Atlante 2015 parte3

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METODO DI PRODUZIONE Il terreno deve essere sottoposto ad un’accurata preparazione, che prevede l’interramento di concimi e un livellamento della superficie. Per la costituzione di nuove carciofaie possono essere utilizzate piantine con pane di terra oppure “carducci” (germogli che si formano dalle radici), che sono messi a dimora da agosto ad ottobre. La carciofaia è mantenuta in coltivazione per non più di quattro anni, con un avvicendamento triennale della coltura. La raccolta si effettua a mano, tagliando obliquamente i gambi a circa 15-18 cm dal terreno. Inizia a gennaio e può protrarsi fino a maggio. Tuttavia, il periodo ottimale è quello compreso tra inizio marzo e fine aprile. Raccogliendo il carciofo nel momento giusto, si impedisce la formazione di un’eccessiva peluria interna all’infiorescenza. ASPETTO E SAPORE Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP si presenta di grandi dimensioni, con capolini quasi rotondi, di colore dal verde al violetto. Il capolino centrale, chiamato “cimarolo” o “mammola”, è caratterizzato da una forma sferica, compatta, con diametro superiore a 10 cm ed è privo di spine. Rispetto ai capolini laterali (braccioli) risulta il più ricercato, perché molto tenero. STORIA Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP ha una lunga tradizione. Questo ortaggio è infatti presente da tempo immemorabile nella cultura gastronomica e rurale delle popolazioni del centro Italia. Alcune raffigurazioni parietali, rinvenute all’interno di tombe della necropoli etrusca a Tarquinia, ne testimoniano già la presenza. Le prime notizie certe sulla sua coltivazione risalgono al XV secolo, quando dalla zona di Napoli, dove era stato introdotto da Filippo Strozzi, il carciofo si diffuse in Toscana e successivamente in altre aree della Penisola. Tuttavia, solo dopo la seconda guerra mondiale il carciofo cominciò a diffondersi con sorprendente rapidità. Per le sue eccellenti proprietà organolettiche e la grande versatilità in cucina, oggi è un ortaggio molto diffuso nelle regioni centro-meridionali della Penisola, ma è nel Lazio che si sono sviluppate le cultivar più pregiate. GASTRONOMIA Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP dovrebbe essere

consumato subito dopo l’acquisto; è tuttavia possibile conservarlo in frigo per alcuni giorni. Se è molto giovane e tenero si può mangiare crudo, tagliato a fettine, condito con sale, olio, limone e menta, magari in abbinamento a scaglie di Parmigiano Reggiano DOP. Molto versatile, in cucina si presta per la preparazione di svariate ricette, soprattutto in quanto, data la morbidezza che lo contraddistingue, cuoce in soli 15 minuti circa. Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP è molto conosciuto nella tradizionale ricetta “alla romana”, farcito con aglio, prezzemolo, mentuccia e cotto a lungo in acqua e vino bianco. Se fritto è noto come “carciofo alla Giudia”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio da metà febbraio a maggio nella tipologia Carciofo Romanesco del Lazio IGP, nelle varietà Castellamare e Campagnano. È commercializzato in confezioni sigillate, contenenti i cimaroli o i braccioli, ricoperte con rete di plastica oppure in mazzi avvolti con una fascia. NOTA DISTINTIVA Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP ha trovato nei terreni della regione Lazio le caratteristiche ottimali che gli hanno permesso uno splendido adattamento.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Carciofo Romanesco del Lazio IGP ricade nei comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, in provincia di Viterbo; Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, in provincia di Roma; Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia, in provincia di Latina, nella regione Lazio.

CARCIOFO ROMANESCO DEL LAZIO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP è l’ortaggio fresco ottenuto dall’infiorescenza (o capolino) della pianta della specie Cynara scolymus, che viene raccolta immatura. È ottenuto dalle cultivar Castellammare, Campagnano e relativi cloni.

Consorzio Tutela Carciofo Romanesco Via Carlo Cavalieri, 1/A 00052 Ladispoli (RM) www.carcioforomanesco.it info@carcioforomanesco.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 2 Produzione (kg) 11.540

Fatturato (mln €) 0,03 Superficie (ha) ND Dati Qualivita - Ismea

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CARCIOFO SPINOSO DI SARDEGNA DOP Consorzio di Tutela del Carciofo Spinoso di Sardegna DOP Via Perugia, 12 - Valledoria (SS) Tel: +39 079 582248 +39 079 582248 www.carciofosardodop.it carcspindisardegna@tiscali.it

Agris Sardegna Località Bonassai S.S. 291 - 07100 Sassari Tel +39 079 079 2842307 www.sardegnaagricoltura.it sardegnaagricoltura@regione.sardegna.it

Operatori 56 Produzione (kg) 184.260

Fatturato (mln €) 0,10 Superficie (ha) 558,98 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP è un ortaggio della specie Cynara scolymus nell’ecotipo locale Spinoso Sardo. METODO DI PRODUZIONE La coltivazione avviene in pieno campo, su terreni di medio impasto e ben drenati. Gli organi di propagazione devono derivare da piante che abbiano caratteristiche specifiche dell’ecotipo Spinoso Sardo e che siano coltivate all’interno della zona di produzione. Il trapianto può avvenire in periodi diversi a seconda che si intenda ottenere una produzione precoce oppure tardiva. Nel primo caso il trapianto si effettua tra la seconda metà di giugno e i primi di agosto; nel secondo caso si effettua più tardi, nei mesi di agosto e settembre. La raccolta manuale deve avvenire prima dell’apertura delle brattee (foglie), mediante recisione del gambo al di sotto dei capolini (infiorescenza). Il periodo della raccolta va dal primo di settembre fino alla fine di maggio. Per essere immessi in commercio, i carciofi devono essere confezionati in imballaggi chiusi che riportano il logo della denominazione e il logo comunitario. Ogni singola confezione è numerata in modo che possa essere sempre tracciata. Tutte le suddette operazioni devono avvenire cercando di ridurre al minimo tempi e numero di manipolazioni, così da garantire la massima freschezza ad un prodotto delicato e facilmente deperibile. ASPETTO E SAPORE Il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP ha un capolino conico allungato e mediamente compatto, di colore verde con sfumature violetto-brunastre e spine di colore giallo sulle brattee. Il gambo è poco fibroso e tenero. La consistenza è carnosa, tenera e croccante insieme. Il profumo è intenso e floreale. Il gusto è caratterizzato da un giusto equilibrio tra amarognolo e dolciastro, risultando quindi poco astringente. STORIA La presenza del carciofo in Sardegna è documentata fin dal tempo dei Fenici, con una storia lunga e radicata che lo ha reso nel tempo una delle produzioni agricole più importanti della regione. È presente in letteratura già a partire dalla metà del XVIII secolo in numerose opere quali Agricoltura di Sardegna del 1780 e La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua del 1921. L’importanza della coltivazione è testimoniata dalle “tasse di assicurazione” che nell’Ottocento gli agricoltori pagavano per la sorveglianza dei campi di carciofo. A partire dal Novecento, poi, quella del carciofo di-

venta una coltura specializzata e comincia a essere una realtà conosciuta e apprezzata anche al di fuori dei confini regionali. GASTRONOMIA Ortaggio piuttosto delicato, il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP si conserva al meglio in luogo fresco e asciutto, preferibilmente in frigorifero, e va consumato in breve tempo. Grazie al sapore dolce, può essere consumato sia crudo, in pinzimonio, che cotto come ingrediente di piatti sfiziosi o di salse. Ottimo da conservare al naturale o sotto olio. Da provare nella ricetta delle frittelle con menta e ricotta sarda oppure nelle torte salate. In abbinamento un Vermentino di Gallura DOP, persistente e morbido. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Carciofo Spinoso di Sardegna DOP. È commercializzato, da settembre a maggio, in vassoi da 2 a 12 capolini, interi e/o porzionati; in cestini di materiale per alimenti da 500 g fino a 5 kg; in cassette di legno, cartone o plastica per alimenti contenenti dai 4 ai 60 capolini. Le categorie commerciali sono la Extra o la Prima. NOTA DISTINTIVA Il Carciofo Spinoso di Sardegna DOP risulta al palato poco astringente perchè la presenza dei tannini responsabili di tale sensazione è controbilanciata dall’elevato contenuto di carboidrati che determinano invece sensazioni di dolcezza. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Carciofo Spinoso di Sardegna DOP interessa numerosi comuni di tutte le province della regione Sardegna.


METODO DI PRODUZIONE Una volta preparato il terreno attraverso operazioni di aratura, fresatura e rullatura, si procede alla semina, che viene effettuata, nel periodo compreso tra febbraio e aprile, esclusivamente a macchina, per favorire l’ottimale uniformità di distribuzione e densità dei semi. Le operazioni colturali eseguite sono la “sarchiatura” e la “rincalzatura”. L’irrigazione deve essere frequente, ma non troppo abbondante e in estate deve essere effettuata solo durante la notte per non rovinare le piantine. La raccolta avviene nelle prime ore di sole e può essere praticata tutto l’anno, ma la migliore produzione si ottiene da giugno a ottobre, in base agli stadi di maturazione più idonei, in funzione della destinazione del prodotto e della tipologia di confezionamento. Il prodotto da destinare alla conservazione viene raccolto a sviluppo ultimato e non prima del termine previsto per la cultivar, considerando anche l’andamento climatico della stagione, per garantire una maggiore conservabilità delle caratteristiche qualitative ed organolettiche. Entro quattro ore dalla raccolta, il prodotto viene trasferito al centro di lavaggio e confezionamento, dove viene immediatamente raffreddato, lavorato e confezionato. ASPETTO E SAPORE La Carota dell’Altopiano del Fucino IGP ha forma cilindrica con punta arrotondata, è priva di peli radicali e caratterizzata da un uniforme colore arancio intenso, compreso il colletto. La polpa è croccante e vitrea alla rottura. Il sapore è dolce. STORIA Proveniente dalle aree temperate europee, la pianta della carota sembra trovi le sue origini in Afghanistan. Ad iniziarne per primi la coltivazione furono i Greci ed i Romani. La diffusione nell’Altopiano del Fucino risale invece a un’epoca più recente, successiva al prosciugamento del lago Fucino che ricopriva l’ampia conca fino al 1870. La coltivazione delle carote a pieno campo, nell’area ormai bonificata, è iniziata invece nel 1950. GASTRONOMIA La Carota dell’Altopiano del Fucino IGP si conserva abbastanza a lungo in luogo fresco. È un ortaggio

molto ricco di caroteni, sostanze che l’organismo utilizza per la produzione di vitamina A, che è importante per diverse funzioni dell’organismo e in particolare per la vista. In tal senso la carota entra nella produzione di succhi di frutta. Si può consumare cruda dopo aver leggermente grattato la parte esterna. La Carota dell’Altopiano del Fucino IGP è protagonista di svariate ricette. In insalata, tagliata a striscine, a rondelle, a julienne; si accompagna magnificamente ad erbe verdi, pomodori, radicchi, mele e arance. È ottima anche per passati e minestroni, come contorno di arrosti e negli sformati. Può essere cotta al burro, all’olio o in padella con i broccoli. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Carota dell’Altopiano del Fucino IGP. È commercializzato fresco in appositi imballaggi realizzati in legno, cartone o plastica con la necessaria etichettatura. Sono disponibili anche prodotti trasformati a base di Carota dell’Altopiano del Fucino IGP. NOTA DISTINTIVA La Carota dell’Altopiano del Fucino IGP cresce in una terra “giovane”, resa fertile dalla grande quantità di humus creata nel corso dei millenni dalle sostanze organiche depositatesi sul fondo del lago, ad un’altitudine di 700 metri s.l.m. La notevole fertilità del terreno arricchisce l’ortaggio di un elevato contenuto vitaminico e proteico. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della carota dell’Altopiano del Fucino IGP è l’Altopiano del Fucino, un bacino di 14.000 ettari fiancheggiato da alte cime appenniniche, in provincia de L’Aquila, nella regione Abruzzo.

CAROTA DELL’ALTOPIANO DEL FUCINO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Carota dell’Altopiano del Fucino IGP è l’ortaggio da radice fresco appartenente alla specie Daucus carota L. e derivante dalle varietà Maestro (Vilmorin), Presto (Vilmorin), Concerto (Vilmorin), Napoli (Bejo), Nandor (Clause) e Dordogne (SG).

Consorzio Tutela e Valorizazione Ortaggi dell Altopiano del Fucino Via M. Colonna, 41 67051 Avezzano (AQ) Tel: +39 0863 441179

Omnia Qualità Via Tiburtina Valeria n. km 110 - 67060 L’Aquila (AQ) Tel: +39 086 3416410 www.prodottibio.com/oq/ omniaqualita@prodottibio.com

Operatori 8 Produzione (kg) 611.770

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 36,59 Dati Qualivita - Ismea

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CAROTA NOVELLA DI ISPICA IGP Consorzio di Tutela I.G.P. Carota Novella di Ispica Via B. Spadaro, 97 - 97014 Ispica (RG) Tel: +39 0932 950964 www.carotanovellaigp.it info@carotanovellaigp.it

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori 16 Produzione (kg) 719.579

Fatturato (mln €) 0,34 Superficie (ha) 123,46 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Carota Novella di Ispica IGP è un ortaggio fresco appartenente alla specie Daucus carota L. , nelle varietà derivanti dal gruppo Carota Semilunga Nantese e relativi ibridi. METODO DI PRODUZIONE Prima della semina il terreno viene adeguatamente preparato con aratura che crea solchi profondi 4050 cm. La semina viene effettuata in autunno con seminatrici pneumatiche di precisione; segue la “rullatura” che interra i semi ad 1 cm di profondità. È ammesso l’uso di concimi purché misto-organici oppure a base di meso o micro-elementi. Possono inoltre essere eseguite operazioni di “sarchiatura” al fine di eliminare le erbe infestanti, migliorare la morbidezza del terreno e distribuire al meglio i concimi. La raccolta avviene giornalmente a partire dal 20 febbraio fino al 15 giugno, con l’ausilio di macchine raccoglitrici in grado di passare una volta sola sul terreno. Il prodotto fresco viene quindi lavato, selezionato e confezionato nella zona di produzione. ASPETTO E SAPORE La Carota Novella di Ispica IGP ha forma cilindroconica, diametro variabile da 15 a 40 mm e peso compreso tra 50 e 150 g. Si presenta pulita, lucida in superficie; priva di radice apicale e radichette secondarie, senza fessure visibili; il colore arancione è particolarmente intenso. La polpa è tenera e croccante mentre la parte più interna è fibrosa. Il sapore è quello tipico della carota; il profumo è intenso con note di erbaceo. STORIA Le prime testimonianze sulla produzione della carota a Ispica risalgono al 1955. Da questo comune siciliano, la coltivazione dell’ortaggio si è diffusa in tutta l’area geografica che oggi costituisce la zona di produzione. Negli anni Cinquanta sono iniziate anche le prime operazioni di esportazione della carota di Ispica: alcune testimonianze raccontano che gli importatori europei riconoscevano immediatamente un carico di Carota Novella di Ispica dal profumo particolare ed intenso. L’importanza del prodotto per l’economia del territorio è affermata da Pina Avveduto nel suo La Coltivazione della Carota ad Ispica (1972): “come è intuibile, la rapida diffusione della nuova coltivazione è stata favorita dalla facile commerciabilità del prodotto, accettato ed anzi richiesto da tutti i mercati nazionali ed internazionali per i sui pregi intrinseci. La nostra carota infatti si fa preferire per precocità, qualità di forma (pezzatura), proprietà organolettiche (colore, sapore), proprietà chimiche”.

GASTRONOMIA La carota Novella di Ispica IGP va conservata in luogo fresco, meglio se in frigorifero nel ripiano in cui si ripongono solitamente le verdure, avvolta in un canovaccio appena inumidito. Per non disperdere le sue qualità nutrizionali, l’ideale è consumarla cruda, in pinzimonio o in insalata, oppure cotta al vapore. In cucina, è uno degli ingredienti più diffusi e ogni ricetta richiede un taglio particolare. Si abbina ad altri ortaggi, servita in insalata o in piatti caldi. Famoso il suo impiego nella preparazione di dolci, zuppe, caponata e marmellate. È gustosa anche fritta, lessa o cucinata in agrodolce. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Carota Novella di Ispica IGP. È venduto nelle categorie commerciali Extra (di qualità superiore) e Prima (di buona qualità). È commercializzato in vassoi di peso inferiore a 2 kg, ricoperti da film di protezione; in sacchi in polietilene o polipropilene di peso compreso tra 1 e 6 kg o in sacchi salvafreschezza di peso compreso tra 6 e 12 kg. NOTA DISTINTIVA Giungendo a maturazione già a fine febbraio, la Carota Novella di Ispica IGP si distingue dalle altre carote per essere un prodotto tipicamente invernaleprimaverile, precoce, per questo definita “novella”, dalle eccellenti caratteristiche chimiche e organolettiche. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Carota Novella di Ispica IGP comprende alcuni comuni delle province di Ragusa, Siracusa, Catania e Caltanissetta, nella regione Sicilia.


METODO DI PRODUZIONE I terreni che vengono coltivati a castagno sono generalmente profondi, drenati, ricchi di sostanza organica e privi di calcare attivo, tali da conferire al frutto particolari caratteristiche organolettiche. I castagneti vengono curati e potati periodicamente con i sistemi tradizionali in uso nel territorio. Le castagne appena raccolte possono essere trattate in acqua calda o essere sottoposte alla tecnica della “curatura”, che consiste nell’immersione dei frutti in vasche colme di acqua a temperatura ambiente per 7-9 giorni. Ciò produce una leggera fermentazione che consente di creare un ambiente sterile senza l’aggiunta di additivi. È ammessa la conservazione tramite sbucciatura e successiva surgelazione. Per la Castagna Cuneo IGP allo stato secco si esegue invece la tradizionale tecnica dell’essiccazione, che avviene a fuoco lento in apposite strutture in muratura. ASPETTO E SAPORE La Castagna Cuneo IGP allo stato fresco ha una colorazione esterna che va dal marrone chiaro al bruno scuro; l’ilo è più o meno ampio, mai debordante sulle facce laterali, di colore nocciola e raggiatura stellare; l’epicarpo va da giallo a marrone chiaro; il seme è bianco tendente al crema ed ha una consistenza croccante e un sapore dolce e delicato. Allo stato secco, la Castagna Cuneo IGP si presenta sgusciata e dal colore paglierino chiaro. STORIA La Castagna Cuneo IGP vanta origini antiche. La storia delle popolazioni delle valli cuneesi è infatti strettamente legata alla produzione e al consumo di castagne. I primi riferimenti alla coltura del castagno nella provincia di Cuneo risalgono alla fine del XII secolo. A partire dal XIV secolo i documenti si fanno sempre più precisi: già all’epoca, infatti, i castellani del regno sabaudo annotavano quantità e caratteristiche del prodotto dei castagneti. Dopo l’Unità d’Italia il castagno ha continuato ad essere una componente essenziale dell’alimentazione e del reddito delle famiglie della montagna. Dai primi anni del Novecento si assiste ad una crisi della coltura dovuta all’esodo delle famiglie

verso le grandi città e l’estero; solo verso gli ultimi anni del secolo viene recuperata la produzione del castagno fino alla grande notorietà odierna. GASTRONOMIA La Castagna Cuneo IGP si conserva in luoghi freschi e asciutti. È ottima gustata allo stato fresco, ma anche lessata o arrostita. Viene utilizzata come ingrediente di dolci raffinati: mousse, soufflée, creme bavaresi e gelati. Le farine e le castagne secche possono essere utilizzate anche per piatti tradizionali cuneesi come polente, tagliatelle e gnocchi. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Castagna Cuneo IGP, nelle tipologie: Fresca e Secca. La prima è disponibile sul mercato dall’inizio di ottobre fino alla metà di novembre; la seconda nel corso dell’inverno fino generalmente a metà marzo. È commercializzato in confezioni a sacco di materiali diversi e di peso compreso tra 0,10 e 30 kg; in cassette in legno o plastica e sacchi di juta da 5-10-25-30-50 e 100 kg. È utilizzato anche come ingrediente per la produzione di farina commercializzata come Farina di Castagna Cuneo IGP. NOTA DISTINTIVA La Castagna Cuneo IGP deve le sue peculiarità alle particolari condizioni climatiche della zona di produzione, situata a quote non troppo alte, fra i 200 e i 1000 metri s.l.m.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Castagna Cuneo IGP comprende un centinaio di comuni della provincia di Cuneo, nella regione Piemonte.

CASTAGNA CUNEO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Castagna Cuneo IGP si riferisce al frutto allo stato fresco o secco della specie Castanea sativa M., nelle varietà: Ciapastra, Tempuriva, Bracalla, Contessa, Pugnante, Sarvai d’Oca, Sarvai di Gurg, Sarvaschina, Siria, Rubiera, Marrubia, Gentile, Verdesa, Castagna della Madonna, Frattona, Gabiana, Rossastra, Crou, Garrone Rosso, Garrone Nero, Marrone di Chiusa Pesio e Spina Lunga.

Consorzio di Valorizzazione e Tutela della Castagna Cuneo IGP Via Caraglio, 16 12100 Cuneo (CN) Tel: +39 0171 693966

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 11 Produzione (kg) 3.420

Fatturato (mln €) 0,01 Superficie (ha) 22,54 Dati Qualivita - Ismea

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CASTAGNA DEL MONTE AMIATA IGP Associazione per la valorizzazione della Castagna del Monte Amiata Loc. Colonia - 58031 Arcidosso (GR) Tel: +39 0564 965258 www.castagna-amiata.it associazioni@cm-amiata.gr.it

CCPB srl Viale Masini 36 - 40126 Bologna Tel +39 051 6089811 Fax +39 051 254842 www.ccpb.it ccpb@ccpb.it

Operatori 118 Produzione (kg) 12.280

Fatturato (mln €) 0,04 Superficie (ha) 316,73 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Castagna del Monte Amiata IGP designa il frutto allo stato fresco ottenuto dalla specie botanica Castanea sativa M., nelle varietà Cecio, Marrone e Bastarda Rossa. METODO DI PRODUZIONE I castagni devono essere ubicati in una zona compresa tra 350 e 1000 metri s.l.m. La raccolta dei frutti può essere effettuata a mano o con mezzi meccanici idonei e avviene tra il 15 settembre e il 15 novembre, in periodi diversi a seconda della varietà. Il Cecio è la prima tipologia ad essere raccolta, segue, a distanza di circa 10 giorni, la Bastarda Rossa e dopo un’altra decina di giorni il Marrone. In caso di andamento stagionale avverso può protrarsi fino a un massimo di altri quindici giorni. La conservazione viene effettuata mediante cura in acqua fredda per non più di sette giorni senza aggiunta di additivi o attraverso sterilizzazione con bagno in acqua calda e poi in acqua fredda secondo la tecnica locale. ASPETTO E SAPORE La Castagna del Monte Amiata IGP si presenta di grandi dimensioni (circa 80 frutti per chilogrammo), di forma variabile a seconda della varietà (da obovata-rotondeggiante a ovale-ellittica ovale nel tipo Marrone; ovale con apice poco pronunciato nella Bastarda Rossa; globosa nella varietà Cecio). Il colore dell’involucro esterno (pericarpo) varia da rosso fulvo a marrone rossastro nel Marrone, rossastro con striature marroni nella Bastarda Rossa e bruno-rossastro, lucente, con striature più scure nel Cecio. La polpa è color crema chiaro. Il sapore è dolce, gradevole e delicato. STORIA La coltura del castagno nell’area del Monte Amiata ha origini lontane e consolidate nel tempo. Già nel XIV secolo si fa menzione a specifiche norme per la tutela e lo sfruttamento dei castagni, con riferimento sia alla raccolta dei frutti che al disboscamento a scopo energetico. Inoltre si prevedeva un determinato calendario per la raccolta delle castagne, precisando il periodo riservato al proprietario e il periodo nel quale la raccolta era libera alla popolazione. Ciò consentiva a tutti, anche ai più poveri, un minimo di sostentamento: considerata il “pane della povera gente”, costituiva fino alla prima metà del Novecento l’unica fonte di sopravvivenza per la maggior parte della popolazione. Infatti il prodotto era per lo più trasformato in farina, più adatta ad essere cucinata e conservata. GASTRONOMIA La Castagna del Monte Amiata IGP deve essere conservata in un luogo fresco e asciutto. Glassata o sec-

cata, trasformata in marmellata, o macinata e ridotta in farina, gli usi in cucina della Castagna del Monte Amiata IGP sono davvero infiniti. Lessata o arrostita, si sposa perfettamente con vini dolci moscati, con il gelato e le creme. È protagonista di molte ricette tipiche locali come il castagnaccio, i necci, le frittelle e la polenta. È utilizzata nella preparazione di pasta fresca (tortelli, tagliolini, pici) e per insaporire minestre e anche nella produzione della birra. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Castagna del Monte Amiata IGP, nelle varietà: Cecio, Marrone e Bastarda Rossa. È commercializzato, nel periodo autunnale, in sacchetti in rete per alimenti di peso e dimensioni variabili. NOTA DISTINTIVA La particolare composizione dei terreni nella zona di produzione, derivati per la maggior parte dal disfacimento di rocce vulcaniche e arenacee a prevalente o abbondante componente silicea, conferiscono alla Castagna del Monte Amiata IGP ottime proprietà organolettiche. Inoltre, la particolare condizione climatica dell’area amiatina consente una produzione di qualità in anticipo rispetto alle aree più settentrionali della regione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Castagna del Monte Amiata IGP comprende i comuni di Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano in provincia di Grosseto e Abbadia S. Salvatore, Castiglione d’Orcia e Piancastagnaio in provincia di Siena, nella regione Toscana.


METODO DI PRODUZIONE La maturazione delle castagne è graduale e si può protrarre per oltre un mese. La raccolta è eseguita di norma manualmente, secondo tecniche tradizionali che prevedono un’attenta selezione del prodotto; ha inizio a settembre per terminare ad ottobre. Le castagne vengono quindi sottoposte a cernita, calibratura e stoccaggio. Il frutto fresco viene conservato tramite “curatura”, vale a dire mediante immersione in acqua a temperatura ambiente per un periodo di 4-8 giorni. Per la castagna allo stato secco, si esegue la tradizionale tecnica dell’essiccazione a fuoco lento e continuato, in essiccatoi su due livelli costruiti generalmente in pietra. Durante l’essiccazione i frutti vengono rivoltati più volte e la temperatura interna viene controllata giornalmente, affinché rimanga costante. L’operazione dura in media 15-20 giorni. ASPETTO E SAPORE La Castagna di Montella IGP ha una pezzatura media o medio-piccola, forma rotondeggiante con faccia inferiore piatta e base convessa. La buccia è sottile e di colore marrone carico, facilmente staccabile. La polpa è bianca, croccante e dal sapore dolce e gradevole. STORIA Le origini della Castagna di Montella IGP affondano le radici in una tradizione plurisecolare. Sembra infatti che nell’area di Montella la coltivazione del castagno, originario dell’Asia Minore, risalga ad un periodo compreso fra il VI ed il V secolo a.C. In provincia di Avellino ha trovato il suo habitat ideale grazie al clima e alla natura vulcanica del territorio. Al tempo dei Longobardi risale la prima legge per la tutela di questa coltivazione, considerata già allora una preziosa risorsa, soprattutto per il pregio che aveva la farina di castagne di potersi conservare a lungo. Con i flussi migratori, la castagna di Montella nel XIX secolo arrivò fino negli Stati Uniti e in Canada. GASTRONOMIA La Castagna di Montella IGP si conserva in luoghi freschi e asciutti, lontano da fonti di calore. Per le notevoli caratteristiche di fragranza, sapidità e serbevolezza, il prodotto viene utilizzato allo stato fresco o secco, con il guscio o senza, intero o sfarinato. La Castagna di Montella IGP viene preparata come

caldarrosta o lessata in acqua/latte. In cucina entra perfettamente nella preparazione di primi e secondi piatti, ottima nelle minestre e per guarnire carni, oltre che come ingrediente fondamentale di dolci di diverso tipo. Rinomata è la ricetta della “castagna del prete”, tipica del periodo natalizio, realizzata con le castagne in guscio che vengono prima essiccate a fuoco lento, in locali detti “gratali”, poi tostate e successivamente reidratate con acqua o con acqua e vino. È particolarmente richiesta dall’industria di trasformazione per la realizzazione di marron glacés, marmellate, confetture e creme. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio, a partire dal mese di ottobre, nella tipologia Castagna di Montella IGP, allo stato fresco e secco. Il prodotto secco è commercializzato intero, in guscio o sgusciato intero o sfarinato, in confezioni idonee all’uso alimentare. Il prodotto fresco è confezionato in sacchetti di juta, o reti, o altri contenitori idonei di peso variabile da 1 kg a 10 kg. NOTA DISTINTIVA Dal punto di vista nutrizionale, la Castagna di Montella IGP è particolarmente indicata per l’organismo dato l’elevato contenuto di carboidrati e l’alto valore energetico.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Castagna di Montella IGP ricade nei territori dei comuni di Montella, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano, in particolare in contrada Bolifano, nella provincia di Avellino, nella regione Campania.

CASTAGNA DI MONTELLA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Castagna di Montella IGP si riferisce al frutto, allo stato fresco o secco, appartenente alla specie Castanea sativa M., ottenuto per il 90% dalla varietà Palummina e per il restante 10% da altre varietà autoctone, in particolare la Verdola.

Consorzio di Promozione e Tutela della Castagna di Montella via Don Minzoni 83048 Montella (AV) Tel: +39 0827 609006

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 25 Produzione (kg) 13.709

Fatturato (mln €) 0,04 Superficie (ha) 105,16 Dati Qualivita - Ismea

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CASTAGNA DI VALLERANO DOP Associazione Castanicoltori Vallecimina Via Torrione, 5 - 01030 Vallerano (VT) Tel: +39 0761 751949 Fax: +39 0761 751949 vallecimina@alice.it

CCIAA di Viterbo Via F.lli Rosselli, 4 - 01100 Viterbo Tel: +39 0761 2341 Fax: +39 0761 345755 www.vt.camcom.it segreteria.generale@vt.camcom.it

Operatori Potenziali 24 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Potenziali 39,01 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Castagna di Vallerano DOP si riferisce al frutto allo stato fresco proveniente dall’ecotipo locale di Castanea sativa M. METODO DI PRODUZIONE La Castagna di Vallerano DOP è coltivata in castagneti ubicati in terreni di origine vulcanica, ad una quota di 400-500 metri s.l.m. La raccolta viene effettuata tra il 20 settembre e il 10 novembre, a mano o con macchine raccoglitrici aspiratrici. La resa oscilla tra un minimo di 2 ad un massimo di 6 tonnellate per ettaro. La conservazione del prodotto avviene mediante “curatura” in acqua fredda o mediante sterilizzazione in acqua calda e successivo bagno in acqua fredda, in entrambi i casi senza l’aggiunta di alcun tipo di additivo. La “cura a freddo”, da tradizione, ha luogo in vasche all’interno di grotte tufacee secolari, locali che sono molto numerosi a Vallerano e testimoniano ancora oggi il forte legame tra la coltivazione e il territorio. Le castagne ancora umide vengono distese al suolo e selezionate. Dopo un’idonea asciugatura, le castagne vengono lavate, sgocciolate ed asciugate. Seguono le fasi di spazzolatura, cernita e infine di calibratura, necessaria per distinguere il prodotto in base alla pezzatura. ASPETTO E SAPORE La Castagna di Vallerano DOP ha pezzatura piccola (96-120 acheni/kg), media (71-95 acheni/kg) e grossa (50-70 acheni/kg). La forma è prevalentemente ellissoidale, a volte globosa, con apice appuntito terminante con residui stilari (torcia) e una cicatrice ilare di forma quadrangolare, generalmente piatta. Il pericarpo è sottile, facilmente distaccabile, di colore bruno-rossiccio, con episperma color camoscio. Il seme, quasi privo di solcature in superficie, ha polpa bianca, croccante e di sapore dolce e gradevole, molto resistente alla cottura. STORIA Si tramanda che le zone attualmente coltivate a castagno non abbiano mai avuto altro utilizzo dal punto di vista agricolo: la presenza dei castagneti nella zona di Vallerano è infatti preesistente ad altre colture, anche a quelle arboree. Nella Rivista Geografica Italiana n. 87 del 1980 è indicato che la coltura del castagno esisteva già nell’anno 1500. Nel 1584 il principe Farnese, come attestano fonti dell’epoca, autorizzò l’esportazione delle castagne solo ai paesi vicini che offrivano in cambio cereali. Il primo censimento al quale si può fare riferimento per avere notizia circa la produzione di castagne in questa zona è quello effettuato nello Stato Ecclesiastico nel 1656. Nel volume

Vallerano e le Confraternite, scritto da Monsignor Manfredo Manfredi e pubblicato nel 1996, è indicato che il maggiore sostentamento delle locali confraternite era rappresentato dalla vendita delle castagne. In tempi recenti, negli Atti del Convegno Internazionale tenuto a Spoleto nel 1993, si indica la piazza di Vallerano come il centro più importante del Viterbese sia per la produzione che per la commercializzazione di questo prodotto. GASTRONOMIA La Castagna di Vallerano DOP va conservata in ambienti asciutti e ventilati, per mantenere intatte le sue particolari qualità di croccantezza e sapore. Grazie alle notevoli caratteristiche di fragranza, sapidità e resistenza alla cottura, la Castagna di Vallerano DOP può essere consumata cruda, cotta o secca. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Castagna di Vallerano DOP nelle pezzature: grossa, media e piccola. È disponibile sul mercato nel periodo autunnale e viene confezionato in appositi sacchi, in confezioni di peso variabile da 1 a 30 kg. I sacchi devono essere sigillati in modo tale da impedire l’estrazione del contenuto senza la rottura del sigillo. NOTA DISTINTIVA La Castagna di Vallerano DOP si distingue dalle altre castagne per la maggiore pezzatura.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Castagna di Vallerano DOP è rappresentata esclusivamente dal territorio del comune di Vallerano, in provincia di Viterbo, nella regione Lazio.


METODO DI PRODUZIONE I sistemi di conduzione degli impianti sono quelli consolidati dalla tradizione e tengono in considerazione fattori quali il tipo di cultivar di ciliegio, il tipo di suolo e il clima. La coltivazione può seguire il metodo convenzionale, quello integrato oppure biologico. La raccolta avviene nei mesi di giugno e luglio e deve essere eseguita a mano, quando il frutto ha completato naturalmente il proprio processo di maturazione, avendo cura di staccare le ciliegie dalla pianta con tutto il peduncolo, al fine di evitare infezioni e marciumi che ne comprometterebbero le caratteristiche organolettiche. Prima del confezionamento, che deve avvenire entro le 12 ore successive alla raccolta, i frutti vengono conservati all’interno di luoghi freschi e al riparo dalla luce diretta del sole, per evitare lo scadimento della qualità. Se la commercializzazione non avviene entro le 48 ore successive alla raccolta, i frutti devono essere conservati ad una temperatura compresa tra 18 e 20°C all’interno di celle frigorifero. ASPETTO E SAPORE La Ciliegia dell’Etna DOP si contraddistingue per la pezzatura medio-grande con peduncolo lungo e il classico colore rosso brillante. L’esterno è croccante, la polpa compatta e il sapore dolce, gradevole ed equilibrato grazie alla bassa acidità associata ad un buon tenore zuccherino. STORIA Nella zona di interesse la coltivazione della Ciliegia dell’Etna DOP ha una tradizione secolare basata sugli sforzi continui dei contadini del posto di trasformare i terreni vulcanici chiamati sciare, (termine dialettale di derivazione araba che significa “terra bruciata”) in terreni fertili. I maggiori sforzi sono stati profusi nella creazione di impianti irrigui localizzati che consentissero irrigazioni di soccorso e fertirrigazioni durante la lunga stagione vegetativa in periodo asciutto. La produzione di questo frutto è così da tempo al centro di un importante indotto economico fatto di mestieri e tradizioni, come dimostrano anche le sagre e gli eventi ad esso dedicati. In particolare, la “Sagra delle ciliegie e delle rose” che, dal 1950, si tiene l’ultimo fine settimana di giugno e la “Reginetta delle ciliegie”, sagra basata su un’antica festa popolare che avveniva in occasione della

raccolta delle ciliegie coltivate nella zona di Fondo Macchia. GASTRONOMIA La Ciliegia dell’Etna DOP si conserva in frigorifero per alcuni giorni, facendo attenzione a eliminare eventuali frutti danneggiati. Questi frutti sono consumati allo stato fresco e vengono impiegati come ingrediente nella preparazione di marmellate, bavaresi e dolci. Tra questi ultimi ottimi sono il plumcake, il cheesecake, la torta di riso e il crumble alle ciliegie. Per i piatti salati, l’utilizzo della Ciliegia dell’Etna DOP è ancora limitato a poche pietanze a base di carne, quali ad esempio l’anatra e il manzo. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Ciliegia dell’Etna DOP. Le ciliegie appartengono alle categorie Extra e Prima e devono essere confezionate in contenitori di altezza non superiore a 12 cm e con capacità massima di 10 kg di prodotto. Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo in pezzatura e maturazione. È disponibile nei mesi di giugno e luglio. NOTA DISTINTIVA La Ciliegia dell’Etna DOP si distingue per i lunghi tempi di maturazione, molto più ampi rispetto ad altre varietà, a causa del progressivo innalzamento, rispetto al livello del mare, dei terreni di coltivazione della zona del vulcano Etna.

CILIEGIA DELL’ETNA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Ciliegia dell’Etna DOP designa il frutto allo stato fresco ottenuto dalla varietà di ciliegio dolce Prunus avium L., della famiglia delle Rosaceae , nell’ecotipo Mastrantonio (Donnantonio).

Consorzio di Tutela Ciliegia dell’Etna Via Emilia, 21 - 95014 Giarre (CT) www.fruttaetna.it

consorzioditutelaciliegiaetna@pcert.postecert.it

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Ciliegia dell’Etna DOP comprende numerosi comuni della provincia di Catania, nella regione Sicilia.

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori Potenziali 12 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Potenziali 6,52 Dati Qualivita - Ismea

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CILIEGIA DI MAROSTICA IGP Consorzio Tutela Ciliegia di Marostica IGP Piazza Mazzini, 18 - 36042 Breganze (VI) Tel: +39 0445 873607 www.ciliegiadimarosticaigp.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 119 Produzione (kg) 32.081

Fatturato (mln €) 0,10 Superficie (ha) 33,65 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Ciliegia di Marostica IGP designa il frutto allo stato fresco ottenuto dalla coltivazione delle seguenti varietà della specie Prunus avium L.: le precocissime Sandra e Francese, quest’ultima ascrivibile alle varietà Bigareaux Moreaux e Burlat; la medio precoce Roana ed il durone precoce Romana; le tardive duracine Milanese, il Durone Rosso (Ferrovia simile), la Bella Italia e la Sandra Tardiva; le varietà Van, Giorgia, Ferrovia, Durone Nero I, Durone Nero II e Mora di Cazzano. METODO DI PRODUZIONE La produzione della Ciliegia di Marostica IGP avviene quasi esclusivamente in zona collinare su terreni fertili e ricchi di potassio, che consentono di ottenere un prodotto dolce e gustoso. La raccolta viene effettuata a mano a partire dalla terza decade di maggio per le varietà precoci e dalla seconda decade di giugno per quelle tardive. I frutti devono essere disposti in contenitori con pareti rigide e, subito dopo la raccolta, devono essere sottoposti ad accurata cernita e quindi conservati in locali freschi e ombreggiati, per mantenerne inalterate le qualità e consentire una maggiore conservabilità. ASPETTO E SAPORE La Ciliegia di Marostica IGP presenta una forma tendenzialmente cuoriforme, con calibro minimo di 23 mm e buccia di colore che va dal rosso scuro al rosso fuoco a seconda delle varietà. È caratterizzata da una polpa mediamente soda, succosa, dal gusto pieno, dolce e molto gradevole. È un frutto prezioso da un punto di vista nutritivo e salutistico. STORIA La coltivazione della ciliegia di Marostica ha origini molto antiche; si racconta che la sua storia sia legata alla vicenda della Partita a Scacchi, evento ricordato ancora oggi ogni anno, a fine maggio, nel corso della Mostra Regionale delle Ciliegie. Nel 1454 Taddeo Parisio, castellano e governatore della nobile terra di Marostica, a seguito della richiesta di due cavalieri di avere sua figlia come moglie, decise, per evitare duelli, di darla in sposa a chi dei due avesse battuto l’altro in una partita a scacchi viventi. Il vincitore ebbe in sposa la figlia, il perdente la sorella del governatore. Il giorno delle nozze Taddeo Parisio ordinò che si mettessero a dimora in tutto il territorio delle piante di ciliegie a ricordo del lieto evento. In tempi più recenti invece, la coltura delle ciliegie ha acquisito una notevole importanza commerciale, tanto che alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, fu costituito il primo Consorzio Conservazione Frutta di

Mason Vicentino, con lo scopo di gestire e organizzare la produzione delle ciliegie. GASTRONOMIA La Ciliegia di Marostica IGP si conserva in frigorifero per alcuni giorni, eliminando però i frutti danneggiati. Oltre ad essere consumate allo stato fresco, vengono impiegate anche nella preparazione di dolci, marmellate e bavaresi. Particolarmente indicate per la conservazione sotto grappa, alcool o vino rosso. Più raro il loro impiego come ingredienti in cucina, anche se recentemente si stanno diffondendo alcune ricette che ne prevedono l’abbinamento con le carni, in particolare di anatra e di manzo. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio, nel periodo estivo, nella tipologia Ciliegia di Marostica IGP. Le ciliegie appartengono alla categoria commerciale Prima e sono confezionate in appositi contenitori di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo, con capacità da un minimo di 250 g a un massimo di 10 kg. Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere esclusivamente ciliegie di uguale varietà e qualità. NOTA DISTINTIVA La Ciliegia di Marostica IGP è un frutto dalle molte proprietà benefiche, ricco di vitamine, polifenoli e zuccheri ben tollerati anche dai diabetici. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Ciliegia di Marostica IGP comprende i territori dei seguenti comuni: Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena, Pianezze, Marostica, Bassano, parte del territorio di Schiavon, in provincia di Vicenza, nella regione Veneto.


METODO DI PRODUZIONE Per la coltivazione del ciliegio è possibile scegliere di utilizzare diverse forme di allevamento (palmetta libera, bandiera, vaso basso o vaso ritardato) e, a seconda della tipologia, la densità di piante per ettaro può arrivare fino a quota 1.000. Durante l’arco dell’anno sono previste operazioni di concimazione, potatura e difesa fitosanitaria, da attuare nel pieno rispetto dei modi, tempi e quantitativi dettati al fine di garantire i requisiti qualitativi dell’Indicazione Geografica. Al fine di prevenire il fenomeno del cracking dei frutti, causato dalle piogge, le piante possono essere coperte con teli di plastica. La raccolta deve essere effettuata a mano, direttamente dalla pianta, avendo cura di conservare il peduncolo. A seconda della varietà, i frutti vengono raccolti in periodi diversi dell’anno: dal primo maggio al 30 giugno quelle precoci, dal 15 maggio al 15 luglio quelle medie e dal 25 maggio al 30 luglio quelle tardive. ASPETTO E SAPORE La Ciliegia di Vignola IGP è un frutto dal sapore dolce e fruttato. La sua polpa è consistente e croccante, fatta eccezione per la cultivar Mora di Vignola. La buccia ha un colore che varia dal rosso brillante al rosso scuro, tranne che per la varietà Durone della Marca, dove invece risulta sempre lucente ma di colore giallo e rosso brillante. I calibri minimi sono di 20-23 mm a seconda della varietà, mentre i massimi possono superare 28 mm. STORIA La coltivazione della ciliegia nel territorio di Vignola ha origini antiche e molto radicate. L’eccezionalità delle condizioni pedoclimatiche della zona ha fatto sì che la pianta trovasse qui il suo ambiente ideale, diventando col tempo e grazie all’impegno degli agricoltori, la più importante realtà agricola. Numerosi documenti storici confermano che la pianta è presente, in consociazione alla vite, già a metà dell’Ottocento e negli anni a seguire la produzione e la commercializzazione hanno avuto un andamento costantemente crescente. GASTRONOMIA La Ciliegia di Vignola IGP va conservata in frigorifero,

oppure in luogo fresco e asciutto. Per la croccantezza della polpa e il sapore dolce, risulta essere il frutto ideale con cui chiudere il pasto, ma può essere utilizzata non solo come frutta fresca, bensì risulta ottimo ingrediente per svariate ricette, dolci ma anche salate. Alcuni esempi: la “ciliegiata”, cotta nel vino e nello zucchero; le marmellate; il classico dolce “clafoutis”; salse per condire la cacciagione; liquori, come il kirsch o lo cherry. Perfetta anche per la preparazione della frutta candita o sotto spirito. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Ciliegia di Vignola IGP nelle varietà: Bigarreau Moreau, Mora di Vignola (precoci), Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van (medie), DuroneII, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart (tardive). Le ciliegie della stessa qualità e varietà vengono confezionate in plateaux di legno, cartone o plastica da 5 o 6 kg, che possono contenere o meno vassoi; confezioni più piccole prevedono cartoni da 1, 2 e 2,5 kg e confezioni a sacchetto in film polimerico traspirante da 250, 500 g e 1 kg. NOTA DISTINTIVA La Ciliegia di Vignola IGP è il prodotto simbolo della zona di produzione, che con essa si identifica. Rispetto ad altre tipologie, presenta dimensioni molto maggiori e questa caratteristica la rende particolarmente apprezzata e ricercata. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Ciliegia Vignola IGP interessa alcuni comuni delle province di Modena e Bologna posti nella fascia altimetrica che va dai 30 fino ai 950 metri s.l.m., nella regione Emilia-Romagna.

CILIEGIA DI VIGNOLA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Ciliegia di Vignola IGP si riferisce ai frutti freschi delle seguenti cultivar di ciliegio: Bigarreau Moreau, Mora di Vignola (precoci), Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van (medie), DuroneII, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart (tardive).

Consorzio di tutela della Ciliegia di Vignola IGP Via dell’ Agricoltura, 354 - 41058 Vignola (MO) Tel: +39 059773645 consorziodellaciliegia@tin.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 469 Produzione (kg) 1.108.240

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 375,08 Dati Qualivita - Ismea

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CIPOLLA ROSSA DI TROPEA CALABRIA IGP Consorzio di Tutela della Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP Via Roma - Vena Superiore 89900 Vibo Valentia (VV) Tel: +39 0963 260631 www.consorziocipollatropeaigp.com

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori 92 Produzione (kg) 13.745.776

Fatturato (mln €) 14,98 Superficie (ha) 601,95 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP si riferisce all’ortaggio da bulbo allo stato fresco o secco della specie Allium cepa L. limitatamente agli ecotipi autoctoni Tondo Piatta (primaticcia), Mezza Campana (medio precoce) e Allungata (di maturazione tardiva). Si distinguono tre tipologie: Cipollotto, Cipolla da Consumo Fresco e Cipolla da Serbo. METODO DI PRODUZIONE A partire da agosto si effettua la semina, direttamente in campo, in vivaio o in contenitori alveolari e, quando le piantine hanno raggiunto idonee dimensioni, si effettua il trapianto. Il periodo di raccolta cambia a seconda della varietà: per la Tonda Piatta o primaticcia la raccolta si effettua da metà aprile a fine maggio; per la Mezza Campana o medio precoce da metà maggio a metà giugno; infine per la tipologia Allungata o tardiva la raccolta avviene da metà giugno a fine luglio. Successivamente alla raccolta i bulbi dei Cipollotti devono subire l’eliminazione della tunica esterna, la spuntatura delle code con taglio variabile tra i 30 e i 60 cm e devono quindi essere posti in cassette disposti in fascetti. Per la Cipolla da Consumo Fresco i bulbi, privati dalla tunica esterna, vengono sottoposti all’eventuale taglio delle code (se queste risultano lunghe tra 35 e 60 cm) e sono poi riuniti in fasci e posti in cassoni o cassette. Per la Cipolla da Serbo, i bulbi vengono lasciati ad essiccare nel terreno per almeno sette giorni, per poi essere conservati in luoghi freschi e asciutti. ASPETTO E SAPORE La Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP ha forma rotonda od ovoidale, involucro rosso ed è composta da varie tuniche concentriche carnose di colorito bianco. Al palato risulta particolarmente dolce. STORIA Fonti storiche e bibliografiche attribuiscono l’introduzione della cipolla nel bacino mediterraneo e in particolare in Calabria, prima ai Fenici e poi ai Greci. Molto apprezzata nel Medioevo e nel Rinascimento, era un prodotto fondamentale per l’alimentazione e per l’economia locale, venduta ed esportata via mare in Tunisia, Algeria e Grecia. Numerosi scritti di viaggiatori, che arrivarono in Calabria fra il Settecento e l’Ottocento, descrivono le meraviglie delle comuni cipolle rosse di Tropea dal gusto dolce e non pesante. La Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP si diffonderà, comunque, con maggiore impulso solamente in seguito, nel periodo borbonico.

GASTRONOMIA La Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP si conserva fresca per pochi giorni, mentre il tipo intrecciato può essere conservato per poco più di un mese. Grazie alla sua dolcezza, risulta particolarmente indicata per la preparazione di insalate in abbinamento con altre verdure e formaggi. Si utilizzano anche le code del prodotto fresco, per la realizzazione di frittate. La cipolla disidratata viene usata prevalentemente nella preparazione di sughi. I bulbi di piccolo calibro sono ottimi per la preparazione di sotto aceti. Con la cipolla vengono realizzate anche marmellate e mostarde, ottime abbinate ai formaggi e alle carni. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP nelle tipologie: Cipollotto e Cipolla da Consumo Fresco, allo stato verde, in mazzi e mazzetti; Cipolla da Serbo, allo stato secco, in trecce oppure scollettata all’interno di retini. NOTA DISTINTIVA La piacevolezza al palato della Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP è da imputare a fattori genetici, climatici e pedologici; è l’interazione di questi tre fattori a determinare caratteristiche organolettiche così eccelse. Se questi tre fattori non coesistessero, ovvero se la si coltivasse altrove, il prodotto sarebbe lungi dall’avere la stessa appetibilità.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP interessa la costa tirrenica calabrese medio-alta e comprende diversi comuni in provincia di Cosenza, Catanzaro e Vibo Valentia, nella regione Calabraia.


METODO DI PRODUZIONE Il Cipollotto Nocerino DOP è ottenuto da processi di coltivazione preceduti dalla preparazione del terreno tramite aratura, di profondità di circa 40 cm, a cui segue una fresatura per la predisposizione alla coltura. La semina viene effettuata anche quattro volte l’anno, in semenzaio o direttamente in campo. Segue il trapianto, che si effettua quando le piantine hanno raggiunto un’altezza di 14-16 cm. In questa fase è indispensabile l’irrigazione al fine di ottenere una buona riuscita dell’impianto. Il prodotto è raccolto tutto l’anno, con una resa di produzione leggermente inferiore nei mesi estivi. La raccolta è effettuata a mano o con mezzi meccanici, quando il diametro della sezione del bulbo si attesta sui 1-5 cm. Dopo l’estirpazione, i bulbi vengono selezionati, lavati e pelati. L’operazione di “pelatura” risulta indispensabile per eliminare eventuali residui, viene eseguita esclusivamente a mano e consiste nell’eliminare le tuniche più esterne del bulbo, fino ad ottenere un prodotto omogeneo, integro e lucente. Dopo la pelatura si procede al taglio parziale del ciuffetto radicale e delle foglie. ASPETTO E SAPORE Il bulbo del Cipollotto Nocerino DOP ha forma cilindrica leggermente schiacciata alla base, calibro compreso tra 1 e 5 cm. Le tuniche sono di colore bianco. La foglia, di colore verde intenso, ha forma tendenzialmente lineare e cilindrica, termina a punta. Si distingue per la tenerezza del bulbo e la dolcezza della polpa, che risulta poco acre, non piccante ma sapida e profumata. STORIA Documentazioni che attestano la presenza della cipolla in questa zona risalgono a circa 2000 anni fa: nell’antica Pompei è raffigurata nei dipinti del Larario del Sarno, la cappella dove erano custoditi i Lari, dei protettori della casa. Nel dipinto è raffigurato il fiume Sarno, mitizzato con sembianze umane, il quale, da nume protettore, osserva e tutela la produzione e il commercio dei cipollotti che, prodotti nella sua fertile Valle, vengono trasportati con una barca sulle sue acque fino alla città di Pompei. Nel Medioevo le cipolle venivano conferite al mercato insieme con le arance, i limoni e le castagne delle aree limitrofe. Altri riferimenti storici si hanno intorno al XV secolo con la famosa Hippocratica Civitas della Scuola Medica Sa-

lernitana, dove nel Regimen Sanitas Salernitanum ne viene consigliato l’uso. Alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX gli ecotipi che si possono riferire al Cipollotto Nocerino DOP vengono riportati nei cataloghi delle più importanti ditte produttrici di sementi e nei manuali di agronomia. GASTRONOMIA Il Cipollotto Nocerino DOP non è adatto ad una lunga conservazione e per questo è preferibile consumarlo entro pochi giorni dall’acquisto, avendo comunque cura di mantenerlo ben refrigerato. È utilizzato quasi sempre allo stato fresco in insalate verdi e con i pomodori. Trova inoltre largo impiego nei piatti della cucina tradizionale locale. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Cipollotto Nocerino DOP, classificato nella categoria commerciale Prima. Viene confezionato in mazzetti da 3 a 10 bulbi riposti in cassette di legno, plastica o cartone. NOTA DISTINTIVA Il Cipollotto Nocerino DOP deve le sue caratteristiche di pregio alle particolari ed eccezionali condizioni geo-pedologiche dei terreni di origine vulcanica della zona di produzione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Cipollotto Nocerino DOP interessa tutta l’area del bacino della Valle del Sarno che si estende nel territorio dell’Agro Nocerino Sarnese in provincia di Salerno e nella parte sud occidentale, costituita dall’areale pompeiano-stabiese, della provincia di Napoli, nella regione Campania.

CIPOLLOTTO NOCERINO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Cipollotto Nocerino DOP designa l’ortaggio allo stato fresco ottenuto dal bulbo della specie Allium cepa L., che viene raccolto prima che la pianta abbia completato il ciclo vegetativo.

Consorzio di Tutela Cipollotto Nocerino DOP Via Fucilari, 28 84014 Nocera Inferiore (SA) Tel: +39 081 926477 cipollotto@email.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 6 Produzione (kg) 89.769

Fatturato (mln €) 0,08 Superficie (ha) 17,79 Dati Qualivita - Ismea

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CLEMENTINE DEL GOLFO DI TARANTO IGP Consorzio Agrumicoltori Tarantini Cat Clementine Contrada Lamaderchia 74019 Palagiano (TA) Tel: +39 099 8841259 consorziocat@gmail.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 16 Produzione (kg) 4.992

Fatturato (mln €) 0,00 Superficie (ha) 120,34 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Le Clementine del Golfo di Taranto IGP sono i frutti allo stato fresco ottenuti dalla specie Citrus clementine Hort. ex Tanaka, nelle varietà: Comune, Fedele, Precoce di Massafra o Spinoso, Grosso Puglia, ISA, SRA 63, SRA 89.

ne. Rinfrescanti e diuretiche, possiedono un elevato contenuto di vitamina C. Sono consumate prevalentemente al naturale, ma vengono anche impiegate per preparare succhi, sciroppi, sorbetti e marmellate. Il frutto è utilizzato anche in cosmesi nella preparazione di lozioni tonificanti.

METODO DI PRODUZIONE I terreni, omogenei e quasi sempre pianeggianti, sono fertili, profondi e ben drenati. Ciò agevola l’irrigazione che, praticata quasi tutto l’anno, avviene a goccia o a zampillo, in modo diretto ma lontano dalla chioma, per evitare marciume nella zona del colletto della pianta. La potatura, praticata ogni anno a primavera inoltrata, è finalizzata ad assecondare l’equilibrio tra la funzione vegetativa e quella produttiva. La concimazione si basa sullo stato di fertilità del terreno e ha una cadenza triennale. La raccolta viene effettuata rigorosamente a mano con l’ausilio delle forbici, cercando di non rovinare i frutti. Il periodo di raccolta varia a seconda della varietà, il Comune è quello che ha il periodo produttivo più lungo, mentre le altre sono primizie. I frutti raccolti devono essere asciutti, con al massimo qualche foglia.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Clementine del Golfo di Taranto IGP. È disponibile in confezioni sigillate del peso massimo di 3 kg e in confezioni non sigillate per quantità superiori a 3 kg fino ad un massimo di 25 kg. I frutti destinati alla commercializzazione vengono sistemati in apposite confezioni con etichette recanti la dicitura “Clementine del Golfo di Taranto IGP”, le informazioni relative al confezionatore e all’origine del prodotto il logo del prodotto e il logo comunitario. È consentito, inoltre, l’utilizzo di indicazioni che si riferiscono a nomi, ragioni sociali, marchi privati muniti di codice di identificazione.

ASPETTO E SAPORE Le Clementine del Golfo di Taranto IGP si caratterizzano per la forma sferoidale, dai poli leggermente schiacciati; buccia liscia o leggermente rugosa, di colore arancio, con un massimo del 30% di colorazione verde. Il frutto è privo di semi, con una tolleranza del 5% di frutti contenenti al massimo tre semi. L’aroma è intenso e persistente; il sapore dolce e aromatico. STORIA La clementine devono il loro nome a un frate, Padre Clemente Rodier, che le scoprì in Algeria. La loro origine è tuttavia controversa: per alcuni autori sarebbero un ibrido naturale riscontrato in Algeria nel 1898, mentre secondo Tanaka si tratterebbe di agrumi simili al mandarino di Canton, di origine cinese (Citrus clementine Hort.). La sua diffusione nella zona di Taranto risale al XVIII secolo, ma per assistere a una produzione specializzata della coltura bisognerà aspettare il XX secolo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in particolare, si registrò un’espansione e specializzazione della coltivazione di agrumi nel territorio del golfo di Taranto, grazie alla Riforma Fondiaria, che consentì di mettere a disposizione degli agricoltori adeguate risorse idriche. GASTRONOMIA Le Clementine del Golfo di Taranto IGP vanno tenute in frigorifero, dove si conservano anche per settima-

NOTA DISTINTIVA Il territorio di produzione delle Clementine del Golfo di Taranto IGP è caratterizzato da un clima caldo, soleggiato e poco umido che incide positivamente sui processi di accrescimento e maturazione dei frutti e conferisce eccellenti caratteristiche qualitative al prodotto. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione delle Clementine del Golfo di Taranto IGP comprende l’intero territorio dei comuni di Palagiano, Massafra, Ginosa, Castellaneta, Palagianello, Taranto e Statte, in provincia di Taranto, nella regione Puglia.


METODO DI PRODUZIONE Le Clementine di Calabria IGP sono coltivate su terreni di medio impasto in impianti che presentano una densità massima pari a 1.200 piante per ettaro, diffusi soprattutto nelle aree costiere e in quelle pianeggianti. La forma di allevamento prevalente è quella “a chioma piena” con disposizione delle piante a rettangolo. Inoltre, le piante devono essere opportunamente distanziate da quelle del mandarino, in modo tale da evitare l’impollinazione incrociata che porterebbe alla produzione di frutti con semi. La raccolta viene eseguita solo una volta durante tutto l’arco dell’anno, nel periodo che intercorre tra ottobre e febbraio. ASPETTO E SAPORE Le Clementine di Calabria IGP presentano una forma sferoidale leggermente schiacciata ai poli e hanno calibro minimo di 16-18 mm. La buccia appare liscia, di colore arancio scuro, con numerose ghiandole oleifere. La polpa è succosa, deliquescente e aromatica, caratterizzata da assenza di semi o da un numero esiguo di essi. STORIA Le Clementine di Calabria IGP sono un ibrido fra l’arancio amaro e il mandarino comune e sono l’agrume più redditizio per la precocità e per la bontà del frutto. La nascita è probabilmente avvenuta all’inizio del Novecento nell’orto di un orfanotrofio di Misserghin, in Algeria, dall’incrocio tra il mandarino Avana e l’arancio amaro Granito, a seguito di semine dirette effettuate da Padre Clément Rodier (dal quale hanno tratto il nome). Secondo un’altra ipotesi, invece, l’ibrido sarebbe più antico e proverrebbe dalla Cina, il prete algerino l’avrebbe semplicemente introdotto nel Mediterraneo. Tra il 1930 e il 1950 la coltivazione delle clementine si è diffusa in Calabria, dove questo agrume ha trovato il suo habitat naturale, diventando da allora una coltura stabile ed estremamente rilevante sia per l’economia che per le tradizioni della zona. GASTRONOMIA Le Clementine di Calabria IGP si conservano in frigorifero, dove mantengono inalterate le loro caratteristiche anche per settimane. Generalmente vengono consumate al naturale, ben mature, a fine pasto, ma sono ampiamente sfruttate anche nella preparazione

di sorbetti, succhi, sciroppi, liquori – molto noto è del resto il liquore alle clementine – marmellate e macedonie, nonché di dolci a base di frutta di stagione, come la “torta di arance e clementine” e la “mousse di clementine e ricotta”. Ricoperte di cioccolata o candite sono una vera golosità, degna dei palati più sopraffini. Ad ogni modo, questi agrumi si stanno facendo strada anche tra i primi piatti: ne sono esempio i “tagliolini con zucchine e Clementine di Calabria IGP”, ricetta molto semplice da realizzare con pasta fresca, zucchine, clementine, pistacchi tritati e scalogno, il tutto aromatizzato con vino bianco, olio extravergine di oliva, foglie di menta fresca, sale e pepe. Le Clementine di Calabria IGP sono largamente utilizzate, inoltre, dall’industria cosmetica per la preparazione di prodotti quali lozioni tonificanti e maschere per la pelle, che risultano particolarmente apprezzate. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Clementine di Calabria IGP. È commercializzato in confezioni opportunamente sigillate di capacità minima pari a 0,5 kg e multipli. NOTA DISTINTIVA Poiché crescono in una zona a clima mite e regolare, le Clementine di Calabria IGP sono le uniche che giungono a maturazione molto precocemente, già ai primi di ottobre. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione delle Clementine di Calabria IGP interessa diversi comuni delle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia e Crotone, nella regione Calabria.

CLEMENTINE DI CALABRIA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Le Clementine di Calabria IGP sono gli agrumi ottenuti dalle cultivar, selezioni clonali e mutazioni gemmarie: Spinoso, SRA 63, Comune, Hernandina, Fedele, Tardivo, Marisol e di Nules.

Consorzio di Tutela Clementine di Calabria Porto di Corigliano 87060 Corigliano Calabro (CS) Tel: +39 339 1212304 www.igpclementinedicalabria.it

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori 148 Produzione (kg) 4.271.794

Fatturato (mln €) 1,66 Superficie (ha) 878,38 Dati Qualivita - Ismea

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FAGIOLI BIANCHI DI ROTONDA DOP Consorzio di Tutela dei Fagioli Bianchi di Rotonda DOP C.da Piano Incoronata 85048 Rotonda www.biancoerossadop.it info@biancoerossadop.it

CCIAA di Potenza Corso XVIII Agosto, 34 - 85100 Potenza Tel: +39 0971 412111 Fax: +39 0971 412248 www.pz.camcom.it segreteria.generale@pz.camcom.it

Operatori 9 Produzione (kg) 43.600

Fatturato (mln €) 0,07 Superficie (ha) 7,77 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO I Fagioli Bianchi di Rotonda DOP si riferiscono al legume della specie botanica Phaseolus vulgaris L. ottenuto dagli ecotipi Fagiolo Bianco e Tondino o Poverello Bianco, allo stato fresco (baccello) e secco (granella). METODO DI PRODUZIONE La semina viene effettuata a mano o con seminatrice dal 20 aprile al 10 luglio di ogni anno. Per il sostegno delle piante dei fagioli vengono costruiti appositi tutori realizzati manualmente con legni di castagno provenienti dai boschi della Valle del Mercure, secondo una tecnica che si tramanda di generazione in generazione. Le piante rampicanti di fagioli vi sono posizionate secondo il sistema “a postarella” o “a rete”, unico e particolare della zona, che consente una buona areazione, evitando la formazione di umidità tra i filari. Grazie a questa tecnica viene preservata la delicatezza del fagiolo bianco e facilitata la raccolta. I legumi vengono raccolti a mano, con molta cura, per evitare di compromettere la qualità del baccello e del seme; per il prodotto fresco le operazioni iniziano il 1 agosto e terminano entro il 30 ottobre, mentre la raccolta per la produzione secca inizia dal 15 settembre e termina entro il 30 novembre. ASPETTO E SAPORE I Fagioli Bianchi di Rotonda DOP allo stato fresco, come baccelli, si caratterizzano per il colore bianco tendente al giallo o avorio senza striature. I semi, di forma tonda-ovale, sono bianchi e privi di screziature. Il tegumento è molto sottile. STORIA I primi riferimenti storici relativi ai Fagioli Bianchi di Rotonda DOP sono riconducibili alla monografia del Cirelli del 1853, nella quale si evidenzia l’importanza dell’abbondanza di risorse idriche nella zona di produzione in relazione alla coltivazione del fagiolo. Altro riferimento storico alla coltura, che diventa quasi aneddoto, lo si ritrova in un articolo del 2 settembre 1860 dell’Eco di Basilicata Calabria Campania nel quale si descrivono le qualità dei fagioli bianchi di Rotonda, apprezzati persino da Giuseppe Garibaldi che, di ritorno dalla Sicilia, si fermò a Rotonda per dormire e mangiare ed ebbe l’opportunità di gustare questi legumi. Molto apprezzati, decise di portarsene una piccola quantità a Caprera. GASTRONOMIA I Fagioli Bianchi di Rotonda DOP freschi si conservano in frigorifero nel loro baccello per qualche giorno, mentre quelli secchi si mantengono per lungo tempo in un luogo fresco e asciutto, in un barattolo ben chiu-

so o nella loro confezione d’acquisto. Rappresentano in questa area del Pollino una fondamentale espressione della gastronomia locale. Molte sono le ricette di saporitissimi piatti tipici che vedono protagonisti questi legumi. Tra le altre si citano la “scarola e fagioli bianchi”, i “cavoli e fagioli bianchi” e le “patate e fagioli minestra impastata”. Il tegumento sottile li rende inoltre particolarmente apprezzati dai consumatori perché riduce drasticamente i tempi di cottura di cui necessitano. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Fagioli Bianchi di Rotonda DOP negli ecotipi Fagiolo Bianco e Tondino (o Poverello Bianco), allo stato fresco (baccello) e secco (granella). Il tipo fresco è commercializzato da agosto ad ottobre in retine di peso non superiore ai 10 kg o in cassette di peso non superiore ai 15 kg; il tipo secco si trova sul mercato tutto l’anno in scatole di cartone, sacchi di iuta o altro materiale riciclabile di peso non superiore ai 5 kg. NOTA DISTINTIVA I Fagioli Bianchi di Rotonda DOP si distinguono per l’alto contenuto proteico della granella (fino al 27%) e per il tegumento molto sottile, caratteristica determinata dal basso contenuto di calcare dei terreni e dall’abbondanza di risorse idriche che favoriscono l’accumulo di amido durante lo sviluppo del seme. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dei Fagioli Bianchi di Rotonda DOP ricade all’interno del territorio del Parco Nazionale del Pollino e include i comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore, in provincia di Potenza, nella regione Basilicata.


METODO DI PRODUZIONE La semina viene effettuata a mano o con seminatrice nel periodo compreso fra il 15 giugno e il 15 luglio, con un investimento di 70-90 kg di semi per ettaro. La prima irrigazione è importantissima per la buona riuscita della coltura. Precisamente, bisogna aspettare che le singole piantine appassiscano vistosamente prima di procedere con il primo innaffiamento (due ore dopo il calare del sole); questo al fine di evitare che la piantina abbia uno sviluppo eccessivo. Le acque del fiume Melfa, del torrente Mollarino e dei loro affluenti vengono quindi utilizzate per l’irrigazione ogni 6-10 giorni con metodo a scorrimento, a pioggia o a goccia. Le coltivazioni di Fagiolo Cannellino di Atina DOP non devono essere concimate. Fra il 10 settembre e il 30 ottobre si effettua la raccolta delle piante. Entro 45 giorni le piante vengono poi essiccate in ambienti coperti o scoperti e quindi sottoposte a trebbiatura. Infine vengono eliminate le impurità ed i fagioli non idonei tramite selezione manuale o meccanica. ASPETTO E SAPORE Il Fagiolo Cannellino di Atina DOP si presenta reniforme, leggermente ellittico e schiacciato; ha tegumento sottile di colore bianco opaco; è lungo da 0,9 a 1,4 cm e largo da 0,5 a 0,6 cm. Dopo la cottura risulta tenero e deliquescente al palato. STORIA Il Fagiolo Cannellino di Atina DOP viene definito “prodotto di ottima qualità” già nel 1811 da Domenico Demarco, a testimonianza della sua importanza nella società locale. Anche Cirelli ne Il Regno delle due Sicilie, del 1853, fornisce dati significativi sulla sua produzione. Questo fagiolo era in uso tra le famiglie contadine, che lo cucinavano nella “pignata” con un filo d’olio, come piatto unico. Il fagiolo non era destinato solo alla vendita e al consumo familiare, bensì utilizzato come regalo di pregio per conoscenti e familiari, come testimoniato nelle registrazioni sui Mastri. Dal punto di vista economico la coltivazione del Fagiolo Cannellino di Atina DOP ha rappresentato una delle maggiori fonti di reddito nella valle e la sua denominazione è entrata ormai nel linguaggio comune ed in quello commerciale, diventando protagonista in convegni e rassegne stampa. GASTRONOMIA Si consiglia di conservare il Fagiolo Cannellino di

Atina DOP in luogo fresco e asciutto al fine di preservarne al meglio le proprietà specifiche. Una volta aperta la confezione, è preferibile conservare i fagioli in barattoli per alimenti a chiusura ermetica, tenendoli al riparo dalla luce e da fonti di calore; se d’estate, è consigliabile porli in frigorifero. Da consumarsi previa cottura, il Fagiolo Cannellino di Atina DOP non necessita di essere messo a bagno prima di cuocerlo. È ingrediente base di molte ricette tradizionali locali, tra le quali la “pappafuocchie” a base di fagioli, olio extravergine di oliva, farina, acqua, sale, aglio, cipolla, sedano, salsa di pomodoro e peperoncino o la più semplice “faffocchi e fagioli” a base di fagioli, farina, acqua, sale, olio extravergine di oliva, aglio e peperoncino. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Fagiolo Cannellino di Atina DOP. È commercializzato, anche sottovuoto, in sacchetti da 250 g a 5 kg, in vaschetta da 250 g a 3 kg. Il legume è reperibile inoltre come prodotto surgelato nelle confezioni sopra indicate. NOTA DISTINTIVA Il Fagiolo Cannellino di Atina DOP si distingue per l’estrema tenerezza e deliquescenza al palato, frutto del clima e della composizione del terreno che caratterizzano la zona di produzione.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fagiolo Cannellino di Atina DOP comprende i comuni di Atina, Villa Latina, Picinisco, Casalvieri, Casalattico e Gallinaro in provincia di Frosinone, nella regione Lazio.

FAGIOLO CANNELLINO DI ATINA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fagiolo Cannellino di Atina DOP si riferisce al legume allo stato secco della specie Phaseulus vulgaris L., coltivato nell’ecotipo locale Cannellino di Atina.

Consorzio per la Tutela del Fagiolo Cannellino di Atina Via dei Volsci, 103 03042 Atina (FR) Tel: +39 0776 610413 Fax: +39 0776 610972

CCIAA di Frosinone Viale Roma 03100 Frosinone Tel: +39 0775 2751 www.fr.camcom.it info@fr.camcom.it

Operatori 25 Produzione (kg) 205

Fatturato (mln €) 0,002 Superficie (ha) 80,39 Dati Qualivita - Ismea

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FAGIOLO CUNEO IGP Consorzio per la Valorizzazione e la Tutela del Fagiolo Cuneo Piazza Foro Boario, 18 12100 Cuneo(CN) www.fagiolcoop.com info@fagiolcoop.com

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 10 Produzione (kg) 25.025

Fatturato (mln €) 0,09 Superficie (ha) 38,67 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fagiolo Cuneo IGP si riferisce ai baccelli allo stato ceroso da sgranare e alla granella secca ottenuti dagli ecotipi delle specie Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus: Bianco di Bagnasco e Vedetta e nelle varietà Billò, Corona, Stregonta, Bingo, Rossano, Barbarossa, Solista e Millenium. METODO DI PRODUZIONE La semina si effettua tra il mese di aprile e quello di luglio. Durante la coltivazione, il sostegno delle piante avviene attraverso un metodo unico e tradizionale: si utilizzano da due a quattro canne legate insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”. Ogni “tenda” viene collegata a quella precedente e a quella successiva tramite un filo orizzontale che unisce i punti in cui le canne si incrociano, in modo da rendere più rigidi e resistenti i tutori. La raccolta avviene tra maggio e novembre. Per la produzione di baccelli a maturazione cerosa (freschi) viene utilizzato l’ecotipo Vedetta o le varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Barbarossa, Solista e Millenium mentre per la granella secca si utilizza l’ecotipo Bianco di Bagnasco o le varietà Billò e Corona, raccolte quando la pianta è completamente appassita. ASPETTO E SAPORE Il Fagiolo Cuneo IGP in baccello ceroso ha una colorazione molto marcata, con intense striature rosse, mentre la granella interna presenta striature rosarosse su fondo crema. La granella secca si presenta con screziature bruno-violacee su fondo crema per la varietà Billò e di colore bianco per il Corona e Bianco di Bagnasco. Il seme è ricco di polpa e ha pelle finissima, delicata. STORIA La commercializzazione dei fagioli di Cuneo risale all’Ottocento, come riportano alcuni mercuriali ritrovati nel comune di Centallo. Ancor più, un regolamento deliberato nel 1894 dal Comune di Cuneo testimonia l’esistenza di un mercato ad hoc per la vendita dei fagioli che, per le loro peculiarità, già spuntavano prezzi superiori ai fagioli comuni. Negli ultimi 50 anni questa produzione ha subito uno sviluppo consistente tanto da consolidare la tradizionale vendita su aree mercatali appositamente costituite. Prova dell’importanza del Fagiolo Cuneo IGP per la zona è la ormai famosa Sagra di S. Sereno, che ancora oggi si svolge ogni anno nella frazione di San Rocco Castagnaretta a Cuneo. GASTRONOMIA Il Fagiolo Cuneo IGP deve essere conservato in un luogo fresco e asciutto. In cucina è un ottimo ingrediente

per preparare minestroni e si sposa splendidamente con aglio, lardo, porri, patate, peperoncino. Poiché è un alimento calorico a elevato contenuto di ferro può essere consumato anche come alternativa alla pasta e al pane. La granella secca deve essere tenuta in ammollo in acqua abbondante per circa 12 ore prima di essere cucinata. Per il baccello fresco, invece, è sufficiente portarlo a cottura subito dopo averlo sbucciato. Il tempo di cottura è relativo, ma generalmente non supera l’ora. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Fagiolo Cuneo IGP. È commercializzato allo stato fresco (ceroso da sgusciare) e secco in granella. Il tipo ceroso da sgranare è confezionato in appositi imballaggi di plastica, cartone o in confezioni sigillate in materiale per uso alimentare (vassoi, cartoni, sacchetti e simili). La granella secca è immessa al consumo in imballaggi idonei o confezioni in materiale per uso alimentare di peso variabile da 100 g fino a 25 kg. Il prodotto fresco è sul mercato da maggio a novembre mentre il secco è reperibile tutto l’anno. NOTA DISTINTIVA Sia la granella secca che il baccello ceroso del Fagiolo Cuneo IGP hanno un’ottima consistenza. Inoltre, la granella risulta particolarmente ricca in ferro e proteine, mentre la colorazione marcata del baccello ceroso è dovuto alle escursioni termiche giornaliere che, associate all’elevata luminosità, favoriscono la sintesi di antociani. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fagiolo Cuneo IGP comprende tutti i comuni della provincia di Cuneo, nella regione Piemonte.


METODO DI PRODUZIONE Il letto di semina deve essere preparato e accuratamente arato. Il seme viene distribuito sul terreno “a postarella” con 4-5 unità per posto, con una densità di 8/10 semi per metro quadrato. La semina avviene per tradizione il 3 maggio, giorno di Santa Croce. Il tutoraggio viene effettuato fin dai primi stadi di sviluppo con l’uso di pali in legno d’abete o di pali e canne. La raccolta si effettua a mano perché molto spesso la maturazione è scalare; comincia nella seconda metà del mese di agosto e termina alla fine di settembre. Indicativamente, per la granella fresca inizia una ventina di giorni dopo l’impollinazione e si può protrarre per circa un mese;per la granella secca invece, la raccolta si inizia quando almeno i 3/4 dei baccelli sono ormai diventati secchi e di colore chiaro. ASPETTO E SAPORE Il Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP di tipo Spagnolit presenta forma piuttosto rotondeggiante e a botte, con striatura brillante su fondo crema. Il tipo Spagnolo presenta forma ovoidale, buccia abbastanza fine e il seme mostra tipiche striature rosso vino. Il tipo Calonega presenta forma schiacciata con striature rosso vivo su fondo crema. Il tipo Canalino presenta striature rosso cupo, talora nero e buccia piuttosto consistente. Le dimensioni, sia del baccello che del seme, variano a seconda della varietà, da un minimo di 11 cm ad un massimo di 15,5 cm (baccello) e da 14,6 mm a 17 mm (seme). STORIA Le origini del Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP risalgono al XVI secolo. Questo legume fu infatti introdotto nel Bellunese dall’umanista Pietro Valeriano che, nel 1532, ne ricevette in dono alcuni semi da Papa Clemente VII. Già dalla metà del XVII secolo vi sono testimonianze della sua diffusione nel Bellunese. Risale al secolo successivo un saggio sull’agricoltura del Distretto di Feltre, in cui si accenna ad una qualità di fagioli molto ricercati; nello stesso periodo altri studiosi riconoscevano che i fagioli feltrini erano i migliori della provincia. Anche negli atti preparatori del catasto austriaco (1862) risulta come il fagiolo fosse coltivato a Lamon. Nel tempo, il fagiolo ha conosciuto fasi alterne di sviluppo e di importanza nella provincia di Belluno.

GASTRONOMIA Il Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP fresco può essere conservato in frigorifero per quattro o cinque giorni. Per il tipo secco invece, è necessario porre i legumi a bagno per circa 12 ore prima della cottura. Per secoli alimento alternativo alla carne, oggi è stato riscoperto come ingrediente e componente di una dieta sana ed equilibrata. Ideale nella preparazione di minestroni, pasta e fagioli, risotti, è gustoso anche come contorno. Si consiglia di sgranare i Fagioli di Lamon della Vallata Bellunese IGP solamente al momento dell’impiego, per evitare che il contatto con l’aria possa indurire la buccia dei semi, compromettendone la cottura. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso al commercio come Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP nelle varietà: Spagnolit, Spagnolo, Calonega e Canalino. È commercializzato fresco, nel periodo della raccolta, in cassette da 1 a 20 kg; è commercializzato secco in cassette da 0,5 a 10 kg. È vietata la vendita del prodotto sfuso.

FAGIOLO DI LAMON DELLA VALLATA BELLUNESE IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP si riferisce al seme allo stato fresco o secco della specie Phaseolus vulgaris L., nella varietà Borlotto e negli ecotipi Spagnolit, Spagnolo (o Ballotton), Calonega, Canalino.

NOTA DISTINTIVA L’assidua e attenta cura che i coltivatori locali dedicano alle piante, insieme alle specifiche caratteristiche pedo-climatiche della zona, garantiscono le elevate proprietà organolettiche e salutistiche del Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP comprende le comunità montane Feltrina, Bellunese e Val Belluna e si estende in 21 comuni della provincia di Belluno, nella regione Veneto.

Consorzio Tutela Fagiolo di Lamon Vallata Bellunese Via Resenterra, 19 - 32033 Lamon (BL) Tel: +39 0439 794201 www.fagiolodilamon.it info@fagiolodilamon.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 68 Produzione (kg) 9.458

Fatturato (mln €) 0,06 Superficie (ha) 10,54 Dati Qualivita - Ismea

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FAGIOLO DI SARCONI IGP Consorzio Tutela Fagiolo di Sarconi P.zza Aldo Moro 1 85040 Sarconi (PZ) Tel: +39 0975 354488 fagioli.sarconi@tiscali.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 9 Produzione (kg) 12.380

Fatturato (mln €) 0,10 Superficie (ha) 18,31 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fagiolo di Sarconi IGP si riferisce al legume, allo stato fresco o secco, ottenuto dalla coltivazione delle varietà Cannellino e Borlotto e di 20 ecotipi locali da queste derivati. METODO DI PRODUZIONE Gli ecotipi locali da cui si ottiene il Fagiolo di Sarconi IGP sono i seguenti: Fasulo Rosso, Tuvagliedda, Tuvagliedda Marrone, Tuvagliedda Rossa, Verdolino, Ciuoto o Regina, Tabacchino, Munachedda, Nasieddo Viola (detto anche Co Mussiddu), Nasieddo Nero, Nasieddo Rosso, Maruchedda, San Michele, San Michele Rosso, Cannellino, Cannellino Rosso, Panzaredda, Riso Bianco (detto anche Risone), Riso Giallo e Tondino Bianco. I terreni idonei alla coltivazione sono situati al di sopra dei 600 metri s.l.m. e devono essere adeguatamente preparati. La semina si effettua dalla terza decade di maggio fino a metà luglio, avviene manualmente o con seminatrice meccanica, mediante l’impiego di semi selezionati. La raccolta è effettuata a mano nel periodo estivo, in momenti diversi a seconda della maturazione: se “verde”, i baccelli vengono raccolti verdi senza filo e con i semi in via di formazione; se “cerosa”, quando presentano colorazioni e striature marcate ed evidenti; se “secca”, dopo il disseccamento della pianta e del baccello. Nella coltivazione sono ammesse soltanto pratiche agronomiche atte a conferire al prodotto le peculiari caratteristiche di tipicità. ASPETTO E SAPORE Il Fagiolo di Sarconi IGP si contraddistingue per una forma che va da ovale o tondeggiante a cilindrica e allungata. Il colore del seme varia: dal bianco del Cannellino classico al marroncino dell’ecotipo Tabacchino; dal beige con striature rosso scure del Borlotto tradizionale al rosso rubino della sottospecie San Michele Rosso. Il Fagiolo di Sarconi IGP si caratterizza inoltre per la polpa tenera, il sapore delicato e la rapidità di cottura che lo rende particolarmente digeribile. STORIA Già nei tempi passati il fagiolo rappresentava per Sarconi la principale coltura nonché fonte di sostentamento delle popolazioni agricole. La particolarità dell’acqua di irrigazione faceva del fagiolo coltivato in questa zona un prodotto di qualità superiore, la cui fama restava però per lo più circoscritta al solo territorio comunale. Una volta vinte le resistenze, allorché i contadini di Sarconi abbandonarono il tradizionale metodo di irrigazione a scorrimento per il più nuovo e funzionale sistema irriguo a pioggia, si poté

pensare di qualificare ed incrementare la produzione del fagiolo. GASTRONOMIA Il Fagiolo di Sarconi IGP può essere conservato in frigorifero per quattro o cinque giorni. Se per molto tempo il fagiolo è stato consumato come alimento “povero”, alternativo alla carne, oggi è protagonista di una dieta equilibrata, usato come ingrediente in numerosi piatti. Il Fagiolo di Sarconi IGP è particolarmente apprezzato perché cuoce “a prima acqua” cioè rapidamente. Si ottiene pertanto un prodotto a pasta fluida e di gusto piacevole, molto utilizzato nella preparazione di paste, risotti, zuppe, minestre e contorni, in ricette tipiche della tradizione lucana ma anche nei grandi classici della cucina nazionale. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Fagiolo di Sarconi IGP in 20 diversi ecotipi locali. È commer­ cializzato allo stato di baccelli freschi da sgusciare in cassette di legno dalla capacità massima di 15 kg; come granella secca in confezioni di tessuto, cartacee o plastificate di 250 o 500 g. NOTA DISTINTIVA Il sapore particolarmente gustoso del Fagiolo di Sarconi IGP è il risultato di componenti quali il clima, i terreni di origine alluvionale, sabbiosi, ricchi di azoto e privi di calcare, ma anche la qualità delle acque d’irrigazione, leggere e poco alcaline, e la particolarità delle sementi. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fagiolo di Sarconi IGP comprende il territorio di alcuni comuni della provincia di Potenza, nella regione Basilicata.


METODO DI PRODUZIONE Il terreno su cui viene coltivato il Fagiolo di Sorana IGP è ricco di sabbia e ghiaia e copre alcuni ettari lungo il torrente Pescia (il cosiddetto “ghiareto”). Tali terreni devono essere facilmente irrigabili con le acque superficiali e di falda del bacino idrografico del Pescia di Pontito. La concimazione di fondo è prevalentemente di tipo organico, come lo è quella di copertura. La semina, previa adeguata lavorazione meccanica o manuale del terreno, deve essere effettuata con seme derivante dalla popolazione locale e avviene durante l’ultima luna di maggio. La raccolta invece si effettua fra agosto e settembre, e viene eseguita completamente a mano dalla pianta, al momento della quasi deiscenza delle valve del baccello. La fase successiva riguarda l’essiccazione dei fagioli, che ha luogo al sole per 3-4 giorni. La conservazione del prodotto non immediatamente confezionato avviene in appositi contenitori di vetro o di plastica per alimenti, con l’aggiunta di pepe in grani o radici di valeriana o foglie di alloro, in modo da impedire eventuali attacchi di insetti. ASPETTO E SAPORE Il Fagiolo di Sorana IGP di tipo Bianco ha forma irregolare e schiacciata (da qui il nome distintivo di “piattellino”) molto più piccola del comune cannellino; il tegumento è impercettibile al palato e si presenta di color bianco latte, con leggere venature perlacee, che dopo la cottura assumono il caratteristico colore rosato; è altamente digeribile e di sapore delicato. Il tipo Rosso (Antico rosso) ha tegumento inconsistente, colore rosso vinato, con striature più scure, forma allungata quasi cilindrica, sapore più rustico e intenso ma sempre di alta digeribilità. STORIA Nel comprensorio pesciatino, il Fagiolo di Sorana IGP ha trovato un habitat ideale grazie alle bonifiche volute dai Medici e dai Granduchi leopoldini. Fra i personaggi che sono rimasti sedotti da questi legumi non mancano nomi illustri come Gioacchino Rossini, Edmondo de Amicis, Giuseppe Verdi e Giuseppe Garibaldi, Giacomo Puccini e Pio XI. In tempi più recenti, va ricordato quale grande estimatore Indro Montanelli, che intervenne con grande efficacia nella battaglia intrapresa da produttori e comunità locale negli anni Novanta per la salvaguardia del territorio di produzione del Fagiolo di Sorana. All’inizio degli anni Ottanta la coltivazione del fagiolo era infatti quasi scomparsa, come conseguenza dello spopolamento della zona dopo i conflitti mondiali. Il

suo recupero si deve all’iniziativa della Piccola Associazione di produttori del Ghiareto Onlus di Sorana che, promuovendo il riconoscimento della IGP, ha incoraggiato il ritorno alla coltivazione di terreni da tempo abbandonati. GASTRONOMIA Il Fagiolo di Sorana IGP va conservato in luogo fresco e asciutto. La cottura non ne altera il valore nutrizionale. È gustoso bollito e condito con olio extravergine di oliva, poco sale e pepe bianco. In particolare, per il sapore delicato e per non deteriorarne le qualità, è consigliabile mettere i Fagioli di Sorana IGP a bagno in acqua tiepida la sera precedente la cottura, quindi farli bollire lentamente nella medesima acqua, preferibilmente nella fiasca di vetro a bocca larga, che a Pescia viene denominata “gozzo”, o nella tradizionale pentola di coccio. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nelle tipologie Fagiolo di Sorana IGP Bianco e Rosso. È commercializzato in contenitori di vetro o in sacchetti di plastica per alimenti, di peso e dimensione variabile, obbligatoriamente sigillati e etichettati. NOTA DISTINTIVA Il Fagiolo di Sorana IGP deve la sua polpa soffice ed il gusto deciso ed elegante allo straordinario microclima della zona di produzione caratterizzato da una scarsa insolazione e abbondanti guazze notturne. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fagiolo di Sorana IGP comprende parte del territorio del comune di Pescia, nei versanti orientale ed occidentale del torrente Pescia di Pontito, in provincia di Pistoia, nella regione Toscana.

FAGIOLO DI SORANA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fagiolo di Sorana IGP si riferisce al seme allo stato secco, di tipo Bianco o Rosso, della leguminosa appartenente alla specie botanica Phaseolus vulgaris L.

Associazione Piccoli Produttori Fagioli di Sorana il Ghiareto-onlus Fraz. Sorana Via del Pozzo, 2 51010 - Pescia (PT) www.fagiolodisorana.org info@fagiolodisorana.org

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori 23 Produzione (kg) 6.210

Fatturato (mln €) 0,15 Superficie (ha) 5,21 Dati Qualivita - Ismea

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FARINA DI CASTAGNE DELLA LUNIGIANA DOP Comitato Promotore D.O.P. «Farina di Castagne della Lunigiana» Loc. Torre di Apella, 1 - 54016 Massa Carrara Tel: +39 339 8715322 farinadicastagnedellalunigiana.blogspot.com farinalunigiana@libero.it

CCIAA di Massa Carrara Via VII Luglio, 14 - 54033 Carrara Tel: +39 0585 7641 Fax: +39 0585 776515 www.ms.camcom.it info@ms.camcom.it

Operatori 13 Produzione (kg) 445

Fatturato (mln €) 0,01 Superficie (ha) 42,53 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Farina di Castagne della Lunigiana DOP è una farina dolce ottenuta da castagne delle varietà locali storiche Bresciana, Carpanese, Fosetta, Marzolina, Moretta, Primaticcia, Rigola, Rossella e Rossola. METODO DI PRODUZIONE Almeno il 70 % delle varietà di castagno che concorrono alla produzione deve derivare dalle varietà Bresciana, Carpanese e Rossola. Dopo la raccolta, che tradizionalmente inizia il 29 settembre (il giorno della festa di San Michele) fino al 15 dicembre, le castagne vengono selezionate e portate nei cosiddetti “gradili” per l’essiccazione. In queste antiche strutture, costruite in pietra, calce e sabbia, le castagne vengono essiccate a fuoco lento per 25 giorni, utilizzando esclusivamente legna di castagno; sono poi mondate con le tradizionali “macchine a battitori” quindi ventilate. Dopo averle ripassate a mano per eliminare le parti impure, le castagne secche vengono portate nei mulini a macine in pietra, dove passano alla fase di macinatura, che deve avvenire entro il 30 gennaio dell’anno successivo a quello di raccolta. Per evitare di surriscaldare e impastare la pietra, il mulino non deve lavorare più di 5 quintali di castagne secche al giorno, solo in questo modo la farina acquisisce quella preziosa caratteristica di “borotalcatura”, ossia la particolare consistenza che la rende inconfondibile. Ogni fase del processo produttivo deve svolgersi all’interno della zona di produzione. ASPETTO E SAPORE La Farina di Castagne della Lunigiana DOP ha un colore variabile dal bianco all’avorio, sapore dolce e profumo intenso di castagne. La sua particolarità è la consistenza, vellutata al tatto e fine al palato. STORIA Le prime testimonianze che attestano la comparsa del castagno nel territorio della Lunigiana risalgono al I secolo d.C. ma è soltanto tra il V e il VI secolo che si registra una diffusione più consistente della coltura. I reperti rinvenuti nei pressi della Pieve di Sorano, nella piana di Filattiera, costituiscono una testimonianza della rapida “rivoluzione” dell’agricoltura che ha sostituito il castagno alla quercia. Avendo trovato qui il suo ambiente ideale, la coltura del castagno è giunta fino ai nostri giorni, contribuendo a garantire alle popolazioni locali una sicura e sostanziosa fonte alimentare. I “gradili” e i mulini che tutt’oggi punteggiano il paesaggio sono una testimonianza storica degli antichi mestieri legati alla lavorazione della castagna.

GASTRONOMIA La Farina di Castagne della Lunigiana DOP va conservata in un luogo fresco e asciutto. In queste condizioni si mantiene fino ad un anno. In cucina è estremamente versatile e può essere utilizzata per numerose preparazioni: dal pane (pane marocca) alla pasta, fino ai dolci. La cucina tradizionale la vede protagonista di molteplici ricette, come la polenta, le lasagne (lasagna bastarda) o le tagliatelle. Tra i dolci, il più famoso è la pattòna , anche detta “castagnaccio”, ma sono gustose anche le focaccine ( cian ) e le frittelle cotte in padella ( fritei, padléti ). COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Farina di Castagne della Lunigiana DOP. È confezionato in sacchetti di plastica trasparente del peso di 500 g, 1 kg o 5 kg, che possono essere inseriti all’interno di contenitori di carta o di tela. È commercializzato a partire dal 15 novembre dell’anno di produzione ed è reperibile tutto l’anno. NOTA DISTINTIVA La Farina di Castagne della Lunigiana DOP ha un sapore particolarmente dolce, grazie alle condizioni climatiche nelle quali sono coltivati i castagni. La sua consistenza, vellutata al tatto e fine al palato, è dovuta alla macinatura lenta e costante effettuata con mulini a macine in pietra.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Farina di Castagne della Lunigiana DOP comprende 14 comuni della provincia di Massa Carrara, nella regione Toscana.


METODO DI PRODUZIONE Le castagne vengono raccolte generalmente nei mesi di ottobre e novembre. Una volta raccolte, le castagne vengono fatte essiccare in tradizionali strutture denominate “metati”, a fuoco lento e con l’utilizzo esclusivo di legna di castagno. I frutti vengono immessi nel “metato” in quantità tali da formare uno strato da 20 a 90 cm, in modo che l’umidità possa evaporare senza creare ristagni all’interno della struttura. Dopo circa 40 giorni, le castagne vengono sbucciate con le tradizionali macchine a battitori, ventilate a macchina o con tecniche tradizionali e ripassate a mano per eliminare le parti impure. I mulini provvedono poi alla trasformazione delle castagne secche in farina mediante macine di pietra, con il limite di 5 q al giorno per macina onde evitare il riscaldamento dovuto ad una velocità di lavorazione elevata. ASPETTO E SAPORE La Farina di Neccio della Garfagnana DOP ha un colore che varia dal bianco fino all’avorio scuro e consistenza fine al tatto. Il sapore dolce è caratterizzato da un leggero retrogusto amarognolo. Il profumo è quello tipico delle castagne. STORIA La farina di neccio – termine dialettale che indica la castagna e i suoi derivati – ha costituito per molti secoli un alimento base per il sostentamento delle popolazioni della Garfagnana. La coltivazione ebbe inizio intorno all’anno Mille, a seguito del boom demografico che comportò la messa a coltura di vaste aree incolte, in cui si iniziò a praticare la castanicoltura; da qui l’affermarsi del castagno come “albero del pane”. A partire dalla seconda metà del XIV secolo, il Comune di Barga emise disposizioni severe in merito alla raccolta e all’esportazione dei frutti del castagno, imponendo addirittura un dazio sulla farina di neccio. Successivamente, sul finire del XV secolo, Barga si dotò addirittura di una legge specifica a tutela dei castagneti e della farina da essi ricavata. Anche l’amministrazione della città di Lucca si dotò di una legge specifica a tutela dei castagneti e della farina di neccio nel 1489, a dimostrazione dell’importanza che detti prodotti rivestivano per le popolazioni

locali. Da allora la produzione della farina di castagno si è sempre più radicata nel territorio. GASTRONOMIA La Farina di Neccio della Garfagnana DOP va conservata in un luogo fresco ed asciutto. Viene impiegata per realizzare numerosi piatti della tradizione, tra cui i caratteristici “manafregoli”, farina di neccio cotta con il latte, il “castagnaccio”, pizza al forno ottenuta con farina di neccio, olio, noci e pinoli e il “neccio”, il pane della Garfagnana. Viene utilizzata anche per preparare la polenta, servita poi con ricotta, formaggi non troppo stagionati, funghi trifolati e salumi. Ad oggi, diversi panettieri la stanno riscoprendo per la realizzazione di dolci rustici e caratteristici. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Farina di Neccio della Garfagnana DOP. È commercializzato, per la vendita al dettaglio, in sacchetti trasparenti da 500 g o 1 kg, posti all’interno di una fascia protettiva in cartone. Per uso industriale sono disponibili confezioni da 12 kg, generalmente divise in due sacchi trasparenti e sigillati. NOTA DISTINTIVA La Farina di Neccio della Garfagnana DOP deve le sue peculiarità all’utilizzo dei “metati”, i caratteristici essiccatoi delle castagne a due piani realizzati con pietrame, calce e sabbia, oltre ai mulini con macine di pietra. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Farina di Neccio della Garfagnana DOP comprende le aree di 21 comuni della provincia di Lucca, nella regione Toscana.

FARINA DI NECCIO DELLA GARFAGNANA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Farina di Neccio della Garfagnana DOP si riferisce al prodotto ottenuto dalla macinatura di castagne secche delle varietà Carpinese, Pontecosi, Mazzangaia, Pelosora, Rossola, Verdola, Nerona e Capannaccia a cui vanno ad aggiungersi altre varietà locali.

Associazione Castanicoltori della Garfagnana Farina Neccio Via della Stazione, 12 55032 Castelnuovo Garfagnana (LU) www.associazionecastanicoltori.it info@associazionecastanicoltori.it

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori 10 Produzione (kg) 1.100

Fatturato (mln €) 0,01 Superficie (ha) 45,85 Dati Qualivita - Ismea

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FARRO DELLA GARFAGNANA IGP Consorzio Produttori Farro della Garfagnana Loc. Staiolo Sillicagnana 55038 San Romano in Garfagnana (LU) Tel: +39 0583 613154 www.farrodellagarfagnana.it info@farrodellagarfagnana.it

Bioagricert Srl Via dei Macabraccia, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel: +39 051 562158 Fax: +39 051 564294 www.bioagricert.org

Operatori 44 Produzione (kg) 25.740

Fatturato (mln €) 0,06 Superficie (ha) 179,42 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Farro della Garfagnana IGP si riferisce alla granella ottenuta per brillatura dal cereale della specie Triticum dicoccum (Schubler). METODO DI PRODUZIONE Il farro viene seminato in terreni ubicati da 300 a 1.000 metri s.l.m. con idonea giacitura ed esposizione. La semina si effettua in ottobre, utilizzando seme vestito della locale popolazione di Triticum dicoccum Schubler, nelle quantità di 100-150 kg per ettaro. Prima della semina i terreni devono essere adeguatamente lavorati e devono essere rispettate le tradizionali indicazioni per la rotazione colturale, che vedono questo cereale succedere al prato. È escluso l’impiego di concimi chimici, di fitofarmaci e di diserbanti mentre è ammesso l’uso di concimi organici. La raccolta si effettua nel mese di luglio tramite trebbiatura. La produzione massima di granella vestita per ettaro non dovrà superare i 25 quintali. Le operazioni di brillatura, tramite cui vengono rimossi i rivestimenti glumeali dei chicchi, saranno effettuate nelle zone di produzione con apposite macchine. La resa in brillato non deve superare il 60% del prodotto iniziale. ASPETTO E SAPORE Il Farro della Garfagnana IGP ha un chicco con evidenti striature biancastre a seguito della brillatura, di consistenza prevalentemente farinosa, ricchi di amido e dalle eccellenti proprietà dietetiche. STORIA Il Farro della Garfagnana IGP è frutto di una lunga tradizione che vede la Garfagnana come la zona di produzione per eccellenza di questo cereale a livello nazionale. Il farro è sicuramente uno dei cerali più antichi conosciuti dall’uomo. Coltivato già 7.000 anni fa in Mesopotamia, è stato per secoli la base alimentare di intere popolazioni asiatiche e mediterranee. Introdotto nel sud dell’Italia dagli antichi Greci si diffuse rapidamente in tutta la penisola, rimanendo per lungo tempo la coltura cerealicola privilegiata dalle popolazioni latine, tanto che Plinio la definì “il primo cibo dell’antico Lazio”. Nel III millennio a.C., ad esempio, si faceva riferimento al farro col termine oliria, ad intendere la bianca farina che da questo veniva ricavata, oppure, veniva donato come ricompensa, in simbolo di onore e gloria, agli eroi Romani, o ancora, entrava a far parte di rituali religiosi. Un antenato del pane era il puls, una sorta di polenta preparata da sfarinato di farro abbrustolito, che i legionari romani erano soliti consumare. Il farro, insieme al sale, era anche la paga che gli stessi legionari ricevevano per i loro servigi.

GASTRONOMIA Si consiglia di conservare il farro in luoghi asciutti, in contenitori di vetro oppure sottovuoto. Il Farro della Garfagnana IGP differisce dalle altre qualità di farro per il chicco più grosso e per la tenuta in cottura. Il sapore è inconfondibile. Ricco di vitamine, sali minerali e di amido, è stato riscoperto per le sue eccellenti proprietà dietetiche e perché le sue fibre svolgono un’azione benefica. Ingrediente ideale per la preparazione di zuppe, come la minestra di farro, piatto tipico in Garfagnana. Si accompagna molto bene a fagioli e leguminose in generale. La farina che può essere ricavata dal Farro della Garfagnana IGP viene utilizzata per produrre il tipico pane garfagnino, inconfondibile per consistenza e sapore. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Farro della Garfagnana IGP. Il farro brillato è commercializzato in sacchetti da 0,5-1-5 kg. Il sacchetto deve rispettare le norme di legge in vigore ed in particolare riportare le indicazioni sull’annata di produzione e la scadenza per il consumo. La confezione deve essere adeguatamente sigillata. NOTA DISTINTIVA Il Farro della Garfagnana IGP è un cereale resistente agli agenti naturali, viene coltivato su terreni poveri di elementi nutritivi senza l’impiego di concimi chimici.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Farro della Garfagnana IGP interessa alcuni comuni in provincia di Lucca, nella regione Toscana.


METODO DI PRODUZIONE La tecnica colturale utilizzata è quella in uso da centinaia di anni. Dopo l’erpicatura, il farro viene seminato meccanicamente, a file o a spaglio, nel periodo compreso tra il primo giorno di febbraio e il 10 maggio. La concimazione è unicamente organica, letamica o di derivazione letamica. Nei mesi di luglio, agosto e settembre viene effettuata la raccolta attraverso la mietitrebbiatura. Si susseguono le fasi di lavorazione specifiche a seconda della tipologia di prodotto: il Farro Spezzato è ottenuto da quello Integrale svestito della pula, spezzato in tre o quattro parti e vagliato nel calibro; il Semolino di Farro è ottenuto dalla molitura di quello Integrale, fino ad ottenere una farina a grana consistente, non polveroso seppur più fine di quello Spezzato. ASPETTO E SAPORE Il Farro di Monteleone di Spoleto DOP Integrale si presenta in chicchi allungati e ricurvi di colore marrone chiaro ambrato, privi del rivestimento esterno, al palato consistente e asciutto. Il Farro Semiperlato si differenzia per una leggera graffiatura della superficie della cariosside, che resta intera e per un colore più chiaro; al palato risulta più morbido. Il Farro Spezzato presenta un colore marrone chiaro ambrato e aspetto caratterizzato da scaglie vitree. Infine, il Semolino di Farro ha un colore marrone molto chiaro, al palato risulta pastoso. STORIA Il Farro di Monteleone di Spoleto DOP ha origini molto antiche. A dimostrarlo c’è il ritrovamento archeologico avvenuto nella tomba etrusca conosciuta come “tomba della biga” del VI secolo a.C., che si trova proprio nel comune umbro, nella quale tra i vari cereali rinvenuti c’erano anche cariossidi di farro. Una ricerca negli archivi, invece, ha permesso di trovare documenti che attestano come la coltivazione del farro a Monteleone di Spoleto si sia ampiamente diffusa dal XVI secolo. Più avanti nei secoli, l’importanza di questo cereale è ancora rilevante. Il farro infatti ha rappresentato la salvezza per i monteleonesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Quando arrivarono i tedeschi, sottrassero con prepotenza tutti i sostentamenti alla popolazione. L’unica cosa che lasciarono fu il farro, in quanto in Germania veniva utilizzato solo come mangime per gli animali. Gli abitanti di Monteleone invece, nutrendosene abitualmente, riuscirono a sopravvivere.

GASTRONOMIA È consigliato conservare il Farro di Monteleone di Spoleto DOP in luoghi freschi ed asciutti, sottovuoto o in contenitori di vetro. Il prodotto Integrale, per essere cucinato, ha bisogno di ammollo e di due ore di cottura; quello Semiperlato cuoce in 30 minuti senza ammollo, così come lo Spezzato che ha bisogno di 25 minuti di cottura. Il prodotto può essere consumato come primo o secondo piatto, contorno, piatto freddo o piatto unico. Ricco di vitamine e sali minerali, è ingrediente fondamentale per molti piatti tipici quali “l’imbrecciata”, la polenta alla Valnerina, la ricetta di San Nicola. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Farro di Monteleone di Spoleto DOP nelle tipologie: Integrale, Semiperlato, Spezzato, Semolino di Farro. È commercializzato sottovuoto in sacchetti di plastica del peso di 0,5 e 1 kg ed in sacchi di carta o di nylon del peso di 25 kg.

FARRO DI MONTELEONE DI SPOLETO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Farro di Monteleone di Spoleto DOP si riferisce alla granella ottenuta dall’ecotipo locale della specie Triticum dicoccum, prodotta nelle tipologie Integrale, Semiperlato, Spezzato e Semolino di Farro.

NOTA DISTINTIVA Le condizioni pedoclimatiche della zona di produzione, con terreni che impediscono il ristagno nelle stagioni umide, contribuiscono a definire le caratteristiche del Farro di Monteleone di Spoleto DOP: spiga piatta, corta, affusolata e cariosside vitrea e compatta con residui farinosi alla frattura. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Farro di Monteleone di Spoleto DOP comprende i comuni di Monteleone di Spoleto e Poggiodomo e parte dei comuni di Cascia, Sant’Anatolia di Narco, Vallo di Nera e Scheggino, nell’area montana (sopra i 700 metri s.l.m.) a sud-est della provincia di Perugia, nella regione Umbria.

Ador® S.R.L. Piazza Garibaldi, Ruscio 06045 Monteleone di Spoleto (PG) Tel: +39 333 8549280 www.adoronline.it info@adoronline.it

3A PTA dell’Umbria Soc. Cons. A R. L. Fraz. Pantalla - 06059 Todi (PG) Tel: +39 075 89571 www.parco3a.org segreteria.generale@parco3a.org

Operatori Potenziali 5 Produzione (kg) ND

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) Potenziali 20,1 Dati Qualivita - Ismea

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FICHI DI COSENZA DOP Consorzio Fico Essiccato del Cosentino Via Proclo, 14 - 87043 Bisignano (CS) Tel. +39 0984 949106 www.fichidicosenza.it consorzio@fichidicosenza.it

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori Potenziali 19 Produzione (kg) ND

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) Potenziali 42,98 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO I Fichi di Cosenza DOP sono fichi essiccati della varietà Dottato (od Ottato) della specie Ficus carica sativa.

to da essere esportata anche oltre oceano; nel 1920 questa varietà la si ritrova negli Stati Uniti con vari sinonimi, tra cui Kadota.

METODO DI PRODUZIONE I frutti vengono lasciati maturare sulla pianta fino a quando non raggiungono un determinato grado di appassimento, valutabile dalla variazione del colore della buccia da verde a giallo-beige e dalla piegatura del peduncolo. Grazie al clima mite, il frutto si disidrata sulla pianta, arrivando a un contenuto di acqua medio fino al 39-43%. È a questo stadio che i fichi, per le loro caratteristiche, vengono chiamati passuluni. La raccolta ha generalmente luogo nel periodo compreso tra agosto e ottobre e viene eseguita esclusivamente a mano. Dopo che i fichi vengono raccolti devono completare il processo di essiccazione per un ulteriore periodo di tempo, variabile a seconda del grado di maturazione e del metodo utilizzato. L’essiccazione può infatti avvenire con metodo tradizionale, cioè a sole diretto su supporti di canne (cannizze) sollevate da terra, che consentono e favoriscono la traspirazione e la perdita di acqua; i fichi rimangono così esposti per 3-7 giorni. L’altro metodo, definito “protetto”, consiste nel porre i frutti all’interno di serre di vetro o altro materiale trasparente a una temperatura non superiore ai 50°C per un periodo massimo di cinque giorni. Inizialmente bisogna rivoltare i fichi almeno due volte al giorno al fine di ottenere un’essiccazione omogenea. Seguono dei trattamenti con acqua che puliscono e sterilizzano i frutti così da renderli pronti per la commercializzazione. Sono necessari 3 kg di fichi freschi per ottenere 1 kg di fichi secchi.

GASTRONOMIA Essendo un prodotto essiccato, i Fichi di Cosenza DOP si conservano per periodi abbastanza lunghi. È comunque consigliato conservarli in luogo fresco e asciutto. Possono essere consumati sia a inizio che a fine pasto. Una ricetta tipica del territorio sono le cosiddette “crocette di fico” (crucetti) preparate sistemando i fichi a croce con aggiunta di noci o mandorle, scorzette di agrumi, miele di fichi e poi cuocendo il tutto al forno. Un’altra preparazione comune sono le “trecce di fichi” (pratte).

ASPETTO E SAPORE I Fichi di Cosenza DOP hanno una forma a goccia allungata, con peduncolo sempre presente, corto e sottile. La buccia ha un colore variabile dal giallo paglierino carico al beige chiaro; la polpa presenta pochi semi, piccoli e non molto croccanti. Il sapore è molto dolce, quasi mielato. La pezzatura può essere piccola (oltre 85 frutti in 1 kg), media (da 66 a 85 frutti in 1 kg) e grande (da 55 a 65 frutti in 1 kg). STORIA L’origine della coltivazione del fico risale molto probabilmente al tempo della Magna Grecia e l’introduzione nel territorio cosentino è documentata fin dal Cinquecento. Da un importante documento come la Statistica murattiana del 1812 si apprende che i fichi di Cosenza venivano già esportati al di fuori del Regno di Napoli. Inoltre la varietà Dottato, utilizzata per la produzione dei Fichi di Cosenza DOP, veniva descritta nel 1715 da Salvini come di “particolare pregio”, tan-

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Fichi di Cosenza DOP. È disponibile nelle pezzature piccola, media e grande e viene commercializzto da gennaio a maggio e da ottobre a dicembre. I fichi possono essere confezionati in vassoi di legno o altro materiale idoneo dal peso compreso tra 50 g e 1 kg, oppure in contenitori di cartone che possono pesare fino a 25 kg. NOTA DISTINTIVA Una delle caratteristiche peculiari che distinguono i Fichi di Cosenza DOP da altri fichi della stessa varietà coltivati però altrove è la presenza di acheni (“granelli”) piccoli e sottili che donano finezza alla polpa. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dei Fichi di Cosenza DOP interessa il territorio compreso fra 0 e 800 metri s.l.m. della provincia di Cosenza, nella regione Calabria.


METODO DI PRODUZIONE Le forme di coltivazione utilizzate sono quelle “a vaso libero”, in uso tradizionale nella zona, e quelle di più recente introduzione che richiamano il “vaso cespugliato” e “la siepe”. I fichi destinati all’essiccazione con buccia devono essere raccolti quando sono ben maturi, mentre i fichi che saranno essiccati senza buccia possono essere raccolti a non completa maturazione. La raccolta inizia in genere nel mese di agosto e può protrarsi fino ad ottobre. Il processo di essiccazione deve avvenire con esposizione diretta al sole e/o con l’applicazione di tecniche coadiuvanti, come la protezione dei frutti esposti al sole con tunnel in plastica e/o la bagnatura dei frutti in soluzione di acqua calda e sale al 2%. Il prodotto può essere posto in vendita anche dopo aver subito trattamenti di cottura, in forni ad aria calda, che ne imbruniscono la buccia. Il prodotto può inoltre essere farcito. Per la farcitura possono essere utilizzate mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto e bucce di agrumi, purché provenienti esclusivamente dalla zona di produzione e a condizione che l’insieme della farcitura non superi il 10% del prodotto finito. Gli ingredienti previsti per il ripieno devono essere inseriti all’interno dei fichi essiccati, dopo che questi siano stati aperti longitudinalmente. ASPETTO E SAPORE Il Fico Bianco del Cilento DOP presenta forma piriforme allungata; colore chiaro tendente al bianco se mondo (senza buccia), uniforme da giallo chiaro a giallo se con buccia e da giallo ambrato a marrone se cotto. La polpa è di consistenza tipicamente pastosa, colore giallo ambrato, gusto molto dolce. STORIA L’introduzione delle piante di fico nella zona di produzione del Fico Bianco del Cilento DOP sembra essere precedente al VI secolo a.C. ed è da attribuire ai coloni greci che in questa area avevano fondato diverse città. Catone, e poi Varrone, raccontavano che i fichi essiccati erano comunemente utilizzati nel Cilento e nella Lucania come alimento base per la manodopera impiegata nei lavori dei campi. Il Quaterno doganale delle marine del Cilento del 1486 documenta l’esistenza di una fiorente attività di produzione e commercializzazione di fichi secchi, avviati sui principali mercati italiani come alimento di pregio.

GASTRONOMIA Il Fico Bianco del Cilento DOP, in quanto essiccato, mantiene le sue caratteristiche organolettiche inalterate per periodi anche lunghi. È comunque consigliato conservarli in luogo fresco e asciutto. Questi frutti molto saporiti e dolci, hanno un gusto prelibato e profumato e per questo possono essere gustati in molti modi: al naturale o con ripieno oppure, ancora, ricoperti di cioccolata o immersi nel rhum. Trovano impiego anche in molte ricette della tradizione campana come l’antichissima melassa di fichi, di recente recuperata, uno sciroppo ottenuto dalla spremitura dei fichi essiccati e utilizzato come condimento in cucina (sulle carni, insalate, pesce, dolci). COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Fico Bianco del Cilento DOP, con o senza buccia. È commercializzato sia al naturale che farcito, in confezioni con peso compreso tra 125 g e 1 kg, oppure confezionato alla rinfusa con cesti di materiale vegetale da 1 a 20 kg. NOTA DISTINTIVA Il Fico Bianco del Cilento DOP, prodotto con la varietà di fico Dottato, deve le sue caratteristiche alle fasi di lavorazione che si svolgono interamente nell’area geografica di produzione, presso le tante piccole aziende agricole che rispettano gli usi e le consuetudini della tradizione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fico Bianco del Cilento DOP comprende 68 comuni, dalle colline litoranee di Agropoli fino al Bussento e in gran parte inclusi nell’area del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, in provincia di Salerno, nella regione Campania.

FICO BIANCO DEL CILENTO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fico Bianco del Cilento DOP si riferisce al frutto allo stato secco della specie Ficus carica L., sottospecie domestica, ottenuto dalla cultivar Dottato, conosciuto come “Bianco del Cilento”.

Consorzio di Tutela del Fico Bianco del Cilento DOP P.zza Municipio, 1 84060 Prignano Cilento (SA) Tel: +39 0974831039 Fax: +39 0974831444

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 36 Produzione (kg) 24.638

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 50,96 Dati Qualivita - Ismea

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FICODINDIA DELL’ETNA DOP Consorzio per la valorizzazione e la tutela del Ficodindia dell’ Etna DOP Piazza Municipio s.n. 95032 Belpasso (CT)

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori 26 Produzione (kg) 174.772

Fatturato (mln €) 0,14 Superficie (ha) 146,44 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Ficodindia dell’Etna DOP designa il frutto allo stato fresco ottenuto dalla specie Opuntìa Ficus-Indica L. Miller nelle tre varietà Sanguigna, Sulfàrina e Muscaredda. METODO DI PRODUZIONE Molto resistente al caldo ed alla siccità, la pianta da ficodindia si riproduce usando le pale di circa due anni di età che si interrano per i due terzi. I terreni più adeguati sono quelli di tessitura media o grossolana, opportunamente lavorati. Dopo la fioritura, tra fine maggio e la prima quindicina di giugno, si eliminano buona parte dei fiori o frutticini allegati (“scutulata” o “scozzolatura”). Le operazioni di raccolta si svolgono dalla seconda decade di agosto per i frutti di prima fioritura (Agostani o Latini) e da settembre a dicembre per i frutti di seconda fioritura (Scozzolati o Bastardoni). La raccolta è manuale con l’aiuto dei caratteristici “coppi”. I frutti vengono poi immagazzinati in locali asciutti e ventilati e sottoposti al processo di despinatura, che serve ad eliminare le numerose spine presenti sulla parte esterna dei frutti. Per questa operazione si esclude il trattamento in acqua calda mentre, attraverso un nastro trasportatore, vengono fatti arrivare ad una spazzolatrice dotata di rulli a setole speciali, in grado di eliminare completamente le spine senza danneggiare il frutto. ASPETTO E SAPORE Il Ficodindia dell’Etna DOP presenta forma ovoidale, è ricoperto di spine ed ha una polpa succosa. Si distingue in tre varietà: Sanguigna, a polpa rossa, succosa dal gusto corposo; Sulfarina (o Nostrale), a polpa gialla, consistente e saporita; Muscaredda (o Sciannarina), a polpa bianca, dal sapore delicato. I frutti di prima fioritura (Agostani o Latini) hanno dimensioni più ridotte rispetto a quelli di seconda fioritura (Scozzolati o Bastardoni). STORIA L’origine storica dell’introduzione in Sicilia del Ficodindia dell’Etna DOP è controversa. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia attribuisce l’origine del nome ad Opunte, città greca. Per molti sarebbe stato importato nel Mediterraneo da Cristoforo Colombo di ritorno dalle Americhe; per altri risalirebbe alla dominazione araba dell’isola (IX secolo). Il ficodindia si è comunque inserito perfettamente nel panorama botanico della Sicilia con caratteristiche qualitative di colore, serbevolezza e consistenza uniche nel versante sud occidentale etneo. GASTRONOMIA Per garantire una buona conservabilità, è opportuno mantenere il prodotto in frigorifero o a temperature non superiori ai 6-8°C; in questi casi i frutti possono essere

conservati fino a cinque settimane dalla raccolta. Il Ficodindia dell’Etna DOP viene generalmente consumato fresco: si tolgono le due estremità, si taglia la buccia per tutta la lunghezza, infine si tirano i lembi con le dita, aprendoli. Oltre che fresco, questo prodotto può essere utilizzato come ingrediente di dolci caratteristici siciliani e per la produzione di un liquore antichissimo, il Rosolio di Ficodindia dell’Etna DOP. Con la polpa dei frutti si preparano inoltre confetture, dolci, gelati, succhi, canditi. Le bucce, prima sbollentate, si possono friggere in pastella per rendere sfiziosi gli antipasti e i contorni. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Ficodindia dell’Etna DOP, nelle varietà: Sanguigna, Sulfarina e Muscaredda, con eventuale indicazione in etichetta delle tipologie Agostani o Bastardoni. È commercializzato despinato in idonei imballaggi di cartone legno o plastica. NOTA DISTINTIVA La produzione del Ficodindia dell’Etna DOP avviene mediante la particolare tecnica colturale della “scozzolatura”, che consiste nell’eliminazione dei primi fiori al fine di provocare una seconda fioritura che origina frutti più grandi e di qualità ancora più elevata.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Ficodindia dell’Etna DOP ricade nel territorio dei comuni di Bronte, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Ragalna, Camporotondo, Belpasso e Paternò, in provincia di Catania, nella regione Sicilia. Parte dell’area risulta all’interno del Parco Regionale dell’Etna.


METODO DI PRODUZIONE Prima dell’impianto il terreno deve essere adeguatamente lavorato e concimato. Gli impianti sono esclusivamente di tipo specializzato, con densità di piantagione da 200 a 650 piante per ettaro. Nel periodo compreso tra il 10 maggio e la fine di giugno si esegue, di norma, la “scozzolatura” ovvero l’eliminazione dei fiori o dei frutticini primaverili così da indurre una seconda fioritura e la fruttificazione tardiva. La raccolta si effettua 20 agosto al 30 settembre per i frutti di prima fioritura, detti Agostani, e dal 10 settembre al 31 dicembre per i Tardivi o Scozzolati. Per l’immissione in commercio i frutti devono necessariamente essere sottoposti a despinazione. ASPETTO E SAPORE Il Ficodindia di San Cono DOP è un frutto di grandi dimensioni, con peso variabile da un minimo di 105 fino a 270 g (con tolleranza del 5%). La buccia ha colore intenso, con sfumature dal verde al giallo-arancio per la cultivar Surfarina; la cultivar Sanguigna ha invece sfumature dal verde al rosso rubino; sfumature dal verde al bianco paglierino per la cultivar Muscaredda. Il profumo è delicato e il sapore risulta molto dolce. STORIA La presenza del ficodindia in Sicilia è secolare. Già nella prima metà dell’Ottocento la coltura veniva considerata una delle più rilevanti per il territorio, tanto da essere definita “la manna, la provvidenza della Sicilia” dall’agronomo francese De Gasparin (1840). Nella zona di San Cono si afferma come coltura specializzata a partire dagli anni Settanta del XX secolo. GASTRONOMIA Se mantenuto a basse temperature, il Ficodindia di San Cono DOP si conserva anche per alcune settimane. Oltre che come gustoso frutto fresco, viene utilizzato in cucina per la preparazione di numerose ricette: arrosto oppure sbollentato può diventare ingrediente di sfiziose insalate; può essere fatto ripieno, con provola e cipolla, poi fritto e condito con salsa

di pomodoro; o ancora può essere usato per condire spaghetti, riso o piatti a base di carne o pesce. Può essere ridotto in marmellata o mostarda. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Ficodindia di San Cono DOP, nelle varietà: Surfarina o Nostrale (detta anche Gialla), Sanguigna (detta anche Rossa), Muscaredda o Sciannarina (detta anche Bianca). Gli Agostani sono disponibili sul mercato nei mesi di agosto e settembre, i Tardivi o Scozzolati invece da settembre a dicembre; vengono confezionati in cassette di legno, plastica e cartone, oltre che in vaschette di plastica e cartone; tutte possono contenere alveoli. Le tre cultivar, secondo tradizione, possono essere presenti all’interno della stessa confezione. I pesi variano da 500 g fino a 5 kg. Le categorie commerciali ammesse sono Extra e Prima. NOTA DISTINTIVA La presenza di ampie vallate con buona irradiazione solare e ventilazione, clima mite durante tutto l’anno, sono responsabili dell’elevato contenuto di antociani che determinano il colore acceso di buccia e polpa del Ficodindia di San Cono DOP. L’altitudine moderata e un’ottima gestione delle risorse idriche contribuiscono invece allo sviluppo di frutti dalle dimensioni maggiori e con un più alto contenuto zuccherino. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Ficodindia di San Cono DOP interessa il territorio posto ad altitudine compresa tra 200 e 600 metri s.l.m. dei comuni di San Cono e San Michele di Ganzaria, in provincia di Catania, Piazza Armerina in provincia di Enna e Mazzarino in provincia di Caltanissetta, nella regione Sicilia.

FICODINDIA DI SAN CONO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Ficodindia di San Cono DOP si riferisce ai frutti allo stato fresco, despinati, delle seguenti cultivar della specie Opunzia ficus indica: Surfarina o Nostrale (detta anche Gialla), Sanguigna (detta anche Rossa), Muscaredda o Sciannarina (detta anche Bianca). È ammessa inoltre una percentuale massima pari al 5% di ecotipi locali. Sono considerati ecotipi locali, quindi ammessi nella DOP, le selezioni di Trunzara relative alle cultivar Surfarina, Sanguigna e Muscaredda.

Consorzio di tutela del Ficodindia di San Cono Via S. Allende, 30 95040 San Cono (CT) Tel: +39 0933 1895299 grassenio.fra@gmail.com firrarellofc@libero.it

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori Prod. Registrato 2013 Produzione (kg) Prod. Registrato 2013

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2013 Superficie (ha) Prod. Registrato 2013 Dati Qualivita - Ismea

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FUNGO DI BORGOTARO IGP Consorzio Fungo di Borgotaro Via Nazionale, 90 43043 Borgo Val di Taro (PR) Tel: +39 0525 90155 www.fungodiborgotaro.com info@fungodiborgotaro.com

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori 12 Produzione (kg) 4.470

Fatturato (mln €) 0,08 Superficie (ha) 3.356,68 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Fungo di Borgotaro IGP si riferisce ai funghi porcini freschi ed essiccati derivati da crescita spontanea (di bosco) delle quattro varietà Boletus aestivalis, Boletus pinophilus, Boletus aereus e Boletus edulis. METODO DI PRODUZIONE È ottenuto attraverso metodi che si diversificano in modo sostanziale da quelli tipici degli ortofrutticoli in quanto il Fungo di Borgotaro IGP non è coltivato nell’accezione classica del termine, ma è caratterizzato da crescita spontanea. Si può pertanto parlare di “trattamento”, in riferimento alla conduzione dei boschi nei quali avviene la raccolta, che si differenzia a seconda delle condizioni ambientali. Sono ammessi il trattamento a taglio raso matricinato e a sterzo nei cedui e a tagli successivi nelle frustaie. Le operazioni di raccolta si eseguono dalla fine della primavera al tardo autunno a seconda della varietà: la specie Boletus aestivalis compare a fine primavera e nelle annate più calde fruttifica sino all’autunno; il Boletus aereus è raccolto invece nei periodi più caldi, il Boletus pinophilus è raccolto dalla primavera al tardo autunno; infine il Boletus edulis è raccolto in autunno. ASPETTO E SAPORE Il Fungo di Borgotaro IGP presenta forma arrotondata e carnosa, di gradevole odore fungino e sapore aromatico. Il Boletus aestivalis ha un cappello di colore bruno-rosso più o meno scuro; il Boletus pinophilus di colore granata brunorossiccio-vinoso; il Boletus aereus di colore bronzo-ramato; il Boletus edulis di colore dal bianco crema al bruno-castano e bruno-nerastro. Il diametro del cappello varia da un minimo di 20 fino a oltre 30 cm. STORIA Le prime notizie che riportano al Fungo di Borgotaro IGP le troviamo nell’Istoria di Borgo Val di Taro redatta da Alberto Clemente Cassio (1669-1760). Una seconda testimonianza sulla produzione fungina si ricava dal Vocabolario topografico del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla di Lorenzo Molossi del 1832-1834, in cui nella voce dedicata al territorio di Albareto l’autore cita la fiorente produzione di funghi. Il commercio dei Funghi di Borgotaro si è sviluppato ulteriormente nel corso del XIX, dando luogo a diversi tentativi di razionalizzarne il mercato; inoltre onde impedire uno sfruttamento eccessivo, nel 1964, per la prima volta in Italia furono istituite le riserve per la raccolta dei funghi. GASTRONOMIA Il Fungo di Borgotaro IGP può essere conservato per alcuni giorni ponendolo nel ripiano inferiore del frigori-

fero oppure in ambiente fresco. Qualora si desideri conservarlo per un periodo più lungo, si può essiccare, seguendo l’accorgimento di non lavarlo, ma solo ripulirne la superficie esterna, tagliarlo a fette ed esporlo al sole per qualche giorno su una rete . In alternativa, i funghi si possono anche surgelare sia freschi sia previa cottura. Il Fungo di Borgotaro IGP rappresenta un ingrediente ideale nella preparazione di molti piatti della tradizione: crudo in fette sottilissime con scaglie di ParmigianoReggiano DOP, con la polenta, nei sughi o come ripieno delle paste fresche, trifolato, alla piastra o sotto olio. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Fungo di Borgotaro IGP allo stato fresco e essiccato, nelle quattro specie: Boletus aestivalis o Rosso; Boletus pinophilus o Moro; Boletus aereus o Magnan; Boletus edulis o Fungo del Freddo. È commercializzato, dalla primavera al tardo autunno, in cassette e contenitori sigillati. NOTA DISTINTIVA La secolare attività selvicolturale attuata nel territorio di produzione influisce positivamente sulla crescita del Fungo di Borgotaro IGP, unico micete a marchio di qualità in Europa e unico prodotto tra gli ortofrutticoli a non essere coltivato, regalando caratteristiche organolettiche e di qualità che lo differenziano dagli altri funghi. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Fungo di Borgotaro IGP ricade nei comuni di Albareto, Borgo Val di Taro, Bedonia, Berceto, Compiano e Tornolo in provincia di Parma, nella regione EmiliaRomagna e nei comuni di Pontremoli e Zeri in provincia di Massa-Carrara, nella regione Toscana.


METODO DI PRODUZIONE La produzione dell’Insalata di Lusia IGP si effettua in suoli opportunamente preparati sia in pieno campo che in coltura protetta. Vengono utilizzate piantine con 3-5 foglie dotate di pane di terra e poste in un contenitore alveolare. Il sesto di impianto utilizzato è 30-35 cm tra le file e 30-35 cm sulla fila. A seguito della piantagione, vengono apportati ridotti interventi irrigui grazie alla presenza di una falda freatica che sopperisce alle esigenze idriche. La raccolta inizia quando la varietà Gentile ha raggiunto un peso non inferiore a 150 g e la varietà Cappuccia un peso non inferiore a 200 g. I cespi sono poi puliti, eliminando le foglie basali, e lavati. Queste operazioni, cosiddette di “toelettatura”, vengono effettuate in campo, in modo da evitare ulteriori manipolazioni che potrebbero comportare un deterioramento delle qualità del prodotto. Al termine della pulitura ogni cespo viene preconfezionato e poi trasportato nei locali idonei ad ultimarne il confezionamento. ASPETTO E SAPORE L’Insalata di Lusia IGP presenta un fusto molto carnoso e corto, di lunghezza variabile. La varietà Cappuccia ha peso variabile da 200 a 450 g; presenta foglie tendenti al verde brillante, di forma ondulata e compatta, dal gusto fresco e croccante. La varietà Gentile ha peso leggermente inferiore, che varia da 150 a 450 g; la foglia risulta bollosa con margine frastagliato, di colore verde chiaro e brillante. STORIA Le origini dell’orticoltura nel territorio di Lusia risalgono all’inizio del Novecento, come attività destinata al consumo familiare. Dal 1933 si trova menzione della produzione di insalate con la dicitura Latuga o Salata, con cui generalmente si intendeva l’insalata Cappuccia, nei quaderni manoscritti dei produttori della zona. Secondo i dati statistici sulla produzione orticola degli anni Cinquanta, le insalate si erano affermate come secondo prodotto in termini quantitativi. L’introduzione della varietà Gentile risale agli anni Sessanta ad opera di alcuni commercianti di Lusia, i quali la importarono dal mercato veronese che erano soliti frequentare. Da allora, grazie ad un territorio particolarmente vocato, la produzione ha

subito continui miglioramenti realizzati anche attraverso la selezione genetica delle varietà. GASTRONOMIA L’Insalata di Lusia IGP va conservata in luoghi freschi e asciutti, al riparo da luce o fonti di calore. Abbinata a secondi a base di carne o pesce è ideale come contorno, ma può essere un gustoso piatto unico se abbinata a verdura cruda, legumi e cereali in chicchi, tonno sotto olio o formaggi di vario tipo. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Insalata di Lusia IGP, nelle varietà: Crispa o Gentile e Capitata o Cappuccia. È commercializzato confezionato in contenitori di plastica, legno, cartone, polistirolo e altri materiali per alimenti. È disponibile sul mercato per 10-11 mesi all’anno.

INSALATA DI LUSIA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Insalata di Lusia IGP è un ortaggio a foglia larga allo stato fresco appartenente alla famiglia delle Asteracee, specie Lactuca sativa , nelle due varietà: Crispa (detta anche Gentile) e Capitata (denominata anche Cappuccia).

NOTA DISTINTIVA Le condizioni pedoclimatiche della zona di produzione contribuiscono a conferire all’Insalata di Lusia IGP qualità che la distinguono da altri prodotti simili. In particolare, la ricchezza in sali minerali dell’acqua e del terreno, che rende il prodotto ricco di potassio e calcio e particolarmente sapido, tanto da consentire di gustarlo appieno senza aggiungere sale alimentare come condimento. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Insalata di Lusia IGP ricade all’interno dei confini territoriali dei seguenti comuni: Lusia, Badia Polesine, Lendinara, Costa di Rovigo, Fratta Polesine, Villanova del Ghebbo in provincia di Rovigo; Barbona, Vescovana e Sant’Urbano in provincia di Padova, nella regione Veneto.

Consorzio Insalata di Lusia IGP Via Provvidenza 25/3 - 45020 Lusia (RO) Tel e Fax: +39/0425/607024 www.insalatalusia.it info@insalatalusia.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 23 Produzione (kg) 26.112

Fatturato (mln €) 0,03 Superficie (ha) 89,96 Dati Qualivita - Ismea

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KIWI DI LATINA IGP Consorzio di Tutela IGP Kiwi Latina Via Umberto I, 80 04100 Latina Tel: +39 0773 672256 Fax: +39 0773 474087

CCIAA di Latina Viale Umberto I, 80 - 04100 Latina Tel: +39 0773 6721 Fax: +39 0773 693003 www.cameradicommerciolatina.it info@cameradicommerciolatina.it

Operatori 35 Produzione (kg) 54.000

Fatturato (mln €) 0,12 Superficie (ha) 152,52 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Kiwi Latina IGP si riferisce al frutto allo stato fresco ottenuto dalla specie botanica Actinidia deliciosa, varietà Hayward. METODO DI PRODUZIONE La pianta predilige terreni freschi e profondi, ben drenati e ricchi di sostanze organiche e minerali come ferro e magnesio. Per avere una buona impollinazione e quindi un buon raccolto bisogna che le piante femminili e maschili vengano alternate in modo corretto: un maschio ogni 5-8 femmine. Nel periodo compreso tra la fine di giugno e l’inizio di luglio si effettua il diradamento dei frutti, vengono cioè eliminati quelli che presentano evidenti difetti, in modo da lasciare solo circa 800-1000 frutti per pianta. La raccolta avviene tra fine ottobre e inizio novembre, periodo in cui generalmente i frutti, con la maturazione, sviluppano il giusto contenuto di zuccheri (valori opportunamente misurati dagli agricoltori). ASPETTO E SAPORE Il Kiwi Latina IGP ha forma cilindrico-ellissoidale con diametro inferiore all’altezza. La buccia è di colore bruno e fondo verde chiaro; la polpa è di colore verde smeraldo chiaro, con columella biancastra e morbida, circondata da una corona di piccoli e numerosi semi neri. La consistenza è soda, il sapore presenta una sapidità tipica, dolce-acidula gradevole che si raggiunge a completa maturazione. STORIA Nonostante sia conosciuto come frutto originario della Nuova Zelanda, il kiwi era già noto in Cina oltre 700 anni fa, dove era considerato una delicatezza alla corte del Gran Khan. In epoca più recente, sono stati alcuni missionari neozelandesi, all’inizio del secolo scorso a portare le prime piante selvatiche di Actinidia deliciosa nel paese australe, dove la cosiddetta “uva spina cinese” - così era chiamato all’epoca il kiwi - era inizialmente considerata come pianta ornamentale da giardino. Solamente nell’immediato dopoguerra fu sviluppata la prima varietà commerciale per il consumo alimentare. Il nome attuale del frutto è stato coniato solo nel 1959 e trae origine dall’uccello che simboleggia la Nuova Zelanda. Nel corso degli anni Settanta la pianta è arrivata nel nostro Paese e la sua coltivazione si è diffusa rapidamente, facendo in breve tempo dell’Italia il principale produttore mondiale di kiwi. In particolare nel Lazio è stata introdotto nel 1971 da Ottavio Cacioppo, che realizzò un impianto sperimentale a San Felice Circeo (LT). Così nel 1973 nacquero i primi impianti in provincia di Latina. Nel 1978 fu organizzato a Torino il primo convegno sull’ac-

tinidia nel corso del quale la zona agro pontina è stata menzionata come zona italiana particolarmente vocata alla produzione del kiwi. GASTRONOMIA Il Kiwi Latina IGP va conservato in frigorifero e preferibilmente consumato entro pochi giorni dall’acquisto. Se riposto all’interno di un sacchetto di plastica, si mantiene anche fino a due settimane. È inoltre consigliabile non tenere il kiwi vicino ad altra frutta perché questo potrebbe causare l’accelerazione del processo di maturazione. Ricco di vitamina C e ottimo antiossidante, il frutto viene generalmente consumato fresco, ad esempio come frutta da tavola o come ingrediente nelle macedonie, ma si presta bene anche per la preparazione di marmellate, confetture, dolci, gelati, succhi, sciroppi e liquori. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Kiwi Latina IGP. È commercializzato nelle categorie commerciali Extra (peso superiore a 90 g) e Prima (peso superiore a 80 g), sfuso o confezionato. È disponibile sul mercato da gennaio ad aprile e da ottobre a dicembre. NOTA DISTINTIVA La tipicità del Kiwi Latina IGP deriva dalla combinazione di fattori quali il clima, temperato-umido privo quasi del tutto di gelate, e le caratteristiche del suolo, sabbioso e ricco di minerali di origine vulcanica.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Kiwi Latina IGP comprende 24 comuni nelle province di Roma e Latina, nella regione Lazio.


te tra le cultivar indigene della penisola iberica, può essere considerata una varietà autoctona dell’agro di Cerignola, nell’antica Daunia, oggi conosciuta come Tavoliere delle Puglie.

METODO DI PRODUZIONE La raccolta ha inizio ai primi di ottobre ed avviene manualmente, al fine di evitare danni alle olive. Per evitare il contatto delle olive con il terreno vengono anche usati degli appositi teli. L’irrigazione è interrotta 10-15 giorni prima della raccolta. Dopo essere state raccolte, le olive vengono trasportate in apposite cassette di plastica in azienda, per essere immediatamente avviate alla trasformazione. Le olive vengono cernite e separate in base alla grandezza ed al grado di maturazione. Le olive verdi subiscono un processo di trasformazione, noto come Sistema Sivigliano, che permette di eliminare l’amaro delle olive crude, mediante utilizzo di soluzione sodica. Questo trattamento ha durata di tempo variabile dalle 8 alle 15 ore, a seconda della temperatura, della grandezza delle olive e del loro grado di maturazione. Seguono ripetuti lavaggi, volti ad eliminare la soda. Le olive, così addolcite, vengono conservate per almeno 30 giorni in acqua e sale per consentire la fermentazione, a seguito della quale acquisiranno il caratteristico colore verde tendente al giallo paglierino, il gradevole profumo ed il loro gusto delicato. Dopo questa fase, le olive sono pronte per essere confezionate e pastorizzate. Le olive nere subiscono un processo di trasformazione, noto come Sistema Californiano. Le olive vengono messe in acqua e sale per almeno 30 giorni. Dopo di che vengono addolcite con soluzione sodica, lavate e quindi ossidate mediante immissione di aria compressa nell’acqua. Le olive, annerite per ossidazione, vengono quindi trattate con soluzione di gluconato di ferro che ne fissa il nero. Dopo questa fase, le olive vengono immediatamente confezionate e sterilizzate.

GASTRONOMIA La Bella della Daunia DOP rappresenta a pieno titolo uno dei prodotti tipici della dieta mediterranea. La gradevolezza del gusto, l’immediata utilizzazione senza necessità di cottura, la buona durata nella conservazione, fanno di questa oliva da tavola un ingrediente particolarmente adatto a molte preparazioni rapide e digeribili, che vanno dagli snack ed aperitivi all’arricchimento di antipasti e contorni.

ASPETTO E SAPORE La Bella della Daunia DOP è di colore verde o nero, di grandi dimensioni, con peso fino a 30 g. La forma è allungata, simile ad una susina. La polpa è abbondante. Le verdi sono croccanti e saporite, le nere hanno una polpa di media consistenza e un gusto delicato. STORIA Alcuni autori ritengono che questa cultivar derivi dalle olive Orchites dei romani, altri che sia stata introdotta dalla Spagna prima del 1400, nel periodo aragonese. Tuttavia, non essendo mai stata presen-

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nelle tipologie La Bella della Daunia DOP Verde e Nera, in vasi di vetro, in latte a banda stagnata o in contenitori di termoplastica. NOTA DISTINTIVA La Bella della Daunia DOP viene considerata l’oliva da tavola per eccellenza: è particolarmente apprezzata per le sue caratteristiche organolettiche e per l’eccezionale grandezza dei frutti.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione de La Bella della Daunia DOP comprende i comuni di Cerignola, Stornara, Stornarella e Orta Nova in provincia di Foggia e i comuni di San Ferdinando di Puglia e Trinitapoli in provincia di Barletta-AndriaTrani, nella regione Puglia.

LA BELLA DELLA DAUNIA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Bella della Daunia DOP è riferita all’oliva da mensa di grandi dimensioni, verde o nera, ottenuta dalla varietà di olivo Bella di Cerignola.

Consorzio di Tutela Oliva da Mensa DOP La Bella della Daunia Cultivar Bella di Cerignola P.zza della Repubblica, 1 71042 Cerignola (FG) www.consorziotutelaolivabella.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 51 Produzione (kg) 346.033

Fatturato (mln €) 1,44 Superficie (ha) 577,65 Dati Qualivita - Ismea

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LENTICCHIA DI CASTELLUCCIO DI NORCIA IGP Cooperativa Lenticchia Castelluccio di Norcia Via del Lavoro Zona Industriale 06046 Norcia (PG) Tel: +39 0743 817073 www.lenticchiacastelluccio.it

3A PTA dell’Umbria Soc. Cons. A R. L. Fraz. Pantalla - 06059 Todi (PG) Tel: +39 075 89571 www.parco3a.org segreteria.generale@ parco3a.org

Operatori 30 Produzione (kg) 364.539

Fatturato (mln €) 1,98 Superficie (ha) 516,7 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP si riferisce al seme allo stato secco degli ecotipi locali della specie leguminosa Lens culinaris Moench. METODO DI PRODUZIONE La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP è ottenuta da piante dalle dimensioni ridotte, alte tra 20 e 40 cm, che hanno un ciclo di vita annuale e fioriscono tra maggio ed agosto; i fiori sono piccoli e bianchi con sfumature celesti e i baccelli contengono da uno a tre semi tondeggianti. La tecnica colturale adottata è quella tradizionale, in uso da centinaia di anni, che prevede siano effettuate operazioni di aratura ed erpicatura all’inizio della primavera, quando il manto nevoso si scioglie; la semina invece dalla metà di marzo alla metà di maggio, a cui fa seguito il processo di rullatura dei campi per facilitare la germinazione. Trascorso un mese e mezzo circa dalla semina del prodotto, si ha generalmente la fioritura delle piante. L’elevata frequenza delle piogge ed i precoci freddi autunnali accorciano il periodo di maturazione della lenticchia costringendo gli agricoltori allo sfalcio (“carpitura”) e successiva trebbiatura entro agosto. Le piante vengono lasciate essiccare nel campo, raccolte in mucchietti e disposte su file, e quindi trebbiate nell’aia per l’estrazione dei semi. ASPETTO E SAPORE La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP si presenta sotto forma di semi molto piccoli, appiattiti e tondeggianti, dalla buccia molto fine e di colore variabile dal verde screziato al marroncino chiaro (alcuni semi possono essere tigrati). STORIA Originaria dell’Asia Minore, la lenticchia è una delle piante alimentari note all’umanità da tempi tanto remoti da essere ricordata anche nella Bibbia. L’uso di questo legume è conosciuto da millenni, come dimostra il ritrovamento di semi in tombe neolitiche datate 3000 a.C. La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP ha in particolare una storia antichissima, che risale fino alle origini della civiltà agricola umbra. Le tecniche di produzione di questo legume sono infatti le medesime utilizzate sin da tempi antichi. GASTRONOMIA La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP deve essere riposta in recipienti di coccio, vetro o carta, collocati in ambienti freschi ed asciutti dove si può conservare anche per lunghi periodi. Una volta cotte, le lenticchie vanno conservate in frigorifero. Caratterizzate da una buccia particolarmente fina e tenera, a

differenza degli altri legumi non devono essere preventivamente ammorbidite. Consumate previa cottura, possono essere utilizzate sia nella preparazione di primi che di secondi piatti. I suoi pregi gastronomici sono un tempo di bollitura non superiore ai 30 minuti e la capacità di mantenere la cottura, che rendono questo prodotto adatto per primi piatti quali zuppe o pasta, ma anche e soprattutto come contorno. È infatti l’ideale accompagnamento dei salumi umbri e il tradizionale compagno di cotechino e zampone. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP. È commercializzato in sacchetti di juta o in confezioni di cartone o plastica, di peso di 250 e 500 g e da 1 kg. Sul mercato è inoltre disponibile come prodotto trasformato (lenticchie stufate o lessate) ottenuto da Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP confezionato in barattoli da 400 g. NOTA DISTINTIVA La Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP, unica per le ridotte dimensioni e il sapore inconfondibile, è una delle protagoniste della famosa “fioritura” dei piani di Castelluccio, evento naturale che ogni anno nei mesi estivi offre uno spettacolo suggestivo di colori e profumi. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP interessa i comuni di Norcia, in provincia di Perugia e Castel Sant’Angelo su Nera, in provincia di Macerata, rispettivamente nelle regioni Umbria e Marche. Il territorio ricade integralmente all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.


METODO DI PRODUZIONE È ottenuto da un tipo di coltura a terrazzamento, la cui struttura rende coltivabili territori di particolare pendenza. Le unità colturali sono inglobate in muretti di contenimento chiamati macere. Questo metodo produttivo richiede una grande manutenzione al fine da assicurare il corretto drenaggio delle acque (mediante l’eliminazione della vegetazione infestante dalle pareti). L’albero viene allevato sotto tipiche impalcature di legno di castagno, di altezza non inferiore a 180 cm, eventualmente sormontate da coperture che hanno sia una funzione di riparo dalle avversità meteorologiche, che di ritardo della maturazione. Nei primi due anni non si esegue una vera potatura ma si fa crescere la pianta liberamente legando le ramificazioni alle traverse. La raccolta viene eseguita esclusivamente a mano, evitando di far toccare i frutti a terra; il periodo è generalmente quello compreso tra febbraio e ottobre, anche se ci possono essere variazioni in base all’andamento climatico. ASPETTO E SAPORE Il Limone Costa d’Amalfi IGP è caratterizzato da forma ellittica e affusolata. La buccia è di colore giallo citrino e di spessore medio, separata dalla polpa da uno strato bianco e spugnoso, risulta caratterizzata da un profumo intenso e aromatico per la presenza di oli essenziali. La polpa è di colore giallo paglierino e priva di semi, succo abbondante con elevata acidità, dall’aroma e profumo molto intensi. STORIA Le pregiate qualità del Limone Costa d’Amalfi IGP godono di fama plurisecolare. Alcuni dipinti della Casa del Frutteto di Pompei, risalenti agli inizi del IX secolo, raffigurano i colori caratteristici della Costa d’Amalfi. In questo periodo il paesaggio è punteggiato da limoneti, ribattezzati “giardini” per la loro cura e bellezza, preziosissimi per salvaguardare il territorio dal dissesto idrogeologico. La produzione di limoni permetteva inoltre agli amalfitani, popolo di navigatori, di avere sempre a bordo delle navi un’efficace arma contro lo scorbuto. Dal XV secolo iniziò un fiorente commercio marittimo, che partiva dalla cittadina di Minori e si dirigeva verso numerosi porti italiani ed europei, stimolando la diffusione dei giardini di limoni. GASTRONOMIA Il Limone Costa d’Amalfi IGP va conservato in frigo-

rifero o in un luogo fresco e asciutto. Può essere consumato fresco o essere utilizzato per la preparazione di numerosi piatti. Prodotto molto versatile in cucina, non esiste portata di terra o di mare che non possa essere insaporita con il suo succo, la sua polpa o la sua scorza grattugiata. Tradizionalmente si consuma fresco tagliato a fette, con l’aggiunta di un pizzico di sale o zucchero, foglioline di menta e aceto. È perfetto anche come ingrediente in antipasti, primi piatti, carne o pesce, frutta e verdura. Ideale come base di conserve, marmellate o confetture, viene usato inoltre per la preparazione di biscotti, dolci e dei liquori. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Limone Costa d’Amalfi IGP. È commercializzato fresco da febbraio a ottobre con peso unitario di 100 g, in contenitori rigidi con capienza variabile da 0,5 a 15 kg. Il prodotto è reperibile in commercio anche trasformato, come Limoncello a base di Limone Costa d’Amalfi IGP. NOTA DISTINTIVA Recenti studi chimico-alimentari hanno stabilito che il Limone Costa d’Amalfi IGP contiene una quantità di composti aromatici in misura quasi doppia rispetto a ogni altro limone.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone Costa d’Amalfi IGP comprende l’intero territorio del comune di Atrani e parte del territorio dei comuni di Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare, in provincia di Salerno, nella regione Campania.

LIMONE COSTA D’AMALFI IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone Costa d’Amalfi IGP è un agrume allo stato fresco che appartiene alla specie Citrus limon L., varietà Sfusato Amalfitano.

Consorzio di Tutela Limone Costa d’Amalfi IGP C.so Regina, 71 - 84010 Maiori (SA) Tel: +39 089 853876 www.limonecostadamalfiigp.com info@limonecostadamalfiigp.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 341 Produzione (kg) 1.241.911

Fatturato (mln €) 2,11 Superficie (ha) 120,9 Dati Qualivita - Ismea

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LIMONE DI ROCCA IMPERIALE IGP Consorzio per la tutela e valorizzazione del Limone di Rocca Imperiale Via Castello Aragona 87074 Rocca Imperiale (CS) Tel. e Fax: +39 0981 936405 consorziolimone@libero.it

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori Potenziali 43 Produzione (kg) ND

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) Potenziali 65,29 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone di Rocca Imperiale IGP è il frutto fresco proveniente dalla cultivar Femminello, appartenente alla specie botanica Citrus limon Burm. METODO DI PRODUZIONE È prevista sia la costituzione di nuovi impianti che la riconversione varietale di agrumeti già esistenti con le cultivar appartenenti al gruppo Femminello. Le operazioni di potatura vengono effettuate verso fine inverno, senza inoltrarsi nel periodo della fioritura. L’irrigazione varia in rapporto all’andamento stagionale e alle esigenze della pianta. La concimazione si basa sullo stato di fertilità dei terreni ed è attuata secondo il metodo di produzione, così come la difesa fitosanitaria. I frutti vengono raccolti tutto l’anno, manualmente, e questa operazione richiede pratica e cura per evitare danni ai frutti e conseguentemente la possibilità di penetrazione a svariati parassiti fungini. Occorre raccogliere con tempo asciutto o comunque aspettando che i frutti siano liberati dalla rugiada condensatasi durante la notte precedente. ASPETTO E SAPORE Il Limone di Rocca Imperiale IGP ha forma allungata, di medie dimensioni. La sua buccia è di colore variabile da verde chiaro a giallo. Quasi priva di semi, la polpa è di colore giallo pallido, il succo abbondante e chiaro, né acido né amaro. STORIA La produzione del Limone di Rocca Imperiale risale al Seicento mentre è nel periodo compreso tra il 1865 e il 1870 che si sono registrare le prime esportazioni, in occasione delle fiere che si svolgevano a Napoli e alle quali parteciparono i primi commercianti. Nel 1877 la produzione dei limoni a Rocca è inferiore, quanto a numero di piante, solo a Trebisacce, Corigliano e Rossano, comuni molto più grandi di Rocca Imperiale. A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, alle coltivazioni tradizionali si sono sostituiti gli impianti specializzati, ancora oggi in funzione. L’uso consolidato del nome “Limone di Rocca Imperiale” è affermato da oltre 25 anni e l’uso corrente di questa denominazione, anche nelle regioni limitrofe, è dimostrato dai documenti commerciali e di trasporto delle aziende del comprensorio, da documenti parrocchiali, da manifestazioni fieristiche locali ed incontri promossi dalle organizzazioni professionali agricole. A testimonianza della vitalità di una tradizione molto radicata nel territorio, nella prima metà di agosto si svolge la Sagra dei Limoni di Rocca Imperiale, che

si tiene nella omonima località e che rappresenta da diversi anni la più rinomata occasione per la degustazione del prodotto. GASTRONOMIA Il Limone di Rocca Imperiale IGP va conservato in frigorifero o in un luogo fresco e asciutto, preferibilmente all’interno di un sacchetto di carta. Il suo succo e i suoi olii essenziali lo rendono particolarmente adatto nella preparazione di dolci, sorbetti e gelati. La buccia può essere utilizzata in bevande quali tè, acqua tonica o drinks. In cucina si apprezza al meglio anche su primi e secondi piatti sia a base di pesce che di carne. È usato, inoltre, per la preparazione di prodotti da forno e liquori. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Limone di Rocca Imperiale IGP. È immesso al consumo in contenitori e/o vassoi di legno, plastica, cartone; in sacchi retinati di peso massimo di 5 kg; in bins alveolari. Le categorie di vendita sono: Extra, Prima e Seconda. NOTA DISTINTIVA Il Limone di Rocca Imperiale IGP ha una resa in succo superiore al 30% e un contenuto in limonene – un olio essenziale che conferisce al prodotto un profumo intenso e persistente – superiore al 70%.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone di Rocca Imperiale IGP coincide con il territorio amministrativo del comune di Rocca Imperiale, in provincia di Cosenza, nella regione Calabria.


METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto devono avere una densità massima di 400-500 piante per ettaro o di 850 unità nel caso di sesti dinamici. Gli impianti possono essere curati con metodo convenzionale, integrato oppure biologico. Tutte le operazioni colturali vanno eseguite in modo tale che si mantenga il giusto equilibrio e sviluppo della pianta, che deve sempre essere soggetta ad una corretta aerazione ed esposizione al sole. La raccolta dei frutti è manuale ed è effettuata, direttamente dalla pianta, con l’ausilio di forbicine per il taglio del peduncolo e si esegue in periodi diversi: a partire dal primo ottobre fino al 14 aprile per il Primofiore; dal 15 aprile al 30 giugno per il Bianchetto o Maiolino; dal primo luglio al 30 settembre per il Verdello. ASPETTO E SAPORE Il Limone di Siracusa IGP presenta caratteristiche differenti a seconda della tipologia. Il Primofiore infatti ha pezzatura medio-grande, forma ellittica, buccia e polpa di colore variabile dal verde chiaro al giallo-citrino e succo giallo citrino. Il Bianchetto o Maiolino ha pezzatura grande, si presenta ellittico od ovoidale, buccia giallo chiaro, polpa gialla e succo giallo-citrino. Il Verdello, medio-grande, ha forma ellittico-sferoidale, buccia colore verde chiaro, mentre succo e polpa sono giallo-citrino. STORIA La pianta del limone iniziò ad essere coltivata in maniera intensiva nel siracusano a partire dal XVII secolo ad opera dei Padri Gesuiti, esperti coltivatori. Il limone divenne una delle principali fonti di sostentamento del territorio e nel 1891 la produzione raggiunse circa 11.600 tonnellate di prodotto. Visto il successo della coltivazione, nell’area iniziarono a nascere aziende che lavoravano questi frutti per ricavare l’agro-cotto, il citrato di calcio e l’acido citrico. Si iniziò a commercializzare il prodotto anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra. La coltura del limone del siracusano è rimasta, fino ad oggi, uno dei fiori all’occhiello dell’economia locale. GASTRONOMIA Il Limone di Siracusa IGP va conservato in frigorifero o in luogo fresco e asciutto. La temperatura ideale di conservazione va da 6 a 12°C. Le caratteristiche del

succo (come la resa, il contenuto di vitamina C e di acido citrico) nonché le peculiarità dei suoi oli essenziali (ricchi di aldeidi quali il nerale e il geraniale) lo rendono particolarmente adatto nella preparazione di dolci, sorbetti e gelati. La buccia può essere utilizzata in moltissime bevande come tè, acqua tonica o drinks. In cucina si apprezza anche su primi e secondi piatti sia a base di pesce che di carne. È usato infine per la preparazione di prodotti da forno e liquori. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Limone di Siracusa IGP, nelle tipologie: Primofiore, Bianchetto o Maiolino, Verdello. Grazie alla scalarità delle tre tipologie è disponibile sul mercato tutto l’anno anche se il periodo di vendita più rilevante va comunque dal mese di ottobre al mese di maggio. Può essere commercializzato sfuso oppure confezionato in idonei contenitori di cartone, legno, plastica oppure in reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. Le categorie commerciali sono esclusivamente la Extra e la Prima.

LIMONE DI SIRACUSA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone di Siracusa IGP è un agrume della specie botanica Citrus limon L. Burm, cultivar Femminello e suoi cloni, nelle tipologie: Primofiore, Bianchetto o Maiolino (o limone primaverile), Verdello (o limone d’estate).

NOTA DISTINTIVA Il Limone di Siracusa IGP si distingue dagli altri per l’elevata succosità, la ricchezza di ghiandole oleifere nella buccia e l’alta qualità degli oli essenziali. È inoltre un ottimo dissetante, aromatico, ricchissimo di vitamina C e di sali minerali. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone di Siracusa IGP comprende tutto o parte del territorio amministrativo dei comuni di Augusta, Melilli, Siracusa, Noto, Avola, Rosolini, Floridia, Priolo Gargallo, Solarino e Sortino in provincia di Siracusa, nella regione Sicilia.

Consorzio di tutela del Limone di Siracusa IGP Via De Caprio, 57 96100 Siracusa www.limonedisiracusa.org info@limonedisiracusa.org

IZS Sicilia Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Via G.Marinuzzi, 3 90129 Palermo Tel: +39 091 6565111 www.izssicilia.it

Operatori 140 Produzione (kg) 2.095.320

Fatturato (mln €) 2,30 Superficie (ha) 1.026,36 Dati Qualivita - Ismea

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LIMONE DI SORRENTO IGP Consorzio di Tutela del Limone di Sorrento IGP Via dei Platani, 15 80063 Piano di Sorrento - Napoli (NA) Tel: +39 081 5636060 www.limonedisorrentoigp.it info@limonedisorrentoigp.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 296 Produzione (kg) 1.311.252

Fatturato (mln €) 1,40 Superficie (ha) 142,31 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone di Sorrento IGP è un agrume allo stato fresco della specie Citrus limon L., Burmann, nell’ecotipo locale Ovale di Sorrento noto anche come Limone di Massa Lubrense o Massese. METODO DI PRODUZIONE La coltivazione generalmente utilizzata è quella del terrazzamento, con le piante inglobate in muretti di contenimento. La forma di allevamento è a “vaso libero”, adattato a un idoneo sistema di copertura. Gli alberi sono infatti coltivati sotto il cosiddetto “pergolato sorrentino”, vale a dire delle impalcature particolari costituite da pali, preferibilmente di legno di castagno, ricoperte di canne dette “pagliarelle”. La specie, altamente rifiorente, effettua ben cinque fioriture nell’arco dell’anno ed è per questo possibile effettuare la raccolta in un arco temporale piuttosto esteso, che generalmente va dal 1 gennaio al 31 ottobre. I frutti devono essere raccolti obbligatoriamente a mano, in modo da impedirne il contatto con il terreno. ASPETTO E SAPORE Il Limone di Sorrento IGP è caratterizzato da forma ellittica e dimensioni medio-grandi, peso non inferiore a 85 g. La buccia è ricca di oli essenziali che la rendono particolarmente profumata e si distingue per uno spessore medio e un colore giallo citrino. All’interno la polpa è giallo paglierino chiaro, risulta molto succulenta, con un succo abbondante e di elevata acidità, ben equilibrata dal contenuto di zuccheri. STORIA Il Limone di Sorrento IGP è frutto di una lunga tradizione. La presenza del limone nella Penisola Sorrentina è attestata da documentazioni, atti di vendita, dipinti, trattati di letteratura e di botanica che risalgono all’epoca rinascimentale, mentre le prime coltivazioni in forma specializzata sarebbero state opera dei Padri Gesuiti nel XVII secolo. Ancora oggi esiste uno dei primi fondi coltivati, chiamato appunto “il Gesù”, situato nella Conca di Guarazzanno, tra Sorrento e Massa Lubrense. Questa testimonianza avvalora la tesi secondo la quale è proprio da questi due comuni della Penisola Sorrentina che hanno avuto origine i nomi con cui è conosciuta la varietà: Ovale di Sorrento e Massese. Citato nelle opere di Torquato Tasso, originario di Sorrento, Giovanni Pontano e Gianbattista della Porta, nel XVIII secolo lo storico Bonaventura Da Sorrento ne testimonia la spedizione in tutto il mondo, soprattutto attraverso i bastimenti diretti verso l’America. GASTRONOMIA Il Limone di Sorrento IGP va conservato in frigorifero

o in luogo fresco e asciutto. Può essere consumato fresco o essere utilizzato per la preparazione di diverse ricette, dai primi ai secondi piatti, fino ai dolci, essendo un prodotto molto versatile in cucina. Tra le specialità caratteristiche a base di Limone di Sorrento IGP non si può non citare il limoncello, il famoso liquore tipico della zona, ottenuto dalla buccia del limone messa in infusione in una soluzione alcolica. Da provare anche un’altra deliziosa specialità: la marmellata a base di Limone di Sorrento IGP. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Limone di Sorrento IGP. È commercializzato sfuso o in contenitori rigidi con capienza variabile da 0,5 kg fino a un massimo di 15 kg, realizzati con materiale vegetale, cartone o con altro materiale riciclabile. Il prodotto è reperibile in commercio anche trasformato, come Marmellata di Limone di Sorrento IGP e Liquore di Limone di Sorrento IGP. NOTA DISTINTIVA Il Limone di Sorrento IGP è coltivato lungo i pendii che discendono sino al mare ed è allevato sotto tradizionali impalcature che lo proteggono dalle intemperie e ne ritardano la maturazione, garantendo così la possibilità di raccogliere i frutti in modo scalare durante quasi tutto l’anno.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone di Sorrento IGP comprende parte del territorio dei comuni di Vico Equense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Massa Lubrense, Capri e Anacapri, in provincia di Napoli, nella regione Campania.


METODO DI PRODUZIONE Le lavorazioni del terreno si limitano alle zappature primaverili e alle concimazioni, generalmente con letame ovino-caprino; in alternativa si ricorre a concimazioni a base di perfosfati. Sistematiche potature primaverili, prima della ripresa vegetativa, modellano costantemente la cupola e soprattutto garantiscono il necessario equilibrio tra attività vegetativa e produttiva. Le cure colturali prevedono inoltre la difesa, sia da avversità atmosferiche fronteggiate anche con i frangivento, sia da attacchi parassitari, principalmente cocciniglie, che sono causa delle fumaggini. L’irrigazione delle piante di limone avviene nel periodo che va da maggio ad ottobre. La raccolta è manuale, con l’ausilio di forbici. La produzione non deve superare le 35 tonnellate per ettaro. È vietata la maturazione artificiale dei frutti. ASPETTO E SAPORE Le due varietà di Limone Femminello del Gargano IGP sono contraddistinte dalla forte presenza di oli essenziali e profumi molto intensi nella buccia. Il Limone a Scorza Gentile è caratterizzato da forma sferoidale (diametro minimo 50 mm), buccia particolarmente liscia e di spessore sottile e si distingue per il colore giallo chiaro. All’interno la polpa è di colore giallo citrino con un numero ridotto di semi. Il Limone Oblungo è di forma ellissoidale, dimensioni mediograndi (diametro minimo 60 mm), è caratterizzato da una buccia più o meno liscia, di spessore medio e di colore giallo più intenso. STORIA La tradizione agrumaria in Puglia risale all’anno Mille. Alcuni documenti riportano che Melo, Principe di Bari, per invogliare alcuni pellegrini normanni alla conquista della regione, inviò in Normadia, a riprova della fertilità e ricchezza della zona, una certa quantità di frutti, tra cui anche i “pomi citrini” del Gargano corrispondenti al “melangolo” (arancio amaro). Alla fine del Seicento, frate Filippo Bernardi descrive il paesaggio garganico come ricco di “agrumi, che rende i paesani ricchi per il continuo traffico che vi fanno i Veneziani e gli Schiavoni i quali vengono a caricar vini, arance, limoni”. Dal Settecento, inoltre, ogni anno nel mese di febbraio, una lunga processione,

in onore di San Valentino, eletto a Santo protettore degli agrumeti culmina sul colle del Carmine, per benedire le piante. GASTRONOMIA Il Limone Femminello del Gargano IGP va conservato in frigorifero o in luogo fresco e asciutto. Può essere consumato fresco o, essendo un prodotto molto versatile, per la preparazione di numerose ricette. Può essere inoltre utilizzato come gustoso sostituto dei condimenti grassi, per insaporire piatti a base di carne, pesce e nei fritti. È ideale come base di conserve, marmellate o confetture, ma anche per la preparazione di canditi, biscotti o dolci, nonché di ottimi liquori.

LIMONE FEMMINELLO DEL GARGANO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone Femminello del Gargano IGP è un agrume allo stato fresco della varietà Femminello Comune, nelle cultivar locali: Limone a Scorza Gentile (Citrus limonium tenue Riss. detto anche Lustrino) e Limone Oblungo (Citrus limonium oblungum Riss. conosciuto come Fusillo).

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Limone Femminello del Gargano IGP nelle tipologie: a Scorza Gentile (o Lustrino) e Oblungo (o Fusillo). È commercializzato sfuso o confezionato in contenitori rigidi di materiale di origine vegetale, legno o cartone, con capacità da 1 a 25 kg. NOTA DISTINTIVA Il territorio di produzione del Limone Femminello del Gargano IGP è caratterizzato da condizioni pedoclimatiche che garantiscono una lunga persistenza del frutto sulla pianta e ne permettono la raccolta durante l’intero arco dell’anno.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone Femminello del Gargano IGP comprende i territori dei comuni di Vico del Gargano, Ischitella e Rodi Garganico, in provincia di Foggia, nella regione Puglia.

Consorzio Gargano Agrumi Via Varano,11 71012 Rodi Garganico (FG) Tel: +39 0884 966168 Fax: +39 0884 966168 www.garganoagrumi.com

CCIAA di Foggia Via Dante, 27 71100 Foggia (FG) Tel: +39 0881 797111 www.fg.camcom.it

Operatori Potenziali 41 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) ND Dati Qualivita - Ismea

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LIMONE INTERDONATO MESSINA IGP Consorzio di Tutela Limone Interdonato di Sicilia I.G.P. Via Umberto I 98026 Nizza Di Sicilia (ME) Tel: +39 366 7072030 www.limoneinterdonatoigp.it

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori 19 Produzione (kg) 91.110

Fatturato (mln €) 0,05 Superficie (ha) 26,71 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Limone Interdonato Messina IGP è un agrume allo stato fresco della specie Citrus limon L. nella cultivar Interdonato, ibrido naturale tra un clone di cedro e uno di limone. METODO DI PRODUZIONE Gli impianti possono essere condotti con il metodo integrato oppure biologico. La tecnica di allevamento può prevedere la costituzione di nuovi impianti tramite la messa a dimora di giovani piante, con operazioni eseguite dal primo settembre al 30 giugno; in alternativa può essere operata la conversione varietale di agrumeti già esistenti, nel qual caso le operazioni vengono svolte in primavera o in autunno. Questa cultivar risulta particolarmente sensibile ed esigente, motivo per cui le fasi di irrigazione e di potatura sono cruciali per il corretto sviluppo delle piante. L’irrigazione deve essere effettuata da aprile a ottobre, la potatura dal 15 febbraio al 15 settembre. La fioritura avviene al massimo due volte all’anno e la raccolta, prevista dal primo settembre al 15 aprile, viene eseguita manualmente. Di solito comunque le operazioni si concludono entro febbraio.

agrumi, che lo portò ad incrociare un cedro e l’ariddaru, un limone locale, ottenendo quello che oggi è il Limone Interdonato Messina IGP. GASTRONOMIA Il Limone Interdonato Messina IGP si conserva in luogo fresco e asciutto, possibilmente all’interno di un sacchetto di carta. Per il suo sapore particolarmente dolce è un ottimo limone da consumare da solo, anche con la buccia, oppure da gustare come insalata, a fette sottili con olio, aceto e sale. In cucina si presta alle più svariate ricette, come il tipico limone zuccarato, oltre alla preparazione di bevande di vario tipo. Un segreto per spremerne al meglio il succo è quello di tagliare il frutto in senso verticale, seguendo la naturale direzione degli spicchi. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio, da settembre ad aprile, nella tipologia Limone Interdonato Messina IGP. Può essere commercializzato sfuso o confezionato in contenitori di legno, plastica o cartone, in bins alveolari o in sacchi retinati del peso massimo di 5 kg. Le categorie ammesse sono la Extra e la Prima.

ASPETTO E SAPORE Il Limone Interdonato Messina IGP ha pezzatura medioelevata, forma ellittica e colore giallo alla maturazione, con estremità verdi opache. L’epicarpo è lucido e sottile. La polpa è gialla e il sapore risulta particolarmente dolce e delicato grazie al modesto contenuto di acido citrico.

NOTA DISTINTIVA Il Limone Interdonato Messina IGP si caratterizza per la maturazione precoce e per il sapore particolarmente dolce e delicato, dovuto al modesto contenuto di acido citrico: è perciò ottimo da consumare da solo ed è il limone migliore da accompagnare al tè.

STORIA Il limone è presente in Sicilia fin dal periodo bizantinoarabo. Dapprima impiegato come pianta ornamentale e per il consumo locale, a partire dalla seconda metà del XVI secolo si pone al centro del comparto socio-economico, con lo sviluppo di una vera e propria attività di limonicoltura. Nel XIX secolo tutto il territorio della fascia ionica della provincia di Messina era conosciuto come la “terra dai giardini sempre verdi” e ogni aspetto della vita quotidiana gravitava intorno a questa particolare varietà, conosciuta allora anche come “limone speciale” o “fino”. L’origine della cultivar del Limone Interdonato Messina IGP è attribuibile al periodo compreso tra il 1875 e il 1880, ottenuto dal colonnello garibaldino Giovanni Interdonato (da cui prende il nome) eseguendo qualcosa come 200 innesti per arrivare ad ottenere infine il giusto ibrido cedro-limone. Il colonnello, dopo aver combattuto nei moti siciliani con i patrioti di Garibaldi e aver governato nel nome dei Savoia su buona parte del messinese, si rititò a vita privata nella sua villa di Ali Terme, denominata Reitana, dove ancora oggi insistono le piante madri. Dopo il 1860 sviluppò la passione per la coltivazione degli

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Limone Interdonato Messina IGP interessa la parte ionica della provincia di Messina, estendendosi dalla città di Messina fino a Giardini Naxos, nella regione Sicilia.


METODO DI PRODUZIONE I castagneti devono essere ubicati nella fascia altimetrica che va da 300 a 900 metri s.l.m. La densità degli impianti, le forme di allevamento, i sistemi di potatura e di propagazione, esclusivamente agamica, devono essere quelli generalmente utilizzati in zona. È inoltre vietata ogni somministrazione di fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi. La raccolta viene generalmente effettuata a mano. La resa produttiva non può superare i 15 kg di frutti per pianta e i 1.500 kg per ettaro. Tali limiti di produzione devono essere rispettati anche in annate eccezionalmente favorevoli. Le operazioni di cernita, di calibratura e “curatura” devono essere effettuate nel territorio della Comunità Montana del Mugello, secondo le tecniche tradizionali. Per ottenere il Marrone del Mugello IGP trasformato allo stato secco in guscio, sgusciato intero oppure sfarinato, è necessario lavorare il prodotto fresco mediante essiccazione su graticci a fuoco lento e continuo, alimentato esclusivamente da legna di castagno. ASPETTO E SAPORE Il Marrone del Mugello IGP fresco si caratterizza per una forma prevalentemente ellissoidale di pezzatura medio-grande; ha una buccia bruno rossiccio con striature più scure ben definite e la polpa è tipicamente bianca di sapore gradevole. Il tipo secco e la farina hanno umidità massima consentita pari al 15%. STORIA La produzione del marrone in Toscana vanta una tradizione secolare. La coltivazione dei castagneti da frutto nella zona del Mugello risale all’epoca romana. Al Medioevo, invece, risalgono i primi documenti storici certi relativi alla diffusione e alla rilevanza di questa coltura. Per secoli i castagneti hanno costituito una delle maggiori risorse economiche per la zona, tanto che la castagna era il principale alimento per i contadini e veniva chiamata “albero del pane”. Nel corso del Novecento, tuttavia, due gravi malattie dei castagneti e una forte crisi economica delle aziende agro-forestali hanno portato ad un graduale abbandono della coltura. Dagli anni Ottanta, però, grazie ad un rinnovato interesse, è stata rivolta particolare attenzione alla salvaguardia dei castagneti per la produzione dei pregiati marroni, che costituiscono ancora un patrimonio di grande importanza.

GASTRONOMIA Il Marrone del Mugello IGP va conservato in luogo fresco e asciutto. Se conservato correttamente può durare anche due o tre mesi. Può essere consumato sia allo stato fresco che trasformato. In autunno i marroni esprimono tutta la loro bontà arrostiti o lessati, ma sono anche utilizzati in piatti tradizionali come il castagnaccio o nei gustosi marron glacé. I frutti più piccoli del Marrone del Mugello IGP vengono solitamente utilizzati per produrre la farina. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio, a partire dal 5 ottobre di ogni anno, nella tipologia Marrone del Mugello IGP allo stato fresco o secco, in guscio oppure sgusciato intero e sotto forma di farina. Il prodotto fresco è commercializzato in sacchetti in rete di colore rosso da 1, 5, 10 kg e in sacchetti di juta da 25 e 30 kg, mentre il prodotto secco e sfarinato è collocato in apposite confezioni. Il prodotto è attualmente reperibile in commercio anche trasformato come Marron Glacé proveniente da Marrone del Mugello IGP e Marrone Sciroppato proveniente da Marrone del Mugello IGP. NOTA DISTINTIVA Il Marrone del Mugello IGP ha uno spiccato carattere di dolcezza, è facile da pelare e non è particolarmente farinoso o astringente. Ha note di vaniglia, nocciola e mandorla con un leggero aroma di pane fresco. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone del Mugello IGP comprende alcuni comuni a nord della provincia di Firenze, corrispondenti a una parte della zona del Mugello, nella regione Toscana.

MARRONE DEL MUGELLO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone del Mugello IGP si riferisce al frutto allo stato fresco o trasformato ottenuto da una serie di ecotipi locali riconducibili alla varietà Marrone fiorentino della specie Castanea sativa M.

Consorzio di Tutela del Marrone del Mugello IGP Via P. Togliatti, 4 50032 Borgo S. Lorenzo (FI) Tel: +39 055 84527226

CCIAA di Firenze Piazza dei Giudici, 3- 50122 Firenze Tel: +39 055 27951 Fax: +39 055 2795259 www.fi.camcom.it info@fi.camcom.it

Operatori 97 Produzione (kg) 56.680

Fatturato (mln €) 0,21 Superficie (ha) 543,03 Dati Qualivita - Ismea

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MARRONE DELLA VALLE DI SUSA IGP Associazione Produttori Marrone della Valle di Susa c/o Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone - Via Trattenero, 15 10053 Bussoleno (TO) Tel: +39 0122 642800

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 29 Produzione (kg) 2.590

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 15,09 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone della Valle di Susa IGP si riferisce al frutto allo stato fresco degli ecotipi locali di castagno noti come Marrone di San Giorio di Susa, Marrone di Meana di Susa, Marrone di Sant’Antonino di Susa, Marrone di Bruzolo e Marrone di Villar Focchiardo. METODO DI PRODUZIONE I castagneti devono essere mantenuti puliti, il sottobosco deve essere sgombro da arbusti e felci, che devono essere adeguatamente sfalciati, senza usare diserbanti o altre sostanze chimiche. La raccolta è manuale o meccanica e inizia nel mese di settembre, generalmente intorno al 20, per terminare nei primi dieci giorni di novembre. I marroni sono quindi selezionati e calibrati, in modo da tenere solo quelli non lesionati e che presentano la pezzatura adeguata. Nel caso in cui una quantità di prodotto non sia commercializzata entro 30 giorni dalla raccolta, deve essere sottoposta a “curatura”, per favorirne la conservazione. La curatura può avvenire sia a freddo, immergendo gli acheni in acqua a temperatura ambiente per 2-8 giorni, sia a caldo, immergendoli in acqua calda a 48°C per 50 minuti e successivamente in acqua fredda per altri 50 minuti. Non è consentito l’impiego di additivi chimici. ASPETTO E SAPORE Il Marrone della Valle di Susa IGP ha pezzatura medio-grande e presenta non più di tre frutti per riccio. La forma è ellissoidale, con apice poco pronunciato. La buccia è marrone-avana tendente al rossiccio, con striature in numero variabile. La polpa è bianca o bianco-crema, quasi senza solcature in superficie, croccante e dolce. STORIA In Val di Susa i castagneti sono presenti già in epoca romana, anche se una vera e propria documentazione al riguardo si ritrova solo a partire dal Medioevo. Tra i castagneti che popolavano la valle, uno dei più noti era il Castagneretum di Templeris, che apparteneva ai Templari. Situato tra i comuni di Villar Focchiardo e San Giorio di Susa, in questo castagneto si trovano tutt’ora le più antiche ceppaie di marroni della valle. In seguito, la coltura si diffuse grazie all’opera delle istituzioni monastiche, che impiantarono castagneti in tutta la Valle di Susa, utilizzando gli stessi ecotipi locali dell’attuale IGP. Alla fine dell’Ottocento, il commercio di marroni era florido e diretto non solo alle altre regioni di Italia, ma anche verso la Francia e gli Stati Uniti d’America. Un calo della produzione si è verificato solo nel secondo dopoguerra, ma a partire dagli anni Ottanta, la rivalutazione dell’importanza

socio-economica del castagneto ha portato alla graduale ripresa della coltivazione. A testimonianza del rinnovato interesse, da oltre 40 anni al Marrone della Valle di Susa IGP è dedicata una sagra che richiama ogni anno una nutrita folla. GASTRONOMIA Il Marrone della Valle di Susa IGP si conserva al meglio se mantenuto in ambiente fresco e non umido. È un marrone particolarmente facile da pelare, in quanto l’epicarpo si stacca dalla polpa con estrema rapidità. È ottimo arrostito o bollito, ma può essere utilizzato come ingrediente in molte ricette, dagli antipasti fino ai dolci. Talvolta, le castagne bollite (ballotte) o arrostite vengono servite anche come contorno. Tra i dolci sono sicuramente da menzionare i classici marrons glacés, ma molto apprezzata è anche la variante sotto grappa. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Marrone della Valle di Susa IGP. È venduto in sacchetti di rete da 1-2-2,5-3 o 10 kg, ma anche in confezioni di peso maggiore (25 o 50 kg). È disponibile generalmente a partire dal 25 settembre fino alla prima metà di novembre di ogni annata di produzione. NOTA DISTINTIVA Il Marrone della Valle di Susa IGP è molto apprezzato per la particolare croccantezza della polpa, per la dolcezza e il profumo che lo rendono indiscutibilmente unico. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone della Valle di Susa IGP comprende 28 comuni della provincia di Torino, nella regione Piemonte.


dell’innesto. Da questo momento in poi l’economia del territorio si è fortemente incentrata sulla produzione di marroni, che costituisce per molte famiglie della zona di Caprese Michelangelo e Anghiari un’attività tramandata di generazione in generazione.

METODO DI PRODUZIONE La densità degli impianti produttivi non deve superare le 120 piante per ettaro. La raccolta del frutto deve avvenire a partire dal 20 settembre senza l’utilizzo di mezzi chimici o meccanici che accelerino tale operazione. Per la fase di raccolta è consentito l’impiego di strumentazioni automatiche che non alterino le caratteristiche specifiche del frutto. È inoltre possibile radunare i ricci chiusi o parzialmente aperti in mucchi, detti “pegliai”, i quali, terminata la caduta naturale, possono essere battuti mediante un grosso rastrello di legno, detto “rigio”, che serve anche a separare le castagne dai ricci o peglie. Il prodotto viene quindi sottoposto a un procedimento di cernita manuale per scartare i frutti lesionati o colpiti da agenti patogeni. Pur non essendo un’operazione obbligatoria, dopo la raccolta i marroni vengono di solito sottoposti alla pratica della “curatura”, che prevede l’immersione dei frutti in acqua per circa 8-12 giorni, al fine di liberarli da microrganismi che possono causare la formazione di muffe. Il frutto destinato all’essiccatura, una volta raccolto, è dapprima messo ad essiccare nei tradizionali seccatoi a legna o ad aria calda, sui quali rimane per circa 40 giorni; in seguito si procede alla sbucciatura meccanica del prodotto. Tutte le operazioni devono essere effettuate nella zona di produzione del Marrone di Caprese Michelangelo DOP, per conservare la freschezza del frutto e per garantirne la qualità e la rintracciabilità.

GASTRONOMIA È consigliabile conservare i Marroni di Caprese Michelangelo DOP in luoghi freschi e asciutti. Ottimo gustato arrostito, glassato, oppure pelato e bollito. È un ingrediente prezioso per molte ricette come le frittelle, il castagnaccio o il dolce Montebianco. Si accompagna con un bicchiere di vino dolce, fresco e profumato, oppure da un vino rosso Novello.

ASPETTO E SAPORE Il Marrone di Caprese Michelangelo DOP presenta forma ellittica-arrotondata o quadrangolare; buccia color avana con striature marroni. La polpa è bianca-avorio, leggermente incisa nell’episperma, caratterizzata da un aroma che richiama il profumo della mandorla e della vaniglia. Il frutto secco, invece, presenta una colorazione avorio o paglierino chiaro. STORIA Sin dal IX e X secolo, durante il dominio degli Arimanni, si hanno notizie della presenza del castagno nell’ecosistema forestale del territorio di produzione dell’attuale DOP. Il castagno ha da sempre svolto un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni locali che già anticamente costruivano, con il legno di questi alberi, mobili, vasi vinari, travi di sostegno. Presto i castagneti si sono trasformati da selvatici a domestici, anche grazie all’introduzione della tecnica

MARRONE DI CAPRESE MICHELANGELO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone di Caprese Michelangelo DOP designa il frutto allo stato fresco o essiccato della specie Castanea sativa M., nell’ecotipo locale Marrone di Caprese Michelangelo, appartenente alla varietà Marrone.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Marrone di Caprese Michelangelo DOP, allo stato fresco o secco. Il prodotto fresco è commercializzato da fine settembre fino a dicembre, confezionato in contenitori sigillati da 1-2-3,5-10-25 kg; quello secco è disponibile in confezioni sigillate con peso di 0,5-12-3,5-10 e 25 kg. NOTA DISTINTIVA Il Marrone di Caprese Michelangelo DOP si caratterizza per la presenza di una grande quantità di amido, conferita dalle peculiari condizioni pedoclimatiche della zona di produzione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone di Caprese Michelangelo DOP comprende l’intero territorio del comune di Caprese Michelangelo e la parte settentrionale del comune di Anghiari, entrambi in provincia di Arezzo, nella regione Toscana.

Comitato Promotore per il riconoscimento della D.O.P. “Marrone di Caprese Michelangelo” Località Manzi 180/b 52033 Caprese Michelangelo (AR) moronline79@inwind.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori ND Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) ND Dati Qualivita - Ismea

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MARRONE DI CASTEL DEL RIO IGP Consorzio Castanicoltori Castel del Rio Via Mengoni, 7 40025 Fontanelice (BO) Tel: +39 0542 92638 www.marronedicasteldelrio.it info@marronedicasteldelrio.it

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 19 Produzione (kg) 26.448

Fatturato (mln €) 0,09 Superficie (ha) 166,92 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone di Castel del Rio IGP si riferisce al frutto allo stato fresco ottenuto da castagneti della specie Castanea sativa M., nei biotipi: Marrone Domestico, Marrone Nostrano, Marrone di San Michele. METODO DI PRODUZIONE I castagneti devono essere situati ad un’altitudine di 200-800 metri s.l.m. I castagneti di nuovo impianto devono essere costituiti esclusivamente dal biotipo Marrone Domestico. I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli tradizionali del luogo. Nella fase produttiva è vietata ogni pratica di forzatura, ogni somministrazione di fertilizzanti di sintesi e il ricorso a fitofarmaci. In genere i frutti si raccolgono a mano da terra, quando i ricci si aprono spontaneamente. L’inizio della raccolta dipende dallo stato di maturazione, che varia in base all’andamento climatico, in genere a partire dalle prime settimane di ottobre viene raccolto per 3-4 settimane l’anno. Dopo la raccolta, si eseguono le operazioni di cernita, calibratura e “curatura” in acqua fredda e/o calda a seconda della tradizione locale. ASPETTO E SAPORE Il Marrone di Castel del Rio IGP è caratterizzato da una pezzatura medio-grande. La buccia si distacca facilmente dal frutto e ha un colore bruno rossiccio con delle striature marcate più scure. La polpa è dolce e croccante con superficie esterna quasi completamente priva di solcature. STORIA La castanicoltura nel bolognese ha una storia antica ed è sempre stata un’attività molto importante per questo territorio. Intorno alla metà del XVI secolo la Valle del Santerno donò al Governatore di Romagna “dodici paia di capponi, cento libbre di formaggio Marzola, cento pomi da Rosa dette mele paradise, quaranta tordi, due lepri e sei corbe di Marroni”. Tra i più prelibati frutti di questa terra, infatti, non potevano mancare i marroni, coltivati ampiamente sugli Appennini fin dall’anno Mille, quando i castagneti da frutto presero il posto dei boschi di querce, diventando così una risorsa fondamentale non solo dal punto di vista alimentare ma anche economico. Da allora la produzione è sempre stata attentamente regolata. Nel 1694 un editto attestava che “gran parte della rendita che ricavasi dal territorio di Castel del Rio consiste nel frutto delli castagni”, imponendo perciò l’impianto di nuovi esemplari per ogni albero abbattuto. Solo nel Settecento, con la diffusione di mais e patata, la superficie a castagne-

to diminuì. Successivamente, la costruzione della Strada Montanara lungo la vallata — tra il 1829 e il 1882 — e l’avvento delle ferrovie favorirono una più grande diffusione dei marroni in Italia e all’estero. GASTRONOMIA Il Marrone di Castel del Rio IGP deve essere conservato in luogo fresco e asciutto. Può essere consumato allo stato fresco o trasformato. La naturalità e la versatilità del prodotto fanno dei marroni l’ingrediente principe di numerose preparazioni culinarie, tra cui il fagiano, i tagliolini, le frittelle, il castagnaccio e le meringhe. Da non dimenticare le tradizionali caldarroste e i marroni lessati, da gustare con i vini moscati o passiti oltre che con il vino novello. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Marrone di Castel del Rio IGP. È commercializzato a partire dal 5 ottobre in sacchetti di tessuto idoneo, nelle confezioni da 1-2-5 e 10 kg. NOTA DISTINTIVA Il Marrone di Castel del Rio IGP si distingue dalla comune castagna per le notevoli dimensioni e soprattutto per il profumo, che si esalta nella cottura, oltre che per la facilità con cui può essere sbucciato.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone di Castel del Rio IGP comprende tutto o parte del territorio dei comuni di Castel del Rio, Fontanelice, Casal Fiumanese e Borgo Tassinaro, situati nella provincia di Bologna, nella regione Emilia-Romagna.


METODO DI PRODUZIONE La raccolta dei frutti avviene a piena maturazione, una volta caduti spontaneamente al suolo oppure mediante la tecnica della bacchiatura, che prevede l’utilizzo di aste di canna. Dopo la caduta al suolo, i marroni vengono puliti con la spazzolatrice, calibrati e sottoposti a “curatura”, che consiste nell’immergere i frutti in acqua a temperatura ambiente per un periodo che va dai cinque ai sette giorni oppure in acqua a 45-48°C per 45 minuti. La curatura può avvenire anche al di fuori dalla zona di produzione purché entro le 24 ore dalla raccolta. Successivamente, vengono asciugati con l’ausilio di una macchina asciugatrice ad aria calda e con ventilatori, oppure distesi su graticci in legno e agitati quotidianamente sino alla completa asciugatura. I frutti possono anche essere sottoposti a frigo-conservazione, che consiste nel riporre il prodotto in celle frigo a una temperatura variabile tra 0,5 e 2°C per un massimo di tre giorni. ASPETTO E SAPORE Il Marrone di Combai IGP ha forma ellissoidale, con buccia brillante e di colore marrone scuro, provvista di striature. La polpa, di colore biancastro, presenta pasta farinosa, zuccherina, consistente, resistente alla cottura, croccante e di sapore dolce. Il riccio contiene al massimo tre semi. STORIA Nel trevigiano la castanicoltura ha rappresentato per secoli una risorsa fondamentale per la popolazione, tanto da determinare la costruzione di una vera e propria “civiltà del castagno”. Numerose testimonianze storiche risalenti al XII secolo riportano come interi ettari di boschi venissero utilizzati in maniera comunitaria dalla popolazione. Un documento del 1665 testimonia che a Combai era in uso praticare la raccolta collettiva delle castagne, cui seguiva l’equa distribuzione dei frutti fra le famiglie della comunità. Nel Settecento si registrò una decimazione dei castagneti a seguito dell’abbandono della castanicoltura dopo la proclamazione dei boschi a patrimonio statale. Fortunatamente, nel corso dei secoli successivi, si cercò di recuperare quel patrimonio di conoscenze, esperienze e cultura e di riportare la produzione di castagne ai livelli quantitativi e qualitativi di un tempo.

GASTRONOMIA È consigliabile conservare il Marrone di Combai IGP in luogo fresco e asciutto. Il prodotto è generalmente consumato arrostito, ma anche lessato. Viene largamente impiegato in pasticceria per la preparazione di confetture e dolci come il tiramisù alla crema di marroni e il Montebianco. Il frutto è anche eccellente ingrediente di svariate ricette: salse e zuppe come il tradizionale “mondoi” (marroni in brodo) un tempo sostitutivo della tradizionale minestra; primi piatti come la “pasta ai marroni con ragù di pollo e timo”; secondi piatti come la “tacchinella ripiena ai marroni” o i “nodini di vitello con marroni e Cognac”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio da ottobre a dicembre nella tipologia Marrone di Combai IGP. È commercializzato in due diverse pezzature nelle categorie Extra e Prima. È confezionato in sacchi di juta o retine di materiale plastico da 1-2-3-5 e 25 kg oppure in cestini e cassette in legno da un peso minimo di 1 kg a un massimo di 5 kg.

MARRONE DI COMBAI IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone di Combai IGP designa il frutto allo stato fresco ottenuto dalla varietà domestica Macrocarpa della specie Castanea sativa M.

NOTA DISTINTIVA L’abbondante piovosità, le temperature particolarmente rigide e la natura dei terreni della zona di produzione costituiscono condizioni particolarmente favorevoli per lo sviluppo delle specifiche proprietà organolettiche del Marrone di Combai IGP. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone di Combai IGP comprende i comuni di Cison di Valmarino, Cordignano, Follina, Fregona, Miane, Revine Lago, Sarmede, Segusino, Tarzo, Valdobbiadene e Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, nella regione Veneto.

Associazione dei Produttori del Marrone di Combai P.za Squillace, 1 - Combai di Miane (TV) Tel: +39 0438 893385 www.marronedicombai.it info@marronedicombai.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 53 Produzione (kg) 870

Fatturato (mln €) 0,004 Superficie (ha) 30,17 Dati Qualivita - Ismea

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MARRONE DI ROCCADASPIDE IGP Cooperativa il Marrone S.c. a r.l. Località Spinosa 84069 Roccadaspide (SA) Tel: +39 0828 947496 www.ilmarrone.com info@ilmarrone.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori Potenziali 9 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Potenziali 24,36 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone di Roccadaspide IGP si riferisce al frutto allo stato fresco e secco della specie Castanea sativa M. ottenuto dagli ecotipi Anserta, Abate e Castagna Rossa, riconducibili alla varietà Marrone. METODO DI PRODUZIONE La raccolta viene effettuata nel periodo autunnale non oltre la prima decade di novembre, con turni che non superino le due settimane. Si esegue manualmente o con macchine raccoglitrici idonee a salvaguardare l’integrità del prodotto. Per favorire la conservabilità, le castagne vengono trattate con la tradizionale tecnica della “curatura”, ovvero sono immerse in acqua fredda per nove giorni, durante i quali viene effettuato il cambio dell’acqua. In seguito, i frutti selezionati vengono sistemati in locali arieggiati su strati di sabbia. I marroni destinati alla commercializzazione allo stato secco vengono fatti essiccare su metati o graticci, a fuoco lento e continuo, alimentato da rami raccolti in fascine e da legna di qualunque essenza, secondo le tecniche locali tradizionali.

GASTRONOMIA Il Marrone di Roccadaspide IGP ha una buona conservabilità. Si consuma fresco, sotto forma di farina o trasformato dall’industria dolciaria in marron glacé, marmellate, castagne al Rhum e puree. Per le sue notevoli dimensioni è molto apprezzato per le famose caldarroste e sono deliziosi i dolci della tradizione locale che utilizzano queste castagne come materia prima di qualità. Il prodotto viene anche utilizzato per la preparazione di primi piatti o come contorno per secondi di cacciagione. Sotto l’aspetto dietetico e nutrizionale, il Marrone di Roccadaspide IGP si caratterizza per l’elevata quantità di carboidrati e il basso contenuto proteico. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nei mesi autunnali nella tipologia Marrone di Roccadaspide IGP, allo stato fresco e secco (con buccia o sgusciato). È commercializzato in sacchi di tessuto, contenitori di vimini, sacchi di carta o scatole in materiale di origine vegetale, sono ammesse anche le confezioni sottovuoto e in vetro.

ASPETTO E SAPORE Il Marrone di Roccadaspide IGP ha forma prevalentemente semisferica o leggermente ellissoidale; pezzatura grande, non superiore a 80-85 frutti per chilogrammo. La buccia è sottile e di colore castano bruno, facilmente distaccabile. Anche il seme ha un episperma sottile, liscio, poco approfondito; la polpa è bianco-lattea, consistente, croccante e poco farinosa. Notevole il contenuto zuccherino.

NOTA DISTINTIVA Il Marrone di Roccadaspide IGP si caratterizza per la notevole pezzatura e per l’elevato contenuto zuccherino che gli conferisce un sapore dolce, molto gradevole. Il seme è inoltre particolarmente facile da pelare grazie alla bassa percentuale di settato, per cui la pellicola non penetra in profondità nella polpa.

STORIA Il Marrone di Roccadaspide IGP è legato da lungo tempo alla storia di questa regione, dove la presenza di coltivazioni di castagni è documentata sin dall’XI secolo d.C. Preziosi manoscritti, conservati nell’archivio della Badia di Cava, attestano l’esistenza nel Cilento di castagneti appartenenti alla Badia già nel 1183-84. In questa zona, in epoca medioevale e fino al tardo Ottocento, il valore del castagno era legato all’importanza della farina di castagne, impiegata per produrre un pane particolare che si conservava a lungo. Questo stesso pane fu vitale per la popolazione di Roccadaspide durante la Seconda Guerra Mondiale, quando ne permise la sussistenza. Nel dopoguerra, inoltre, la ricostruzione economica di questo paese è stata favorita dalla castanicoltura che ha contribuito allo sviluppo della civiltà contadina. Alla fine del XIX secolo i vecchi alberi maestosi e secolari furono abbattuti e innestati con la Castagnera Rocca, oggi identificata come Marrone di Roccadaspide.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone di Roccadaspide IGP interessa circa 70 comuni della provincia di Salerno, nella regione Campania.


METODO DI PRODUZIONE I castagneti devono essere localizzati tra 250 e 900 metri s.l.m. La raccolta avviene nei mesi autunnali e può essere effettuata a mano o con mezzi meccanici idonei, tali da salvaguardare l’integrità sia della pianta che dei frutti. Prima della commercializzazione i frutti vengono sottoposti alle tradizionali tecniche di conservazione quali la “novena” e la “rissara”. La prima consiste nel prolungare la cosiddetta “cura dell’acqua”, tenendo in immersione i frutti per nove giorni, cambiando parte o tutta l’acqua ogni due giorni, senza aggiunta di nessun additivo; la seconda invece consiste nell’accumulare all’aperto i frutti e i ricci per 8-15 giorni. ASPETTO E SAPORE Il Marrone di San Zeno DOP ha una pezzatura mediogrossa che varia da 50 a 120 acheni per chilogrammo. La buccia esterna è di colore marrone chiaro, sottile, lucida con striature più scure. Il seme è giallo paglierino, lievemente corrugato, pastoso e gradevolmente dolce. STORIA Nella comunità montana del Monte Baldo la castanicoltura ha rappresentato per molti secoli una risorsa economica importante. I primi riferimenti storici sulla coltivazione del castagno risalgono al Medioevo. Alcune testimonianze scritte risalenti al XII e XIX secolo menzionano le zone di produzione attraverso gli estimi catastali, descrivendo il prosperoso sviluppo dei castagni e i metodi di raccolta e commercializzazione dei marroni sui mercati settimanali, la cui tradizione fu poi ripresa con vigore a partire dal secondo dopoguerra. Inoltre, una ricerca pubblicata negli Atti dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona si sofferma sulla raccolta, conservazione e commercializzazione dei marroni, che verso la fine del secolo scorso erano venduti ai negozianti o direttamente commerciati sul mercato settimanale di Caprino Veronese. Infine, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, prese il via, nel comune di San Zeno di Montagna, la tradizionale sagra del marrone, che è giunta fino ai giorni nostri, oggi conosciuta con il nome di Mostra Mercato del Marrone. GASTRONOMIA Il Marrone di San Zeno DOP deve essere conservato in luogo fresco e asciutto. Può essere consumato fresco o trasformato. Fresco viene arrostito nelle caratteristiche padelle bucate oppure lessato nell’acqua. Può

essere impiegato anche per la preparazione di gustosissimi dolci come il castagnaccio e il tronchetto o per ottenere pane, pasta e polenta. Si abbina bene con la produzione vinicola locale come il Bardolino, ottimo in versione Novello, o il Recioto. Il piatto più caratteristico che prevede l’impiego del Marrone di San Zeno DOP è il minestrone di marroni, variante montanara della classica zuppa di fagioli veneta. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Marrone di San Zeno DOP. È commercializzato allo stato fresco nel periodo autunnale, in sacchetti di materiale per alimenti, in confezioni da 0,3-0,5-1-2-3-4-5 e 10 kg. Le confezioni di dimensioni più ampie da 25 e 50 kg devono essere commercializzate in sacchi di juta o altro materiale idoneo. NOTA DISTINTIVA Il Marrone di San Zeno DOP è ricco di amido e apporta al nostro organismo un buon contenuto di calorie, proteine, sali minerali e vitamine. È estremamente nutriente, energetico e sano. La digeribilità e l’apporto calorico varia a seconda dello stato e del tipo di cottura: a crudo la digeribilità è più scarsa e l’apporto calorico è di circa 150 calorie per etto; bollito ha una maggiore digeribilità e un minore apporto calorico (circa 120 calorie per etto); infine, arrostito accresce nuovamente il suo apporto calorico. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Marrone di San Zeno DOP comprende parte dei comuni di Brentino Belluno, Brenzone, Caprino Veronese, Costermano, Ferrara di Monte Baldo e San Zeno di Montagna, in provincia di Verona, nella regione Veneto.

MARRONE DI SAN ZENO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Marrone di San Zeno DOP si riferisce al frutto allo stato fresco ottenuto dalla specie Castanea sativa M., riconducibile alla varietà Marrone.

Consorzio di Tutela del Marrone di San Zeno DOP Via Cà Montagna, 11 37100 San Zeno di Montagna (VE) Tel: +39 045 7285017 www.marronedisanzeno.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 28 Produzione (kg) 10.624

Fatturato (mln €) 0,05 Superficie (ha) 54,11 Dati Qualivita - Ismea

239


MARRONI DEL MONFENERA IGP Associazione Produttori Marroni della Marca Trevigiana P.zza Case Rosse, 14 31040 Onigo di Pederobba (TV) Tel: +39 0423 64015 www.asso-marronimonfenera-igp.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 89 Produzione (kg) 512

Fatturato (mln €) 0,003 Superficie (ha) 79,44 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO I Marroni del Monfenera IGP sono frutti allo stato fresco della specie Castanea sativa M., ottenuti dall’ecotipo locale di Marrone. METODO DI PRODUZIONE Il castagno non necessita di alcun trattamento chimico o parassitario. Raggiunta la maturazione da metà settembre a metà novembre, secondo la maggiore o minore precocità, i frutti caduti a terra vengono raccolti a mano o tramite l’utilizzo di macchine. I marroni vengono poi sottoposti a cernita manuale e successivamente a pulizia e calibratura. Nel caso in cui una quantità di prodotto non sia immessa sul mercato entro 48 ore dalla raccolta, è necessario sottoporla alla “curatura” o “novena”, metodo dall’origine antica che garantisce la naturalità del prodotto commercializzato e che consiste nell’immergere i marroni in acqua a temperatura ambiente entro poche ore dalla raccolta per un massimo di nove giorni, cambiando l’acqua ogni due giorni, per poi asciugarli in apposite macchine. Dopo la curatura i frutti possono essere conservati allo stato fresco per un massimo di tre mesi. ASPETTO E SAPORE I Marroni del Monfenera IGP hanno forma ovoidale e colore marrone brillante con striature scure. La polpa è color nocciola tendente al giallo paglierino, di consistenza pastoso-farinosa e dal sapore molto dolce. STORIA La storia della coltivazione dei Marroni del Monfenera IGP inizia nel periodo medioevale. Lo testimonia un atto risalente al 1351 che regolava la raccolta del frutto e l’utilizzo del bosco tra i capifamiglia, un vero e proprio statuto pubblico. La cura e la preservazione dei castagneti è avvalorata anche da fonti notarili della stessa epoca e successivi, costituite da atti che contrastavano i tagli abusivi dei castagneti o denunciavano la presenza di animali da pascolo fuori stagione che rischiavano di compromettere la raccolta delle castagne. Nella prima metà dell’Ottocento, con l’impero Asburgico, la castanicoltura attraversa probabilmente il suo momento storico migliore suscitando un grande interesse. Più recentemente, a partire dalla metà degli anni Ottanta, la coltura del castagno ha conosciuto un andamento molto positivo, risultando in ripresa su tutto il territorio della Pedemontana del Grappa e del Montello, anche grazie al traino di numerose manifestazioni. La più importante, una mostra mercato dei Marroni del Monfenera è stata inaugurata nel 1970 e da allora esiste ancora, con il proposito di promuovere e divulgarne la conoscenza.

GASTRONOMIA Si consiglia di conservare i Marroni del Monfenera IGP in luogo fresco e asciutto. Oltre che per le tradizionali caldarroste, questi frutti possono essere utilizzati per numerose preparazioni culinarie, dai primi piatti ai desserts. Sono ottimi anche semplicemente lessati o trasformati in farine o salse. Bolliti e passati possono costituire l’impasto per biscotti (con rum e uova, cosparsi poi di mandorle o zucchero) oppure per budini e sufflè. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Marroni del Monfenera IGP. Le categorie commerciali sono Extra (calibro superiore a 3 cm) e Prima (calibro compreso tra 2,8 e 3 cm). È venduto, a partire dal 15 settembre di ogni anno, in appositi sacchetti di rete per alimenti, dal peso di 1-2 o 3 kg se i lembi superiori sono chiusi con colla a caldo, del peso di 5 o 10 kg se sigillati con cucitura. Il prodotto è reperibile in commercio anche trasformato, come Caldarroste di Marroni del Monfenera IGP, aromatizzate al vino bianco. NOTA DISTINTIVA La zona di produzione è caratterizzata da condizioni pedoclimatiche particolarmente favorevoli alla coltivazione del castagno, con limitate gelate primaverili e abbondanti precipitazioni medie annue, che conferiscono la giusta acidità al terreno, requisiti che si rivelano fondamentali per le peculiari qualità dei Marroni del Monfenera IGP.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dei Marroni del Monfenera IGP comprende i territori di alcuni comuni della provincia di Treviso, nella regione Veneto.


METODO DI PRODUZIONE I terreni in cui viene coltivata la Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. sono per loro natura soffici, ben drenati e ricchi di ossigeno, al fine di favorire al meglio lo sviluppo delle radici degli alberi. I frutteti si trovano ad altitudini variabili dai 200 ai 1.000 metri s.l.m. Tra i filari di piante da frutto si trova un manto erboso che consente di proteggere il terreno da un prematuro inaridimento, da un riscaldamento eccessivo in estate e dall’erosione. La produzione avviene utilizzando tecniche di coltivazione integrata o biologica a basso impatto ambientale. La raccolta viene effettuata a mano dal mese di agosto alla fine di ottobre, secondo tempistiche differenti in base alle varietà. La produzione massima realizzabile nelle diverse zone di produzione non può superare le 68 tonnellate per ettaro, calcolata sull’intera zona di produzione. Una volta raccolte, le mele vengono trasportate presso lo stabilimento in casse di plastica e scaricate all’interno di vasche colme di acqua fredda. Questa operazione facilita la selezione sulla base di colore e calibro, evitando allo stesso tempo che i frutti possano essere danneggiati. ASPETTO E SAPORE La Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. si contraddistingue per colore e sapore particolarmente accentuati, polpa compatta e alta conservabilità. STORIA La Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. ha una secolare tradizione. I primi documenti storici che trattano della regolamentazione della coltivazione degli alberi da frutto risalgono ai tempi di Carlo Magno, il quale fece piantare queste piante nei giardini delle sue proprietà. La coltivazione dei meli si estese notevolmente nel Medioevo; nel XVI secolo iniziò l’esportazione di frutta soprattutto nelle corti austriache e in Russia. La costruzione della rete ferroviaria fu uno dei primi problemi che l’Italia Unita si trovò ad affrontare. Nel 1867 l’entrata in funzione della ferrovia del Brennero permise alla mela dell’Alto Adige di diffondersi e raggiungere le corti imperiali di Vienna, Berlino e San Pietroburgo. Alla fine del XIX secolo, inizi del XX secolo nell’opera di Karl Mader vengono individuate quasi 40 varietà di mele. GASTRONOMIA La Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. si conserva a basse temperature o in luoghi freschi e asciutti. Il

frutto viene consumato fresco o impiegato nell’industria di trasformazione, per dolci e succhi di frutta. Prodotto altamente versatile, oltre che al naturale, questo frutto viene proposto in diverse ricette caratteristiche della zona quali lo Strudel (dolce), le frittelle Apfelschmarren (omelette alle mele) oppure Scheiterhaufen (timballo di mele e pane). COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Mela Alto Adige IGP - Südtiroler Apfel g.g.A. nelle varietà Braeburn, Elstar, Fuji, Gala, Golden Delicious, Granny Smith, Idared, Jonagold, Morgenduft, Red Delicious, Stayman Winesap, Pinova e Topaz; il marchio Marlene è utilizzato nel mercato italiano e in quelli dell’Europa meridionale e il marchio regionale Val Venosta garantisce la provenienza del prodotto dalla Val Venosta, la qualità particolarmente pregiata e l’attenta tecnica di coltivazione. È commercializzato nelle confezioni plateaux in cartone, in legno e plastica, ad uno o più strati o in altri contenitori idonei. La commercializzazione viene effettuata tutto l’anno in periodi diversi, a seconda della varietà. NOTA DISTINTIVA Le condizioni climatiche della zona di produzione della Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A sono uniche e irripetibili. L’alternarsi di masse d’aria fredda in arrivo dal nord e di venti caldi provenienti dal Mediterraneo, così come le giornate calde e soleggiate alternate a notti fresche, creano le condizioni ideali per la lenta maturazione delle mele. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. comprende 72 comuni della provincia di Bolzano, nella regione autonoma Trentino-Alto Adige.

MELA ALTO ADIGE IGP

SÜDTIROLER APFEL G.G.A.

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Mela Alto Adige IGP o Südtiroler Apfel g.g.A. si riferisce al frutto allo stato fresco della specie Malus communis Lam., nelle varietà Braeburn, Elstar, Fuji, Gala, Golden Delicious, Granny Smith, Idared, Jonagold, Morgenduft, Red Delicious, Stayman Winesap, Pinova, Topaz e loro cloni.

Consorzio Mela Alto Adige Via Jakobi, 1/A - 39018 Terlano (BZ) Tel: +39 0471 054066 www.melaaltoadige.com info@melaaltoadige.com

Controllo Qualità Alto Adige Via Jakobi, 1B 39018 Terlano (BZ) Tel: +39 0471 258187 Fax: +39 0471 258328 www.sqk.it - info@sqk.it

Operatori 7.148 Produzione (kg) 229.739.960

Fatturato (mln €) 211,35 Superficie (ha) 16.240,31 Dati Qualivita - Ismea

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MELA DI VALTELLINA IGP Consorzio Tutela Mele della Valtellina Via Roma 57 - 23030 Tovo S. Agata (SO) Tel. +39 0342 770122 Fax +39 0342770041 www.meladivaltellina.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 570 Produzione (kg) 575.251

Fatturato (mln €) 0,62 Superficie (ha) 590,7 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Mela di Valtellina IGP designa il frutto allo stato fresco delle varietà di melo Red Delicious, Golden Delicious e Gala. METODO DI PRODUZIONE I meleti sono coltivati secondo le tecniche di produzione integrata o biologica. I terreni si trovano tra 200 e 900 metri s.l.m. La densità massima è di 4000 piante per ettaro con un’ampiezza degli interfilari di almeno 3 m e una distanza tra gli alberi di almeno 0,5 m. Sono previsti interventi di potatura sul verde in primavera-estate o sul secco nel periodo invernale; è ammesso il diradamento dei frutti. La fertilizzazione è localizzata ed ecocompatibile, realizzata al massimo due volte l’anno. Gli interventi di irrigazione devono essere funzionali al corretto bilancio idrico del terreno. La raccolta avviene manualmente in tempi diversi a seconda della varietà, nel periodo che va dalla seconda decade di agosto a fine ottobre. Le mele possono essere conservate per 8-11 mesi in funzione della varietà. ASPETTO E SAPORE La Mela di Valtellina IGP Red Delicious ha forma tronco-conica oblunga, buccia di colore rosso intenso brillante e polpa bianca, croccante, succosa, dolce e profumata. La varietà Golden Delicious ha forma sferoidale o tronco-conica oblunga, buccia di colore giallo intenso a volte con sfumature rosate, polpa biancocrema dolce non farinosa. Infine la varietà Gala ha forma tronco-conica breve, buccia rossa brillante e polpa bianco-crema, dura, dolce e succosa. STORIA Il melo è presente in Valtellina da svariati secoli. Inizialmente coltivato ad uso ornamentale nei giardini, non era raro trovarlo anche tra i filari di vite, ma il frutto era commercializzato in percentuale esigua: la maggior parte della produzione era infatti destinata all’autoconsumo. È soltanto a partire dagli anni Venti del Novecento che la melicoltura acquisisce un ruolo importante nel comparto economico della vallata, diventando coltivazione di primario interesse. Da sporadica e casuale, la presenza degli alberi di melo si fa sistematica e finalizzata al commercio, come testimonia il paesaggio che, a partire dal secondo dopoguerra, muta la sua fisionomia in favore del cosiddetto “sistema melo”, un programma di coltivazione specializzata messo a punto da cooperative di agricoltori e studiosi universitari. In breve tempo quindi la mela di Valtellina ha raggiunto i vertici del mercato per qualità e prelibatezza, assestandosi al top della gamma.

GASTRONOMIA La Mela di Valtellina IGP si conserva al meglio in luogo fresco e asciutto, al riparo da fonti di calore o luce diretta. È ottima se consumata come frutto a fine pasto o come spuntino, ma può diventare protagonista di sfiziose ricette. Da provare le “pennette alla milady” dove le mele Delicious insieme a uva sultanina, panna, salsa Worcestershire e Brandy danno vita ad un insolito primo piatto. Si consiglia il “dolce di Washington” con mele Golden, zucchero, cannella e noce moscata che formano il ripieno di un involucro di pasta brisè. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Mela di Valtellina IGP nelle varietà: Red Delicious, Golden Delicious e Gala. È commercializzato in bins alveolari, plateaux in cartone, cartone telescopico, cassette di legno o cassette riutilizzabili in materiale plastico oppure in confezioni sigillate con più frutti (vassoi, cartoni e sacchetti). È disponibile dall’inizio della raccolta fino all’estate dell’anno successivo e sono ammessi frutti nelle categorie Extra e Prima. NOTA DISTINTIVA Il territorio della Valtellina si sviluppa in senso estovest, situazione unica nelle aree alpine a vocazione frutticola, e gode di un clima mite condizionato dal Föhen, vento caldo e secco che causa aumenti di temperatura e cali di umidità. In queste condizioni la Mela di Valtellina IGP trova il suo ambiente ideale. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Mela di Valtellina IGP interessa circa 60 comuni della provincia di Sondrio che si trovano all’interno della vallata della Valtellina, nella regione Lombardia.


METODO DI PRODUZIONE I meleti sono coltivati secondo il metodo tradizionale in uso nell’area di produzione della IGP. La disposizione dei sesti d’impianto è tale da poter permettere un’ottima insolazione delle chiome al fine di ottenere la tipica colorazione accesa dei frutti. La densità massima è di 4.000 piante per ettaro. Gli interventi di potatura, nella misura di un intervento invernale e di almeno un intervento nel periodo estivo, sono finalizzati a garantire un corretto sviluppo delle piante e la particolare brillantezza dell’epicarpo dei frutti. La raccolta viene effettuata al raggiungimento dell’adeguato grado di maturazione di ogni singola cultivar, cioè quando il frutto ha una colorazione rossa intensa. La produzione massima ammessa per la Mela Rossa Cuneo IGP è di 60 tonnellate per ettaro. Dopo la raccolta le mele si possono conservare attraverso la tecnica della refrigerazione. ASPETTO E SAPORE La Mela Rossa Cuneo IGP nella varietà Red Delicious si presenta di forma tronco-conica, con un colore della buccia rosso intenso vinoso, senza untuosità e rugginosità e polpa bianca, talora con venature verde chiaro, dalla consistenza fondente. I frutti delle varietà Gala e Braeburn hanno una forma da sferoidale a tronco-conica; la prima è caratterizzata dal colore rosso intenso brillante della buccia e dalla polpa color bianco crema, soda, croccante e succosa; la seconda varietà invece ha una colorazione della buccia che varia da rosso arancio a rosso intenso e una polpa color bianco crema, consistente e di fine tessitura. La varietà Fuji, di forma da sferoidale a cilindrica, con la buccia rossa, da chiaro a intenso, presenta anch’essa una polpa color bianco o bianco crema, soda croccante e succosa. STORIA L’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (CN) ha elaborato un dettagliato documento sulla vocazione produttiva di mele a buccia rossa nella zona di interesse. Infatti, fin dal Settecento, nacquero in Piemonte accademie e associazioni agrarie atte a svolgere un’importante attività di ricerca varietale, di diffusione di nuove cultivar e di tecniche colturali di base scientifica. Nel panorama varietale le mele a buccia rossa cominciarono ad espandersi fino a divenire il gruppo prevalente. Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta la dicitura “Mela Rossa Cuneo” viene istituzionalizzata e compare nei fogli di viaggio del prodotto destinato al mercato interno ed esterno.

GASTRONOMIA La Mela Rossa Cuneo IGP si conserva in luogo fresco e asciutto, al riparo da fonti di calore o luce diretta. Se riposta in frigorifero, si consiglia di riportarla a temperatura ambiente per il tempo sufficiente a poterne apprezzare appieno l’inconfondibile gusto. La Mela Rossa Cuneo IGP viene impiegata come ingrediente di numerose ricette della gastronomia locale, sia dolce che salata. Alcuni esempi: “pasta Mela Rossa Cuneo IGP e zafferano”, “sformato di riso e Mela Rossa Cuneo IGP ”, “polpettine cuneesi”, dove la carne macinata viene amalgamata con una mela tritata, “mousse di Mela Rosse Cuneo IGP”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Mela Rossa Cuneo IGP nelle tipologie: Red Delicious (da inizio settembre a fine giugno), Gala (da inizio agosto a fine maggio), Fuji (da inizio ottobre a fine luglio) e Braeburn (da fine settembre a fine luglio). È commercializzato in idonei imballaggi.

MELA ROSSA CUNEO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Mela Rossa Cuneo IGP è il frutto allo stato fresco delle varietà di melo Red Delicious, Gala, Fuji e Braeburn, dalla polpa compatta e succosa.

NOTA DISTINTIVA L’estensione della caratteristica sovracolorazione rossa della buccia e la sua particolare brillantezza sono le peculiarità fondanti la reputazione della Mela Rossa Cuneo IGP nei mercati nazionali ed esteri, caratteristiche dovute alle specifiche condizioni climatiche della zona geografica.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Mela Rossa Cuneo IGP interessa gran parte dei comuni della provincia di Cuneo e alcuni comuni della provincia di Torino, nella regione Piemonte.

Consorzio per la Valorizzazione e la Tutela della Mela Rossa Cuneo Via Caraglio, 16 12100 Cuneo Tel: +39 0171 693966

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 206 Produzione (kg) 209.434

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 798,71 Dati Qualivita - Ismea

243


MELA VAL DI NON DOP Consorzio Melinda Via Trento, 200/9 - 38023 Cles (TN) Tel: +39 0463 671111 www.melinda.it melinda@melinda.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 3.794 Produzione (kg) 200.036.298

Fatturato (mln €) 139,84 Superficie (ha) 5.890,14 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Mela Val di Non DOP si riferisce al frutto allo stato fresco della specie Malus communis Lam., nelle varietà Golden Delicious, Renetta Canada e Red Delicious. METODO DI PRODUZIONE I sistemi di allevamento adottati sono quelli a “pieno vento” e “a fusetto”. Le tecniche di produzione tradizionale prevedono l’inerbimento del terreno tra le file per tutta la vita produttiva dell’impianto e lo sfalcio dell’erba nei mesi primaverili-estivi. La potatura deve essere eseguita manualmente ogni anno durante il periodo di riposo della pianta e deve mirare a garantire il giusto rapporto tra gemme a frutto e vigoria delle gemme a legno. Attraverso un’opportuna gestione delle operazioni di potatura e degli interventi di diradamento si effettua anche il controllo del carico produttivo. L’irrigazione è una pratica indispensabile per l’ottenimento di produzioni di qualità e viene eseguita da marzo a ottobre secondo le necessità. La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano nei mesi di agosto, settembre, ottobre fino alla prima quindicina di novembre, a seconda della maturazione fisiologica delle varietà. ASPETTO E SAPORE La Mela Val di Non DOP Golden Delicious presenta forma tronco-conica oblunga, colore dal verde al giallo a volte con faccia rosata, polpa croccante, succosa e dal sapore dolce-acidulo; la varietà Renetta Canada presenta forma tronco-conica o appiattita, colore giallo-verdastro, con buccia rugosa, polpa che a seconda dell’epoca del consumo, passa da croccante e acidula a pastosa e dolce; la varietà Red Delicious presenta forma tronco-conica oblunga, colore rosso su sfondo verde-giallo, polpa più pastosa e gusto prevalentemente dolciastro. STORIA La tradizione frutticola del Trentino-Alto Adige è molto antica, lo dimostrano sia la toponomastica (il nome delle città di Malè e Malosco deriva dal latino Maletum , cioè “posto delle mele”) che alcune autorevoli fonti storiche. Non solo, le mele erano conosciute fin nella capitale dell’Impero Asburgico, come testimoniato in una lettera del 1739 in cui a una nobile famiglia viene richiesto l’invio a Vienna di un cesto di “pomi rosmarini”, già allora rinomati per l’eccellente qualità. Dall’inizio del 1800 le fonti si fanno numerose e, nella seconda metà del secolo, i frutticoltori acquisiscono una nutrita serie di riconoscimenti e premi per la qualità della frutta portata alle esposizioni internazionali dell’epoca.

GASTRONOMIA La Mela Val di Non DOP si conserva bene a basse temperature. Tuttavia, è ideale riportarla a temperatura ambiente quattro o cinque giorni prima del consumo. Prodotto altamente versatile, la mela è considerata il frutto per eccellenza. Viene proposta in innumerevoli e gustose ricette (in particolare la Golden), con sfiziosi accostamenti: dagli antipasti alle insalate, in abbinamento a carni suine e cacciagione, bevande comprese. Da non dimenticare la mela (in particolare la Renetta) quale ingrediente principe nella preparazione della torta di mele, dello strudel e delle frittelle. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Mela Val di Non DOP nelle varietà: Golden Delicious, Renetta Canada, Red Delicious. Le categorie commerciali sono Extra e Prima, il calibro minimo delle mele è di 65 mm. La Mela Val di Non DOP è commercializzata sfusa o in imballaggi o in confezioni tali da consentirne la chiara identificazione. NOTA DISTINTIVA Il territorio di coltivazione della Mela Val di Non DOP è fortemente vocato a questa produzione grazie alle sue caratteristiche morfologiche, con alti valori di magnesio, che conferiscono ai frutti elevate qualità organolettiche.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Mela Val di Non DOP interessa parte del territorio della provincia di Trento, nella regione autonoma Trentino-Alto Adige.


METODO DI PRODUZIONE Oltre all’Annurca e all’Annurca Rossa del Sud, ai fini di una idonea impollinazione, nei meleti è ammessa la presenza di altre varietà di melo, fino a un massimo del 10% delle piante. I frutti sono raccolti a mano, poi vengono riposti a terra nei cosiddetti “melai”, piccoli appezzamenti di terreno di larghezza non superiore a 1,50 m, dove subiscono il tradizionale arrossamento. Il trattamento è obbligatorio per entrambe le varietà e consiste nel disporre le mele su strati di materiale soffice vario, in modo da esporre alla luce la parte meno colorata dei frutti girandoli periodicamente. Ogni melaio è protetto con reti antigrandine e ombreggianti, per difendere il frutto dai raggi diretti del sole che lo danneggerebbero irrimediabilmente. Tale fase dura da 20 a 50 giorni e le operazioni di raccolta e arrossamento, nel complesso, non devono protrarsi oltre il 15 dicembre. La produzione massima consentita, pur con le variabili annuali in funzione dell’andamento climatico, è fissata in 35 tonnellate per ettaro. ASPETTO E SAPORE La Melannurca Campana IGP si presenta di forma un po’ appiattita e rotondeggiante o tronco-conica breve; pezzatura medio-piccola; buccia di colore giallo o giallo-verdastro a seconda della varietà e sovracolore rosso, caratterizzata da un’area rugginosa in corrispondenza del peduncolo. La polpa è succosa, di consistenza soda, croccante, dolce, gradevolmente acidula e profumata, di eccellente sapore. STORIA L’antichissimo legame della Melannurca Campana IGP con la Campania è testimoniato dalla sua raffigurazione nei dipinti ritrovati negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi. Il suo luogo di origine sarebbe l’agro puteolano, come si desume dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, Plinio la chiama Mala Orcula in quanto prodotta intorno all’Orco, nel lago di Averno (sede degli Inferi). Anche Gian Battista della Porta nel Suae Villae Pomarium nel descrivere le mele che vengono prodotte a Pozzuoli riferisce come queste siano volgarmente dette orcole. Da qui i nomi anorcola e annorcola utilizzati successivamente, fino a giungere al 1876 quando il nome Annurca compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale. Tradizionalmente coltivata nell’area flegrea e vesuviana, la melannurca si è andata diffon-

dendo man mano, nel secolo scorso, anche in tutto il casertano, dove si è radicata trovando territorio particolarmente adatto alla coltivazione. GASTRONOMIA La Melannurca Campana IGP si conserva a basse temperature ed è consigliato riportarla a temperatura ambiente poco prima del consumo. Poiché è ricca di sostanze nutritive è ottima se consumata allo stato fresco, ma viene impiegata anche come base di succhi di frutta e liquori, nonché come ingrediente principale di dolci quali crostate e sfogliatelle e per preparare le tradizionali mele cotte al forno. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Melannurca Campana IGP, nelle varietà: Annurca e Rossa del Sud. È commercializzato sfuso oppure in imballaggi o confezioni tali da consentire la chiara identificazione del prodotto. NOTA DISTINTIVA L’elemento più peculiare della Melannurca Campana IGP è certamente da ricercare nel metodo di produzione: le mele vengono raccolte quando ancora la maturazione non è completa e il colore della buccia è verde, quindi vengono “arrossate” a terra nei melai. Il frutto assume pertanto la sua tipica colorazione rossa grazie alla luce naturale e alle abili mani degli agricoltori che con sapienza e cura rivoltano periodicamente le mele. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Melannurca Campana IGP comprende 137 comuni appartenenti alle province di Avellino, Benevento, Caserta, Napoli e Salerno, nella regione Campania.

MELANNURCA CAMPANA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Melannurca Campana IGP si riferisce al frutto allo stato fresco della specie Malus communis Lam., negli ecotipi Annurca e Rossa del Sud.

Consorzio Tutela Melannurca Campana Via G. Verdi, 29 - 81100 Caserta Tel: +39 0823 325144 www.melannurca.it info@melannurca.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 112 Produzione (kg) 4.353.425

Fatturato (mln €) 8,71 Superficie (ha) 262,66 Dati Qualivita - Ismea

245


MELANZANA ROSSA DI ROTONDA DOP Consorzio di Tutela della Melanzana Rossa di Rotonda DOP c/o Alsia - Aasd “Pollino” C.da Piano Incoronata - 85048 Rotonda (PZ) Tel: +39 0835 244575 - 244584 www.biancoerossadop.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 15 Produzione (kg) 49.337

Fatturato (mln €) 0,10 Superficie (ha) 2,36 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Melanzana Rossa di Rotonda DOP è un ortaggio allo stato fresco prodotto utilizzando l’ecotipo Melanzana Rossa di Rotonda della specie Solanum aethiopicum. METODO DI PRODUZIONE Idonee operazioni di aratura preparano il terreno ad accogliere le piantine. Il trapianto avviene nel periodo maggio-giugno e utilizza piantine alte 10-15 cm con 3-5 foglie, che vengono poste in solchi precedentemente predisposti. Tali piantine devono provenire necessariamente dall’area di produzione e devono essere impiantate secondo i sesti e le distanze di piantagione in uso nella zona. Le coltivazioni sono concimate con sostanza organica o mediante la pratica del sovescio. La raccolta avviene a partire dal mese di luglio fino a novembre e deve essere condotta manualmente con l’ausilio di forbici, tagliando una piccola parte del peduncolo. La produzione massima consentita è di 60 tonnellate per ettaro. ASPETTO E SAPORE La Melanzana Rossa di Rotonda DOP ha forma tondeggiante simile ad un pomodoro e pesa fino a 200 g. Ad inizio maturazione presenta sfumature verdastre, mentre quando è ben matura è di colore arancione vivo tendente al rosso lucido. La polpa è carnosa. Il profumo è intenso e fruttato e ricorda quello del ficodindia; al gusto è piccante, gradevolmente amara sul finale. STORIA La Melanzana Rossa di Rotonda DOP ha origini africane. Durante il periodo del colonialismo infatti molte famiglie di Rotonda si trasferirono nei nuovi territori conquistati dal regime fascista per trovare lavoro. Nel 1935, prima dello scoppio della guerra di Etiopia, coloro che tornarono in patria portarono proprio questa “curiosa” melanzana. L’adattamento di questa specie al territorio fu tale che si trasformò fino a differenziarsi persino dalle specie africane da cui originariamente proveniva, dello stesso colore arancione ma senza striature e dalla forma più allungata. Per tali particolarità, che la rendono somigliante al pomodoro, nel dialetto locale questa melanzana ha preso il nome di merlingiana a pummadora. Numerose testimonianze scritte e orali confermano l’ampio utilizzo della melanzana rossa fino dagli inizi del XX secolo come le interviste agli agricoltori più anziani della città effettuate nell’ambito di una ricerca del CNR del 1992. La melanzana rossa continua a far parlare di sé in programmi televisivi, libri di cucina e riviste specializzate ed è presente nella tradizionale e affollata sagra organizzata annualmente.

GASTRONOMIA La Melanzana Rossa di Rotonda DOP fresca va mantenuta in frigorifero o in luogo idoneo e asciutto. Tradizionalmente si conservano nzertate, ovvero legate a grappoli e appese sotto tettoie ad asciugare. Ottime anche sotto olio e sotto aceto. Moltissime sono le ricette della cucina lucana che celebrano questa particolarissima melanzana: fritta e aromatizzata con menta e aglio; abbinata al caciocavallo podolico per condire fusilli; mescolata alla salsiccia in strepitose polpette. Si possono utilizzare anche le foglie, che sono più tenere rispetto a quelle delle altre varietà di melanzana e molto diverse nella forma e nelle dimensioni. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Melanzana Rossa di Rotonda DOP. È disponibile da luglio a novembre e viene commercializzata in contenitori di materiale di origine vegetale, di cartone, oppure in retine di plastica o altro materiale riciclabile e in questo caso il peso non può essere superiore a 1 kg. NOTA DISTINTIVA La Melanzana Rossa di Rotonda DOP è caratterizzata da un basso contenuto di acido clorogenico: circa 800 ppm rispetto a 4300 ppm degli altri prodotti della stessa specie. Questo valore permette alla polpa di rimanere bianca anche molto tempo dopo il taglio della bacca. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Melanzana Rossa di Rotonda DOP interessa i comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, in provincia di Potenza, nella regione Basilicata.


METODO DI PRODUZIONE Le tecniche utilizzate per la produzione del Melone Mantovano IGP sono sia la coltivazione in pieno campo che in tunnellini (coltura semiforzata), o in serra o tunnel (coltura forzata). La semina in pieno campo parte dalla prima decade di aprile, il trapianto dalla seconda metà di febbraio fino a luglio, utilizzando fino ad un massimo di 5000 piantine per ettaro. Una volta maturi, i frutti di Melone Mantovano IGP vengono raccolti quotidianamente e vengono sottoposti a cernita e bollinatura entro 24 ore dalla raccolta, direttamente in azienda o in strutture idonee. Come prodotto destinato alla IV gamma, può essere sottoposto alle operazioni di taglio, affettatura ed eliminazione dell’esocarpo e dell’endocarpo. ASPETTO E SAPORE I frutti di Melone Mantovano IGP hanno una pezzatura minima di 800 g in peso e 10 cm in diametro. A seconda della tipologia, liscia o retata, i meloni si distinguono per il colore e la forma. La forma sferica o sub sferica, il colore della buccia crema-paglierino e della polpa giallo–arancio sono le caratteristiche della tipologia liscia, mentre la retata ha forma ovale o tonda, buccia color crema-paglierino o verde e polpa arancio-salmone. L’analisi sensoriale ha evidenziato le caratteristiche di dolcezza e succosità e l’aroma di tiglio e zucchino. STORIA Pur essendosi consolidata come produzione estesa su un territorio di circa 2000 ettari soprattutto negli ultimi decenni, la coltivazione del melone nel territorio interessato risale almeno al XV e XVI secolo, come testimoniano documenti reperibili negli archivi dei Gonzaga di Mantova. La storia del Melone Mantovano IGP racconta anche la capacità di cooperazione dei produttori del territorio, con la costituzione delle prime associazioni già negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. GASTRONOMIA Il Melone Mantovano IGP si conserva in luoghi freschi ed asciutti, ma è bene evitare di conservarlo a temperature inferiori ai 5°C in quanto lo sbalzo termico può

influenzare negativamente la consistenza della polpa. Oltre che come frutta fresca, o nel classico abbinamento con il prosciutto crudo, può essere utilizzato in cucina per la preparazione di primi piatti, a base di risotto, pasta e cous cous, di ricette originali come mousse o gazpacho. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Melone Mantovano IGP. È commercializzato in confezioni in cartone, legno o materiale plastico, quali bins, traypak, plateaux in cartone nuovo; cassette in legno nuove; cassette riutilizzabili in materiale plastico. Nel caso di confezioni sigillate con più frutti (vassoi, cartoni e sacchetti), queste devono contenere meloni della stessa varietà e tipologia. Per preservare al meglio il sapore, i meloni destinati alla IV gamma devono essere raffreddati, tagliati e confezionati entro 24 ore dalla raccolta. NOTA DISTINTIVA I terreni di coltura del Melone Mantovano IGP sono profondi e permeabili, particolarmente adatti a favorire il regolare afflusso d’acqua durante l’irrigazione e la facile penetrazione dell’impianto radicale della pianta. Questo fattore è determinante nel definire le peculiari qualità dei frutti, come l’alto contenuto zuccherino ≥ a 12° Brix, e la significativa quantità di sali minerali e potassio, generalmente superiore a quella riscontrata in altre zone di coltivazione del melone. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Melone Mantovano IGP interessa il territorio di 41 comuni ricadenti nelle province di Mantova, Cremona, nella regione Lombardia, e Modena, Bologna e Ferrara, nella regione Emilia-Romagna.

MELONE MANTOVANO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Melone Mantovano IGP indica i meloni allo stato fresco delle due varietà botaniche di Cucumis melo: Cantalupensis (melone cantalupo) e Reticulatus (melone retato). Gli ibridi maggiormente diffusi sono: per il melone di tipologia liscia l’Honey Moon e il Bacir; per la tipologia Harper il Giusto, Ganzo, Okey, Boutique; per la tipologia retato italiano con fetta Macigno, Tuareg, Thales, Pregiato.

Consorzio del Melone Mantovano Via Ludovico Ariosto, 30/A 46028 Sermide (Mantova) www.melonemantovano.it info@melonemantovano.it

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 23 Produzione (kg) 401.843

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 488,51 Dati Qualivita - Ismea

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NOCCIOLA DEL PIEMONTE IGP

NOCCIOLA PIEMONTE IGP

Consorzio Tutela della Nocciola Piemonte Via Alba, 15 - 12050 Castagnito (CN) Tel: +39 0173 211261 www.nocciolapiemonte.it info@nocciolapiemonte.it

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 803 Produzione (kg) 3.386.248

Fatturato (mln €) 10,36 Superficie (ha) 3.084,1 Dati Qualivita - Ismea

248

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Nocciola del Piemonte IGP si riferisce ai frutti in guscio, sgusciati e semilavorati ottenuti dalla cultivar di nocciolo Tonda Gentile Trilobata della specie Corylus avellana L. METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto e le forme di allevamento sono quelli in uso e riconducibili alla coltivazione “a cespuglio” ed, eccezionalmente, a quella “a monocaule”. La raccolta, ormai meccanizzata, deve essere fatta tra la seconda metà di agosto e la prima di settembre quando i frutti si staccano spontaneamente dalla pianta. È eseguita a più riprese per impedire il deterioramento e garantire la qualità dei frutti. Successivamente, i frutti vengono messi ad essiccare al sole su aree esterne pavimentate, stando attenti a proteggere il prodotto dall’umidità, o in essiccatori nei quali devono essere riprodotte le condizioni dell’essiccamento naturale (essiccatori a movimento continuo ad aria tiepida, mai superiore a 35°C). Il prodotto viene poi conservato in locali chiusi e areati, dove le nocciole vengono collocate in strati di modesto spessore. ASPETTO E SAPORE La Nocciola del Piemonte IGP ha forma sferica di dimensioni non uniformi. Il guscio è di medio spessore, di colore nocciola non lucente con numerose striature. Il seme ha forma variabile (sub-sferoidale, tetraedrica e, talvolta, ovoidale), di consistenza compatta e croccante, ha un sapore fine e persistente e una volta tostato è facilmente pelabile. STORIA Il merito di introdurre e di diffondere la coltura dei noccioli nella zona dell’Alta Langa va al prof. Emanuele Férraris, il quale dimostrò come l’albero del nocciolo fosse molto più resistente e duraturo della vite. La storia della coltivazione del nocciolo nell’area di produzione della Nocciola del Piemonte IGP va di pari passo con l’evoluzione dell’industria dolciaria e con la scoperta del gianduia, miscela tra cacao e nocciole. Tutto iniziò con il blocco economico ordinato da Napoleone per i prodotti dell’industria britannica e delle sue colonie, quando un gruppo di pasticceri torinesi iniziò a miscelare il cacao con la più economica Nocciola Tonda Gentile Trilobata. Successivamente nel 1852 il chocolatier Michele Prochet, in società con Caffarel, perfezionò l’impasto tostando le nocciole e macinandole finemente. GASTRONOMIA La Nocciola del Piemonte IGP va conservata in ambienti freschi e ventilati, al fine di evitare l’eventuale

irrancidimento. Si possono mangiare appena colte o dopo l’essiccatura. Il prodotto è prevalentemente utilizzato nell’industria dolciaria per la preparazione di creme, torte, gelati o come ingrediente nel tipico cioccolatino piemontese, il gianduiotto, e nel caratteristico torrone natalizio, dove la nocciola costituisce l’ingrediente fondamentale ed esprime al meglio le proprie caratteristiche. La nocciola ha inoltre una funzione ornamentale in pasticceria se ridotta in granella. Non solo, sono molti gli usi anche in molti piatti salati. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Nocciola del Piemonte IGP. È commercializzato in guscio, in sacchi di tessuto idoneo a tutti i livelli di commercializzazione o, eccezionalmente, allo stato sfuso; sgusciato, semilavorato e finito in confezioni idonee ad uso alimentare, solo preconfezionato o confezionato. Il prodotto è reperibile in commercio anche semilavorato come Granella, Farina e Pasta di Nocciole del Piemonte IGP, oltre che come principale ingrediente di numerosi prodotti quali crema, cioccolato gianduia, nocciolato e nocciolato bianco, cremino, torrone e altri prodotti dell’industria dolciaria a base di Nocciole del Piemonte IGP. NOTA DISTINTIVA La Nocciola del Piemonte IGP è considerata la migliore per uso industriale, trova la sua massima espressione insieme al cioccolato. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Nocciola del Piemonte IGP comprende numerosi comuni in provincia di Alessandria, Asti, Cuneo, Torino, Novara, Biella e Vercelli, nella regione Piemonte.


METODO DI PRODUZIONE Le forme di allevamento utilizzabili sono quelle generalmente usate nella zona vocata, riconducibili alle coltivazioni cosiddette “a cespuglio policaule”, “a vaso cespugliato” e “ad alberello”, con una densità per ettaro non superiore a 660 piante. Sono ammesse anche forme di allevamento diverse, come quella “a siepe” e “a Y”, condotte nel rispetto delle caratteristiche proprie del prodotto. Negli impianti, inoltre, è ammessa la presenza di varietà di nocciolo diverse dalla Tonda di Giffoni nella misura massima del 10%, per consentire una adeguata impollinazione. Essendo una cultivar abbastanza precoce, la raccolta inizia dalla terza settimana di agosto. Le nocciole vengono poi selezionate e calibrate, depositate in luoghi ben areati, privi di odori e di umidità, per essere sottoposte a processo di essiccazione, con cui si porta il prodotto ad avere un livello di umidità del 5-7%. Le nocciole destinate all’uso industriale sono sgusciate con rulli e tostate in forni ventilati ad alte temperature.

d’origine, il Giffonese, scriveva: “l’albero della nocella è a tutti noto che alligna meravigliosamente nella maggior parte del nostro demanio”. GASTRONOMIA La Nocciola di Giffoni IGP si conserva in ambienti asciutti, freschi e areati. È ottima se consumata al naturale, ma anche come snack ricoperto di cioccolato o in abbinamento al miele o nel torrone. Non manca l’uso in piatti a base di carne o nella preparazione di numerose pietanze, come dolcetti, torte, gelati, creme, ma anche primi piatti e liquori alla nocciola. Inoltre, molto diffuso è il suo uso nell’industria di trasformazione in particolare in quella dolciaria. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Nocciola di Giffoni IGP. È commercializzato in guscio, all’interno di sacchi di tessuto (juta) e/o altro materiale idoneo; sgusciato, in sacchi di carta o di tessuto, in scatole di cartone o in altri materiali idonei. Il prodotto è reperibile in commercio anche trasformato come Granella e Farina di Nocciole di Giffoni IGP. È inoltre utilizzato come ingrediente di prodotti trasformati disponibili in commercio quali pasta, crema e dolci a base di Nocciola di Giffoni IGP.

ASPETTO E SAPORE La Nocciola di Giffoni IGP è formata da un guscio legnoso di medio spessore e di colore marrone con striature più scure, inoltre presenta un seme di forma subsferica, color avorio, facilmente pelabile, di ottima consistenza e molto aromatico.

NOTA DISTINTIVA La Nocciola di Giffoni IGP è particolarmente adatta alla trasformazione industriale perché resiste bene a tostatura, calibratura e pelatura dando vita a prodotti lavorati e semi-lavorati di altissima qualità.

STORIA La Nocciola di Giffoni IGP vanta origini antichissime. La regione Campania viene considerata il luogo dove la coltivazione del nocciolo affonda le sue radici più indietro nel tempo. Il nome antico del nocciolo, avellano, deriva dalla città di Abella, oggi chiamata Avella, in provincia di Avellino. Già dal III secolo a.C. numerosi scrittori e poeti latini ne attestarono la presenza in Campania e negli scavi di Ercolano esiste un affresco dove sono raffigurate le piante di nocciolo. Alcuni resti di nocciole carbonizzate si trovano anche nel Museo Nazionale di Napoli. Le prime testimonianze certe sulla nocciolicoltura specializzata in Campania, ed in particolare sulla coltivazione della Nocciola di Giffoni, risalgono al Medioevo. Ma è solo grazie all’intensificarsi dei rapporti commerciali con il resto d’Italia e con l’estero, durante il periodo borbonico, che questa produzione assunse un importante ruolo economico. Verso la fine del Settecento, Vincenzo De Caro, storico salernitano, riferendosi alla sua terra

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Nocciola di Giffoni IGP comprende alcuni comuni della provincia di Salerno, nella regione Campania.

NOCCIOLA DI GIFFONI IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Nocciola di Giffoni IGP si riferisce al frutto allo stato secco, in guscio o sgusciato, e tostato, in guscio o sgusciato pelato, ottenuto dalla varietà di nocciolo Tonda di Giffoni della specie Corylus avellana L.

Consorzio di Tutela IGP Nocciola di Giffoni Via V. Fortunato - Zona PIP - 84095 Giffoni Valle Piana (SA) Tel: +39 089 8424053 www.igpnoccioladigiffoni.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 80 Produzione (kg) 165.551

Fatturato (mln €) 0,69 Superficie (ha) 348,17 Dati Qualivita - Ismea

249


NOCCIOLA ROMANA DOP Associazione Produttori Nocciole della Provincia di Viterbo Località Vico Matrino, 4 01012 Capranica (VT) Tel: +39 0761 669232 Fax: +39 0761 668972

CCIAA di Viterbo Via F.lli Rosselli, 4 - 01100 Viterbo Tel: +39 0761 2341 Fax: +39 0761 345755 www.vt.camcom.it segreteria.generale@vt.camcom.it

Operatori Potenziali 9 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Potenziali 46,99 Dati Qualivita - Ismea

250

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Nocciola Romana DOP si riferisce al frutto secco, in guscio o sgusciato, appartenente alla specie Corylus avellana, varietà Tonda Gentile Romana e Nocchione. METODO DI PRODUZIONE Le piante sono coltivate con sesti di impianto a “cespuglio”, “vaso cespugliato” e “monocaule”. A seconda che gli impianti siano vecchi o nuovi, il numero di piante per ettaro ammesso varia sostanzialmente: i vecchi impianti ne possono contenere non più di 150 per ettaro, mentre i nuovi possono arrivare a contarne sino a 650 per ettaro. Gli arbusti sono sottoposti a potatura annuale mentre il processo di concimazione sarà teso a non forzare la produzione dei terreni. La raccolta può essere effettuata dal 15 agosto al 15 novembre, anche se, generalmente, si raccolgono tutte le nocciole entro la metà di settembre, quando giungono a piena maturazione. I frutti vengono raccolti esclusivamente da terra e mai dall’albero. Tuttavia, poiché una permanenza prolungata sul suolo ne comprometterebbe la qualità, con il tempo, si è affiancato anche l’impiego di macchine trainanti o “semoventi”. In seguito, le nocciole vengono essiccate in appositi seccatoi fino ad ottenere un tasso di umidità non superiore al 6%. Infine sono sottoposte all’eventuale sgusciatura, cernita, calibratura e condizionamento, che dovranno concludersi entro il 31 agosto dell’anno successivo a quello di raccolta. ASPETTO E SAPORE La Nocciola Romana DOP ha forma subsferoidale, sferoidale o subelissoidale. La dimensione in guscio varia da 14 a 25 mm. Il sapore è finissimo e persistente e presenta una tessitura compatta e particolarmente croccante. STORIA La coltivazione della pianta di nocciolo nel Lazio ha origini antiche. La presenza sul territorio della varietà Tonda Gentile risalirebbe già ad epoca pre-romana, mentre la sua coltivazione è attestata a partire dal XV secolo. Il consumo di questo delizioso frutto secco si diffuse ampiamente nel secolo successivo, arrivando ad arricchire persino i banchetti papali. Nella Storia del Carnevale Romano sono infatti citate le “nocchie” come alimento assai gradito a Papa Leone X. La reputazione della Nocciola Romana è cresciuta nel tempo, fino a raggiungere l’apice nel XX secolo, quando è riuscita a ritagliarsi uno spazio tutto suo nel mercato agroalimentare, soprattutto come ingrediente base di prodotti dolciari. GASTRONOMIA La Nocciola Romana DOP va conservata in ambienti freschi evitando di esporla a fonti di calore, luce ed

umidità in modo da preservarne il più possibile le peculiarità distintive. Le nocciole possono essere gustate tanto allo stato fresco, quanto essiccate o tostate. La tradizione gastronomica viterbese ne prevede l’abbinamento con numerosi piatti a base di carne. Viene inoltre impiegata come ingrediente nella preparazione di una moltitudine di prodotti dolciari, compresi alcuni dolci tipici come i tozzetti, gli ossetti da morto, i brutti buoni ed i mostaccioli. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Nocciola Romana DOP. È commercializzato in guscio, confezionato in sacchi o in confezioni di vario peso di juta e rafia; sgusciato viene confezionato in contenitori di juta, rafia e cartoni idonei ad uso alimentare di peso variabile. È inoltre disponibile in commercio come ingrediente di prodotti trasformati quali granella, pasta, crema, nocciolato e dolci a base di Nocciola Romana DOP. NOTA DISTINTIVA Le peculiarità distintive tanto climatiche quanto territoriali della zona di produzione concorrono a rendere la Nocciola Romana DOP un prodotto unico nel suo genere, in particolare per le caratteristiche di croccantezza e di tessitura compatta senza vuoti interni. I suoli di origine vulcanica, ricchi di microelementi e potassio, costituiscono un connubio perfetto con il clima mite dei Monti Cimini e Sabatini, le cui variazioni termiche si conciliano ottimamente con le tempistiche evolutive della pianta. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Nocciola Romana DOP interessa sei comuni nella provincia di Roma e 31 comuni della provincia di Viterbo, nella regione Lazio.


METODO DI PRODUZIONE La raccolta viene effettuata a mano tramite “brucatura”, generalmente tra ottobre e novembre. In questa fase è vietato l’impiego di cascolanti, cioè di sostanze che accelerano la maturazione del frutto. Il trasporto avviene in cassette a rete o graticci dove i frutti vengono disposti in strati non superiori ai 20 cm. Le fasi di lavorazione vengono avviate entro e non oltre 24 ore dalla raccolta. Sono previsti tre diversi sistemi di lavorazione per le olive verdi e due per le olive nere. Le olive verdi subiscono un processo di trasformazione o con “Sistema Sivigliano” (immersione in idrossido di sodio, lavaggi e fermentazione lattica), o con l’utilizzo di cangianti naturali (“al naturale”, si usa unicamente la salamoia) oppure attraverso il metodo Castelvetranese (immersione in soluzione sodica, aggiunta di sale macinato e lavaggio). Le olive deamarizzate mediante i primi due metodi possono essere in seguito trasformate nelle tipologie: Intera in Salamoia, Schiacciata, Denocciolata in Salamoia, Affettata, Incisa e Condita. Le olive nere, invece, possono essere trattate con o senza mezzo alcalino. Per le olive nere trattate senza mezzo alcalino è possibile, mediante ulteriore elaborazione, dare luogo alle seguenti tipologie: in Salamoia al Naturale, in Salamoia all’Aceto, Disidratate al sale secco o Infornate. Nel caso si effettui la lavorazione con mezzo alcalino è consentito l’utilizzo del “Sistema Californiano” o quello al sale secco. ASPETTO E SAPORE La Nocellara del Belice DOP è caratterizzata dalla pezzatura grande, ogni frutto pesa 5-7 g. Ha forma arrotondata ed è verde o nera. Quella di tipo verde, quando giunge a maturazione, diventa di colore rosso vinoso. La polpa è consistente e croccante, il gusto leggermente amarognolo. STORIA L’olivicoltura della Valle del Belice ha una lunghissima tradizione, specie per le olive da mensa. Questa coltura è riuscita infatti ad affermarsi quasi spontaneamente sia per le idonee caratteristiche ambientali sia per i requisiti merceologici pregevoli dell’unica cultivar rappresentata in maniera così preponderante. I primi documenti che descrivono la presenza delle olive nel territorio della Valle del Belice risalgono addirittura ai tempi della colonia greca di Selinunte, nel VII secolo a.C. Dal XIX secolo la varietà Nocellara

del Belice si è imposta come oliva utilizzabile sia da mensa che da olio. GASTRONOMIA La Nocellara del Belice DOP si conserva in luoghi freschi e asciutti, al riparo da fonti di calore o luce diretta. Si consuma al naturale come gustoso aperitivo, è ottima anche abbinata a formaggi, salumi e verdure sotto olio della tradizione locale. Può essere anche utilizzata come ingrediente per insaporire piatti tipici siciliani, su tutti la famosa “caponata”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Nocellara del Belice DOP. In particolare, le olive verdi sono vendute Intere (con nocciolo) in Salamoia mentre Denocciolate in Salamoia, Schiacciate, Affettate, Incise o Condite con olio, aglio, peperoncino e origano. Le olive nere, invece, sono attualmente immesse in commercio nella sola tipologia in Salamoia al Naturale. È generalmente confezionata in contenitori di vetro o banda stagnata, in sacchetti di materiale plastico tipo pellicola termosaldante e in contenitori di plastica o terracotta. NOTA DISTINTIVA I suoli rossi o bruni e il clima spiccatamente mediterraneo creano condizioni microambientali che influiscono sulle caratteristiche di tipicità della Nocellara del Belice DOP, quali le dimensioni e il gusto particolare. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Nocellara del Belice DOP è localizzata nella valle del Belice, in particolare nei comuni di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna in provincia di Trapani, nella regione Sicilia.

NOCELLARA DEL BELICE DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Nocellara del Belice DOP si riferisce alle olive da tavola verdi o nere e ai loro trasformati, ottenute da olivi dell’omonima varietà.

Consorzio Nocellara del Belice Via IV Novembre, 11 91022 Castelvetrano (TP) www.consorzionocellaradelbelice.com info@consorzionocellaradelbelice.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 44 Produzione (kg) 171.565

Fatturato (mln €) 0,26 Superficie (ha) 363,2 Dati Qualivita - Ismea

251


OLIVA ASCOLANA DEL PICENO DOP Consorzio per la Tutela dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP Via Ruffini, 9 63100 Ascoli Piceno Tel: +39 0736 277927 Fax: +39 0736 277925

ASSAM - Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche Via dell’Industria, 1 60027 Osimo Stazione (AN) Tel: +39 071 8081 www.assam.marche.it

Operatori 14 Produzione (kg) 9.731

Fatturato (mln €) 0,05 Superficie (ha) 35,62 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Oliva Ascolana del Piceno DOP si riferisce all’oliva verde da tavola, in salamoia o panata e ripiena, frutto della varietà d’olivo Ascolana Tenera. METODO DI PRODUZIONE L’Oliva Ascolana del Piceno DOP viene prodotta nelle tre tipologie in Salamoia, in Salamoia “al naturale” e Ripiena. Le olive utilizzate per la produzione sono raccolte generalmente a mano, tramite “brucatura”, nel periodo compreso tra il 10 settembre e il 20 ottobre. Dopo la raccolta e la cernita, le olive subiscono un trattamento di deamarizzazione, necessario per attenuare il loro naturale sapore amaro. Si effettua, sia per la tipologia in Salamoia che per quella Ripiena, con metodo Sivigliano, vale a dire tramite l’immersione delle olive in una soluzione di idrato sodico all’1,53% per 8-12 ore, a cui seguono dei lavaggi per ridurre l’alente residuo. Per la tipologia in Salamoia “al naturale” la deamarizzazione si realizza invece con un metodo che prevede subito l’immersione delle olive in una salamoia di sale marino (NaCl) concentrato all’8% (si esclude quindi il passaggio in soda). In questo caso il processo richiede tempi di fermentazione e stoccaggio non inferiori a 10 mesi. Le olive destinate a diventare Ripiene verranno denocciolate e riempite con un impasto, preventivamente cotto, di carne di suino e bovino (provenienti dalla zona della DOP, a cui si può aggiungere in misura massima del 10% quella di pollo e/o tacchino), formaggio, uova, vino bianco, cipolla, carota, costa di sedano, noce moscata e altri aromi minori. Le olive farcite vengono poi passate nella farina, nell’uovo battuto ed infine nel pangrattato. Il prodotto finale è destinato alla frittura. ASPETTO E SAPORE L’Oliva Ascolana del Piceno DOP in Salamoia si presenta di colore uniforme dal verde al giallo paglierino; la polpa è piena, compatta, non raggrinzita, non granulosa, ha odore caratteristico di fermentato e sapore lievemente acido con un leggero retrogusto amarognolo (più evidente nella tipologia “al Naturale”). È fragrante e croccante in bocca. L’Oliva Ascolana del Piceno DOP Ripiena ha forma leggermente allungata irregolare, presenta aree verdi percettibili e, alla rottura, la panatura rimane aderente all’oliva, con impasto che si presenta compatto. La percezione olfattiva è di media intensità con note fruttate di oliva verde e spezie. STORIA La presenza dell’olivo nel territorio Piceno ha origini che coincidono con la sua introduzione nella penisola italica da parte dei Fenici e dei Greci. In epoca Romana

erano conosciute come ulivae picenae e arricchivano le tavole dei banchetti. Ai Monaci Benedettini Olivetani si deve la razionalizzazione delle pratiche agronomiche, oltre le numerose testimonianze scritte sulla centralità delle olive da tavola nell’economia locale del 1500. Notizie precise circa la farcitura dell’oliva ascolana risalgono al 1600. Il ripieno a base di carne ha invece origini più recenti e risale al XIX secolo. GASTRONOMIA L’Oliva Ascolana del Piceno DOP in Salamoia si conserva in luoghi freschi e asciutti, mentre quella Ripiena è da conservare in frigorifero. Viene generalmente usata come contorno, o come ingrediente di tipici piatti locali. La tipologia Ripiena esprime al meglio le sue qualità una volta fritta. Inoltre per la sua ricca consistenza, può anche sostituire una pietanza. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nelle tipologie Oliva Ascolana del Piceno DOP in Salamoia, in Salamoia “al naturale” e Ripiena. È commercializzato in recipienti o involucri idonei. NOTA DISTINTIVA Nella Oliva Ascolana del Piceno DOP Ripiena la farcitura è elemento caratterizzante ma non deve comunque prevalere sul frutto: il prodotto finito deve infatti contenere almeno il 40% in peso di oliva denocciolata.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP comprende 89 comuni divisi tra le province di Ascoli Piceno e Fermo, nella regione Marche, e la provincia di Teramo, nella regione Abruzzo.


METODO DI PRODUZIONE Per garantire la tracciabilità del prodotto sin dalla prima fase di produzione, i tuberi-seme utilizzati devono essere certificati e, se seminati interi, devono avere calibro minimo di 55 mm. Prima della semina, il terreno deve essere adeguatamente preparato a partire dai mesi di settembre – ottobre, effettuando un’aratura di almeno 30 cm che consenta l’adeguata penetrazione di pioggia, neve e gelo durante la stagione invernale. La semina si realizza in genere fra il 15 febbraio e il 15 maggio, la fase della raccolta si svolge tra il 15 giugno e il 30 settembre. Le patate possono anche essere lavorate come prodotto di IV gamma, dopo essere state sottoposte a processo di lavaggio in acqua, pelatura meccanica e cernita. Alla fine della lavorazione, il prodotto viene mantenuto a temperatura di 3-5°C in apposite celle in attesa della spedizione. ASPETTO E SAPORE La Patata dell’Alto Viterbese IGP ha forma ovale od ovale allungata regolare, una pezzatura compresa tra 40 e 75 mm, la buccia di colore giallo e liscia, mentre all’interno presenta una pasta gialla con la parte edibile non inferiore al 97%. Il sapore è intenso e gradevole, con un livello di umidità che deve essere compreso fra il 75 e l’85% e il contenuto in amido che non può essere inferiore a 10 g per 100 g di prodotto. STORIA Riviste specialistiche, fotografie, racconti di autori locali e testimonianze cinematografiche attestano la presenza della Patata dell’Alto Viterbese IGP sin dagli inizi del Novecento. La patata dell’alto viterbese è molto apprezzata sia a livello locale che su tutti i mercati italiani. Fino agli anni Sessanta la sua coltivazione veniva praticata soltanto a livello familiare; in seguito all’abbandono della coltivazione della fragola, si è estesa a livelli esponenziali nei territori limitrofi. GASTRONOMIA La Patata dell’Alto Viterbese IGP allo stato fresco si conserva in luoghi freschi e asciutti, meglio se in assenza di luce. Il prodotto di IV gamma va conservato a temperatura di 4°C e ha una shelf life di 8 giorni. Le varietà Ambra e Monalisa sono adatte per tutti gli usi,

si prestano in particolare alla cottura in forno e alla preparazione degli gnocchi; la varietà Agria è particolarmente indicata per la frittura, grazie alla più alta presenza di sostanza secca; la varietà Agata, rende al meglio se cotta al vapore e utilizzata per la preparazione di purè e crocchette. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto viene immesso in commercio nella tipologia Patata dell’Alto Viterbese IGP. Può essere commercializzato come prodotto fresco o di IV gamma. Il prodotto fresco è confezionato in sacchi in rete da 1 a 2,5 kg; in vaschetta da 0,5 a 1 kg; in confezioni vertbag, girsac, buste e scatole di cartone da 1 a 5 kg; in sacco da 2,5 a 10 kg; e in cesta da 10 a 25 kg. Il prodotto di IV gamma è confezionato in busta di plastica per alimenti trasparente, sigillata, in atmosfera controllata ocon prodotto immerso in acqua da 0,5 kg a 10 kg; in secchiello in plastica per alimenti trasparente sigillato con prodotto immerso in acqua da 5 kg e 10 kg. NOTA DISTINTIVA La Patata dell’Alto Viterbese IGP deve le sue caratteristiche distintive alla composizione del suolo di coltivazione, caratterizzato da terreni di origine vulcanica ricchi di potassio e da un microclima che risente degli influssi del Lago di Bolsena, che grazie alla sua azione mitigatrice determina condizioni particolarmente favorevoli per la coltura di questo prodotto. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Patata dell’Alto Viterbese IGP interessa i comuni di Acquapendente, Bolsena, Gradoli, Grotte di Castro, Latera, Onano, S. Lorenzo Nuovo, Valentano e Proceno in provincia di Viterbo, nella regione Lazio.

PATATA DELL’ALTO VITERBESE IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Patata dell’Alto Viterbese IGP è ottenuta da tuberi della specie Solanum tuberosum, in particolare nelle varietà Monalisa, Ambra, Agata, Vivaldi, Finka, Marabel, Universa, Chopin, Arizona e Agria. La forma è ovale allungata e regolare, polpa di colore giallo, buccia gialla e liscia.

CO.P.A.VIT. soc. coop.agr. Via Rugarella, 8 Acquapendente (VT) Tel: +39 0763 733264 www.copavit.it info@copavit.it

CCIAA Viterbo Via Fratelli Rosselli 4, 01100 Viterbo (VT) Tel: +39 0761 2341 Fax: +39 0761 345755 www.vt.camcom.it segreteria.generale@vt.camcom.it

Operatori 111 Produzione (kg) 53.750

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) ND Dati Qualivita - Ismea

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PATATA DELLA SILA IGP Consorzio di Tutela della Patata della Sila IGP Via Forgitelle, 28 - Camigliatello Silano 87058 Spezzano della Sila (CS) Tel e Fax: +39 0984 578693 www.patatadellasila.it

ICEA - Ist. Certif. Etica e Ambientale Via Nazario Sauro, 2 - 40121 Bologna Tel: +39 051 272986 www.icea.info icea@icea.info

Operatori 45 Produzione (kg) 1.476.517

Fatturato (mln €) 0,40 Superficie (ha) 1.181,22 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Patata della Sila IGP si riferisce al tubero, a buccia gialla o rossa e a pasta gialla oppure bianca, ottenuto dalle varietà Agria, Desirèe, Ditta, Majestic, Marabel e Nicola della specie Solanum tuberosum L. METODO DI PRODUZIONE I tuberi-seme da cui proviene questa patata devono essere certificati secondo le norme sementiere nazionali. Il terreno deve essere adeguatamente preparato, in modo che non sussistano ristagni d’acqua. Deve essere effettuata la rotazione colturale con tempistiche precise (solanacee assenti per almeno due anni). L’aratura può essere effettuata nei periodi autunnale o primaverile. La semina viene eseguita, di norma, nel periodo che va da metà aprile fino alla fine di giugno, mentre i tuberi sono raccolti dalla seconda metà di agosto fino al 30 di novembre. Le operazioni di raccolta possono essere eseguite sia manualmente che con mezzi meccanici. La conservazione del prodotto ha luogo in locali riparati, al coperto, che devono comunque essere areati per favorire l’asciugatura. La Patata della Sila IGP deve essere conservata al buio a temperatura ambiente per un periodo di massimo otto mesi e comunque non oltre il 30 aprile dell’anno successivo. In alternativa, può essere tenuta in apposite celle frigorifere con temperature comprese tra 5 e 10°C e umidità pari al 93-98% per un massimo di 10 mesi, e comunque non oltre il 30 maggio. È vietato l’utilizzo di sostanze chimiche antigermoglianti. ASPETTO E SAPORE La Patata della Sila IGP ha forma variabile dal tondo all’ovale allungato, il calibro va da un minimo di 28 fino a oltre 76 mm. La buccia è consistente così come la polpa. Le varietà Agria, Ditta, Marabel e Nicola hanno buccia e polpa gialle; la Majestic ha buccia gialla e polpa bianca mentre la Desirèe ha buccia di colore rosso e polpa gialla. STORIA La coltivazione della patata nel territorio dell’Altopiano Silano ha da sempre rappresentato una grande risorsa per le comunità locali, che hanno potuto svilupparsi e crescere grazie al commercio di questo rinomato prodotto. A testimoniarne l’importanza, nel 1955, nasce il Centro Silano di Moltiplicazione e Selezione delle Patate da Seme e già negli anni Ottanta l’area risulta tra le prime in Italia per ampiezza di impianti di lavorazione. La notorietà e la fama sono state alimentate anche dalle numerose manifestazioni che negli anni sono state dedicate alla patata silana, molte delle quali ancora oggi continuano a richiamare folle di visitatori. Tra le maggiori vi è la “Sagra della Patata della Sila”, che si svolge ogni anno, dal 1978, a Camigliatello Silano.

GASTRONOMIA La Patata della Sila IGP si conserva fino a otto mesi se mantenuta al buio e a temperatura ambiente. Per l’elevato contenuto di sostanza secca e per l’ottima consistenza della polpa anche dopo la cottura risulta idelale per la frittura. Per le singole varietà possono essere individuati, inoltre, specifici usi in cucina, che ne esaltano le caratteristiche: la Desirèe, ad esempio, oltre ai fritti è ottima anche per gli gnocchi; la Ditta per gli arrosti e i bolliti; la Majestic per il puré mentre la varietà Nicola si esprime al meglio con la cottura al vapore e al forno. La Patata della Sila IGP è un contorno ideale per la carne e per il pesce, ma la cucina regionale la abbina ottimamente anche alla pasta asciutta. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio da ottobre a maggio come Patata della Sila IGP nelle varietà Agria, Desirèe, Ditta, Majestic, Marabel e Nicola. Viene confezionato in sacchi in rete da 2,5 a 25 kg; vert-bag da 1,5 a 2,5 kg; scatole di cartone da 10 a 20 kg. NOTA DISTINTIVA L’Altopiano Silano, dove si produce la Patata della Sila IGP, è il più esteso d’Europa ed è caratterizzato da forti escursioni termiche giornaliere e da insolazione prolungata, condizioni che favoriscono una crescita lenta e costante delle piante con un elevato accumulo di sostanza secca, così da ottenere tuberi di estrema qualità e conservabilità.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Patata della Sila IGP interessa alcuni comuni dell’Altopiano Silano, nelle province di Cosenza e Catanzaro, nella regione Calabria.


METODO DI PRODUZIONE Dopo che il terreno è stato preventivamente preparato, nel mese di marzo si procede alla semina per cui è obbligatorio l’impiego di tuberi-seme certificati, sia interi che tagliati. La preparazione dei tuberi-seme prevede la pre-germogliazione, processo che gli permette di svilupparsi in maniera più precoce e resistente, una volta deposti in campo. Durante questa fase i tuberi sostano in un ambiente non soggetto a gelate, in presenza di luce diffusa. La concimazione viene effettuata in modo da fornire gli elementi nutrizionali più adeguati, quali l’azoto, il fosforo ed il potassio, per ottenere produzioni ottimali sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. La produzione massima è di 60 tonnellate per ettaro. La raccolta deve essere eseguita a maturazione fisiologica completa del prodotto, cioè quando la buccia non si lacererà alla pressione esercitata dallo sfregamento con le dita. Questa fase sarà possibile intervenire con apposite macchine che depositano i tuberi in contenitori idonei al trasporto presso gli stabilimenti di ritiro. I tuberi vengono quindi raccolti generalmente a partire dal mese di luglio. La conservazione delle patate avviene in bins (casse di legno o plastica rigida) all’interno di celle per frigo-conservazione a temperatura controllata, compresa tra 4 e 7°C, e al riparo dalla luce. Questa operazione ha lo scopo di limitare la perdita di umidità del prodotto in attesa di essere confezionato. ASPETTO E SAPORE La Patata di Bologna DOP è caratterizzata da forma prevalentemente ovale allungata, regolare, con presenza di gemme (occhi) superficiali poco pronunciate. La buccia è liscia, integra e priva di difetti esterni che ne alterino le sue caratteristiche. Il calibro dei tuberi è omogeneo compreso tra 40 e 75 mm. La polpa, consistente, è di colore variabile dal bianco al giallo paglierino. Il prodotto ha una buona conservabilità e un gusto tipico. STORIA Le fonti storiche sino ad oggi pervenute, raccontano che la diffusione della patata nel territorio bolognese avvenne nei primi anni dell’Ottocento ad opera dell’agronomo Pietro Maria Bignami, il quale sostenne la coltivazione di questo ortaggio favorendone la conoscenza presso i contadini del luogo. Nel Novecento la diffusione della coltura è arrivata al massimo della

sua potenzialità, divenendo per tutta la provincia, dalla pianura fino alle aree collinari e montane, una fonte importante per l’economia rurale locale. GASTRONOMIA La Patata di Bologna DOP va conservata in luoghi freschi e asciutti. Da consumarsi previa cottura, è ottima gustata sia da sola che in abbinamento ad altre pietanze, magari per addolcirne il sapore. Spesso infatti il prodotto si accompagna al pesce, ad esempio al baccalà o alle seppie. Può essere anche impiegato in piatti dal sapore particolare come il “roulade stubanki” con carpaccio di pere. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Patata di Bologna DOP. È confezionato in sacchi da 4, 5, 10 e 25 kg con fascia centrale o stampata di almeno 10 cm; in retine da 0,5-1-1,5-2 e 2,5 kg; in confezioni quali vertbag, quickbag, girsac e busta da 0,5-1-1,5-2-2,5 e 5 kg; in vassoio o vaschetta con peso di 0,5-0,75 e 1 kg; oppure in cartone e ceste da 1012,5-15-20 e 25 kg. È sul mercato da luglio a maggio dell’anno successivo alla raccolta. NOTA DISTINTIVA La Patata di Bologna DOP deve le sue qualità distintive alla composizione del suolo di coltivazione, particolarmente ricco di potassio, fosforo e azoto, e al clima piovoso dell’area di produzione che facilita le fasi di primo accrescimento vegetativo e di inizio della suberificazione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Patata di Bologna DOP interessa la provincia di Bologna, nella regione Emilia-Romagna.

PATATA DI BOLOGNA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Patata di Bologna DOP si riferisce al tubero a pasta gialla, allo stato fresco, appartenente alla varietà di patata da seme denominata Primura.

Consorzio Patata di Bologna D.O.P. Via Tosarelli, 155 40055 Villanova di Castenaso (BO) Tel. +39 051 5872419 www.patatadibologna.it info@patatadibologna.it

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 186 Produzione (kg) 5.639.369

Fatturato (mln €) 3,64 Superficie (ha) 247,22 Dati Qualivita - Ismea

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PATATA ROSSA DI COLFIORITO IGP Associazione Patata Rossa di Colfiorito Via Adriatica, 149 c/o sede Circoscrizione 06030 Colfiorito (PG)

3A PTA dell’Umbria Soc. Cons. A R. L. Fraz. Pantalla - 06059 Todi (PG) Tel: +39 075 89571 www.parco3a.org segreteria.generale@ parco3a.org

Operatori Potenziali 20 Produzione (kg) Prod. Registrato 2015

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2015 Superficie (ha) Prod. Registrato 2015 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Patata Rossa di Colfiorito IGP si riferisce al tubero maturo, a buccia rossa e polpa giallo-chiara, della specie Solanum Tuberosum L. METODO DI LAVORAZIONE La coltivazione deve avvenire su terreno adeguatamente preparato, in modo che non vi siano zolle e cavità su tutta la sua profondità e che sia esposto il più possibile all’azione strutturante dei geli. Vengono effettuate estirpature penetranti e al momento della semina del tubero, che va dal 1° marzo al 30 giugno, si procede a un’erpicatura profonda di pianeggiamento. I tuberi devono avere dimensioni di minimo 28 mm, e possono essere impiantati interi oppure impiantati dopo esser stati tagliati in pezzi in senso longitudinale almeno due giorni prima della semina. Quest’ultima può essere effettuata a mano oppure attraverso macchine seminatuberi che depongono i tuberi a una distanza prefissata tra una fila e l’altra di 70-90 cm e richiudono il solco pareggiando il terreno. Si procede poi alla rincalzatura, che può essere anticipata da una leggera pre-incalzatura già al momento della semina. La raccolta, che può avvenire sia manualmente che meccanicamente, deve essere effettuata dal 1° agosto fino a tutto il mese di novembre, per una produzione totale ammessa fino a un massimo di 40 tonnellate per ettaro. La conservazione delle patate avviene in sacconi di nylon areati o cassoni riposti in magazzini dove devono essere rispettate le condizioni necessarie a una buona conservazione dei tuberi: permetterne l’essicazione della superficie, favorirne la cicatrizzazione dalle ferite ricevute durante la raccolta, impedire la conservazione dell’acqua sulla loro superficie. Durante la conservazione non è consentito l’uso di prodotti anti germoglianti. ASPETTO E SAPORE La Patata Rossa di Colfiorito IGP è caratterizzata da un aspetto esterno intero, completamente abbucciato e privo di macchie e danni provocati dal gelo, con forma ovale allungata e irregolare; la buccia rossa opaca è sottile e ruvida, la polpa consistente e di colore giallo paglierino. STORIA Le prime testimonianze della coltivazione della patata rossa nella zona degli altipiani di Colfiorito e di Casenove risalgono alla seconda metà del XVIII secolo. La zona era una tappa obbligatoria per gli eserciti che dovevano raggiungere le Marche, e probabilmente la patata venne portata proprio dalle truppe imperiali durante il loro passaggio nello Stato Pontificio e dalla successiva occupazione francese nel periodo napoleonico; gli eserciti infatti facevano largo consumo della patata a livello alimentare.

GASTRONOMIA Per mantenere intatte le caratteristiche, la Patata Rossa di Colfiorito IGP deve essere conservata al riparo dalla luce e a bassa temperatura. È utilizzata in Umbria in un gran numero di ricette: l’esempio più tipico sono gli gnocchi, conditi con il luccio del Trasimeno o con sugo di castrato; ma è ottima anche nella preparazione di pane, focaccia, purè, gustata lessa, arrosto, fritta o alla brace. Una preparazione molto apprezzata sono le ciambelle dolci di patate rosse. Una buona occasione per gustare le molte preparazioni a base di patata è la sagra della Patata Rossa di Colfiorito che si svolge annualmente nel mese di agosto. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è commercializzato nella tipologia Patata Rossa di Colfiorito IGP. La commercializzazione può essere fatta solo in confezioni chiuse etichettate, sacchetti buste di vari pesi che possono andare da 1.5 fino a 10 kg. Non è consentita la vendita di prodotto sfuso. NOTA DISTINTIVA La Patata Rossa di Colfiorito IGP deve le sue qualità distintive alle peculiari caratteristiche pedoclimatiche dell’area di riferimento, in cui viene coltivata ad una altitudine uguale o maggiore ai 470 m s.l.m., caratterizzata da terreni silicei con presenza di scheletro, leggermente acidi, permeabili e profondi. L’altura offre un clima ideale per la sua coltivazione, oltre che minori possibilità di contrarre patologie o infezioni parassitarie. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Patata Rossa di Colfiorito IGP ricade nell’area montana dell’Appennino Umbro-Marchigiano e comprende alcuni comuni delle province di Perugia, nella regione Umbria e di Macerata, nella regione Marche.


METODO DI PRODUZIONE I semi, selezionati dalle migliori piante, vengono seminati in semenzai da metà febbraio a metà aprile. Dopo 30-50 giorni dalla germinazione, le piantine vengono trapiantate in campo aperto o in ambiente protetto. Nel secondo caso, la copertura deve essere rimossa entro il 31 maggio di ogni anno. Il terreno deve inoltre seguire una precisa rotazione colturale, secondo la quale il Cornetto di Pontecorvo, o altre solanacee, possono essere presenti sullo stesso lotto una volta ogni quattro anni. La raccolta è manuale e interessa il periodo compreso tra luglio e novembre. Le operazioni di raccolta e immagazzinamento devono essere effettuate con cura, ponendo particolare attenzione affinché non si verifichino sfregamenti o rotture dei tessuti. I frutti raccolti non devono essere esposti al sole. ASPETTO E SAPORE Il Peperone di Pontecorvo DOP ha forma cilindro-conica, trilobata. Il peso e la lunghezza variano in base alla selezione. La Prima scelta ha peso della bacca variabile da 100 a 150 g e lunghezza da 14 cm a 18 cm; la Extra supera i 150 g di peso e i 18 cm di lunghezza. Si presenta di colore rosso, con eventuali sfumature verdi che non superano il 40% della superficie. La cuticola e la polpa sono sottili. Il sapore è dolce. STORIA Il peperone è presente nella zona di Pontecorvo da centinaia di anni. Ne sono testimonianza i numerosi documenti attestanti la coltivazione: alcuni di questi sono datati 1830, 1873 e 1882. Un vigoroso impulso alla produzione si è verificato con la nascita del Consorzio Agrario nel 1889, le cui attività hanno contribuito in pochi decenni ad un aumento sostanziale delle superfici dedicate. Da sempre considerato “un gradito companatico”, è stato oggetto dell’attenzione dei contadini ciociari, che hanno tramandato per generazioni le conoscenze necessarie ad ottenere il migliore peperone Cornetto. GASTRONOMIA Il Peperone di Pontecorvo DOP si mantiene bene anche per una decina di giorni, con l’accortezza di riporlo in frigorifero a temperatura adeguata. È un ingrediente molto ricercato, che ben si presta ad essere utilizzato sia nella cucina di base che in quella d’autore. Tagliato a listelli è ottimo per arricchire fresche insalate. È inoltre

prelibato se consumato crudo o conservato sotto olio, particolarmente indicato si rivela l’accompagnamento con salumi e formaggi, oppure come contorno di ricette a base di carne. Ottimo anche preparato alla griglia. Nella cucina tipica locale viene abbinato col pollo, al forno o in padella, e con la carne di maiale in padella. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio da luglio a novembre nella tipologia Peperone di Pontecorvo DOP. È commercializzato in confezioni da 200 g e in contenitori di cartone, legno o plastica per alimenti per un peso che varia da 1 a 10 kg. Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e contenere solo bacche della stessa categoria commerciale, dello stesso gruppo di colore e dello stesso calibro. Ogni bacca può essere protetta da carta o da altro materiale idoneo. Le categorie commerciali ammesse sono la Extra e la Prima. Sul mercato è inoltre disponibile un prodotto trasformato a base di Peperone di Pontecorvo DOP: i peperoni tagliati a fette e conditi, commercializzati in vetro. NOTA DISTINTIVA Il Peperone di Pontecorvo DOP si contraddistingue per l’elevata digeribilità dovuta alla particolare sottigliezza della buccia e della polpa, risultato di una lunga ed attenta selezione delle piante operata per secoli da esperti agricoltori. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Peperone di Pontecorvo DOP ricade nell’intero territorio del comune di Pontecorvo e in parte dei comuni di Esperia, S. Giorgio a Liri, Pignataro Interamna, Villa S. Lucia, Piedimonte S. Germano, Aquino, Castrocielo, Roccasecca e San Giovanni Incarico in provincia di Frosinone, nella regione Lazio.

PEPERONE DI PONTECORVO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Peperone di Pontecorvo DOP è un ortaggio a frutto, allo stato fresco, ottenuto dalla coltivazione dell’ecotipo locale Cornetto di Pontecorvo della specie Capsicum annum L.

Consorzio di Tutela del Peperone Di Pontecorvo DOP c/o Comune di Pontecorvo, P.zza IV Novembre, 1,- 03037 Pontecorvo Tel: +390776 760201 peperonedipontecorvodop@gmail.com

Camera di Commercio di Frosinone Viale Roma - 03100 Frosinone Tel: +39 0775 2751 www.fr.camcom.it info@fr.camcom.it

Operatori 18 Produzione (kg) 140

Fatturato (mln €) 0,0003 Superficie (ha) 94,24 Dati Qualivita - Ismea

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PEPERONE DI SENISE IGP Consorzio Tutela Peperoni di Senise Corso Garibaldi, 283 85038 Senise (PZ) Tel: +39 0973 585733 Fax: +39 0973 585733 cia.senise@tiscali.net

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 17 Produzione (kg) 1.076

Fatturato (mln €) 0,001 Superficie (ha) 4,49 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Peperone di Senise IGP si riferisce all’ortaggio allo stato fresco, secco o trasformato in polvere, ottenuto dalla coltivazione dei tipi morfologici Appuntito, Tronco e Uncino della specie Capsicum annuum . METODO DI PRODUZIONE La semina viene solitamente effettuata a mano, a spaglio, nel periodo compreso tra la terza decade di febbraio e la seconda decade di marzo. Le piantine di peperone vengono trapiantate dopo la germinazione dei semi, che sono ottenuti da piante madri selezionate all’interno dei campi situati nella zona vocata. Il trapianto deve essere effettuato tra la seconda decade di maggio e la prima di giugno. Trattandosi di una specie a maturazione scalare, la raccolta deve essere eseguita manualmente, a maturazione completata, quando le bacche raggiungono la caratteristica colorazione rosso porpora; in genere inizia dalla prima decade di agosto. Per ottenere il prodotto secco, i peperoni raccolti subiscono un processo di trasformazione esclusivo che consiste nell’essiccazione naturale all’aria. I peperoni sono disposti su teli di stoffa o su reti, lontano dalla luce, all’interno di locali asciutti e ben areati, per almeno 2-3 giorni. In seguito i peduncoli devono essere infilati in serie, con spago, facendo in modo che le bacche si dispongano a spirale angolata, l’una rispetto alla successiva. Così facendo si otterranno le caratteristiche “collane” o “serte”. Queste ultime devono rimanere esposte al sole fino a quando il contenuto in acqua non si attesta al 1012%. Successivamente dovranno essere riposte in locali arieggiati. Per essere trasformato in polvere, il prodotto secco subisce un trattamento in forno per eliminare il residuo di umidità ed agevolare così la molitura. ASPETTO E SAPORE Il Peperone di Senise IGP nelle varietà Appuntito e Uncino ha una bacca leggermente deformata con costole poco evidenti e apice a punta; nella varietà Tronco la bacca ha forma di cono, con costole molto evidenti e apice tronco. Il colore è verde o rosso porpora. Il sapore è dolce per tutte le varietà. STORIA Le origini del Peperone di Senise IGP risalgono al XVI-XVII secolo, quando questo ortaggio giunse nell’area di produzione trovandovi un habitat ideale che ne favorì la coltivazione e la selezione. In principio la produzione si è sviluppata in un contesto di attività agricola destinata all’autoconsumo, ma le ca-

ratteristiche uniche di questo prodotto hanno fatto sì che nel tempo diventasse una fonte di reddito per le famiglie che si dedicavano alla sua coltivazione. GASTRONOMIA Il Peperone di Senise IGP fresco si conserva in frigorifero per una decina di giorni, quello essiccato e in polvere si conserva a lungo ed è opportuno collocarlo in luogo fresco e asciutto. Questo prodotto è ingrediente prezioso in molte ricette della cucina lucana come i caratteristici peperoni “cruschi”, essiccati e fritti in olio d’oliva. La polvere di peperoni è invece utilizzata per speziare minestre, pasta asciutta o salumi tradizionali lucani. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Peperone di Senise IGP nelle tipologie: Appuntito, Uncino e Tronco. È commercializzato allo stato fresco, secco e trasformato. Il peperone fresco viene confezionato in cassette di legno della capacità di 12-15 kg; quello secco in collane della lunghezza di 1,5-2 m; quello trasformato in polvere in contenitori di vetro opacizzato con capacità di 500 e 1000 g o in bustine di carta plastificata con capacità di 50-100 g. NOTA DISTINTIVA Il Peperone di Senise IGP si caratterizza in modo unico per la polpa sottile e per il fatto che, anche dopo l’essiccazione, il peduncolo rimane saldamente attaccato alla bacca. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Peperone di Senise IGP ricade nel comune di Senise ed in diversi altri comuni limitrofi delle province di Matera e di Potenza, nella regione Basilicata.


METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto utilizzabili sono quelli tradizionalmente usati nella zona di produzione, con possibilità, per i nuovi impianti, di avere una densità per ettaro fino ad un massimo di 3.000 piante. È prevista almeno una potatura invernale e due interventi di potatura al verde. Per la difesa fitosanitaria si preferiscono, dove è possibile, le tecniche di lotta integrata o biologica. La raccolta inizia generalmente dalla metà di agosto, in modo scalare a seconda della maturazione delle diverse varietà: ad esempio, la prima a giungere a maturazione è la William, poi la Conference, che si raccoglie nella prima metà di settembre; la Kaiser si raccoglie invece nella seconda decade di settembre mentre la Decana e la Abate Fetel maturano a fine settembre. Le operazioni di raccolta sono generalmente eseguite a mano. La produzione unitaria massima è di 45 tonnellate per ettaro per tutte le cultivar ammesse. ASPETTO E SAPORE La Pera dell’Emilia Romagna IGP nella varietà Abate Fetel ha forma calebassiforme, piuttosto allungata ed è di colore verde chiaro-giallastro, con rugginosità agli estremi; la Conference è piriforme, spesso simmetrica, con buccia verde-giallo e rugginosità diffusa; la Decana del Comizio ha forma turbinata, buccia liscia verde chiaro-giallastro spesso colorata di rosa, con rugginosità sparsa; la Kaiser ha forma calebassiforme-piriforme e buccia completamente rugginosa; la William e la Max Red Bartlett sono cidoniformi-brevi o piriformi, con buccia liscia dal colore di fondo giallo, più o meno ricoperto da sovracolore rosato o rosso vivo, a volte striato. Il sapore è per tutte dolce, a volte aromatico. STORIA I primi dati storici sulla coltura del pero risalgono agli inizi del 1300. Il frutto è da sempre ben conosciuto e apprezzato in Emilia-Romagna, tanto da essere raffigurato in un affresco del 1450 circa, la Madonna della pera. Nell’Alto Medioevo l’arboricoltura non appare molto praticata, almeno nell’Italia del nord. È estremamente difficile infatti trovare menzione di frutteti intesi come colture autonome. È relativamente più frequente invece imbattersi in alberi da frutto sparsi tra le vigne, nei campi a cereali, ma sopratutto negli orti. Solo alla fine del Quattrocento gli agronomi cominciavano a dedicare seria attenzione a questo comparto produttivo, così che, già a partire dal Seicento, la

Romagna e l’Emilia presentavano colli disseminati da frutteti. Tuttavia la diffusione della coltura trova la sua massima espansione alla fine del secolo scorso con l’introduzione di nuove tecnologie nel settore agricolo. GASTRONOMIA La Pera dell’Emilia Romagna IGP va posta in un sacchetto di carta e si conserva a temperatura ambiente per 2-3 giorni o, nella parte meno fredda del frigorifero, per circa sette giorni. Oltre al tradizionale consumo fresco, può essere utilizzata come ingrediente di diverse pietanze: dagli antipasti di pesce ai primi piatti, come il risotto al pecorino e pere, a secondi come il filetto di maiale o ancora in abbinamento a formaggi e all’interno di dolci e macedonie.

PERA DELL’EMILIA ROMAGNA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pera dell’Emilia Romagna IGP si riferisce al frutto allo stato fresco delle varietà di pero: Abate Fetel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Bartlett, Cascade, Passa Crassana e William.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pera dell’Emilia Romagna IGP, nelle varietà: Abate Fetel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Bartlett, Cascade, Passa Crassana e William. Viene posto in vendita all’interno di appositi bins e plateaux di cartone alveolato o in confezioni sigillate monofrutto o polifrutto. NOTA DISTINTIVA In questa regione le condizioni pedoclimatiche e la grande professionalità dei produttori conferiscono alla coltivazione della Pera dell’Emilia Romagna IGP caratteristiche di elevata produttività e qualità dei frutti.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Pera dell’Emilia Romagna IGP comprende diversi comuni nelle province di Reggio Emilia, Ferrara, Modena, Ravenna e Bologna, nella regione Emilia-Romagna.

Consorzio Tutela Pera IGP Emilia-Romagna Via Bologna, 534 - 44040 Chiesuol del Fosso (FE) Tel: +39 0532 904511 www.csoservizi.com/pere_igp/ info@csoservizi.com

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 91 Produzione (kg) 663.970

Fatturato (mln €) 1,19 Superficie (ha) 491,91 Dati Qualivita - Ismea

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PERA MANTOVANA IGP Consorzio Pera Tipica Mantovana Via Mazzini, 16 46100 Mantova (MN) Tel: +39 0376 329747 Fax: +39 0376 328041 coop.corm@tin.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 14 Produzione (kg) 5.701

Fatturato (mln €) 0,004 Superficie (ha) 57,42 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pera Mantovana IGP si riferisce al frutto allo stato fresco ottenuto dalle varietà di pero: William, Max Red Bartlett, Conference, Decana del Comizio, Abate Fetel e Kaiser. METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto utilizzabili sono quelli tradizionalmente in uso nella zona, con possibilità per i nuovi impianti di conseguire una densità per ettaro fino ad un massimo di 5.000 piante. Le pratiche colturali debbono comprendere almeno una potatura invernale e due interventi di potatura al verde. Per la difesa fitosanitaria devono essere utilizzate, quando possibile, tecniche di lotta integrata o biologica. La raccolta viene effettuata generalmente a mano, nel periodo compreso tra agosto e maggio a seconda della varietà: William dal primo agosto al 30 novembre; Max Red Bartlett dal 20 agosto al 30 novembre; Conference dal 15 ottobre al 31 maggio; Decana del Comizio dal 30 settembre al 30 marzo; Abate Fetel dal 10 settembre al 15 marzo e Kaiser dal 15 settembre al 15 marzo. La produzione unitaria massima è di 45 tonnellate per ettaro per tutte le cultivar. La conservazione dei frutti fa ricorso alla tecnica di refrigerazione, con valori di umidità e di temperature all’interno delle celle frigorifere tali da non comprometterne le caratteristiche qualitative. ASPETTO E SAPORE La Pera Mantovana IGP può presentare forme diverse a seconda della varietà: l’Abate Fetel e la Conference hanno epicarpo verde chiaro-giallastro e sapore dolce; la Decana del Comizio ha epicarpo liscio, verde chiaro giallastro e rosa, sapore dolce-aromatico; la Kaiser ha epicarpo rugginoso e polpa succosa; la Max Red Bartlett e la William hanno buccia a fondo giallo più o meno ricoperto da sovracolore rosato o rosso vivo, a volte striato, e una polpa dal sapore dolce-aromatico. STORIA La Pera Mantovana IGP ha origini antiche, che risalgono almeno al XV secolo. Il suo primato come coltura più importante della zona di produzione era noto già nel 1475, come testimoniano i riferimenti storici sulla presenza di diverse varietà di pero nel frutteto di una grande tenuta di San Giacomo delle Segnate. Per arrivare alla produzione su scala commerciale occorre però attendere la metà del XX secolo, poiché fino al secondo dopoguerra era destinata quasi esclusivamente al consumo locale. In tempi più recenti, quindi, la coltivazione del pero ha trovato un notevole sviluppo, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche nel settore della conservazione e dei trasporti.

GASTRONOMIA La Pera Mantovana IGP raggiunge la piena maturazione nel momento in cui, esercitando una piccola pressione alla base del picciolo, la polpa risulta cedevole. Se si acquista il frutto quando non è ancora pronto al consumo, è opportuno riporlo in un sacchetto di carta per 2-3 giorni, perché raggiunga la perfetta maturazione. Per conservarlo qualche giorno in più, è consigliabile riporlo nella parte meno fredda del frigorifero. È adatta sia al consumo fresco che come ingrediente per la preparazione di sciroppi e dolci. Tipica della cucina virgiliana è la mostarda, di cui la pera è protagonista principe, base essenziale per preparare i tortelli di zucca tipici del mantovano. Ottimo è anche l’abbinamento con il miele e i formaggi stagionati. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pera Mantovana IGP, nelle varietà: William, Max Red Bartlett, Conference, Decana del Comizio, Abate Fetel e Kaiser. È commercializzato da agosto a maggio a seconda della stagionalità di ogni varietà, confezionato in contenitori idonei a consentirne una chiara identificazione. NOTA DISTINTIVA La Pera Mantovana IGP ha numerose proprietà benefiche per l’organismo. È diuretica, depurativa e contiene poche calorie. Inoltre, poiché la percentuale di zuccheri contenuti è costituita prevalentemente da fruttosio, il suo consumo è consentito anche ai diabetici.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Pera Mantovana IGP ricade in numerosi comuni della provincia di Mantova, nella regione Lombardia.


METODO DI PRODUZIONE Il sistema di produzione deve essere praticato attraverso le tradizionali tecniche colturali. La densità degli impianti per ettaro varia da 400 a 1.250 piante, per la coltivazione possono essere adottate tre diverse tecniche di allevamento: il vaso, il vaso ritardato e il fusetto. La concimazione può essere organica e/o minerale e può essere praticata con la tecnica della fertirrigazione e della concimazione fogliare, sia in inverno che quando si svolge la fase vegetativa. Il momento della raccolta deve essere quello adatto a far conservare ai frutti le loro caratteristiche qualitative tipiche fino al consumo allo stato fresco, per questo motivo le pesche, per ciascuna delle diverse varietà, devono essere raccolte manualmente con più passaggi in campo. Una volta raccolti, i frutti possono essere sottoposti alla tecnica della frigoconservazione, ma solo per un periodo limitato che non può superare i 20 giorni. ASPETTO E SAPORE La Pescabivona IGP si distingue per la limitata estensione del sovracolore rosso dell’epidermide del frutto che deve essere sempre inferiore al 50% e che nell’ecotipo Settembrina si riduce ad una sola striscia di colore rosso lunga la linea di sutura. La polpa è bianca e caratterizzata da una notevole consistenza, il sapore è vellutato e dolce. STORIA Divenute ormai la vera icona del Comune siciliano di Bivona, le coltivazioni di pesche hanno conosciuto un notevole sviluppo da quando i primi pescheti furono impiantati negli anni Cinquanta nella zona “S. Matteo”, passando in breve tempo da pochi ettari agli oltre 1.100 di oggi. La prima varietà ad essere selezionata fra le diverse linee di piante locali fu la Agostina, che si impose per le pregiate qualità e per il periodo di maturazione particolarmente favorevole. La vocazione del territorio per la peschicoltura portò successivamente a selezionare le altre cultivar, la Murtiddara, la Bianca e la Settembrina, la prime due a maturazione intermedia e l’ultima a maturazione tardiva.

GASTRONOMIA È consigliabile conservare i frutti di Pescabivona IGP a temperatura ambiente e consumarli quando raggiungono la consistenza ideale per gustarli nel pieno della succosità e dolcezza. Oltre che ad essere adatta al consumo come frutta da tavola fresca, la Pescabivona IGP può essere servita in macedonia, condita col limone, il vino, o accompagnata al gelato. Si presta particolarmente a essere utilizzata per la produzione di marmellate gustose grazie all’intensità del suo sapore e al buon rapporto zucchero acidità.

PESCABIVONA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pescabivona IGP indica i frutti di pesco del tipo Prunus persica L. Batsch, a polpa bianca non fondente, caratterizzati dalla forma sferoidale e dal colore di fondo della buccia bianco-giallo-verde con sovracolore di tonalità rosso. È prodotta in quattro diversi ecotipi, Murtiddara o Primizia Bianca, Bianca, Agostina e Settembrina che si distinguo, oltre per le caratteristiche varietale, per il periodo di maturazione.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è commercializzato come Pescabivona IGP nelle tipologie Murtiddara o Primizia Bianca (maturazione dal 15 giugno al 15 luglio), Bianca (dal 16 luglio al 15 agosto), Agostina (dal 16 agosto al 15 settembre) e Settembrina (dal 16 settembre al 20 ottobre), che devono essere specificate sulle cassette e possono essere riportate in etichetta. NOTA DISTINTIVA La Pescabivona IGP mantiene inalterate le qualità della pesca estiva anche nei frutti tardivi raccolti all’inizio della stagione autunnale, conservando l’elevata dolcezza e il sapore vellutato che si accompagnano a una notevole consistenza della polpa bianca. ZONA DI PRODUZIONE: La zona di produzione della Pescabivona IGP ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Magazzolo a sud-ovest dei Monti Sicani e interessa in particolare il territorio dei comuni di Bivona, Alessandria della Rocca, S. Stefano Quisquina e S. Biagio Platani in provincia di Agrigento, e di Palazzo Adriano in provincia di Palermo, nella regione Sicilia.

IZS Sicilia Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Via G.Marinuzzi, 3 90129 Palermo Tel: +39 091 6565111 www.izssicilia.it

Operatori Prod. Registrato 2014 Produzione (kg) Prod. Registrato 2014

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2014 Superficie (ha) Prod. Registrato 2014 Dati Qualivita - Ismea

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PESCA DI LEONFORTE IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pesca di Leonforte IGP designa il frutto allo stato fresco prodotto dalla coltivazione di due ecotipi locali di pesco: Bianco di Leonforte e Giallone di Leonforte. METODO DI PRODUZIONE La coltivazione può essere condotta con metodo convenzionale, integrato o biologico. Le forme di allevamento ammesse sono quelle “a vaso semplice”, “vasetto ritardato”, “tatura trellis”, “Y trasversale” e “fusetto”, che garantiscono la corretta esposizione ai raggi solari e agevolano le operazioni colturali. È ammessa la potatura sia in inverno che in estate, mentre il diradamento deve essere eseguito entro maggio, prima dell’insaccamento dei frutti. Entro e non oltre il mese di luglio la drupa deve essere protetta mediante l’uso di un sacchetto di carta pergamenata. La tecnica d’irrigazione utilizzata è quella a goccia o per aspersione. A partire dalla prima decade di settembre ha inizio la raccolta dei frutti, che si protrae fino alla prima decade di novembre. Le drupe devono essere raccolte a mano evitando l’operazione nelle ore più calde della giornata e l’esposizione diretta al sole dei frutti raccolti. Cura particolare dovrà essere prestata alla separazione del frutto dal ramo, che deve avvenire senza provocare danni al peduncolo. Dopo la raccolta, il prodotto può essere refrigerato a temperatura compresa tra 0,5 e 4,5°C per un massimo di 20 giorni.

Consorzio per la Tutela della Pesca di Leonforte Piazza Branciforti, 2 94013 Leonforte (EN) www.pescadileonforte.it

ASPETTO E SAPORE La Pesca di Leonforte IGP presenta forma globosa e polpa aderente al nocciolo. L’ecotipo Bianco di Leonforte presenta buccia di colore bianco con striature rosse non sempre evidenti e polpa bianca. L’ecotipo Giallone di Leonforte presenta buccia di colore giallo con striature rosse non sempre evidenti e polpa gialla.

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

STORIA La Pesca di Leonforte IGP gode da tempo di una notevole reputazione, dovuta alle qualità del prodotto quali durezza e maturazione tardiva. Ma fondamentale è stato da sempre il lavoro dell’agricoltore, che col tempo si è specializzato affinando sia le tecniche di coltivazione che le altre fasi specifiche dell’attività, come quella dell’insacchettamento della pesca. La vendita di questo prodotto ha portato ad un miglioramento del tenore di vita degli operatori locali. Da circa venti anni, infatti, la Pesca di Leonforte rappresenta un motore importante per l’economia locale. A questo prodotto è dedicata una Sagra annuale, nata nel 1982 per favorirne la promozione e la valorizzazione.

Operatori 24 Produzione (kg) 258.330

Fatturato (mln €) 0,17 Superficie (ha) 53,51 Dati Qualivita - Ismea

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GASTRONOMIA La Pesca di Leonforte IGP, raggiunto il giusto grado

di maturazione, può essere conservata in frigorifero per qualche giorno. Se non ancora matura, può essere mantenuta a temperatura ambiente, in un sacchetto di carta, per 2-3 giorni circa, fino a completa maturazione. Queste pesche possono essere gustate fresche in ogni momento della giornata oppure sciroppate, ma anche come ingrediente di dolci, gelati e macedonie. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pesca di Leonforte IGP, nelle varietà: Bianco di Leonforte e Giallone di Leonforte. Le categorie commerciali sono Extra e Prima. È commercializzato, da settembre a novembre, in cassette o in scatole di cartone o di legno, o in ceste di vario formato di capacità compresa tra 0,5 e 6 kg. Ogni confezione deve contenere frutti della stessa varietà, categoria, calibro e grado di maturazione. NOTA DISTINTIVA La Pesca di Leonfonte IGP è caratterizzata da una maturazione tardiva, favorita, oltre che dalle caratteristiche specifiche delle varietà, anche da una particolare pratica di coltivazione: l’uso obbligatorio del sacchetto di carta pergamenata, con cui avvolgere la drupa nella fase in cui raggiunge la dimensione di una noce. Ciò consente al prodotto di arrivare sui mercati quando altre varietà di pesche sono generalmente già esaurite.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Pesca di Leonforte IGP comprende i comuni di Leonforte, Enna, Calascibetta, Assoro ed Agira in provincia di Enna, nella regione Sicilia.


METODO DI PRODUZIONE La coltivazione della Pesca di Verona IGP può essere condotta con metodo convenzionale, biologico o integrato. Sono ammesse esclusivamente le forme di allevamento definite “a vaso basso veronese” e a “Y trasversale” che sono tradizionali della zona del veronese e garantiscono la corretta insolazione ed arieggiamento della chioma in tutte le sue parti, condizioni importanti per determinare il colore e il sapore finale dei frutti. Tutte le operazioni colturali devono essere finalizzate ad accentuare i caratteri di tipicità del prodotto, per questo è raccomandata la potatura verde ed è obbligatorio il diradamento manuale dei frutti. Altra tecnica tipica del veronese, obbligatoria per i frutteti, è quella dell’inerbimento controllato, mediante la quale è possibile controllare le piante infestanti e al contempo migliorare l’equilibrio idrico e la fertilità del terreno. La raccolta dei frutti avviene dal 10 giugno al 20 settembre. In considerazione della sensibilità delle pesche alla manipolazione, le operazioni avvengono in almeno tre momenti diversi e deve essere effettuata manualmente. Per la conservazione si utilizza la tecnica della refrigerazione, a temperatura e umidità controllate (tra -0,5 e +0,5°C) per al massimo 20 giorni. ASPETTO E SAPORE La Pesca di Verona IGP ha calibro minimo di 61 mm per le cultivar precoci e 67 mm per le cultivar medie e tardive. Presenta forma rotondo-oblata nelle varietà a Polpa Bianca e Gialla; forma rotondo-oblunga nella varietà Nettarina a Polpa Gialla. Il colore è intenso e brillante; la polpa è consistente e succosa; il sapore è dolce e caratteristico. STORIA “Il pomo della lanuggine” era il modo in cui, in epoca romana, Plinio il Vecchio riferiva della pesca di Verona nelle sue opere, a testimoniare l’origine antica di questo frutto. La pesca è inoltre protagonista di un’opera di Andrea Mantegna raffigurata all’interno della Basilica di San Zeno a Verona, risalente al 1400. La coltivazione irrigua si sviluppa a partire dal 1700 e già alla fine del secolo successivo la produzione e le superfici dedicate a questi frutteti risultavano sorprendentemente rilevanti. Ciò è confermato sicuramente dal motto coniato nel 1934 dal quotidiano L’Arena di Verona, in occasione della mostra locale di pesche, che su

cartelloni e striscioni sui quali erano riportate invitanti immagini del frutto recitava: “mangiate le squisite pesche di Verona”. GASTRONOMIA La Pesca di Verona IGP va conservata a temperatura ambiente, in luogo fresco e asciutto, oppure in frigorifero quando la maturazione è completa. Le sue proprietà rinfrescanti e dissentanti la rendono estremamente gradevole da gustare nelle calde giornate estive. Oltre che consumata fresca, è ideale per la preparazione di dolci, gelati o confetture; può essere conservata con acqua e zucchero per ottenere le cosiddette “pesche sciroppate”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pesca di Verona IGP, nelle varietà: a Polpa Bianca, a Polpa Gialla e Nettarina a Polpa Gialla, nelle categorie Extra e Prima. È commercializzato, da giugno a settembre, in appositi vassoi sigillati con film plastico, in cestini da 1 o 2 kg oppure in plateaux di cartone, legno o plastica di dimensioni variabili. NOTA DISTINTIVA Le caratteristiche pedoclimatiche della zona di produzione, la professionalità e la secolare esperienza dei frutticoltori veronesi sono gli elementi che conferiscono alla Pesca di Verona IGP le sue proprietà uniche e inconfondibili, che si manifestano, tra l’altro, nella colorazione intensa e nel gusto equilibrato di dolce e acidulo. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Pesca di Verona IGP è limitata ad alcuni comuni della provincia di Verona, nella regione Veneto.

PESCA DI VERONA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pesca di Verona IGP si riferisce al frutto allo stato fresco appartenente alla specie Persica vulgaris Miller, nelle varietà a Polpa Bianca e Gialla e Nettarina a Polpa Gialla, nelle cultivar a maturazione precoce, media e tardiva.

Consorzio di Tutela Pesca di Verona Via Cà Nova Zampieri , 15 37057 San Giovanni Lupatoto (VR) Tel: +39 045 8750873 www.pescadiverona.it info@pescadiverona.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori Potenziali 24 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Potenziali 120,4 Dati Qualivita - Ismea

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PESCA E NETTARINA DI ROMAGNA IGP Consorzio Tutela Pesca e Nettarina di Romagna Via Bologna, 534 - 44040 Chiesuol del Fosso (FE) Tel: +39 0532 904511 www.csoservizi.com/cso/portal/peachesigp/

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 68 Produzione (kg) 660.988

Fatturato (mln €) 0,89 Superficie (ha) 252,49 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Pesca e Nettarina di Romagna IGP si riferisce ai frutti freschi ottenuti da diverse varietà della specie Prunus persica L., differenti per colore e polpa. METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto impiegati sono quelli tradizionalmente usati in zona. Le forme di allevamento ammesse, in volume, sono riconducibili al “vaso emiliano” e sue modificazioni; in parete le forme utilizzabili sono la “palmetta”, la “Y”, il “fusetto” e loro modificazioni. Le pratiche colturali comprendono almeno una potatura invernale e due interventi di potatura al verde, a seconda delle esigenze delle piante. La difesa fitosanitaria di prevalente utilizzo deve far ricorso, quando possibile, alle tecniche di lotta integrata o biologica. La raccolta viene effettuata generalmente a mano tra la primavera inoltrata e la fine dell’estate. L’eventuale conservazione dei frutti deve prevedere la tecnica della refrigerazione. I valori di umidità e di temperatura all’interno delle celle frigorifere devono assicurare il mantenimento delle peculiari caratteristiche qualitative. ASPETTO E SAPORE La Nettarina di Romagna IGP si differenzia dalla Pesca perché presenta una buccia completamente glabra e una superficie particolarmente liscia e luminosa. Entrambe possono essere sia a polpa bianca che a polpa gialla. La Pesca e Nettarina di Romagna IGP presenta in generale forma tondeggiante, più o meno appiattita, con diametro minimo di 67 mm; ha buccia di colore rosso con sfumature gialle e arancioni. La polpa è succosa e dolce, il profumo intenso e caratteristico. STORIA Le origini della coltivazione della Pesca e Nettarina di Romagna IGP risalgono al XIX secolo, quando nella provincia di Ravenna vennero predisposti degli impianti per la coltivazione di questo frutto. Da allora i frutteti si sono sempre più diffusi in varie zone delle province di Bologna, Ferrara e Forlì facendo sì che, nel corso degli anni, il prodotto fosse sempre più conosciuto, apprezzato e commercializzato anche all’estero. La vocazione della regione Emilia-Romagna per questo tipo di produzione è confermata dal ruolo che essa ha avuto nella nascita della frutticoltura italiana specializzata e dall’aver primeggiato dal dopoguerra ad oggi per quantità prodotte rispetto ad altre regioni. GASTRONOMIA La Pesca e Nettarina di Romagna IGP si consuma generalmente quando i frutti hanno raggiunto la pie-

na maturazione e presentano un profumo intenso e caratteristico. La Nettarina viene consumata anche in una fase meno avanzata di maturazione, quando la consistenza è ancora compatta e risulta croccante al morso. Sia le pesche che le nettarine possono essere acquistate anche qualche giorno prima della piena maturazione, in modo da poterle conservare più a lungo. Una idonea conservazione domestica prevede di riporre i frutti chiusi in un sacchetto di carta, a temperatura ambiente, per due o tre giorni. In questo modo saranno pronti per essere consumati dolci e maturi al punto giusto. Solo quando il frutto è maturo può essere riposto in frigorifero per qualche giorno ancora. Oltre che gustate fresche, possono anche essere utilizzate come ingrediente per arricchire dolci, gelati e macedonie. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio, da giugno a settembre, nella tipologia Pesca e Nettarina di Romagna IGP. Sia la Pesca che la Nettarina sono commercializzate in varietà a polpa bianca e a polpa gialla. Vengono confezionate in vassoi, cestini e plateaux in cartone o in legno. NOTA DISTINTIVA La Pesca e la Nettarina di Romagna IGP hanno un bassissimo contenuto di calorie e sono pertanto indicate nelle diete ipocaloriche. Inoltre, per l’elevata presenza di acqua nella polpa, risultano particolarmente rinfrescanti e dissetanti. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Pesca e Nettarina di Romagna IGP si estende a numerosi comuni della provincia di Bologna, Forlì-Cesena, Ferrara e Ravenna, nella regione Emilia-Romagna.


METODO DI PRODUZIONE Il prodotto è coltivato principalmente su terreni lavici. Su tale substrato prospera il terebinto, nome comune della pianta Pistacia terebinthus che costituisce il più importante porta-innesto per la propagazione del Pistacchio Verde di Bronte DOP. I pistacchieti possono essere specializzati o consociati ad altre tipologie di piante; le forme di allevamento ammesse sono la “ceppaia”, il “vaso libero” oppure il “monocaule”. La raccolta è realizzata a mano, generalmente nel periodo compreso tra il 20 agosto e il 10 ottobre. Entro 24 ore dalla raccolta, si effettua la “smallatura”, deve cioè essere eliminato l’involucro coriaceo che ricopre il frutto. Successivamente, i frutti in guscio vengono essiccati al sole o in ambienti dove la temperatura è mantenuta intorno ai 40-50°C, fino ad ottenere semi con umidità residua compresa tra il 4 e il 6%. Parte del prodotto viene inoltre sgusciato e pelato, rimuovendo la pellicola viola-rossastro mediante immersione in acqua bollente, a cui segue l’asciugatura. L’eventuale sgusciatura o pelatura dei pistacchi può essere effettuata meccanicamente. La fase di stoccaggio può durare fino a 24 mesi dopo la raccolta e deve avvenire riponendo i frutti essiccati in sacchi di juta, carta o polietilene. ASPETTO E SAPORE Il Pistacchio Verde di Bronte DOP ha forma allungata e poco compressa, delle dimensioni di un’oliva. All’interno del guscio il seme, di colore verde smeraldo, è ricoperto da una pellicola rosso rubino. Il sapore è fortemente aromatico. STORIA La pianta di pistacchio fu introdotta in Sicilia dagli Arabi durante il periodo della loro dominazione, nei secoli VIII e IX. La longevità e la capacità di resistere a condizioni ambientali avverse ha permesso al pistacchio di insediarsi stabilmente nei terreni vulcanici scarsamente coltivabili – le cosiddette sciare – che caratterizzano l’area di Bronte e dintorni. Nel tempo è diventata la coltivazione arborea più importante sia in termini di superficie investita che di reddito prodotto. Intorno al pistacchio la popolazione locale ha sviluppato le proprie tradizioni e la propria ricchezza grazie al duro lavoro degli agricoltori che, di generazione in generazione, hanno tramandato la cura dei lochi (nome locale dei pistacchieti), contribuendo a

far acquisire alla città di Bronte la fama di “città del pistacchio”. GASTRONOMIA Il Pistacchio Verde di Bronte DOP si conserva in luogo fresco e asciutto. Può essere consumato senza bisogno di ulteriori cotture o lavorazioni, come spuntino o aperitivo, ma grazie al suo peculiare aroma e alla sua qualità è da sempre elemento principe della pasticceria siciliana e della cucina in generale. È utilizzato tradizionalmente dai pasticceri della città di Bronte come ingrediente per gelati, paste, creme e liquori, o la gustosa “torta al pistacchio” con pan di spagna farcito al cioccolato. È anche protagonista di primi e secondi piatti.

PISTACCHIO VERDE DI BRONTE DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Pistacchio Verde di Bronte DOP designa il frutto allo stato secco in guscio, sgusciato o pelato di piante della specie Pistacia vera, cultivar Napoletana (chiamata anche Bianca o Nostrale).

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Pistacchio Verde di Bronte DOP. È commercializzato in guscio, sgusciato o pelato, in granella, in bastoncini, semilavorato a farina o pasta di pistacchio. Viene confezionato in imballi nuovi di idoneo materiale. NOTA DISTINTIVA Il Pistacchio Verde di Bronte DOP non viene sottoposto né a tostatura né a salatura. Oltre che al colore verde uniforme e alla spiccata aromaticità, deve la sua peculiarità alle numerose proprietà nutrizionali: contiene vitamina A ed è ricco di ferro, fosforo e sostanze fenoliche, elementi che favoriscono il potenziamento delle difese e il benessere dell’organismo. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Pistacchio Verde di Bronte DOP interessa i territori comunali di Bronte, Adrano e Biancavilla in provincia di Catania, nella regione Sicilia.

Consorzio di Tutela del Pistacchio Verde di Bronte P.zza N. Azzia 14 - 95034 Bronte (CT) Tel: +39 329 0534641 www.consorziopistacchioverde.it info@consorziopistacchioverde.it

IZS Sicilia Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Via G.Marinuzzi, 3 90129 Palermo Tel: +39 091 6565111 www.izssicilia.it

Operatori 389 Produzione (kg) 442.000

Fatturato (mln €) 12,38 Superficie (ha) 1126,53 Dati Qualivita - Ismea

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POMODORINO DEL PIENNOLO DEL VESUVIO DOP Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP Piazza Della Meridiana 47, 80040 San Sebastiano al Vesuvio (NA) Tel: +39 081 060607 piennolodop@gmail.com

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 41 Produzione (kg) 29.968

Fatturato (mln €) 0,09 Superficie (ha) 21,42 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP designa il frutto, allo stato fresco o conservato “al piennolo”, degli ecotipi locali delle specie Lycopersicon esculentum Miller. METODO DI PRODUZIONE I pomodorini vengono coltivati esclusivamente in campo aperto. Le piante devono svilupparsi in verticale fino ad un’altezza di 80 cm, adeguatamente sostenute da paletti che impediscono ai frutti di toccare il terreno. La raccolta avviene nel periodo compreso tra la fine di giugno e la seconda settimana di agosto. I grappoli (schiocche) vengono intrecciati a mano su un filo di fibra vegetale legato a cerchio, così da comporre un unico grande grappolo, il cosiddetto piennolo. Il piennolo viene appeso su ganci o supporti idonei, in luoghi asciutti e ben ventilati. Questa modalità di conservazione consente di mantenere le qualità organolettiche del prodotto fino a 7-8 mesi dalla raccolta. ASPETTO E SAPORE Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP si presenta come frutto a bacca rossa a maturazione, con dei solchi laterali (coste) che, unitamente al cosiddetto “pizzo” alla estremità, gli conferiscono la caratteristica forma. Ha una buccia abbastanza spessa e una polpa molto soda e compatta, con un basso tenore di acqua, che lo rendono quasi croccante al morso. Consumato fresco, ha un sapore vivace e intenso. La successiva conservazione “al piennolo” conferisce al Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP un retrogusto leggermente amaro e un colore rosso scuro in superficie e rosso intenso all’interno. STORIA Si trova menzione dei pomodorini coltivati alle pendici del Vesuvio in diversi studi pubblicati fra la metà del XIX e l’inizio del XX secolo. Fra questi ricordiamo il testo Degli ortaggi e loro coltivazione presso la città di Napoli di Bruni, edito nel 1858, in cui l’autore cita i pomodorini a ciliegia legati in serte, facendo riferimento alla loro caratteristica di sapore e di conservabilità, ottenuta proprio grazie al particolare metodo di conservazione utilizzato. Nel Annuario della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici del 1885 sono indicate le tecniche necessarie per la coltivazione e la conservazione dei pomodorini. Ulteriori testimonianze sono rintracciabili in altri studi di agraria della rinomata Scuola Superiore di Agricoltura di Portici, diventata poi Facoltà di Agraria. GASTRONOMIA Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP può

mantenersi inalterato fino alla primavera successiva alla raccolta, a condizione che il piennolo venga conservato appeso in un luogo fresco, asciutto e ventilato. Ingrediente principe di numerosi piatti, come i classici spaghetti o la pizza (ai quali conferisce personalità), è insostituibile nei piatti a base di pesce, crostacei e frutti di mare. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP nelle tipologie: Fresco, Conservato “al piennolo” e Conservato allo stato di bacche o di grappoli. Il tipo Fresco è venduto in bacche o grappoli posti in idonei contenitori sigillati del peso massimo di 10 kg; il tipo Conservato “al piennolo” viene commercializzato in piennoli singoli del peso massimo di 5 kg posti in vendita o singolarmente, sempre con il logo identificativo della DOP, o in idonei contenitori sigillati; il tipo Conservato allo stato di bacche o di grappoli viene venduto in idonei contenitori sigillati del peso massimo di 10 kg. NOTA DISTINTIVA Il suolo di origine vulcanica, particolarmente fertile, e il clima caratterizzato da elevate escursioni termiche tra il giorno e la notte favoriscono la lunga e naturale conservazione del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP, conferendo maggiore consistenza alla buccia ed elevata sapidità alle bacche. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP comprende i territori di 18 comuni della provincia di Napoli, la maggior parte dei quali situati all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, nella regione Campania.


METODO DI PRODUZIONE La coltivazione del pomodoro avviene in ambiente protetto, in serre e/o tunnel coperti. Durante il periodo estivo è possibile utilizzare anche reti anti-insetto. Il trapianto viene eseguito nel periodo agosto-febbraio, con l’eccezione della tipologia Cherry per la quale può essere effettuato tutto l’anno. La forma di allevamento è in verticale; si eseguono la potatura verde e, secondo necessità, anche la cimatura. L’irrigazione viene effettuata utilizzando acque di falda provenienti da pozzi situati nel territorio di produzione. La raccolta è manuale, di solito ogni 3-4 giorni. ASPETTO E SAPORE Il Pomodoro di Pachino IGP Tondo Liscio a grappolo è costituito da bacche rotonde di colore rosso acceso mentre in quello a frutto singolo le bacche sono di colore verde tendente al verde scuro; il gusto è molto marcato. La varietà Costoluto ha frutti di grandi dimensioni, di colore verde scuro intenso e brillante, che vira al rosso nel corso della maturazione. La polpa è soda ed è caratterizzata da un elevato contenuto zuccherino. La varietà Ciliegino si caratterizza per il suo aspetto a ciliegia su un grappolo a spina di pesce, con frutti tondi, piccoli dal colore molto acceso. STORIA Le prime coltivazioni del Pomodoro di Pachino IGP risalgono al 1925 ed erano localizzate lungo la fascia costiera, in aziende che potevano disporre di acqua per l’irrigazione proveniente da pozzi freatici. A partire dagli anni Cinquanta si assistette ad un’ampia diffusione del pomodoro che proseguì fino ai giorni nostri, dovuta in particolare all’avvento delle prime serre, in forma di capanne artigianali, e alla profonda crisi che investì la viticoltura di queste zone negli anni Settanta. Questo portò alla nascita delle prime forme associative che iniziarono la commercializzazione del prodotto sia sui mercati nazionali che esteri. GASTRONOMIA Una delle peculiarità del Pomodoro di Pachino IGP è il suo periodo di conservazione che supera quello delle altre varietà di pomodori. Per assaporare al meglio il suo caratteristico sapore dolciastro è ideale consumarlo crudo. Può essere comunque utilizzato anche in cottura per condire, esaltare e decorare i piatti della cucina mediterranea. Fresco è ottimo ingrediente nelle insalate

miste, nelle paste fredde e per insaporire minestroni e primi piatti. È perfetto sulla pizza. Antiche tradizioni siciliane prevedono l’essiccazione del pomodoro e la sua conservazione in olio extravergine di oliva. In questo modo viene utilizzato negli antipasti e sulle tartine, nei patè, in abbinamento a carni lesse e per la preparazione di panini e tramezzini. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Pomodoro di Pachino IGP nelle tipologie: Tondo Liscio (a grappolo o a frutto singolo), Costoluto, Cherry o Ciliegino. Il Ciliegino è disponibile tutto l’anno, il Costoluto nel periodo dicembre-maggio, mentre il Tondo liscio è assente solo nei mesi estivi. Il Tondo Liscio è confezionato in vaschette di polietilene da 300 e 500 g, meno usate le vaschette da 1 kg. Il Costoluto è confezionato in cassette di cartone o legno che non superano i 10 kg di peso netto; può essere bollinato e venduto sfuso e in alcuni casi si trova anche in vaschette da 300 e 500 g. Per il tipo Cherry, i frutti possono essere snocciolati e confezionati in vaschette di peso pari a 250 e 500 g o 1 kg. NOTA DISTINTIVA Le condizioni pedoclimatiche della zona di produzione, caratterizzata da temperature elevate, estesa radiazione globale, tessitura dei terreni e qualità dell’acqua di irrigazione, conferiscono al Pomodoro di Pachino IGP le sue caratteristiche organolettiche distintive, fra cui il sapore dolce, la consistenza e croccantezza della polpa, la lucentezza del frutto, nonché la serbevolezza. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Pomodoro di Pachino IGP ricade nei comuni di Pachino, Portopalo di Capo Passero, Noto e Ispica, nelle province di Siracusa e Ragusa, nella regione Sicilia.

POMODORO DI PACHINO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Pomodoro di Pachino IGP è un ortaggio della specie Lycopersicum esclulentum Mill, che si distingue in tre varietà: Tondo Liscio (a grappolo o a frutto singolo), Costoluto e Cherry o Ciliegino.

Consorzio di Tutela della IGP Pomodoro di Pachino Via Nuova Marzamemi 96018 Pachino (SR) Tel: +39 0931 595106 www.igppachino.it

IZS Sicilia Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Via G.Marinuzzi, 3 90129 Palermo Tel: +39 091 6565111 www.izssicilia.it

Operatori 141 Produzione (kg) 5.907.520

Fatturato (mln €) 4,91 Superficie (ha) 279,94 Dati Qualivita - Ismea

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POMODORO S. MARZANO DELL’AGRO SARNESE-NOCERINO DOP Consorzio Tutela Pomodoro San Marzano Via Piave, 120 84083 Castel San Giorgio (SA) Tel: +39 081 5161819 www.consorziopomodorosanmarzanodop.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori 218 Produzione (kg) 3.793.933

Fatturato (mln €) 6,36 Superficie (ha) 145,63 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP si riferisce a un ortaggio a frutto pelato e conservato, intero o a filetti, ottenuto da piante della specie Lycopersicon esculentum Miller, negli ecotipi S. Marzano 2 e Kiros (ex Selezione Cirio 3). METODO DI PRODUZIONE La coltivazione del pomodoro prevede che il trapianto avvenga nei primi 15 giorni di aprile e fino alla prima decade di maggio. La forma di allevamento è “in verticale”, con tutori idonei e fili orizzontali. È ammessa la potatura verde e la cimatura mentre è vietata ogni pratica che tenda ad alterare il ciclo biologico dell’ortaggio e ne influenzi la naturale maturazione. La raccolta viene effettuata a mano in più riprese nel periodo compreso tra la fine di luglio e la fine di settembre. La trasformazione prevede le fasi di pulitura, pelatura, separazione dalla pelle e filettatura (solo se si tratta dei pelati a filetti). Il prodotto trasformato viene confezionato all’interno di barattoli con il suo liquido di governo; i barattoli devono essere poi opportunamente sigillati (mediante la tecnica dell’aggraffatura), sterilizzati e infine raffreddati per lo stoccaggio. ASPETTO E SAPORE Il Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP presenta forma allungata, cilindrica tendente al piramidale o parallelepipeda, con tipico colore rosso e polpa quasi priva di semi. Lo contraddistingue un sapore tipicamente agrodolce e caratteristico, con consistenza che rimane intatta durante la lavorazione. STORIA Secondo antiche tradizioni, il primo seme di pomodoro giunse in Italia nel 1770 come dono del Regno del Perù al Regno di Napoli e sarebbe stato piantato proprio nella zona che oggi corrisponde al comune di S. Marzano. Da ciò deriverebbe l’origine del Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, che nel tempo, attraverso varie azioni di selezione, ha acquisito le caratteristiche dell’ecotipo attuale. Secondo altre testimonianze invece solo nel 1902 si ha la prova certa della presenza, tra i comuni di Nocera, S. Marzano e Sarno, del famoso ecotipo. Delizia dei buongustai, profumo delle domeniche e delle feste comandate, il pomodoro di S. Marzano assunse grande apprezzamento gastronomico intorno agli inizi del Novecento, con il sorgere delle prime industrie di conservazione. Negli anni Ottanta la coltura ha subito una drastica riduzione, anche a causa dell’onerosa tecnica colturale, ma l’azione di recupero, di conser-

vazione delle linee genetiche pure e di miglioramento avviata dalla regione Campania e consolidata dal Consorzio di tutela, ne ha consentito la salvaguardia e il rilancio su base internazionale. GASTRONOMIA Il Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, una volta aperto il contenitore, si conserva nel suo liquido di governo in frigorifero in un recipiente di vetro, possibilmente chiuso. Conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo per le sue peculiari caratteristiche, questo pomodoro si presta ad impreziosire moltissimi piatti della tradizione locale e nazionale, dai primi ai secondi di carne o pesce. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP nelle tipologie: Intero e a Filetti. È confezionato in contenitori di vetro e in contenitori di banda stagnata di scelta standard DRF (Doppia Riduzione a Freddo). NOTA DISTINTIVA Il Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP si distingue per il suo particolare sapore e la sua consistenza, che lo fanno rimanere intatto fino a fine lavorazione. Queste caratteristiche sono dovute essenzialmente ai terreni caldi del Vesuvio ed alle condizioni ambientali favorite dal clima mite del territorio di produzione. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP ricade in molti comuni appartenenti alle province di Napoli, Salerno e Avellino, nella regione Campania.


METODO DI PRODUZIONE La semina del tipo Precoce viene effettuata dal primo dicembre fino a tutto il mese di aprile in semenzaio e dai primi di marzo direttamente sul campo. Per questa tipologia le operazioni di raccolta si effettuano da aprile a metà luglio e il prodotto ottenuto, dopo toelettatura, non può superare le 18 tonnellate per ettaro. Il radicchio Tardivo, seminato in semenzaio dal 20 giugno al 15 agosto o direttamente in campo in luglio-agosto, viene raccolto da settembre a marzo e non può superare, dopo toelettatura, la quantità di 28 tonnellate per ettaro. La raccolta si effettua recidendo la radice sotto l’inserzione delle foglie basali del grumolo, in genere 2-3 cm appena sotto la superficie del terreno, quando ormai le foglie si sono embricate in modo da formare il cespo, più o meno compatto. Le operazioni di toelettatura avvengono direttamente sul campo oppure nei centri aziendali, purché situati all’interno della zona di produzione, mediante l’utilizzo di acqua. ASPETTO E SAPORE Il Radicchio di Chioggia IGP presenta cespo rosso, tondeggiante e compatto, leggermente schiacciato all’apice. Il Precoce ha grumolo di pezzatura mediopiccola, mentre il Tardivo presenta grumolo di pezzatura medio-grande; entrambi sono corredati da modesta porzione di radice, recisa in maniera netta sotto il livello del colletto. Le foglie hanno colore rosso più o meno intenso con nervature centrali bianche, sono croccanti nel Precoce e mediamente croccanti nel Tardivo. Il sapore è leggermente amarognolo. STORIA La vocazione orticola della zona è provata fin dal 1700 attraverso le mappe della Villa Episcopale e le statistiche di Alessandro Ottolini riguardanti le scuole della Podestà di Chiazza (l’attuale Chioggia) dove si dice: “la Scuola di S. Giovanni di Ortolani con 544 allievi era seconda solo all’altra ancora più rinomata dei pescatori”. Nel quaderno mensile dell’Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle Venezie del marzo 1923 si trova il radicchio inserito nella rotazione agraria assieme ad altri ortaggi. La creazione di un grande mercato ortofrutticolo prossimo alla zona di produzione ha risolto i problemi connessi alla commercializzazione del prodotto, che, già dal 1860, utilizzava per tale scopo la linea ferroviaria Verona-Chioggia.

GASTRONOMIA Il Radicchio di Chioggia IGP si consuma soprattutto crudo, da solo o in insalate miste. Tuttavia, grazie al suo caratteristico sapore gradevolmente amarognolo, si presta ottimamente alla preparazione di diversi piatti come i tipici risotti veneti, le “lasagne pasticciate”, gli involtini con pancetta e i contorni grigliati. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Radicchio di Chioggia IGP nelle tipologie Precoce e Tardivo. Il Precoce è disponibile dal primo aprile al 15 luglio, quello Tardivo da metà settembre ad aprile. Viene commercializzato in contenitori di legno, plastica, polistirolo, cartone o altri materiali idonei all’uso alimentare, per una capienza fino a 5 kg di prodotto, disposto in un solo strato. NOTA DISTINTIVA Il Radicchio di Chioggia IGP ha molte proprietà benefiche per l’organismo, specie dopo la cottura. Studi scientifici attestano l’elevato contenuto naturale di antiossidanti.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Radicchio di Chioggia IGP comprende l’intero territorio dei comuni di Chioggia, in provincia di Venezia, e Rosolina, in provincia di Rovigo, per la tipologia Precoce; i comuni di Chioggia, Cona e Cavarzere, in provincia di Venezia, di Codevigo e Correzzola, in provincia di Padova, e di Rosolina, Ariano Polesine, Taglio di Po, Porto Viro e Loreo in provincia di Rovigo, per la tipologia Tardiva, tutti situati nella regione Veneto.

RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Radicchio di Chioggia IGP è un ortaggio a foglia allo stato fresco appartenente alla famiglia delle Asteracee genere Cichorium specie inthybus, varietà Silvestre, prodotto nelle tipologie Precoce e Tardivo.

Consorzio Tutela del Radicchio di Chioggia IGP c/o Mercato Ortofrutticolo di Brondolo 30015 Chioggia (VE) www.radicchiodichioggiaigp.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 18 Produzione (kg) 130.124

Fatturato (mln €) 0,13 Superficie (ha) 56,4 Dati Qualivita - Ismea

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RADICCHIO DI VERONA IGP Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione del Radicchio di Verona IGP Via Sommacampagna, 63H - 37137 Verona www.radicchiodiverona.it consorzio@radicchiodiverona.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 29 Produzione (kg) 60.635

Fatturato (mln €) 0,08 Superficie (ha) 135,79 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Radicchio di Verona IGP è un ortaggio a foglia allo stato fresco della specie botanica Chicorium inthybus L. che si distingue nei tipi: Precoce e Tardivo. METODO DI PRODUZIONE La coltivazione del Radicchio di Verona IGP avviene in terreni sabbiosi ricchi di sostanza organica, profondi, ben drenati e dotati di buona fertilità. Per il tipo Precoce la semina va effettuata tra il primo e il 20 luglio e la raccolta inizia dal primo ottobre; la produzione per ettaro di prodotto finito non supera le 13 tonnellate. Il tipo Tardivo invece viene seminato dalla seconda metà di luglio a metà agosto e la raccolta avviene da dicembre a febbraio; la produzione per ettaro di prodotto finito non supera le 11 tonnellate. Dopo la raccolta il solo radicchio Tardivo viene sottoposto alla pratica dell’imbianchimento: viene collocato all’aperto e posizionato in cumuli, poi ricoperti con un telo di nylon opaco o con la paglia. Qui il radicchio viene lasciato quasi al buio per 20 giorni, così da far ripartire l’attività vegetativa e l’assorbimento delle sostanze nutritive dalle radici. In questo modo, nelle nuove foglie, la costolatura acquisisce il colore bianco perlato e la tipica croccantezza, riducendo contemporaneamente l’amaro. Questa fase avviene a basse temperature, sotto i 10°C (con temperatura ottimale intorno a 0°C). In seguito, i cespi vengono sottoposti a toelettatura, in cui si eliminano le foglie esterne, si recidono le radici a 3-5 cm per finire con il lavaggio. ASPETTO E SAPORE Il Radicchio di Verona IGP ha foglie sessili, intere, con margine privo di frastagliature e piegate a doccia verso l’alto. Le foglie sono di colore rosso scuro intenso e, addossandosi le une alle altre, danno al cespo la forma di tipico grumolo compatto. La nervatura principale del radicchio (molto sviluppata) è di colore bianco e il gusto è croccante e leggermente amarognolo. STORIA Il Radicchio di Verona IGP vanta un’antica e consolidata tradizione. La coltivazione è presente già alla fine del Settecento nei broli (orti cittadini). I primi radicchi erano coltivati nell’alta pianura veronese negli interfilari delle piante da frutto e della vite, ed erano chiamati “cicoria rossa”. La coltivazione si specializzò maggiormente con l’introduzione della tecnica “dell’imbianchimento”, importata in Italia alla fine del XVIII secolo dal belga Francesco Van Den Borre. Le prime vere coltivazioni di Radicchio di Verona destinate al mercato iniziano però nei primi anni del Novecento.

GASTRONOMIA Dopo l’acquisto, il Radicchio di Verona IGP si conserva in frigorifero, chiuso in un sacchetto di plastica o avvolto in un telo da cucina. In cucina è molto versatile, si può consumare crudo o cotto, nelle insalate o come ingrediente principale di numerose ricette tradizionali della cucina veneta. È ottimo nei risotti ma, preparato in pinzimonio, ai ferri e saltato in padella accompagna egregiamente anche piatti di carne e formaggi, in abbinamento con vini rossi locali. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Radicchio di Verona IGP nelle tipologie: Precoce (da ottobre a metà dicembre) e Tardivo (da metà dicembre a marzo). Viene confezionato in imballaggi sigillati di cartone, legno o materiale sintetico. È disponibile anche in borse retinate da 500 g, 1 e 1,5 kg. Ogni confezione contiene un solo strato di prodotto. NOTA DISTINTIVA Il Radicchio di Verona IGP si distingue per la particolare croccantezza delle foglie, il colore rosso intenso e il sapore leggermente amarognolo, caratteristiche favorite dalle basse temperature invernali. Inoltre, la secolare opera dell’uomo e la continua ricerca e realizzazione di specifiche tecniche colturali hanno contribuito a conferire al prodotto la sua notevole fama.

ZONA DI PRODUZIONE Il Radicchio di Verona IGP viene prodotto in alcuni comuni della provincia di Verona, Vicenza e Padova, nella regione Veneto.


METODO DI PRODUZIONE Il Radicchio Rosso di Treviso IGP può essere prodotto mediante semina o trapianto. La semina in pieno campo, sia per il Precoce che per il Tardivo, viene effettuata dal primo giugno fino al 31 luglio. In caso di trapianto, le operazioni si eseguono entro il 31 agosto. La tipologia Precoce viene raccolta a partire da settembre; segue la fase della legatura dei cespi, pratica che ha luogo in campo e inibisce il normale processo di fotosintesi fino al raggiungimento del giusto grado di maturazione. Il Tardivo viene invece raccolto a partire da novembre, dopo che la pianta ha subìto almeno due brinate che favoriscono la colorazione rossa. Seguono, solo per il Tardivo, le operazioni di imbiancamento e forzatura, indispensabili per esaltare i pregi organolettici, merceologici ed estetici dell’ortaggio. I cespi, opportunamente puliti, vengono raccolti in mazzi o in gabbie retinate/traforate, allineati nel terreno e poi protetti con tunnel che garantiscano comunque un’ottima ventilazione. Dopodichè vengono coperti con teli scuri, in condizioni da formare nuove foglie in assenza di luce. La forzatura utilizza acqua risorgiva alla temperatura di circa 11°C e consiste nel collocare i cespi verticalmente in ampie vasche protette, immergendoli fino in prossimità del colletto per il tempo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione. Durante la toelettatura, si liberano i cespi dai legacci o dalle gabbie, si eliminano le foglie deteriorate, si taglia e si scorteccia il “fittone” e si lava il radicchio in recipienti con acqua corrente. ASPETTO E SAPORE Il Radicchio Rosso di Treviso IGP Precoce è caratterizzato da un cespo voluminoso e ben chiuso. Le foglie sono di colore rosso intenso, con una nervatura principale molto accentuata di colore bianco. Il sapore è leggermente amarognolo e la consistenza mediamente croccante. Il tipo Tardivo mostra invece delle foglie serrate e avvolgenti, che tendono a chiudere il cespo nella parte apicale. Il colore è rosso vinoso intenso, il sapore è gradevolmente amarognolo, mentre la consistenza è croccante. STORIA Il Radicchio Rosso di Treviso IGP vanta origini plurisecolari. Il radicchio apparve infatti in Italia nel XVI secolo, proprio in provincia di Treviso, dove, da cibo

della povera gente divenne un ortaggio pregiato e ricercato, grazie alle particolari tecniche di produzione, utilizzate ancora oggi. Il pieno riconoscimento delle imparagonabili qualità del prodotto venne definitivamente sancito con l’organizzazione della prima mostra del radicchio, realizzata per iniziativa dell’agronomo Giuseppe Benzi nel dicembre del 1900. GASTRONOMIA Il Radicchio Rosso di Treviso IGP può essere conservato in frigorifero, avendo l’accortezza di mantenere le sue foglie asciutte. Estremamente versatile, si può consumare sia crudo che cotto e si presta ad innumerevoli preparazioni gastronomiche. È infatti utilizzato come ingrediente di antipasti, insalate miste, paste, risotti e secondi piatti di carne o pesce. Da solo è molto gustoso saltato in padella o preparato ai ferri.

RADICCHIO ROSSO DI TREVISO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Radicchio Rosso di Treviso IGP è un ortaggio a foglia allo stato fresco appartenente alla varietà Silvestre della specie botanica Cichorium intybus L., distinto in due tipologie: Precoce e Tardivo.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Radicchio Rosso di Treviso IGP nelle tipologie: Precoce e Tardivo. È commercializzato durante la stagione autunno-invernale in contenitori idonei e sigillati di peso variabile da 2 a 7,5 kg. NOTA DISTINTIVA La produzione del Radicchio Rosso di Treviso IGP è caratterizzata dai processi di forzatura-imbiancamento e preparazione dei cespi che avvengono grazie a tecniche manuali e all’abilità dei produttori. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Radicchio Rosso di Treviso IGP interessa numerosi comuni delle province di Treviso, Padova e Venezia, nella regione Veneto.

Consorzio del Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco Via G.B. Guidini, 50 31059 Zero Branco (TV) www.radicchioditreviso.it consorzio@radicchioditreviso.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 106 Produzione (kg) 532.846

Fatturato (mln €) 2,46 Superficie (ha) 226,79 Dati Qualivita - Ismea

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RADICCHIO VARIEGATO DI CASTELFRANCO IGP Consorzio del Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco Via G.B. Guidini, 50 31059 Zero Branco (TV) www.radicchioditreviso.it consorzio@radicchioditreviso.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 27 Produzione (kg) 103.991

Fatturato (mln €) 0,26 Superficie (ha) 71,02 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP è un ortaggio a foglia allo stato fresco ottenuto dalla varietà Silvestre della specie Cichorium intybus. METODO DI PRODUZIONE I terreni della zona di produzione sono idonei all’impianto, profondi, freschi, ben drenati e non eccessivamente ricchi di elementi nutritivi (in specie azoto) e a reazione non alcalina. Le operazioni di semina in pieno campo vengono effettuate dal primo giugno al 15 agosto mentre il trapianto, a scalare, viene effettuato dal 15 giugno al 31 agosto. La raccolta inizia dal primo ottobre. Le produzioni massime per ettaro di superficie coltivata non devono superare (esclusa ogni tolleranza) i 6.000 kg. L’imbianchimento è l’operazione che consente di esaltare i pregi organolettici, merceologici ed estetici del Radicchio Variegato di Castelfranco IGP. Si realizza ricoprendo i cespi con teli scuri, in condizioni di formare nuove foglie in assenza di luce. Prive o quasi di pigmenti clorofilliani, queste si caratterizzano per la costolatura bianca, che forma una variegatura sullo sfondo della lamina fogliare. La fase di forzatura avviene immergendo i cespi verticalmente, in acqua sorgiva a circa 11ºC fino alla prossimità del colletto, per il periodo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione, o in ambienti riscaldati, o anche direttamente in pieno campo, garantendo il giusto grado di umidità. Dopo la forzatura, con la toelettatura, si asportano le foglie deteriorate e eseguono il taglio e lo scortecciamento del fittone in misura proporzionale al cespo. Dopodichè si collocano i radicchi in grandi recipienti con acqua corrente, per essere lavati e poi opportunamente confezionati. ASPETTO E SAPORE Quando maturo, il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP presenta cespi a forma di “rosa”, diametro minimo di 15 cm, peso non inferiore a 100 g. Le foglie sono spesse con bordo frastagliato, di color biancocrema con variegature distribuite in modo equilibrato che vanno dal viola chiaro al rosso-violaceo e al rosso vivo. Il sapore va dal dolce al gradevolmente amarognolo, molto delicato. STORIA L’origine del Radicchio Variegato di Castelfranco IGP è sempre stata avvolta da mistero, non esistendo alcun documento ufficiale che provi il momento in cui è comparso come ortaggio edibile. Secondo alcuni studiosi deriva da un incrocio, realizzato nel XIX secolo, fra il radicchio rosso di Treviso e l’indivia scarola. Dal radicchio variegato di Castelfranco si

sarebbe poi originato, intorno agli anni 1934-1935, il radicchio di Chioggia. Il variegato di Castelfranco iniziò a diffondersi come coltura invernale e povera, consumata dalle famiglie contadine in quanto fonte alimentare abbastanza certa e facile da coltivare durante i mesi freddi. GASTRONOMIA Il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP può essere conservato in frigorifero per alcuni giorni prima di essere consumato, avendo l’accortezza di mantenere le sue foglie asciutte per evitare che perdano le vitamine. Si consuma sia crudo, per preparare insalate miste ed antipasti, che cotto, come ingrediente nella elaborazione di primi piatti e secondi a base di carne. Viene utilizzato anche per realizzare gustosi dessert tipo lo “sformato di radicchio al domino”, con ricotta, crema pasticcera e cioccolato. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Radicchio Variegato di Castelfranco IGP. È disponibile in autunno-inverno, in contenitori idonei di diverse dimensioni e capienza variabile da 2 a 7,5 kg. NOTA DISTINTIVA Il Radicchio Variegato di Castelfranco IGP si distingue per il suo aspetto floreale, elegante, colorato e vaporoso, grazie al quale viene comunemente chiamato “radicchio orchideo” o “il fiore che si mangia”. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Radicchio Variegato di Castelfranco IGP interessa 25 comuni della provincia di Treviso, 19 comuni della provincia di Padova e sette comuni della provincia di Venezia, nella regione Veneto.


METODO DI PRODUZIONE Tutte le operazioni di coltura e trasformazione sono finalizzate a garantire la qualità, la tradizionalità e la tracciabilità del prodotto. Le concimazioni, grazie all’elevato tasso di fertilità naturale dei terreni, sono effettuate solo quando strettamente necessario. L’utilizzo di fitofarmaci autorizzati è limitato grazie a trattamenti preventivi quali la concia del seme prima della semina, un’adeguata gestione delle aree di coltura e la regolazione dell’acqua in risaia. I semi devono provenire da partite selezionate e certificate. La risaia non può insistere sullo stesso terreno per più di otto anni, dopodichè dovrà entrare in rotazione per almeno due anni. La raccolta di questo particolare riso ad elevata resa alla lavorazione avviene nel mese di settembre. Per la fase di essiccazione sono ammessi essiccatoi che non lascino sulle glumelle residui di combustione od odori estranei. Il riso essiccato deve presentare una percentuale di umidità inferiore al 14%. Tutte le fasi di trasformazione devono avvenire in stabilimenti autorizzati e controllati. ASPETTO E SAPORE Il Riso del Delta del Po IGP presenta chicchi grandi, cristallini e compatti, bianchi o integrali. Ha grande capacità di assorbimento, poca perdita di amido e buona resistenza durante la cottura. STORIA La presenza del riso nel territorio del Delta del Po è documentata fin dal 1400. In una lettera del Duca Galeazzo Maria Sforza del 1475, e più tardi nel Diario Ferrarese (1495) di Ludovico Muratori, si trova prova di una rilevante produzione risicola, riconducibile in particolare all’opera degli Estensi che per primi riuscirono a sfruttare terreni acquitrinosi altrimenti inutilizzati. La coltura del riso infatti, attraverso una sistematica opera di bonifica, rappresentò il primo passo verso la valorizzazione agraria di nuovi terreni rendendoli nel tempo fertili per altre coltivazioni. Di contro allo sviluppo economico prodotto dall’espansione delle risaie si assisteva tuttavia al diffondersi di gravi malattie tanto da indurre il Piemonte prima (1583) e la Repubblica Veneta più tardi (1594) a emanare leggi che limitavano le coltivazioni di riso. Nonostante questo, la produzione di riso nei secoli successivi, se pur con andamento altalenante, continuò a crescere così come le superfici adibite a risaie.

GASTRONOMIA Il Riso del Delta del Po IGP va conservato in luogo fresco e asciutto, al riparo da luce e fonti di calore. Per l’aroma e la maggiore resistenza alla cottura è ottimo nella preparazione di svariate ricette, dalle minestre ai tipici risotti e persino ai dolci. Degni di nota: il “riso alla canarola”, una minestra di riso che prima del consumo deve essere saltata in padella finché il riso non diventa croccante e la “torta di riso caramellato”, con frutta candita e rhum. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Riso del Delta del Po IGP, nelle varietà: Carnaroli, Volano, Baldo e Arborio. È confezionato sottovuoto o in atmosfera controllata, in scatole o in sacchetti idonei all’uso alimentare opportunamente sigillati. NOTA DISTINTIVA Le caratteristiche organolettiche del Riso del Delta del Po IGP sono strettamente legate al territorio. I suoli di questa area, infatti, sono contraddistinti da un’elevata salinità che conferisce al prodotto un aroma e una sapidità inconfondibili.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Riso del Delta del Po IGP comprende i territori dei comuni di Ariano nel Polesine, Porto Viro, Taglio di Po, Porto Tolle, Corbola, Papozze, Rosolina e Loreo, in provincia di Rovigo nella regione Veneto, e dei comuni di Comacchio, Goro. Codigoro, Lagosanto, Massa Fiscaglia, Migliaro, Migliarino, Ostellato, Mesola, Jolanda di Savoia e Berra, in provincia di Ferrara, nella regione Emilia-Romagna.

RISO DEL DELTA DEL PO IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Riso del Delta del Po IGP si riferisce al prodotto ottenuto dal cereale appartenente alla specie Oryza sativa L., sottospecie Japonica, gruppo Superfino, nelle varietà: Carnaroli, Volano, Baldo e Arborio.

Consorzio di Tutela del Riso del Delta del Po IGP Via J.F. Kennedy, 134 - 45019 Taglio di Po (RO) Tel: +39 0532 1716402 www.risodeltapoigp.it info@consorziorisodeltapoigp.it

Ente Nazionale Risi Via San Vittore, 40 20123 Milano Tel: +39 02 8855111 Fax: +39 02 861372 www.enterisi.it

Operatori 16 Produzione (kg) 311.420

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 512,8 Dati Qualivita - Ismea

273


RISO DI BARAGGIA BIELLESE E VERCELLESE DOP Consorzio di Tutela Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Via F.lli Bandiera, 16 - 13100 Vercelli (VC) Tel: +39 0161 283811 www.risobaraggia.it info@risobaraaggia.com

Ente Nazionale Risi Via San Vittore, 40 20123 Milano Tel: +39 02 8855111 Fax: +39 02 861372 www.enterisi.it

Operatori 36 Produzione (kg) 193.370

Fatturato (mln €) 0,35 Superficie (ha) 973,4 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP si riferisce al prodotto risiero ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo (risone) delle varietà Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, S. Andrea, Loto e Gladio. METODO DI PRODUZIONE Le operazioni colturali sono finalizzate all’ottenimento di un prodotto sano e a perfetta maturazione. È vietato l’impiego di concimi nitrici e di composti o formulati fertilizzanti che contengono metalli pesanti; i trattamenti fungicidi o insetticidi vengono eseguiti almeno 40 giorni prima della raccolta. La raccolta viene effettuata generalmente a fine estate. Le operazioni di essiccazione del riso grezzo, che avvengono preferibilmente con essiccatoi a fuoco indiretto, devono essere eseguite con mezzi e modalità operative tali da ridurre al minimo la contaminazione degli involucri del chicco di riso da eventuali residui di combustibile e da odori estranei. Al termine di questa fase, l’umidità residua del riso non deve superare il 14%. Per la preparazione del riso integrale o per la successiva raffinazione dei prodotti, il riso viene sottoposto a due diverse lavorazioni: la scortecciatura o sbramatura e la raffinazione o sbiancatura. La prima consiste nell’eliminare le glumelle del grano di riso, o “lolla”, a cui seguono le operazioni di calibratura del riso. La seconda invece consiste nell’asportare dalla superficie del grano di riso, per abrasione, le bande cellulari del pericarpo. ASPETTO E SAPORE A seconda della varietà, i chicchi del Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP possono essere corti o lunghi e hanno forma semitonda, tonda, semiaffusolata, molto affusolata. L’indice di collosità varia da 1,5 a 8,5 g/cm2. STORIA Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP ha origini antiche che risalgono al XVI e XVII secolo, come dimostra una delibera comunale del 1669 del comune di Salussola. Da allora la coltura di questo riso dalle ottime qualità è continuata acquisendo sempre maggiore importanza. La pianura irrigua e risicola contribuì anche all’unificazione nazionale attraverso il canale intitolato a Camillo Benso Conte di Cavour. Quattro anni di lavoro (1863-1866), 15.000 operai impegnati, per dissetare gran parte delle campagne novaresi e lomelline: rappresenta una delle maggiori infrastrutture di bonifica e irrigazione del neonato Stato italiano. Più recentemente, le speciali caratteristiche del riso prodotto nell’area di Baraggia sono state descritte e messe in luce in numerosi articoli

pubblicati sul mensile Giornale di Risicoltura, edito dall’ex Istituto Sperimentale di Risicoltura di Vercelli dal 1912 al 1952. GASTRONOMIA Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP va conservato in locali freschi e asciutti, al riparo dalla luce del sole. Ha molteplici impieghi in cucina, diversi a seconda della varietà di riso. La varietà Arborio è ottima per risotti e da gratinare. La varietà Baldo è indicata per le cotture al forno e per i timballi. La varietà Balilla è adatta per le preparazioni tradizionali ed è ideale in tutti i tipi di dolci di riso. La varietà Carnaroli è indicata per risotti ed insalate. La varietà S. Andrea è particolarmente indicata per le minestre in brodo, risi al sugo, sformati di riso, “risi e bisi” (risotto con i piselli). La varietà Loto è molto gustosa e consistente, si presta bene per risotti e per contorni, i quali possono essere realizzati anche con la varietà Gladio. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP nelle tipologie: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, S. Andrea, Loto e Gladio. È commercializzato in sacchi o sacchetti di stoffa e materiale plastico da 250 e 500 g, 1, 2 e 5 kg. NOTA DISTINTIVA Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP in fase di cottura mantiene una maggiore consistenza del grano e una minore collosità rispetto ad altri risi. ZONA DI PRODUZIONE Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP viene prodotto in 28 comuni delle province di Biella e Vercelli, nella regione Piemonte.


essere coltivata nel 1937. Nel 1945 venne introdotta nella provincia di Verona. Delle oltre 24 varietà di riso coltivate in Italia, il Nano Vialone costituisce, per anzianità, la seconda coltivazione, preceduta soltanto dalla Balilla.

METODO DI PRODUZIONE La risaia non può insistere sullo stesso appezzamento per più di sei anni consecutivi e non può ritornarvi prima di almeno due anni. La lotta alle erbe infestanti, prima che con gli erbicidi autorizzati, deve avvenire con le buone pratiche di coltivazione, con la regolazione dell’acqua in risaia e con lavorazioni mirate del terreno. Le concimazioni devono essere indirizzate all’ottenimento di granella sana e matura e le produzioni massime per ettaro non devono superare le 7 tonnellate. La semina avviene per via diretta a fine aprile. Dopo la semina, l’acqua è introdotta a fiotti nelle ampie distese dove i semi germineranno in immersione. Da questo momento, inondazioni e asciutte, sapientemente regolate dal risicoltore, si succederanno accompagnando il ciclo vegetativo di 155 giorni della pianta e permettendo alla stessa di ancorarsi maggiormente alla terra. La raccolta si effettua generalmente a inizio autunno, quando il riso ha raggiunto la giusta maturazione: le mietitrebbiatrici entrano nella risaia e con grande rapidità tagliano gli steli, raccolgono le pannocchie e le sgranano. L’essiccazione deve essere effettuata in essiccatoi in grado di abbassare uniformemente l’umidità delle granelle (circa 12,5 %), senza lasciare sulle glumelle residui di combustione od odori estranei. I chicchi, liberati dagli strati esterni, subiscono prima la sbiancatura, risultato di un semplice processo meccanico di sfregamento, e poi un processo di selezione che li porterà ad essere opportunamente confezionati.

GASTRONOMIA Il Riso Nano Vialone Veronese IGP va conservato in locali freschi, asciutti. Per le sue qualità organolettiche, per la resistenza alla cottura e la sua versatilità in cucina è considerato dagli chef internazionali fra i migliori risi al mondo. È particolarmente indicato per la preparazione di risotti mantecati e sgranati, per minestre in brodo, insalate e dolci. Viene preparato con la zucca, con gli asparagi, con le rane. È il protagonista di molte ricette veronesi come il “riso col tastasal ” (pasta di salame) o il “risotto all’isolana”, con carne di vitello e maiale spolverato di formaggio aromatizzato alla cannella. Altra prelibatezza gastronomica è il “risotto col pessin ”, preparato con il pesce di risaia.

ASPETTO E SAPORE Il Riso Nano Vialone Veronese IGP presenta chicchi con dente pronunciato, testa tozza e sezione tondeggiante. I chicchi sono di media grandezza e all’atto dell’immissione al consumo si presentano bianchi, privi di striscia e con una “perla” centrale estesa. STORIA Nel territorio dell’attuale provincia di Verona la coltivazione del riso ha origini antiche: già nel XIII secolo, infatti, vennero predisposte le risaie con grandi opere di disboscamento e bonifica. La varietà Vialone Nano venne realizzata nella stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli attraverso l’incrocio del riso Nano con il riso Vialone e iniziò ad

RISO NANO VIALONE VERONESE IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Riso Nano Vialone Veronese IGP si riferisce al prodotto ottenuto dalla lavorazione dei semi rigorosamente selezionati del cereale della specie Oryza sativa L., sottospecie Japonica, varietà Vialone Nano.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Riso Nano Vialone Veronese IGP. È commercializzato in confezioni idonee da 0,5-1 -2 e 5 kg. NOTA DISTINTIVA Il Riso Nano Vialone Veronese IGP , grazie ai rigorosi parametri di produzione, offre genuinità, fragranza e ottima resa gastronomica.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Riso Nano Vialone Veronese IGP interessa 25 comuni della provincia di Verona, nella regione Veneto.

Consorzio di Tutela della IGP Riso Nano Vialone Veronese Via V. Veneto, 4 37063 Isola della Scala (VR) Tel: +39 045 7300089 www.risovialonenanoveronese.it

Ente Nazionale Risi Via San Vittore, 40 20123 Milano Tel: +39 02 8855111 Fax: +39 02 861372 www.enterisi.it

Operatori 27 Produzione (kg) 154.372

Fatturato (mln €) 0,32 Superficie (ha) 615,61 Dati Qualivita - Ismea

275


SCALOGNO DI ROMAGNA IGP Associazione Turistica Pro-loco Riolo Terme Via XXV Aprile, 2 48025 Riolo Terme (RA) Tel: +39 0546 70009 www.riolotermeproloco.it

Check Fruit S.r.l. Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna (BO) Tel: +39 051 6494836 Fax: +39 051 6494813 www.checkfruit.it info@checkfruit.it

Operatori 4 Produzione (kg) 1.154

Fatturato (mln €) 0,01 Superficie (ha) 1,15 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Lo Scalogno di Romagna IGP si riferisce all’ortaggio da bulbo allo stato fresco o secco della specie Allium Ascalonicum. METODO DI PRODUZIONE Lo scalogno non può essere coltivato in successione a se stesso o ad altre Liliacee (aglio e cipolla). Non è ammesso il “ristoppio”, ovvero la stessa coltura nello stesso appezzamento di terreno; devono infatti trascorrere almeno cinque anni per il ritorno dello Scalogno nello stesso appezzamento. È inoltre vietata la successione a Solanacee, a barbabietole e a cavoli. È ammessa la rotazione con frumento, orzo, radicchio, insalate e carote. Dal momento che lo Scalogno di Romagna IGP non dispone di alcun seme e, dunque, non ha né infiorescenza né impollinazione, per la riproduzione dell’ortaggio è necessario piantare dei “bulbilli” (bulbi più piccoli) che vengono conservati durante la raccolta dell’anno precedente. L’impianto viene effettuato nei mesi di novembre-dicembre, mentre la raccolta è attuata a partire da metà giugno per il prodotto da consumare fresco e si protrae fino alla metà di luglio per il prodotto secco. I bulbi vengono raccolti quando le foglie si presentano appassite, di colore tendente al giallo e con una perdita di turgidità dei tessuti. La produzione massima consentita è di 60 quintali per ogni ettaro. Il prodotto secco viene conservato in capannoni, sotto tettoie o altri locali ben ventilati per alcune settimane. ASPETTO E SAPORE Lo Scalogno di Romagna IGP ha bulbo piriforme, con buccia coriacea; la colorazione è viola a sfumare nel bianco. Il prodotto si presenta avvolto da una pellicola esterna di diverso colore, dal ramato al rossastro. Il sapore è decisamente più forte e più profumato di quello della cipolla, ma più dolce di quello dell’aglio. STORIA Originario del Medio-Oriente, e precisamente della città di Ascalone di Giudea (da cui il collegamento etimologico con il nome scientifico), lo scalogno è citato già negli scritti di Ovidio, che lo menziona trattando la tematica delle proprietà afrodisiache degli alimenti, e nelle opere di Plinio il Vecchio. Nel corso dei secoli, il grado di diffusione dello scalogno divenne tale da essere menzionato in numerose pubblicazioni sulla cultura, le tradizioni e la gastronomia sin dall’epoca medievale. Negli anni, lo scalogno di Romagna è entrato a far parte della cultura gastronomica locale tanto che nell’opera Romagna gastronomica di Corrado Contoli se ne fa riferimento come prodotto di origine (e consumo) esclusivamente locale.

GASTRONOMIA Lo Scalogno di Romagna IGP si conserva bene in locali asciutti, freschi ed opportunamente areati. Estremamente versatile, lo scalogno vanta molteplici impieghi. Viene generalmente utilizzato come ingrediente per la preparazione di soffritti per sughi, ragù, farciture e per insaporire carni bollite, stracotti, brasati e arrosti. Le foglie dello scalogno, raccolte ancora verdi e tagliate finemente, possono essere utilizzate per arricchire insalate miste. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Scalogno di Romagna IGP. Il prodotto fresco è reperibile da giugno a luglio mentre il prodotto secco è disponibile da luglio a dicembre. Lo scalogno fresco è commercializzato in mazzetti da circa 500 g, quello secco in mazzetti dal peso di 500 g circa nel formato a treccia o in confezioni mignon, in rete di plastica, contenenti 100 g di bulbi secchi. Lo Scalogno di Romagna IGP è inoltre disponibile come prodotto trasformato sotto olio o sotto aceto. NOTA DISTINTIVA Lo Scalogno di Romagna IGP si differenzia dalle varietà di scalogno coltivate altrove per le sue peculiari proprietà organolettiche: colorazione, profumo, sapore, aromaticità e finezza gli conferiscono un ruolo gastronomico unico.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dello Scalogno di Romagna IGP comprende diversi comuni delle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna, nella regione Emilia-Romagna.


METODO DI PRODUZIONE Il Sedano Bianco di Sperlonga IGP è prodotto dalla germinazione di semi ottenuti da selezione fenotipica provenienti dal territorio di produzione che vengono impiantati a partire dal mese di luglio. Le piantine vengono poi trapiantate al raggiungimento di 10-15 cm di altezza e irrigate attraverso il sistema a pioggia o a microirrigazione, concimate con riferimento alle successioni di cicli colturali dell’intera annata agraria. Poiché la crescita è lenta e poco competitiva nei confronti delle erbe infestanti, è particolarmente importante controllare i primi 40-50 giorni, in modo da preservare al meglio la salubrità della pianta. La lotta alle malerbe avviene tramite tecniche ecocompatibili, quali “solarizzazione”, “sarchiatura” o “scerbatura”. La difesa dai parassiti deve essere effettuata secondo le tecniche di lotta integrata al fine di ridurre al minimo o di eliminare i residui di antiparassitari sul sedano. Rispetto alle principali cultivar commerciali, il Sedano Bianco di Sperlonga IGP risulta essere meno sensibile alla prefioritura. La raccolta viene effettuata dal mese di febbraio al mese di giugno, le operazioni sono manuali e recidono la pianta al di sotto del colletto. Le piante appena raccolte devono essere adagiate in appositi contenitori, con cura, evitando di danneggiare il prodotto; i contenitori devono essere quindi mantenuti al riparo dalla luce diretta del sole. ASPETTO E SAPORE Il Sedano Bianco di Sperlonga IGP si presenta di colore verde chiaro con costolature bianche o biancastre, poco fibroso. Il sapore è dolce e lievemente aromatico. STORIA Già nel 1000 a.C. il sedano era conosciuto e apprezzato per le sue proprietà terapeutiche: Omero, nell’Odissea, ne menziona il suo impiego come erba medicinale. Nel Medioevo la badessa Ildegarda di Bingen considerava il sedano una panacea contro ogni male. Le prime attestazioni relative all’impiego alimentare della pianta risalgono al XVII secolo, se ne trova infatti citazione in un documento francese del 1623. Assolutamente attuali sono invece le informazioni relative alla varietà Bianco di Sperlonga che è stata introdotta nella zona di Fondi e Sperlonga intorno gli anni Sessanta, come testimonia una ricca documentazione fiscale. La sua coltura si rivelò fin da subito una valida forma di utilizzazione dell’area dei Pantani

compresa tra i laghi di Fondi, S. Puoto e Lungo ed il mar Tirreno. GASTRONOMIA Il Sedano Bianco di Sperlonga IGP si caratterizza per la persistenza delle sue proprietà fisiche ed aromatiche: è opportuno comunque conservarlo in luoghi freschi, evitarne l’esposizione ai raggi solari e fare attenzione a non rompere i gambi e i tessuti. Si presta molto bene al consumo fresco, immerso in pinzimonio o in abbinamento con il pesce azzurro, ma viene impiegato con ottimi risultati anche nella preparazione di sfiziosi antipasti, primi e secondi piatti.

SEDANO BIANCO DI SPERLONGA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Sedano Bianco di Sperlonga IGP si riferisce all’ortaggio allo stato fresco appartenente alla specie Apium graveolens L., varietà Dulce, nell’ecotipo Bianco di Sperlonga.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Sedano Bianco di Sperlonga IGP. È commercializzato da febbraio a giugno, confezionato in recipienti contenenti una fila di 4-5 sedani per un peso massimo di 5 kg, oppure in recipienti contenenti due file di 8-10 sedani per un peso massimo di 10 kg. Inoltre è disponibile anche in confezioni da 1-3 sedani. NOTA DISTINTIVA La specificità del Sedano Bianco di Sperlonga IGP è legata alle caratteristiche pedoclimatiche e alla storica specializzazione degli agricoltori locali, che oltre ad adottare tecniche a basso impatto ambientale, hanno saputo sfruttare i tipici terreni paludosi, permettendo così la conservazione dell’ecotipo Bianco di Sperlonga. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Sedano Bianco di Sperlonga IGP ricade nel territorio dei comuni di Fondi e di Sperlonga, in provincia di Latina, nella regione Lazio.

Associazione Produttori Sedano Bianco di Sperlonga Piazza Europa, 4 - 04029 Sperlonga (LT) Tel: +39-0771-556388 www.sedanobiancoigp.it info@sedanobiancoigp.it

Agroqualità S.P.A. V.le Cesare Pavese, 305 - 00144 Roma Tel: +39 06 54228675 Fax: +39 06 54228692 www.agroqualita.it agroqualita@agroqualita.it

Operatori ND Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) ND Dati Qualivita - Ismea

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SUSINA DI DRO DOP Coop. Ortofrutticola Valli del Sarca Garda Trentino Soc. Coop. Agri. Viale Daino, 84, Fraz. Pietramurata - 38074 Dro (TN) Tel: +39 0464 507184 Fax: +39 0464 507388

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 54 Produzione (kg) 167.612

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) 8,34 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Susina di Dro DOP si riferisce al frutto fresco della cultivar locale Prugna di Dro (o Prugna Nera di Dro), comunemente detta Susina di Dro. METODO DI PRODUZIONE Le forme di allevamento previste sono due, “pieno vento” e “fusetto”; la densità d’impianto non ammette susineti con più di 2.500 piante per ettaro. Le produzioni massime realizzabili nella zona di produzione non possono superare le 78 tonnellate per ettaro. Il controllo del carico produttivo viene eseguito attraverso una opportuna gestione delle operazioni di potatura, effettuate manualmente nel periodo compreso tra il primo ottobre e il 31 marzo. La concimazione minerale, la difesa fitosanitaria e l’irrigazione vengono gestite secondo le tecniche tradizionalmente adottate nella zona di produzione. La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano nei mesi di agosto e settembre, rispettando la scalarità di maturazione tipica dei diversi microclimi vallivi e collinari. I frutti, di aspetto fresco, sano e pulito, privi di sostanze e odori estranei, vengono confezionati all’interno della zona di produzione per evitare deterioramenti e ammuffimenti della massa. ASPETTO E SAPORE La Susina di Dro DOP si presenta di forma ovale, lievemente allungata, con un colore della buccia che può variare da rosso-violaceo a blu-viola scuro, con presenza di patina pruinosa. La polpa è compatta, di colore giallo o verde-giallo. Si distingue per un delicato gusto dolce-acidulo-aromatico e per la gradevole consistenza pastosa. STORIA Le origini della Susina di Dro DOP risalgono già al 1284 come testimoniato nei 42 capitolati delle Carte di Regola del Piano del Sarca . La susinicoltura industriale decolla nel 1911 con la costituzione del Consorzio Cooperativo Lega dei Contadini del Bacino Arcense, che già alla sua nascita contava 650 soci. All’inizio degli anni Sessanta, grazie all’ampliamento dei magazzini e alla realizzazione di un moderno impianto di essiccazione effettuati pochi anni prima, arrivò a produrre 150 tonnellate di prugne secche. L’intera comunità della Valle del Sarca, da sempre sensibile alla valorizzazione della specificità qualitativa della susina coltivata a Dro, si è attivata sul piano culturale in un contesto di sinergia turistico, territoriale, agroalimentare. Significative iniziative sono la Settimana del Prugno Fiorito di Dro, appuntamento che ricorre dall’inizio degli anni Settanta, poi sfociato nella più moderna

manifestazione agostana denominata “Dro: il tempo delle prugne”. GASTRONOMIA La Susina di Dro DOP si conserva per alcuni giorni in luogo fresco e asciutto ma, se mantenuta costantemente a basse temperature (1-2°C) si conserva per periodi più lunghi, anche per 3-4 settimane. Oltre che per il tradizionale consumo fresco, può essere essiccata o utilizzata per preparare succhi, confetture, gelati, sciroppi, bevande fermentate e distillati. Ottimo ingrediente per dolci come la torta rovesciata alle susine, il clafoutis alle susine e il crumble cake alle susine. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Susina di Dro DOP. Viene commercializzato in confezioni di varie pezzature (cestini da 1 kg fino a bauletti da 8 kg) chiuse per mezzo di un retino, un film plastico o un coperchio. NOTA DISTINTIVA La Susina di Dro DOP si distingue per l’elevato contenuto in polifenoli e per una percentuale minima di zuccheri: queste due caratteristiche sono strettamente legate alle peculiarità della zona di produzione, in particolare alle brezze regolari – la più rilevante è la cosiddetta “òra del Garda” – che garantiscono limpidezza del cielo e quindi insolazione costante, oltre ad attenuare le temperature massime. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Susina di Dro DOP comprende numerosi comuni della Provincia Autonoma di Trento situati nella Valle del Sarca, nella regione Trentino-Alto Adige.


METODO DI PRODUZIONE La forma di allevamento utilizzata è a “tendone” , a sesto variabile di metri 2,80x2,80 fino a metri 3,00, con una densità di circa 1.100 piante per ettaro. Prima che i grappoli abbiano raggiunto la loro maturazione deve essere effettuata una serie di “operazioni in verde”: concimazione organo-minerale, eliminazione di germogli, sfogliatura e raddrizzamento dei grappoli. Gli interventi “al verde” servono come integrazione e completamento della potatura invernale, al fine di mantenere un equilibrio tra la fase vegetativa e la fase riproduttiva della pianta. Per poter migliorare qualitativamente la produzione e la conformazione dei grappoli, questi sono sottoposti ad operazioni manuali di diradamento e selezione. Vengono effettuate irrigazioni di soccorso a causa dell’andamento particolarmente siccitoso dell’areale produttivo. I vigneti vengono coperti con materiali specifici per garantire la conservazione dell’uva sulle piante: la stagionalità dell’uva viene così prolungata e la raccolta può essere effettuata in un arco temporale particolarmente lungo, che va dalla seconda decade di agosto alla prima decade di gennaio. È consentita una produzione unitaria massima di 250 quintali di uva per ettaro. ASPETTO E SAPORE L’Uva da Tavola di Canicattì IGP presenta grappoli uniformi nel colore, di dimensioni medio-grandi e di forma conico-piramidale e spargoli. I raspi risultano armoniosamente sviluppati con peduncolo lignificato. Gli acini sono medio-grossi di forma sferoidaleellissoidale, con polpa carnosa e croccante che varia dal giallo tenue al giallo paglierino dorato. Il sapore è dolce e gradevole con delicato aroma moscato. STORIA Sino alla metà dell’Ottocento non si faceva distinzione tra uva da tavola e uva da vinificare. Fu proprio in Italia che tale differenza fu sancita ufficialmente, nel 1887, con la richiesta al governo di una legge ad hoc per valorizzare le uve da vino rispetto a quelle da pasto. Nello specifico, la coltivazione della varietà Italia risale alla prima metà del XX secolo e il nome della cultivar rende omaggio all’unificazione. Fu infatti agli inizi del XX secolo che l’agronomo Alberto Pirovano incrociando le viti Bicane e Moscato d’Amburgo creò questa nuova varietà d’uva la quale

trovò nella zona di Canicattì il microclima ottimale. Qui tuttavia si è affermata solo all’inizio degli anni Settanta, imponendosi in sostituzione delle tradizionali colture di cereali, mandorli e leguminose. GASTRONOMIA L’Uva da Tavola di Canicattì IGP può essere conservata per oltre un mese se collocata a basse temperature. Per sfruttare al meglio le sue proprietà disinfettanti e antivirali, diuretiche e lassative, è consigliabile consumarla fresca al mattino e a digiuno. In cucina il prodotto può essere utilizzato come ingrediente per la preparazione di dolci, marmellate e succhi, ma anche come ingrediente di sfiziose ricette di primi e secondi piatti, ad esempio a base di carne di maiale.

UVA DA TAVOLA DI CANICATTÌ IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Uva da Tavola di Canicattì IGP si riferisce all’uva da mensa allo stato fresco della specie Vitis vinifera L., varietà Italia, nota come Pirovano “65”, ottenuta dall’incrocio di Bicane con Moscato d’Amburgo.

COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Uva da Tavola di Canicattì IGP. È commercializzato dalla seconda decade di agosto alla prima decade di gennaio, in cassetta o confezionato in contenitori di capacità minima pari a 0,5 kg. NOTA DISTINTIVA L’elevata concentrazione di calcio nel suolo conferisce all’Uva da Tavola di Canicattì IGP colore e croccantezza. Inoltre, le caratteristiche climatiche del territorio consentono di mantenere il frutto sulla pianta fino all’inizio di gennaio, garantendo un prodotto sempre fresco sul mercato. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Uva da Tavola di Canicattì IGP interessa alcuni comuni delle province di Agrigento e Caltanissetta, nella regione Sicilia.

Consorzio per la Tutela e la Promozione dell’Uva da Tavola di Canicattì Contrada Carlino Sede Comunale 92024 Canicattì (AG) www.uvaigpdicanicatti.it consigp.canicatti@libero.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 51 Produzione (kg) 210.267

Fatturato (mln €) 0,27 Superficie (ha) 225,24 Dati Qualivita - Ismea

279


UVA DA TAVOLA DI MAZZARRONE IGP Consorzio Tutela Uva da Tavola di Mazzarrone Via Principe Umberto, 194 95040 Mazzarrone (CT) Tel: +39 0933 29160 www.uvaigpmazzarrone.it

Certiquality, Ist. di Cert. della Qualità, Settore Certiagro Via Gaetano Giardino, 4 - 20123 Milano Tel: +39 02 8069171 www.certiquality.it certiquality@certiquality.it

Operatori 28 Produzione (kg) 888.813

Fatturato (mln €) 1,02 Superficie (ha) 239,52 Dati Qualivita - Ismea

280

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP si riferisce al frutto allo stato fresco della specie Vitis vinifera L., appartenente principalmente alle varietà Italia e Victoria (Bianca), Red Globe (Rossa), Black Magic, Black Pearl e Palieri (Nera). METODO DI PRODUZIONE I sesti di impianto e i metodi di potatura devono garantire che la pianta si sviluppi in perfetto equilibrio e con aerazione e soleggiamento adeguati. In caso di reimpianto, il terreno deve essere lasciato a riposo per almeno due anni, a seguito dei quali si dovrà effettuare un’analisi per verificare la presenza di microrganismi dannosi. Se viene rilevata la presenza di Xiphinema index, la durata del riposo dovrà essere di almeno cinque anni, durante i quali sarà opportuno eseguire colture cerealicole. La forma di allevamento tradizionale è il “tendone”. I vigneti possono essere coperti con materiali idonei per favorire la maturazione anticipata o per posticipare la raccolta, che va da giugno a dicembre, a seconda della varietà. La produzione unitaria massima consentita è di 350 quintali di uva per i vigneti allevati a tendone. ASPETTO E SAPORE L’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP presenta buccia esente da difetti e polpa compatta di sapore dolce e gustoso. La pezzatura del grappolo deve essere minimo di 350-400 g a seconda della varietà. L’uva nera presenta grappolo di forma piramidale (Black Magic), cilindrico-piramidale alato (Palieri) o conico alato e semiserrato (Black Pearl) e gli acini hanno buccia di colore nero-blu intenso, vellutato con riflessi perlacei. L’uva rossa si caratterizza per la forma conica o tronco-conica del grappolo e la buccia dell’acino di colore rosso-palissandro, blu-rosso. L’uva bianca, infine, presenta grappolo di forma conico-piramidale con aspetto alato, spargolo (Italia) o compatto (Victoria), gli acini hanno buccia di colore da bianco-crema a giallo dorato, ricoperta di pruina. La polpa è compatta e carnosa, il sapore è dolce e delicato STORIA Le prime tracce di vigneti nell’area di Mazzarrone risalgono alla fine del XIX secolo, documentate da alcuni atti pubblici di compravendita dell’epoca e dalle citazioni riscontrabili nel testo La civiltà della vite in Sicilia, di Bruno Pastena, che testimoniano la grande importanza della viticoltura in queste zone. La prima metà del XX secolo vede il territorio caratterizzato dalla coltura di diverse varietà di uva da tavola, per arrivare agli anni Cinquanta, quando si è verificato un notevole sviluppo della coltivazione. Ciò grazie

anche all’intervento di riforme fondiarie che hanno contribuito all’adozione di innovative forme di allevamento e accorgimenti tecnici, fatti propri dagli agricoltori al fine di ritardare o anticipare la maturazione dell’uva. GASTRONOMIA L’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP può essere conservata per oltre un mese in ambienti che abbiano temperature basse e un adeguato tasso di umidità. Per sfruttare pienamente le proprietà benefiche di questo frutto è opportuno consumarlo fresco. L’Uva da Tavola di Mazzarone IGP si presta bene anche come ingrediente per la preparazione di dolci, marmellate, sorbetti e succhi. È inoltre impiegato in cosmesi, poiché il suo succo ha proprietà emollienti e schiarenti. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Uva da Tavola di Mazzarrone IGP nelle tipologie: Nera, Rossa o Bianca. È commercializzato da giugno a fine dicembre, all’interno di confezioni idonee, tali da impedire l’estrazione del prodotto senza la rottura del sigillo. NOTA DISTINTIVA Le condizioni climatiche della zona di produzione, caratterizzata dalla quasi totale assenza di nebbie e piogge, consentono la conservazione dell’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP sotto teli di plastica sino al mese di dicembre, senza comprometterne l’integrità.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP ricade in vari comuni situati nelle province di Catania e Ragusa, nella regione Sicilia.


METODO DI PRODUZIONE Per la realizzazione di vigneti ad uva da tavola si adotta la forma di allevamento “a pergola a tetto orizzontale”, il cosiddetto “tendone”. La potatura secca deve essere effettuata da dicembre fino alla fine del mese di febbraio dell’anno successivo. Le viti possono essere protette con reti in polietilene e/o film plastico ed è ammessa la coltivazione in serra al fine di proteggere i grappoli da agenti atmosferici quali grandine, vento o pioggia, ma anche per favorire l’anticipo della maturazione o per ritardare la raccolta (a seconda del periodo di copertura). La raccolta ha inizio non appena si valuta che i grappoli hanno raggiunto i requisiti minimi qualitativi per la commercializzazione. Il periodo varia, quindi, anche in base alla varietà: l’uva Victoria (bianca) viene raccolta dalla prima decade di luglio a fine agosto; la Regina (uva bianca) dalla seconda decade di luglio a fine settembre; la varietà Michele Palieri (uva nera) da fine luglio a fine ottobre; la Red Globe (uva rosso scuro) dalla metà di agosto a fine novembre e infine l’uva Italia (bianca) dalla prima settimana di settembre al 15 dicembre. ASPETTO E SAPORE L’Uva di Puglia IGP ha acini di colore diverso a seconda della varietà: giallo paglierino chiaro per l’uva Italia, Regina e Vittoria; la Red Globe è invece di colore rosato-doré e la Michele Palieri si presenta di un nero vellutato intenso. Particolarmente zuccherina, ha un gusto dolce e un profumo spiccato, in special modo la varietà Italia. STORIA La Puglia è territorio di elezione per l’uva da tavola, sia per le condizioni pedoclimatiche che per la grande specializzazione degli agricoltori, capaci di portare avanti la tradizione da oltre due secoli garantendo costantemente l’elevata qualità del prodotto. Non a caso l’uva di Puglia ha conosciuto nel tempo un aumento progressivo nella produzione e soprattutto nell’esportazione. A differenza di altre uve infatti, grazie alla maggiore conservabilità, veniva esportata al di fuori dei confini nazionali già alla fine del 1800. GASTRONOMIA L’Uva di Puglia IGP, come la maggior parte della frutta fresca, è da conservare preferibilmente a basse temperature, in modo da preservarne intatte

le qualità organolettiche per un maggior numero di giorni. Il prodotto risulta particolarmente apprezzato e maggiormente utilizzato per il consumo fresco. Per la dolcezza e il profumo intenso, in cucina, l’Uva di Puglia IGP è molto ricercata e diventa ingrediente di svariate preparazioni culinarie, dai dolci ai primi piatti: crostate, budini, gelati ma anche antipasti, pasta e insalate. Dai suoi chicchi, si possono inoltre ottenere ottimi distillati. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Uva di Puglia IGP, nelle varietà Italia b., Regina b., Victoria b. (bianche), Michele Palieri n. (nera), Red Globe rs. (rossa). Viene commercializzata in buste da 0,5 e 1 kg o cestini da 0,5-0,75-1-1,5 e 2 kg realizzate in PET o propilene e assemblate in imballaggi di plastica, legno o cartone; possono essere utilizzate anche cassette in cartone da 2-2,5 e 3 kg e casette di cartone, legno, compensato e plastica da 5 kg. Ogni confezione deve contenere solo grappoli della stessa varietà. Le categorie commerciali a cui appartiene sono la Extra e la Prima. NOTA DISTINTIVA Oltre alle indiscutibili qualità estetiche — riconducibili all’uniformità del grappolo e al colore intenso e brillante della buccia — l’Uva di Puglia IGP è molto apprezzata anche per la croccantezza della polpa, che ne permette una migliore e più lunga conservazione.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Uva di Puglia IGP interessa tutte le province della regione Puglia per quanto attiene ai terreni posti al di sotto dei 330 m s.l.m.

UVA DI PUGLIA IGP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Uva di Puglia IGP si riferisce all’uva da tavola delle varietà Italia b., Regina b., Victoria b. (bianche), Michele Palieri n. (nera), Red Globe rs. (rossa) coltivata in Puglia ad altitudini al di sotto dei 330 m s.l.m.

Consorzio Uva di Puglia IGP Viale A. Dipierro, 2/4 zona P.I.P. 70016, Noicàttaro (BA) Tel: +39 080 4796032 Fax: +39 080 4796039 giacomo@ermesfruit.com

CCIAA Bari C.so Cavour, 2 70121 Bari Tel: +39 080 2174111 Fax: +39 080 2174228 www.ba.camcom.it

Operatori 25 Produzione (kg) 49.744

Fatturato (mln €) 0,03 Superficie (ha) 138,2 Dati Qualivita - Ismea

281



CLASSE 1.7

Pesci e Molluschi


ACCIUGHE SOTTO SALE DEL MAR LIGURE IGP Cooperativa Pescatori Camogli Via della Repubblica, 140 16032 Camogli (GE) Tel: +39 0185 772600 Fax: +39 011 9724225

CCIAA di Genova, Imperia, Savona e La Spezia coordinate da Unioncamere Liguria Via San Lorenzo 15/1 - 16123 Genova Tel: +30 010 248521 unione.liguria@lig.camcom.it

Operatori Potenziali 9 Produzione (kg) 0

Fatturato (mln €) 0 Superficie (ha) Dati Qualivita - Ismea

284

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP sono un prodotto della pesca, lavorato e conservato sotto sale. Le acciughe utilizzate appartengono esclusivamente alla varietà di pesce azzurro Engraulis encrasicolus L., pesci migratori e gregari. METODO DI PRODUZIONE Le acciughe vengono pescate con il metodo tradizionale della “lampara” o con la rete a “ciànciolo”, nel periodo compreso fra il primo aprile e il 15 ottobre, quando le acciughe raggiungono la maturità. Ad ogni kg di prodotto deve corrispondere un numero di acciughe compreso tra i 35 ed i 50 individui. I pesci appena catturati vengono sistemati in apposite cassette di legno, per essere poi avviati alla lavorazione entro le 12 ore successive. Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP possono essere sottoposte ad una procedura di presalagione per favorire la fuoriuscita del sangue in eccesso. Si passa poi alla fase della pulitura, eseguita rigorosamente a mano, asportando la testa. Il prodotto va quindi sistemato a raggiera in barili di legno di castagno o in vasi di terracotta. Ad ogni strato di acciughe viene alternato uno strato di sale marino alimentare. Sopra l’ultimo strato va collocato un apposito disco su cui viene esercitata una pressione costante. La stagionatura dura 40-60 giorni; dopo i primi 4-5 giorni il liquido ottenuto deve essere sostituito con una salamoia. A stagionatura avvenuta le acciughe vengono trasferite in appositi contenitori cilindrici in vetro chiamati “arbanelle”, disposte in strati separati da un leggero velo di sale marino. L’ultimo strato deve essere completamente coperto dalla salamoia preparata appositamente per il confezionamento e da un dischetto di ardesia, di vetro o in plastica che tiene pressate le acciughe. ASPETTO E SAPORE Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP hanno una pelle molto fine e devono essere intere, di dimensioni comprese tra i 12 e 20 cm di lunghezza. Il colore varia, a seconda della parte del corpo presa in considerazione, dal rosa al bruno intenso. I filetti devono essere ben aderenti alla lisca e avere una consistenza morbida. Le carni devono risultare magre e si distinguono per il sapore asciutto, marcatamente sapido. STORIA Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP sono frutto dell’antica tradizione ittica delle marinerie liguri. La conoscenza delle tecniche di conservazione del pesce, come quella sotto sale, è attestata da fonti archeologiche che risalgono al IV millennio a.C., sebbene documenti storici ufficiali siano di epoca più

recente. Già nel XVI secolo, la Repubblica di Genova controllava tutto il percorso di approvvigionamento del pesce, i prezzi e la commercializzazione, attraverso l’istituzione di regole severe che i pescatori dovevano seguire. GASTRONOMIA Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP si conservano in un luogo fresco, non in frigorifero, e vanno consumate almeno dopo due mesi dalla salatura. Prima di essere impiegate, devono essere liberate con cura dal sale, passate sotto acqua fredda corrente, ripulite dalla lisca e asciugate bene con un canovaccio. Il prodotto può essere utilizzato come base di antipasti, primi e secondi piatti, tra cui, merita di essere citato il tipico antipasto genovese conosciuto come “acciughe alla ligure”. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio tutto l’anno nella tipologia Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP. È commercializzato in appositi contenitori con un peso complessivo netto che va da 200 a 3000 g. NOTA DISTINTIVA Le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP sono il risultato del connubio tra fattori ambientali, climatici e l’antica tecnica di preparazione. La particolare conformazione del territorio, la ridotta escursione termica e la spiccata salinità del mare si sono rivelati ideali per la pesca e la conservazione.

ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione delle Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP interessa tutto il territorio costiero della regione Liguria.


METODO DI PRODUZIONE Le fasi di depurazione, lavorazione e confezionamento della Cozza di Scardovari DOP vengono effettuate con l’acqua dell’omonima Sacca e devono essere svolte nel territorio circostante. La semina e l’accrescimento del seme possono essere effettuate solo in vivai all’interno della Sacca di Scardovari e ogni pescatore predispone le reste in modo da avere una densità di 10 – 15 unità per metro quadro. Il seme viene raccolto raschiando le superfici sommerse, pescando su banchi naturali o catturando la semina che si fissa su corde o appositi collettori posizionati negli allevamenti in mare, prospicienti il Delta del Po. La raccolta è manuale e avviene quando il prodotto raggiunge la taglia minima commercializzabile di 5 cm. Il prodotto raccolto deve essere consegnato al punto di sbarco con modalità che ne consentano di verificare la qualità, e da qui deve essere portato agli impianti di depurazione di Scardovari con mezzi dotati di cassone isotermico. Al termine della depurazione il prodotto viene confezionato in un sacchetto a rete di plastica, stoccato in cella ad una temperatura di 6°C e avviato direttamente alla spedizione in giornata, o al massimo il giorno seguente, a seconda delle ordinazioni. ASPETTO E SAPORE La Cozza di Scardovari DOP presenta valve bombate, di circa 6-8 centimetri di lunghezza, forma quasi triangolare e sottili striature concentriche. All’interno il colore è viola-madreperlaceo ma questo aspetto può variare in relazione al ciclo produttivo. Dal guscio escono filamenti bruni robusti, attraverso i quali il mollusco si fissa alle reti o ad altri sostegni. La carne ha una presenza elevata, sempre superiore al 25% del peso totale, e dato il suo basso tenore di sodio, ha un sapore gradevole e delicato.

te acqua, si conserva al massimo per quattro giorni in frigorifero. È preferibile consumarla previa cottura. La Cozza di Scardovari DOP può essere mangiata anche cruda, ma viene apprezzata soprattutto gratinata al forno o come saporito componente di zuppe di pesce e di insalate di mare sia calde che fredde. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio come Cozza di Scardovari DOP. Le cozze sono commercializzate vive - in confezioni chiuse di rete blu, dal peso di 1 kg e 5 kg, sottovuoto o in atmosfera protettiva - o trasformate, surgelate con o senza guscio, in confezioni di plastica o altro materiale idoneo. NOTA DISTINTIVA Le caratteristiche qualitative, fisiche e organolettiche della Cozza di Scardovari DOP sono il risultato delle peculiarità ambientali della Sacca da cui prendono il nome (in particolare la bassa salinità delle acque). La sua reputazione è documentata dalle foto della Festa della Cozza di Scardovari, risalenti agli anni Ottanta, testimonianza di una realtà produttiva che coinvolge centinaia operatori e aziende familiari e che è in grado di raggiungere i mercati di diversi paesi europei. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Cozza di Scardovari DOP è identificata con la Sacca di Scardovari e i territori delle frazioni di Scardovari, Ca’ Mello e Santa Giulia nel comune di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, nella regione Veneto. Il termine “sacca” individua un’insenatura che ha una superficie di 3.200 ettari e una profondità media di 1,5 – 2 metri; essa rimane in comunicazione con il mare aperto attraverso una “bocca lagunare”.

COZZA DI SCARDOVARI DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Cozza di Scardovari DOP è un mollusco bivalve dalla forma allungata con conchiglia di colore nero-violaceo appartenente alla specie Mytilus galloprovincialis.

Consorzio cooperative pescatori del Polesine Via della Sacca, 11 - 45018 Scardovari (RO) Tel: +39 0426 3892 26 www.scardovari.org consorzio@consorzioscardovari.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

STORIA La prima Cooperativa di pescatori locali della Sacca di Scardovari è del 1936, a cui ha fatto seguito, nell’ultimo secolo, una trasformazione molto rapida del territorio, che ha portato, dopo l’alluvione del 1966, alla configurazione attuale della Sacca. A partire da questo momento, grazie anche all’abilità degli operatori, si iniziò la sperimentazione dell’allevamento di mitili in piccoli vivai all’interno della Sacca, come alternativa alla pesca in mare.

Operatori Prod. Registrato 2013

GASTRONOMIA La Cozza di Scardovari DOP va irrorata con abbondan-

Superficie (ha) -

Produzione (kg) Prod. Registrato 2013

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2013

Dati Qualivita - Ismea

285


SALMERINO DEL TRENTINO IGP ASTRO Associazione Troticoltori Trentini Via Galilei, 43 Z.I. - 38015 Lavis (TN) Tel: +39 0461 242525 www.troteastro.it info@troteastro.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori Prod. Registrato 2013 Produzione (kg) Prod. Registrato 2013

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2013 Superficie (ha) Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Il Salmerino del Trentino IGP si riferisce al pesce fresco della specie Salvelinus alpinus L. (salmerino alpino), appartenente alla famiglia dei salmonidi, allevato in vasche alimentate dalle acque pure e fredde del Trentino. METODO DI PRODUZIONE Il novellame e gli esemplari adulti sono allevati all’interno di vasche contenenti acqua proveniente da sorgive, pozzi, torrenti o fiumi compresi all’interno della zona geografica esclusiva. L’acqua deve presentare specifici valori di temperatura (inferiore a 10°C da novembre a marzo) e ossigeno disciolto (almeno 7 mg/l). La densità di allevamento varia a seconda del numero di ricambi giornalieri previsti per l’acqua, da un minimo di 25 kg/m3 fino a 40 kg/m3 (per più di 10 ricambi). I pesci vengono alimentati secondo gli usi tradizionali della zona, per questo i mangimi vengono certificati e sono privi di OGM. La lavorazione avviene a temperature non superiori ai 12°C mentre lo stoccaggio deve avvenire tra 0 e 4°C. ASPETTO E SAPORE Il Salmerino del Trentino IGP si presenta di colore prevalente grigio-verde, il dorso e i fianchi cosparsi di piccole macchie biancastre, gialle o rosee; le pinne dorsali e caudali sono grigie mentre le altre sono di colore arancio, con margine anteriore bianco. L’indice di corposità (rapporto massa su lunghezza) è uno dei fattori caratterizzanti il prodotto, i valori sono inferiori a 1,10 per gli esemplari fino a 400 g e a 1,20 per quelli oltre tale peso. La carne risulta soda, tenera, magra e asciutta, dal sapore delicato di pesce, con un odore tenue d’acqua dolce, privo di qualsiasi retrogusto di fango. STORIA Il salmerino sembra essere presente in Trentino da migliaia di anni. Grazie all’adattabilità della specie e all’isolamento dei laghi alpini, questo pesce ha potuto giungere fino all’età moderna, mantenendo pressoché inalterate le sue caratteristiche. Se ne trova menzione in alcuni documenti del 1600, nei quali risulta essere pasto pregiato per principi, cardinali e papi. L’allevamento in Trentino diviene attività consolidata nel XIX secolo, quando nel 1879 fu costruito il primo vero stabilimento di piscicoltura; a questo ne seguirono altri, negli anni successivi, fino alla costituzione nel 1975 dell’Associazione Troticoltori Trentini, che ha avuto un ruolo determinante nel consolidamento della pratica. GASTRONOMIA Il Salmerino del Trentino IGP va conservato, per pochi giorni, in frigorifero. Essendo un prodotto venduto

fresco è infatti facilmente deperibile. Pesce pregiato, per la consistenza della carne e il gusto delicato viene impiegato in moltissime ricette della tradizione trentina. Ottimo al forno, marinato o in crosta, ma anche in preparazioni più ricercate, in abbinamento alle erbe aromatiche, le verdure o la frutta secca, aromatizzato al vino oppure, per un gusto più originale, si può usare anche del tè. Ottimo anche affumicato, purché l’affumicatura sia delicata e avvenga mediante l’utilizzo di legni poco resinosi, che non coprano il sapore tipico del prodotto. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Salmerino del Trentino IGP. È disponibile sul mercato, come prodotto fresco, confezionato in casse o vaschette di polistirolo sotto film plastico, in buste sottovuoto, in atmosfera modificata. Può essere venduto intero, eviscerato, filettato e/o affettato. NOTA DISTINTIVA Le caratteristiche qualitative del Salmerino del Trentino IGP — indice di corposità ridotto, basso contenuto di grassi, gusto inconfondibile — sono direttamente riconducibili alla zona di produzione, in particolare alle peculiarità dell’acqua in cui viene allevato: questa infatti, provenendo da ghiacciai o nevai perenni, oltre a essere molto abbondante, presenta anche un’elevata ossigenazione, buone qualità bio-chimico-fisiche e temperature medie piuttosto basse. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione del Salmerino del Trentino IGP interessa tutto il territorio della provincia di Trento, nella regione Trentino-Alto Adige, e il comune di Bagolino, in provincia di Brescia nella regione Lombardia.


METODO DI PRODUZIONE La riproduzione può avvenire sia naturalmente che artificialmente. L’allevamento deve essere condotto esclusivamente in monocoltura negli stagni o nei nuovi bacini d’argilla, purché realizzati all’interno della zona di produzione e con l’argilla del Pianalto. L’approvvigionamento idrico di questi bacini può avvenire da acque meteoriche, superficiali e da captazione di falda. Gli avannotti vengono immessi nelle peschiere dove rimangono fino a quando non hanno raggiunto la taglia stabilita, che varia a seconda che le tinche siano destinate al consumo, alla riproduzione o al novellame da ripopolamento. Per alimentare i pesci, nei bacini idrici vengono sparsi dei fertilizzanti naturali con lo scopo di favorire il formarsi dello zooplancton. Durante la fase dell’ingrasso l’alimentazione viene integrata con cereali, granaglie, semi oleosi, semi di leguminose, latte, uova e loro derivati, provenienti dalla zona di produzione e privi di OGM. Raggiunto un peso compreso tra i 50 ed i 250 g, gli esemplari sono pronti per essere catturati con reti a strascico, nel periodo compreso tra fine marzo e al massimo inizio ottobre. ASPETTO E SAPORE La Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP ha pelle di colore brillante grigio-grafite oppure verde opalino sul dorso e giallo dorato sui fianchi, con muco cutaneo trasparente e ben aderente alla pelle. L’occhio è brillante, lucente, vivido. Le branchie si presentano di colore rosso vivo o roseo. Le carni sono delicate, elastiche, sode e non grasse, dal colore bianco roseo che diventa rosso nei muscoli delle pinne. Il gusto è tenue, meno deciso rispetto a quello del pesce di mare e privo di sapore di fango. L’odore si contraddistingue per la sua fragranza di acqua dolce senza alcun sentore di fango o erba. STORIA La presenza della tinca gobba dorata nel territorio compreso tra le province di Asti, Torino e Cuneo come pesce di allevamento è provata da documenti risalenti al XIII secolo. Dalla seconda metà del Settecento, alcune famiglie di pescatori riuscivano a ottenere guadagni dall’allevamento e vendita di tinche, non esistendo nell’Altopiano fiumi importanti per una diversa produzione ittica. Il Pianalto di Poirino si caratterizza per le terre argillose e particolarmente compatte che favoriscono la formazione di stagni che venivano uti-

lizzati come riserva d’acqua nelle buche scavate per estrarre l’argilla e per abbeverare il bestiame. Dopo una fase di drastica riduzione della produzione di tinche, la Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP è di nuovo al centro di un’attività fiorente e costituisce un’ottima risorsa economica per il territorio. GASTRONOMIA La Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP si consuma previa cottura. Un piatto tipico estivo, con protagonista la tinca, è il classico “carpione piemontese”, dove la tinca viene prima fritta, poi marinata in un’emulsione di aceto, vino bianco ed erbe aromatiche. Il prodotto può essere, in alternativa, usato come condimento nel risotto dopo averne lasciato asciugare le carni in lembi di tela per almeno 24 ore oppure come base nei sughi. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP. Viene venduta viva, in appositi contenitori o sacchetti monouso. Si trova in vendita fra fine marzo-inizio aprile e fra fine settembre-inizio ottobre. NOTA DISTINTIVA Se ben alimentata, la Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP, raggiunge le caratteristiche ideali al consumo (taglia relativamente piccola, carni morbide, pelle sottile e gustosa) nella seconda estate di vita. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP interessa il territorio del Pianalto di Poirino che ricade, in tutto o in parte, in alcuni comuni delle province di Torino, Asti e Cuneo, nella regione Piemonte.

TINCA GOBBA DORATA DEL PIANALTO DI POIRINO DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO La Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino DOP è il pesce fresco di acqua dolce, appartenente alla specie Tinca tinca L., nato, cresciuto ed allevato negli stagni dell’Altopiano di Poirino.

Associazione della Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino Via Cesare Rossi, 5 10046 Poirino (To) Tel: +39 011 9450114

Istituto Nord Ovest Qualità P.zza Carlo Alberto Grosso, 82 12033 Moretta (CN) Tel: +39 0172911323 Fax: +39 0172911320 www.inoq.it - inoq@inoq.it

Operatori 3 Produzione (kg) 277

Fatturato (mln €) ND Superficie (ha) Dati Qualivita - Ismea

287


TROTE TRENTINO IGP ASTRO Associazione Troticoltori Trentini Via Galilei, 43 Z.I. - 38015 Lavis (TN) Tel: +39 0461 242525 www.troteastro.it info@troteastro.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori Prod. Registrato 2013 Produzione (kg) Prod. Registrato 2013

Fatturato (mln €) Prod. Registrato 2013 Superficie (ha) Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Le Trote del Trentino IGP indicano i pesci salmonidi appartenenti alla specie trota iridea - Oncorhynchus mykiss (Walb.), allevati in vasche alimentate con acqua proveniente da fonti ricadenti nella zona di produzione specificata. METODO DI PRODUZIONE Le fasi di allevamento delle Trote del Trentino IGP, che comprendono gli stadi di avannotto, novellame, trota adulta e le operazioni di macellazione, devono avvenire all’interno della zona di produzione. Le vasche di allevamento del novellame e del materiale adulto devono essere disposte in serie o in successione in modo da favorire al massimo la riossigenazione, devono inoltre essere costruite alternativamente: completamente in cemento; in terra e cemento; con argini in cemento e fondo in terra, vetroresina o acciaio. L’acqua utilizzata nell’allevamento deve provenire da acque sorgive, e/o pozzi e/o fiumi e torrenti compresi nella zona di produzione. La razione alimentare deve seguire i requisiti consolidati dalla tradizione. I mangimi utilizzati devono essere privi di OGM e opportunamente certificati secondo la normativa vigente. La salmonatura deve essere ottenuta utilizzando prevalentemente il pigmento carotenoide astaxantina e/o carotenoidi di origine naturale. In relazione alla tipologia merceologica, le trote vengono eviscerate, filettate e affettate. ASPETTO E SAPORE Le Trote del Trentino IGP si presentano con il dorso verdastro con una fascia rosea su entrambi i fianchi; ventre biancastro; macchiette scure sparse sul corpo e sulla pinna dorsale e caudale. La carne è bianca o salmonata, compatta, tenera, magra con un delicato sapore di pesce e con un odore tenue e fragrante d’acqua dolce, completamente privo del retrogusto di fango che spesso denota la carne delle trote di allevamento. STORIA Numerosi riferimenti storici documentano come la provincia di Trento sia tradizionalmente vocata alla produzione di pesci salmonidi, derivanti sia dalla pesca che dall’allevamento in vasca. Nel 1879 fu realizzato lo Stabilimento artificiale di Torbole, per diffondere nel Trentino la pratica della pescicoltura e ripopolare le acque pubbliche con avannotti di trota e salmerino. La coltivazione delle acque è regolamentata dal 1983 dalla Carta ittica del Trentino, la prima d’Italia, un articolato lavoro di ricognizione ambientale, nel quale ogni corso d’acqua e ogni lago sono inquadrati da un punto di vista chimico-fisico, biologico e ittiologico, che ha costituito il punto di riferimento per le carte ittiche realizzate successivamente in altre province.

GASTRONOMIA Le Trote del Trentino IGP sono immesse al consumo allo stato fresco, sono quindi facilmente deperibili. Il prodotto va conservato in frigorifero ed è consigliabile consumarlo prima possibile per apprezzarne al meglio le qualità organolettiche, comunque entro due-tre giorni. Questo tipo di pesce è ottimo cucinato in padella, con erbe aromatiche, arrosto con scaglie di mandorle, al cartoccio con pomodorini e rosmarino. Oggi si apprezzano le sue carni anche macinate e presentate sotto forma di hamburger. Può essere utilizzato come ripieno di pasta fresca o per preparare un ragù leggero per primi piatti di pasta. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Trote del Trentino IGP. È disponibile sul mercato come prodotto fresco o confezionato. Il prodotto lavorato deve essere posto in vendita in vaschette di polistirolo sotto film, casse di polistirolo sotto film, buste sottovuoto, confezionato in atmosfera modificata. In relazione alla tipologia merceologica, le trote vengono poste in vendita come prodotto fresco intero o eviscerato (taglia minima 200 g), filettato oppure affettato (peso minimo 90 g). NOTA DISTINTIVA Le Trote del Trentino IGP si distinguono per essere caratterizzate da un livello contenuto dei grassi (non superiore al 6%) e da un Indice di Corposità di valore definito, compreso rispettivamente entro 1,25 per pesci fino a 500 g ed entro 1,35 per pesci oltre i 500 g. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione delle Trote del Trentino IGP comprende l’intero territorio della Provincia Autonoma di Trento, nella regione Trentino AltoAdige, nonché il comune di Bagolino in provincia di Brescia, nella regione Lombardia.


CLASSE 1.8

ALTRI PRODOTTI DELL’ALLEGATO I


ACETO BALSAMICO DI MODENA IGP Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena Viale Virgilio, 55 - 41123 Modena Tel: +39 059 208621 www.consorziobalsamico.it info@consorziobalsamico.it

C.S.Q.A. Certificazioni S.r.l. Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 www.csqa.it - csqa@csqa.it

Operatori 301 Produzione (l) 73.135.405

Fatturato (mln €) 387,53 Superficie (ha) Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Aceto Balsamico di Modena IGP è un condimento ricavato da mosti d’uva e aceto di vino, affinati in recipienti di legno pregiato per un periodo di tempo variabile. È prodotto nelle tipologie Aceto Balsamico di Modena IGP e Aceto Balsamico di Modena IGP Invecchiato. METODO DI PRODUZIONE L’Aceto Balsamico di Modena IGP è ottenuto esclusivamente da vitigni di Lambrusco, Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni. Al mosto – che può essere sia fermentato che cotto parzialmente – viene aggiunto aceto di vino (10% minimo) e una parte di aceto vecchio di almeno 10 anni. Le proporzioni di mosto d’uva cotto e/o concentrato non dovranno essere inferiori al 20% della quantità totale di prodotto da avviare alla lavorazione. È inoltre possibile aggiungere caramello, e niente altro, fino ad un massimo del 2% del volume del prodotto finito. Segue la concentrazione del prodotto tramite i procedimenti di “pigiatura” e cottura. La trasformazione avviene con il metodo classico di acetificazione lenta, tramite l’utilizzo di colonie batteriche selezionate, in recipienti di legno pregiato (rovere, castagno, quercia, gelso e ginepro), gli stessi in cui avviene anche l’affinamento che varia da un minimo di 60 giorni fino a diversi anni. ASPETTO E SAPORE L’Aceto Balsamico di Modena IGP si distingue per l’aspetto limpido e brillante e per il profumo delicato, persistente, di gradevole e armonica acidità. Il colore è bruno intenso e l’odore è leggermente acetico con eventuali note legnose. Il sapore è agrodolce ed equilibrato. STORIA Le origini dell’Aceto Balsamico di Modena IGP sono riconducibili alla tradizione degli antichi Romani, i primi che iniziarono a cuocere il mosto d’uva per poterlo conservare. Un testo del 1556 riporta una precisa classificazione dei diversi tipi di aceto e delle differenti possibilità di impiego, tra cui ne è menzionata una varietà che sembra corrispondere a ciò che oggi definiamo “balsamico”. Lo sviluppo della tradizione dell’aceto balsamico si deve al trasferimento degli Estensi da Ferrara a Modena nel 1598. Presso la corte ducale infatti l’aceto veniva solitamente prodotto per il consumo interno o esibito come dono prezioso a personalità di particolare importanza. Nel corso dei secoli fu definito “balsamico” per le sue particolari doti terapeutiche. GASTRONOMIA Per una corretta conservazione, l’Aceto Balsamico di

Modena IGP va mantenuto in un recipiente di vetro, avendo l’accortezza di chiuderlo accuratamente dopo l’uso e di tenerlo lontano da sostanze che emanano odori particolarmente intensi. L’estrema versatilità di questo prodotto lo rende abbinabile con ogni sorta di pietanze. Grazie al suo retrogusto fragrante ed alla sua acidità aromatica si sposa bene con verdure cotte e crude, ma anche con carne e pesce, dolci e gelati. Ottimo l’abbinamento con scagliette di ParmigianoReggiano DOP. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio tutto l’anno nelle tipologie: Aceto Balsamico di Modena IGP se l’invecchiamento è inferiore a tre anni; Aceto Balsamico di Modena IGP Invecchiato se l’invecchiamento è superiore a tre anni. È commercializzato in contenitori di vetro, legno, ceramica o terracotta, delle capacità di: 0,250 l; 0,500 l; 0,750 l; 1 l; 2 l; 3 l; 5 l; oppure in bustine monodose di plastica di capacità di 25 ml. I recipienti di capacità superiore a 2 l e 5 l, in plastica, sono autorizzati solo se il prodotto è destinato ad uso professionale. NOTA DISTINTIVA L’Aceto Balsamico di Modena IGP è frutto della tradizione e delle competenze che nel corso dei secoli, in stretto legame con il territorio, hanno portato al concepimento e all’affinamento della sua ricetta. L’invecchiamento in botti di legno pregiato contribuisce a determinare le particolari note aromatiche del prodotto. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP ricade nelle province di Modena e Reggio Emilia, nella regione Emilia-Romagna.


METODO DI PRODUZIONE L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP è ottenuto esclusivamente dai mosti delle uve provenienti dai vigneti di Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta e, a carattere facoltativo, altri iscritti alla DOP in provincia di Modena. A seguito della pigiatura, prima di venire cotti, i mosti freschi possono essere sottoposti a decantazione e refrigerazione purché non si verifichi il congelamento della parte acquosa. La cottura avviene a fuoco diretto in caldaia a cielo aperto a temperature intorno agli 80°C . Il prodotto così ottenuto, o mosto cotto, viene innestato con aceto vecchio (innesto madre) e sottoposto a un processo di fermentazione, acetificazione e invecchiamento che avviene in una batteria di botti per un tempo minimo di 12 anni e seguendo la pratica dei travasi annuali che consiste nel riportare a livello ogni botte, partendo dalla più piccola, con la necessaria quantità dell’aceto, prelevandolo dalla botticella precedente nella serie; l’ultima botte, la più grande (botte madre) viene invece riportata a livello con mosto cotto. ASPETTO E SAPORE L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP è caratterizzato da una non comune complessità che si evidenzia con grande intensità olfattiva, armonia al gusto, lunga persistenza al retrogusto; è bruno scuro, dolce e agro. STORIA L’aggettivo “balsamico” è riportato in documenti risalenti al tempo del Ducato Estense, ma la prima testimonianza che parla di questo aceto particolarissimo è il De Vita Mathildis, poema scritto dal monaco Donizone nel secolo XI. La produzione si potrebbe far risalire ai tempi dell’Impero Romano, quando si usava cuocere il mosto d’uva per ottenerne un condimento denso e non più fermentabile. Columella infatti, studioso di cose agricole, riportava nel I secolo d.C. come il mosto cotto in zona avesse attitudine a fermentare e quindi a diventar acido (solet acescere). Il processo in batteria si è poi evoluto e sviluppato nelle acetaie delle famiglie più ricche e aristocratiche, nell’ambito delle quali il proprio aceto era considerato unico e inimitabile, quindi motivo di orgoglio. Le testimonianze tecniche più antiche sono il manoscritto di Giorgio Gallesio (Appunti di Viaggio, 1839) e le lettere dell’avvocato Francesco Aggazzotti del 1862.

GASTRONOMIA L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP si conserva a temperatura ambiente in un recipiente di vetro ben chiuso. Grazie alla sua versatilità, questo prodotto può essere utilizzato in cucina per la preparazione di innumerevoli ricette, dalle più povere e semplici alle più raffinate ed elaborate. Trova la sua massima espressione nell’incontro con ortaggi freschi e lessati, con i risotti, con piatti a base di carne e pesce, sul gelato e sulla frutta. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio tutto l’anno nelle due tipologie: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (da processo di almeno 12 anni) e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP Extra Vecchio (da processo di almeno 25 anni). La confezione è obbligatoria per tutti i produttori e consiste in una bottiglietta da 100 ml progettata a suo tempo dal designer Giorgetto Giugiaro affinché fosse il simbolo stesso del prodotto. NOTA DISTINTIVA L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP è il risultato delle caratteristiche pedoclimatiche del territorio, della varietà delle uve tipicamente coltivate nel Modenese, combinate con l’arte della cottura dei mosti e dei travasi annuali fra le botticelle. Inoltre, grazie allo specifico microclima, ai legni utilizzati, alle procedure di cottura del mosto adottate, alla vecchiaia delle botti in attività e al “saper fare” del produttore, ogni acetaia produce balsamico tradizionale con caratteristiche e profumi particolari. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP comprende l’intero territorio della provincia di Modena, nella regione Emilia-Romagna.

ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA DOP

DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP è un condimento ricavato dai mosti delle uve tipiche della provincia di Modena. È invecchiato almeno 12 anni e, nel caso della tipologia Extra Vecchio, almeno 25 anni.

Consorzio Tutela ABTM DOP Viale Virgilio, 55 - 41123 Modena Tel: +39 059 208604 Fax: +39 059 208606 www.balsamicotradizionale.it consorzio.tradizionale@mo.camcom.it

Kiwa Cermet Italia SPA Via Cadriano, 23 40057 Cadriano di Granarolo (BO) Tel: +39 051 764811 www.cermet.it certificazione.bo@cermet.it

Operatori 347 Produzione (l) 8.218

Fatturato (mln €) 3,49 Superficie (ha) 218,02 Dati Qualivita - Ismea

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ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI REGGIO EMILIA DOP Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Via Tito, 11/C - 42123 Reggio Emilia Tel: +39 0522 381289 www.acetobalsamicotradizionale.it abtre@re.camcom.it

Suolo e Salute Srl. Via Paolo Borsellino, 12/B 61032 Fano (PU) Tel: +39 0721 860543 www.suoloesalute.it info@suoloesalute.it

Operatori 93 Produzione (l) 1.543

Fatturato (mln €) 0,90 Superficie (ha) 28,68 Dati Qualivita - Ismea

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DESCRIZIONE DEL PRODOTTO L’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP è un condimento ottenuto dalla fermentazione e affinamento di mosti d’uva cotti, provenienti esclusivamente dalla provincia di Reggio Emilia. L’aggettivo tradizionale è dovuto alla sua storia secolare. È prodotto nelle tipologie: Bollino Aragosta, Bollino Argento e Bollino Oro. METODO DI PRODUZIONE Immediatamente dopo la pigiatura il mosto viene fatto sobbollire per parecchie ore per ottenere la concentrazione degli zuccheri fino ad un max di 40 gradi Brix. Con i primi caldi il prodotto ottenuto subisce i processi di fermentazione zuccherina, durante il quale gli zuccheri si trasformano in alcol, e di ossidazione acetica favorito dall’aggiunta di colonie di aceto batteri quando la gradazione alcolica avrà raggiunto i 7/9 gradi durante il quale l’alcol si trasforma in acido acetico. Raggiunti i 3/4 gradi di acidità, il prodotto viene immesso in botticelle di legni e capienza diversi denominate “batterie”, collocate in genere in sottotetti arieggiati che risentono delle escursioni termiche. Nel periodo estivo il prodotto si concentra a causa della parziale dispersione del suo contenuto acquoso che evapora e produce un calo dei livelli all’interno dei barili che verranno ripristinati nel periodo invernale quando si manifestano le condizioni ideali per effettuare i “travasi” . L’ultimo barile verrà rincalzato prelevando dalla “badessa” (botte da 150/220 l), riempita con lo stesso prodotto usato per riempire la batteria all’inizio della produzione. La “badessa”, a sua volta, verrà rincalzata col mosto ottenuto nell’annata. L’affinamento non è mai inferiore a 12 anni, ed il prodotto affinato oltre 25 anni può fregiarsi dell’indicazione “extra vecchio”. ASPETTO E SAPORE L’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP si caratterizza per il colore bruno scuro, limpido e lucente, per il profumo penetrante e persistente, per la gradevole acidità, per il sapore dolce e agro ben amalgamato, per l’apprezzabile aromaticità. STORIA La prima testimonianza risale all’anno 1046 quando Enrico III imperatore di Germania, giunto a Piacenza, richiese a Bonifacio, signore della Rocca di Canossa, quell’aceto speciale che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Nei secoli seguenti, nei principali centri estensi, si costituirono vere e proprie consorterie che custodivano il segreto della ricetta per la preparazione del prodotto. Numerosi gli atti notarili di periodi più recenti nei quali figurano botticelle lasciate in eredità o inserite nelle doti delle nobildonne in procinto di sposarsi. Attualmente gli appassionati sono soliti preparare batterie alla nascita dei figli o nipoti, identificandole con i loro nomi.

GASTRONOMIA L’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP va conservato in un recipiente di vetro, ben chiuso e mantenuto lontano da sostanze che emanano profumi particolari. È un elisir originale, ottimo per arricchire e perfezionare i sapori delle pietanze, dalle più elaborate e delicate a quelle più semplici e povere. Da non utilizzare mai in cottura per non disperdere profumi e sapori. COMMERCIALIZZAZIONE Il prodotto è immesso in commercio tutto l’anno nelle tipologie: Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP Bollino Aragosta, almeno 12 anni di invecchiamento; Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP Bollino Argento, da 12 a 25 anni di invecchiamento; Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP Bollino Oro Extravecchio, almeno 25 anni di invecchiamento. È commercializzato in bottigliette a forma di tulipano rovesciato da 100 o da 250 ml, la cui chiusura è assicurata da un tappo in sughero legato con dello spago e sigillato con ceralacca rossa con impresso l’acronimo ABTRE e DOP e un simbolo che permette di classificare il prodotto secondo le categorie previste dal disciplinare. NOTA DISTINTIVA Perché si avvalga della DOP, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia deve superare con esito positivo un esame fatto da maestri assaggiatori altamente specializzati. Se non viene valutato idoneo, viene rimesso nelle botti ad affinarsi ulteriormente. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP è situata nella provincia di Reggio Emilia, nella regione EmiliaRomagna.


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