Punto G 03

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il Punto

E’ vero, come organizzazione fa un po’ acqua. La gente si stressa a inventarsi i regali più adatti e allora si ritrova ad arrangiarsi con il Natale fa schifo, il Natale è bellissimo! cazzate costose o di moda con sopra un marchio Il Natale fa schifo quando lo sprechiamo in coda nei centri commerciali, quando lo gettiamo che ne dovrebbe essere in regali inutili e costosi per persone di cui non ci interessa niente, quando lo lasciamo il valore. Si spendono un andar giù nello scarico dei finti sorrisi e dei cibi grassi, degli abbracci finti, degli impegni sacco di soldi, le paranoie di cortesia e della stupida bestialità dei discorsi vuoti fatti intorno a un tavolo di gente che sull’opportunità di fare un non ha niente in comune e vorrebbe essere un’altra parte. Non ci si può volere bene una regalo sì ma di che tipo e quanto ci voglio spendere sola volta all’anno. si appiccano da persona Il Natale è bellissimo quando lo si passa a scegliere cose significative per persone che a persona come fiamma contano davvero, usandolo come occasione per riunirsi oltre alle vite che ci impegnano da foglia a foglia, la gente davanti a pasti fatti per stringersi un po’, per sentire almeno una volta l’anno quanto ci si è sta ore in automobile per andare ai centri commervicini nonostante tutto, quanto conti davvero esistere l’uno per l’altro. E’ bellissimo quando ciali, ingrassa di brutto è uno spunto di riflessione, una pausa di meditazione su ciò che è davvero importante, un perché non muove mai il momento per capire come rendere speciale il resto del tempo in cui dobbiamo solo agire e culo (io sono grasso pernon abbiamo neppure il tempo di pensare. ché non dico mai di no, ma Non ci si può volere bene una sola volta all’anno. Ma è già qualcosa. sport ne faccio) e come se non bastasse per un mese all’anno ho la posta totalmente intasata, quindi http://www.FaceBook.com/GuidoGiacomoGattai se mi arriva una bolletta o una lettera dalla casa di massaggi di Bangkok (ho piccole quote di alcune società, affari miei) è probabile mi sfugga. Ma che ci volete fare? Gli affari sono affari. E se non guadagno come li pago gli elfi? Hanno anche messo su un sindacato… Sapete, voi sareste piaciuti a mio fratello. Ma è molto tempo che non c’è più. Lui si faceva spedire le lettere tutto l’anno. E le persone gli dicevano che cosa volevano regalare, non che cosa volevano ricevere. Babbo Donato. Gestivamo l’azienda insieme, ma le cose così non andavano, eravamo a crescita zero. Poi una volta ci fu una discussione… Lui voleva che ritagliassimo la nostra quota di utili per iniziare a fare anche noi dei regali, ma… era tanto tempo fa, ancora avevamo pochi soldi, che potevo fare? Tirar fuori altri soldi dal cappello? E glielo dissi: “Io ho quel che ho, Donato”. Lui mi guardò con uno sguardo strano e mi rispose “Io ho quel che ho donato”. Forse non erano idee sbagliate, ma come si fa a conciliarle con questa vita qua? Mi hanno detto che l’hanno visto regalare sementi ai contadini rovinati del Bengala, lavorare con loro. Sempre col suo ridicolo vestito verde. Vabbè, alla fine non siete poi così male. Il vostro quest’anno l’avete fatto, e per quanto giustamente vi chiediate di più, alla fine siete sempre nella lista dei buoni. Vedrò che cosa mi è rimasto e vi potrò mandare – ma Giovanni-non aspettarti obbiettivi per la macchina fotografica grossi come tronchi, e Giorgio non ti Cari tipi di Punto G, aspettare stilografiche col pennino in palladio. Intanto vi auguro un Natale splendido, denso (come il quest’anno siete stati delle merde. Lo capite che i miele) di quel sentimento di calore e festa che sa porregali vanno fatti a Natale, non quando si sentono in tare, in compagnia, a riparo dal freddo, con un grande cuore? Altrimenti io qui fallisco. Già c’è la crisi. Per fa- pasto e vino buono, un Natale di regali sentiti, corovore, venitemi incontro e inoltratemi qualche ordine. namento di questo anno di Nostro Signore 2010, capace E’ un ordine. di rasserenare la mente per tirare le giuste conclusioni

Guido Giacomo Gattai

sulla propria vita quando sarà il momento. Ma in fondo, aldilà di ogni augurio, il segreto del Natale è forse quello del creare una scusa buona per passare del tempo – fosse anche solo un giorno – esattamente come tu desideri. Avanti e in alto, Babbo Natale P.S. Fortunelli, mi sono rimasti i preservativi al mango. Giorgio Moretti

Italia: chi è? la storia d’Italia vista dagli occhi della povera gente

3. I contadini e le istituzioni. I contadini sono analfabeti. Le percentuali di coloro che non sanno leggere, scrivere e far di conto non possono essere sempre indicate con sufficiente approssimazione alla verità se non all’incirca dopo il 1860, ma sono certamente altissime. Già è allarmante il dato che riguarda tutto il Paese, relativo al 1861: il 75% dei suoi abitanti è analfabeta. La campagna, come c’era da attendersi è colpita più fortemente della città. In molte zone agricole si incontrano percentuali che raggiungono e superano il 90%. In diverse parrocchie vi è una sola persona che sappia leggere e scrivere: il parroco. E non sempre correttamente. L’Italia del Sud, mediamente, è più arretrata di quella del Nord. Il parroco – che in molti casi è egli stesso di origine contadina - diviene un insostituibile strumento di comunicazione e di operatività nelle vicende quotidiane. Ha un potere enorme: influisce sull’assunzione dei braccianti e regola quella delle balie, rilascia i certificati di buona condotta, cura i registri anagrafici (nascite, matrimoni e morte)… Il contadino è del prete, soleva dire – con ragione – Garibaldi. Le conseguenze di questa deficienza culturale, così macroscopica, sono incalcolabili. L’esclusione dalla lettura equivale a un’esclusione dal consorzio sociale. Il contadino non ha e non può avere un pensiero autonomo. Anche quando avverte l’ingiustizia (o le ingiustizie) di cui è vittima, non sa articolare le sue ragioni, non sa farle valere. Precipita da ingiustizia in ingiustizia, da amarezza in amarezza. Finisce col detestare le carte che gli appaiono nemiche. Avversa tutto ciò che è nuovo e diffida di tutto. Ha in sospetto – spesso non senza fondato motivo – lo stesso avvocato che lo tutela nelle controversie. Questa diffidenza si accentua nei momenti difficili. L’aumento del prezzo del pane, nel periodo giacobino-napoleonico, viene attribuito all’accaparramento delle farine e alla speculazione che ne consegue, ad opera degli stranieri (i francesi), dei ricchi padroni di terre, degli ebrei. Il contadino – che non ha mezzi di conoscenza critica - sospetta di qualsiasi novità. Le riforme


leopoldine, concepite spesso per avvantaggiarlo, ad esempio per farlo divenire piccolo proprietario terriero, non lo attraggono. Non ha il capitale, sia pur modesto, per compiere l’operazione; se riesce a procurarselo entra presto in una situazione debitoria insostenibile che lo obbliga a cedere il terreno appena acquistato a condizioni sfavorevoli. In realtà delle riforme conosce soltanto alcuni aspetti esteriori che colpiscono la sua credulità e le sue tendenze all’idolatria. Ad Arezzo, una delle tante immagini sacre presenti nel territorio, diviene la protettrice dai terremoti, la Madonna del Conforto, e il simbolo dell’importante insorgenza clerico-reazionaria del “Viva Maria” che dilaga in tutta l’Italia centrale. Ancora oggi la si festeggia più di quanto si faccia per il patrono della città. Si tenga presente che, per larga parte dell’Ottocento, il lavoratore – operaio o contadino che fosse – non gode di alcuna assistenza né quando si ammala, né quando invecchia. Soltanto sul finire del secolo, in parte per influsso della legislazione sociale bismarckiana (1881-1889) e in parte per sollecitazione delle società di mutuo soccorso e delle prime organizzazioni socialiste si prendono provvedimenti in questa direzione, iniziando il processo che porterà alla teoria e alla pratica dello Welfare State, oggi messo in discussione, negli Stati occidentali, da una grave crisi economica. Nell’Ottocento, la famiglia colpita dalla disgrazia in uno o più dei suoi membri importanti, non ha altra risorsa che rivolgersi a un’incerta carità, gestita anche quella, in prevalenza da ecclesiastici. Il fenomeno, del resto, perdura anche oggi, sia pure con altri destinatari e con altre forme. (Si pensi all’assistenza praticata dalla Caritas). I contadini incolti e illetterati, esasperati dalla fame e dalle ingiustizie, perdono, ogni tanto, improvvisamente e imprevedibilmente, il lume degli occhi, ed esplodono in rivolte, tanto violente quanto cieche e disordinate. Invadono le sedi comunali, i palazzi del potere, e li distruggono. Danno al fuoco le odiate carte, gli archivi e i registri. È la jacquerie, così chiamata dall’appellativo ironico di Jacques Bonshommes, dato ai contadini. Le jacqueries, a lor volta, sono le eredi delle bacaudae romane, a testimonianza, se ce ne fosse bisogno, che il pauperismo e il vano ribellismo dei contadini corre attraverso i secoli fino ai nostri giorni. Bakunin, massimo rappresentante dell’anarchismo delle campagne, da lungo tempo stabilitosi in Italia, vede queste fiammate come manifestazioni spontanee, istintive che, unendo-

si le une alle altre, rivoluzioneranno l’intera società. In verità le non molte insurrezioni contadine che possono richiamarsi a Bakunin o a forme atipiche di ribellismo (Bologna, 1874, Matese, tra Campania e Molise, 1877, la Boje, 1882-1885, nel mantovano e nel cremonese, i Fasci siciliani, 1891-1893), ecc. senza un’organizzazione, senza capi riconosciuti, naufragano rapidamente sotto la repressione, anche se contribuiscono a porre le premesse delle Leghe, vive soprattutto agli inizi del XX secolo. Merita, tuttavia, di essere ricordata l’impresa di Carlo Pisacane che muove verso un socialismo ancora embrionale e del tutto velleitario, ma in cui vengono prese in considerazione “libere comuni contadine”. La sciagurata spedizione di Sapri (1856) – che ha un suo precedente nell’altrettanto sciagurato tentativo dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (1844) – dimostrerà quanto immatura sia la propensione contadina verso il Risorgimento, alla metà del secolo. L’unità d’Italia sarà possibile solo quando dall’iniziale avversione diffusa (si pensi ai movimenti del “Viva Maria” già citati e a quelli sanfedisti del cardinale Ruffo), i contadini passano a un diverso atteggiamento. Si può, addirittura, avanzare l’ipotesi che la condizione del successo del Risorgimento sia il progressivo, lento mutarsi dell’ostilità contadina in indifferenza e infine, in alcuni casi rintracciabili all’interno dell’impresa dei Mille e soggetti a molti rilievi critici, anche di vicinanza e di sostegno. L’impreparazione dei contadini ad affrontare le realtà di cui erano vittime era vista con chiarezza da Gramsci il quale scriveva: La psicologia dei contadini era, in tali condizioni, incontrollabile: i sentimenti reali rimanevano occulti, implicati e confusi in un sistema di difesa contro gli sfruttamenti, meramente egoistica, senza continuità logica, materiata in gran parte di sornioneria e di finto servilismo. La lotta di classe si confondeva col brigantaggio, col ricatto, con l’incendio dei boschi, con lo sgarrettamento del bestiame, col ratto dei bambini e delle donne, con l’assalto al municipio; era una forma di terrorismo elementare, senza conseguenze stabili ed efficaci. Queste parole erano scritte all’indomani della prima guerra mondiale, ma si applicavano benissimo anche agli anni e ai decenni precedenti. Non migliori erano i rapporti dei contadini con il potere militare. La coscrizione obbligatoria, introdotta da Napoleone, era semplicemente odiata. I contadini vi reagiscono

dandosi alla macchia, alla clandestinità, organizzando forme di brigantaggio in ogni dove. I sistemi di reclutamento differiscono, come c’era da attendersi, da Stato a Stato, ma quelli poi confluiti nell’Italia unita sono bizzarri e iniqui, fondati sull’estrazione a sorte (tanto più lunga sarà la ferma quanto più basso e cioè piccolo sarà il numero estratto) e sulla possibilità di compra-vendita dei numeri, criterio che favoriva, ovviamente, coloro che erano in migliori condizioni economiche. Anche il sistema delle esenzioni era complesso e consentiva ulteriori ingiustizie. Il pagamento delle imposte era concepito ugualmente in forme oppressive per i contadini i quali, paradossalmente, finivano con il pagare più dei proprietari. Il sistema fiscale, già in sè stesso vessatorio, fu ulteriormente aggravato con l’introduzione (1868-69) della cosiddetta tassa sul macinato che andava a colpire i prodotti cerealicoli. Il mugnaio – che assumeva così le funzioni dell’esattore - era tenuto a registrare il numero dei giri delle sue macine ad ogni sua operazione e a far pagare la somma corrispondente al contadino. Il criterio era semplice, ma non mancavano divergenze e liti sul calcolo dei giri. In discussione tuttavia era ancor prima il principio, ritenuto dai contadini gravemente iniquo. Si raggiunse così il pareggio del bilancio statale, perseguito dal governo della destra storica e, in particolare, da Quintino Sella, ma il prezzo del pane, già alto, aumentò ancora. Si ebbero proteste e disordini un po’ dovunque, in particolare in Emilia. La repressione non fu indolore: costò 250 morti e un migliaio di feriti. Roberto G. Salvadori

MANGIARE BENE

cucina vegetariana per tutti i gusti

In questo mese freddo sarà bene suggerire un piatto energetico e ricco di sali. E’ una ricetta che proviene dalla Valtellina dunque ricca di burro e formaggio Per 4 persone suggerisco queste dosi Per la pasta: 250gr di farina di grano saraceno, 100gr di farina di grano duro (in mancanza di questa andrà bene anche la normale 00), Unire le due farine ,aggiungere un pizzico di sale e impastare con acqua fino a ottenere una “palla” soda e elastica. A mano (o con la macchinetta) tirare una sfoglia dello spessore di una moneta da 5 cent. Ricavarne delle tagliatelle larghe circa 1/2cm. e lunghe 10 cm. Mentre le tagliatelle si asciugano si preparerà il condimento per il quale occorrono: 400 gr .di patate, 300 gr. di cavolo verza o cappuccio, 100 gr. di


bietole, 40 gr di burro 40 gr di olio, 2 spicchi di aglio, una manciata di foglie di salvia, 40 gr di grana padano o parmigiano reggiano, 250 gr di fontina o altro formaggio di malga. Tagliare le patate a tocchetti, il cavolo e le bietole a striscioline, mettere tutto in una pentola capiente con abbondante acqua salata e portare a ebollizione Intanto in un pentolino mettere olio, burro aglio e salvia facendo soffriggere dolcemente senza far prendere colore all’aglio. A parte grattare i 2 formaggi. Quando la pentola con acqua e verdure comincia a bollire calcolare 10 minuti di cottura, poi aggiungere le tagliatelle già pronte e far trascorrere altri 10 minuti Con il mestolo forato tirare fuori metà del misto tagliatelle patate e verdure e mettere un primo strato in un piatto di portata cospargendo con una parte del contenuto del pentolino (burro..) e dei formaggi. Ripetere l’operazione con il resto delle tagliatelle e dei condimenti. Lasciare riposare qualche minuto prima di servire. Naturalmente si tratta di un piatto unico. Le tagliatelle (o pizzoccheri) si trovano anche già fatte e, sebbene meno saporite, si possono certamente usare. Dopo un simile pasto suggerirei una bella tisana calda ottenuta facendo un decotto di ginger, chiodo di garofano e un profumo di cannella. Anna Sardini

JOE COSPORCO: ADESSO È NATALE! Buon Natale, maledetto lettore pervertito. Lo so che ci godi come maiale in calore a sentire storie a proposito di quanto non riesco mai a risolvere un caso, a proposito di tutte le scarogne fottute che mi capitano dalla mattina alla sera. Ma questa volta sarà diverso. No. Non ho da raccontarvi una storia in cui le donne si contendono il mio flaccido corpaccione di grasso e vecchio alcolista, e nemmeno una storia in cui trito le budella a un pericoloso criminale e faccio la figura dell’eroico. E nemmeno ho intenzione di raccontarvi un’avventura del mio fratellastro Vin Cosempre. Semplicemente non vi racconterò una storia. Già, perché è Natale per tutti, porcorevolver, e anch’io ho diritto a non umiliarmi, un giorno l’anno. Vi parlerò del Natale, invece che di me. Ho sempre odiato il fottuto Natale di questo paio di caricatori. Tutta la gente se ne sta chiusa al caldo nella sua casuccia e il mondo è felice. Io, invece, me ne sto chiuso nella mia stamberga di Noskifo Road a tracannire birra Hot Piss e guardare la mia squadra del cuore che perde per l’ennesima volta, per l’ennesima partita. È così retrocessa, ormai, che hanno fatto un girone tutto per lei. Si mettono metà da una parte e metà dall’altra, l’allenatore finge di essere l’arbitro e – incredibile ma vero – riescono sempre a perdere. Tutte e due le mezze squadre. Nel senso che non segna nessuno ma si prendono cosi terribilosamente a sfracagnate sul muso che ne finisce un paio all’obitorio tutte le domeniche. Il mio cane non è mai in casa, per Natale. Ha scoperto che dal ramo paterno ha dei parenti nobili in Scozia, e così trascorre tutte le vacanze in questo spettacolare castello dove – lui dice – danno da mangiare ai cani molto meglio di quanto io abbia mai mangiato nel corso della mia lunga ma inutile vita di ippopotamo castrato. Leggo la lettera che mi scrive tracannendo la seconda cassa di Hot Piss. Ne compro sempre un centinaio di casse, per essere sicuro di stare bello sbronzo fino all’epifania e non accorgermi della felicità che è in giro. Non voglio più finire in gatta negra per aver tentato lo strangolamento di un bambino ridente. E a volte la sbronza non basta ad annullare le mie villeità criminatali. Solo tre giorni fa ho dovuto pagare un’ammenda di trecento dormodollari (n.d.r.: moneta in corso a Stankonia) per aver strappato una barba a un finto Babbo Natale in un grande magazzino ed essere fuggito a cavallo della sua renna sventolando la bianca peluria come un trofeo di caccia e stonando una versione tra il Punk e l’Heavy Metal di Silent Night. La multa, chiaramente, mi è stata aggroppata perché non avevo pagato i diritti di esecuzione in pubblico della canzone. Mia madre mi telefona e mi dice: - Io e papà pensavamo di farti gli auguri per telefono, così non ci vieni a trovare risparmiamo sul regalo. E poi , vabbé, anche perché non ti possiamo sopportare, come sai, e quindi non ti vorremmo vedere proprio per Natale… ci guasteresti la festa, capisci? - Non ti preoccupare per me, mammina, ho chi mi tiene compagnia anche qua. - Hai trovato una pazza che ti sopporta!? È down? - No, mamma, non ho nessuna donna. Parlavo della televisione e della birra. - AH! Meno male. Per un attimo ho temuto che tu molestassi una di quelle povere ragazzine sfortunate… Beh, buon Natale errore della mia vita. Spero che questa telefonata ti basti e tu non chiami più. - Io non vi chiamo mai, mammina. - Beh, comunque se tu fossi in punto di morte… beh, il coroner ci notificherebbe la notizia, perciò non chiamarci lo stesso. Risparmi. Ciao. So che mia madre fa così solo perché deve frenare l’emozione di sentirmi. Anche il mio fratellastro fa tanto il duro ma poi a Natale si ricorda di me. - Ciao Vinnie, come va? - Bene, Joe. Io sono qui a casa con quella ragazza di cui ti avevo parlato, Etta N’Tobellakeabbaglia. - Quell’afroamericana che posa per lo Skianto Journal? - Proprio lei. Volevo sapere come stavi tu… sempre televisione e birra, eh? - Già… - Sai, stavamo parlando di te, con Etta. Le dicevo: mio fratello è proprio come una tenia. È solitario, è un verme e sta in culo a tutti ah ah ah! Non è una bellissima battuta, Joe? Non è la fine del mondo? Ah ah ah! - Da ridere fino al sesto della Mercalli, Vinnie. - A proposito: stavolta c’hai messo un po’ più del solito, a rispondere. Speravo che ti fossi suicidato come tutta quella gente che si vede nei giornali: sono soli per le feste, capiscono essere delle nullità e che non possono neppure fare nulla per non esserlo… e la fanno finita. Perché non t’ammazzi anche tu, pallone di pus? Eppure la corda te l’ho regalata da tanto tempo, l’accendino e il cherosene anche… non hai che la scelta! Pensaci: tu vali molto meno di qualunque altro che io abbia mai visto o sentito suicidarsi! Ahahah… Riattacco. Mio fratello ce la mette tutta per farmi ridere. Sa che sono giù e mi vuole alzare il morale. Ma a volte ci prende troppo gusto e ride troppo. Riattacco perché so che gli fa male, ridere troppo. Però mi rendo conto di avere davvero un fratello dal cuore d’oro: è lì con una supermodella e pensa a me. Stappo un’altra Hot Piss e la trachenno. Rutto


fragorozzamente. Proprio un cuore d’oro. Già: come l’oro. Duro e freddo. Telefono alla mia donna, la fascinozza Donna Nonmale. Mi rispose la sua familiare segreteria: - Questa telefonata sta provenendo dal numero privato di Cosporco, Joe. Tutte le chiamate provenienti da questo numero sono automaticamente rigettate dal centralino, siamo spiacenti. L’ha messa su da tre, quattro mesi. Uno dei suoi soliti espedienti per fare colpo su di me, l’avevo capito subito. Non l’ha ancora tolta. Probabilmente un po’ vuole far colpo su di me, un po’ è frenata dal mio fascino irresistibile. Le faccio un po’ paura, la metto in soggezione. Povera pupattola. Prendo dallo scaffale un album fotografico. Lo sfoglio svogliosamente. A quattro anni mi rivedo mentre giocavo a guardie e ladri con mio fratello Vinnie. Lui faceva la guardia e io il ladro. Mi diceva che se non facevamo così le avrei prese, ma in realtà le prendevo lo stesso. Tutte le volte mi acciuffava, mi sfarfallava di scatolate, mi ammaccava il grugno con il suo fucile di legno e quando poi il fucile si spaccava a furia di rompermelo addosso lui andava dalla mamma e si lamentava che gli avevo rotto il fucile. Mia madre gli ricomprava il fucile, mi smarimetteva ulteriormente a colpi di scopa eppoi mi lasciava quattro o cinque giorni senza mangiare se la scopa mi si spaccava addosso a furia di sganassate. L’affetto fisico, è la cosa che sentito di più in famiglia quando ero piccolo. A otto anni Vinnie era il primo della classe e io l’ultimo, come sarebbe stato poi nel resto della vita. Mi facevo passare i compiti da lui e me li passava sbagliati apposta. La meastra lo sapeva, ma visto che le stavo sugli infragambe lasciava perdere. A ricreazione io avevo sempre la merenda più piccola e sfigata, perché la mamma

doveva preparare la merenda per mio fratello e non poteva perdere tempo con la mia. Nonostante questo Vinnie si mangiava sempre anche la mia. Come ho fatto a diventare grasso come un elefante gonfiato al compressore, non l’ho mai capito. Poi venne il college. A educazione fisica mi faceva sgambetto, in classe mi tirava i pallini bagnati di saliva, a scienze mi passava i bigliettini con le scritte osceniche e il professore me li beccava sempre in mano, a storia dell’arte mi bastonava con la riga, a musica con il flauto, a geografia con l’atlante. L’edizione con un’appendice di 200 pagine per gli aggiornamenti politici. Mio fratello Vinnie ha sempre pensato tanto a me. E nonostante questo è sempre rimasto il primo, e io ho sempre pensato così poco a lui, e sono sempre rimasto l’ultimo. Beh, come scusante devo dire che devono aver contribuito anche le craniale che lui faceva mi battere contro il paraurti della sua Jeep per far vedere alle ragazze che era davvero resistente. La Jeep. Ricordo che Babbo Natale arrivava sempre e solo per lui. Arrivava, faceva la sua risata babbonatalica e dava il sacco dei regali a Vinnie, dicendogli che era stato davvero buono. Il mio unico rapporto con quel vecchio pederasta di Babbo Natale fu che una volta uscendo dal camino inciampò su di me che mi ero messo a dormire sul tappeto del salotto per vederlo arrivare. Cadde a terra con tutti i suoi regali. Si rialzò e mi prese a calci urlandomi bestemmie in sei o sette lingue. Poi dette i regali a Vinnie, che nel frattempo rideva come una iena che guarda un film dei fratelli Marx, infine mi sputò addosso e andò via. Mi dissi: - Caro Babbo Natale… se ti ribecco da grande ti rompo quel grasso culo da surfista della slitta. Lui, come se mi avesse letto dentro, rispose: - Provaci e vedi che causa che ti fa la Coca Cola, stronzetto. Ad ogni modo è stato bene attento a non farsi ribeccare,

quel barbuto lottatore di sumo disoccupato. Ho deciso di andare a trovare la mia Donna. Sapevo che mi voleva, infondo. Così sono arrivato sotto casa sua e le ho suonato. Si è affacciata alla finestra e mi ha detto: - Cosporco, non posso credere che sei ancora tu! – si è girata verso la casa e ha chiamato – Amore, amore! C’è ancora quel vecchio lercio che mi perseguita, gli vai a dare una lezione, per favore? Da dentro casa una voce più tonante di mio rutto ha risposto: - Lo trito e torno, piccola. Dalla porta è uscito un macacantonio alto due metri e un botto e largo come un frigorifero. Ancora affacciata alla finestra Donna ha detto: - Ti presento il mio nuovo ragazzo, si chiama Danny Irreparabily e fa il lottatore di wrestling. Voglio stare alla finestra e vederti sfracellare come una mosca, laido mostro! Così, mentre Donna rideva come un pagliaccio in una nube di gas esilaroso, il macacantonio mi scantuffò di smanestri. Quando fui a terra mi prese a calci, poi mi sputò e andò via mentre la mia bionda diceva: - Ancora Danny, dài, ancora! E lui rispondeva: - Di più lo ammazzo. Non voglio andare in galera il giorno di Natale per colpa sua. - Hai ragione Danny, non se lo merita. Torna su, festeggiamo con un panettone Opuly. Mentre l’ambulanza mi portava via, l’unico pensiero che ebbi fu: “Preso a calci e sputi come da piccolo… come quando incontrai Babbo Natale… grazie, Donna: adesso è Natale!”. segui Joe -> https://www.facebook.com/joecosporco


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