre 50.000 abitanti – e tre principali conurbazioni metropolitane (Palermo, Catania, Messina) che condensano oltre la metà della popolazione regionale. Ai margini delle aree urbane, ma sovente in stretta relazione con esse, si situano alcuni grandi bacini di sostenibilità nella forma di aree naturali ed aree interne connotate dal permanere di caratteri ed organizzazione territoriale di tipo rurale. Si tratta dei tre grandi parchi regionali (Madonie, Nebrodi, Etna), i quali lambiscono le tre aree metropolitane, e di sistemi agricoli molto più diffusi e ramificati, alcuni dei quali assumono la forma del mosaico colturale, sui quali emergono, per riconoscibilità, estensione territoriale e rilevanza economica, il territorio del vigneto nella Sicilia occidentale ed il territorio dell’agrumeto nella piana di Catania (AA.VV, 1987). Questi caratteri di ricchezza e complessità del territorio regionale si riflettono con grande evidenza nelle strategie nazionali caratterizzanti la programmazione comunitaria per il periodo 2014-2020, e segnatamente nei due principali pilastri in cui le politiche di coesione in Italia sono attualmente declinate in chiave territoriale: il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane (PON Metro) e la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI). Nel PON Metro la Sicilia è l’unica regione italiana ad avere più di una città eleggibile, con tutte e tre le aree metropolitane designate dalla regione negli anni novanta destinatarie di programmi caratterizzati da una forte concentrazione di risorse e dall’esplorazione di tematiche progettuali finora marginalmente esplorate nelle aree urbane italiane, quali quelle energetiche e tecnologiche. Anche nel programma di interventi in attuazione della SNAI, la Sicilia è la regione italiana con il maggior numero di territori bersaglio, essendo stati identificati cinque sistemi locali (Sime-

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to Etna, Calatino, Madonie, Monti Sicani, Nebrodi) entro cui sviluppare le azioni integrate in attuazione della strategia (Uval, 2014). Ma mentre nel caso delle città metropolitane l’entità dell’investimento si lega alla incontrovertibile consistenza del fenomeno metropolitano in Sicilia, l’investimento diffuso verso le aree interne appare come il riconoscimento di una vitalità e continuità progettuale che diversi sistemi locali hanno consolidato nel tempo. Si tratta perlopiù di reti di piccoli comuni che sin dagli anni novanta hanno saputo cogliere il potenziale della coesione territoriale, sviluppando e sedimentando progettualità locali a partire dalla valorizzazione di risorse fortemente riconoscibili (come ad esempio i parchi, nel caso di Madonie e Nebrodi), così come dalla ricomposizione di valori territoriali più latenti e diversificati3. La presenza di una tale varietà di reti urbane e sistemi locali orientati alla valorizzazione di risorse endogene, tuttavia, non ha mai condotto alla prefigurazione di scenari di sviluppo regionale che potessero avvantaggiarsi delle potenziali relazioni di sinergia e complementarietà tra i diversi soggetti territoriali. Vari tentativi di cooperazione tra le aree di parco, al fine di determinare almeno condizioni di offerta più integrate e riconoscibili sul mercato turistico di riferimento, hanno incontrato ostacoli insormontabili sul piano politico ancor prima che su quello progettuale. Men che meno è possibile identificare forme di cooperazione tra le grandi aree urbane della regione, dove la frammentazione e la fragilità delle strategie locali si è sovente intrecciata con le inerzie del sistema decisionale regionale (Vinci, 2014). Spazi e condizioni per il disegno di future politiche Il valore della cooperazione tra i soggetti locali produttori di strategie territoriali in un sistema regionale, invece, non solo mantiene tutta la sua attualità, ma si carica di nuovi significati in relazione agli orientamenti che l’agenda politica e le opportunità che la sfera economico-sociale proiettano sui territori, chiamando le comunità locali a reinterpretare le risorse a loro disposizione ed il loro ruolo nei processi di sviluppo. Mentre anche in Sicilia appaiono rintracciabili esperienze di cooperazione territoriale "inter pares” (città limitrofe, territori omogenei) e su temi tradizionali (conferire maggiore razionalità ad un servizio pubblico, offrire una immagine coordinata delle risorse territoriali) (Vinci, 2010), ancora largamente inesplorate appaiono le “economie” e le “ecologie” che potrebbero determinarsi dalla

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sinergia tra territori “disomogenei”, ovvero le grandi aree urbane e le aree interne e rurali. Uno dei tratti caratterizzanti il rapporto tra aree urbane ed interne, in Sicilia, consiste nell’elevato grado di prossimità spaziale che sussiste tra le due morfologie territoriali: gli insediamenti metropolitani di Palermo, Catania, Messina sono lambiti, potremmo dire cinturati, dai grandi giacimenti ambientali che presidiano porzioni significative del territorio regionale. Nel raggio di pochi chilometri è possibile rintracciare la coesistenza di ambiti ad alta densità demografica, con al proprio interno le funzioni tipiche del rango metropolitano, e sistemi ad alta naturalità che ne rappresentano il contrappeso sul piano ecologico. Queste condizioni rappresentano una opportunità per lo sviluppo di strategie e politiche territoriali in grado di ridefinire su nuove basi la dialettica tra domanda ed offerta di beni e servizi tra aree urbane e rurali, a vantaggio soprattutto (questa è la prospettiva che qui ci interessa) delle risorse locali presenti nelle aree interne. Si tratta di riequilibrare i tradizionali flussi che vedono tipicamente le aree interne come generatrici di produzioni agroalimentari sovente indistinte ed a basso valore aggiunto e destinatarie di flussi turistici discontinui, spesso con un debole impatto sul tessuto socio-economico locale, esplorando il potenziale intrinseco nelle reti a corto raggio, quelle che legano le aree interne ai sistemi metropolitani verso cui tendono a gravitare con i relativi mercati.

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Due dimensioni progettuali, in particolare, appaiono le più promettenti sulla base delle condizioni di contesto delineate nel primo paragrafo e dei caratteri peculiari del territorio regionale descritti nel secondo4: (a) la prima riguarda una diversa penetrazione delle produzioni locali delle aree rurali all’interno della distribuzione commerciale delle grandi aree urbane; (b) la seconda la valorizzazione del potenziale energetico intrinseco nel patrimonio boschivo ed agricolo diffuso nelle aree interne. Il primo tema muove dalla debole riconoscibilità che caratterizza buona parte delle produzioni agroalimentari di qualità provenienti dalle aree rurali nel loro muoversi dai luoghi di produzione a quelli di consumo. Le grandi aree urbane, infatti, costituiscono i luoghi elettivi per la creazione e riproduzione di quei significati culturali (tipicità, eco-sostenibilità) in grado di accrescere il valore aggiunto delle produzioni a beneficio dei soggetti che si collocano lungo la filiera di produzione. Ciò avviene solo in un ristretto numero di realtà organizzate secondo logiche distrettuali, mentre in molti altri casi le produzioni locali penetrano nei mercati urbani in maniera frammentata, assecondando logiche quantitative basate sul prezzo che finiscono per premiare i soggetti che si collocano lungo i gangli della distribuzione, piuttosto che i diretti produttori. Associata a tale questione ve ne è una seconda che riguarda la possibilità, per le produzioni locali in grado di collocarsi efficacemente nei mercati urbani, di veicolare ulteriori valori espressi dai territori di provenienza, quali

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ad esempio risorse ambientali o culturali che possono configurarsi quali fattori di attrattività per turisti e visitatori. In un mercato turistico in via di strutturazione in segmenti sempre più tematizzati, oculate politiche di accoppiamento tra prodotti ed offerta di territorio possono costituire delle leve rilevanti per contaminare, e dunque anche irrobustire, i diversi tessuti produttivi presenti nelle aree rurali. Nell’uno e nell’altro caso, i fattori organizzativi interni ai sistemi locali – capacità di strutturare e regolare il sistema locale delle produzioni, di offrire immagini coordinate dei prodotti e dei territori di provenienza – sono condizioni che possono meglio determinarsi a partire dal considerevole “mercato di prossimità” rappresentato dalle grandi aree urbane che lambiscono i territori interni. L’innovazione tecnologica nel campo delle bioenergie, come anticipato nell’introduzione, sta ridisegnando gli equilibri tra fonti energetiche rinnovabili e convenzionali, con fortissime implicazioni sulle relazioni tra aree urbane ed aree connotate da dotazioni significative di biomasse. Da questa prospettiva il territorio in chiave energetica non appare più come una semplice membrana posta al di sopra di risorse stratificate del tutto indipendenti dall’agire delle comunità locali, ma piuttosto una componente attiva dei cicli di produzione e per ciò dipendente da capacità progettuali e fattori organizzativi. In Sicilia le aree boscate coprono circa 250.000 ettari del territorio regionale (fonte INFC), mentre ad oltre 1,3 milioni di ettari ammonta la superficie agricola interessata da colture (fonte Istat). Tendenze significative riguardano le attività zootecniche, altra fonte di potenziale approvvigionamento energetico, che hanno visto un significativo incremento (circa il 6%) nell’ultimo decennio. Questi rilievi quantitativi sul potenziale bioenergetico della regione vanno valutati alla luce del gap tecnologico ed organizzativo che sussiste con i contesti più innovativi in ambito internazionale, ma identificano anche alcune leve in grado di incidere su varie dimensioni e scale dello sviluppo sostenibile. Lo sfruttamento delle biomasse, ad esempio, apre nuovi scenari di “autonomia energetica” per le aree interne e rurali, traducibili nella forma di incentivi per l’attrazione di nuove imprese, nell’offrire migliori condizioni di redditività per il mantenimento e lo sviluppo delle imprese esistenti, nell’opportunità di ristrutturare mercati locali del lavoro asfittici e sovente condizionati da logiche di sussistenza. Ancora lungo questa linea, possono venire attribuite alle aree interne nuove funzioni “di servizio” per le aree

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più densamente popolate e con un deficit di sostenibilità, ad esempio laddove l’innovazione tecnologica nel campo dei bio-combustibili sta ridisegnando le strategie e le politiche per l’abbattimento degli inquinanti dovuti al trasporto pubblico e privato nei contesti urbani. Molti indizi, in definitiva, ci fanno prefigurare l’emergere di una prospettiva “rurbana” nello sviluppo regionale, di una nuova possibile alleanza tra città e campagna, su cui istituzioni, popolazioni ed imprese potranno misurare la loro capacità di innovazione nel prossimo futuro.

1. Per una lettura organica dell’eredità di Patrick Geddes nel campo delle scienze sociali e della pianificazione territoriale si vedano principalmente: Meller H. (1990), Patrick Geddes: Social Evolutionist and City Planner, Routledge, London; Welter V.M. (2002), Biopolis: Patrick Geddes and the City of Life, MIT Press, Cambridge. 2. Com’è noto le fonti rinnovabili costituiscono tuttora una componente minoritaria nei bilanci energetici dei paesi occidentali, tuttavia la loro quota appare in continua ascesa in ragione di una serie di fattori, tra cui il più deciso orientamento politico verso la sostenibilità ambientale – con le forme di regolazione e gli strumenti economici e fiscali che ne derivano –, una contrazione dei consumi globali di energia, nonchè i risultati dell’innovazione tecnologica nel settore. 3. Sul consolidarsi di sistemi locali di sviluppo nella regione a partire dalle opportunità offerte dalla programmazione nazionale e comunitaria si veda: Vinci I. (2007), “I territori dello sviluppo locale”, in Colaizzo R., Verro A. (a cura di), Nuovi approcci alle politiche di sviluppo locale. Programmazione 2007-2013, Quaderni Formez, Formez, Roma. 4. Le riflessioni proposte in questa parte del testo, inoltre, si ispirano ai risultati di una sperimentazione progettuale condotta a conclusione del Laboratorio di pianificazione territoriale strategica coordinato da Maurizio Carta, Vincenzo Provenzano e da chi scrive.

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MARGINALITÀ E SVILUPPO LOCALE: IL CASO DI BIVONA Vincenzo Provenzano

Introduzione Lo sviluppo collegato ad elementi locali ha necessità di essere analizzato in riferimento ad alcune tendenze maturare negli ultimi decenni. La prima è la nascita nei Paesi economicamente avanzati di un consumatore che non desidera solo una soddisfazione immediata, basata su prodotti e servizi standard, ma è alla ricerca di elementi di natura simbolica e di trasmissione di valori. Il secondo riguarda la questione ambientale non solo nella sua componente classica di sostenibilità, ma esaminata come variabile strategica ed economica per lo sviluppo locale. Su questo ragionamento si collegano alcune riflessioni e i risultati del Laboratorio finale del Master in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio che ha indicato alcune proposte di sviluppo per il Comune di Bivona, piccolo comune siciliano interno della Sicilia, abitato da 3000 abitanti e che necessita di nuove forme di intervento. I due gruppi di lavoro, formati da professionalità diverse nel campo dello sviluppo locale, hanno evidenziato in modo complementare due sentieri di innovazione economica e sociale basati sulle produzioni di qualità legate alla memoria storica per lo sviluppo del territori e sulla realizzazione di un'oasi energetica per il riciclaggio e compostaggio di rifiuti per la produzione di energia.

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Queste proposte sottendono alcune considerazioni. Fino ad oggi nelle aree economicamente più arretrate e rurali, usando come metro di riferimento la bassa densità insediativa, si è intervenuto cercando di offrire un sostegno ai redditi, con meccanismi di aiuto monetario da parte dello Stato, finalizzato a sostenere i consumi di base delle popolazioni locali in gran parte improduttivi. La scelta di questo metodo era molto semplice: ribaltare sul singolo percettore la rendita offerta senza alcune preferenza o ordine di scelta, completamente avulsa dal meccanismo di welfare in grado di generare o indurre selettività e consapevolezza nel singolo cittadino, molto spesso incapace di moltiplicare il reddito monetario oltre la sua componente di spesa per consumi. L’intervento della finanza pubblica nelle sue diverse dimensioni di governance ormai da tempo ha ultimato la capacità di convogliare ampie risorse, unito al cambiamento strutturale dei consumatori che guardano meno alle quantità indifferenziate, mentre cresce il livello e la dimensione soggettiva di soddisfazione, che, specialmente per i giovani, deve superare la soglia del consumo per addentrarsi nelle sfere dell’autorealizzazione e di una capacità autonoma di creare reddito e, in senso lato, di generare autonomia. L’altro elemento importante per lo sviluppo delle aree interne è quello di considerare il loro ritardo come elemento di competitività territoriale. Il tema, quindi, si muove sullo sfondo di una marginalità associata ad una sperimentazione sui luoghi e legata allo sviluppo locale sulla cui logica si rimanda per le questioni più spiccatamente metodologiche (Provenzano, 2009) e che ha già avuto in un altro comune della zona dei Monti Sicani, come Castronovo di Sicilia, esempi parzialmente espressi di sviluppo locale virtuoso. I vantaggi della marginalità per lo sviluppo locale possono inserirsi e sono visibili nei risultati del progetto portato avanti dai partecipanti del laboratorio del Master che hanno operato come agenti e sensori locali dello sviluppo, seguendo una strategia reticolare che parte dall’analisi del presente di Bivona, nei suoi elementi caratterizzanti di vantaggi e criticità, per indicare possibili sentieri di cambiamento. Il lavoro, quindi, dopo aver analizzato alcuni elementi del legame tra marginalità economica e divari in Sicilia, segnala alcuni “mazzetti” di innovazione territoriali che, prendendo spunto dalle proposte del workshop,

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indicano elementi di cambiamento in una realtà in cui per certi versi il tempo sembra essersi fermato. Alcuni aspetti della marginalità in Sicilia La condizione di marginalità della Sicilia ha radici remote, esasperando una visione, un mito sulle condizioni di inferiorità economica, politica e civile rispetto alle aree più avanzate del Paese. La stessa crisi economica iniziata nel 2008 e che probabilmente chiude con il 2015 un primo ciclo di medio periodo, continua ad evidenziare la lentezza dei meccanismi di ripresa, anche se debole, in cui l’economia italiana è a oggi ancorata. Il problema dello sviluppo siciliano è stato trattato come un problema sociale e materiale identificato e valutato quale devianza dai modelli economici classici in termini di dotazioni di fattori economici nonché culturali come l’eccessivo individualismo, la carenza di spirito civico, l’arretratezza tecnologica, i fenomeni di corruzione diffusa. Ma la marginalità negativa, ancora oggi esistente, non può e non deve precludere le possibilità di trasformazioni o mutamenti che possono condurre verso un’altra direzione rispetto ad una rigida contrapposizione tra aree ricche e povere in Italia. Nonostante, infatti, sia diffuso il cliché di un Sud, e di una Sicilia in particolare, in cui dominano la disoccupazione, la criminalità organizzata e il sottosviluppo, è fortemente presente l’immagine di un’Isola come realtà particolare e originale, luogo carico di storia, culture specifiche, all’interno di una biodiversità particolare. La Sicilia può essere intesa quale nexus di elementi tangibili e intangibili, come le condizioni climatiche favorevoli, l’ospitalità e il cibo unito alle caratteristiche rurali e paesaggistiche dei territori. Il vero elemento di differenziazione rispetto ad altre aree è il livello di materialità presente nell’Isola, di una tangibilità fisica che attraversa oggetti e individui che si traducono in bene economico. Questi tratti che mettono in luce la diversità del territorio siciliano rispetto ad altre realtà, durante la corsa allo sviluppo e all’industrializzazione, sono stati poco valorizzati e le stesse politiche di coesione territoriale, sociale ed economica dell'Unione Europea non hanno appieno tenuto conto di queste caratterizzazioni strutturali, forse pensando che la replicabilità dei modelli economici siano identici ai risultati degli esperimenti della fisica, dimenticando che una delle tante complicazioni dell’economia è che

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ogni persona, ogni impresa, ogni territorio è diverso da tutti gli altri. Risulta opportuno recuperare e valorizzare tutto ciò che è definito tipico e ancorato ai territori, determinando la sua appartenenza ad un determinato luogo, sottolineando il collegamento e il rapporto essenziale esistente con il territorio, sfruttando le diverse opportunità che rispettivamente vengono offerte dalle tradizioni locali e dai nuovi scenari internazionali. Il miglioramento delle produzioni dipende non solo da fattori economici e dalle capacità manageriali che le singole imprese sono in grado di esprimere, ma anche da variabili di contesto e relazionali che si sviluppano all’interno e all’esterno del settore, e del territorio stesso, e in cui il ruolo pubblico assume una valenza essenziale pur con un'ottica diversa. Alcuni vincoli, quindi, assumono un nuovo significato, come la condizione di marginalità geografica, intesa come posizionamento della Sicilia nell’area periferica europea, lontana dai centri decisionali economici e politici dell’Europa centrale, ma attraversata da trend storici e cambiamenti come la nuova importanza del Mediterraneo legata ai problemi dei flussi migratori e del terrorismo che cambiano le prospettive e il grado di attrattività dell’area. Una marginalità positiva, quindi, si riferisce ad una Sicilia caratterizzata da un settore primario di tipo mediterraneo, basato sulle coltivazioni di prodotti agricoli quali l’uva, le olive, gli agrumi e, più in generale, tutte le attività dell’ortofrutta alle quali si affiancano i prodotti zootecnici come le carni ovine, caprine, i prodotti dell’industria casearia e ittica. Si è di fronte, latu sensu, ad una bioeconomia complessiva ad alta competitività territoriale che ovviamente non va a scapito di settori tradizionali di crescita come l’industria, ma che permette di cogliere alcuni aspetti specifici, oggi definibili come smart e che hanno bisogno più di ieri di un alto grado di sofisticazione tecnologica e manageriale. Non a caso queste produzioni di base generano poi una serie di attività di trasformazione che nel tempo si evolvono, per accrescere la produttività fattoriale e quindi la competitività delle aree. Ciò consente alle regioni meridionali come la Sicilia di poter sfruttare la forte specificità, di comparto e territoriale, dell’industria alimentare, realizzando una specializzazione produttiva agricola con produzioni di alta qualità da destinare non solamente alla domanda locale, ma soprattutto ai mercati nazionali ed esteri, esportando congiuntamente il singolo prodotto e il valore unico del territorio siciliano.

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Avendo, quindi, come principale obiettivo la valorizzazione e la promozione dei prodotti di eccellenza, risulta fondamentale tutelare e diffondere, anziché sostituire, le caratteristiche e le tecniche di lavorazione e di conservazione improntate ad un moderno concetto di tradizione associato ai saperi locali. A questo punto ecco che la pesca di Bivona diviene da un lato prodotto di base, facilmente riconoscibile, ma dall’altro la sua trasformazione e branding ne permette la larga diffusione: la pesca come moltiplicatore delle attività economiche di Bivona e dei luoghi circostanti. La rigida contrapposizione tra agricoltura moderna e agricoltura tradizionale, di fronte a questa nuova opportunità, decade, per lasciare il posto a un sistema agricolo che possa sfruttare insieme tecnologie avanzate e tecniche di lavorazione consolidate nel tempo, praticate sul territorio ed eseguite mediante specifiche regole tradizionali, portatrici di un valore aggiunto di qualità. Una ulteriore riflessione su una marginalità positiva si riferisce alla com-

Le componenti dello sviluppo locale (Cimino S., Cuccia G., Gravanti F., Lauretta M. Mangione M. G., Messina E., Montemaggiore G., Pollara M. T., Sardina P., Torrisi L., 2014. Le stazioni del gusto, le produzioni di qualità e la memoria storica per lo sviluppo del territorio, Report - Laboratorio finale di pianificazione territoriale e strategica dello SmartPlanning.master di Bivona)

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posizione del tessuto produttivo siciliano caratterizzato dall’ampia presenza, specialmente in alcuni settori produttivi tradizionali, di imprese di piccole e medie dimensioni che, se opportunamente gestite e messe in rete, hanno gli elementi per rispondere agli stimoli e alle opportunità provenienti sia dal territorio nel quale sono insediate che da ambiti diversi da quello locale. Le interazioni tra territorio, aziende, agricoltura e ambiente Lo sviluppo nelle aree rurali è in funzione anche della capacità di dialogo che si riesce a creare a livello spaziale. I livelli d’interazione tra azienda e territorio possono essere schematicamente indicati come: – controllo della conoscenza rilevante e grado di autonomia dei produttori; – dipendenza e vocazione territoriale; – esternalità positive sul territorio; – sinergie azienda-spazio; – trattenimento delle risorse; –associazionismo, portatori di interesse e partnership pubblico-privato. Il controllo della conoscenza rilevante e il grado di autonomia individuano il nuovo ruolo dei produttori nel gestire produzione, accumulazione e innovazione. I produttori dispongono di conoscenze riguardo alle pratiche colturali, alle specificità del territorio, alle caratteristiche delle specie animali e vegetali coinvolte nella produzione. Inoltre, possono godere di diversi gradi di autonomia a secondo della dipendenza della loro attività da fondi esterni, anche se parziali. I produttori scelgono di produrre beni che seguono le vocazioni territoriali e sono compatibili con l’ambiente circostante; ad esempio il metodo biologico può anche indurli a scoprire o ritrovare varietà che offrono migliori risultati economici. Tra le esternalità positive vi sono i benefici ecologici: la riduzione dell’inquinamento di terreni e falde acquifere dovuto all’uso di insetticidi e altri additivi chimici, la salvaguardia della biodiversità e dell’integrità delle catene alimentari dell’ecosistema locale. Crescono i legami tra pratiche e conservazione o la ricostituzione del paesaggio rurale. L’ambiente diviene nella sua unicità elemento di competitività territoriale e tali sono i Monti Sicani, così come indicato nella individuazione di un’Oasi energetica resa sostenibile, a livello energetico, ambientale, economico e sociale, attra-

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verso l’uso di biomassa ricavata da scarti di potatura delle piante arboree presenti sul territorio. Si è di fronte alla applicazione delle migliori pratiche di sviluppo rurale in grado di rafforzare il ruolo degli attori locali e di promuovere la formazione di nuovi network. La creazione di queste relazioni dipende strettamente dalle scelte dei produttori che non sempre, però, hanno l’intenzione e la capacità di attivare tali pratiche. Nasce la necessità di uno sviluppo intelligente dello spazio rurale, alla base anche delle nuove politiche dell’Unione Europea previste per il ciclo 2014-2020. Un elemento fondamentale derivante dalla valorizzazione del territorio nelle sue dimensioni produttive e ambientali è la permanenza dei giovani in queste aree. Il trattenimento delle risorse è uno degli aspetti fondamentali per lo sviluppo rurale, obiettivo alla base delle scelte politiche comunitarie. L’utilizzazione delle risorse agricole e dei processi di sviluppo sostenibile sono determinanti nella scelta dei giovani di rimanere a Bivona e nelle zone limitrofe, facilitando anche l’occupazione tra le fasce strutturalmente più deboli come i giovani e le donne, i cui tassi di attività sono particolarmente bassi. I vantaggi sono diversificati come il trattenimento, il recupero e l’acquisizione di risorse che altrimenti non troverebbero adeguata valorizzazione nei contesti rurali. Si fa riferimento a capitali, a infrastrutture rurali, a specie animali e vegetali, e anche alle persone fisiche. Queste risorse, rimanendo nell’area, contribuiscono allo sviluppo di un mercato di domanda e di offerta, ad una dimensione minima in grado di garantire opportunità di crescita. Un ruolo attivo dei portatori di interesse consiste nella promozione di network e associazioni. Numerosi sono i legami che si sviluppano attraverso la partecipazione a reti orizzontali con altri soggetti sociali. Gli obiettivi di queste forme associative sono lo scambio di informazioni e la possibilità di difendere e promuovere attività economiche tipiche del cluster. I produttori spesso instaurano con i fornitori e i consumatori relazioni che vanno al di là di semplici rapporti di scambio, grazie alla supposta condivisione di valori e stili di vita. L’interazione diretta tra i soggetti è preferibile al fine di promuovere canali di mercato alternativi, caratterizzati da un numero limitato di passaggi tra produttore e consumatore e da una maggiore condivisione di conoscenza tra i soggetti coinvolti.

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Un elemento interessante nelle zone marginali è che i rapporti interpersonali possono anche essere conseguenza della prossimità geografica; a livello locale la conoscenza diretta equivale a creare un’atmosfera rurale del tutto simile a quella indicata da Marshall per i distretti industriali. Non si vuole però essere disincantati. La capacità di fare network è in funzione di una capacità di creare economie di agglomerazione forti e percepibili a tutti. Un modello di rete orizzontale (Murdoch, 2000) presuppone la costituzione di reti di rapporti tra i diversi portatori di interesse che, riconoscendo le potenzialità dell’area, sono disposti ad associarsi. Il vantaggio di tale modello è che non presuppone solo la prossimità geografica tra i suoi nodi, semmai meccanismi di connessione tra essi. La rete orizzontale descrive un percorso di sviluppo rurale caratterizzato dalla differenziazione produttiva e dall’integrazione funzionale di attività agricole e non agricole, nel quale la componente spaziale prevale su quella settoriale. La dinamica di queste reti si basa sulla capacità associativa e sulla flessibilità organizzativa, piuttosto che sulla gerarchia e sulla specializzazione. Ne risulta un ruolo più attivo dei soggetti locali, ed una loro maggiore centralità nel controllo della conoscenza e nella generazione di innovazione. Secondo tale visione lo stesso sistema di conoscenza può essere modellizzato come una rete di connessioni tra informazioni che contribuisce a strutturare le altre reti e che co-evolve con esse. Un elemento mancante nelle reti orizzontali è relativo al modo in cui i nodi di comunicazioni si ispessiscono e alle motivazioni delle alleanze che a questo punto non necessariamente devono essere orizzontali tra pari. In questo le partnership pubblico-private sono un esempio chiaro proprio perché i processi di natura collaborativa funzionano solo se gli attori portano un corredo di utilità complementari: il successo della collaborazione dipende soprattutto dalla complementarietà delle relazioni e dalle capacità dei soggetti. L’ impianto di biomassa proposto nell’Oasi di Bivona ha sicuramente necessità di capitali privati, ma senza adeguati scarti di potatura presenti sul territorio e un attento disegno della logistica per la raccolta non può funzionare, pur in presenza di vantaggi certi.

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Conclusioni: Bivona è area di apprendimento per lo sviluppo? Gli elementi sinteticamente evidenziati mostrano come oggi il successo di progetti di sviluppo locale si inserisce all’interno di un clima ad apprendimento continuo in cui esistono norme di comportamento sociale e istituzionale in grado di portare le idee da una fase progettuale a risultati economicamente tangibili. Si mutua, quindi, il concetto di learning regions in uno spazio ancora più delimitato di una Bivona learning area in cui le forme di apprendimento sono presenti all’interno delle imprese e nelle forme di cooperazione tra i portatori di interesse come le istituzioni presenti nei territori. Non è un processo facile poiché le attività economiche necessitano di una serie di sostegni ed elementi complessi quali meccanismi di apprendimento permanente, processi di innovazione complessi ed un uso creativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. È possibile tutto ciò in aree economicamente e socialmente marginali come Bivona? Non si hanno risposte certe ed anche gli studi e le esperienze territoriali non offrono elementi certi in tal senso: la stessa esperienza di Castronovo di Sicilia (Provenzano, 2009) non ha mostrato in questi anni traiettorie di sviluppo durature, specie per la mancanza di un virtuoso rapporto pubblico-privato. Si è dell’avviso che il destino socio-economico dei territori marginali dipende innanzitutto dalle iniziative progettate dagli attori locali che, pur non avendo la stessa dimensione di scala presente nelle aree urbane, hanno la capacità di provocare uno shock di sistema, un cambio di direzioni su cui costruire faticosamente quella ossatura infrastrutturale, tecnica e finanziaria, in grado di supportare i vantaggi competitivi ancora in una fase latente di queste aree. Se questi processi fossero lasciati alla libera iniziativa dei soggetti locali, la probabilità di successo sarebbe molto bassa proprio a causa della ridotta dimensione di scala e di scopo; allo stesso tempo, però, solo la presenza a Bivona di portatori di interesse lungimiranti e competenti può condurre a discontinuità socio-economiche i cui risultati saranno apprezzati principalmente dalle generazioni successive.

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IL RUOLO DEL PAESAGGIO E DEL PATRIMONIO CULTURALE PER LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO Alessandra Badami

«Una Sicilia interna, rurale, un territorio montagnoso di insediamenti di ritrazione, di difesa, che possono dirsi di tipo medievale, ma che sono anche di suggestione memoriale da parte di coloni, di immigrati, che vanno dagli arcaici Elimi, ai Musulmani, ai Lombardi, Tedeschi, Ebrei, Greco-Albanesi. […] Un crogiolo, un punto di convergenza di varie civiltà, una dimora vitale in cui sono fiorite e da cui sono partite […] straordinarie personalità» (Vincenzo Consolo, 2007)

Nel percorso dal paese al paesaggio che Pietro Camporesi descrive partendo dalla comparsa del “soggetto” paesaggio nell’arte umanistica e rinascimentale, non più neutro fondale ma ormai co-protagonista della rappresentazione artistica, viene compiuto un processo di selezione, necessario e funzionale alla definizione stessa di paesaggio ed alla sua rappresentazione, a partire dal concetto di paese. “Il paese – scrive l’autore – è il territorio, lo spazio vissuto, il luogo della vita quotidiana, il mondo materiale, scomposto e disordinato, che comprende il bello e il brutto, l’ozio e il lavoro, la gioia e la fatica. (...) Il paesaggio emerge dal paese come parte di territorio rappresentato, esteticamente percepito, nobilmente raffigurato” (Camporesi, 1999). Tale attività selettiva, indispensabile alla costruzione del concetto di

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paesaggio, tutt’altro che consistere in un processo riduttivo, implica di “prestare attenzione agli aspetti qualitativi del territorio e dell’ambiente, alla composizione unitaria della natura e delle opere dell’uomo, alla bellezza e all’armonia degli insediamenti” (Gaeta et alii, 2013): in definitiva, comporta il “pensare il mondo come paesaggio” (Lanzani, 2011). Potremmo, pertanto, pensare al paesaggio come indicatore complesso di qualità, non solo a livello descrittivo e percettivo ma anche, e soprattutto come sottolinea la Convezione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000), in considerazione delle “importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale” che ne esplicitano anche la funzione di “risorsa favorevole all’attività economica”. La definizione fornita dalla Convenzione tende ad evidenziare la doppia natura del paesaggio, in quanto fenomeno naturale ed antropico che si origina dalla continua interrelazione delle due componenti e tiene conto che i paesaggi evolvono col tempo, per l’effetto di forze naturali e per l’azione degli esseri umani. Sottolinea, ugualmente, l’idea che il paesaggio forma un tutto, i cui elementi naturali e culturali vengono considerati simultaneamente, facendo entrare in gioco anche la dimensione percettiva, non solo del singolo abitante quanto piuttosto della cultura della popolazione interessata. Il paesaggio, che “è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”1, può essere definito, quindi, come sintesi delle condizioni sociali, territoriali, ecologiche di un territorio e della popolazione che lo abita e pertanto è necessario che esso venga “salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato”2. Il paesaggio dei Monti Sicani Esiste una Sicilia che pochi conoscono davvero: la Sicilia agreste, con la resilienza del lavoro dei campi, della pastorizia e della pesca, delle antiche tradizioni che permangono anche per l’isolamento dalle più veloci direttrici di traffico, che ancora oggi conserva caratteristiche demo-etnoantropologiche originali. A questa Sicilia appartiene l’area dei Sicani, situata nel territorio in cui si incontrano le province di Palermo e di Agrigento, nella zona sud-occidentale della regione tra i fiumi Belice e Carboy, tra le Valli dello Jato e del Platani e i rilievi dei Monti Sicani; un

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contesto “marginale”, tangente ma esterno alle aree più intensamente antropizzate e urbanizzate e che, anche grazie a tale “marginalità”, è uno dei più autentici, nonché tra i più interessanti dal punto di vista naturalistico e culturale, paesaggi della Sicilia agreste. L’alto valore ambientale del territorio ha motivato l’istituzione, nel 1997, di tre Riserve Naturali Orientate (RNO Monte Genuardo e S. Maria del Bosco, RNO Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio, RNO Monte Carcaci), alle quali nel 2000 si è aggiunta la RNO di Monte Cammarata. La prima è caratterizzata da lenti e imponenti movimenti franosi che, associandosi all’azione di erosione superficiale delle rocce, ha portato alla formazione di immensi blocchi rocciosi e disarticolati. Sulla superficie del Monte Genuardo, massiccio carbonatico formatosi per la lenta sovrapposizione di sedimenti fossili su fondali marini antichissimi risalenti al Trias superiore (Era Secondaria) e progressivamente attraverso le varie fasi climatiche e tettoniche sino ai sedimenti di argille e calcareniti più recenti, affiorano le pillow lavas, depositi di lave sottomarine dovute ad attività eruttive risalenti a circa 135 milioni di anni fa (Giurassico-Cretaceo inferiore). Anche la vegetazione che ricopre le montagne ha conservato l’aspetto naturalistico originario delle antiche foreste che popolavano l’isola caratterizzate da Quercus ilex, Quercus virgiliana, Sorbus aria e Acer campestre e, nel sottobosco, Paeonia mascula e Bonannea graeca. La Riserva dei Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio è di grandissimo interesse sotto il profilo geologico poiché contiene i sedimenti fossiliferi più antichi della Sicilia, affioramenti rocciosi3 risalenti all’epoca del Permiano, tra cui la Pietra di Salomone e la Pietra dei Saraceni oggetto delle ricerche effettuate dal paleontologo Gaetano Giorgio Gemmellaro, pubblicate nel 1890, e che hanno dato origine alla collezione di fossili esposta al Museo Paleontologico Gemmellaro dell’Università degli Studi di Palermo. Altri siti di rilevante interesse geologico sono il Vallone Acque Bianche, dove gli strati calcarei da orizzontali diventano repentinamente verticali, e Pizzo Castellazzo, dove è presente una colata lavica che si estende tra Croce del Gallo e Burgio. Sul Monte Carcaci, composto prevalentemente da rocce calcaree formatesi in un lungo periodo dal Triassico al Miocene dell’era Quaternaria, una serie di ambienti significativi come aree umide, boschi e boscaglie naturali, praterie, ambienti rupestri ed arbusteti di prugnolo, rosa canina, caprifoglio mediterraneo, rovo comune e asparago spinoso, resi intricati

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da piante lianose e sarmentose, spesso provviste di spine ad uncini che li hanno preservati dalla brucatura, caratterizzano e modellano il paesaggio vegetale. La tutela della sommità del Monte Cammarata, che con i suoi 1.578 metri d’altitudine è la vetta più alta del sistema montuoso dei Sicani, ha permesso di salvaguardare le oltre 150 specie erbacee, di cui diverse rappresentano rari endemismi (Anthemis punctata var. incana, Senecio siculus, Bivonea lutea, Salvia argentea, Iris pseudopumila), e la comunità avifaunistica, altamente diversificata, di cui fanno parte rare specie di falconiformi. Il Parco Naturale Regionale dei Monti Sicani L’alta percentuale nel territorio di aree soggette a vincolo ambientale e le particolari connotazioni naturalistiche e paesaggistiche hanno successivamente posto le basi per l’avvio dell’istituzione del quinto – in ordine cronologico – Parco Naturale Regionale, che ha visto la sua definitiva istituzione nel gennaio 2015 dopo un annoso iter giudiziario. L’area del parco coinvolge i territori di 12 Comuni appartenenti alle province di Palermo e Agrigento: Bivona, Burgio, Cammarata, Castronovo di Sicilia, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Giuliana, Palazzo Adriano, Prizzi, San Giovanni Gemini, Santo Stefano Quisquina, Sambuca di Sicilia; come parco interprovinciale, la sede dell’Ente Parco è sdoppiata presso Palazzo Adriano per la provincia di Palermo e presso Bivona per quella di Agrigento. Nel suo complesso, il Parco Naturale dei Monti Sicani comprende rilievi calcarei che presentano singolarità geologiche di rilevante interesse scientifico e paesaggistico e ambienti e microclimi la cui complessità favorisce una grande varietà di flora e fauna: le specie vegetali censite sono circa 700, delle quali una quarantina endemiche. Il territorio si differenzia dal tradizionale paesaggio agricolo dell’entroterra insulare per la compresenza, in un territorio relativamente piccolo, di numerosi laghi: il Lago Favara presso Burgio, il Lago Gammauta presso Palazzo Adriano, il Lago di Prizzi, il Lago Fanaco presso Castronovo. Il bacino artificale di Prizzi, insieme a quello di Gammauta, è compreso nel grande complesso del fiume Sosio realizzato tra il 1937 e il 1942, formato da tre impianti in serie. Tutti i bacini artificiali nel tempo sono divenuti stazioni di sosta degli uccelli migratori, oltre che risorsa fondamentale dell’agricoltura locale; ad oggi, però, le comunità locali non hanno ancora saputo sviluppare una industria turistica attorno al notevole potenziale dei bacini. Nelle aree na-

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turali protette sono inoltre presenti poche strutture turistico-ricettive, tra cui il Centro Didattico Case Gebbia e le aree attrezzate Menta, Savochello e Buonanotte. Nel territorio del Parco sono presenti emergenze architettoniche sia all’interno dei centri urbani, sia in contesti extraurbani; questi ultimi (come l’Abbazia di Santa Maria del Bosco o il Santuario di Santa Rosalia alla Quisquina) intessono relazioni di particolare valore paesaggistico con il contesto ambientale nel quale sono inseriti. Altre emergenze architettonicopaesaggistiche sono il Santuario di Rifesi, Pizzo Castellazzo, il Santuario di S. Adriano, il Castello di Cristia che insiste sulla profonda gola del Listi d’u firriatu, il Santuario della Madonna del Balzo, il Castello federiciano a pianta pentagonale di Giuliana, le rovine del Castello di Calatamauro e il Castello Margana. Tra i reperti archeologici di maggiore rilievo è l’antica città di Adranon, insediamento greco-punico risalente agli inizi del V secolo a.C., che si estende su un territorio collinoso e ondulato che avanza a terrazza verso sud-ovest; i reperti fittili, bronzei e marmorei sono esposti al Museo Archeologico Palazzo Panitteri di Sambuca di Sicilia. Antistante la città di Prizzi è il sito archeologico di Hippana sulla Montagna dei Cavalli, contenente uno dei più importanti teatri antichi in pietra ancora da scavare. Gli scavi archeologici nel territorio hanno inoltre restituito i Decreti di Entella e Nakone, oggi conservati al Museo Archeologico Regionale di Palermo Antonino Salinas, che costituiscono fonti originali di eccezionale valore documentario testimonianti le tradizioni e le regole sociali, urbanistiche e commerciali delle antiche civiltà sicane, elime e greche stanziatesi in Sicilia, come la concessione dell’isopolitia, il privilegio della proedria, il processo del sinecismo, nonché informazioni sulle coltivazioni dei terreni e le unità di capacità (medimni) delle derrate agricole. Nel territorio sono presenti le piccole città rurali di Palazzo Adriano, fondata come colonia di profughi albanesi, scelta dal regista Giuseppe Tornatore come scenografia del film Nuovo Cinema Paradiso e sede di un’interessante Collezione Paleontologica; Bivona, conosciuta soprattutto per la produzione della pesca bianca riconosciuta come IGP e per l’artigianato legato alle sedie di legno; Burgio, nota per le ceramiche di antica tradizione, le fonderie di campane e i portali artistici; la comunità arbëreshë di Contessa Entellina; Cammarata, paese agricolo che sorge sopra una rupe scoscesa (689 m s.l.m.), sul quale svetta il castello dalla “torre mozza”,

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mentre sull’altro versante del monte, chiamato anche Gemini (gemello), sorge il paese di San Giovanni Gemini, anch’esso comune agricolo; Santo Stefano di Quisquina, resa celebre per l’eremo di Santa Rosalia; Castronovo, insediamento urbano fondato a metà strada tra Akragas e Himera di cui rimangono abitazioni trogloditiche lungo le sponde del fiume Platani riconducibili al popolo sicano, fortificato con un castello normanno successivamente trasformato in chiesa ed arricchito da fontane pubbliche di notevole interesse (Fonte Rabato, Fonte Regio, Fonte Kassar); Prizzi, il comune più alto del parco dei Sicani a mille metri di altezza, noto per l’Abballu di li diavoli (manifestazione folkloristico-religiosa delle festività pasquali); Contessa Entellina, fondata da un gruppo di profughi albanesi sfuggiti ai Turchi intorno alla metà del Quattrocento e che ancora oggi mantiene vivi i costumi e le tradizioni greco-bizantini; Bisacquino, città natale di Frank Capra, la cui origine risale al casale arabo Busackuin (Bu=molto, sakrin=acque), città dalle molte acque; la medievale Giuliana, sorta attorno al castello federiciano, tuttora in ottimo stato di conservazione; Chiusa Scalfani, stazione intermedia dell’attraversamento nord-sud della Sicilia occidentale con la sua frazione S. Carlo costruita per jus aedificandi; Sambuca di Sicilia, fondata dagli arabi alle pendici del Monte Genuardo, oggi sulle sponde del bacino artificiale del Lago Arancio. Tra le finalità dell’istituzione del parco è la promozione della tipicità di alcuni prodotti locali, come i formaggi, le carni, i prodotti agricoli e

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dell’artigianato che accomunano e caratterizzano questo ambito interno della Sicilia. Nell’area sono già stati condotti esperimenti di aggregazione cooperativistica (l’istituzione di un distretto turistico e di consorzi per la valorizzazione dei formaggi e delle carni locali) che tuttavia non sono ancora riusciti a generare un significativo incremento delle aziende locali. Il Paesaggio: una “proprietà all’orizzonte” Occorre tuttavia ricordare che lo strumento del Piano del Parco, concepito per la salvaguardia del patrimonio ambientale e solo in subordine delegato alla valorizzazione dei beni culturali del contesto territoriale, avendo inoltre competenza solo all’interno del perimetro del Parco, nei fatti non può costituire un documento di riferimento per una visione ampia di pianificazione del territorio rivolta ad un virtuoso connubio tra tutela e trasformazione, ovvero capace di conciliare – attraverso la selezione e l’individuazione dei caratteri connotanti e configuranti del paesaggio intesi quali invarianti non negoziabili – le esigenze della conservazione con le necessità di uno sviluppo ecosostenibile e il dovere di contribuire con creatività alla costruzione dei paesaggi della contemporaneità. Negli intenti della L. 431/85, i parchi e le riserve naturali erano infatti ricompresi tra le 11 categorie territoriali di cui il Piano Paesistico avrebbe dovuto definire ruoli, vincoli e funzioni in una visione territoriale d’insieme, dando concretezza al vincolo paesistico dal quale, per norma

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di legge, non discendono specifici divieti o regolamenti. Nei Piani Paesaggistici di ultima generazione, in applicazione del D.Lgs. 42/2004 che recepisce la Convenzione Europea del Paesaggio, si intende compiere il passaggio dal paese al paesaggio, dove il paesaggio non rimane sfondo inerme delle trasformazioni del territorio o viene recintato in una tutela di settore avulsa dal territorio come in una rappresentazione di genere: il paesaggio, rivendicando la sua capacità di rappresentare l’esito di un processo storicizzato di interazione tra uomo e natura, diviene “strumento analitico fecondo proprio in quanto labirinto interpretativo, intriso di progettualità e immerso in un orizzonte intenzionale” (Gambino, 1996). È nella dimensione del paesaggio che si trovano le chiavi di interpretazione patrimoniale del territorio, capaci di compiere una lettura integrata dei diversi scenari diacronici che le analisi tematiche restituiscono; tesi di fondo adottata, ad esempio, dal Piano Paesistico Territoriale della Regione Puglia (uno dei primi piani di ultima generazione redatti e approvati ai sensi dell’aggiornamento legislativo, sotto la responsabilità della Giunta Regionale e curato dall’Assessorato all’Assetto del Territorio con la consulenza di Alberto Magnaghi) che, assumendo tale visione complessa e interpretativa del paesaggio, affianca alle descrizioni analitiche e strutturali del territorio le interpretazioni statutarie al fine di individuare gli ambiti di paesaggio come identità coevolutive di lunga durata nel territorio. Le analisi del territorio vengono lette per singoli contesti territoriali di particolare valenza culturale (paesaggi antropici, paesaggi dell’acqua, contesti topografici stratificati, etc.), sia sincronicamente come vassoi topografici di relazione tra più contesti, sia infine diacronicamente come stratigrafie di relazioni e di significato nell’uso del territorio. Dalle figure territoriali e paesaggistiche, unità minime di scomposizione analitica e progettuale riconoscibili per la specificità dei caratteri morfotipologici che persistono nei diversi cicli di territorializzazione, e attraverso le descrizioni strutturali di sintesi, si perviene all’interpretazione identitaria e statutaria dalla quale derivare le regole di riproducibilità statutarie dei paesaggi, in una visione eco-evolutiva del paesaggio impostata su obiettivi di qualità paesaggistica ampiamente concertati e condivisi con la popolazione interessata. La pianificazione paesaggistica, potente strumento per comprendere il paesaggio come esito storicizzato del processo coevolutivo uomo-natura,

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dal paesaggio stesso deve saper derivare le regole per la sua riproducibilità, regole che sono già insite nei paesaggi e che oggi occorre rappresentare e condividere in modo più esplicito. Già nel 1836 Ralph Waldo Emerson, filosofo americano, descriveva il paesaggio nella sua qualità di proprietà all’orizzonte, ovvero come sintesi delle azioni individuali dell’uomo sulla natura: “L’incantevole paesaggio che ho visto questa mattina è senza dubbio costituito da venti o trenta fattorie. Miller possiede questo campo, Locke quell’altro e Manning il bosco più in là. Nessuno di loro, però, possiede il paesaggio. Vi è una proprietà all’orizzonte che non appartiene a nessuno, se non a colui il cui occhio è capace di assemblare le parti in un tutto, cioè il poeta. È questa la parte migliore delle fattorie di quegli uomini, a cui tuttavia nessun atto di proprietà dà diritto” (Emerson, 1836).

1. Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 2000. 2. Ibidem. 3. Le rocce sono costituite da foraminiferi (organismi microscopici dai gusci calcarei inconfondibili), spugne, briozoi, brachiopodi (molluschi bivalvi), ammoniti, trilobiti e ostracodi, tutti animali marini vissuti in un braccio dell’arcaico oceano Tetide, progenitore del Mediterraneo attuale, che si incuneava nel continente della Pangea prima che venisse frammentato nei continenti attuali.

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IL TERRITORIO DEI MONTI SICANI. IL SISTEMA DELLE RISORSE TERRITORIALI PER L'ATTIVAZIONE DI POLITICHE DI SVILUPPO LOCALE Annalisa Contato Marilena Orlando*

Introduzione Il contributo presenta i primi risultati della ricerca – condotta nell’ambito del Laboratorio di Sviluppo Locale del Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina per l’energia, l’ambiente e le risorse del territorio1, ed affidata alla responsabilità scientifica del prof. Maurizio Carta – relativa all’interpretazione delle identità del territorio Sicano e alle opportunità di sviluppo da attivare attraverso la definizione di strategie fondate sulla dimensione rurale e culturale e indirizzate alla sperimentazione del modello smart land. La ricerca, che si inserisce nell’ambito dell’interesse ministeriale sulle Aree Interne, è finalizzata alla individuazione di sistemi rurali/culturali locali per ri-attivare il capitale territoriale sia nel breve che nel medio e lungo periodo. La prima parte della ricerca si compone di due fasi di lavoro di seguito descritte. 1. Fase di lettura ed interpretazione del capitale territoriale2, articolata in: - individuazione dell’ambito di indagine attraverso indicatori sulla vivacità amministrativa;

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- lettura ed interpretazione del capitale territoriale attraverso indicatori estrapolati da quelli definiti nella Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI); - lettura ed interpretazione del capitale territoriale attraverso indicatori sui sistemi rurali/culturali locali. 2. Fase di valutazione dei valori del territorio Sicano, articolata in: - verifica delle condizioni di distrettualizzazione del territorio; - prime ipotesi di strategie operative per la ri-attivazione del capitale territoriale. Individuazione dell’ambito territoriale di indagine. L’arcipelago Sicano Il Piano Nazionale di Riforma per le Aree Interne, che prevede l’adozione di una strategia per rilanciarne lo sviluppo locale attraverso i fondi ordinari della Legge di Stabilità e i fondi comunitari 2014-2020, ha costituito il punto di partenza della presente ricerca. Il Piano restituisce una mappatura delle Aree interne del contesto nazionale secondo una lettura policentrica, che vede una rete di comuni o aggregazioni di comuni3 attorno ai quali gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale. Su questa base, la Regione Siciliana (Delibera di Giunta 162/2015) ha approvato l’individuazione di cinque Aree Interne4 (cui destinare le risorse del P.O.FESR. da attivare attraverso investimenti territoriali integrati5) tra cui l’Area Interna Terre Sicane, ambito territoriale composto da 12 comuni6 per una estensione territoriale di circa 92.600 ettari, inclusi nell’ambito dell’ex confine provinciale di Agrigento. Le prime analisi condotte hanno fatto emergere la necessità di guardare oltre il territorio così come individuato dell’Area Interna Terre Sicane, e di osservare un contesto territoriale più ampio, che travalicasse i confini amministrativi ex-provinciali e tenesse conto di relazioni derivanti dalle capacità aggregative connesse alle politiche territoriali. L’ambito territoriale di indagine è stato individuato, infatti, a seguito dell’analisi della vivacità amministrativa fattore che ha incrementato la costituzione di coalizioni in occasione della formazione del GAL, dei Patti Territoriali, del PIT, dei Distretti Turistico e Produttivo, del Parco dei Monti Sicani. Tali strumenti danno vita ad accorpamenti territoriali che, sia che scaturiscano da appartenenze geografiche o che facciano riferimento ad un milieu storico culturale, deformano la lettura del territorio e definiscono nuove relazioni.

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È stata costruita una matrice che mette in relazione i comuni dell’area gravitante intorno ai Sicani con gli strumenti di progettazione integrata, le coalizioni territoriali, i programmi di iniziativa comunitaria attivi7, ed è stata attribuita una scala di valori alla vivacità amministrativa. Il risultato di questa analisi ha consentito di definire un arcipelago territoriale composto da 24 comuni che, mostrando una vivacità alta o media, sono stati ritenuti la coalizione territoriale più solida, coincidente inoltre, con l’intersezione delle aggregazioni territoriali che fanno parte di Distretto Turistico, Parco del Monti Sicani, Area Interna Terre Sicane8. Il sistema delle risorse territoriali. Una lettura interpretativa Il territorio Sicano, posto nella Sicilia sud occidentale, ricorda l’antica Sicania, dal nome dei primi abitanti dell’isola, progressivamente respinti verso le aree più interne in seguito al processo di ellenizzazione. Oggi il territorio contrappone alla fragilità dei sistemi urbani – legata alla condizione socio-demografica, alla scarsa connessione infrastrutturale, alla carenza di servizi scolastici e sanitari (DPS, 2014) – un paesaggio incontaminato e salubre ed un sistema sottoutilizzato di risorse naturali, agricole e zootecniche, dotato di un enorme potenziale se osservato dalla prospettiva del paradigma dell’equilibrio eco-sistemico e dello sviluppo locale. L’analisi sul capitale territoriale vuole mettere in evidenza i caratteri identitari dell’arcipelago Sicano, interpretandone le componenti strutturali, attraverso un sistema di indicatori distinti nei seguenti assi tematici: capitale umano, capitale naturale, capitale culturale, sistema infrastrutturale, sistema produttivo, sistema agricolo, turismo. Il territorio analizzato, situato tra le province di Agrigento e Palermo, si estende per 211.526 ha ed è abitato da 104.102 residenti, per una densità demografica media è di 71,68 ab/kmq. I comuni più abitati sono Ribera (162,30 ab/kmq) e San Giovanni Gemini (305,99 ab/kmq), mentre i più ‘abbandonati’ sono Contessa Entellina (13,67 ab/kmq) e Castronovo di Sicilia (15,79 ab/kmq). L’analisi dei dati sul capitale umano fa emergere la fragilità di questo territorio dal punto di vista demografico: osservando la variazione della popolazione nel primo decennio del XXI secolo, si evince un forte decremento (medio di -15,1%), soprattutto nei comuni di Alessandria della Rocca (-17,7%) e Acquaviva Platani (-15,40%); l’indice di vecchiaia è più elevato (186) rispetto alla media regionale (134,2%) ed ha i suoi valori più alti nei

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L'arcipelago Sicano è stato individuato dal SicaniLab, sulla base della vivacità amministrativa, come la coalizione territoriale ritenuta più solida e coincide, inoltre, con l'intersazione delle aggregazioni territoriali che fanno parte di: Area Interna Terre Sicane, Parco dei Monti Sicani e Distretto Turistico Monti Sicani e Valle del Platani.

L'arcipelago Sicano individuato dal SicaniLab

La vivacità amministrativa è stata calcolata analizzando i piani e i programmi attivi sui Sicani che hanno dato vita ad accorpamenti territoriali spontanei. Questa è stata classificata in: vivacità bassa per i comuni che hanno attivato da 0 a 4 coalizioni; vivacità media per i comuni che hanno attivato da 5 a 8 coalizioni; vivacità alta per i comuni che hanno attivato da 9 a 12 coalizioni. La vivacità amministrativa dei 24 comuni dell'arcipelago Sicano individuato dal SicaniLab

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comuni di Giuliana (291%) e Sant’Angelo Muxaro (301%), mentre il tasso di crescita medio (-6,63%), più basso rispetto alla media regionale (18,8%), ha le sue punte nei comuni di Cattolica Eraclea (-19,1%) e Contessa Entellina (-18,8%)9. Le dinamiche demografiche illustrate, comuni alle altre aree interne del contesto nazionale, hanno determinato un allentamento del presidio della popolazione sul territorio con conseguente perdita di una tutela attiva e diminuzione della SAU (DPS, 2014). Tuttavia, sebbene la SAU abbia avuto una riduzione media del 26% dal 1982 ad oggi, in alcuni comuni dell'arcipelago la superficie agricola utilizzata ha avuto un incremento notevole e, complessivamente essa costituisce la metà del territorio10, che è dotato, inoltre, di 12.122 ha di riserve11 e di 43.687 ha relativi al Parco dei Monti Sicani (circa il 20% del patrimonio naturalistico regionale). A definire il carattere identitario del territorio contribuiscono i numerosi e poco noti siti archeologici. L’area è dotata di 82 aree e beni archeologici, con una maggiore concentrazione nei comuni di Sant’Angelo Muxaro e Casteltermini. A Sant’Angelo Muxaro, noto per la presenza del castello medievale, Paolo Orsi scopre nel XX sec. un gruppo di grandi tombe a tholos i cui ricchi corredi, che fanno ritenere il sito uno dei più importanti della Sicilia protostorica, sono legati al re Kokalos, il più noto re sicano; mentre Casteltermini ha un grande potenziale archeologico inesplorato costituito da pietre megalitiche e reperti che vanno dal periodo Preistorico a quello Paleocristiano. La struttura insediativa è caratterizzata da piccoli centri urbani e borghi rurali – un centro storico di antica origine (Cianciana), 12 centri storici di origine medievale, 11 centri storici di nuova fondazione, costituiti a seguito di licentia polulandi – in cui il patrimonio edilizio storico sottoutilizzato sembra sospeso in attesa di nuovi usi: nell’area si contano 159 beni sparsi tra edifici di architettura militare, religiosa, residenziale e produttiva (Regione Siciliana, 1999). A questa dotazione storico-culturale non corrisponde, però, un’adeguata rete di servizi collegati: in tutta l’area si contano 13 strutture tra musei e attrezzature culturali – concentrati prevalentemente a Sambuca di Sicilia – e 17 biblioteche. Al patrimonio archeologico e architettonico si affianca quello dei prodotti locali enogastronomici (cui sono collegati 8 itinerari vitivinicoli e agroalimentari), che richiamano antiche tradizioni e pratiche agricole. Su tale territorio gli allevamenti e le coltivazioni utilizzano metodi di produzione

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L’indicatore esprime l’accessibilità dell’area mediante servizi di trasporto pubblico locale a mezzo autobus, rispetto ai poli territoriali di riferimento (Agrigento e Palermo) tenendo conto della dimensione demografica dei comuni dell’area. Queste analisi sono state redatte utilizzando la "Guida agli indicatori della «diagnosi aperta» della strategia per le aree interne" fornita dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica per la SNAI. Il dato è stato calcolato sulla base del numero medio giornaliero di servizi su gomma ponderati per la popolazione residente nel comune, dai comuni dell'area di riferimento al polo territoriale individuato sulla base della classificazione delle Aree Interne (unità di misura corse medie giorno ogni 1000 abitanti).

Offerta del TPL verso il polo di Agrigento

Offerta del TPL verso il polo di Palermo

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esenti da forme di inquinamento. Tuttavia, ancora solo il 10% della SAU utilizzata è coltivato ad agricoltura biologica (11.832 ha), con i valori più elevati a Cammarata (70%), Castronovo di Sicilia, Contessa Entellina e Giuliana (67%). I dati analizzati fanno emergere la ruralità di quest’area come un punto di forza non adeguatamente valorizzato: l’incidenza del settore agricolo nell’economia locale è in diminuzione nell’ultimo decennio (da 0, 17% nel 2000 a 0,10% nel 2010)12. Ad un tale capitale territoriale che testimonia una energia vitale da riattivare, si contrappongono le criticità dovute alla posizione geografica, periferica rispetto ai principali poli urbani e alla ridotta accessibilità ai servizi legati alla mobilità. Porti, aeroporti e autostrade non sono raggiungibili in meno di 60 minuti in auto, mentre la distanza media dei comuni ai poli urbani più vicini non è inferiore a 70 minuti e l’offerta di trasporto pubblico locale di collegamento ai capoluoghi è molto scadente (2,3 è il numero medio giornaliero di servizi su gomma), soprattutto nei comuni di Ribera (0,82) e Casteltermini (0,35) (DPS, 2013). Il depotenziamento dei servizi di cittadinanza influisce ulteriormente sull’indebolimento delle comunità locali ed incrementa il declino economico. L’analisi del capitale produttivo fa emergere un indice di dotazione economica generale molto basso (1,90%) rispetto alla media regionale (15,53%), ma si riscontra un indice di imprenditorialità (22%) più alto rispetto alla media regionale (15%), che ha le sue punte nei comuni di Contessa Entellina (44%) e Sant’Angelo Muxaro (41%)13. L’analisi condotta ha rivolto, infine, attenzione al settore turistico e ne ha messo in risalto l’assenza di un ruolo trainante per l’economia locale (nel 2010 si contavano 23 addetti in tutta l’area). Inoltre, nonostante le qualità paesaggistiche, rurali e culturali, il mare costituisce il principale attrattore: l’area ha un basso tasso di ricettività media del 16,12%, una bassa densità turistica media di 28,94% ed il maggiore peso è da attribuire al comune costiero di Cattolica Eraclea (tasso di ricettività di 141% e densità turistica 321,27%), seguito da Ribera (densità turistica 197%)14. Le analisi condotte portano a ritenere che, facendo leva sul capitale agricolo e culturale i Sicani si configurano come un ambito territoriale che, nel combinare tratti rurali, tradizioni e nuovi assetti, può sperimentare nuovi modelli di qualità della vita, incentrati sulla ritrovata relazione tra il territorio e la comunità locale in chiave autosostenibile (Magnaghi, 1998;

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L’indicatore esprime l’accessibilità dell’area mediante servizi di trasporto pubblico locale a mezzo autobus, rispetto ai poli territoriali di riferimento (Agrigento e Palermo) tenendo conto della dimensione demografica dei comuni dell’area.

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2000), su ritmi di vita ‘lenti’, sui paesaggi e sulla capacità di contaminare antiche tradizioni con nuove tecnologie. I sistemi rurali/culturali: prime interpretazioni Le analisi effettuate sui comuni oggetto della ricerca hanno messo in evidenza l’attuale metamorfosi del territorio Sicano – connotato da un paesaggio rurale incontaminato, da siti archeologici lontani dai tradizionali circuiti turistici, da un arcipelago di piccoli centri urbani scarsamente popolati e da un patrimonio edilizio sottoutilizzato – dovuta alle condizioni socio-economiche che non riescono ad interagire con le nuove esigenze produttive ed economiche e che si trasformano in una perdita della popolazione attiva e in una diminuzione della produzione agricola. Nonostante ciò, sono stati riscontrati nel territorio fenomeni di ripresa economica con la nascita di nuovi insediamenti produttivi15, tentativi di specializzazione produttiva16 – soprattutto nel campo della produzione biologica – e tentativi di attrazione attraverso la promozione del mercato immobiliare17, mettendo in valore la diversa qualità di vita che questo territorio offre. Tenendo conto della Strategia Nazionale per le Aree Interne – che mette in primo piano le potenzialità inespresse e le resilienze latenti di questi territori – la ricerca sta interpretando le analisi effettuate per verificare l’esistenza di condizioni di distrettualizzazione al fine di individuare ‘sistemi rurali/culturali locali’ sulla base della metodologia messa a punto nell’ambito della Ricerca sui Sistemi Culturali Locali (Carta, 2003). La metodologia adottata, di tipo esplorativo, utilizza un sistema di indicatori quali-quantitativi, articolati in ambiti tematici18 e arricchito dall’indice di centralità che, calcolato per ogni ambito, aiuta a comprendere la struttura del territorio in funzione delle sue peculiari identità e specializzazioni. L’indice di centralità19 – oltre a confermare le analisi effettuate nella prima fase – permette di valutare la capacità attrattiva di ogni singolo comune in funzione dell’ambito territoriale. Dai risultati sinora ottenuti20 si possono trarre prime considerazioni in merito ad alcuni ambiti tematici. L’indice di centralità Turistica (Rizzo, 1998), articolato in sette livelli21, ha prodotto il seguente risultato: l’unico comune con centralità alta è quello di Ribera; i comuni con centralità medio-alta sono Cammarata, Cattolica Eraclea, Cianciana e Palazzo Adriano; hanno centralità media i comuni di Bisacquino, S. Angelo Muxaro, Sambuca di Sicilia, Montallegro e Burgio; hanno centralità medio-bassa i comuni di S. Biagio Platani, S. Stefano Quisquina,

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La fitta e differenziata rete di centri urbani attorno a cui gravitano aree caratterizzate da diversi livelli di perifericità spaziale capaci di generare importanti bacini d’utenza e di fungere da attrattori, ha permesso di individuare le Aree Interne che trovano nel Piano Nazionale di Riforma l’adozione di una strategia per rilanciarne lo sviluppo attraverso i fondi ordinari della Legge di Stabilità e i fondi comunitari 2014-2020. L'arcipelago Sicano, composto da 24 comuni, presenta 2 comuni di livello Intermedio, 12 comuni di livello Periferico e 10 comuni di livello Ultraperiferico.

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Castronovo di Sicilia, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina; hanno centralità bassa i comuni di S. Giovanni Gemini, Casteltermini e Prizzi; infine, hanno centralità bassissima i comuni di Alessandria della Rocca, Bivona, Calamonaci, Giuliana, Lucca Sicula e Villafranca Sicula. Da questa analisi si evince come il territorio sia caratterizzato da un sistema di servizi al turismo e di ricettività turistica che non corrisponde alle reali potenzialità del territorio, fattore che trova spiegazione nella presenza di due comuni prossimi all’area di indagine, Menfi e Sciacca, che possiedono un altissimo livello di centralità turistica, esercitando un effetto polarizzante sul territorio e confermando la dinamica in atto in alcuni comuni dell’arcipelago, come Cattolica Eraclea. È necessario, comunque, sottolineare che la tipologia di turismo tra questi due comuni (turistico balneare) e il territorio Sicano sia diversa; pertanto, in fase di definizione degli scenari futuri e delle politiche di valorizzazione del patrimonio esistente, la prossimità di differenti tipologie di attrazione turistica permetterà di sviluppare un territorio che sia capace di attivare un’offerta turistica integrata e diversificata. L’indice di centralità del Patrimonio Naturale22 consente di verificare la rilevanza di ogni singolo comune all’interno del sistema naturalistico regionale, di valutare l’esistenza di una rete istituzionale di soggetti e la presenza di una rete di protezione europea. Tranne per i comuni di Alessandria della Rocca, Casteltermini e Lucca Sicula (il cui indice è pari a zero), tutti gli altri comuni presentano elevati valori, dimostrazione del fatto che questo territorio è dotato di un importante patrimonio naturalistico e gode della presenza di uno dei cinque Parchi Naturali della Regione Sicilia. Infine, l’indice di centralità Agricola23 permette di comprendere come la vocazione agricola sia, per la maggior parte dei comuni di questo territorio, un elemento identitario che però, se confrontato con i valori dell’incidenza del settore agricolo nell’economia locale, risulta essere più una resilienza che un fattore di sviluppo. È necessario sottolineare anche le difficoltà con cui il settore dell’agricoltura si scontra: da un lato vi è la dimensione troppo piccola delle aziende (Mirto, 2014) che non riescono ad innescare processi di ricerca e sviluppo per innovare i propri sistemi di produzione e che manifestano la necessità di costruire filiere; dall’altro vi è un inefficiente sistema della mobilità per il trasporto merci dovuto all’assenza di viabilità ferroviaria, alla carenza di adeguati collegamenti interni e alla lontananza dai nodi logistici24. Nonostante queste problematicità, si ritiene che verso il settore dell’agricoltura (e dell’attuale tendenza ad implementare il set-

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tore dell’agricoltura biologica) dovranno essere rivolte le principali strategie di sviluppo al fine di: riattivare l’economia locale, recuperare le identità del territorio e, soprattutto, rendere il processo della produzione agricola trasversale a tutte le altre identità, trasformandolo nel connettore principale del reticolo di piccoli centri urbani dell’arcipelago Sicano. Il completamento della matrice permetterà, inoltre, di indagare la centralità nei diversi ambiti e di costruire indici compositi (Carta et al., 2004) che, mettendo a confronto i diversi indici di centralità con l’indice di progettualità locale, orienteranno la vision del territorio e le politiche attuabili dagli attori che su di esso agiscono. Verso una Smart Land: una strategia di sviluppo possibile Partendo dall’esito delle analisi e dalle riflessioni esposte nei paragrafi precedenti, e con l’ambizioso obiettivo di sollecitare un dibattito disciplinare sui possibili approcci di intervento nei territori interni, sulla loro fattibilità e sostenibilità economica, la ricerca che il SicaniLab sta conducendo persegue l’obiettivo di sperimentare nel territorio Sicano il paradigma della smart land, intesa come «un ambito territoriale nel quale attraverso politiche diffuse e condivise si aumenta la competitività del territorio, con una attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di movimento, alla fruibilità dell’ambiente (naturale, storico-architettonico, urbano e diffuso) e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini» (Della Puppa, Masiero, 2014: 78). Il paradigma è articolato in diversi temi, quali: cittadinanza, sviluppo, energia, mobilità, identità territoriale, saperi e paesaggio. Per ognuno di questi temi è possibile declinare azioni e politiche specifiche. Per il territorio Sicano, di particolare interesse sarà la definizione delle strategie e delle azioni soprattutto in merito ai temi: ‘Sviluppo’, che dovrà avvenire attraverso «la costruzione di una rete delle reti diffuse» (Bonomi, Masiero, 2014: 119), in cui un ruolo attivo è svolto sia dalla cittadinanza che dai diversi portatori di interesse per la promozione del territorio quale bene comune da preservare e valorizzare, garantendone fruibilità e ottimizzando i flussi; ‘Mobilità’, che mira a rendere gli spostamenti più agevoli, ad utilizzare sistemi di traffic calming e ad implementare il trasporto pubblico con mezzi a basso impatto ambientale, definendo un vero e proprio piano urbano della mobilità; ‘Economia’, in cui la promozione della valorizzazione economica del territorio sarà perseguita attraverso

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Indice di centralitĂ Turistica

Indice di centralitĂ del Patrimonio Naturalistico

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Indice di centralità Agricola

Nota metodologica. L’indice di Centralità, nelle diverse declinazioni che assume in questa ricerca, è stato calcolato sulla base della formula relativa all’indice di centralità culturale: «∑(Pc·100/p), in cui Pc corrisponde al numero di elementi per tipologia di patrimonio culturale presente nel singolo comune e p al totale regionale pesato per singolo elemento» (Carta, 2003: 20).

Indice di Centralità del Patrimonio Naturalistico. Il dato incrocia i perimetri comunali con quelli delle aree protette (Parchi, Riserve, SIC e ZPS) verificandone la presenza. L’indice di centralità del Patrimonio Naturalistico è stato calcolato sulla base della formula ∑(Pn·100/p), in cui Pn corrisponde al numero di elementi per tipologia di patrimonio naturale presente nel singolo comune e p al totale regionale pesato per singolo elemento.

Indice di Centralità Turistica. Il dato è stato calcolato a partire dalle elaborazioni di C. Rizzo (Rizzo, 1998: 275-290), che individua sette livelli di centralità. I sette sono così articolati: ICT>400 livello altissimo; 200<ICT<399 livello alto; 100<ICT<199 livello medio-alto; 50<ICT<99 livello medio; 25<ICT<49 livello medio-basso; 10<ICT<24 livello basso; 0<ICT<9 livello bassissimo.

Indice di Centralità Agricola. Il dato è stato calcolato sulla base della formula ∑(Pa·100/p), in cui Pa corrisponde al numero di elementi per tipologia di superficie agricola utilizzata (SAU e SAU coltivata con agricoltura biologica) presente nel singolo comune e p corrisponde al totale regionale pesato per singolo elemento. I dati relativi alla SAU e alla SAU coltivata con agricoltura biologica sono elaborati sulla base di dati Istat (2011b).

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interventi volti a introdurre modificazioni di natura strutturale nel tessuto produttivo, la promozione di nuove specializzazioni e del trasferimento tecnologico come condizione essenziale per rafforzare il sistema produttivo (Carta, Ronsivalle, 2014); ‘Identità', in cui le diverse identità territoriali presenti (ambientali, culturali, artigianali, produttive) possano esprimere tutte le loro potenzialità attraverso azioni che mirano a valorizzare le specificità e a promuoverle tramite un’offerta coordinata e integrata. Questi temi si trasformeranno in strategie e azioni cardine nella definizione della vision del territorio Sicano, che intende mettere in primo piano le identità ambientali, culturali e produttive attraverso la costruzione di reti che coordinino uno sviluppo integrato nei diversi settori, al fine di ridurre la frammentarietà, la mancanza di connessioni, la compresenza senza condivisione (Lanzani, 2011), e promuovere un territorio coeso e che programmi lo sviluppo in maniera condivisa, capace di offrire una elevata qualità della vita, dove la ‘lentezza’ diventa un abaco di opportunità. L’arcipelago Sicano dovrà, pertanto, essere letto nell’ottica del policentrismo25, attraverso l’individuazione delle diverse specificità che caratterizzano i sistemi rurali/culturali locali dell’area, soprattutto in termini di distrettualità matura (Carta, 2003), e la costruzione di reti di cooperazione e complementarietà sia per il riequilibrio territoriale, sia per implementare il sistema della produzione (attualmente diffuso e frammentato) e il potenziale latente rappresentato dal patrimonio culturale e paesaggistico. La ricerca affiancherà alla sperimentazione del paradigma della smart land processi di networking attivo (Dematteis, Guarrasi, 1995; Bighi et al., 2010), con l’obiettivo di trasformare i centri urbani in nodi di un sistema complesso e integrato, mettendo in valore le peculiarità e le differenze, costruendo filiere e migliorando i processi di trasmissione della conoscenza per stimolare le capacità innovative, al fine di promuovere un Local Creative Network (INTELI, 2011). La crescente relazione tra la creatività e i territori locali e la formulazione di strategie creative-based rende possibile generare sviluppo e crescita socio-economica focalizzando l’attenzione su tre fattori: creative industries, creative talent, creative space. Il SicaniLab, pertanto, individuerà nell’arcipelago Sicano un’area di sperimentazione in cui promuovere lo sviluppo di un distretto rurale/culturale, definendo le azioni cardine per valorizzare le risorse e le identità locali, valutando e verificando la fattibilità del coinvolgimento dei soggetti, la sostenibilità economica e la capacità di fungere da attrattore e da motore

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dello sviluppo. «La valorizzazione dell'identità culturale, la conservazione del paesaggio e la qualità dell’ambiente non possono più limitarsi a chiedere misure di protezione passive, ancorché indispensabili, ma richiedono un forte impegno politico, culturale e tecnico per affrontarli come beni collettivi, come generatori di nuova identità e non solo testimoni della storia, come generatori di valore e non solo attrattori di fruitori» (Carta, 2014).

* Il presente saggio, frutto della ricerca condotta dal SicaniLab, è stato redatto da Marilena Orlando, per quanto attiene ai primi tre paragrafi, e da Annalisa Contato per quanto attiene agli ultimi due paragrafi. Tutte le elaborazioni grafiche sono a cura degli autori. 1. Il Polo di ricerca prende avvio nel 2011 attraverso il rinnovo di un Accordo di Programma tra la Regione Siciliana, l’Università di Palermo, la Provincia Regionale di Agrigento e i comuni di Bivona e Santo Stefano Quisquina. Nell’ambito del Polo di ricerca opera il "Laboratorio di Sviluppo Locale" (SicaniLab), con il coordinamento e la responsabilità scientifica di Maurizio Carta e composto da D. Ronsivalle, B. Lino, M. Marafon Pecoraro, M. Orlando, A. Contato, G. Mortellaro, A. Carrara, M. Buondonno e la collaborazione scientifica di A. Badami, I. Vinci, V. Provenzano. Tale Accordo configura la realizzazione di un Polo di Ricerca applicata avente la connotazione di collegamento tra l’insegnamento superiore, la ricerca e sviluppo, i centri di innovazione e il tessuto economico del territorio (Carta, Ronsivalle, 2014). Per approfondimenti sulle attività del SicaniLab si consulti il sito: www.sicanilab.unipa.it. 2. Le fasi di indagine sono esito del lavoro congiunto di B. Lino, M. Marafon Pecoraro, M. Orlando, A. Contato, G. Mortellaro e A. Carrara, impegnati sia nella fase di censimento che nella fase interpretativa delle conoscenze, sotto la responsabilità scientifica del prof. Maurizio Carta. Nella seconda fase è stata utilizza la metodologia di analisi della Ricerca sui Sistemi Culturali Locali, messa a punto dal prof. Maurizio Carta (cfr. M. Carta, 2003). 3. Nella SNAI vengono definiti 'centro di offerta di servizi' la rete di comuni o aggregazioni di comuni confinanti in grado di offrire simultaneamente: tutta l’offerta scolastica secondaria, almeno un ospedale sede di DEA di I livello e almeno una stazione ferroviaria di categoria Silver (l’ospedale sede di DEA di I livello rappresenta un’aggregazione funzionale di unità operative che, oltre alle prestazioni fornite dal Pronto Soccorso, garantisce le funzioni di osservazione, breve degenza e di rianimazione e realizza interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, terapia intensiva di cardiologia; per stazione ferroviaria di categoria Silver si intendono tutti gli altri impianti medio-piccoli con una frequentazione media per servizi metropolitani-regionali e di lunga percorrenza) (Cfr. DPS, 2013). 4. Le Aree Interne della Regione Sicilia sono: Calatino, Madonie, Nebrodi, Simeto Etna, Terre Sicane, la cui individuazione è stata trasmessa con la nota n. 9733/2015 dal Dipartimento della Programmazione della Regione Siciliana. 5. L’area Madonie è stata scelta come area prototipale da candidare alla SNAI per la Programmazione Comunitaria 2014-2020. 6. I comuni dell’Area Interna Terre Sicane sono: Alessandria della Rocca, Bivona, Burgio, Calamonaci, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Montallegro, Ribera, San Biagio Platani, Santo Stefano Quisquina, Villafranca Sicula.

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7. Distretto Turistico dei Monti Sicani e Valle del Platani, Patto dei Sindaci, Gal Sicani, Psl ‘Terre Halykos’, Pic Leader Plus, Patto Territorialista Generalista Magazzolo Platani, Patto Territorialista per l’agricoltura Magazzolo Platani, Pit 23 Magazzolo Platani, Pist Terre Sicane, Distretto Produttivo Lattiero Caseario, Parco dei Monti Sicani, Area Interna Terre Sicane, Distretto turistico delle Miniere. Inoltre si è tenuto conto della SMAP Società per lo sviluppo del Magazzolo Platani - che ha attivato molte esperienze di sviluppo locale. 8. Si tratta dei comuni di: Alessandria della Rocca, Bisacquino, Bivona, Burgio, Calamonaci, Cammarata, Casteltermini, Castronovo di Sicilia, Cattolica Eraclea, Chiusa Sclafani, Cianciana, Contessa Entellina, Giuliana, Lucca Sicula, Montallegro, Palazzo Adriano, Prizzi, Ribera, Sambuca di Sicilia, San Biagio Platani, San Giovanni Gemini, Sant’Angelo Muxaro, S. Stefano Quisquina, Villafranca Sicula. 9. L’indice di vecchiaia indica il rapporto di composizione tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni); valori superiori a 100 indicano una maggiore presenza di soggetti anziani rispetto ai giovanissimi. Il tasso di crescita è un valore percentuale ricavato dalla differenza tra il tasso di natalità e il tasso mortalità sommato al tasso migratorio (tasso di natalità - tasso di mortalità + tasso migratorio). I dati relativi al capitale umano sono frutto di proprie elaborazioni su dati Istat (cfr. Istat, 2011a). 10. I comuni di Contessa Entellina, Bisacquino e Castronovo di Sicilia hanno avuto, dal 1982 al 2010, un incremento della Sau rispettivamente del 20%, 9% e 3%. I dati relativi alla Sau sono frutto di proprie elaborazioni su dati Istat (cfr. Istat, 2011b). 11. Le riserve naturali sono le seguenti: Monte Carcara, Monte Cammarata, Monti Palazzo Adriano e Valle del Sosio, Monte Genuardo e Santa Maria del Bosco, Foce del Fiume Platani. 12. I dati relativi al sistema agricolo sono stati elaborati sulla base di dati Istat da Giuseppe Mortellaro, componente del SicaniLab, (cfr. Istat, 2011b). 13. L’indice generale di dotazione economica indica la quota percentuale degli occupati sulla popolazione. L’indice di imprenditorialità indica il numero di imprese ogni 1.000 abitanti. I dati relativi al sistema produttivo sono stati elaborati di Giuseppe Mortellaro, componente del SicaniLab (cfr. Istat, 2011c). 14. Il tasso di ricettività indica il rapporto tra l'offerta ricettiva (espressa in posti letto) e la popolazione residente per 1000; la densità turistica indica il ruolo del turismo nell'economia locale, calcolato come rapporto tra le presenze e la popolazione residente. Tali dati sono stati elaborati sulla base di dati Istat da Agnese Carrara, componente del SicaniLab. 15. Negli ultimi dieci anni sono nate 34 nuove attività nel settore agroindustriale e 10 nuove attività nel settore dell’agricoltura. Elaborazione sulla base di dati Istat condotta da Giuseppe Mortellaro, componente del SicaniLab, (cfr. Istat, 2011b). 16. Sono stati riconosciuti due marchi di qualità: DOP per l’arancia di Ribera e IGP per la pesca di Bivona. 17. È il caso del comune di Cianciana che, a seguito del dimezzamento della popolazione avvenuta dopo la chiusura delle miniere di zolfo (1962), sta promuovendo l’acquisto di abitazioni del centro storico affiancando ai costi vantaggiosi una maggiore qualità della vita rispetto a quella delle grandi città. 18. Gli ambiti tematici in cui è articolata la matrice di indicatori sono: Ricettività alberghiera ed extra-alberghiera, Aree boscate attrezzate, Aree naturali protette, Aree agricole, Produttività tipica e di pregio, Patrimonio culturale, Servizi culturali, Feste-Sagre e Manifestazioni culturali, Itinerari vitivinicoli, Itinerari agroalimentari, Progettualità locale. L’ambito relativo alle Aree Agricole è stato introdotto dal gruppo di ricerca per caratterizzare l’indagine anche sul sistema agricolo al fine di individuare possibili distretti rurali. 19.L’indice di centralità, nelle diverse declinazioni che assume in questa ricerca, è stato calcolato sulla base della formula relativa all’indice di centralità culturale «∑(Pc·100/p),

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in cui Pc corrisponde al numero di elementi per tipologia di patrimonio culturale presente nel singolo comune e p al totale regionale pesato per singolo elemento» (Carta, 2003: 20). 20.La matrice degli indicatori per la valutazione delle condizioni di distrettualizzazione è in corso di definizione, pertanto in questo articolo sono riportati solo risultati parziali. 21.I sette livelli di centralità turistica sono: ICT>400 livello altissimo; 200<ICT<399 livello alto; 100<ICT<199 livello medio-alto; 50<ICT<99 livello medio; 25<ICT<49 livello mediobasso; 10<ICT<24 livello basso; 0<ICT<9 livello bassissimo (Rizzo, 1998: 278). 22.In questa analisi sono stati incrociati i perimetri comunali con quelli delle aree protette, individuando i comuni interessati dalla presenza di Parchi, Riserve, SIC e ZPS. L’indice di centralità del Patrimonio Naturalistico è stato calcolato sulla base della formula ∑(Pn·100/p), in cui Pn corrisponde al numero di elementi per tipologia di patrimonio naturale presente nel singolo comune e p al totale regionale pesato per singolo elemento. 23.L’indice di centralità Agricola è stato calcolato sulla base della formula ∑(Pa·100/p), in cui Pa corrisponde al numero di elementi per tipologia di superficie agricola utilizzata (SAU e SAU coltivata con agricoltura biologica) presente nel singolo comune e p al totale regionale pesato per singolo elemento. I dati relativi alla SAU e alla SAU coltivata con agricoltura biologica sono elaborati sulla base di dati Istat (2011b). 24.Indubbiamente quello dell’accessibilità è il fattore che svantaggia di più l'arcipelago e, nonostante il progetto "mare-monti” individui la SS 624 Palermo-Sciacca come l’arteria principale a cui connettere il territorio attraverso la progettazione di un nuovo svincolo sito nei pressi del comune di Ribera, questo progetto da solo non è sufficiente, ma sarà necessaria l’individuazione di altre arterie principali, l’implementazione dei collegamenti tra la viabilità secondaria e primaria e la riorganizzazione del trasporto pubblico locale. 25.In linea con gli obiettivi dell’Agenda Urbana Europea che mira a una politica di assetto urbano centrato sullo sviluppo sostenibile, che salvaguardi la diversità culturale, contribuisca all’equilibrio sociale e rafforzi i legami tra centri e periferie.

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FILIERA DELLA CONOSCENZA, INNOVAZIONE ED IMPRENDITORIALITÀ Umberto La Commare

«È urgente, infatti, specie in una zona come la vostra a forte tasso di disoccupazione, promuovere una “cultura dell’iniziativa” e, più specificamente, una “cultura dell’impresa”. A tal fine bisogna che si riscopra, specialmente tra le nuove generazioni, il gusto della creatività in ogni campo, compreso quello economico. Non ci si può aspettare tutto dagli altri, nemmeno si può pretendere tutto dallo Stato.» (Incontro di Giovanni Paolo II con il mondo imprenditoriale - Agrigento, 9 maggio 1993).

La necessità dell’educazione all’imprenditorialità La veduta lunga di Giovanni Paolo II rende ancora più attuali queste parole nelle condizioni che vive oggi il nostro territorio. Infatti, oggi le più qualificate sedi internazionali (ONU, 26 giugno 2013, Thematic Debate on Entrepreneurship for Development) ed europee (Commissione Europea, 9 gennaio 2013, Entrepreneurship 2020 Action Plan) concordano sulla necessità di accrescere il dinamismo imprenditoriale dei territori attraverso incisive e continuative azioni di educazione all’imprenditorialità dei giovani per il contrasto alla disoccupazione giovanile, alla povertà e per stimolare la crescita economica. Negli anni recenti della nostra storia, mai come oggi, e nel Sud in particolare, si è registrata attenzione sul tema del lavoro, soprattutto quello dei giovani. È però necessario, in un mondo totalmente diverso da quello

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del secolo scorso, riscoprire il vero senso del lavoro, stimolare nei giovani siciliani una maggiore propensione all’imprenditorialità, un più profondo interesse verso la cultura dell’innovazione e dell’impresa, una maggiore diffusione degli strumenti del pensiero imprenditoriale come modi essenziali per valorizzare conoscenze e competenze acquisite negli studi e per facilitare la transizione studio-lavoro, ma anche per renderli protagonisti dello sviluppo territoriale. In un mondo che è diventato sempre più competitivo le limitate risorse pubbliche devono essere indirizzate verso quelle azioni in grado di produrre i più alti ritorni degli investimenti in formazione per il bene delle generazioni future. In tutto il mondo, nelle economie avanzate, come in quelle emergenti, in quelle emerse, ma anche in quelle a ritardo di sviluppo, è ormai largamente condivisa la necessità di spostarsi dalle politiche di creazione di posti di lavoro a bassa produttività attraverso l’impiego di risorse pubbliche (scelta di policy che non induce sviluppo duraturo e sostenibile) verso politiche che sostengono i giovani nell’inventarsi nuovi lavori ad alta produttività che determinano un maggiore dinamismo delle economie, una maggiore propensione all’innovazione (scelta di policy che sostiene sviluppo accelerato e sostenibile). Se dovessimo indicare un obiettivo prioritario delle politiche di sviluppo territoriale direi che è necessario dare un contributo di idee per rendere la Sicilia un posto migliore dove vivere attraverso un miglior uso della conoscenza disponibile per meglio valorizzare le risorse delle generazioni più giovani di cui disponiamo. Da una più piena valorizzazione dei loro talenti dipende la capacità di rigenerare la società e l’economia della regione, dipende la capacità di ricominciare a fare innovazione diffusa per invertire una tendenza che ci ha visto indietreggiare come paese e, ancor più come regione, nel nuovo ordine dell’economia globalizzata che si è instaurato dal 1990. È necessario però accrescere il dinamismo imprenditoriale dei territori assegnando un nuovo protagonismo ai giovani. È possibile educare all’imprenditorialità? Lo dice molto bene con queste parole il premio Nobel per la pace Yunus «Liberare le capacità imprenditoriali è come saggiare il sottosuolo o fare trivellazioni in cerca di petrolio. Si sa che il petrolio c’è, si tratta soltanto di capire come arrivarci e in che modo estrarlo dal terreno. Ci potrebbero essere delle false partenze, ma alla fine viene estratto. Lo stesso vale per le capacità imprenditoriali. Sono un dono interiore. Una volta che si è capito di possederle, si tratta soltanto di liberarle dall’involucro e metterle in azione.» (La Repubblica, 15 novembre 2007).

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La filiera della conoscenza ed un nuovo protagonismo dei giovani «In short, Europe’s recovery and future prosperity depend on our ability to innovate, to bring together research, innovation and education, and to turn new ideas into products, services, jobs and well-being for our citizens.» José Manuel Barroso, Presidente della Commissione Europea, Simply Innovation, Bruxelles, 8 maggio, 2012.

Lo scopo di queste brevi considerazioni da un lato è quello di definire il concetto di filiera della conoscenza e dall’altro è quello di fornire delle proposte operative sui modelli formativi per potere aumentare l’efficienza economica degli investimenti in conoscenza (formazione, ricerca, trasferimento tecnologico, innovazione, sviluppo territoriale) e gli impatti sulla nostra società attraverso la esplorazione della sua natura trasformativa per il benessere della società. Intanto, in tutti i paesi dell’economia avanzata che sono caratterizzati dai maggiori investimenti nella costruzione di una efficiente ed efficace filiera della conoscenza, si registrano bassi valori della disoccupazione giovanile, si promuove la loro inclusione e valorizzazione nella struttura economica e produttiva, si praticano politiche internazionali di attrazione dei talenti e si consegue una maggiore competitività sui mercati internazionali. I recenti dati presentati a luglio da SVIMEZ hanno ridestato l’attenzione sul tema del Mezzogiorno mettendo al primo posto la drammaticità del tema della disoccupazione giovanile e la perdita di competitività del sistema produttivo ed in genere dell’economia meridionale. Non possiamo perciò non preoccuparci di ritrovare nuove vie per sostenere la generazione di nuove opportunità di lavoro produttivo di ricchezza e di come la conoscenza disponibile, in tutte le sue forme, possa essere messa a frutto dalla regione per recuperare la distanza economica dalle altre parti più avanzate del paese e per affermare anche nella nostra regione i modelli della modernità basati sull’economia della conoscenza. Perché queste condizioni possano realizzarsi, è essenziale una convergenza di azioni promosse da tutti gli attori dello sviluppo a partire dalle famiglie, in cui è necessario rivalutare il loro ruolo di educazione al lavoro dei giovani, e poi da scuola, università, imprese, istituzioni, banche, società civile, rappresentanze del mondo del lavoro e delle imprese. Insomma attivare un dialogo fecondo tra tutti gli attori della filiera della conoscenza che ne possa liberare le forze generative di valore, anche economico. E tra i principali apporti alla costruzione della filiera della conoscenza occorre puntare sulla valorizza-

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zione su base locale delle giovani generazioni, in particolare di quelle che hanno raggiunto i più alti livelli di formazione. Nel Mezzogiorno è invece in intensificazione un drammatico fenomeno di impoverimento della classe dei giovani meglio formati per almeno quattro ragioni: a) una parte significativa di giovani, al completamento della scuola secondaria, decide di proseguire gli studi in università del Nord del paese; b) una parte significativa dei giovani che concludono il primo livello di laurea decide di proseguire gli studi (laurea magistrale o Master) sempre in università del Nord o all’estero; c) una significativa parte dei laureati magistrali siciliani si trasferisce al Nord Italia o all'estero per trovare adeguate opportunità di inserimento nel mercato del lavoro; d) una parte significativa di dottori di ricerca o di post dottorato trova opportunità di lavoro di ricerca all’estero. Sono tutti questi segnali, soprattutto gli ultimi due, che il sistema universitario regionale è in grado di preparare adeguatamente il capitale umano da impiegare in attività knowledge intensive, ma che il sistema economico regionale non è in grado di valorizzare e di includere. Ed il problema non è tanto nel costo sopportato dalle famiglie e dal sistema educativo nella loro formazione, ma nella perdita dell’apporto dei giovani all’innovazione del sistema regionale durante i quaranta anni della loro vita lavorativa che si riversa e sostiene la crescita di altri territori aumentando il divario della Sicilia e del Mezzogiorno (perché situazioni simili riscontriamo in tutte le regioni del Sud) dal resto del Paese o da altri territori più attrattivi. Sono significative a questo proposito due recenti dichiarazioni: quella dell'ex Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla: «….l’impoverimento del capitale umano rappresenta un pericoloso amplificatore della recessione» e quella del Presidente di Unioncamere Ivanhoe Lo Bello: «….il problema non è tanto l’economia. Possiamo avere le imprese migliori ma senza un adeguato capitale umano a disposizione sarà tutto inutile ». Per introdurre il concetto di filiera della conoscenza mi rifaccio ad un brano tratto dalla Lectio magistralis di Jurgen Renn, The knowledge we need. From the history of science to the evolution of knowledge, data a Bergamo il 3 marzo 2014 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Come ingegnere me lo posso permettere, per la velata critica sottesa ai limiti della cultura ingegneristica.

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Scrive Renn: «L’esperienza storica mostra che alcune delle più profonde innovazioni, con le maggiori conseguenze sul piano sociale (ed economico) sono state l’esito delle ricerche nate per amore della ricerca in sé. Pare che Einstein abbia detto che se il problema dell’illuminazione fosse stato lasciato nelle mani degli ingegneri, oggi avremmo sicuramente delle migliori lampade ad olio, ma non avremmo la luce elettrica.» D’altro canto Phil Auerswald (fellow della Kauffman foundation una delle più importanti istituzioni nel campo della promozione dell’imprenditorialità) a proposito della importanza di Research & Development dice, nell’innovazione: “It is not important the R, it is not important the D, it is important the &.” Conferma di quest’ultimo concetto si ritrova nel seguente brano: “La criticità del processo di innovazione non starebbe tanto nella fase di ideazione specialistica, effettuata nei laboratori e nei centri di ricerca , quanto piuttosto nella complessità del processo di realizzazione, cioè in quella fase in cui ulteriori discipline ed attività debbono «concorrere », tutte insieme, alla realizzazione concreta dell’idea originaria. È la prospettiva che coinvolge, rispettivamente, il mondo composito della multidisciplinarità culturale, dell’economia, dei mercati, delle culture locali, ecc.. Detto in sintesi, il mondo in cui entra in gioco la dimensione esperienziale e co-costruttiva dell’azione (il transfer dell’innovazione).” (Rebuffo, 2007). Questi riferimenti ci devono fare riflettere su come bilanciare le diverse dimensioni della conoscenza, e come creare le condizioni su basi territoriali per attivare la capacità trasformativa della conoscenza, per innalzare significativamente i rendimenti economici e le ricadute territoriali degli investimenti in conoscenza e nella formazione del capitale umano. La figura "Le cinque dimensioni della conoscenza" riporta una rappresentazione schematica di quelle che possono essere individuate come le cinque dimensioni della conoscenza che consentono di trasferire idee sul mercato per la generazione di valore economico: teorica, sperimentale, realizzativa, economica e connettiva. Queste cinque forme assumono pesi diversi all’interno dei percorsi universitari o all’interno delle imprese. Nel caso della formazione universitaria (figura "Università") emerge un peso dominante della dimensione teorica e generalista ed in alcuni casi della dimensione sperimentale. La dimensione connettiva è debole e la conoscenza è organizzata per discipline. Nel caso delle imprese (figura "Impresa") dominano prevalentemente le forme di conoscenza realizzati-

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va ed economica e la dimensione connettiva è forte con una conoscenza connettiva altrettanto forte e molto specifica ed orientate alla soluzione di problemi. Questo diverso approccio alla conoscenza rallenta i processi di innovazione e limita fortemente il dialogo università-impresa, specialmente nel nostro territorio. La triplice convergenza: produzione di pensiero, di cose, di valore Necessario ai fini dello sviluppo e dell’innovazione è il rapporto tra università e imprese, tra conoscenza e mercato. Per l’innovazione, infatti, imparare ad usare la conoscenza è altrettanto importante che svilupparla; per il successo dell’innovazione la verifica sul mercato è determinante. Il processo richiede quindi capacità realizzative, cioè tradurre idee in azioni (realizzazione di oggetti, materiali o immateriali) e di sperimentazione degli oggetti sul mercato per verificare se questi possono essere utilizzati con vantaggio, per migliorare la qualità della vita delle persone. I miglioramenti della vita sono i generatori di valore dell’innovazione. In ambito universitario, ancora oggi, produrre pensiero e produrre “cose”

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sono ancora due attività distinte: produrre pensiero è una cosa, produrre “cose” è un’altra questione. E produrre valore è un’altra ancora. Il tema non riguarda solo il contesto locale ma presenta forti criticità in Italia ed in Europa. Ma spetta al sistema universitario formare le nuove generazioni di innovatori (in grado di confrontarsi con nuove conoscenze scientifiche, nuove tecnologie, nuovi scenari di mercato, prodotti, imprese, consumatori) che possano alimentare la futura prosperità del paese sapendo estrarre valore dalla conoscenza. Perché la sfida del futuro è quella di trovare nuovi spazi produttivi per i giovani, affinché le loro idee ed i loro progetti si traducano in risultati di sviluppo concreto per il Paese. Il mondo delle start-up in Italia è un fenomeno recente (ha una decina di anni), ma sta già incominciando a mostrare i propri frutti ed ha qualcosa da insegnare all’Università sulla convergenza tra produzione di “cose” e produzione di pensiero. La convergenza tra produzione di pensiero e produzione di “cose” si può realizzare se le “cose” che vengono prodotte grazie a nuove conoscenze rispondono a concreti bisogni del mercato. Se così non è, la produzione delle nuove “cose” non è sostenibile da un punto di vista economico, non si può estrarre valore economico dalla conoscenza. Il significato della parola produzione è intimamente legato al concetto di trasformazione. Nell’economia della conoscenza la sfida della innovazione sta nella convergenza, nella integrazione, nella intersezione tra la trasformazione delle idee e quella delle “cose”, con una visione integrata tra tecnologia e mercato (imprese, prodotti/servizi, consumatori) usando un approccio integrato tra progetto del prodotto/servizio e modelli di business. Il mondo delle start-up innovative, gli incubatori di impresa universitari, sono per adesso l’avanguardia, la prima linea della sperimentazione dei processi di connessione conoscenza-mercato vicini alle università. Ciò ovviamente è tanto più vero al Sud, dove la domanda industriale verso i centri di ricerca è molto debole. Per questo è importante guardare anche al mondo delle start-up per ricercare forme nuove di rinnovamento della formazione universitaria, per rispondere alle sfide che il mondo di oggi pone soprattutto ai paesi avanzati, per rendere i percorsi formativi coerenti con il paradigma dell’economia della conoscenza. Nel nostro paese poco si è fatto in termini di educazione dei giovani al pensiero imprenditoriale e il paese soffre della mancanza di un adeguato numero di imprenditori innovatori di nuova generazione.

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È ormai accertato che il pensiero imprenditoriale è un mezzo per connettere più efficacemente teoria e pratica, per favorire ed incoraggiare i giovani ad applicare le conoscenze acquisiste negli studi universitari. La traslazione della conoscenza generalista e teorica in conoscenze specifiche per il mercato attraverso il pensiero imprenditoriale abbatte le barriere tra teoria e pratica e realizza una triplice convergenza tra produzione di pensiero, produzione di “cose” e produzione di valore. Questa prospettiva non è solo una sfida formativa sulle competenze è anche una sfida sulla formazione dei giovani che devono accettare assunzioni di più alte responsabilità e di rischio calcolato. A tal proposito è estremamente importante la seguente citazione: «Su questa strada vorrei dire qualcosa agli educatori, agli operatori nelle scuole, e ai genitori. Educare. Nell’educare c’è un equilibrio da tenere, bilanciare bene i passi: un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio. E quando quel rischio diventa sicurezza, l’altro passo cerca un’altra zona di rischio. Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza: no. Questo è impedire che le personalità crescano. Ma neppure si può educare soltanto nella zona di rischio: questo è troppo pericoloso. Questo bilanciamento dei passi, ricordatelo bene». Papa Francesco, 7 giugno 2013.

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RI-PENSARE I MONTI SICANI APPLICAZIONI E SPERIMENTAZIONI DI PIANIFICAZIONE INTEGRATA

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PERMANENZE, RESISTENZE, ADATTAMENTI. IL RICICLO E LA "LENTEZZA" COME STRATEGIE DI METAMORFOSI PER I SICANI Barbara Lino

Il contesto territoriale nazionale ci pone davanti alla contrapposizione di sistemi urbani che agiscono nell'ambito di dinamiche competitive di livello nazionale e internazionale e che si stanno confrontando con il processo di ridisegno legislativo del governo delle Aree Metropolitane mentre, dall'altro, presenta sistemi locali costituiti da piccoli comuni e da territori frammentati di aree urbane e rurali marginali che, per potere vincere le condizioni di isolamento, sono chiamati a sperimentare nuove forme di governance, di co-pianificazione e networking per la realizzazione dei progetti di sviluppo. Sono quei territori rur-urbani su cui la Strategia Nazionale per le Aree Interne sta investendo per far fronte alla polarizzazione territoriale di popolazione, attività economiche e servizi e che, seppur distanti dai grandi centri di agglomerazione e di servizio, sono spesso dotati di risorse che mancano alle aree centrali e che, quindi, possiedono un forte potenziale di attrazione inespresso (DPS, 2013). La Strategia Nazionale riconosce nell'investimento sulle aree di margine un elevato valore potenziale per lo sviluppo complessivo del sistema Paese e considera, come prerequisito essenziale per la partecipazione, l'aggregazione di comuni contigui e di sistemi locali intercomunali e la costituzione dell’unità di base del processo di decisione politico, conside-

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rando tale elemento il sintomo dell’esistenza di una spiccata capacità di progettazione e attuazione di un’azione collettiva di sviluppo locale. In Sicilia, l'area dei Monti Sicani e della Valle del Platani è parte di quell'ampia porzione di territorio regionale ai margini rispetto alla polarizzazione insediativa dei grandi nuclei urbani costieri (Palermo, Catania e Messina) e si compone di sistemi insediativi aggregati in forma di arcipelago1 che stanno progressivamente perdendo capacità generativa e conseguentemente popolazione, a causa di una carente capacità attrattiva, della scarsa dotazione di servizi e dell'isolamento infrastrutturale e virtuale. L'area, proprio perché rispondente alle caratteristiche delle aree interne, è stata preselezionata dalla Regione Siciliana nell’ambito della proposta di PO FESR 2014-2020 per la candidatura alla Strategia Nazionale per le Aree Interne insieme ad altre tre aree2. I Sicani hanno anche maturato negli ultimi anni una certa vitalità del sistema della governance locale che sta generando una grande vivacità programmatica e l'incremento di coalizioni e di network testimoniata dalla nascita di GAL, Patti Territoriali, PIT e del Distretto Turistico e Produttivo3. Tuttavia, il Comitato Nazionale Aree Interne ha prescelto il territorio delle Madonie come area prototipale sulla quale sperimentare la strategia nazionale, escludendo in questo modo l'area dei Sicani e le altre aree individuate come aree candidabili nella fase precedente. Pur escludendo, almeno nel breve periodo, la preziosa opportunità offerta dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, anche a partire dal riconoscimento di quei valori insediativi, comunitari, paesaggistici e identitari individuati come potenzialità già in fase di candidatura, è importante immaginare un modello di sviluppo attorno a cui rafforzare le vision di coalizioni e network territoriali per riuscire ad invertire i trend demografici in atto, rendendo questi territori nuovamente attrattivi per le comunità e le imprese attraverso l'offerta di nuove idee e stili di vita. Permanenze e resistenze in territorio sicano Nel 1985 Cesare De Seta scrive un saggio dal titolo “Resistenze e permanenze delle strutture territoriali questioni di dettaglio sulla lunga durata”. De Seta parla delle interrelazioni territoriali in senso diacronico e sincronico e pone l'accento sul valore storico del territorio che si modifica, disvelando la propria struttura attraverso permanenze e resistenze. Nell'orditura di segni del paesaggio frutto dell'accavallarsi del tempo e

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delle sue condizioni di criticità, alcuni "materiali territoriali" permangono con funzioni immutate e, in quanto componenti "viventi" di cicli territoriali attivi e parti radicate nella dimensione strutturale del territorio, non variano la propria identità. Ma accanto a tali permanenze, si stratificano materiali naturali e artificiali che si modificano e invecchiano: carcasse e rifiuti di un modello di sviluppo in abbandono e di cicli di vita territoriali ormai esauriti. Le pressioni di trasformazione elidono relazioni e interrelazioni preesistenti e lasciano tracce e forme di resistenza, manufatti in dismissione che raccontano lo stratificarsi di un modello insediativo in crisi. Cave abbandonate, miniere, ferrovie dismesse, caselli, infrastrutture obsolete, insediamenti produttivi in abbandono sono elementi che hanno attraversato le trasformazioni territoriali mantenendo la propria dimensione materiale (interamente o parzialmente) ma perdendo quella funzionale e relazionale. Attorno ai concetti di "permanenza" e "resistenza", nell'intento di restituire il carattere dinamico di un funzionamento territoriale metabolico, letture per cicli del territorio di Bivona e Santo Stefano Quisquina4, scelto quale tassello significativo dell'area dei Monti Sicani, interpretano le connessioni spaziali, funzionali, sociali ed economiche e le relazioni territoriali esistenti, fornendo indicazioni specifiche sulle componenti sulle quali agire per creare nuove relazioni, per rafforzare o per intervenire su quelle non efficaci5. La lettura del territorio si è concentrata sui layer semantici del sistema della produzione (brown cycle), del patrimonio (red cycle), delle componenti vegetali e dell'acqua (green and blue cycle), e su quello del sistema infrastrutturale (grey cycle). Il brown cycle, il ciclo della produzione rivela una ricca stratificazione di aree coltivate, aree per la pastorizia, per la produzione energetica da fotovoltaico, e produzioni tipiche di qualità (Pesca di Bivona, vini e formaggi) ed eventi per la promozione e la valorizzazione dei prodotti tipici e delle tradizioni locali. Accanto alle permanenze, il territorio presenta le proprie fragilità attraverso elementi significativi di cicli produttivi interrotti quale quello estrattivo delle cave e delle miniere di zolfo o altre attività produttive industriali ormai abbandonate. Il ciclo del patrimonio e della cultura (red cycle) restituisce insieme alla presenza di centri storici di matrice medievale e barocca, il sedimento

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di elementi patrimoniali materiali in diversi casi abbandonati o sottosviluppati (bagli, abbeveratoi e architetture religiose quali santuari, eremi, chiese). Il ciclo del paesaggio e dell'acqua invece (green and blue cycle) interpreta gli elementi vegetali e le componenti del paesaggio e del ciclo delle acque (il Parco, le riserve, i SIC e ZPS, fiumi, laghi, dighe, aree montane, etc.). Le aree a rischio idrogeologico e i paesaggi dell'abbandono quali le cave o la diga sono risorse preziose su cui intervenire attraverso il riciclo. Nel ciclo delle infrastrutture (grey cycle) a fianco alla lettura delle componenti della permanenza e degli elementi strutturali della viabilità extraurbana, della viabilità urbana primaria e secondaria e del sistema ferroviario attivo, sono numerose le tracce di elementi del dismesso e dell'abbandono: strade, tracciati perduti, ferrovie in disuso e caselli. In particolare, la linea ferrata a scartamento ridotto Lercara-Filaga-Magazzolo insieme alla diramazione Filaga-Palazzo Adriano, costruite nei primi decenni del XX secolo e dismesse negli anni '60 dello stesso, sono una presenza forte sul territorio di cui permangono ancora ponti, gallerie, stazioni e caselli, testimonianze di un ciclo produttivo interrotto e nate allo scopo di trasportare lo zolfo delle miniere di Lercara Friddi e di Cianciana e di permettere lo spostamento sul luogo di lavoro dei minatori. Il riciclo e la lentezza come opportunità Ad uno stratificato capitale territoriale in termini di patrimonio ambientale e culturale e ad un altrettanto stratificato sedimento di abbandono di cicli di vita territoriali, il sistema dell'area interna sicana contrappone le criticità dovute alla posizione periferica rispetto ai principali poli urbani e una ridotta accessibilità, intesa sia in termini fisici, nel senso di uno scarso livello di infrastrutturazione e di prossimità ai servizi, sia in termini di connettività virtuale. È evidente come il potenziamento dell'accessibilità in termini di mobilità e una maggiore offerta di servizi, in particolare di quelli per la salute e l'istruzione (DPS, 2013) rappresentino le azioni necessarie e urgenti per risollevare le traiettorie di sviluppo di questi territori, ma, perché le trasformazioni indotte da tali strategie siano sostenibili, è necessario mettere in moto un modello economico e sociale che sia in grado di riattivare risorse latenti, trattenere o attrarre popolazione e di proporre modelli di vita competitivi rispetto a quelli offerti dalle aree urbane centrali.

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Il riciclo agisce sulle resistenze territoriali e varia il carattere delle "permanenze" proponendo mutazioni selettive ed esercitando una dimensione progettuale strategica. Su quegli elementi che hanno resistito - nel senso che esistono ancora - ma che hanno perso il proprio ruolo, il riciclo può agire nel variarne i caratteri in chiave adattiva e flessibile e, al tempo stesso, in modo da interagire con gli elementi della permanenza, con le componenti strutturali del contesto.

Blue & green cycle

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In che modo potere esercitare l'approccio selettivo e strategico del riciclo sui Sicani? Quali possibili traiettorie di sviluppo saranno in grado di costruire un'offerta alternativa e competitiva e di generare risorse piuttosto che puntare ad un modello che produca sviluppo richiedendo l'impiego di cospicui investimenti? Posti ai margini dello sviluppo tradizionalmente inteso, ad uno sguardo rinnovato e alimentato da una revisione critica e proattiva del modello di

Red cycle

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sviluppo, questi luoghi si rivelano in grado di offrire qualità che mancano ai territori più dinamici e densamente popolati, uno stile di vita incentrato su ritmi differenti. La condizione di marginalità ha generato un ritmo di trasformazione che, a differenza di luoghi in cui sono state erose risorse preziose come il suolo, il paesaggio, l'acqua e le fonti energetiche, ha conservato un enorme potenziale. Guardando alla marginalità come espressione di opportunità,

Grey cycle

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è possibile immaginare per questi territori un futuro capace di modificarne le traiettorie di sviluppo orientandole in chiave sostenibile e un modello di sviluppo locale ispirato dal "paradigma della lentezza" che potrebbe configurarsi come alternativa capace di attirare nuova popolazione e di offrire una migliore qualità della vita. Nel territorio dei Sicani esistono già alcuni "avamposti di resilienza locale" che stanno facendo del "paradigma della lentezza" la chiave per rilanciare l'economia prefigurando nuovi scenari. È il caso della città di Ribera, recentemente entrata a far parte della rete "Cittàslow"6, ma è anche il caso più noto della città di Cianciana7, in cui una domanda crescente di qualità insediativa di stranieri si sta già rivolgendo a questo “territorio lento", vissuto come espressione di un differente modello insediativo, in cui al costo

Brown cycle

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ridotto delle abitazioni si affiancano un contesto incontaminato, la qualità ambientale e del paesaggio e stili di vita più sostenibili. A differenza dell'area delle Madonie che ha già sedimentato esperienze di successo basate sulla valorizzazione del patrimonio, su modelli insediativi "lenti" e di qualità e puntando sulla dimensione attrattiva del territorio montano, l'area dei Sicani potrebbe costruire un laboratorio dell'abitare (Lanzani, 2005) puntando sulla propria peculiare identità legata alle risorse materiali e immateriali della tradizione agricola, al paesaggio rurale e a un prezioso patrimonio archeologico e architettonico. Alcune delle strategie da mettere in campo dovrebbero: 1. essere capaci di generare un ambiente a bassa densità nel quale far convivere, ibridandoli, sistemi di produzione differenziati, tradizioni socio-culturali locali e nuovi stili di consumo, di produzione e di vita; 2. miscelare attività agricole nuove e tradizionali, metodi di produzione naturali, attività produttive a basso impatto e tecnologie intelligenti; 3. promuovere investimenti nel campo energetico mirati sia alla riduzione dei consumi che all'utilizzo di fonti rinnovabili quali la biomassa, intesa come filiera complessa che può contribuire alla conservazione del paesaggio; 4. prediligere scelte in grado di favorire la destagionalizzazione dei flussi turistici, la differenziazione, il ricorso a mezzi di trasporto a basso impatto; 5. organizzare un turismo di qualità che intercetti i modi in cui tutelare, valorizzare e rendere fruibili i beni culturali (Carta, 2009); 6. favorire la diffusione di pratiche emergenti di turismo rurale ispirate al "turismo lento" (Dickinson, Lumsdon e Robbins, 2010), inteso come pratica di visita attenta e responsabile, basata su mobilità dolce, sulla comprensione intima dei territori e rispettosa delle identità territoriali; 7. coniugare turismo e valorizzazione del paesaggio, dei piccoli centri e dei borghi rurali, delle produzioni enogastronomiche, dell'artigianato locale e dei festival culturali, generando un ecosistema ricettivo circolare e stratificato in cui le comunità locali siano esse stesse chiamate a reinterpretare le proprie risorse. Le strategie dovrebbero mirare alla costruzione di un modello insediativo generativo e non dissipativo, un modello in cui la dimensione locale diventi l'elemento in grado di alimentare la nascita e il radicamento di forme d'innovazione sia in termini socio-economici che in termini spaziali.

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Le visioni di progetto L'individuazione delle risorse territoriali e la lettura delle identità territoriali del territorio dei Monti Sicani alimentate dai paradigmi del riciclo e della lentezza hanno orientato alcune prime visioni di progetto. L'operazione di riciclo della ferrovia a scartamento ridotto è l'occasione per generare una green infrastructure che in chiave reticolare riconnette le risorse del territorio, i sistemi insediativi e si intreccia con le reti delle infrastrutture esistenti, offrendo servizi in chiave multifunzionale, percorsi verdi, attività ricreative e produttive e luoghi ad alta qualità paesaggistica. La riconversione del ricco patrimonio di caselli e stazioni della ferrovia dismessa a scartamento ridotto è connessa alla produzione tipica locale di qualità e si propone come infrastruttura del consumo e della distribuzione a supporto di un nuovo modello insediativo e ad un'offerta di turismo lento e di qualità. Entrambe le visioni di progetto che propongono la riconversione della ferrovia a scartamento ridotto propongono il rafforzamento di connessioni territoriali di tipo reticolare che, nel caso della riconversione del patrimonio di caselli e stazioni, implicano il sostegno alla creazione di microimprese per la commercializzazione dei prodotti tipici, politiche di integrazione di produzioni locali e la realizzazione di reti di distribuzione locali e internazionali. Infine, l'applicazione dei criteri del riciclo all'interno dei processi di valutazione diventa il veicolo per trasformazioni di qualità che attingano ad un abaco delle forme come indicazione pratica per piani e progetti da applicare in fase progettuale, fornendo non solo norme e procedure, ma anche regole morfologiche e spaziali.

1.Si veda il contributo di Maurizio Carta in questo volume. 2.Le quattro aree interne individuate dalla Regione sono: “Madonie”, “Terre Sicane”, “Calatino”, “Nebrodi”. Il DPS ha poi selezionato un’ulteriore area (quella del Simeto-Etna). Il modello di caratterizzazione territoriale nazionale è basato sulla distanza dall’offerta di servizi fondamentali, indicatori di tipo demografico, nonché una diversificata batteria di indicatori economici, sociali, di capacity building, etc. 3.Si veda a questo proposito in questo volume il contributo di Marilena Orlando e Annalisa Contato. 4.Nell'ambito delle attività didattiche condotte nello Smart Planning Master di secondo livello in “Pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile del territorio” (coordinatore Maurizio Carta, vicecoordinatore Daniele Ronsivalle) (Carta, Ronsivalle, 2014), tanto l’approccio teorico quanto quello sperimentale del "Corso di Recupero e riuso delle risorse urbane e territoriali e del paesaggio" si sono alimentati del paradigma “recycle” codificato

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nell’ambito della ricerca di interesse nazionale “Re-cycle Italy” di cui il Dipartimento di Architettura è partner. Il Corso, durato 40 ore, è stato condotto da chi scrive a Bivona tra aprile e giugno 2014. Il PRIN "Re-cycle Itali", programma triennale di ricerca finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. L'Unità di Ricerca locale di Palermo è coordinata da Maurizio Carta. 5.La lettura per cicli è una metodologia di analisi elaborata nell'ambito delle attività di ricerca del Prin "Recycle Italy" dall'Unità di Ricerca Locale di Palermo coordinata da Maurizio Carta. 6.Il Cittàslow International Network comprende 141 città presenti in 23 Paesi nel Mondo con l'obiettivo di estendere la filosofia di Slow Food e i concetti dell'eco-gastronomia alle comunità locali. I Comuni che aderiscono si impegnano al rispetto della salute dei cittadini, della genuinità dei prodotti, ricchi di affascinanti tradizioni artigiane e culturali, caratterizzati dalla spontaneità dei riti religiosi e dal rispetto delle tradizioni. 7.Dopo la chiusura delle miniere di zolfo avvenuta nel 1962, la popolazione di Cianciana si è dimezzata lasciando vuoti interi stock edilizi del tessuto storico che negli ultimi anni sono stati progressivamente acquistati da nuovi abitanti stranieri attirati dal mercato immobiliare vantaggioso ma soprattutto dalla qualità della vita, dal ritmo e dal paesaggio.

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LA GREENWAY DEI SICANI Andrea Carubia Francesco Gravanti Emanuele Messina Maria Teresa Pollara Pietro Sardina*

La riqualificazione delle ferrovie dismesse: fattori creativi di sviluppo Prospettive dell’ecoturismo e della mobilità sostenibile L’International Ecotourism Society definisce l'ecoturismo come un modo responsabile di viaggiare in aree naturali, conservando l'ambiente e sostenendo il benessere delle popolazioni locali. Considerando che la domanda turistica sta cambiando, sviluppando una maggior consapevolezza del fatto che la conservazione dell’ambiente non è fine a se stessa, ma può portare anche benefici economici, è facilmente intuibile come la tutela della qualità ambientale possa essere un settore economico in continua crescita. Di fatti, le principali ragioni del successo dell’ecoturismo, sono dovute alla ricerca di nuove forme di turismo alternativo a quello convenzionale che permettono di apprezzare al meglio le risorse naturali e paesaggistiche. Le strategie delineate dalla programmazione Europa 2014-2020 puntano sempre più alla valorizzazione delle risorse e alla mobilità sostenibile e integrata, evidenziando la necessità di ripensare gli elementi attualmente “spenti” quali contenitori di funzioni innovative e diffuse. La Commissione Europea ha fissato come temi prioritari, volti al recupero

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dell’antico legame tra uomo e territorio, l’utilizzo delle risorse naturali e culturali tutelando e valorizzando i siti e le risorse paesaggistiche, il miglioramento della qualità della vita nelle zone agrarie, la promozione della funzione ricreativa ed educativa delle aree rurali, la valorizzazione dell’attività agrituristica e della produzione tipica di qualità. In questa chiave di lettura si inseriscono le greenway come elementi in grado di riqualificare risorse non più utilizzate e riconvertire infrastrutture “spente” in percorsi verdi. Rappresentano inoltre una valida modalità per coinvolgere la popolazione in un processo di conoscenza, rispetto e valorizzazione delle risorse diffuse e in grado di cogliere il concatenarsi di un paesaggio con un altro, di apprezzarne le trasformazioni e le preesistenze che ne raccontano la storia. Tutelare l’ambiente urbano e territoriale significa dunque anche ripensare il modo di muoversi cominciando a cambiare, ove possibile, le abitudini di trasporto e restituendo spazio ai mezzi alternativi all’automobile, rivalutando quindi percorsi pedonali e ciclabili. Si pianifica ormai sempre più spesso seguendo nuovi sistemi di mobilità basati sul miglioramento del trasporto pubblico locale di merci e persone, in modo da ridurre l’utilizzo dei mezzi privati, incrementando i sistemi di mobilità intermodale e aumentando la disponibilità di parcheggi-scambio. Da qui è possibile proseguire con mezzi pubblici, lasciando la propria automobile, oppure con mezzi di trasporto alternativi come la bicicletta, introducendo servizi di car sharing e car pooling, incrementando ed incentivando il trasporto ciclabile con la realizzazione di strutture ad hoc. In Italia la mobilità sostenibile è stata introdotta con il “Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane” del 27/03/1998. Successivamente, nel 2000, è stato emanato il Decreto del Ministero dell'Ambiente recante "programmi radicali per la mobilità sostenibile", atto a promuovere la realizzazione di interventi strutturali radicali finalizzati alla riduzione permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico urbano tramite l'attuazione di modelli di mobilità sostenibile. Successivamente il Ministero dell’Ambiente ha emanato altri due decreti su finanziamenti ai Comuni, a favore di politiche radicali ed interventi integrati per la mobilità sostenibile nelle aree urbane e per il governo della domanda di mobilità. Infine nella Finanziaria 2007 è stato istituito un fondo per la mobilità sostenibile di 90 milioni di euro annui per il triennio 2007- 2009.

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In Sicilia il Dipartimento Regionale Trasporti ha firmato il decreto per la selezione dei progetti relativi ai finanziamenti previsti dalla linea di intervento del Programma Operativo Regionale FESR 2007-2013 “Attivazione di un piano strategico regionale per la mobilità dolce e/o non motorizzata (sedime ferroviario - greenways)”. Gli interventi riguardano la realizzazione di piste ciclo pedonali (greenway) lungo le seguenti sei linee ferroviarie dismesse: Caltagirone – Piazza Armerina – Dittaino; Siracusa – Ragusa – Vizzini – Val d’Anapo; Noto – Pachino (Vendicari); Palermo – Corleone – San Carlo; Castelvetrano – San Carlo – Burgio; Castelvetrano – Porto Empedocle – Agrigento. Le greenway costituiscono un sistema di percorsi dedicati a una circolazione non motorizzata in grado di connettere le popolazioni con le risorse del territorio (naturali, agricole, paesaggistiche, storico-culturali) e con gli insediamenti urbani, sia nelle città sia nelle aree rurali. A tal proposito il Dipartimento Comunicazioni e Trasporti si è dotato di un piano della Mobilità non motorizzata approvato con D.A. del 6 giugno 2005, pubblicato in GURS n.28 del 1 luglio 2005, per la realizzazione di una rete regionale di mobilità alternativa di trasporto a basso o nullo impatto ambientale (mobilità dolce) con l’utilizzazione prioritaria dei sedimi delle linee ferroviarie dismesse oltre che di altra viabilità minore o secondaria. Le greenway: opportunità ecologica per lo sviluppo del territorio Le greenway nascono con l’obiettivo di svolgere più funzioni in un’ottica sistemica, in relazione comunque all’obiettivo primario di potenziare la mobilità sostenibile e valorizzare le risorse. Tra gli aspetti che caratterizzano le greenway vi sono la linearità e il movimento. Infatti per la loro conformazione spaziale le greenway svolgono la funzione di connessione tra le aree verdi, tra la campagna e la città, tra la residenza e i centri di vita. La riconversione di strutture non più utilizzate rappresenta oggi un tema di grande attualità con numerose sperimentazioni in ambito internazionale e nazionale. Il tema della riconversione di tracciati ferroviari in percorsi ciclo-pedonali immersi in paesaggi urbani, rurali e naturali si configura come un punto di partenza per il rilancio dei territori e della loro mobilità in una chiave sostenibile e innovativa. La disponibilità di numerose infrastrutture lineari dismesse, può fornire un contributo notevole alla realizzazione di una vera rete di greenway a scala regionale o nazionale.

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Tra i vantaggi maggiori vi è la possibilità di percorrere una via in sede propria con un ridotto numero di intersezioni con la rete stradale. Questo rende i percorsi verdi completamente o quasi separati dalla circolazione stradale, offrendo elevate condizioni di sicurezza agli utenti. Le pendenze modeste e regolari del percorso si adattano perfettamente ai bisogni dei ciclisti non agonisti, dei pedoni di ogni età e delle persone disabili. Inoltre presentano generalmente lunghi tratti rettilinei e curve ad ampio raggio che permettono agli utenti di avere un’ampia visuale sul sentiero, riducendo così anche i pericoli legati alla criminalità e i rischi di scontri tra diversi tipi di utenti. La creazione di una rete di greenway costituisce un’occasione per il recupero, la difesa e la valorizzazione dei territori attraversati. Questi percorsi, infatti, sono dedicati a diversi tipi di utilizzatori e possono svolgere molteplici funzioni, assumendo a sua volta diverse valenze di tipo ecologico, turistico-ricreativo, trasporto per la “mobilità lenta” ed educativo. La presenza di una greenway, può anche essere assimilato a un fattore attrattivo per l’ecoturismo cui si accennava in precedenza: un percorso verde che, attraverso la mobilità sostenibile, amplifica l’offerta turistica di un territorio. Buone pratiche, fattori di successo e insuccesso Su queste opportunità di sviluppo, diverse realtà europee hanno intrapreso nei propri disegni di legge norme che riguardano la mobilità dolce realizzando reti di percorsi verdi. Inghilterra, Belgio e Francia sono tra le prime nazioni europee a realizzare percorsi verdi riscuotendo un notevole successo. Il Belgio è stato tra i primi stati europei a sviluppare una rete di percorsi sfruttando diversi ambienti: dalle linee ferroviarie dismesse, alle alzaie, ai sentieri, alle strade campestri. La via verde “Houillere” attraversa le città di Charleroi, Châtelet, Gilly, Jumet e Roux su un percorso riservato lungo 16 Km, seguendo il tracciato della linea ferroviaria ed alcuni tratti del fiume Sambre. In Francia la decisione di supportare e realizzare il progetto di una greenway su scala nazionale, è nata sia per soddisfare le esigenze della popolazione francese che per attuare un progetto turistico di notevole importanza. Gli obiettivi che sono stati raggiunti con questa realizzazione toccano diversi aspetti: turistico, ricreativo, ecologico e paesaggistico,

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fornendo inoltre una concreta alternativa alla mobilità veicolare, sia per spostamenti sistematici giornalieri che non sistematici di tipo ricreativo. Nel 1986 il Governo Britannico lanciò la prima National Cycling Strategy, nell’intento di sensibilizzare la popolazione al tema della mobilità lenta, pedonale o ciclabile. Tra il 1979 ed il 1986 la storica linea ferroviaria Midland Railways venne trasformata in strada verde, tuttora utilizzata nel corso dell’intero anno sia per gli spostamenti sistematici giornalieri che per quelli non sistematici di tipo ricreativo e turistico. In Italia, fino ad ora le esperienze di recupero delle linee ferroviarie dismesse con la realizzazione di greenway sono state poche ed isolate. Ciò che manca è una visione d’insieme che tenda a vedere il recupero dei singoli tratti come un passo verso la realizzazione di una rete più organica, inoltre non sono note le caratteristiche, l'estensione delle linee dismesse, la loro localizzazione e conservazione. Tra i buoni esempi di realizzazione di percorsi verdi in Italia vi è la greenway “Dobbiaco-Cortina-Calalzo di

Esempi di greenways in Europa

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Le greenways in Italia e le caratteristiche della linea Lercara - Filaga - Magazzolo

Cadore”, ricavata dal vecchio tracciato ferroviario del 1800. Tale percorso, oltre ad essere gestito con alti standard, ha riscosso un notevole successo. La greenway si sviluppa per 65 km attraversando il paesaggio montano delle Dolomiti, tra verdi boschi, piccoli laghi e maestose cime. I percorsi verdi in Sicilia La Sicilia è la regione italiana dove l'abbandono delle linee ferroviarie minori è stato più significativo: ben oltre 1.000 km di tracciati ferroviari sono stati dismessi. Tali sedimi possono essere recuperati ed utilizzati per la creazione di percorsi verdi piacevoli, sicuri e accessibili a qualsiasi tipologia di utenza. In tal modo è possibile conservare i vecchi manufatti ferroviari (ponti, gallerie, stazioni e caselli), contribuendo a preservare la memoria storica della ferrovia tra le giovani generazioni; nel contempo le stazioni e i caselli possono divenire sede di punti di ristoro, musei e agriturismi a servizio degli utenti a piedi, in bicicletta, a cavallo. Tra i buoni esempi siciliani di riqualificazione va citato quello di Menfi. Il tratto realizzato riguarda la riconversione a pista ciclabile extraurbana

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della sede ferroviaria dismessa nei tratti “Menfi – Fiume Carboj” per 8.824 metri e “Porto Palo –Vallone Gurra di Mare” per 2.208 metri a completamento della attuale greenway fino ai confini territoriali e per la realizzazione di complessivi 16,867 km di pista ciclabile. Tale tratto è compreso nella vecchia linea “Castelvetrano - Magazzolo - Porto Empedocle - Agrigento Bassa”, dismessa tra il 1976 e il 1985. La sede ferroviaria è chiaramente rintracciabile per quasi l’intera estensione, con il binario ancora in sito. Le opere d'arte (viadotti e gallerie) sono generalmente in discreto stato. Altro esempio siciliano interessante, ma non del tutto sicuro a causa delle continue frane nel tratto tra Salvatorello e la vecchia stazione di San Michele Ganzaria, è quello che riguarda la linea dismessa “Dittaino – Caltagirone (vecchia)”. La sede ferroviaria, non più armata, è rintracciabile per lunghi tratti come strada campestre (a volte fortemente inerbita), anche se sono frequenti le interruzioni dovute all'inclusione di brevi tratti all'interno dei campi coltivati o a smottamenti del terreno. I ponti e i viadotti sono in molti casi in cattivo stato e sono crollati nel tratto San Michele di Ganzaria-Mirabella Imbaccari. Discreto lo stato di conservazione di gran parte delle gallerie, mentre fatiscenti e abbandonate molte delle ex-stazioni e degli ex-caselli. La presenza di un patrimonio infrastrutturale diffuso nella Regione, ancora non interamente riqualificato, permette di operare nuovi processi creativi per lo sviluppo dei territori. I Sicani: risorse, attrattori e trasformazioni in atto Le componenti del territorio: risorse territoriali e dinamiche sociali ed economiche Il progetto pilota presentato nel presente contributo riguarda una vasta area non sempre interamente corrispondente all'area interna prevista dalla SNAI e viene intesa come l’aggregazione dei territori attraversati dall’ex tracciato ferroviario Lercara Bassa – Magazzolo – Filaga – Palazzo Adriano. I comuni interessati sono: Alessandria della Rocca, Bivona, Calamonaci, Castronovo di Sicilia, Cianciana, Lercara Friddi, Palazzo Adriano, Prizzi, Ribera, Santo Stefano Quisquina, Vicari. Il vecchio tracciato a scartamento ridotto, che nel territorio si configura come una linea a forma di “Y”, può essere considerata come segno tangibile del passato ed elemento con forti potenzialità. Il motivo per cui il tracciato nel 1912 venne progettato e realizzato dalle Ferrovie dello Stato

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fu principalmente allo scopo di trasportare lo zolfo estratto dalle miniere situate nei territori di Lercara Friddi e di Cianciana e di permettere lo spostamento sul luogo di lavoro di contadini e minatori vista la totale assenza di una rete stradale adeguata. Con il congiungimento alle ferrovie vicine, permetteva così lo spostamento dall’entroterra fino alla costa. Oggi la sede ferroviaria è rintracciabile solo a tratti, spesso come strada campestre, e sono frequenti i tratti inclusi nei campi coltivati o divenuti strade locali. Per superare l’asperità del territorio montuoso e sub-collinare, numerose sono state le opere d’arte a supporto del percorso, come gallerie, viadotti e cavalcavia. Questi, insieme ai caselli e alle stazioni, rappresentano ancora oggi elementi di forte impatto nel paesaggio dell’area. I manufatti sono infatti complessivamente in mediocri condizioni; caselli e stazioni, se non abbandonati o riconvertiti in magazzini, sono stati recuperati e adibiti a residenze o servizi per la comunità. Attribuendo quindi all’ex tracciato un ruolo cardine per la coesione e lo sviluppo locale si è proceduto con le analisi finalizzate alla rivalutazione del territorio. Al fine di poter proporre delle ipotesi progettuali coerenti, innovative e sostenibili, è stato considerato il territorio nella sua totalità. Le componenti analizzate sono state articolate e divise in Cicli1. All’interno dell’area interessata vi è una forte presenza di architetture religiose, produttive e beni sparsi di varia natura, quali ville, fontane e ponti storici. L’area risulta inoltre essere circondata da elementi di forte pregio naturalistico, quali SIC e ZPS, Riserve naturali Regionali e il Parco dei Monti Sicani, istituito nel dicembre 2014. Ma accanto a tutti questi elementi attivi e di forza del territorio, ve ne sono tanti altri che, pur rappresentando punti di forza di tale territorio, non risultano essere valorizzati e attivi nella loro funzione originaria. Tra questi ritroviamo numerosi caselli e stazioni ferroviarie e il già citato sedime del vecchio tracciato ferroviario che insieme rappresentano un punto di forza notevole del territorio. L'Analisi RHOL2, è stata sviluppata con lo scopo di interpretare e di individuare le “specializzazioni” di cui è composto il territorio. L’analisi evidenza dei territori ricci di servizi, beni culturali e ambientali, accessibilità e qualità urbana. Naturalmente non tutti i comuni hanno un elevato grado gerarchico, ma le opportunità presenti negli altri comuni potranno fungere da traino per chi non possiede tali caratteristiche peculiari. Le risorse naturalistiche, i nuovi centri di ricerca universitaria, le ferrovie e le stazioni dismesse rappresentano una grande opportunità per questi centri,

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che sono dei punti focali per un successivo incremento di popolazione che si sposta verso questi luoghi sia per lo svago, ma anche per lo studio, la ricerca, il lavoro. Si evidenzia una vocazione prevalentemente agricola, con il centro urbano di Ribera che assume il rango di polo maggiore. Gli altri sistemi insediativi si attestano su bassi livelli su scala regionale, con attrezzature puntuali di livello superiore, ma non equamente distribuite. L’analisi ha quindi permesso di evidenziare quali specializzazioni e vocazioni possiede il territorio e comprendere quali nodi e settori potenziare e valorizzare. Lo studio preliminare si è, poi, focalizzato sui fattori sociali ed economici e in che modo questi possono condizionare lo sviluppo futuro. Partendo dall’analisi demografica si è evinto che la piramide dell'età presenta ampie fasce di polopolazione anziana, mentre una buona fetta di popolazione tende ad abbandonare il territorio. Degno di nota è invece il

Particolare dell'Analisi Strutturale del territorio per cicli di vita

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singolare caso di Cianciana, che con una percentuale di cittadini stranieri del 3,80%, si candida ad assumere un particolare primato: centro capace di attrarre flussi turistici internazionali stabili, Cianciana evidenzia un modello di crescita innovativo fondato sulla qualità della vita ed esportabile nell’intero sistema locale. Le analisi fin qui condotte hanno evidenziato il ruolo dell’ex tracciato ferroviario come elemento aggregatore di un territorio ricco di potenzialità, ma che necessita di un’attenta pianificazione integrata. Queste caratteristiche sono le basi concettuali e i punti di forza nella scelta del progetto bandiera da condurre nell’area per rilanciare uno sviluppo integrato fondato sul turismo sostenibile. La progettazione della greenway, della riqualificazione degli elementi connessi e le relazioni create con le risorse integrate, permetteranno di giungere infatti a una nuova vision strategica di sviluppo per il territorio. Offerta turistica dell’area e contesto regionale Al quadro strutturale e delle dinamiche socio-economiche, si affianca quello dell’offerta turistica attuale, rilevando in che modo questa può attrarre e ospitare flussi di visitatori. Dall’analisi sul campo della ricettività della zona dei Sicani, risultano circa 21 strutture ricettive per un totale di quasi 725 posti letto. Tra gli esercizi alberghieri è possibile osservare una prevalenza di esercizi appartenenti alla categoria 3 stelle (10 strutture). Seguono le categorie a 4 stelle (2 strutture) e a 2 stelle (2 strutture) e 6 strutture alberghiere a 1 stella. Le strutture risultano essere adeguate

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all’attuale domanda, ma le opportunità di crescita e sviluppo spingono a rivedere le scelte fino ad oggi adottate, sia in termini numerici che qualitativi e tipologici. Analizzare un territorio significa tenere conto anche di tutti gli elementi che caratterizzano un luogo, che danno identità e tipicità allo stesso. Tra le tante attrattive locali quelle che maggiormente si prestano per la loro valenza sono le bellezze di tipo naturalistico, culturale ed enogastronomico. Le prime caratterizzano i territori dell’intera area per la presenza del Parco, delle riserve naturali, dei SIC e delle ZPS. Insieme alle diverse colture, creano un mosaico paesaggistico naturale e rurale di assoluto pregio. Fra le risorse culturali e identitarie, da segnalare Santo Stefano Quisquina per l’eremo di Santa Rosalia, luogo che per diversi anni è stata la casa di Santa Rosalia, trasferitasi poi a Palermo. Si ergono poi nel paesaggio dell’area il castello di Poggiodiana nei pressi di Ribera e quello della Morgana a Vicari. Palazzo Adriano è noto per essere stato tra i set cinematografici del film Nuovo Cinema Paradiso, vincitore del premio Oscar nel 1990. Castronovo di Sicilia ad oggi risulta essere un polo di elevata valenza culturale per la varietà di architetture, fontane e punti panoramici. Tali caratteristiche possono essere attribuite anche ai centri storici di matrice medievale e barocca di Bivona, Prizzi, Vicari, Cianciana e Palazzo Adriano. Come in altri contesti regionali è possibile degustare la cucina siciliana e le sue variazioni locali. Essa fa parte di una cultura gastronomica complessa ed articolata, che mostra tracce e contributi di tutte le culture

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Piramide dell'età e distribuzione della popolazione. Lo studio evidenzia il ruolo centrale di Ribera e una tendenza generale alla decrescita

che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni e mette in risalto gli apporti peculiari di un territorio e dei suoi abitanti. Ritroviamo poi elementi peculiari delle produzioni tipiche di qualità, fra questi la Pesca di Bivona (DOP-IGP), l’Arancia di Ribera (DOP), la Fragolina di Ribera (Presidio Slow Food), la Mandorla di Alessandria della Rocca e numerosi formaggi tradizionali. Durante tutto l’anno vi sono eventi per la promozione e la valorizzazione dei prodotti tipici e delle tradizioni locali, così da mettere in vetrina le peculiarità e le risorse dei diversi comuni. Tutti insieme risultano avere un’elevata valenza storica e identitaria e opportunità di attrarre forme di turismo enogastronomico, storico, naturalistico, ma anche sostenibile, integrato ed esperenziale con potenzialità locali, regionali e nazionali. Nel contesto turistico italiano, la Sicilia è al primo posto tra le regioni del Mezzogiorno e al 7° posto nella graduatoria nazionale per incidenza del turismo straniero e per numerosità di posti letto in strutture alberghiere a 3, 4 e 5 stelle. L’Isola è la seconda regione nel Mezzogiorno, dopo la Campania per numero di arrivi (oltre 4,1 milioni) e di presenze, circa 14 milioni (peso su Mezzogiorno rispettivamente del 23,5% e del 18,5%). Organizzare o predisporre itinerari turistici in Sicilia vuol dire scegliere tra varie opzioni possibili offerte dall'isola, nota per le sue bellezze culturali, balneari, naturalistiche ed enogastronomiche. Però secondo analisi di settore (Piano Sviluppo Turistico Sicilia, 2014), i principali motivi di insod-

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Una tendenza generalizzata all'invecchiamento e a un tasso di crescita negativo, riducono il capitale umano del territorio

disfazione delle vacanze in Sicilia sono dovuti alla scarsa manutenzione delle strade, alla presenza di edifici e arredo urbano non sempre coerente con il contesto paesaggistico, al traffico nelle grandi città, difficoltà di parcheggi e circolazione nei piccoli e medi centri in alta stagione. Inoltre vi sono difficoltà sia per il raggiungimento dell’isola per i costi elevati dei voli, sia difficoltà dei collegamenti interni rispetto alla qualità dei servizi di trasporto, strade, segnaletica turistica e stradale. Tutti questi sono punti che il Piano di Sviluppo Turistico della Sicilia sta analizzando per aumentare e migliorare le condizioni dell’esperienza turistica offerta. Trasformazioni in atto Lo studio delle componenti strutturali, unite alle condizioni turistiche locali e regionali, sono poi integrate con il complesso delle trasformazioni in atto. Per un corretta pianificazione è opportuno stilare un “quadro” generale delle politiche vigenti nel territorio, mettendo in evidenza le coerenze o le contraddizioni tra gli strumenti che gestiscono il territorio e la loro attuazione. La prima parte dell’analisi ha comportato un censimento di alcuni tra piani e programmi in cui i comuni sono coinvolti. Riscontriamo così la presenza di distretti turistici, piani d’azione per l’energia sostenibile, gruppi di azione locale, piani integrati per lo sviluppo territoriale; tutti programmi atti allo sviluppo, promozione e valorizzazione del territorio.

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Analisi degli attrattori turistici. L'elevata e diversificata offerta, si contrappone a una domanda carente e una valorizzazione del brand non adeguatamente attrattiva e valorizzata che necessita di nuove azioni integrate

Fra le azioni più importanti, quelle che interessano il potenziamento della mobilità locale e sovralocale; la valorizzazione delle risorse turistiche naturalistiche e culturali; l’incremento dell’offerta di servizi; la tutela dell’assetto territoriale. In chiave nazionale, tale territorio viene denominato “Area interna”, in quanto risulta distante dai principali centri di offerta di servizi essenziali. Una parte rilevante delle Aree interne ha subito, a partire dagli anni cinquanta dello scorso secolo, un processo di marginalizzazione che, innanzitutto, si è manifestato attraverso intensi fenomeni di de-antropizzazione. Quello che si propone di fare attraverso gli studi è la valorizzazione e integrazione turistica, ambientale e ricettivo dell’intera area. Secondo il PO FSE 2014-2020, le aree interne si identificano come tali per un articolato e differenziato grado di marginalità e svantaggio. Le azioni riguardanti le aree interne si inseriscono nell’ambito degli interventi a favore dello sviluppo territoriale equilibrato delle economie e delle comunità rurali, in modo tale da sostenere quelle aree più bisognose di un’azione di riequilibrio territoriale. Obiettivo finale della Strategia Nazionale Aree Interne, sarà infatti favorire le occasioni capaci di invertire le attuali tendenze demografiche e riportare il capitale umano nei territori. Coerentemente con questo obiettivo, è stata predisposta una nuova vo-

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cazione per l’Area, finalizzata all’attrattività attraverso forme di turismo sostenibile, attento alle risorse locali e integrato. La greenway dei Sicani: progetto bandiera per lo sviluppo locale La nuova vision di sviluppo e gli obiettivi integrati Al fine di creare una nuova vision di sviluppo per il territorio, si è proceduto a una razionalizzazione delle analisi precedentemente svolte, così da pervenire a un quadro complessivo delle componenti endogene ed esogene che ne condizionano le prospettive. L’analisi SWOT ha così evidenziato numerose e diversificate risorse correlate agli elementi ambientali, culturali, identitari e produttivi. Possiamo così citare le bellezze paesaggistiche e naturalistiche delle risorse naturali e del Parco dei Monti Sicani, oppure le stratificazioni storiche che si traducono in aree archeologiche, siti museali, centri storici o identità locali. A questi si sommano e integrano le produzioni tipiche, perfetto connubio di paesaggio e tradizione. Le criticità invece sono spesso legate alla fruizione e alla valorizzazione delle risorse, aggiungendo anche lo scarso livello relazionale, di tipo materiale e immateriale, che condiziona lo sviluppo locale contribuendo allo spopolamento del territorio, vero e proprio “virus” dell’area interna. A questo quadro, frutto dello stato di fatto, si interfacciano le opportunità, ovvero gli interventi in attuazione che puntano allo sviluppo del territorio. Azioni in tal senso sono previste potenziando la mobilità di collegamento e valorizzando e promuovendo le differenti risorse in chiave turistica. L’analisi mostra così un territorio in attesa di una riattivazione integrata fondata sulle sue grandi risorse e potenzialità; fra queste emerge la linea a scartamento ridotto attualmente dismessa, che da segno labile e scarsamente conosciuto può diventare elemento trasmettitore di cultura, identità e sviluppo, maglia connettiva per la valorizzazione delle risorse e vero punto focale per la rinascita dell’area. Con queste premesse nasce una nuova vision per un territorio attrattivo che a partire dalle risorse locali e dalla qualità della vita punta alla promozione del turismo sostenibile, relazionale e integrato. Per il raggiungimento di questa nuova visione, viene delineato un quadro di azioni strategiche che fanno a capo a macro-obiettivi sinergicamente legati. Obiettivi come il ridisegno turistico in chiave sostenibile, la promozione, conservazione e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali, la rigenerazione del settore agroalimentare, l’innovazione imprenditoriale, la creazione di reti materiali e immateriali

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finalizzate all’empowerment sociale, il potenziamento della mobilitĂ e dei servizi smart, si connettono in una fitta maglia integrata. La correlazione fra i diversi obiettivi, si può tradurre come un insieme complesso di mo-

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lecole interconnesse che, grazie all’azione catalitica delle singole azioni, contribuisce a formare un unico organismo. Questo non è altro che la vision complessiva di sviluppo, che si accresce con il completamento delle azioni strategiche e il raggiungimento degli obiettivi. Gli interventi verranno così delineati attraverso approcci multi-livello, capaci di coinvolgere con azioni materiali e immateriali, diversi soggetti e differenti ambiti del territorio. Si auspica così di interessare i settori socio-economici e dell’amministrazione, le popolazioni locali e le possibili relazioni con i contesti vicini e in corso di formazione. Il tutto verrà effettuato con azioni dirette e indirette sul patrimonio ambientale, identitario e culturale, la matrice dei servizi e dei sistemi gestionali, il bacino economico, produttivo e gli indotti collegati. Le azioni individuate concorrono insieme al ridisegno delle vocazioni del territorio, ma la loro distribuzione temporale/realizzativa prescinde da azioni definite preliminari e con un importante ruolo da avviatore.

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Il progetto bandiera: attivatore di creatività locale e visione regionale di sviluppo turistico Le motivazioni che hanno spinto alla scelta del progetto bandiera possono essere rintracciate in ragioni esogene, interne e di contesto sovra-locale. Come precedentemente delineato, il ruolo delle greenway come motore di sviluppo turistico è internazionalmente riconosciuto. Il tutto è ulteriormente favorito dalle attuali tendenze di crescita del turismo sostenibile, integrato e relazionale, correlato a fattori di riscoperta del territorio, della qualità della vita e delle risorse diffuse. La presenza nel contesto di un elemento da riattivare così fortemente legato all’identità storica, culturale e al paesaggio, costituisce un’opportunità che può fungere da “traino” per promuovere altre risorse integrate. La greenway assume così il ruolo di tessuto connettivo e promozionale per rilanciare le attività e gli elementi già presenti e favorire nuove vocazioni turistiche fondate su presupposti qualitativi.

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Nel macro-contesto siciliano, l’area risulta in una posizione marginale e periferica rispetto ai poli turistici consolidati: distante dalle principali linee autostradali e senza un affermato posizionamento nell’offerta regionale, la vocazione turistica è attualmente poco presente e attrattiva sul mercato. La centralità rispetto a nodi consolidati, come Palermo a nord e Agrigento a sud, rappresenta però una grande opportunità per trasformare il contesto in un sistema territoriale attraversabile e connettivo fra i

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due versanti. La presenza di una maglia ferroviaria dismessa nel quadro regionale, permette alle potenziali greenway di configurarsi quindi come rete di mobilità sostenibile alternativa e ossatura cardine per un turismo innovativo. La greenway nell’area interna dei Sicani, per la sua posizione baricentrica e la possibilità di ricongiungersi ad altre reti, offre numerose opportunità in una visione di sistema eco-turistico regionale. Attraverso il nuovo percorso, sarà possibile attraversare e visitare un territorio interno, ma che può congiungersi al mare attraverso una rete slow immersa in un mosaico paesaggistico di grande pregio. Il progetto bandiera mira così a potenziare il settore turistico e ad allargarne le potenzialità e le esternalità ai territori vicini riuscendo ad interfacciare l’area dei Sicani a nord con la provincia di Palermo e i suoi nodi culturali e infrastrutturali e a sud con i sistemi sub-costieri, culturali e balneari, Belice-Sciacca e Agrigento-Realmonte. Si può creare così l’interconnessione con importanti punti di accesso infrastrutturali come porti, aeroporti e stazioni ferroviarie, ma moltiplicare al contempo l’offerta turistica dell’Asse Tirreno-Canale di Sicilia. Il principale competitor regionale, l’area delle Madonie, potrà invece

Quadro relazionale sovralocale. Il progetto integrato promette di capitalizzare la posizione paricentrica del sistema territoriale, inserendolo in una maglia relazionale allargata a differenti sistemi turistici, futuri "partner" per lo sviluppo

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diventare un partner correlandosi in una grande offerta eco-turistica connessa e che può convergere in un unico pacchetto naturalistico, identitario e sostenibile. La macro-visione regionale offre così di ridisegnare l’offerta turistica della Sicilia sotto una nuova chiave innovativa e coerente con le tendenze in atto, promettendo di ridurre gap strutturali e riposizionando l’isola fra le mete del turismo sostenibile europeo. Il tracciato della greenway: promozione del territorio, offerta turistica e relazioni integrate L’elaborazione progettuale del tracciato della greenway ha tenuto conto di tre caratteristiche fondamentali: la coerenza con il percorso ferroviario originario e ancora esistente; le condizioni di sicurezza e comfort dei fruitori a piedi e in bicicletta; le spese di realizzazione. Queste caratteristiche hanno influenzato la scelta del tracciato progettuale cercando il più possibile di conservare il percorso storico, ma anche di ridurre gli incroci con strade a grande percorrenza, elevate pendenze o ingenti espropri a causa delle attuali condizioni strutturali. Il risultato finale è quindi quello maggiormente fruibile e che comporta la spesa realizzativa minore e le tempistiche di realizzazione più basse. Ai fini della realizzazione sarà quindi fondamentale una ricognizione puntuale legata allo stato di fatto e alle condizioni strutturali del tracciato stesso e delle opere connesse quali viadotti e gallerie e uno studio afferente le proprietà dei suoli individuati. Successivamente, sarà stilato l’accordo di programma che individua i soggetti coinvolti e le modalità di gestione dell’opera. Azione preliminari alla realizzazione della greenway, sarà la riattivazione della stazione ferroviaria di Lercara Friddi, che può considerarsi una delle porte di accesso principali al sistema insieme a quelle sulle vicine strade statali. Altro elemento fondamentale, sarà il coinvolgimento dei soggetti al fine dell’attivazione delle altre greenway correlate al sistema; in particolare quella che dall’area di Ribera (ex stazione di Magazzolo) può congiungersi alla fascia costiera attraverso il percorso di Sciacca, Menfi e Castelvetrano in parte già attivato. Con la macchina attuativa così creata e recepiti i canali di finanziamento, potranno quindi attuarsi le forme esecutive della progettazione e la realizzazione dell’opera. La greenway ripercorre così il tratto ferroviario da Lercara Bassa a Magazzolo (Ribera) e la diramazione da Filaga a Palazzo Adriano. Il suo percorso mette in relazione i Comuni di Lercara Friddi, Prizzi (e il borgo di Filaga),

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Masterplan di progetto con evidenziato (in rosso) il tracciato della greenway. Questo ripercorre il più fedelmente possibile il percorso della ferrovia dismessa e, ove non possibile, si trasferisce su viabilità preesistente tenendo conto di fattori quali la sostenibilità economica e comfort e sicurezza per i fruitori.

Palazzo Adriano, Santo Stefano Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca e Cianciana, mentre appositi itinerari permetteranno il collegamento con Castronovo di Sicilia, Calamonaci, Ribera e le numerose risorse diffuse nel contesto. La greenway si diversificherà da questi itinerari per le sue caratteristiche intrinseche: è infatti un percorso ciclo-pedonale realizzato sull’ex tracciato o su strade direttamente limitrofe che, arricchendosi della memoria del passato, permette una visione differente del territorio. Gli itinerari invece si dirameranno dal percorso verde e corrisponderanno alla viabilità preesistente su asfalto. Avranno un uso promiscuo ciclo-pedonale, ma anche motorizzato, assumendo la funzione di collegamento diretto

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con le porte di accesso al sistema, i centri urbani e le risorse diffuse come laghi, riserve, aree archeologiche, beni culturali sparsi (santuari, bagli, castelli). Collegando fra loro differenti attrazioni, assumeranno tematismi ad hoc correlabili alla natura, alla storia, alla religione, al paesaggio minerario, ecc. fornendo un’offerta diversificata per i numerosi target turistici coinvolti. Il sistema integrato della greenway e degli itinerari interconnessi crea così una nervatura nel territorio alternativa alla mobilità tradizionale, che interfaccia nodi attrattori precedentemente scollegati fra loro in una visione unica, ma diversificata. Il tessuto connettivo così creato, attraversa un mosaico paesaggistico che aggrega elementi naturali, montuosi e boschivi a risorse antropiche identitarie e storicizzate come i centri urbani, le colture tipiche, le aree minerarie dismesse. Preziosi elementi per la fruizione saranno le strutture accessorie della vecchia linea ferroviaria da riqualificare. Caselli, gallerie, stazioni, potranno diventare contenitori di funzioni innovative e motori di economie creative. Bar, ristoranti, sedi espositive, punti vendita prodotti tipici, sono solo alcuni dei servizi inseribili nelle architetture memori dell’antico passato ferroviario. Un sistema di ospitalità diffusa, permetterà poi di ampliare la fruizione del percorso e prolungare la visita nel territorio, offrendo una modalità ricettiva integrata e unitaria lungo tutta la greenway. Vicine strutture come bagli, mulini, masserie o elementi territoriali come laghi e riserve naturali, non strettamente connessi alla memoria del tracciato, ma elementi fulcro dell’identità locale, potranno anch’essi accogliere nuove

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funzioni e assumere nuovi ruoli. Vengono così proposte linee d’indirizzo strategiche per inserire inoltre fattorie didattiche, attrezzature socio-sanitarie, attività legate agli sport acquatici. Il sistema integrato della mobilità potrà giovare di una visione interconnessa e legata alla rete regionale. Per la movimentazione interna e le porte di accesso si prevedono punti bike sharing lungo tutto il percorso, mentre i nodi di intersezione con le arterie di accesso principali (Strade Statali, Strade Provinciali, Linea Ferroviaria) potranno ospitare aree di scambio intermodale con possibilità di car sharing. Il movimento dei flussi di visitatori attraverso differenti approcci e modalità (a piedi, in bici, a cavallo, in auto) potrà trasformare l’area non solo in un punto di passaggio fra due versanti della Sicilia, ma anche in

Particolare del Masterplan di progetto. Vengono individuate le risorse connesse e le linee di indirizzo per i servizi da accogliere nelle strutture da recuperare. Gli itinerari, individuati su viabilità preesistente, alimenteranno le relazioni con gli elementi sparsi, i centri urbani e i nodi di accesso

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un luogo di permanenza con soggiorni medio-lunghi. Questo diverso approccio che vede nel territorio una meta statica (cornice attraversata di passaggio), ma anche dinamica (mosaico da vivere e scoprire), offre opportunità di sviluppo aperte alle economie sparse, ma anche a quelle dei centri urbani e dei distretti già consolidati. Il ruolo cardine del soggetto privato, che interverrà indirettamente anche nella gestione dell’opera, favorirà la creazione di nuovi sistemi economici che graviteranno sul turismo e un intenso indotto correlabile a settori quali la mobilità, la produzione agroalimentare, la ricettività, la promozione e fruizione del territorio. Alla realizzazione del progetto e alla sua attivazione, corrisponderanno infatti numerose attività legate alla gestione della rete stessa, ma anche alla sua valorizzazione. Interventi innovativi dovranno essere condotti attraverso operazioni di marketing territoriale, eventi, istituzione di associazioni, realizzazione portali web e App dedicate, promozione pacchetti turistici e sistemi di relazioni con i nodi attrattori consolidati. Percorrere gli 83,74 km complessivi del tracciato e gli oltre 30 km di itinerari interconnessi, comporterà così una visione complessiva dell’area interna dei Sicani, della sua storia e delle sue risorse. Un percorso di riscoperta del territorio attraverso la cultura, il paesaggio, le produzioni tipiche, la memoria e l’identità che permette di assaporare a pieno una parte della Sicilia poco conosciuta, ma che può rivendicare un ruolo innovativo e sostenibile nell’offerta turistica regionale. Azioni operative per il progetto integrato: studio delle componenti, analisi costi-benefici e sistema gestionale Descrizione componenti del progetto: aspetti costruttivi, scelte e motivazioni progettuali Il progetto della greenway, nel dettaglio, ha visto differenti approcci per la sua realizzazione tecnica. In fase di progettazione si è quindi reso necessario confrontarsi con gli aspetti tecnici e costruttivi del tracciato ferroviario in questione. In particolare la linea ferroviaria può essere scomposta in due componenti fondamentali. La prima è la sovrastruttura stradale, che era composta da binari a scartamento ridotto (950 mm) collegati da traverse incastrate sulla massicciata, la quale, con la sua classica sezione trapezoidale, oltre a permettere il drenaggio delle acque, aveva il compito di distribuire il carico gravante sui binari al corpo stradale su una super-

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ficie di impronta maggiore per diminuire il carico per unità di superficie. Al di sotto si trova il corpo stradale con la piattaforma stradale in genere larga 4-5 m, la quale condiziona le dimensioni in larghezza del percorso. Oggi non sono più presenti i binari e le traverse, stessa sorte è toccata alla massicciata che rimane appena percepibile in pochissimi tratti. Quello che è rimasto invece è il pacchetto della fondazione con il cassonetto in tout venant di cava, il quale in diversi punti può garantire una base per le nuove sovrastrutture. Per garantire la circolazione in sicurezza in entrambi i sensi, le dimensioni in larghezza del nuovo percorso ciclabile sono state fissate a 2,5 m, ridotte a un minimo di 2 m in alcuni tratti segnalati ove il sedime non è in grado di ospitare larghezze ottimali. Si è poi prevista la realizzazione di barriere di sicurezza con palizzate in legno nei tratti di strada in rilevato, in rispetto del D.M. n.557 del 1999 recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili. Il progetto prevede il ripristino del percorso tramite la realizzazione di una nuova fondazione stradale, ove necessaria, con un cassonetto in tout venant di cava e un sottofondo in pietrisco, mentre per la pavimentazione si è scelta la terra stabilizzata. Una pavimentazione in terra battuta infatti comporta alcune problematiche quali la formazione di fango in concomitanza di eventi meteorici che rende la pavimentazione non facilmente percorribile

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ai mezzi su ruote, la formazione di "ormaie" molto pronunciate in corrispondenza delle zone con transito concentrato, nonchÊ l'erosione della pavimentazione dovuta alle acque di scorrimento superficiali con modalità differenti in base alla condizione attuale dei singoli tratti di linea. La terra stabilizzata invece garantisce tutti i vantaggi derivanti da un conglomerato cementizio e quindi da granuli legati tra loro e al contempo risulta una scelta piÚ sostenibile rispetto a questi ultimi in quanto, a discapito di una minima percentuale di legante e sali inorganici, la maggior parte del conglomerato è costituito da terra anche vegetale la quale può essere recuperata facilmente in loco, e da un aspetto estetico finale della pavimentazione del tutto simile alla terra battuta. Le differenti condizioni dei tratti della ex linea ferrata hanno obbligato a ipotizzare diverse tipologie di intervento le quali sono state condensate in quattro categorie progettuali: percorso verde in terra stabilizzata con nuova fondazione, percorso verde in terra stabilizzata su strada bianca esistente, percorso verde su pavimentazione esistente in conglomerato bituminoso, percorso verde alternativo con ri-

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serva - corsia o pista su strada asfaltata esistente. Un altro aspetto importante è quello delle zone promiscue. Nei centri urbani, dove il tracciato non è più distinguibile dal tessuto urbano, si è pensato di istituire “Zone a Traffico Moderato” o "Zone 30" dove viene promossa la circolazione promiscua tra ciclisti, pedoni e veicoli a motore con cartelli di indicazione per non perdere la continuità concettuale del percorso verde. Per quanto riguarda l’informazione agli utenti, la strategia progettuale è quella di valorizzare il percorso e il territorio attraversato tramite la disposizione lungo lo stesso di segnaletica di informazione e di segnalazione costituita da cartelli informativi e cartelli direzionali e contenenti la mappa del percorso con le altimetrie, i punti di ristoro, di noleggio biciclette e di interscambio, la direzione, le distanze e le pendenze dei singoli tratti e cartelli informativi sugli elementi di interesse storico-culturale e artistico presenti nel territorio nonché sugli itinerari turistici correlati al sistema. Analisi costi-benefici computo metrico, vantaggi per il territorio e gli attori locali. I costi per la realizzazione di percorsi verdi destinati ad una mobilità non motorizzata non sono bassi e possono essere valutati principalmente in

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base a due fattori. Il primo è sicuramente la tipologia e la condizione di infrastrutture che si andranno ad utilizzare, qualora esistenti, per realizzare i percorsi, quali ad esempio strade asfaltate, regie trazzere, strade campestri o piste forestali, tracciati ferroviari dismessi, per i quali le soluzioni progettuali da adottare possono variare in funzione dello stato di conservazione del sedime, o argini di fiumi. Il secondo fattore riguarda le soluzioni tecniche e progettuali scelte per il percorso, in particolare la scelta degli interventi per la sistemazione del percorso (disboscamento, sottofondo, pavimentazione, parapetti, illuminazione delle gallerie, ecc.), le soluzioni progettuali per la messa in sicurezza degli attraversamenti tra il percorso verde e la rete stradale ordinaria e la scelta delle opere accessorie a servizio degli utenti (aree di sosta e ristoro, cartellonistica, ecc.). Per valutare l’impatto economico dell’intervento si è proceduto ad una stima dei costi, realizzata per tipologie di intervento omogenee. In particolare si è proceduto valutando le quattro categorie progettuali prima enunciate: percorso verde in terra stabilizzata con nuova fondazione, percorso verde in terra stabilizzata su strada bianca esistente, percorso verde su pavimentazione esistente in conglomerato bituminoso, percorso verde alternativo con riserva - corsia o pista su strada asfaltata esistente. Per ogni tipologia si è calcolato, tramite un computo metrico estimativo, il costo totale per ogni chilometro di percorso. Il costo totale dell’opera stimato è di 10.252.871 euro, dividendo tale cifra per gli 83,7 km di percorso si può avere un’idea del costo medio per km il quale ammonterebbe a 122.436 euro.

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La stima dei benefici indotti dalla realizzazione di un percorso verde o ciclovia risulta invece più complessa per diversi motivi. In primo luogo, una greenway produce molti benefici “intangibili” e quindi difficilmente monetizzabili (effetti benefici sulla salute umana, protezione dell’ambiente, funzione ricreativa ed estetica, ecc.). Inoltre la bibliografia in materia con esempi già attenzionati è scarsa ed è principalmente riferita a esperienze americane non sempre confrontabili con le nostre realtà. Si è proceduto comunque a svolgere delle valutazioni separando i benefici in due categorie di soggetti che li ricevono: soggetti pubblici e soggetti privati. I soggetti pubblici ovvero enti locali, oltre a benefici intangibili come i benefici sulla salute e protezione dell’ambiente, funzione ricreativa ed estetica e promozione delle greenway come prodotto turistico – ricreativo, avrebbero un ritorno dovuto agli introiti per la concessione di suoli e di fabbricati ai privati, da riutilizzare nell’ambito della greenway. I soggetti privati oltre ai benefici appena citati trarrebbero vantaggi dall’uso della greenway come servizio di mobilità intercomunale in chiave sostenibile, inoltre la pubblicizzazione di un prodotto come il percorso stesso e relativo brand in grado di attrarre flussi turistici giornalieri e pluri-giornalieri porterebbe introito ai privati nelle attività direttamente connesse al sistema (B&B, Aziende di Prodotti Tipici, Aziende di Trasporti, ecc.). Nel lungo periodo i benefici potranno estendersi sia ai soggetti pubblici che quelli privati. Questi si traducono in una nuova attrattività per l’area, incrementando la vocazione turistica del territorio con conseguente sviluppo delle imprese connesse e del relativo indotto; il tutto contribuirà all’inversione della tendenza demografica attuale, restituendo capitale umano e innescando nuove opportunità creative di crescita e sviluppo. Il sistema gestionale Affrontare il tema della gestione della greenway significa in primo luogo occuparsi dei fattori che influenzano la gestione, in particolare di risorse umane, della loro qualificazione professionale, di risorse finanziarie, di strumenti tecnici, giuridici ed amministrativi. I principali temi gestionali delle greenway sono riferiti principalmente alla capacità dei differenti soggetti preposti di lavorare insieme e in coordinamento con gli enti e le risorse del territorio. La questione del controllo, della vigilanza e della manutenzione del sistema sono alcune delle condizioni necessarie al funzionamento e alla buona riuscita del progetto. La molteplicità dei soggetti

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presenti del territorio, impone in fase di gestione l'acquisizione di una metodologia di lavoro che sappia coinvolgere tutti gli attori interessati direttamente e indirettamente alla greenway. Inoltre è bene tenere presente le problematiche legate alla gestione del percorso, infatti quelli della sicu-

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rezza, delle frane lungo il tracciato, del mantenimento statico delle opere architettoniche, come ponti e viadotti, e le difficoltà legate alla cura del manto e della vegetazione che in alcuni casi lo ricopre, sono solo alcuni esempi di problematicità che si possono presentare. Occorrerà orientare e coordinare i soggetti privati e pubblici coinvolti, stilando un regolamento interno che disciplini e normi l’uso e la gestione. Il sistema integrato delle greenway dei Sicani è composto dal percorso, dai caselli, dalle stazioni e dalle aree limitrofe annesse al vecchio tracciato, nonché degli itinerari interconnessi e dalla maglia di risorse presenti gravitanti sul tessuto portante. I caselli e le stazioni saranno oggetto di ristrutturazione da parte dei soggetti pubblici attingendo ai fondi di provenienza comunitaria con necessario coinvolgimento di attori economici locali, e successivamente dati in gestione a piccole e medie imprese o soggetti privati che si occuperanno della manutenzione. Il recepimento di questi fondi pubblico-privati permetterà così la realizzazione del percorso e la riqualificazione dei manufatti. Il progetto prevede che il sedime ferroviario venga dato in concessione per un periodo di 99 anni. Fermo restando che il detentore del sedime ferroviario dismesso, e le aree limitrofe annesse allo stesso, rimane comunque Ferrovie dello Stato S.P.A., la manutenzione sarà ripartita tra i diversi soggetti coinvolti. I comuni, le associazioni e gli investitori privati saranno responsabili infatti della gestione e della pulizia, della vigilanza, della manutenzione di tipo ordinario e della manutenzione straordinaria. L’Accordo di Programma come patto condiviso per lo sviluppo locale La ripartizione delle responsabilità, la divisione dei compiti nonché l’attribuzione di poteri decisionali in fase di gestione della greenway sono contenuti nell’Accordo di Programma. Questo documento di durata decennale è di fondamentale importanza, in quanto impegna ufficialmente i soggetti gestori e regolamenta, con valenza di contratto, le tipologie e le modalità di intervento nella gestione del percorso. Secondo quanto previsto dall’articolo 27 della legge 142/90, l’Accordo di Programma è la modalità con la quale Comuni, Province, amministrazioni e soggetti pubblici definiscono e attuano opere e interventi che richiedono azioni integrate e coordinate, determinandone i tempi, le modalità, i finanziamenti e gli altri adempimenti connessi. Nel caso specifico sono stati individuati i soggetti gestori innanzitutto nelle amministrazioni dei comuni attraversati dalla greenway

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e in altri enti pubblici come l’Assessorato Regionale delle Infrastrutture e della Mobilità, RFI, l’Ente Parco dei Monti Sicani e A.N.A.S., nonché soggetti privati quali associazioni ciclistiche e di categoria, pro loco e imprese locali gestori dei servizi integrati alla greenway. Tali soggetti ed enti firmatari si impegnano, con questo documento, all'istituzione di un Ente pubblico con partecipazione privata finalizzato alla gestione e alla promozione dell'opera. L’ente, dotato di apposite figure tecniche specializzate, curerà le modalità di recepimento finanziamenti, l'avvio del procedimento, le azioni preliminari di realizzazione, la messa in opera, le attività promozionali e relazionali e i futuri interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria in termini conservativi e migliorativi. Svolgerà altresì attività di coordinamento fra i soggetti coinvolti e funzioni tecnico-amministrative per la gestione degli accordi, la stipula di future partnership e la ricerca finanziamenti. L'Amministrazione dell'ente sarà affidata ad un gruppo di coordinamento eletto dai soggetti firmatari. Processo valutativo, monitoraggio e conseguimento degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, integrato e resiliente Indirizzi per il monitoraggio e metodologia di costruzione della batteria degli indicatori A completamento dell’avvio dell’opera e dello sviluppo gestionale si pone il sistema di monitoraggio, che ha il compito di coadiuvare il processo decisionale e permettere la valutazione nel tempo delle azioni intraprese all’interno del progetto. Si favorirà così un intervento in tempo reale capace di mitigare gli impatti e sanare le criticità sviluppate in corso. Un sistema di monitoraggio ad hoc contribuisce poi a facilitare il processo di gestione, ed è in grado di rafforzare l’attendibilità del progetto. Tale sistema dovrà quindi essere delineato fin dalle fasi iniziali del progetto;

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articolato intorno ad un gruppo di indicatori oggettivamente controllabili; organizzato in considerazione di momenti critici e milestone in modo da garantirne il controllo; finalizzato ad assicurare la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Data la quantità e comprensività degli elementi che contraddistinguono il progetto, è necessario definire strumenti appropriati affinché il sistema di monitoraggio si applichi alle azioni da intraprendere, agli obiettivi da perseguire e al rispetto del budget delineato (controllo dei costi). Per fare ciò, deve essere elaborato un sistema d’indicatori, con il fine di trasformare le informazioni e i dati in elementi misurabili, cifre, stime, percentuali, valutazioni quantificabili o ispezioni ripetibili e documentabili, che costituiscono la base del monitoraggio. A supporto di questi, appositi questionari o approcci qualitativi, cercheranno di inserire nell’analisi anche elementi non facilmente misurabili, ma ugualmente importanti. Questo quadro informativo sarà utile per interpretare l’andamento di un fenomeno, evidenziare le situazioni critiche, identificare i fattori chiave su cui intervenire e governare l’evoluzione alla luce delle risposte ottenute. E’ auspicabile quindi individuare tre tipologie d’indicatori: di output che misurano ciò che le attività di questo progetto producono; di risultato che misurano gli effetti immediati sui beneficiari scelti; di impatto che misurano i contributi a lungo termine rispetto all’obiettivo generale. Il monitoraggio e il controllo, sono gli strumenti essenziali per verificare e quantificare, tramite gli indicatori, lo stato di attuazione delle azioni integrate. Avviando un’attività di verifica e confronto aperta a un arco tem-

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porale dal pre al post intervento si potranno elaborare nuove soluzioni, obiettivi e azioni per la sostenibilità e qualità dell’opera. Processo attuativo e metodologia per la valutazione dei risultati e degli obiettivi raggiunti Costruita la batteria di indicatori, le milestone e gli obiettivi va avviato il processo di verifica. Si definiscono così i fattori temporali che influenzano le attività di monitoraggio e l’articolazione della distribuzione dei diversi fattori e punteggi. In base alla lettura e all’interpretazione dei valori risultanti sarà possibile adeguare, correggere o modificare le previsioni preliminari. Per rendere il sistema di valutazione una fase attiva, creativa e progettuale, il processo dinamico, sarà organizzato in tre fasi: ex-ante, in-itinere, ex-post. La valutazione ex-ante si attuerà mediante la progettazione e individuazione delle risorse inclusa un’analisi costi-benefici. La valutazione In-itinere seguirà la realizzazione delle azioni previste dal progetto, registrando lo sviluppo del processo programmatorio attraverso: la rilevazione di indicatori e di informazioni utili a cogliere gli scostamenti tra attività previste ed i risultati attesi; lo sviluppo armonico del territorio; le attività realizzate ed i risultati conseguiti; i fattori intervenuti nel determinare tali risultati; gli elementi di successo e quelli di difficoltà. L’obiettivo di tale valutazione è di apportare a questo progetto le integrazioni e correzioni, anche finanziarie, ritenute opportune in base ai risultati emersi. La valutazione ex-post, da realizzarsi al termine del progetto, si esprimerà sull’efficacia delle azioni previste rispetto agli obiettivi delineati, sull’impatto e sui cambiamenti introdotti dalle stesse e sulla loro efficienza. I risultati di queste valutazioni saranno restituiti e discussi con amministratori, tecnici, membri dei tavoli tematici e azioni di coinvolgimento per le intere comunità interessate. Inoltre, il processo di valutazione dovrà tener conto sia degli approcci più strettamente misurabili (aspetto finanziario, risultati, valore) che di quelli formativi (sviluppo di competenze specifiche, miglioramento delle performance). Focalizzandosi sul processo attuativo del progetto, questo si configura come un insieme di azioni interconnesse finalizzate al raggiungimento di obiettivi temporalmente distribuiti. Nel dettaglio il processo attuativo, valutativo e di monitoraggio sarà così costituito:

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Obiettivo 1: conoscere le risorse territoriali e i soggetti da coinvolgere – Fase analitica preliminare Macro Azioni 1: Studio delle componenti che costituiscono gli elementi di successo del progetto, al fine di individuare le motivazioni che ne hanno fatto un “progetto bandiera” per lo sviluppo del territorio. Analisi e ricerca bibliografica, iconografica, cartografica e sul campo finalizzata alla restituzione del quadro conoscitivo di base. Fra le azioni auspicate vi sono l’individuazione e il censimento dei beni e del percorso; l’implementazione di un WebGIS conoscitivo; la ricerca dei soggetti legati alla proprietà dei suoli; la ricerca degli attori locali pubblici e privati; il coinvolgimento attivo; la firma dell’Accordo di Programma. Indicatori e attività da svolgere per il monitoraggio: • verifica quantità lineare di percorso rintracciata rispetto alla totalità storicamente conosciuta • verifica numero dei contatti web e dei supporti e soggetti attivamente coinvolti nella ricerca • verifica numero e tipologia dei soggetti rintracciati e attivamente coinvolti nella firma dell’Accordo Obiettivo 2: fornire le basi tecniche progettuali per realizzare un progetto integrato e sostenibile – Fase progettuale preliminare, definitiva ed esecutiva Macro Azioni 2: Attività di progettazione preliminare per l’individuazione delle scelte progettuali economicamente più convenienti, qualitativamente più performanti, maggiormente fruibili e con i minori impatti possibili e successiva progettazione definitiva ed esecutiva. Questa fase comprende azioni finalizzate alla progettazione preliminare quale il coinvolgimento e la creazione di un’officina di progettazione; lo studio e il recepimento delle normative; le analisi di casi studio e il benchmarking; l’analisi e il censimento delle risorse territoriali e dei soggetti coinvolti; la verifica della disponibilità degli attori locali e delle risorse economico-finanziarie; lo studio delle modalità di comunicazione, promozione e marketing territoriale. Seguente programmazione del sistema gestionale e redazione dei calcoli finalizzati all’attuazione del progetto; ricerca delle fonti di finanziamento e predisposizione progetti esecutivi. Avviene così la definizione della greenway con azioni finalizzate al suo finanziamento e alla sua realizzazione Indicatori e attività da svolgere per il monitoraggio: • verifica numero e tipologia dei soggetti coinvolti nella fase di progettazione tecnica, comunicativa, amministrativa, socio-economica • verifica numero e tipologia delle risorse censite e degli attori locali • individuazione canali di finanziamento e verifica positiva dei business plan • individuazione modalità promozionali e comunicative efficaci e supportate da analisi di settore • verifica della fattibilità dell’opera, della sua sostenibilità e del rispetto di requisiti normativi e qualitativi • confronto e valutazione con le analisi preliminari Obiettivo 3: attuare e realizzare l’opera – Fase attuativa Macro Azioni 3: Attività connesse all’attuazione pratica del progetto e la sua realizzazione operativa diretta. Sono qui comprese le azioni maggiormente operative come gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei tratti; manutenzione straordinaria e adeguamento a confort e

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sicurezza per viadotti, sottopassi e gallerie; la realizzazione e messa in opera dei substrati, del manto percorribile e dei dispositivi di sicurezza; manutenzione ordinaria per le strade di collegamento e gli itinerari; adeguamento segnaletica e cartellonistica; interventi di manutenzione ordinaria e / o straordinaria per il recupero dei fabbricati connessi; coinvolgimento delle FS per la riattivazione della Stazione di Lercara; coinvolgimento dei soggetti della logistica. Indicatori e attività da svolgere per il monitoraggio: • verifica del rispetto degli accordi intrapresi fra i soggetti • verifica quantità del percorso realizzato, opere di manutenzione svolte e messa in opera di nuovi supporti • verifica e monitoraggio delle azioni rispetto alle scelte progettuali, i canali di finanziamento e il business plan • verifica e monitoraggio delle attività di recupero e manutenzione svolte in rapporto con lo stato di conservazione e la seguente fruizione Obiettivo 4: avviare l’opera e la sua fruizione al pubblico verso un progetto sostenibile – Fase finale e valutativa Macro Azioni 4: Apertura del servizio al pubblico e avvio della fase valutativa. Azioni finalizzate alla verifica della sostenibilità della greenway e della buona riuscita del progetto; all’ampliamento dell’offerta turistica su scala regionale, nazionale e internazionale. Una volta ultimati i lavori di realizzazione, il progetto potrà ospitare nuovi fruitori e avviare il processo generativo di sviluppo socio-economico. Azioni fondamentali saranno l’affidamento a soggetti del territorio dei fabbricati recuperati e avvio della società legata al servizio di ospitalità diffusa; avvio di azioni promozionali e marketing innovativo; inaugurazione e apertura al pubblico. Con l’avvio della greenway, la fase valutativa assumerà un ruolo fondamentale per la corretta gestione della risorsa e l’ampliamento dell’offerta prodotta. Azioni in tal senso saranno intraprese nel coinvolgimento di soggetti gestori di altre greenway; l’allargamento degli attori coinvolti nell’Accordo di Programma; creazione di uffici per il supporto relazionale (customer relationship) e statistico; l’avvio di apposito supporto tecnico per la valutazione dei risultati economici e sociali Indicatori e attività da svolgere per il monitoraggio: • verifica numero e tipologia contatti web e social e visualizzazioni attività di promozione e benchmarking • verifica numero e tipologia soggetti affidatari delle opere • verifica numero e tipologia dei visitatori; durata del soggiorno; spesa media giornaliera • verifica numero e tipologia degli eventi avviati, dei processi comunicativi, dei rapporti istituzionali • verifica numerica e qualitativa dei visitatori delle attrazioni integrate (musei, luoghi di interesse, ecc.) • verifica di indicatori di carattere ambientale e sanitario (livelli inquinanti, gas scarico, qualità dell’aria e delle acque, assetto del territorio, ecc.) • verifica numero e tipologia dei nuovi soggetti coinvolti nella gestione e nelle attività di cooperazione • verifica dei bilanci e delle statistiche socio-economiche di benessere e di imprenditorialità

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Il processo così avviato e condotto, coordinato in concertazione con i soggetti coinvolti nella gestione dell’opera, favorirà la sostenibilità economica e ambientale dell’intero progetto, come veicolo per lo sviluppo di tutto il territorio interessato. Attività di promozione e diffusione degli indicatori e dell’organismo valutativo, favoriranno la partecipazione pubblica multilivello arricchendo le dinamiche del monitoraggio di una componente di governance fondamentale per la trasparenza e la corretta gestione dell’opera, trasformandola così in un volano di sviluppo condiviso e tangibile per l’intero tessuto socio-economico del comprensorio. Stima delle ricadute socio-economiche e fattori di resilienza e riproducibilità La stima delle ricadute economiche generate dalla costruzione del percorso verde sul territorio e sulle economie delle aree attraversate è un problema difficile da risolvere. Come precedentemente visto, buona parte dei benefici sarà infatti intangibili intervenendo sul miglioramento delle componenti territoriali e sulla qualità della vita dei residenti e dei visitatori. È però possibile ipotizzare delle stime sulle ricadute economiche derivanti dal nuovo elemento attrattore. Benefici possono essere introdotti a partire dalle spese dirette dei fruitori del percorso (turisti italiani e stranieri, popolazione locale); spese indirette generate dagli utenti (acquisto prodotti, logistica, ecc.); altri benefici legati ai vantaggi socio-economici (aumento dei valori fondiari, nuove opportunità di lavoro, incremento introiti da tassazione, ecc.). La parte economicamente più rilevante dei benefici prodotti, saranno le spese dirette e indirette sostenute dagli utenti. Abbiamo visto come l’offerta turistica attuale possa giovare della presenza di una greenway come elemento attrattore e linea di congiunzione moltiplicatrice del valore territoriale. I fruitori saranno quindi spinti ad alimentare un’economia di tipo turistico, ricettivo e ricreativo coinvolgendo un indotto allargato a diversi settori. Nel caso di turismo giornaliero, si ipotizza una spesa di 15-20 eur/giorno, mentre nel caso di visita continuativa, la spesa aumenta a 50-60 eur/giorno. Vengono infatti considerate spese per il ristoro e il trasporto, mentre un soggiorno più lungo deve necessariamente includere un pernottamento nei luoghi. A questi si aggiungono introiti non direttamente connessi al percorso legati a visite nei musei e luoghi di attrazione, acquisti di prodotti tipici, noleggio mezzi di trasporto e attrezzature, ecc. La spesa è sicuramente maggiorata in caso di utenza

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straniera, mentre va considerata una quota di fruitori afferenti alle popolazioni locali. I residenti potranno infatti utilizzare la greenway come linea di collegamento interno, con una spesa media ampiamente ridotta (2-5 eur/giorno). Considerando le condizioni climatiche dell’area e quindi una fruizione estesa a numerosi giorni dell’anno, rapportata a contesti simili, si può ipotizzare un numero di 3000 fruitori medi a settimana distribuiti fra locali, turisti italiani e stranieri. La loro distribuzione potrà essere variabile e crescente nel tempo, con una quota locale in lieve crescita e una percentuale sempre maggiore per visitatori nazionali e stranieri. Con un bacino d’utenza ipotizzato in 156.000 fruitori l’anno, fra differenti tipologie e modalità di soggiorno, è possibile stimare una spesa totale ci circa 4 milioni di eur/anno distribuiti su un vasto comparto. A fronte delle spese di realizzazione e di gestione annuali, considerando la precedente stima con un fattore di crescita annuo, è possibile ipotizzare un investimento recuperabile già a tre anni dalla messa in esercizio. Si tratta naturalmente di valori ottimistici, non concretizzabili nell’immediato, che devono essere preceduti dalla promozione e diffusione del prodotto greenway Sicani e di un brand turistico sostenibile e innovativo.

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Ai vantaggi di tipo economico, corrisponderanno sicuramente quelli sociali. Se infatti l’investimento potrà attirare nuovi capitali o semplicemente riattivare imprenditorialità locale, corrisponderanno vantaggi diretti e indiretti diffusi alla popolazione. L’incremento dei valori fondiari e dei posti di lavoro con conseguente aumento di introiti da tassazioni, potranno fornire nuovi stimoli per la fornitura di servizi collettivi. Il tutto unito a un amento della qualità della vita, spingeranno alla riduzione della perdita di capitale umano e quindi nuovo impulso demografico e quindi produttivo. Il territorio, capace così di reagire a un periodo di intensa crisi reinventandosi a partire dalle sue risorse, mostrerà a pieno caratteristiche di creatività e resilienza. Trasformando quella che era una semplice “cicatrice storica” nel paesaggio, in una nuova risorsa per l’offerta turistica, l’area muta la propria vocazione e affronta un periodo di incertezza e depressione con una nuova metodologia di sviluppo. Dalla staticità e dall’immobilità, l’Area Interna, offre un differente approccio per combattere la perdita di popolazione, di valorizzazione territoriale e di attrattività. Il tutto può quindi diventare una differente modalità di azione per territori dalle caratteristiche simili. La riproducibilità del progetto rappresenta infatti un ulteriore elemento di successo; unito alla possibilità di relazioni a scala regionale, la greenway dei Sicani può diventare un progetto start-up, avviatore di una nuova progettualità estendibile a contesti simili, che possono giovare di una visione di insieme e di sistema fondata sulle risorse locali, l’integrazione e lo sviluppo sostenibile. *Il presente saggio, è prodotto dalla collaborazione di Andrea Carubia, Francesco Gravanti, Emanuele Messina, Maria Teresa Pollara e Pietro Sardina. In particolare, Francesco Gravanti ha curato il primo paragrafo, Maria Teresa Pollara il secondo, Emanuele Messina il terzo, Andrea Carubia il quarto e Pietro Sardina il quinto. Tutte le elaborazioni grafiche sono a cura degli autori. 1 I Cicli si suddividono in Green, Blue, Grey, Brown e Red. Ognuno di questi domini rappresenta determinate caratteristiche. Il GREEN, raggruppa al suo interno le aree ambientali e naturali. Questi non sono altro che gli spazi aperti del territorio che possiamo considerare come veri e propri elementi del sistema naturalistico e che possiedono una grande importanza per la qualità dell’aria, del suolo, della qualità della vita. Il dominio BLUE, riguarda i fiumi e i laghi. Questo dominio raggruppa tutti gli elementi del sistema idrografico. Associati a questi elementi vi sono le dinamiche che dipendono dall’interazione dei processi ambientali in relazione ai sistemi ecologici presenti. A queste si aggiungono le dinamiche indotte dalle realtà sociali e dalle attività economiche che insistono nelle zone agricole. Il dominio GREY, rappresenta il ciclo della rete della mobilità, pertanto ne fanno parte i tracciati stradali e ferroviari come elementi lineari del sistema ma anche puntuali quali i nodi di accesso, i nodi di interscambio, le stazioni, etc. Il BROWN, riguarda le attività produttive legate all’agricoltura. Nel dettaglio fanno parte di tale dominio sia gli

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areali delle tipologie di colture che caratterizzano il paesaggio, che gli elementi puntuali indicati come architetture produttive. Il RED, è costituito da tutto ciò che è edificato come i centri urbani, i siti di interesse archeologico, gli elementi puntuali architettonici religiosi, ovvero le cappelle, le chiese, i conventi e i santuari, ecc. 2 La rappresentazione RHOL, acronimo delle parole, Roles (Ruoli), Hierarchies (Gerarchie), Opportunites (Opportunità), Liaisons (Relazioni) nasce con lo scopo di comprendere meglio le componenti ESOGENE (ruoli e gerarchie) ed ENDOGENE (pesi e relazioni) individuando nel frattempo le aree sul quale agire con azioni materiali o dirette (pesi e ruoli) ed immateriali o indirette (gerarchie e relazioni). L’interpretazione dei Ruoli definisce i diversi usi delle componenti in relazione alla funzione prevalente che vi viene esercitata.

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LE STAZIONI DEL GUSTO: COESIONE TERRITORIALE E OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO Salvatore Cimino Giorgio Cuccia*

Segni di un ciclo economico chiuso da impiegare come origine di un nuovo ciclo Tra la fine dell’800 e metà del secolo scorso, la principale attività economica dell’area in esame si basava sulla diffusa presenza di zolfare. Per il trasporto dello zolfo e per lo spostamento dei minatori dai luoghi di abitazione ai siti delle cave, tra il 1912 e il 1924, fu costruita la linea ferrata a scartamento ridotto Lercara-Filaga-Magazzolo e la diramazione Filaga-Palazzo Adriano. Il tracciato ferroviario fu poi dismesso negli anni ’60, contestualmente alla cessazione dell’attività mineraria. Il progetto proposto mira a riattivare una rete percepibile sul territorio e ancora viva nella memoria dei suoi abitanti, per un passato relativamente recente. Attraverso questa rete, infatti, s’intende avviare un nuovo ciclo economico, ove si auspica possano aggregarsi gli sforzi delle singole comunità considerate e le tante produzioni di qualità presenti in loco. In tale contesto si vogliono promuovere Le Stazioni del Gusto, ovvero una rete di località, in cui quanto prodotto - secondo direttive concordate - sarà reso riconoscibile mediante un brand comune. Inoltre, a sostegno della rete proposta, ove sarà possibile recuperare i fabbricati delle stazioni di-

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smesse (alcuni manufatti sono stati acquisiti da privati o da Pubbliche Amministrazioni o, ancora, sono andati totalmente o parzialmente distrutti), s’intende allocare servizi vari, come punti di ristorazione, vendita, distribuzione, ecc., da connettere tra loro mediante un percorso di mobilità dolce, che impiegherà buona parte dell’ex tracciato della ferrovia. Vale la pena sottolineare che, se la greenway rappresenta l’elemento che ri-connette fisicamente il comprensorio considerato, le stazioni recuperate – seppur con differente impiego – rivestiranno nuovamente quel ruolo di porte di accesso alle diverse parti del territorio che avevano al tempo della loro funzione originaria. Peraltro – preservandoli mediante l’uso – il recupero delle stazioni consentirà di restituire alla collettività manufatti architettonici di particolare interesse per la storia socio-economica della stessa comunità. Prescrizioni comunitarie e coesione territoriale Un noto documento redatto da Fabrizio Barca (2012) riporta che «Il bilancio europeo 2014-2020 (…) assegnerà all’Italia finanziamenti cospicui per la coesione economica, sociale e territoriale in tutte le aree del Paese. Queste risorse e le risorse di cofinanziamento nazionale, e, in generale, le risorse per lo "sviluppo e coesione" che vi si aggiungeranno, dovranno essere utilizzate in modo più tempestivo ed efficace…».

Foto d'epoca della stazione di Bivona

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Mantenendo fede ai suddetti propositi, che sono rimasti invariati anche dopo l’approvazione del corrente bilancio comunitario (2014-2020), ne consegue che in un’azione di sviluppo locale va attribuito ampio peso alla coesione economica, sociale e territoriale e, di fatto, proprio in tal senso si muove quanto proposto, ipotizzando il recupero di un’aggregazione territoriale che – in un passato relativamente recente – esisteva proprio in virtù di un’economia condivisa, legata allo sfruttamento delle risorse minerarie. A tal proposito, si può fare riferimento a chi ha già attuato scelte affini con successo, come nel caso della Società Parchi Val di Cornia, ove – al termine di un ciclo economico, basato anch’esso sull’attività estrattiva – è prevalsa la volontà di mantenere in essere un’aggregazione territoriale che si era protratta per secoli. Ciò ha permesso di sviluppare nuove strategie economiche e di sfruttare congiuntamente altre risorse, come l’insieme di parchi (naturalistici e archeologici) che si trova nelle province di Grosseto e Livorno, nonché di aprire un nuovo ciclo economico sostenibile, incentrato sulla fruizione e sulla valorizzazione del sito stesso, a cui tutt’oggi partecipano, di concerto e con profitto, gran parte dei territori comunali interessati. Zolfare e tracciato ferroviario Alla fine del sec. XIX, in Sicilia erano presenti circa 700 miniere di zolfo, ove erano impiegati pressappoco 40.000 lavoratori e il materiale estratto costituiva più del 90% della produzione nazionale. Al tempo, lo zolfo, destinato principalmente ai mercati esteri, rappresentava la maggiore risorsa economica dell'entroterra isolano. Nel 1912, all’interno di una sorta di piano di mobilità regionale che, già a livello nazionale, prevedeva il finanziamento congiunto ad opera di enti locali e società private (Legge Baccarini, 1879), inizia la costruzione della linea ferrata a scartamento ridotto Lercara-Filaga-Magazzolo, finalizzata al trasporto dei minerali estratti dalle tante zolfare presenti soprattutto nei territori dei comuni di Lercara Friddi e Cianciana, nonché allo spostamento dei minatori dai luoghi di abitazione ai siti delle cave. Dopo aver congiunto Lercara Bassa, Lercara Alta e Filaga (stazione nel territorio comunale di Prizzi), i lavori furono interrotti durante la Grande Guerra e furono ripresi con la costruzione della diramazione Filaga -Palazzo Adriano. Nel 1921 furono inaugurati il tratto che da Filaga conduceva a Contuberna (fermata nel territorio di Santo Stefano Quisquina) e il tratto che da Cianciana giungeva a Magazzolo (stazione di fine linea, sita nel territorio

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comunale di Calamonaci). Le opere per la costruzione della linea terminarono soltanto nel 1924 e, una volta conclusi, sulla tratta, che misurava circa 67 km, erano presenti otto stazioni con fabbricato viaggiatori (FV) e altri fabbricati a servizio dell’esercizio, cinque fermate e 36 caselli per il continuo controllo dei binari, al tempo costantemente soggetti a manomissioni. Alla fine degli anni '50, la chiusura di parecchie cave - non più competitive sul mercato per l’arcaico metodo di estrazione impiegato che, di fatto, non consentiva di reggere il passo della produzione americana e del processo Frasch (tecnica sviluppata alla fine del sec. XIX e che facilitava l’estrazione di zolfo attraverso l’immissione di vapore acqueo, non utilizzabile nei giacimenti siciliani) - determinò anche la cessazione del servizio ferroviario che venne soppresso il 1 ottobre 1959. Tuttavia fino al 1961 rimase attivo il tratto da Cianciana a Magazzolo, per consentire agli agricoltori, in assenza di altre infrastrutture viarie, di raggiungere i campi da coltivare. A seguire, la sede della ferrovia di quest’ultimo tratto fu impiegata per realizzare la Strada Provinciale 32, che oggi collega Ribera con Cianciana e con la SS 118 (Corleone-Agrigento).

Il tracciato ferroviario e le zolfare (*)

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Analisi del comprensorio Il territorio attraversato dalla dismessa ferrovia a scartamento ridotto Lercara-Filaga-Magazzolo è caratterizzato da una forte presenza naturale, intendendo con ciò un territorio rurale intervallato da pizzi e valli che racchiudono al loro interno diverse Riserve Naturali, Parchi, SIC e ZPS. Il tracciato ferroviario in esame, lungo il suo percorso, che corre a cavallo tra le ex province di Palermo e Agrigento, attraversa differenti tipologie di territorio che in qualche modo trovano come spartiacque il comune di Bivona. La porzione nord di tale contesto naturale, infatti, ha un andamento in prevalenza montuoso, mentre man mano che si percorre il tracciato, e una volta superato Bivona, trova sempre più spazio un territorio prevalentemente collinare. Di seguito verranno descritte le peculiarità dei territori attraversati dal tracciato, analizzandoli rispetto al comune di riferimento e comprendendo: dati sulla popolazione e sull’estensione territoriale dei comuni, viabilità e accessi, emergenze paesaggistiche e patrimonio culturale. Per un’agevole descrizione di una così vasta area (862,35 km2, con una popolazione di 53.188 abitanti e una densità di 61,68 ab/km2) si procederà comune per comune, seguendo lo stesso tragitto percorso dall’ex ferrovia.

Zona A ( ) e Zona B ( ) delle Riserve Naturali, aree SIC ( ) e ZPS ( )

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Sezione altimetrica del tracciato ed emergenze

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Territori comunali attraversati dal tracciato La prima porta d’accesso per coloro che, attraversando la Strada Statale 121, giungono dall’area palermitana e dalla parte nord della Sicilia in generale è il comune di Lercara Friddi (superficie di 3.727 ettari e una popolazione pari a 6.901 unità, per una densità di 185,2 abitanti/km2). La posizione strategica del centro abitato, che dista 72 km da Palermo e 89 km da Agrigento, è rafforzata anche dalla presenza dell’unica stazione ferroviaria ancora oggi in uso nel comprensorio. Ciò consentirebbe, attraverso un ripristino della fermata nello scalo di Lercara Bassa, un ulteriore accesso attraverso mezzi ferrati. Caratteristica di tale contesto territoriale è la presenza di numerose ex zolfare, fatto sottolineato dall’istituzione, nel 1993 dalla Regione Siciliana con apposito decreto, del Museo e Parco Archeologico Industriale della Zolfara di Lercara Friddi. Altre emergenze culturali di Lercara sono il Museo Civico, con l’archivio storico, la sezione archeologica e la sezione dedicata ai Pupi, e diverse architetture religiose, tra le quali si ricordano la Chiesa Madre del Settecento, la Chiesa di S. Giuseppe con l’attiguo Collegio di Maria (sec. XVIII), la Chiesa di S. Matteo (sec. XVIII) e la Chiesa di S. Antonio (sec. XVIII).

Viabilità su gomma ( ) e su rotaia ( )

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Il centro abitato, che si trova ad un'altezza media di circa 670 metri s.l.m.,è situato in prossimità delle falde di Colle Madore, tra il vallone del Landro e la vallata del Fiumetorto e del fiume Platani, inoltre è poco distante dalla Riserva Naturale Orientata del Monte Carcaci, situata nel territorio di Castronovo di Sicilia. Le origini del nucleo di Lercara risalgono presumibilmente agli elimi, mentre il centro attuale è stato fondato nell'ambito delle nuove città istituite dall'amministrazione spagnola, per ripopolare i feudi che al tempo erano abbandonati, con Licentia Populandi del 22 settembre 1595 concessa a Baldassare Gomez de Amesqua. Durante il sec. XVII il borgo fu di proprietà della famiglia Scammaca e a seguire entrò in possesso dei Gravina. Percorrendo la Strada Statale 188 si giunge nel territorio comunale di Castonovo di Sicilia (superficie di 19.991 ettari e una popolazione pari a 3.159 unità, per una densità di 15,8 abitanti/km2). Il piccolo borgo, situato ai piedi dell'altopiano del Kassar, ad un'altezza media di circa 710 metri s.l.m., è caratterizzato dalla presenza di emergenze paesaggistiche di rilievo, come la valle del fiume Platani, la Riserva Naturale Orientata del Monte Carcaci, le masserie Carcaci e Carcaciotto e la poco distante Riserva Naturale Orientata del Monte Cammarata, nel territorio di Cammarata. Numerosi sono i ritrovamenti che testimoniano le origini arcaiche del sito. Questo, in virtù della sua posizione, fu ellenizzato per la sua importanza strategica e distrutto probabilmente nel periodo romano. In epoca bizan-

Castronovo di Sicilia: l'altopiano di Kassar

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tina gli abitanti si trasferirono sulla vicina rupe di S. Vitale, sito che, alla metà del sec. XIV, abbandonarono a causa della costruzione della nuova Chiesa Madre (1404), tornando a valle. I monumenti d’interesse si trovano in prossimità o all’interno del centro abitato di Castronovo di Sicilia e sono la Chiesa Madre della SS. Trinità (eretta nel 1404 e riedificata nel sec. XVIII), la Chiesa della Madonna del Rosario (1666) e i resti del Castello di epoca normanna. Tra le architetture civili si evidenzia Palazzo Giandalia, di cui il nucleo originario è del sec. XIII., che ospita permanentemente reperti di età classica e tardo antica ritrovati nel territorio comunale. Nel 2013, nello stesso palazzo, è stata allestita una sezione temporanea dedicata ai Formaggi Tipici Siciliani. Inoltre, a Castronovo è presente il Museo Parrocchiale della Chiesa Madre SS. Trinità, fondato negli anni ’80. Proseguendo sulla SS 188 fino al bivio che interseca la SS 118, si arriva alla stazione di Filaga, nel territorio di Prizzi (superficie di 9,503 ettari e una popolazione pari a 4.993 unità, di cui 220 nella frazione di Filaga, per una densità complessiva di 52,5 abitanti/km2). Il centro abitato di Prizzi, che si trova ad un'altezza media di circa 970 metri s.l.m., tanto da essere uno dei comuni più alti della Sicilia, sorge in un’area montana, di fronte Montagna dei Cavalli, mentre Filaga, sita nei pressi dell’omonima stazione, è una frazione di Pizzi che si trova verso valle, poco distante dall’invaso artificiale del Lago Leone e dalla sopracitata Riserva Naturale del Monte Carcaci. Come si evince da quanto sopra descritto, Prizzi è una località insediata nell’entroterra isolano e pertanto non è collegata direttamente con la viabilità maggiore. È in ogni caso una località da attraversare per giungere, più a ovest, nei comuni di Palazzo Adriano, Bisacquino, Chiusa Sclafani, ecc. e la stazione di Filaga è il nodo ferroviario in cui la linea Lercara-FilagaMagazzolo dirama nella linea Filaga-Palazzo Adriano. L’origine dell’insediamento è incerto, ma viene collegato ai ritrovamenti in località Hyppana, su Montagna dei Cavalli, dove era presente una fortezza elima. Dal sec. XII Prizzi diviene borgo feudale e, come tale, viene donato al Monastero di S. Angelo dei Cistercensi. In seguito diviene possedimento della signoria dei Bonanno, fino all’abolizione dei diritti feudali (1812). Essendo Filaga una frazione di Prizzi, per lo più utilizzata per residenze di tipo stagionale, i monumenti d’interesse si trovano nel centro abitato di Prizzi e sono la Chiesa Madre (sec. XVI), la barocca Chiesa del Crocifisso (1706), la Chiesa di S. Francesco e i resti del Castello medioevale. Nel 1999

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è stato aperto il Museo Archeologico Hyppana e al suo interno è possibile visitare tre sezioni: Archeologica, Paleontologica e Minerologica. A Palazzo Adriano, a poca distanza da Prizzi, sono presenti tre sezioni museali all’interno del palazzo comunale: una sezione dedicata alla premiata pellicola Nuovo Cinema Paradiso, una sezione Geo-naturalistica del Permiano e una etno-antropologica. Continuando lungo la SS 118, in posizione baricentrica rispetto al territorio in esame, si attraversa il territorio di Santo Stefano Quisquina (superficie di 8,592 ettari e una popolazione pari a 4.838 unità, per una densità di 56,3 abitanti/km2), che funge da porta d’accesso per i comuni di Cammarata, San Giovanni Gemini, ecc. posti ad est rispetto al comprensorio attenzionato. La zona in cui sorge il centro abitato, ad un'altezza media di circa 730 metri s.l.m., è circondata da catene montuose tra le quali spiccano la Riserva Naturale Orientata del Monte Cammarata e Monte S. Calogero, con chiesetta dedicata all’omonimo Santo e meta di pellegrinaggio. Come patrimonio culturale sono di particolare interesse il Santuario dedicato a S. Rosalia (1760), la Chiesa Madre (sec. XVI), il Palazzo Baronale dei Ventimiglia (1745), la Fontana del sec. XVIII, sita a piazza Castello, e il Teatro Andromeda. È presente anche il Museo etno-antropologico, dedicato alla locale civiltà contadina. Dalla presenza di diversi toponimi si rileva che il sito di Santo Stefano Quisquina fu abitato in epoca araba. Durante il sec. XII, la città fu dominata

Il Santuario della Quisquina

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da Giovanni Caltagirone. In questo periodo, probabilmente, esisteva già il primo nucleo dell'attuale paese. Nel 1366 Nicola Caltagirone, figlio di Giovanni, è costretto a cedere per debiti i possedimenti di Santo Stefano a Ruggero Sinisi. Nel 1396 il feudo passa da re Martino a Guiscardo de Agijs, la cui famiglia lo cederà agli inizi del sec. XVI, come dote di matrimonio, ai Larcan. Nel sec. XVI la baronia passa alla nobile famiglia dei Ventimiglia. Superato Santo Stefano Quisquina, sempre lungo la SS 118, si arriva a Bivona (superficie di 8,860 ettari e una popolazione pari a 3.881 unità, per una densità di 43,8 abitanti/km2), ovvero in quella porzione di territorio in cui le aguzze montagne lasciano spazio alle più dolci colline. Il comune, che si trova ad un'altezza media di circa 500 metri s.l.m., infatti sorge sui monti Sicani, tra le pendici del Pizzo Naso e l’alta valle del fiume Magazzolo. All’interno del suo territorio comunale ricadono, sia la Riserva Naturale Orientata dei Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio, che il fiume Magazzolo con le sue valli caratterizzate dalla presenza dell’invaso artificiale della Diga Castello. Le prime notizie riguardanti la nascita del borgo si hanno in un documento di Guglielmo II del 1172; questo, nel tempo, è passato di mano in mano per diversi casati, tra cui i Campo, la famiglia De Aurea, che vi eresse un castello, la famiglia di Giovanni Chiaramonte, la famiglia De Luna e, infine, la famiglia Toledo. Tra le architetture degne di nota, che segnano questi passaggi di casati, sono presenti il Portale dei Chiaramonte (gotico, sec. XIV), il Palazzo Marchese Greco di età barocca, la Chiesa Madre (sec. XVII), il Convento dei Cappuccini e la Chiesa di S. Rosalia. Inoltre, fuori dal centro abitato di Bivona, percorrendo una strada secondaria che s’innesta alla SP 34, ritroviamo la Chiesa della Madonna dell’Olio, meta di pellegrinaggio. Proseguendo sempre sulla SS 118 si attraversa il territorio di Alessandria della Rocca (superficie di 6,193 ettari e una popolazione pari a 3.082 unità, per una densità di 49,8 abitanti/km2), contesto naturale ormai prevalentemente collinare in cui le oltrepassate montagne fanno soltanto da fondale paesaggistico. Il posizionamento del comune rispetto il territorio analizzato permette il collegamento tra il comprensorio in esame e i comuni più isolati posti a sud-est, come S. Biagio Platani e S. Angelo Muxaro. Per quanto concerne le proprie origini, per i primi insediamenti si fa riferimento alle necropoli sicane di Gruttiddri e Lurdicheddra, allocate all’interno del territorio di Alessandria della Rocca. Il comune fu fondato nel 1570 da Don Carlo Blasco Barresi e in principio ebbe il nome di Alessandria

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della Pietra, in onore del feudatario possedente, Presti Alessandro, e del Castello della Pietra d'Amico; nome che conservò sino al 1713, quando, con l'istituzione dei Municipi, prese il nome di Alessandria di Sicilia e, in seguito, con Decreto Reggio del 7 novembre 1862, per onorare la Vergine SS. della Rocca, divenne l’attuale Alessandria della Rocca. Come architetture d’interesse si segnalano la Chiesa del Carmine (1589), la Chiesa di S. Francesco (1610), l’ottocentesco Santuario della Madonna della Rocca e i ruderi della Petra, ovvero i resti del castello eretto dal D’Amico tra i secc. VIII e IX. Lasciata Alessandria della Rocca si giunge a Cianciana (superficie di 9,320 ettari e una popolazione pari a 3.515 unità, per una densità di 37,7 ab./km2), importante nodo d’accesso al comprensorio. È infatti, la prima porta per coloro che, attraversando la SS 118, giungono da Agrigento e dalla parte sud-ovest della Sicilia (Cianciana dista 49 chilometri da Agrigento e 123 chilometri da Palermo). Il comune sorge in una zona collinare interna, ad un'altezza media di circa 390 metri s.l.m., in cui, ad eccezione dell’alternarsi di colline segnate dal percorso del fiume Platani, non si segnalano particolarità paesaggistiche. Destano interesse, invece, alcune architetture religiose, quali la Chiesa Madre dedicata alla SS. Trinità (sec. XVII), la Chiesa del Purgatorio (sec. XVI) e il Convento dei Riformati (sec. XVI), e architetture civili come Palazzo Ioppolo, Palazzo Cinquemani, Palazzo del Barone Micheli e la Torre dell’Orologio. Inoltre, vicino Piazza del Convento, all'interno di un antico edificio un tempo adibito a mulino ad acqua, è presente il Museo etno-antropologico. Le origini e il nome di Cianciana risalgono ad un latifondo romano, il cui proprietario era tale Ciancius. Il borgo venne fondato nel 1640 con licentia populandi da feudatario Antonio Ioppolo. Intorno al sec. XVIII si insediarono nella cittadina i principi Bonanno, che vi restarono fino al 1812, ossia l’anno dell’abolizione dei diritti feudali. Lasciata la SS 118 e immessi sulla Strada Provinciale 32 si percorre l’ultimo tratto dell’ex tracciato ferroviario in esame che termina con la Stazione di Magazzolo. Quest’ultima è ubicata sul margine del territorio di Calamonaci, a confine con il territorio di Ribera. Per via di tale posizione si descrivono entrambi i comuni. Il primo più per questioni puramente territoriali, in quanto Calamonaci (superficie di 3,257 ettari e una popolazione pari a 1.363 unità, per una densità di 41,8 abitanti/km2), che dista circa quattro km dalla stazione in esame, non presenta né particolarità paesaggistiche, né architetture d’interesse; si segnalano la Chiesa Madre dedicata a S. Vin-

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cenzo Ferreri (1580), il Convento dei Carmelitani (1600) e il Museo etno-antropologico. Si ricorda, inoltre, che il primo centro abitato fu fondato dagli arabi nel sec. XIII, i quali vi costruirono un casale. L’istituzione del borgo, nonché l’attuale disposizione urbana, si deve ad Antonio De Termini che, nel 1574, ottenne per il sito la licentia populandi. Nei secoli successivi, fino all’abolizione dei diritti feudali, il borgo appartenne prima ai de Spuches e poi ai Montaperto di Raffadali. Ribera (superficie di 11,867 ettari e una popolazione pari a 19.256 unità, per una densità di 162,3 abitanti/km2), al contrario, è nodo nevralgico per quanto concerne l’accesso al territorio in esame. Permette, infatti, di ricollegarsi al flusso turistico estivo legato alla balneazione di cui gode sia il comune stesso che altre località limitrofe, come Sciacca e Agrigento, mete conosciute anche per altri forti attrattori turistici. (Tra questi, anzitutto l’area archeologica di Agrigento e le terme di Sciacca). Il comune, che sorge in una zona collinare ad un'altezza media di circa 220 metri s.l.m., fu fondato nel 1627 da Luigi Moncada di Paternò che, dando il nome al sito, omaggiò la moglie Maria Afan de Ribera. Nel sec. XVIII il feudo passò alla famiglia Toledo. Di tale periodo storico rimangono tracce nella Chiesa Madre (1600) e nel Castello di Poggio Diana (sec. XIV).

I territori della pesca bivonese IGP ( ) e dell'arancia di Ribera DOP ( )

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Opportunità di sviluppo locale: ricettività e prodotti tipici Gran parte dei territori che sono attraversati dall’ex ferrovia e sono oggetto di questo studio, rientrano nelle aree rurali con problemi di sviluppo o, al più, come nel caso di Lercara Friddi, nelle aree rurali intermedie (Classificazione stilata nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013). L’economia di queste zone si basa soprattutto sul settore primario (agricoltura e zootecnia) e, in genere, è caratterizzata dalla maggiore presenza di piccole aziende, con destinazione della superficie agricola a seminativo, prati, pascoli e coltivazioni legnose tipiche della regione (vite, olivo, alberi da frutto e agrumi). Altre caratteristiche, da ritenersi sfavorevoli dal punto di vista produttivo, sono la quasi totale assenza di associazione e cooperazione tra le aziende e lo scarso collegamento di queste attività con il settore secondario (agroindustria). A tal proposito, secondo quanto sottolinea Vincenzo Provenzano (2009), è realisticamente più semplice generare meccanismi di sviluppo locale se «si riesce a valorizzare sui mercati le specificità locali, non solo sotto forma di produzioni tipiche di nicchia, ma anche mediante l’attività di trasformazione». Entrando nello specifico, l’agricoltura è prevalentemente condotta da aziende su base familiare, con l’impiego di tecniche e mezzi tradizionali. Vista l’ampia estensione del territorio in oggetto e la presenza di varie produzioni tipiche e di eccellente qualità, si tratta di un settore da valorizzare, poiché, in virtù delle sue potenzialità, può essere occasione di sviluppo locale. Il sistema zootecnico del comprensorio dei Monti Sicani è concentrato prevalentemente nei territori comunali di Castronovo di Sicilia, Cammarata, Palazzo Adriano, Prizzi, S. Giovanni Gemini e Santo Stefano Quisquina, che sono tutti attraversati dall’ex ferrovia o a poca distanza dalla stessa. Nel 2009 si registravano 903 aziende con allevamenti di bovini, in cui erano presenti circa 23.000 capi, per lo più di razza bruna, frisana e modicana. Tali allevamenti, tutt’oggi mantenuti allo stato brado o semibrado, sono orientati soprattutto alla produzione di latte, formaggio (ricotta, fiore sicano, pecorino siciliano, tuma persa, provola, caciocavallo, ecc.) e carne. I territori comunali che rientrano nel comprensorio in esame sono generalmente considerati marginali rispetto ai centri urbani di maggiore dimensione, in quanto lontani dalle principali zone di produzione e di scambio. Tuttavia – come rileva Provenzano (2009) - la marginalità, sebbene normalmente sia intesa nella sua accezione negativa, può essere considerata,

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al contrario, come un fattore di opportunità e sviluppo. Infatti, le cosiddette economie marginali possono offrire, sempre secondo quanto rileva Provenzano, «maggiori possibilità di flessibilità e differenziazione attraverso una adeguata valorizzazione delle specificità locali e delle potenzialità inespresse e non adeguatamente utilizzate del territorio, come ad esempio l’agricoltura biologica e il patrimonio naturalistico-paesaggistico». Pertanto, secondo quanto fin qui rilevato, due potrebbero essere le opportunità di sviluppo locale: una legata alle produzioni e l’altra alla ricettività. La prima, tratta proprio dall’esigenza di supplire alle suddette distanze dai centri di produzione e di scambio, consisterebbe nel realizzare in loco una maggiore cooperazione tra i produttori e attivare un settore secondario, al momento quasi inesistente, che trasforma le materie prime reperite a chilometro zero. Quanto prodotto dovrebbe essere collocato principalmente sul mercato locale e, poi, il resto diretto verso i mercati esterni. In quest’ultimi, comunque, verrebbero immessi prodotti di qualità, viste le sopraccitate premesse, per i quali esiste una costante domanda (nonostante il generale calo dei consumi, negli ultimi anni si è registrato un sensibile incremento del consumo di prodotti di qualità). L’altro fattore chiave per lo sviluppo locale prende atto delle strutture ricettive presenti nell’area. Si percepisce subito che la quantità di posti letto è modesta e, nello specifico, sensibilmente inferiore al dato medio relativo alla provincia di Agrigento. Bisogna considerare che, nell’agrigentino, la maggior parte delle strutture è dislocata tra Sciacca (località balneare e termale) e Agrigento (nota innanzitutto per il Parco Archeologico e Paseaggistico, patrimonio dell'Umanità, ma anche per la sua costa e come città d’arte). Ciò pare imputabile all’assenza di un’adeguata promozione del territorio considerato e, di per se, alla scarsa offerta di strutture ricettive che, di fatto, risulta sottodimensionata già dinanzi ai suoi riconosciuti attrattori, ovvero le Riserve di Monte Cammarata, Monte Carcaci, Monte S. Calogero, Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio, nonché i diversi SIC e ZPS localizzati nell’area; peraltro l'insieme di tali emergenze recentemente è stato elevato al rango di Parco Naturale Regionale dei Monti Sicani. Tra questi attrattori, al momento, non si considera il patrimonio architettonico, perché i tanti elementi di valore presenti non sono allocati a breve distanza l’uno dall’altro, ma disseminati in un territorio comunque vasto. Inoltre, il numero considerevole di vani non occupati, presenti nei territori comunali attenzionati e giustificati dal calo demografico registrato ne-

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gli ultimi decenni, in parte si presterebbe alla realizzazione di B&B, Case Vacanze o, ancora, dei cosiddetti Paesi Alberghi (la maggior presenza di vani non occupati si registra soprattutto all’interno dei centri abitati). Così facendo si opererebbe un incremento sostenibile dell’offerta ricettiva del comprensorio, impiegando quanto attualmente non è utilizzato ed evitando la costruzione di nuovi fabbricati da destinare a tale funzione. Gli scali ferroviari e le stazioni del gusto Fatta eccezione per i fabbricati costruiti nelle grandi città, in testa alle linee, per i quali venivano banditi concorsi pubblici e realizzate architetture rappresentative, l’edilizia ferroviaria minore, presente su tutto il territorio nazionale, rispondeva ad una voluta omologazione, per semplificare le questioni tecniche e per fini comunicativi. Infatti, da una parte, «alla necessità di unificare i tipi – come sottolinea Daniela Pirrone (2006) – concorse la pigra disciplina funzionariale della progettazione all’interno di uffici tecnici, nei quali si cercava di rendere più rapido il disbrigo delle pratiche di approvazione», dall’altra, la ripetitività dei manufatti architettonici garantiva l’effetto di una costante nel paesaggio. Cosicché – secondo quanto riporta Saporito (1980) – la progettazione diveniva funzionale ai fini della pubblicità e della presenza sul territorio delle imprese di gestione del trasporto. In definitiva, si può ritenere – secondo la stessa Pirrone – che già nell’Ottocento le ferrovie praticavano ciò che più tardi sarà definito corporate image. In generale, gli scali ferroviari sono luoghi di affluenza e smistamento di viaggiatori e/o merci, in cui avvengono operazioni di esercizio e servizi vari. Si distinguono essenzialmente in stazioni, fermate e assuntorie. Le prime hanno dimensioni commisurate al traffico di merci e/o viaggiatori atteso e vengono distinte in funzione della posizione rispetto alla rete ferroviaria e/o dell’impiego. Mentre le fermate sono strutture per lo più destinate al solo servizio viaggiatori e occupano posizioni intermedie rispetto alla stessa linea. Infine, le assuntorie sono stazioni o fermate che venivano affidate ad agenti esterni all’azienda e avevano un apposito stato giuridico. Gli scali ferroviari del tracciato Lercara - Magazzolo Durante l’indagine svolta, sono stati rilevati tutti gli elementi che, scalo per scalo, compongono ognuna delle otto stazioni (Lercara Alta, Lercara Bassa, Filaga, S. Stefano Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cian-

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ciana e Magazzolo) e delle cinque fermate (S. Luca, Depupo-Castronovo, Contuberna, Quattro Finaite, Balata) edificati al tempo a corredo della linea Lercara-Magazzolo. Ripercorrendo il tracciato della ferrovia da nord a sud-ovest, il primo scalo che s’incontra è quello di Lercara Bassa, che risulta ancora in uso per la tratta a scartamento ordinario che collega Rocca Palumba e Agrigento. La stazione è composta da: fabbricato viaggiatori a quattro campate (FV, sup. coperta mq 215, sup. int. utile mq 322 ca), magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.), rifornitore (R), cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.) e rimessa locomotive semplice (RL, sup. coperta mq 210, sup. int. utile mq 180 ca.). Percorrendo la Strada Statale 189, dopo pochi chilometri si giunge allo scalo di Lercara Alta, ove sono presenti il fabbricato viaggiatori a quattro campate (FV, sup. coperta mq 215, sup. int. utile mq 322 ca), il magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.), il rifornitore (R) e la rimessa locomotive (RL, sup. coperta mq 298, sup. int. utile mq 255 ca.). Lo scalo attualmente rientra in un presidio ASL, ma solo il magazzino e parte dell’area sono usati (è presente uno scalo per elicotteri). Percorrendo la Strada Statale 188, s’incontrano le fermate S. Luca e Depupo-Castronovo, le quali sono entrambe costituite da una casa cantoniera doppia (CCD, sup. coperta mq 76, sup. int. utile mq 108 ca.) e sono di proprietà della Società

La stazione di Bivona

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Rete Ferroviaria Italiana. Proseguendo sulla SS 188 fino al bivio che interseca la SS 118, si arriva alla stazione di Filaga, di cui fanno parte il fabbricato viaggiatori a quattro campate (FV, sup. coperta mq 215, sup. int. utile mq 322 ca), il magazzino merci adiacente al FV (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.), il magazzino merci isolato (sup. coperta mq 140, sup. int. utile mq 125 ca.), il rifornitore (R), il cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.), la rimessa locomotive composta (RL, sup. coperta mq 298, sup. int. utile mq 255 ca.) e, infine, il fabbricato alloggi (FA, sup. coperta mq 223, sup. int. utile mq 337 ca.). La quasi totalità dei corpi di fabbrica che compongono lo scalo sono stati ristrutturati ad inizio secolo e inizialmente sono stati assegnati ad un’azienda che non li ha impiegati, perdendone la gestione. Attualmente, in uno dei fabbricati si effettua la lavorazione dei funghi. Percorrendo la SS 118, superato il Lago Leone, s’incontra la fermata Contuberna che è di proprietà della Società Rete Ferroviaria Italiana ed è costituta da una casa cantoniera doppia (CCD, sup. coperta mq 76, sup. int. utile mq 108 ca.) con un magazzino posto a brevissima distanza (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.) e, sul lato opposto, è presente un cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.). Restando sulla SS 118, dopo aver superato il centro abitato, si giunge alla stazione S. Stefano Quisquina, in cui è ancora riconoscibile il fabbricato viaggiatori (FV), anche se è stato sopraelevato di un livello ed stato inglobato all’interno di una struttura ospedaliera. Sono visibili il rifornitore (R) e, nelle immediate vicinanze, una casa cantoniera doppia (CCD). Era presente anche un magazzino merci in adiacenza al fabbricato viaggiatori, che è stato demolito per fare posto alla nuova struttura. Dopo qualche chilometro, all’uscita della città delle pesche, s’incontra la stazione di Bivona, che attualmente ospita alcuni servizi comunali. Fanno ancora parte dello scalo il fabbricato viaggiatori a tre campate (FV, sup. coperta mq 168, sup. int. utile mq 255 ca.), il magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.) e il cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.). Al tempo era presente anche una piattaforma girevole che consentiva l’inversione di marcia della locomotiva. La stazione che segue è Alessandria della Rocca, in cui è presente il fabbricato viaggiatori a tre campate (FV, sup. coperta mq 168, sup. int. utile mq 255 ca), il magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.) e il cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.). Continuando a percorrere la SS 118, si arriva alla stazione di Cianciana, posta poco prima del centro

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abitato. Lo scalo, che è di proprietà della Società Rete Ferroviaria Italiana, è composto da fabbricato viaggiatori a tre campate (FV, sup. coperta mq 168, sup. int. utile mq 255 ca.), magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.), cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.) e rifornitore (R). Lasciata la SS 118 e imboccata la Provinciale 32, strada costruita su parte dell’ex tracciato ferroviario, s’incontrano le fermate Quattro Finaite e Balate, che sono di proprietà della Società Rete Ferroviaria Italiana e, in entrambi i casi, sono costituite da una casa cantoniera doppia (CCD, sup. coperta mq 76, sup. int. utile mq 108 ca.). Infine si giunge a Magazzolo, ultima stazione della tratta, di cui fanno parte il fabbricato viaggiatori a quattro campate (FV, sup. coperta mq 215, sup. int. utile mq 322 ca.), il magazzino merci (MM, sup. coperta mq 111, sup. int. utile mq 91 ca.), il rifornitore (R) e il cesso isolato (CI, sup. coperta mq 13, sup. int. utile mq 9 ca.). Lo stato degli scali è stato definito mediante cinque categorie: • Ottimo - tale condizione indica che i fabbricati sono stati ristrutturati pochi anni addietro e, in alcuni casi, come le stazioni di Bivona e Filaga, sono attualmente in uso. La stazione di Alessandria della Rocca è stata recentemente ristrutturata per fini commerciali, ma non ancora

Stato delle Stazioni

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impiegata. Tuttavia, in virtù della destinazione prevista, per i fabbricati che rientrano in questa categoria non si escludono lavori per l’adeguamento degli impianti e la ripartizione dei vani; Discreto - in questa categoria rientra la sola stazione di Lercara Bassa, che è l’unica ancora in uso per il fine originario, anche se attualmente – per una scelta aziendale – i treni non effettuano fermate. Tali fabbriche, visto il trascorrere degli anni, necessitano comunque di manutenzione ordinaria; Cattivo - visto lo stato di paramenti e solai, in genere si escludono interventi strutturali. I fabbricati in oggetto, tra cui rientrano quelli delle stazione di Cianciana e Magazzolo, necessitano del rifacimento degli intonaci, della sostituzione del manto di copertura, degli infissi, dei rivestimenti interni ed esterni, ecc.; Semi rudere - sono stati classificati come tali i fabbricati della stazione di Lercara Alta, delle fermate Contuberna, Quattro Finaite e Balata. Visto lo stato o l’indisponibilità delle stazioni o delle fermate poste in prossimità, sono stati presi in considerazione anche il casello al km 14.861 che rientra nel territorio di Castronovo di Sicilia (scelto come alternativa alle fermate S. Luca e Depupo-Castronovo, ormai in stato di rudere) e il casello al km 30.597 che compensa l’indisponibilità dei fabbricati della stazione di S. Stefano Quisquina (da anni inglobati all’interno di una struttura ospedaliera). Rientra in questa categoria anche la rimessa locomotive della stazione di Filaga, che non è stata interessata dai lavori eseguiti sul resto dello scavo ad inizio secolo. Generalmente i paramenti esterni di questi fabbricati non necessitano di interventi di consolidamento, ma i solai, copertura compresa, sono parzialmente o totalmente da rifare. Ovviamente, tali fabbricati necessitano di tutte le opere di finitura (intonaci, infissi, ecc.); Rudere - come accennato in precedenza, rientrano in questa categoria le fermate S. Luca e Depupo-Castronovo che, allo stato attuale, risultano totalmente diroccate o quasi.

Le Stazioni del Gusto La linea a scartamento ridotto Lercara-Filaga-Magazzolo comprendeva 13 scali, di cui otto stazioni e cinque fermate. Col fine di dare rappresentatività ad ognuno dei territori comunali attraversati dal tracciato ferroviario e tenendo conto della disponibilità, anche se solo potenziale, e dello stato di

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conservazione di ogni stazione o fermata, sono state ipotizzate nove Stazioni del Gusto: Lercara Friddi (ex stazione di Lercara Alta), Castronovo di Sicilia (ex casello al km 14.861), Filaga-Prizzi (ex stazione di Filaga nel territorio di Prizzi), Contuberna (ex fermata nel territorio di S. Stefano Quisquina), Santo Stefano Quisquina (ex casello al km 30.597), Bivona (ex stazione, situata a circa km 3 dal centro abitato), Alessandria della Rocca (ex stazione a margine del centro abitato), Cianciana (ex stazione fuori dal centro abitato), Magazzolo (ex stazione nel territorio comunale di Calamonaci). Valutando sinteticamente l’attuale disponibilità dei nove scali presi in considerazione, si rileva che: i fabbricati della Stazione di Lercara rientrano in un presidio ASL, che ne impiega parzialmente l’area; i fabbricati della Stazione di Filaga sono stati ristrutturati pochi anni fa con il patrocinio della Regione Siciliana (Assessorato Agricoltura e Foreste) e attualmente sono solo parzialmente usati; la Stazione di Bivona al momento accoglie diversi servizi comunali e la Stazione di Alessandria della Rocca è stata recentemente acquisita e ristrutturata da un soggetto privato per fini commerciali.

Organizzazione dei fabbricati degli scali

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Infine, i restanti cinque siti risultano come fabbricati impresenziati di proprietà di Rete Ferroviaria Italiana spa, ossia i luoghi in cui sviluppare il concept delle Stazioni del Gusto: Castronovo di Sicilia, Contuberna, Santo Stefano Quisquina, Cianciana e Magazzolo. RFI, con la strategia di responsabilità sociale d’impresa, da tempo affida stazioni impresenziate a organizzazioni no-profit di varia natura, con l’esplicito obiettivo di avviare processi di rigenerazione che riguardano sia gli elementi strutturali delle stazioni che la loro funzione d’uso come “asset comunitari”. Le stazioni già rigenerate in questa forma, infatti, ospitano iniziative diverse, come servizi sociali, culturali, turistici, ecc., che – secondo quanto mette in evidenza Zandonai (2014), attraverso un Rapporto di Ricerca dell'Euricse commissionato da Ferrovie dello Stato Italiane Spa - organizzano percorsi d’inclusione che, oltre ad essere rivolti alle cosiddette fasce deboli della popolazione, sono finalizzate ad incrementare la coesione sociale dei territori, avviando e consolidando iniziative di imprenditorialità sociale efficaci e sostenibili. Anche se attualmente Ferrovie dello Stato regola i rapporti contrattuali per il trasferimento degli asset ferroviari solo mediante comodato gratuito (previsto per sei anni), escludendo modalità contrattuali di tipo market (cessione della proprietà e affitti a prezzi di mercato) o intermedio (affitti che prevedono il pagamento di un canone moderato), il sopraccitato studio dell’Euricse valuta la possibilità di impiegare in futuro altri strumenti contrattuali e in particolare quelli che sono stati definiti strumenti intermedi, ovvero modalità che prevedono il pagamento di un corrispettivo per l’acquisizione dell’immobile da parte dell’ente gestore. Tale corrispettivo, secondo quanto auspicato dallo studio in oggetto, dovrebbe essere «scontato di una quota che corrisponde al riconoscimento del carattere meritorio dell’attività che vi viene svolta all’interno. Questa modalità – sottolinea l’autore dello studio – pare particolarmente efficace soprattutto nel caso di rapporti con soggetti nonprofit di natura imprenditoriale, ovvero imprese in grado di generare (...) economicità dalla produzione di valore sociale». Inoltre, l’analisi redatta dall’Euricse, dopo aver valutato e classificato le molteplici attività che ad oggi sono state realizzate all’interno delle ex stazioni, mette in evidenza l’importanza di consolidare ulteriormente la capacità di generare valore economico, oltre che sociale, soprattutto per quanto riguarda le iniziative di ricettività e di accoglienza turistica. Lo studio dell’Euricse riporta anche una sensibile valutazione sulla pre-

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senza di economie esterne nell’ambito delle stazioni rigenerate, ovvero attività di natura economica non necessariamente di carattere sociale, ma destinate comunque a generare marginalità utili a garantire la sostenibilità di altre iniziative non market. A tal proposito viene rilevato che «sono decisamente poche le stazioni presso le quali sono state attivate iniziative produttive e commerciali rivolte ad un pubblico in generale. Laddove esistono fanno leva soprattutto sull’offerta turistica e, in minima parte, su ristorazione e vendita di prodotti artigianali. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla necessità di adeguare il modello di business della rigenerazione, in modo che sia in grado di autogenerare almeno una parte delle economie necessarie alla sostenibilità del progetto nel suo complesso». Le posizioni assunte da RFI, attuali e – alla luce dello studio dell’Euricse – ipoteticamente future, sembrano conciliare con i propositi di questo progetto, ossia quelli di impiegare – ove possibile – le ex stazioni della linea Lercara-Filaga-Magazzolo a sostegno di un’azione sinergica finalizzata alla coesione territoriale e allo sviluppo dell’economia locale. I possibili soggetti che dovranno gestire l’affido e/o la proprietà dei fabbricati che ad oggi appartengono ad RFI saranno esplicitati in seguito. Riguardo gli altri scali, di cui tre sono gestiti da enti pubblici (Lercara, Filaga e Bivona) e uno di proprietà privata (Alessandria della Rocca), bisognerà valutare caso per caso la disponibilità dei soggetti interessati e, soprattutto, in quali vesti possono e/o vogliono partecipare al progetto proposto. Tale partecipazione è comunque vincolata alle linee guida indicate a seguire. Nuove destinazioni d’uso e valutazione degli interventi Dai rilievi fatti e dalle scelte operate per individuare le nove Stazioni del Gusto precedentemente elencate, risultano 26 corpi di fabbrica e circa 3.642 mq di superficie interna utile da impiegare per i servizi ipotizzati e distribuiti come di seguito riportato: • Centro direzionale - gli spazi utili per il coordinamento e la gestione di tutto il sistema sono stati allocati nella stazione di Bivona, ossia in una posizione baricentrica rispetto al comprensorio considerato, e occupano circa 145 mq (pari al 4% della superficie interna utile); • Servizi di ristorazione - sono presenti in tutte le nove stazioni, occupano complessivamente circa 1.100 mq (30%) e comprendono, oltre ai tipici ristoranti ove gli alimenti vengono preparati rigorosamente con prodotti locali (Lercara, Alessandria della Rocca, Cianciana e Magazzolo),

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enoteca (Castronovo di Sicilia), steak house (Filaga/Prizzi), caffetteria (Contuberna e Bivona) e lounge bar (Santo Stefano Quisquina); Vendita al pubblico - sono punti per la vendita al dettaglio dei prodotti locali e occupano circa 730 mq (20%), distribuiti in 6 scali (Lercara, Castronovo di Sicilia, Filaga/Prizzi, Contuberna, Bivona e Magazzolo); Servizi ricettivi - negli scali di Filaga, Alessandria della Rocca e Cianciana sono state inserite strutture ricettive per un numero complessivo di 120-130 posti letto e occupano sommariamente circa 730 mq (20%); Servizi per la vendita - gli spazi per la vendita all’ingrosso, tra cui sono stati ipotizzati anche ambienti per il temporaneo stoccaggio dei prodotti, sono previsti a Lercara e Magazzolo, nelle due stazioni di testa, mentre lo spazio utile per l’attività e-commerce è stato allocato a Bivona, dove è presente il centro direzionale. Questi spazi occupano nell'insieme circa 320 mq (9%); Attività varie - il magazzino merci della stazione di Filaga è oggi impiegato per il confezionamento dei funghi e, nello stasso scalo, è stata prevista la realizzazione del mattatoio di cui è privo il comprensorio considerato, tanto che attualmente gli allevatori della zona, per la macellazione dei propri capi, giungono fino a Mussomeli. La localizzazione di tale struttura è stata desunta come vocazione naturale del sito che, negli anni passati, è stato usato come foro boario, infatti tale impiego si giustifica con la folta presenza di allevamenti che, oltre che nella stessa Prizzi, di cui Filaga è frazione, si trovano nei territori comunali di Castronovo di Sicilia, Cammarata, Palazzo Adriano, S. Giovanni Gemini e Santo Stefano Quisquina. Le due attività occupano circa 365 mq (10%); Servizio bike sharing - ad eccezione dello scalo di Lercara, in cui è stata destinata una parte del magazzino merci alla manutenzione dei mezzi,

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questo servizio si avvale di tutti i cessi isolati presenti nella tratta (Filaga/Prizzi, Contuberna, Bivona, Alessandria della Rocca, Cianciana e Magazzolo), da impiegare come servizi igienici dedicati (con doccia); complessivamente per tale scopo sono stati impiegati ca. 110 mq (3%); • Infopoint - a Lercara, Bivona e Magazzolo sono presenti infopoint con addetti al servizio e, per tale attività, sono stati previsti complessivamente 145 mq (4%). Nei restanti scali questo servizio sarà fornito mediante un totem digitale da collocare all’esterno o all’interno di uno dei fabbricati. Sebbene non sia stato possibile quantificare la spesa per le attrezzature e le dotazioni necessarie affinché le Stazioni siano allestite per l’uso ipotizzato, è stata comunque redatta una stima di massima per la ristrutturazione e l’adeguamento dei singoli scali, mediante l’impiego di costi unitari redatti dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Firenze a gennaio del 2012. Tali costi sono relativi a tre tipologie di recupero edilizio – leggero, medio e pesante – da eseguirsi su “edifici con carattere storico o comunque ricompresi in centri storici anche minori, o in edifici non storici ma ad essi assimilabili per la complessità dell'intervento edilizio in progetto o per le caratteristiche”: • Recupero leggero (690,88 eur/mq) - sono opere a bassa densità di capitale e hanno lo scopo di garantire una manutenzione di tipo straordinario mediante la sostituzione di alcuni elementi orizzontali interni, non strutturali (pavimentazioni, soffittature, contro soffittature), il rifacimento di alcuni elementi verticali esterni non strutturali, il rifacimento parziale o totale delle coperture e la sostituzione di tutti gli impianti. Tale tipo di recupero riguarda i fabbricati della stazione di Filaga (eur 610.737,92), ad eccezione della rimessa locomotive, e quelli della stazione di Bivona (eur 245.262,40); • Recupero medio (1.056,90 eur/mq) - è di tipo intermedio rispetto alle due classi limite e in particolare interviene solo in parte sugli elementi che differenziano il recupero pesante da quello leggero (rappresentati dagli elementi verticali ed orizzontali strutturali). Rientrano in questa tipologie le opere per i fabbricati delle stazioni di Cianciana (eur 375.199,50) e Magazzolo (eur 447.068,70); • Recupero pesante (1.601,39 eur/mq) – sono opere ad alta densità di capitale, con l'obbiettivo di risanare integralmente o di restaurare il manufatto edilizio mediante sostituzione e rifacimento degli elementi

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orizzontali (solai, pavimentazioni, soffittature), rifacimento anche parziale degli elementi verticali esterni (muratura di facciata, rivestimenti, intonaci, tinteggiature) e degli elementi verticali interni, con la creazione di locali per bagni o cucine, il rifacimento degli impianti e cambio di destinazione. Rientrano in questa categoria le opere per i fabbricati delle stazioni di Lercara Friddi (eur 951.225,66), Castronovo di Sicilia (eur 113.698,69), Contuberna (eur 387.536,38), S. Stefano Quisquina (eur 172.950,12) e, infine, le opere per la rimessa locomotive di Filaga (eur 408.354,45). Complessivamente, per la ristrutturazione degli scali designati come Stazioni del Gusto, escludendo i fabbricati dello scalo di Alessandria della Rocca, che sono stati recentemente ristrutturati e non ancora impiegati, è stata stimata una spesa di eur 3.712.033,82. Il brand “Le stazioni del gusto” e la rete commerciale L’ipotizzata ri-aggregazione del territorio considerato, un tempo sostenuta dal ciclo economico delle zolfare e dall’esercizio della linea ferrata, oggi è motivata dall’esigenza di mettere in atto nuove strategie per lo sviluppo economico. Le esperienze della Val di Cornia e del Trentino e Alto AdigeSüdtirol – seppur con vicende differenti – dimostrano l’utilità che si può trarre da un comprensorio coeso, dove l’insieme delle diverse parti, di fatto, caratterizza e valorizza il comprensorio stesso. Infatti, dalla vicenda della Parchi Val di Cornia S.P.A. - sviluppatasi in un arco temporale di circa quattro decenni, mediante un progetto che è stato opportunamente pianificato e concretizzato, generando sul territorio un significativo sviluppo economico - si evince come sia possibile convertire il sito verso un nuovo ciclo di vita incentrato sulla fruizione e sulla valorizzazione del sito stesso. E, come dimostra la certificazione Emas ottenuta nel 2007 (L’Eco-Management and Audit Scheme è uno strumento ideato dalla Comunità Europea che valuta aspetti e impatti ambientali di enti pubblici e aziende) e rinnovata nel 2011, tale ciclo risulta ampiamente sostenibile. D’altro canto, dall’esperienza del marchio unico del Trentino, che nasce nel 2002 ad opera di Trentino Spa, una società che coordina tutti gli aspetti legati a gestione del marchio, ne consegue che il marchio unico territoriale è in grado di rappresentare l’offerta dell’intera provincia, indipendentemente dal settore di appartenenza, e permette al territorio di promuoversi attraverso un’immagine specifica, sinonimo di qualità e garanzia di tutta un’of-

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ferta di prodotti e servizi. Tanto che, dal 2002, Trentino Spa stabilisce a quali soggetti e operatori concedere l’uso del marchio in gestione, attenendosi a criteri rigorosi, in quanto il marchio stesso garantisce al prodotto di beneficiare del legame col territorio: il prodotto dotato del marchio rappresenta esso stesso il territorio. Entrando nel vivo del progetto proposto, il recupero degli scali ferroviari, identificati come Stazioni del Gusto, è finalizzato a sostenere e promuovere, attraverso i servizi offerti all’interno degli scali stessi, il territorio e la rete di economie locali che si vuole intrecciare tra i diversi produttori del comprensorio. In sintesi, con l’intento di mettere in atto una viva sinergia tra rete di distribuzione e produzioni, si ipotizzano sommariamente due distinte azioni: - concretizzare una rete di distribuzione in grado di rendere riconoscibile e promuovere quanto distribuito in loco e sui mercati esterni; - mettere a sistema le tante produzioni tipiche e di qualità presenti nel territorio, attraverso un marchio di qualità che certifica l’appartenenza del prodotto all’insieme costituito. La rete di distribuzione e le produzioni Il recupero degli scali della linea ferrata Lercara-Filaga-Magazzolo, già individuati come memoria della storia socio-economica del comprensorio, consente di ridefinire il rapporto tra le diverse parti del territorio. Osservato singolarmente, ogni singolo scalo si raffronta con il territorio in cui è insediato, promuove quanto vi è intorno e, tramite i suoi servizi, lo valorizza e ne migliora la fruibilità. Tornando alla visione d’insieme, tutti gli scali impiegati promuovono e valorizzano le diverse parti del comprensorio, divenendo essi stessi rappresentativi dell’insieme costituito. In tale contesto si collocano le Stazioni del Gusto come rete di distribuzione: i prodotti trattati dovranno essere, a loro volta, parte dell’insieme costituito, nonché elementi resi riconoscibili dal comprensorio e viceversa. In conclusione, ogni scalo e le varie attività contenute in esso faranno riferimento al brand territoriale denominato Le Stazioni del Gusto e il gestore del marchio coordinerà tutti gli aspetti di seguito esplicitati: - promozione e pubblicità; - valorizzazione delle specificità; - attività di marketing sui diversi mercati; - relazioni esterne ai rapporti con la stampa;

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Prodotti per la Distribuzione 1. Plateau in cartone mono-doppio strato nelle dimensioni 30x40, 30x50, 60x40.

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2. Confenzione singola in cartone biodegradabile con misure 10x10x10.

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Prodotti della Trasformazione 3. Pesche sciroppate (formati vari) 4. Gel energizzante bustina contenente integratori al gusto di pesca o di altra frutta coltivata nel comprensorio.

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4 Nuovi Concept per la Trasformazione 5. La Bevanda del Ciclista contenitore per bevande derivate dai prodotti dell’area

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6. Il Coppo di Marmellata vasetto in vetro racchiuso da un involucro di carta con varie informazioni all’interno

Per valorizzare sui mercati le specificità locali si è ipotizzata una strategia di marketing capace di promuovere il territorio attraverso i suoi stessi prodotti e viceversa. Sono state individuate le seguenti azioni: a) l’apposizione di un marchio unico di produzione, denominato Station Food, che attesti origine e qualità dei prodotti da immettere in un mercato sempre più attento ai concetti di qualità, filiera corta e chilometro zero; b) la costituzione di un unico marchio di distribuzione, identificato come ‘Le Stazioni del Gusto’, che coordini tutte le azioni necessarie affinché sia possibile coniugare e collocare adeguatamente sul mercato tutte le risorse presenti sul territorio; c) l’incremento dei prodotti di trasformazione con le finalità di concretizzare un impiego più proficuo di almeno una parte delle materie prime, di poter destagionalizzare l’immissione delle stesse produzioni sul mercato e, cosa non meno importante, di dare vita a nuove opportunità di sviluppo locale, proprio perché si vogliono attivare tali processi di trasformazione in loco; d) il rebranding delle produzioni tipiche, mediante l’introduzione di nuovi packaging, affinché questi stessi prodotti possano risultare più appetibili per i mercati a cui sono destinati. È stato studiato in via sperimentale il packaging della Pesca di Bivona IGP che riporta il marchio di produzione e il brand territoriale di distribuzione, informazioni sulla produzione e sulle peculiarità di quanto contenuto, nonché dati sul territorio di provenienza.

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- ricerca e analisi dei singoli mercati; - attività editoriali di supporto; - collaborazione con gli operatori di promozione turistica locale e supporto alla commercializzazione nel turismo, nello sport, nella cultura, nell’artigianato e nelle produzioni di qualità. La gestione degli scali, vista la diversa natura delle proprietà, sarà cura di chi ne possiede la disponibilità (enti, società, soggetti privati, ecc.) o di un soggetto affidatario. A proposito di quest’ultimo, si rileva che Rete Ferroviaria Italiana concede i propri immobili in comodato ad associazioni nonprofit, anche per attività di valorizzazione del territorio, ma richiede, per la loro gestione, un modello di businnes in grado di autogenerare le economie necessarie alla sostenibilità del progetto. Definito il primo nucleo, che potrà essere originato anche da una sola Stazione (ad es. Bivona), l’affiliazione degli altri scali avrà luogo sotto forma di franchising. In ogni caso, il gestore dello scalo dovrà attenersi alle strategie economiche e alle prescrizioni dettate dal gestore del marchio. Quest’ultimo, tra l’altro, darà supporto tecnico per la ricerca e l’attivazione di fondi utili per ristrutturare ed adeguare gli immobili alle funzioni designate, ossia prescritte dallo stesso gestore del marchio. Per accedere alla rete di distribuzione Le Stazioni del Gusto, i produttori dovranno attenersi a criteri rigorosi, perché la rete, tra l’altro, garantisce al prodotto di beneficiare del legame con il territorio e con le altre produzioni di qualità in esso contenute. Pertanto, le produzioni dotate del marchio Station Food, in seguito alla sottoscrizione di rigorosi disciplinari, potranno giovare di quanto segue: - maggiore visibilità dei prodotti; - adeguata collocazione dei prodotti sul mercato locale e su quelli esterni al comprensorio; - standard di produzione definiti; - sinergie per operare attività di trasformazione in loco, con sensibile abbattimento dei costi per il trasporto delle materie prime ai centri di produzione. Considerazioni sul progetto proposto Il lavoro condotto ha posto in evidenza i seguenti punti: - per realizzare una rete di economie locali bisogna attivare un'unica regia, precedentemente indicata come gestore del marchio, ossia un unico

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soggetto che sia di riferimento anche per le tante e frammentarie politiche di sviluppo locale presenti nel comprensorio considerato, che coordini tutte le azioni necessarie affinché sia possibile coniugare e collocare adeguatamente sul mercato le tante risorse presenti in loco (patrimonio naturalistico e architettonico, prodotti tipici e di qualità, ecc.); - per supplire alla distanza dai centri di produzione e distribuzione, bisogna avere una maggiore cooperazione tra i produttori e attivare un settore secondario, ad oggi, quasi inesistente. La rete di distribuzione, rinominata Le Stazioni del Gusto, oltre a sostenere lo stesso sviluppo delle aziende, attraverso uno sportello che fornisce assistenza tecnica per il reperimento di strumenti finanziari, come l’accesso al credito e fondi strutturali dedicati, collocherebbe parte di quanto prodotto mediante i propri punti vendita, altri esercenti locali e, come indicato al punto precedente, il resto sul mercato esterno al comprensorio; - il recupero delle stazioni mira a riqualificare il territorio ben oltre la sistemazione dell’area di insediamento dello stesso scalo. Infatti le stazioni – pur divenendo punti nodali di un sistema commerciale – mantengono la vocazione originale di porte del territorio, mediante l’inclusione di servizi finalizzati alla fruizione del comprensorio. Si suppone, infine, che recuperare le vecchie stazioni, restituendole alla collettività come beni fruibili, possa rinfrancare quel senso di aggregazione territoriale riconducibile alle zolfare e alla stessa presenza della ferrovia, ossia a quella realtà socio-economica al tempo condivisa da tutto il comprensorio. Fatto tutt’altro che secondario, perché questo progetto poggia le sua fondamenta proprio su questa ri-aggregazione.

*Il presente saggio, è prodotto dalla collaborazione di Salvatore Cimino e Giorgio Cuccia. In particolare, Giorgio Cuccia ha curato il primo e il secondo paragrafo, mentre Salvatore Cimino il terzo e il quarto. Tutte le elaborazioni grafiche sono a cura degli autori.

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LA VAS COME STRUMENTO PER LA PROGETTAZIONE SOSTENIBILE Luca Torrisi

La rilevanza di normative e fondi sulla progettazione: la situazione in Sicilia verso una nuova prospettiva operativa La valutazione ambientale strategica (VAS) è strumento, a carico del soggetto proponente, di tipo compilativo mirante a connettere le tematiche ambientali con quelle della pianificazione mediante la verifica di assoggettabilità (screening), ove necessario, e la fase preliminare (scoping) quale traccia per la successiva stesura. Segue il rapporto ambientale ed il successivo svolgimento di consultazioni dei soggetti coinvolti per la conseguente comunicazione al proponente. Tale iter, di carattere valutativo e decisionale, presume un regolare monitoraggio non solo lungo l’iter procedimentale della VAS ma anche ex-post, favorendo una costante e continua conoscenza e informazione. Il processo della VAS, attraverso le norme di programmazione europea, seguite dalla interpretazione prima nazionale e poi regionale, contempera pianificazione e valutazione facendo leva sugli effetti di piani e programmi sull’ambiente naturale non limitandosi alla valutazione dello stato attuale. Le strategie comunitarie per lo sviluppo sostenibile hanno guardato all’integrazione della dimensione ambientale nei processi decisionali strategi-

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ci; pertanto le normative, europea e poi nazionale e regionale, guardano ad una strategia che muova dall’elaborazione di piani e progetti, sia pubblici che privati, per la definizione della valutazione ambientale strategica. Per piani e progetti afferenti a soggetti privati, la redazione della VAS fa carico alla istituzione pubblica territoriale. La Direttiva della Comunità Europea 2001/42/CE, sull’operatività dal punto di vista ambientale nei processi decisionali strategici, costituisce l’originario provvedimento normativo in ambito comunitario. Pone le basi per l’applicazione della valutazione ambientale strategica per piani e programmi, al fine di tenere in considerazione le necessità ambientali interpellando gli enti pubblici in fase realizzativa, nell’intento di perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, della protezione della salute umana e dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Ad integrare le norme in materia di valutazione ambientale è intervenuta la Direttiva 2008/1/CE che fissa l’obbligo del soggetto proponente di munirsi di autorizzazione per attività industriali agricole dall’alto potenziale di inquinamento. Il rilascio di tale autorizzazione soggiace al preventivo accertamento delle condizioni ambientali. Al riguardo è fatto obbligo alle imprese di prevenire e, in ogni caso, ridurre l'inquinamento causato. Le suddette norme comunitarie sono state recepite, in ambito nazionale, dal Testo Unico per l’ambiente, decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152, che disciplina le procedure concernenti l’applicazione della valutazione ambientale strategica (VAS) per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione integrata ambientale (AIA). La norma mira a garantire la qualità della vita umana mediante la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Successivamente, i decreti legislativi 4/2008 e 29 giugno 2010 n.128 hanno aggiornato il decreto del 2006 introducendo nuove disposizioni correttive ed integrative: il primo fissa il pieno e corretto adempimento delle Direttive europee in materia di VIA e VAS e prevede un complessivo ridisegno delle procedure di formazione dei piani urbanistici; il secondo recepisce la direttiva 2008/1/CE ma lascia immutate le disposizioni del D. Lgs. 59/2005. Sulla scia delle sopra richiamate normative comunitarie e nazionali, la normativa siciliana si pone l’obiettivo di affrontare il tema ambientale in termini di incremento della multidisciplinarietà dell’approccio. Il Decre-

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to Presidenziale della Regione Siciliana n. 23 del 8 luglio 2014 introduce il “Regolamento della valutazione ambientale strategica (VAS) di piani e programmi nel territorio della Regione Siciliana” e recepisce in particolare le norme in materia ambientale del decreto legislativo 128/2010, che modifica ed integra il precedente decreto legislativo 152/2006. L’autorità competente in materia di piani e programmi riguardanti la pianificazione territoriale e la destinazione urbanistica è il Dipartimento regionale urbanistica dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente. La normativa regionale conferma che la procedura VAS debba essere avviata dall’autorità procedente contestualmente al processo di formazione del piano o del programma, ovvero all’avvio della relativa procedura amministrativa e, comunque, durante la fase di predisposizione della stessa. Infine, la delibera n.119 del 6 giugno 2014 della Giunta Regionale Siciliana approva il “Regolamento della valutazione ambientale strategica dei piani e programmi”, di cui alla precedente legge regionale n. 26/2012 ed aggiorna e regolamenta la procedura al fine di affrontare, con maggiore efficacia e nel rispetto dei tempi procedimentali, la gestione territoriale e l’elaborazione dei piani urbanistici. La valutazione delle norme in materia ambientale conferma come la VAS costituisca la parte essenziale dell’intero iter di adozione ed approvazione del piano o programma; pertanto, eventuali provvedimenti di approvazione adottati senza il rispetto della procedura VAS, ove risulti prescritta, possono essere annullati in quanto illegittimi. Durante l’ultimo decennio, prima in Italia e poi in Sicilia, sono state recepite le normative comunitarie inerenti alle questioni ambientali che hanno conferito alla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) un ruolo cardine di garante della sostenibilità ambientale. L’obiettivo è quello di affrontare con maggiore efficienza e velocità la gestione territoriale tenendo in considerazione l'ambiente, così da rendere la valutazione un mezzo concreto che affronti il tema ambientale non solo sotto l’aspetto meramente tecnico, ma che consenta un confronto con altri settori della conoscenza di tipo architettonico, urbanistico, ingegneristico, economico e agroforestale. Risulta pertanto necessario «delineare un nuovo modo di usare e configurare il territorio coerente con i bisogni reali della collettività» (De Carlo, Marini, 2013) basandosi su componenti già esistenti sul territorio capaci di attivare altri tessuti, nonché approcciarsi ad un’alta intensità trasfor-

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mativa e ad un approccio reticolare che sfruttino il Re-cycling, in grado di attivare funzioni, l’Hyper-cycling & Reactivation che opera su più cicli di vita in contemporanea e il contributo di un protocollo che consenta di arrivare alla fase di pianificazione facendo leva sulla teoria su cui il progetto si costituisce. Per fare ciò è necessario intervenire coerentemente con i mezzi di supporto forniti dalle normative riguardanti la VAS e dai fondi su varia scala (comunitaria, nazionale e regionale) al fine di ottenere non solo una coerenza con la programmazione intrapresa nel settennio 2014-2020, ma anche risorse differenti da quelle monetarie di tipo pubblico e privato. Come accennato, la VAS, tramite le norme comunitarie, ha assunto una caratura sempre più preponderante all’interno della questione ambientale. L’iter di centralità in quest’ambito ha come fulcro la Direttiva della Comunità Europea 2001/42/CE, con cui, all’interno dei processi decisionali strategici, vengono messe in evidenza le azioni di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, ottenendo così una tutela non solamente della salute umana, ma anche dell’uso delle risorse naturali. Le successive norme comunitarie che guardano al tema ambientale, muovono dalla Direttiva del 2001 ed analizzano le attività industriali che posseggono un elevato potenziale di inquinamento da tenere sotto controllo tramite azioni locali di monitoraggio e salvaguardia. L’incidenza della qualità ambientale all’interno della pianificazione strategica votata alla sostenibilità viene recepita anche a livello nazionale. Vengono introdotte le procedure di Valutazione Ambientale Strategica, Valutazione di Impatto Ambientale e Autorizzazione Integrata Ambientale, garantendo così la salvaguardia e il monitoraggio del regime ambientale, cosicché i tecnici abbiano uno strumento di controllo sulla qualità di piani e progetti. I tecnici devono essere coadiuvati dai politici e dagli amministratori non giustapponendo le mansioni, ma integrando le competenze, in modo da rendere conto diretto e continuo alla comunità referente, per una esaustiva pianificazione partecipata (De Carlo, Marini, 2013). In una fase successiva, viene rafforzata la centralità di VIA e VAS in tema ambientale, coerentemente con le Direttive europee nella valutazione e nella qualità ambientale, puntando sulle condizioni di salubrità e sulla salvaguardia e sul miglioramento delle condizioni ambientali ed il controllo dell’uso delle risorse naturali proprie del territorio. Con l’introduzione obbligatoria della VAS, le prassi partecipative sono elementi fondamentali per la formazione dei piani urbanistici (Trombino, 2010).

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Nel contesto regionale vengono recepiti i parametri ambientali comunitari e nazionali, facendo sì che la VAS diventi elemento cardine dell’intero iter di adozione ed approvazione di piani e programmi in linea con le normative

Tabella relativa alle norme comunitarie, nazionali e regionali che regolamentano la VAS

nazionali. Ad oggi, però, la VAS risulta essere un elemento di carattere solamente compilativo, lontano dalla fase pratica della pianificazione che consentirebbe l’attuazione di buone pratiche della pianificazione che definiscono un modus operandi che non sia standardizzato ma che guardi alla buona progettazione senza tralasciare gli elementi che tipicizzano il territorio. Gli strumenti operativi per perseguire gli obiettivi di sostenibilità ambientale vanno ricercati non solo nella pianificazione partecipata ma

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anche nella programmazione che, a scale differenti, da quella europea a quella nazionale e regionale, si propone di affrontare le suddette tematiche. Il principio stesso della pianificazione deve cominciare da una ponderata e scrupolosa analisi dei caratteri presenti nel sito di analisi, guardando alle necessità degli interventi, in cui tutti i soggetti, dall’istituzione politica, alle amministrazioni fino ai cittadini, sono «direttamente ed ugualmente coinvolti nel processo delle decisioni» (De Carlo, Marini, 2013). In questa ottica, la VAS non deve essere uno strumento tra i tanti, bensì la garanzia di un elevato livello qualitativo di piani e programmi nell’ottica della protezione ambientale. Per fare leva su risorse differenti dai finanziamenti privati o pubblici, è necessario muovere dalle risorse stanziate a livello comunitario, nazionale e regionale, relativamente alla programmazione 2014-2020. La strategia Europa 2020 vuole incrementare il processo di crescita, ponendo le condizioni utili alla sostenibilità dello sviluppo. All’interno di Europa 2020 si mira al superamento della crisi economica in cui versano attualmente molti dei paesi della comunità europea e, inoltre, ad incrementare il modello di crescita, dettando le condizioni per una crescita più sostenibile. In particolar modo, per quel che riguarda la sostenibilità ambientale, si distinguono il programma del sistema di finanziamento integrato Horizon 2020, destinato prevalentemente alle attività di ricerca della Commissione Europea con una possibilità di finanziamento di circa 80 miliardi nel settennio 2014-2020 per innovazioni legate per lo più al settore scientifico, nonché alle scoperte e ai primati mondiali in modo da incrementare l’apporto di idee innovative dal laboratorio al mercato e Life 2020, che tratta più specificamente le tematiche ambientali partendo dai principi di ricerca e sviluppo espressi da Horizon per lo sviluppo di obiettivi generali quali il passaggio ad un’economia efficiente in termini di risorse, in cui vi siano minori emissioni di carbonio e si faccia fronte ai cambiamenti climatici; ciò per contribuire alla protezione e al miglioramento della qualità dell’ambiente e all’interruzione e all’inversione del processo di perdita di biodiversità. A livello nazionale, per le strategie di sviluppo locale, i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile concorrono all’attuazione degli obiettivi posti dalla Strategia 202020, dettandone azioni pratiche e progetti che il Comune metterà in atto in collaborazione con altri Comuni, così come previsto dall’adesione al Patto dei Sindaci. In particolare, l’azione del PAES

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prevede la diminuzione delle emissioni di gas serra del 20%, la riduzione del consumo di energia del 20% e l’incremento dell’uso delle energie rinnovabili, portando al 20% il consumo totale europeo generato da fonti rinnovabili. Tutto ciò deve avvenire in base ai tempi di attuazione e delle responsabilità dei soggetti coinvolti. Invero, tramite l’azione dei PON Metro per le aree metropolitane e della Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), si attua una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile del territorio e, soprattutto per le aree interne, capace di creare lavoro, realizzare inclusione sociale e ridurre l’abbandono del territorio in linea con gli obiettivi e le strategie della costituenda Agenda urbana europea, che identifica le aree urbane come territori chiave per cogliere le sfide di crescita intelligente, inclusiva e sostenibile proprie della Strategia Europa 2020. Nello specifico, il PON aree metropolitane mira ad uno sforzo comune e cooperativo tra le città destinate, tramite i percorsi normativi in essere, a divenire il perno dell’area metropolitana circostante, al fine di ottenere modalità di approccio più coerenti e risultati concreti nel miglioramento di qualità ed efficienza dei servizi urbani e dell’integrazione della cittadinanza, in base ad opportunità e problemi che le accomunano su questioni di fondo, anche all’interno di diversità che le caratterizzano. Altresì la SNAI mira ad un processo che superi la marginalizzazione attraverso interventi di sviluppo locale finanziati con i fondi comunitari disponibili (FESR, FSE, FE-

Arredo urbano: Lotus

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ASR, FEAMP) con una priorità negli ambiti relativi alla tutela del territorio, alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali e turismo sostenibile, ai sistemi agro-alimentari e di sviluppo locale, al risparmio energetico e alle filiere locali di energia rinnovabile, nonché all’artigianato. La Sicilia, per ciò che riguarda le strategie in ambito regionale, utilizza i POR per la definizione di strategie che prescrivono una corrispondenza tra innovazione e sviluppo, sfruttando la competitività dei sistemi produttivi territoriali e sociali che inneschino processi di sviluppo tramite strategie che guardano al consolidamento della competitività dei sistemi produttivi e della ricerca e, altresì, allo sviluppo sociale e della qualità della vita. Questo avviene tramite cinque sfide legate al rafforzamento delle misure anticicliche, alla competitività dell’economia siciliana, alla valorizzazione del patrimonio culturale e naturalistico regionale, al miglioramento della qualità della vita e, infine, alla sostenibilità ambientale e alla qualità dei servizi ambientali. Questo avviene tramite interventi che possano favorire la struttura produttiva regionale valorizzandone le eccellenze qualitative. Realizzazione progettuale: abaco delle forme In fase progettuale è necessario considerare la pianificazione partecipata, quale strumento di coinvolgimento dell’intera popolazione (sia amministrazione pubblica che cittadini) alle tematiche riguardanti i processi pianificatori e progettuali, interessando prettamente chi vive e abita quegli

Arredo urbano: Edo

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spazi. Oltre ai processi partecipativi, per una progettazione strategica sostenibile, è necessario mettere a sistema i luoghi, intesi come ambiti progettuali, in modo da ottenere delle relazioni che vadano aldilà di epifenomeni isolati, ma che siano ‘rami’ afferenti ad una ‘rete’ centrale. Inoltre, oggigiorno, non è più possibile fare affidamento in maniera totale ai semplici sovvenzionamenti di carattere pubblico e privato, ma è necessario intervenire tramite azioni differenti che portino ad una pianificazione con una spesa pressoché nulla. Pertanto la pianificazione deve intervenire facendo leva sui produttori, quali risparmiatori di energia; sulla redditività, sia essa di natura commerciale, direzionale o immobiliare; sulla qualità ambientale usufruendo ad esempio della produzione energetica dovuta al riutilizzo di materiali di scarto; sul contributo alle sfide al cambiamento climatico in diretto collegamento con la programmazione dettata dalla Strategia 202020 in seguito al Protocollo di Kyoto e, infine, sull’innovazione e sulle sfide sociali sul pianeta. Questo porta ad una piena integrazione progettuale che guardi alla sostenibilità non solo ambientale ma anche socio-economica che vada al di fuori dei meri confini amministrativi, potendo usufruire di strumenti come la VAS: non più mnemonico garante

Jyväskylä: City of light

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della qualità ambientale dell’azione progettuale, ma strumento per superare i rischi di parcellizzazione derivanti dalle logiche limitate e datate dei singoli piani regolatori generali, mediante le letture integrate e sinergiche dei territori presi in esame nel loro insieme e nelle loro specificità. Il processo di pianificazione e valutazione della VAS, in coerenza con i principi programmatori, non deve limitarsi alla valutazione degli sviluppi attuali, bensì deve guardare prospetticamente verso gli accadimenti futuri al fine di valutare gli effetti di piani e programmi sull’ambiente naturale. Questo perché la città, pur mantenendo pressoché inalterata la sua conformazione, è in continua evoluzione in scala architettonica. La VAS può divenire elemento inscindibile della pianificazione strategica indirizzata verso la valorizzazione delle risorse territoriali, nel contesto dello sviluppo sostenibile, tramite regole procedimentali che consentano di applicare la stessa a casi reali di trasformazione, di esplicitare soluzioni capaci di migliorare la vita urbana a varie scale, da quella regionale a quella di quartiere, passando per la dimensione cittadina. L’approccio progettuale, che vada alla ricerca di soluzioni attuabili all’interno del contesto della pianificazione, è volto alla costruzione di un abaco che consenta di determinare le situazioni idonee alle complesse variabili che incidono sulla strategia territoriale. Ma che ruolo può assumere un abaco all’interno della pianificazione strategica? Semplicemente, un aba-

Rotterdam: Solar Road

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co di interventi può costituire un elemento ordinatore all’interno di un sistema complesso. Come avviene nella tassonomia, la classificazione degli esseri viventi effettuata dal naturalista svedese Carlo Linneo è servita a catalogare in maniera univoca ogni elemento appartenente a tale insieme, così da poter facilmente inquadrare un animale secondo la specie, il genere, la famiglia, l’ordine, la classe, il phylum e il regno di appartenenza. L’abaco degli interventi, alla stregua del Systema Naturae ideato da Linneo, si pone quale strumento astratto che ponga un ordine all’interno del sistema della progettazione, riponendo delle indicazioni progettuali nel sistema strategico della pianificazione. Questo consente di dettare delle soluzioni in considerazione dell’ambito di intervento descritto, unilateralmente con le possibili specificità poste dall’azione partendo da un set di indicatori scelti tra quelli dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale su temi complessi come energia, suoli, aria, acque, biodiversità, rifiuti, salute, cultura e identità. Questo serve a rendere la VAS multidisciplinare e conforme nella sua complessità, così da prendere le mosse dall’individuazione di un set di indicatori, già proposti dall’ISPRA ottenendo una check-list che porti alla «adozione di principi e perseguimento di strategie che si traducono nell’assunzione di azioni specifiche mirate alla protezione, gestione e pianificazione del territorio» (Carta in: Ronsivalle, 2007). La base di indicatori

Berlino: Potsdamer Platz

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si traduce in un’indicazione pratica per piani e progetti da applicare in fase progettuale, comprendenti diversi ambiti di intervento. Così per l’energia, come produzione da fonte rinnovabile e emissione di gas serra, in maniera concorde con la Strategia 202020, nonché per la rete di trasmissione dell’energia elettrica. Ed ancora, la tutela di natura ambientale che guardi alla presenza di attività estrattive, di suoli soggetti a contaminazione e relativi stabilimenti a rischio incidente, nonché all’azione di fattori legati all’attività antropica che condizionano la sostenibilità, come nel caso delle acque sotterranee e quelle reflue oltre alla produzione di rifiuti. In termini di tutela ambientale e paesaggistica, è necessario considerare la presenza di superfici forestali e aree agricole di pregio, se non acque dolci e coste balneabili che risultano essere caratteri fondamentali per la tipicità di un sito. Il che si coniuga con la tutela del patrimonio culturale, quale elemento di ricchezza territoriale, definito da aree archeologiche vincolate e beni di interesse culturale, senza sottacere le risorse naturali costituite dalle specie floristiche e faunistiche, nonché dagli habitat. Selezionati gli indicatori, relativi a campi disciplinari differenti, vanno individuate azioni che consentano di realizzare gli interventi descritti, coerenti con i piani vigenti così che diventino il trait d’union tra la pianificazione esistente e i piani e progetti di successiva realizzazione. Definiti gli ambiti di intervento, si individuano specifiche soluzioni che pos-

Barcellona: Parco El Garraf

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sano influire nel raggiungimento degli obiettivi che tali indicatori pongono. La loro individuazione non può prescindere dall’analisi del sito in cui si inseriscono e dall’apporto che possono dare in termini di caratteristiche. L’obiettivo è mirare ad una pianificazione che tenga in considerazione non il valore assoluto del cambiamento apportato, bensì un differenziale che evidenzi il rapporto tra le migliorie apportate da piani e progetti e lo status antecedente alla loro realizzazione. Se dovesse prendersi in esame un edificio, si definirà una distinzione secondo il contesto urbano a cui questo appartiene, muovendo dalla distinzione tra: città storica, che risente prevalentemente di alcuni vincoli delle normative tecniche per i centri storici secondo cui, in particolare, è impossibile aumentare la volumetria della fabbrica suddetta; città consolidata, con una sua conformazione già definita; espansione urbana. In caso di interventi che riguardano l'interfaccia mare-terra, sarà necessario effettuare una distinzione tra aree di costa, area portuale e mare aperto, in quanto vi sono delle differenze sia nelle funzioni che nell’azione del moto ondoso. Questi interventi, pertanto, costituiscono un elemento ordinatore all’interno delle condizioni di progettualità in cui risulta necessario individuare le «ragioni per cui distinguiamo un elefante da un armadillo» (Eco, 1997) perché ogni tipologia di intervento deve essere associata univocamente alla

Copenaghen: Gemini Residence Frøsilos

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risoluzione di una questione dettata dalle complessità delle forme. Il che costituisce la rappresentazione razionale e la più compiuta possibile delle specificità dei caratteri del territorio e, in quanto tale, finisce per essere strumento flessibile di analisi e di comparazione così da non costituire un elemento vincolante alla progettazione, quanto piuttosto strumento avanzato di comprensione e di analisi. Assumendo come esempio, a riguardo, il caso della tematica Energia e, in particolare, in riferimento all’indicatore ISPRA della Produzione di energia da fonte rinnovabile/consumo interno lordo, vengono individuate le possibili soluzioni che riescano ad incrementare la quota di energia proveniente da fonti rinnovabili in relazione al consumo finale lordo da conseguire entro il 2020. Tenendo sempre in considerazione che per questo parametro, così come per gli altri che sono stati attenzionati, sarà necessario guardare non al mero valore della quantità di energia prodotta tramite FER, bensì al valore differenziale inteso come la differenza tra la situazione dopo che l’intervento sia stato realizzato e sia completamente efficiente, e la situazione prima della realizzazione di tale intervento. Pertanto l’attuazione dell’energia rinnovabile può comprendere un vasto novero di soluzioni come l’illuminazione a LED e il relativo controllo di accensione e spegnimento, nonché l’impianto a biomassa, le

Madrid: Matadero

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Le tematiche interdisciplinari considerate all’interno della VAS, portano alla selezionie di un set di indicatori scelti tra quelli dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale

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smart grid, gli impianti di tipo geotermico, eolico e cimoelettrico e, infine, le strutture verticali di sostegno e le coperture. Vari ambiti di attuazione, quindi, che contribuiscono in maniera differente e su differenti scale e ambiti di intervento alla concretizzazione del target espresso. Per ogni soluzione, però, non sarà possibile adoperare sempre lo stesso tipo di intervento perché le situazioni saranno come «una galassia in espansione» ma di cui «si possano fornire le equazioni fondamentali» (Eco, 1997). Dunque per ogni soluzione è necessario determinare le forme più consone all’ambito di intervento, come nel caso dell’illuminazione a LED, che viene trattata differentemente nel caso si parli di città storica, città consolidata o espansione urbana. Infatti nel primo caso è necessario fare riferimento alle normative dei centri storici e, in particolar modo alle forme dell’illuminazione già presente all’interno di questa parte di città. Quindi, pur mantenendo la forma pressoché consona al resto delle luminarie, sarà necessario renderla efficiente annullando la luce rivolta verso l’alto, concentrandola il più possibile sulla strada e i passaggi pedonali e quindi verso il basso. In un’area consolidata in cui vige un rigore normativo meno influente, sarà possibile adoperare soluzioni differenti, con luci a LED alimentate dalla sotterranea rete metropolitana. L’espansione urbana ha una maglia più diradata rispetto alla città compatta; sarà quindi possibile adoperare un sistema di illuminazione che catturi l’energia solare durante

San Francisco: California Academy of Sciences

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il giorno attraverso il sistema fotovoltaico e riesca a convertirlo in illuminazione durante le ore notturne. La soluzione tecnologica e progettuale da adoperare non dev’essere rigidamente vincolata dall’analisi dei temi nonché dalle forme esplicitate dall’abaco, ma serve a ricavarne una migliore conoscenza dando al progettista una maggiore autonomia che parta dalla consapevolezza dell’obiettivo progettuale da raggiungere e di quali siano i fattori normativi e progettuali di cui tenere conto. Le soluzioni progettuali individuate devono essere di volta in volta parametri che possono modificarsi, in relazione alla gamma di soluzioni che l’intervento può comportare. In alcune occasioni è necessario tenere presente che, nell’abaco delle forme, sia possibile riscontrare un’unica funzione possibile; nella fattispecie, è necessario rimandare alle amministrazioni e alle normative di dettaglio di livello nazionale e regionale. In altri casi sarà possibile mettere in sinergia le soluzioni affinché la ‘vita’ degli elementi analizzati venga vista come un’energia potenziale prolungata nel tempo, tramite trasformazione e riutilizzo, non limitata alla sola prima fase di ‘produzione’. Infine, alcune soluzioni contrastano con l’idea di un intervento che duri nel tempo, il più a lungo possibile, in quanto risultano ultimative. È il caso dell’impianto a biomassa: bruciando i residui forestali e della produzione di legname non è possibile apportare ulteriori soluzioni per incrementare il processo di trasformazione.

Ningbo: Centre for Sustainable Energy Technologies

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Best practices per la sostenibilità In un contesto culturale, economico ed ambientale come quello contemporaneo, è necessario apportare dei cambiamenti innovativi all’interno del sistema della pianificazione, che riescano ad intervenire tramite l’adozione di «un modo di operare nuovo che ha grandi effetti sugli spazi di vita» (Ricci, 2012). Ad oggi ci sono differenti esempi progettuali che partono dall’idea di una progettazione sostenibile, affinché la qualità architettonica non sia solo un mero esercizio progettuale legato alla forma, ma guardi alle esigenze socio-economiche di una riduzione dei consumi, nonché al pieno utilizzo delle risorse territoriali e ambientali. Un primo cambiamento del punto di osservazione della progettazione è fornito da innovativi sistemi di arredo urbano che sfruttano il fotovoltaico: come nel caso del progetto Lotus, prodotto dall’azienda bergamasca LumineXence, per la ricarica delle auto elettriche; oppure Edo che è costituito da un sistema di pannelli fotovoltaici posizionati a ventaglio che funzionano come un vero e proprio sistema di schermatura luminosa e, nel contempo, catturano l’energia solare durante la giornata, per restituirla sotto forma di illuminazione stradale durante la notte. Ma non è l’unico caso relativo all’illuminazione: infatti presso Jyväskylä, in Finlandia, iGuzzini Italia ha realizzato City of light, progettando lo skyline notturno della città in particolare in aree ben precise della città, utilizzando l’illumi-

Madrid: Residenze Carabanchel

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nazione a LED e un sistema di accensione e spegnimento automatizzato che permette un basso impatto sui costi del consumo dell’illuminazione urbana. Tramite l’utilizzo dei pannelli solari, a Rotterdam, è stata progettata la pista ciclabile fotovoltaica Solar Road con la duplice funzione di pavimentazione per le piste ciclabili in vetro, sotto la quale sono poste celle solari in silicio, inserite all’interno di una struttura in calcestruzzo, per la produzione di energia atta ad alimentare l’illuminazione pubblica e rifornire la rete generale. Un annoso problema è quello legato all’utilizzo delle acque, ove è sempre maggiore lo spreco e il loro inefficiente utilizzo, anche a causa della differente distribuzione globale. Una possibile soluzione è stata adottata a Potsdamer Platz, a Berlino, attraverso il progetto dell’Atelier Dreiseitl che combina il drenaggio delle acque piovane con un progetto di waterscape con un sistema di aree ricreative che unisce il valore ambientale dell’acqua a quello artistico-culturale. Anche per ciò che concerne il trattamento dei rifiuti è necessario adottare nuovi paradigmi progettuali che consentano di trarre dei benefici da prodotti ritenuti di scarto. Un esempio è quello dell’intervento paesaggistico della Vall d’en Joan a Barcellona dei due architetti Batlle i Roig, per il parco El Garraf. Il lavoro di questi architetti e paesaggisti ha consentito la conversione della storica e più grande discarica di Barcellona, chiusa per

Roma: Sport Center

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saturazione dal 2006, in un parco naturale che incide positivamente sia sul paesaggio che sull’aspetto sociale con la progettazione di un nuovo spazio pubblico. Ma non solo: attraverso il trattamento dei rifiuti che caratterizzavano l’area (ormai nascosti perché al di sotto dello strato impermeabile superficiale costituito dal parco), è possibile la produzione di metano che si stima pari a 550 milioni di metri cubi in dieci anni (www.phpositivo.com). Affinché risulti efficiente il pieno sfruttamento del territorio in termini di sostenibilità, è necessario non limitarsi a guardare l’aspetto urbano ma, risulta incisivo l’apporto anche ad una scala inferiore, come quella architettonica. Risulta, innanzitutto, necessario combattere il fenomeno della desertificazione urbana, tramite il riutilizzo di edifici dismessi, anche con una funzione differente rispetto a quella iniziale, come nel caso del Gemini Residence Frøsilos a Copenaghen del gruppo di architetti e progettisti urbani di Rotterdam MVRDV, che hanno convertito dei silos, ormai inutilizzati, per la realizzazione di due edifici residenziali. O ancora il Matadero di Madrid: l’ex mattatoio comunale, stabilimento industriale dalla forte valenza architettonica madrilena del XX secolo, è stato convertito in un ampio spazio per attività socio-culturali, in particolare un laboratorio di arte contemporanea.

Napa Valley: Cantina Dominus

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Per ciò che riguarda la sostenibilità all’interno delle opere architettoniche, è necessario sfruttare l’incremento delle superfici vegetali per favorire la fonoassorbenza, la coibentazione e il trattamento delle acque. Le superfici vegetali vengono applicate più specificatamente nelle coperture, affinché abbiano il doppio ruolo di favorire il raffrescamento e ridurre l’umidità degli ambienti interni, come nel caso del green roof della California Academy of Sciences di San Francisco, realizzato dall’architetto Renzo Piano. Questo progetto si misura con le esigenze energetiche e di tutela dell’ambiente poste a livello mondiale, tramite una superficie vegetale estesa su tutta la copertura caratterizzata da collinette che ne danno un aspetto più naturale e, nel contempo, consentono di inserire delle aperture circolari, come oblò che guardano all’esterno. Ma questo non è l’unico aspetto che guarda alla sostenibilità edilizia: esistono sistemi architettonici che permettono la riduzione dell’escursione termica, l’aumento del risparmio energetico e l’isolamento acustico, come accade nel Centre for Sustainable Energy Technologies a Ningbo (Cina), realizzato dall’architetto Mario Cucinella, che utilizza un sistema di pareti ventilate o le facciate a doppia pelle utilizzate nel progetto dei Foreign Office Architects per le residenze Carabanchel a Madrid (Spagna). Le proprietà precedentemente descritte e relative ad una progettazione che guarda alla sostenibilità, sono evidenziate anche attraverso l’utilizzo di materiali classici come la pietra, i materiali argillosi, i laterizi, il legno e i metalli, come lo Sport Center a Roma (Italia) del gruppo Pagano che sfrutta le proprietà del legno come elemento strutturale per la sua resistenza alle escursioni termiche, all’umidità e al calpestio, nonché per la resistenza al fuoco. Ma anche materiali isolanti come policarbonato, polimetilmetacrilato, pannelli prismatici, aerogel, nanogel, fibre fonoassorbenti nanostrutturate, lana di vetro, lana di roccia, fibra di vetro, pomice, fibra di cellulosa, fibra di cocco, fibra di alga isolante, fibra di canapa, kenaf, innesti di microcapsule in cera o materiali plastici come poliuretano e polistirene; nonché l’utilizzo di pannelli termici isolanti ecocompatibili, pannelli in legno mineralizzato e quelli costituiti in materiali plastici a cambiamento di fase (Ponzini, 2009). Un esempio è il progetto degli architetti svizzeri Herzog & De Meuron che a Napa Valley (USA) nel progetto per la cantina Dominus, utilizzano una facciata ventilata in pietra, garantendo così un forte isolamento, protetto dai ponti termici, favorendo riscaldamento e ventilazione.

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Prospettive di lavoro: applicazione pratica sull’area dei Monti Sicani Le attuazioni pratiche dell’abaco degli interventi devono partire dal nuovo paradigma progettuale collegato con lo sfruttamento delle risorse non solo di natura energetica, ma più in generale territoriali, sociali ed economiche. Questo garantisce la valorizzazione delle peculiarità territoriali e consente di attingere a piene mani da quelle risorse ritenute fino ad oggi materiale di scarto, non solo relativamente alla produzione agricola e al consumo ordinario, ma anche ai beni culturali e architettonici in stato di abbandono che potrebbero essere soggetti al re-cycle anche attraverso nuovi utilizzi, completamente differenti da quelli per cui sono stati realizzati, verso una «strategia creativa per una costante sperimentazione e rivisitazione di forme architettoniche, paesaggistiche e urbane» (Ciorra, 2011). La necessità di attuare questi interventi non può prescindere dal fatto che la vastità di risorse, da quelle ambientali a quelle agricole, passando per quelle culturali ed architettoniche, va tutelata affinché si possa accuratamente preservare il territorio nella sua totalità e ricchezza. La gestione delle risorse è fondamentale anche a causa della loro differente distribuzione sul pianeta. In queste condizioni, il superamento di tali condizioni che dettano lo stato di fatto devono basarsi sul raggiungimento di un sistema economico e di ripartizione delle risorse fondato sulla condivisione e sullo sfruttamento a costo zero delle risorse, nonché su un’ampia rete di produzione energetica che non dipenda da un sistema centralizzato, ma che riesca a divenire autonoma tramite lo sfruttamento delle energie rinnovabili, incidendo in maniera nulla sul consumo energetico. L’autonomia energetica deve anche passare per una maggiore efficienza dei trasporti, rendendo entrambi i campi maggiormente accessibili ad una più ampia collettività. Sistemi di car sharing, di condivisione delle auto private tramite un sistema GPS, la concatenazione tra i differenti sistemi di trasporto pubblico nonché i nodi di interscambio, favoriscono non solo una maggiore efficienza nell’accesso ai mezzi, ma soprattutto una netta riduzione dei veicoli circolanti, che portano ad un netto abbassamento del livello di CO2 nell’ambiente, combattendo così il fenomeno dell’inquinamento. Deve così equilibrarsi il rapporto tra domanda e offerta, o meglio tra produttore e consumatore,

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perché ogni utente possa essere artefice di entrambe le fasi, con un impatto pressoché prossimo allo zero sull’ambiente attuando una politica per cui possa esprimersi «un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di massimizzare l’efficienza, riutilizzare e riciclare» (Francesco, 2015). Una possibile applicazione pratica è attuabile nell’area dei Monti Sicani, in Sicilia, ove l’attività agricola è preponderante; è auspicabile usufruire di questa peculiarità per sfruttare il paesaggio agricolo dell'area in integrazione con il sistema urbano. Tale azione viene favorita attraverso l’attuazione dell’abaco delle forme che innesta una pianificazione strategica territoriale basata sulla definizione di strategie di sviluppo del territorio oggetto di pianificazione, muovendo dalla marginalità delle aree interne, intesa non con accezione negativa, bensì come «capacità di sperimentazione ed innovazione alla luce degli elementi presenti» (Provenzano, 2009). Per la forte attinenza delle trasformazioni con le questioni ambientali, si ricorre alle risorse comunitarie che, con la programmazione 20142020, trattano queste tematiche sia all’interno dei bandi Horizon 2020 che, prevalentemente, tramite Life 2020. In ambito nazionale, si fa riferimento alla SNAI, tenendo presenti le risorse ambientali e culturali di differente natura, conseguenti a differenti processi di antropizzazione. Esse riguardano la tutela territoriale, la valorizzazione, secondo parametri di sostenibilità, delle risorse territoriali di tipo naturale e culturale, nonché relativa ai sistemi agro-alimentari e di sviluppo locale. In particolare, si ricorre a fondi comunitari (FESR, FSE, FEASR, FEAMP) per far leva sul marketing territoriale coadiuvando, in tempi medio-lunghi, le azioni partecipate di promozione e sviluppo delle peculiarità territoriali. Inoltre è necessario, in un contesto locale, far leva sul Patto dei Sindaci, quale strumento di pianificazione intercomunale, nonché sul PAES, per raggiungere e superare gli obiettivi posti con il Protocollo di Kyoto.

Possibili relazioni tra centri di produzione, trasformazione e vendita

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Per garantire la riduzione dei consumi energetici e dell’incidenza dei gas ad effetto serra, si prevede l’adozione, a livello anche intercomunale, di un impianto di illuminazione a LED, accompagnato da un sistema di accensione e spegnimento automatizzato e fruibile tramite widget o fotocellule, che muova da una percentuale minima di illuminazione, stabilita in base alla parte di città in cui viene innestato il sistema, fino alla massima illuminazione nel caso di effettivo utilizzo. Per la produzione di energia, a scala urbana ed architettonica, si utilizzano fonti energetiche rinnovabili che possano consentire il totale o parziale distacco dalla rete pubblica di energia elettrica. Si usano impianti di riscaldamento come i pavimenti radianti coadiuvati da un impianto a pellet, impianti eolici o fotovoltaici per la produzione di energia che, insieme ad una smart grid, mettono in circolo l’energia prodotta autonomamente senza utilizzare l’accumulo dell’energia e, anche parzialmente, la rete elettrica pubblica. L’area dei Monti Sicani è tipicizzata dalla forte propensione all’attività agricola. Si prevedono interventi di diverso tipo che garantiscano una pianificazione sostenibile. Dal punto di vista energetico, sarà possibile sfruttare gli impianti a biomassa utilizzando le coltivazioni energetiche in terreni agricoli in eccedenza, gli scarti della catena della distribuzione e dei consumi finali relativi ai rifiuti organici, i residui animali, forestali e della produzione di legname, quelli della produzione agricola derivati dai processi di produzione e trasformazione, i sottoprodotti o gli scarti dell’industria agroalimentare, le coltivazioni in terreni degradati, le residualità dei processi di deforestazione. I rifiuti permettono la produzione di energia e di metano; possono essere anche impiegati nelle operazioni di riciclaggio e riutilizzo degli stessi, ricavandone ulteriori conformazioni completamente differenti da quella iniziale. Prioritaria sarà la riduzione preventiva che punta alla diminuzione del volume dei rifiuti prodotti. Un processo sostenibile prevede il prolungamento della filiera produttiva dato che, successivamente alla raccolta agricola, una parte della produzione non può essere riutilizzata per la diretta immissione sul mercato in quanto la domanda risulta essere inferiore all’offerta ovvero perché, nell’aspetto, è meno appetibile sul mercato. Il ‘trasformato’, inserito nel mercato, consente un maggior guadagno rispetto al prezzo del prodotto di base. Il drenaggio dei suoli consente la raccolta delle acque piovane, per il riutilizzo e l’immissione all’interno della rete idrica destinandole agli scopi

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Applicazione degli interventi presenti nell‘abaco delle forme

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così detti “meno nobili”, quali irrigazione dei giardini, scarico dei wc, lavaggio di superfici esterne e automobili. In un contesto di sostenibilità, vanno considerati la tutela e il monitoraggio degli habitat e delle specie floristiche e faunistiche, con riferimento alla scheda SIC ITA 04007- Pizzo della Rondine, Bosco di Santo Stefano Quisquina. Nei processi per il miglioramento della gestione e per lo sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili, la mitigazione dell’effetto negativo di natura ambientale, in particolare nell’applicazione in ambito di Zero Energy Buildings, consente di ridurre al minimo o addirittura sopprimere l’impatto negativo di un piano o progetto durante o dopo la sua realizzazione. Gli impatti vanno evitati, ridotti o minimizzati col fine di migliorare le condizioni dell'ambiente interessato, compensando gli impatti residui. Per la mitigazione si impiantano specie differenti, tenendo conto delle caratteristiche pedoclimatiche e geobotaniche ovvero sostituendo le specie abbattute con lo stesso tipo di vegetazione. Questo è utile in particolare per le conifere che, una volta tagliate, non ricrescono. Tali interventi risultano essere necessari al fine di ridurre il dispendio di risorse proprie del territorio, per ricavare un utile dal punto di vista socio-economico, per di più a chilometro zero. La differente distribuzione delle risorse globali deve tenere conto anche di fenomeni, quali l’inquinamento, che incidono sul territorio in maniera uguale, ma con una differenziazione di effetti sulle diverse realtà territoriali. Si deve intervenire con un sistema ecologico che integri gli aspetti socio-ambientali e li eguagli, con un radicale cambiamento degli stili di vita, affinché sia garantita l’attenzione ai beni di natura pubblica e privata, la riduzione dei consumi, il riciclo dei rifiuti, la gestione delle acque e i trasporti sostenibili, con il sostegno della tecnologia quale supporto all’accordo tra Uomo e Natura.

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NORMATIVE

Direttiva 2001/2/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 - Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee L 197 del 21 luglio 2001) Direttiva 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 24/8 del 29 gennaio 2008) Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152: Norme in materia ambientale. (GU n.88 del 14-4-2006 - Suppl. Ordinario n. 96 ) Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4: Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 29 gennaio 2008 - Suppl. Ordinario n. 24/L) Decreto Presidenziale 8 luglio 2014, n. 23: Regolamento della valutazione ambientale strategica (VAS) di piani e programmi nel territorio della Regione Siciliana (Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia n. 39 del 19 settembre 2014) Delibera 6 giugno 2014 n.119 della Giunta Regionale Siciliana: Regolamento della valutazione ambientale strategica (VAS) di piani e programmi nel territorio della Regione siciliana

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NOTE BIOGRAFICHE

Maurizio Carta (Palermo 1967) è professore ordinario di urbanistica e pianificazione territoriale presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Plaermo. È Presidente della Scuola Politecnica dell'Università degli Studi di Palermo. Esperto di pianificazione urbana e territoriale, pianificazione strategica e rigenerazione urbana, ha redatto piani urbanistici, paesaggistici e strategici. Per le sue ricerche è invitato a tenere lezioni e conferenze in numerose università ed istituzioni italiane ed estere. È il responsabile delle Smart Planning Lab per la progettazione delle città intelligenti. È autore di più di 200 pubblicazioni, tra i libri più recenti: Creative City (2007), Governare l'evoluzione (2009), Reimagining Urbanism (2014). Daniele Ronsivalle (Catania 1975), architetto e PhD in Pianificazione Territoriale e Urbanistica presso l’Università degli Studi di Palermo, è ricercatore presso il Dipartimento di Architettura. I suoi interessi di ricerca riguardano la pianificazione urbana, l’innovazione nel rapporto tra paesaggio e identità culturale e le nuove frontiere della pianificazione urbana: infrastrutture e uso del territorio, riciclo urbano e qualità della vita, sviluppo urbano e territoriale in crescita lenta. È componente e responsabile operativo dello Smart Planning Lab del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Palermo, in cui si occupa delle questioni dell'innovazione urbana legata alla smart city e allo sviluppo locale dei territori. Si occupa di valutazione e pianificazione strategica legata alla riqualificazione delle risorse territoriali, ambientali e paesaggistiche. È autore di numerose pubblicazioni sui temi della relazione tra paesaggio e pianificazione territoriale tra cui Ri-generare il paesaggio (2007). Ha lavorato negli ultimi anni anche a progetti di ricerca sui temi della rigenerazione dei waterfront urbani europei e mediterranei a partire dalle quali, con Maurizio Carta, ha realizzato il volume "The Fluid City Paradigm" che uscirà nel 2016 per i tipi di Springer Verlag. Alessandra Badami (Palermo 1967), PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è professore associato di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Palermo. Conduce ricerche sulla valorizzazione del patrimonio culturale territoriale e sui processi di rinnovamento urbano per lo sviluppo economico e sociale e la riqualificazione delle città. Andrea Carubia (Bergamo 1989) si laurea con lode all’Università degli Studi di Palermo in Ingegneria dei Sistemi Edilizi nel 2014 con una tesi di Restyling Energetico su edifici residenziali. Nel 2015 consegue il titolo di Esperto in Pianificazione integrata per lo Sviluppo Sostenibile. Dal 2014 inizia l’attività di libera professione e collabora con diversi studi in Sicilia. Salvatore Cimino (Palermo 1974) è architetto e pubblicista. In qualità di landscape designer, ha collaborato a progetti per concorsi di architettura nazionali ed internazionali, mentre, come giornalista, ha redatto parecchi articoli su temi di attualità, società e cultura. Inoltre ha contribuito alla stesura di scritti e progetti relativi a diversi siti monumentali e archeologici, come la Villa del Casale di Piazza Armerina, Morgantina e Solunto.

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Annalisa Contato (Palermo 1982), architetto, ingegnere edile, esperto in Valorizzazione e gestione dei centri storici minori e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi del policentrismo, urban networks, smart city e sviluppo locale. Giorgio Cuccia (Palermo 1987) laureato in Architettura presso l’Università di Palermo ed esperto in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile. È stato cultore della materia presso il Laboratorio di Costruzione dell’Architettura dell’Università di Palermo. Vincitore del Concorso URBANPROMOGIOVANI2, con il Progetto di Rigenerazione Urbana del Waterfront di Palermo. Dal 2012 svolge la libera professione e collabora con studi di architettura e di ingegneria impiantistica. Francesco Gravanti (Palermo 1983) si laurea all’Università degli Studi di Palermo in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale. Ha svolto stage presso enti pubblici nell’ambito della pianificazione urbanistica. Dal 2014 svolge la libera professione collaborando con lo studio di architettura e urbanistica del Prof. Urbani. Nel 2015 consegue il titolo di Esperto in Pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile. Umberto La Commare (Palermo 1956) ingegnere meccanico, è professore ordinario di Tecnologie e Sistemi di lavorazione presso il DICGIM dell’Università degli studi di Palermo, dove tiene i corsi di Gestione della Produzione Industriale e di Gestione dell’Innovazione Tecnologica per il Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale. Le attività di ricerca negli ultimi anni si sono concentrate sui temi della tech-entrepreneurship e dal giugno 2003, su delega del Rettore, è Presidente del Consorzio ARCA, l’incubatore d’impresa dell’Università di Palermo. Barbara Lino (Palermo 1980), architetto e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è ricercatore presso l'Università degli Studi di Palermo. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della rigenerazione urbana, i contesti marginali e lo sviluppo locale. Tra le più recenti pubblicazioni: Periferie in trasform-azione. Riflessioni dai “margini” delle città (2013). Emanuele Messina (Palermo 1986) è Pianificatore territoriale e Ricercatore di “Psicologia del turismo e marketing relazionale” all’interno dello IEMEST di Palermo. Nel 2015 consegue con lode il Master in Pianificazione Integrata per lo sviluppo sostenibile. Dal 2014 segue esperienze di pianificazione partecipata in Sicilia e svolge attività di ricerca e sviluppo, europrogettazione e consulenze su temi quali innovazione e pianificazione urbana. Marilena Orlando architetto, PHD in Pianificazione Urbana e Territoriale e docente a contratto di Sistemi Informativi Territoriali per l’urbanistica. Le esperienze di ricerca, a partire dallo studio di approcci metodologici innovativi a supporto del recupero dei centri storici, si sono estese al tema della rigenerazione urbana. Dal 2009 si occupa di sviluppo locale con particolare attenzione al ruolo degli indicatori come strumenti analitici e valutativi per l’avvio di strategie di azione locale. Dal 2014, in qualità di tecnologo presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina, svolge attività di ricerca sullo sviluppo locale nelle aree interne al fine di individuare possibili strategie di rigenerazione rurale/urbana alimentate dalle risorse culturali e creative presenti.

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Giovanni Panepinto (1961) è Sindaco di Bivona, Deputato Regionale e principale animatore del territorio dei Sicani. È stato segretario comunale nel 1994 e nel 2000 segretario comunale generale fino al 2002, anno in cui assume l’incarico di Segretario generale e Direttore Generale del Comune di Favara (AG). Consigliere comunale a Bivona (1983/1993), Sindaco della stessa città (1993/2002 e dal 2007 a oggi), deputato regionale (dal 2006 ad oggi) e componente della commissione Bilancio, è stato coordinatore responsabile del Patto Territoriale Generalista “Magazzolo – Platani” e del Patto Territoriale Agricolo “Magazzolo – Platani.” Attualmente è presidente della S.MA.P spa (Società per lo sviluppo del Magazzolo Platani), soggetto responsabile dei Patti territoriali Magazzolo Platani. Maria Teresa Pollara (Palermo 1987) si laurea all’Università degli Studi di Palermo in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale. Inizia a collaborare in uno studio di Architettura e come consulente nel comune di Ficarazzi. Consegue il titolo di Esperta in Pianificazione Integrata per lo sviluppo sostenibile nel 2015, occasione che le permette di collaborare a un progetto Transnazionale “O.R.I. del Mediterraneo” PSR Sicilia 2007/2013. Vincenzo Provenzano è professore associato di economia applicata presso l’Università di Palermo dove insegna economia regionale; svolge attività di ricerca nel campo degli aspetti reali e finanziari dello sviluppo regionale e locale. Visiting Scholar presso la Northestern University è componente di organizzazioni scientifiche nazionali e internazionali. Pietro Sardina (Palermo 1987) si laurea con lode nel corso di laurea magistrale in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale presso l’Università degli Studi di Palermo. In seguito consegue con lode il master di II livello in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile. Da circa sei mesi collabora con lo studio di architettura e urbanistica “IDEA Urbana”, per la redazione di piani e programmi inerenti il campo dei trasporti. Luca Torrisi (Catania 1987) si laurea con lode (2013) in Architettura presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi sulla rigenerazione urbana; tematica che ha seguito anche partecipando al Concorso URBANPROMOGIOVANI2 (2010), risultando vincitore e al workshop Roma 20-25: nuovi cicli di vita della metropoli (2015). E’ esperto in Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile (2014). Svolge ricerche sulla pianificazione del governo del territorio e collabora con studi professionali. Ignazio Vinci, Architetto, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Pianificazione urbana e territoriale all’Università di Palermo e una specializzazione in sviluppo locale presso il Formez. Insegna Urbanistica nel corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura della Scuola Politecnica di Palermo, dov’è titolare di un laboratorio di laurea e delegato per l’internazionalizzazione ed il programma Erasmus. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Architettura, occupandosi del fenomeno urbano in Italia ed in Europa, di analisi ed interpretazione di politiche di rigenerazione urbana e sviluppo locale, di innovazione nelle politiche e negli strumenti di governo del territorio. È stato consulente di diverse municipalità ed agenzie pubbliche nella progettazione, accompagnamento e valutazione di piani e programmi per lo sviluppo territoriale. È autore di oltre cento pubblicazioni tra libri, saggi ed articoli in riviste nazionali ed internazionali.

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Finito di stampare nel mese di gennaio del 2016 dalla tipografia «la Cromografica S.r.l.» 00156 Roma – via Tiburtina, 912 per conto della «Aracne editrice int.le S.r.l.» di Ariccia (RM)



Re-It 17

Territori interni

Territori interni è il diciasettesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. Il libro contribuisce al paradigma Re-cycle definendo in che modo esso possa essere applicato a specifiche condizioni territoriali, come i territori interni, declinando i contorni epistemologici, gli strumenti progettuali e le applicazioni territoriali della pianificazione integrata per lo sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da cicli di vita rurali alimentati dai metabolismi culturali e ambientali. Gli Autori, insieme alle voci che contribuiscono allo sviluppo del tema, chiariscono in che modo l’integrazione tra le strategie di sviuppo territoriale, la tutela delle risorse culturali e paesaggistiche, i paradigmi ecomonici, gli aspetti imprenditoriali e quelli della valutazione strategica in campo ambientale creano un milieu di integrazione delle voci dello sviluppo, in territori “interni” che hanno perso la continuità dei cicli di vita che ne hanno costituito per secoli armatura di identità e sviluppo. Viene proposto quindi un progetto di territorio fatto dalla ricucitura di cicli insediativi e produttivi dei territori dei Sicani, una delle aree previste dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, attraverso politiche attive di interazione delle attività didattiche e di ricerca universitaria con le azioni di sviluppo locale. Il libro raccoglie anche gli esiti del Master Universitario di secondo livello in “Pianificazione Integrata per lo Sviluppo Sostenibile” svolto nell’anno accademico 2013-2014 a Bivona presso il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano Quisquina per l’energia, l’ambiente e le risorse del territorio. isbn

TERRITORI INTERNI

978-88-548-9009-1

Aracne

euro 24,00

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