Il Mare Eco del Golfo Tigullio 7/2012

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Fondato nel 1908

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o Anno V - settembre 2012 • Direttore responsabile: Emilio Carta

€1,00

O giornale o l'é comme l'äze, quello che ti ghe metti o porta Il giornale è come l'asino, quello che ci metti, porta (Antico proverbio genovese)

RIO S.FRANCESCO E VIA BETTI • Copertura: una bomba innescata • Quando il cemento sfiorò il torrente • Il Fossato di Monti

GIOVANI • Una vita „bevuta‰ • Young Night • I giovani siamo noi

RIFIUTI La città è sporca

FILO SPINATO Heichmann sostò a Genova

MONTALLEGRO IL MARE è consultabile anche on line sul sito

Un tram in mano ai vandali

www.marenostrumrapallo.it

ANNIVERSARI Ezra Pound fra le spie

S.MARIA DEL CAMPO La chiesa è tornata a risplendere

UN SALUTO Associazione Culturale

Caroggio Drito

Gabriele Roncagliolo ci ha lasciato Associazione Culturale


Si è spento il lume di Gabriele Roncagliolo di Emilio Carta

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

IL MARE

Mensile di informazione Anno V - settembre 2012

€ 1,00

Edito da: Azienda Grafica Busco Editrice Rapallo - via A. Volta 35,39 rapallonotizie@libero.it tel. 0185273647 - fax 0185 235610 Autorizzazione tribunale di Chiavari n. 3/08 R. Stampa Direttore responsabile: Emilio Carta Redazione: Carlo Gatti - Benedetta Magri Daniele Roncagliolo Hanno collaborato a questo numero: M. Bacigalupo - R. Bagnasco - P. Bellosta P.L. Benatti - A. Bertollo - R. Carta P. Burzi - S. Gambèri Gallo - C. Gatti E. Lavagno Canacari - B. Magri B. Mancini - M. Mancini - I. Nidasio A. Noziglia - D. Pertusati - L. Rainusso D. Roncagliolo - V. Temperini Ottimizzazione grafica: Valentina Campodonico - Ivano Romanò Fotografie: Toni Carta Fabio Piumetti Archivio Azienda Grafica Busco La collaborazione a Rapallo Notizie è gratuita e ad invito

IN QUESTO NUMERO: 2 3 S.Francesco, bomba innescata di D. Roncagliolo 4/5 Il cemento sfiorò il torrente di M. Mancini 6/7 Il Fossato di Monti di P. Benatti 8 Alcool, problema sempre più forte di E. L. Canacari 9 Rapallo è giovane di B. Magri 10 I giovani siamo noi di R. Bagnasco 11 I giovani siamo noi di R. Bagnasco 11 A Santa PUC e polemiche di P. Bellosta 12 Il soggiorno di Heichmann di R. Bagnasco 13 Lʼultimo viaggio della Sestriere di C. Gatti 14/15 Ezra Pound fra le spie di M. Bacigalupo 16 Menhir in mare di E. Carta 17 Tram e vandali di E. Carta 18 S.Maria: la chiesa torna a splendere di A. Noziglia 19 Come eravamo di B. Mancini 20 Quo vadis? Rea Palus di I. Nidasio 21 Lʼitaliano si perde di R. Carta 21 Lʼarte nellʼardesia di P. Burzi 22 Amarcord: cʼè nonna e nonna di E. Gambèri Gallo 23 Lʼabito non fa il monaco di D. Pertusati 24/25 La rivolta dei “Viva Maria” di A. Bertollo 26/27 Viaggiare: la rivolta dei garofani/1 di V. Temperini 28 Cinema in diagonale di L. Rainusso 29 Lettere e notizie 30/31 Ciao Gabriele di E. Carta

La città è sempre più sporca di E. Carta

È

sempre difficile parlare di un amico che ci ha lasciato per sempre. Si rischia di cadere nell’ovvietà, di parlarsi addosso, di banalizzare i ricordi. Eppure Gabriele Roncagliolo, col quale ho collaborato per tre lustri – lui da assessore al Turismo, io da funzionario ed amico fraterno – ha avuto un pregio oggi misconosciuto ai più: ha reinventato il Turismo rapallese. A dirla così pare una frase grossolana ma la verità, piaccia o non piaccia ai Soloni di oggi, è quella. Sì, perché negli anni Ottanta i mesi estivi, se si eccettuano le feste “di luglio”, alle quali peraltro Lele era attaccatissimo come una patella allo scoglio, erano di rigoroso letargo. “Tanto tutto è dovuto, come la il Sole precede la Luna” dicevano gli addetti lavori ancorati ancora alla logica del sole e mare senza capire che il tempo delle vacche grasse era ormai materiale da museo. Così, mettendoci la faccia e tra uno sbuffo di fumo da quella pipa sempre accesa, tra lo scetticismo dei suoi stessi compagni di maggioranza, che lo aspettavano col fucile spianato e l'ostilità della maggior parte degli albergatori e degli esercenti del lungomare, aveva deciso che il “salotto buono” dei rapallesi la sera doveva essere chiuso al traffico veicolare. Un'intuizione la sua che oggi appare come la scoperta dell'acqua calda. Ma non fu così. Infatti scoppiò una mezza rivoluzione con gli operatori degli esercizi pubblici che, dissotterrata l'ascia di guerra, lo attaccarono in tutti i modi. Ma , anche se poi mi confessò di aver perso a lungo il sonno per la tensione, lui tenne duro. Non solo. Aggiunse che quella cornice di palme e aiole andava colmata proponendo spettacoli musicali e di intrattenimento, consentendo ai bar di espandersi con i tavolini sull'asfalto. Nacque così il Palco sul mare e iniziarono le prime sperimentazioni di intrattenimento. Via le “sardomobili”con i loro puzzolenti tubi di scarico, sì alle corse dei bambini, alle “vasche” a 360 gradi consentendo a tutti, rapallesi e ospiti, di riappropriarsi di un territorio restituendolo finalmente ad un'accettabile “misura d'uomo”. Alla fine, insomma, l'aveva avuta vinta lui, quel sorridente testone di Santa Maria tanto che un giorno mi confidò che Giorgio Selvatici, allora titolare del bar Mazzini ed uno dei più acerrimi nemici del lungomare pedona-

lizzato, alla fine gli aveva chiesto scusa cospargendosi, a modo suo s'intende, il capo di cenere. Ma Gabriele Roncagliolo aveva per la testa cento idee: smorzò e fece sua la rivalità tra Rapallo e Santa Margherita unendo sotto il simbolo del Marghepallo - assieme a Luciano Bottaro e a Carlo Chendi - le due città con la nascita del Carnevale dei piccoli e delle sfilate con i carri in entrambe le cittadine. Poi fece risorgere dalle ceneri nelle quali pareva essere irrimediabilmente sepolta la Mostra Internazionale dei Cartoonists ridandole la vita grazie alla preziosa disponibilità di Luciano Bottaro. Se vogliamo andare ancora avanti, sull'onda dei ricordi emozionali, passiamo alla nascita del Consorzio Portofino Coast e alle prime partecipazioni alla BIT, la Borsa Internazionale del Turismo. Mi fermo qui. Per decenza. Anche perché alcune di quelle manifestazioni, come spesso succede, col tempo hanno cambiato ideatori e fondatori. O presunti tali. Ma, si sa, l'idea vincente ha cento padri ma quella perdente è figlia di nessuno. Lui, parlandone a bocce ormai ferme da anni, a quei ricordi mi sorrideva ma sotto quella corteccia di imperturbabilità, nascosta dalla barba nascondeva un po' d'amarezza. Ecco questo è stato Gabriele Roncagliolo, al di là delle frasi fatte, trite e ritrite sul buonismo delle persone. Quando ad un certo punto la signora in nero, abito lungo e falce, decide di portarti via non c'è nulla da fare. Così, in meno di un mese, il lume si è spento ma il ricordo di una persona per bene rimane. Lo definirei un uomo d'altri tempi, di quelli che per siglare un accordo ti guardavano fisso negli occhi e ti stringevano la mano. Ora sono io a cadere nel banale. Basta così.


AMBIENTE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Emilio CARTA

RUMENTA

Un’estate da dimenticare con la città più sporca che mai Non sono servite le minacce di pesanti sanzioni né le telecamere mobili quali deterrenti apallo nei mesi scorsi ha triplicato le presenze. Soprattutto grazie all'apertura delle seconde case. Ma molti evidentemente, non conoscevano le regole della “differenziata” e della convivenza civile. Così gli oggetti ingombranti abbandonati in periferia ma anche nel cuore della città si sono decuplicati. Troppa gente mostra colpevolmente di non avere alcun senso civico ma l''Amministrazione comunale, che poneva come priorità la pulizia, ha perso una buona occasione per una sterzata decisiva. In via Don Minzoni – ma la situazione ad agosto non era certo diversa né a San Massimo né a Santa Maria del Campo o in altre frazioni – numerosi televisori abbandonati accanto ai contenitori sono rimasti lì per un paio di setti-

R

L’assessore ogni mattina berrà un bicchier d’acqua per dimostrarne la purezza!

mane così come stufette e pezzi di mobilio. “Ma gli addetti allo svuotamento dei cassonetti non potevano segnalare quelle sconcezze alla squadra adibita al servizio del ritiro ingombranti?” - racconta un pensionato inviperito - Anch'io ho notato quei vecchi televisori. Mi pare evidente che chi ha riaperto la casa ad agosto si è poi sbarazzato di quei teleschermi ormai superati dalla tecnologia. Sarebbe il caso di apporre degli adesivi sui vari cassonetti della differenziata con la scritta a caratteri cubitali del numero di telefono cui rivolgersi per il ritiro degli oggetti ingombranti”. Invece di porre l'accento sul controllo dei trasgressori minacciando severe multe, una scelta che a molti è parsa di vago sapore vessatorio, in vista dell'estate forse

Arriva il depuratore Così avremo un assessore nuovo al giorno!

di Pietro Ardito & C.

sarebbe stata più opportuna campagna di sensibilizzazione domiciliare per illustrare agli ospiti come comportarsi per riversare in modo corretto nei contenitori sia gli scarti della differenziata sia per depositare gli oggetti ingombranti. Si fa un gran parlare delle 107 telecamere installate, oltre a quelle mobili da posizionare nei punti di maggior sofferenza. Ma sono veramente attive e tali da fare di Rapallo il caveau del Tigullio? Il comando dei vigili è stato dotato dei due locali previsti col relativo personale? Domande apparentemente oziose ma, finalmente,

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come avevamo più volte richiesto al vecchio assessore, sono state eliminate quelle masse rugginose, un tempo giallo-verdi e sino a ieri un’autentica schifezza, chiamate Sos Beghelli che, tra l’altro, non funzionava da anni. Chi non ricorda quelle brutture rimaste lì per anni di fronte all'ingresso dei Bagni Molo o all'ingresso del parco Emilio De Martino? Pulizia e decoro urbano avranno ben un padre in questa città dove da decenni una scritta ormai illeggibile come “Antichi portici medievali” adorna, si fa per dire, piazza Garibaldi.


OPERE PUBBLICHE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Daniele RONCAGLIOLO danironca@hotmail.it

IDRAULICA

S. Francesco e copertura, una bomba innescata I numeri fanno pensare ad un difficile smaltimento delle acque piovane. Il cemento non copre più il ferro della copertura e numerose giornate di sole agostane con il passaggio di Lucifero non fanno dimenticare la pericolosa situazione del torrente San Francesco. Nello scorso numero avevamo trattato il problema da un punto di vista storico, con gli interventi progettati parzialmente e mai andati a buon fine. Questa volta, con l’aiuto di Massimo Pernigotti, ex consigliere provinciale e presidente della commissione edilizia, “diamo i numeri”. Perché la situazione, in vista dell’autunno e del ricordo di quanto avvenuto a pochi chilometri da noi, preoccupa non poco. Il torrente San Francesco porta a valle l’acqua di un’area pari a 6 km quadrati. La sezione del corso d’acqua a monte del ponte della Ferrovia è pari a circa 12 mt x 2,5 mt di altezza; il ponte ferroviario è costituito da mattoni pieni ed è ad arco ribassato, largo 12 mt e alto 3,7 mt. Immediatamente a valle dell’attraversamento ferroviario è

L

ubicata una briglia in calcestruzzo con un salto di 0,5 mt. Dopo un breve tratto a cielo aperto di 12 mt ha inizio la parte coperta su via Milite Ignoto che va sino allo sbocco a mare davanti al Castello. Nella copertura in cemento armato a valle del tratto a tre fornici è ancora oggi inglobato il ponte vecchio dell’Aurelia costituito di pietre e mattoni, a tre campate, di larghezza 7 mt ognuna; la luce libera di deflusso alla sommità è pari a 2,1 mt e la larghezza delle pile (i pilastri del ponte) è di 1,2 mt ciascuno. Lungo il primo tratto coperto su via Milite Ignoto, sono presenti due canali scolmatori che si sviluppano esternamente al canale principale su entrambe le sponde: 2,5 x 1,3 mt e 3,6 x 1 mt la misura delle sezioni. Oggi, da un punto di vista idraulico, la massima portata smaltibile a pelo libero con franco nullo rispetto all’intradosso della copertura è di circa 70 metri cubi

Imbocco copertura su via Milite Ignoto

Volta ponte ferroviario e sullo sfondo imbocco copertura su via Milite Ignoto

Il San Francesco nella zona più a monte

al secondo. Ossia il torrente San Francesco non è in grado di smaltire la piena con tempo di ritorno cinquantennale, che è di 136 metri cubi al secondo, e il rigurgito all’imbocco del tratto coperto ha la possibilità di espandersi in tutta l’area del nucleo abitato a valle. In caso di portata duecentennale tutto l’intero tratto coperto verrebbe messo in pressione e l’acqua salirebbe oltre il piano viabile di circa 1,8 mt (ossia prossimo alla volta del ponte ferroviario). Questo a causa della sezione coperta, dei canali scolmatori insufficienti e della mancanza di pendenze per il deflusso rapido

fino al Castello. Nel tratto a monte di via Betti, inoltre, le arginature troppo basse determinano esondazioni già con piena cinquantennale, poiché non è presente un muro d’argine, in quanto esso finisce con la quota stradale; in alcuni casi i muri di sponda del torrente non sono compatibili con la protezione idraulica (muri in pietra o terra); la presenza di ponti con pile centrali non fa che aggravare tale situazione. Il piano di bacino sottolinea la pericolosità del corso d’acqua. Per quanto riguarda la copertura “è suggerito il rifacimento della soletta di copertura con eliminazione dei restringimenti interni (vecchio ponte e


Ph: Toni Carta

archi) dal momento che la tombinatura risulta essere gravemente

insufficiente al deflusso della portata cinquantennale”. Per il tratto

adiacente a via Betti “la strada esistente in sponda destra è totalmente sprovvista di parapetti d’argine: essendo la quota del piano viabile poco superiore a quella del fondo alveo del San Francesco (in qualche caso 1.50 mt) si raccomanda la costruzione di un parapetto chiuso che possa almeno contenere le piene più frequenti. È suggerita una ricalibrazione della pendenza dell’alveo che potrebbe ottenersi eliminando una briglia esistente. Si ravvisa inoltre la necessità di diminuire drasticamente il nu-

mero di passerelle e ricostruirle con impalcati più snelli e senza opere di sostegno intermedio”. La copertura di via Milite Ignoto potrebbe dunque portare, in caso di piogge torrenziali, a una situazione simile a quanto accaduto a Vernazza; i dati dimostrano come la copertura, oltre che fortemente degradata, non sia sufficiente da un punto di vista idraulico al deflusso di una piena cinquantennale. Tanti numeri e termini tecnici e una certezza: la messa in sicurezza del San Francesco non può più attendere.

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RICORDO O SOGNO? QUANDO... E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

di Mauro MANCINI

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VIA BETTI

Quarant’anni fa il cemento sfiorò il torrente Alcuni miei amici che da anni ormai leggono questa mia rubrica ”Ricordo o sogno ?” la definiscono ’fuga-rifugio nel tempo che fu’, anche se in realtà ne sono con me partecipi. Questa volta tornerò indietro nel tempo di ’soli’ quarant’anni per evidenziare una situazione attuale e abbastanza preoccupante per la nostra Rapallo. Mi ha stimolato l’interessante articolo del mese scorso di Daniele Roncagliolo ”Torrente S.Francesco e copertura, un pericolo latente”. uarant’anni orsono, appunto, si costituiva a Rapallo in via Betti il primo Comitato spontaneo di Quartiere, una zona che i giornali del tempo definivano ”esempio di crimine urbanistico”. Esso si occupò dei problemi di viabilità, di strutture scolastiche, di vari servizi pubblici, di tutte le necessità di un vivere decente. Il simbolo del comitato di quartiere A peggiorare questa situazione l’Amministrazione Comu- gettazione per la copertura nale pensò bene di incaricare del torrente San Francesco dal l’ingegnere Cecchini alla pro- ponte della funivia al ponte Pe-

Q

La sagoma in cartone riproduceva le dimensioni della copertura di fronte all’attuale numero civico n° 193 di via Betti

rotti; uno scatolone in cemento armato che avrebbe raggiunto nel punto più alto metri 1,50

più 70 centimetri di fioriera sopra il livello di via Betti. Il Comitato si oppose e con foto

Un fotomontaggio “di quei tempi, forbici e colla”; lo scempio davanti a via Lazzerini

da Mario

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Era poi così male?

montaggi e sagome in cartone tradusse visivamente quel pasticcio che avrebbe potuto,

oltre allo straripare delle acque, anche creare una mutazione nel micro-clima; un

qualcosa che oggi ci fa pensare al Fereggiano e a Monterosso.

E’ a questo punto che torniamo ai giorni nostri: infatti l’ingegnere Cecchini così si espresse al riguardo dell’allora stato della copertura già esistente dal ponte ferroviario alla foce: ”Vanno pure tenute presenti le indicate precarie condizioni di staticità di tutta la copertura alla foce, oltre alle sue modalità di esecuzione a travi trasversali sporgenti; in effetti, nel corso di più ispezioni condotte ad altri scopi in questi ultimi anni, si è rilevato che vaste aree dell’intradosso di quel solettone risultano mancanti del calcestruzzo a copriferro ed il ferro stesso corrispondente è quasi scomparso per la ruggine. Ancora, esaurito il deflusso di una recente piena vennero estratti da sotto la copertura diversi alberi interi portati dalle acque ed incastratisi contro le travi trasversali”. Questa volta non posso chiedermi se :” Ricordo o sogno ?”; la pratica è la numero 1404 del 1972 . E questo è l’oggi.


TRADIZIONI

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di Pier Luigi BENATTI

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

STORIA LOCALE

Il Fossato di Monti R inserrato dal rilevato della linea ferrata, valicabile solo per gli angusti sottopassi, il rione “U Fossou de Monti” viveva allora in uno splendido isolamento agreste ed era costituito da una manciata di case sull’argine destro del torrente che in antico si chiamava “Memo” e, dopo la fondazione nel 1558 della chiesa e convento di San Francesco, assunse il nome del Poverello d’Assisi. Noi ragazzetti di Cerisola bassa, negli anni Trenta invidiavamo ai coetanei di quel quartiere le baracchette che potevano agevolmente costruire nel greto con pietrami ed altri materiali di recupero e poco mancò che scrivessimo una vivace pagina degna de “I ragazzi della via Paal” di F. Molnar quando, alleati con la forte banda della “Ciassetta”, architettammo una spedizione per impadronirci di questo agognato castello. Prevalse fortunatamente la prudenza e ci si orientò ancora una volta alla raccolta di ferro, stracci e bottiglie da trsformare presso il “ru-

scin” in qualche moneta destinata all’acquisto di “furgai” e “scuridonne”. Il collegio Peirano faceva da sentinella all’imbocco della via Maggiocco, alberata e polverosa, che conduceva sino al ponte presso l’antico portale d’accesso alla vastissima proprietà dei Molfino-Assereto. A due passi, dal 1934, operava la stazione a valle della funivia per Montallegro e si trovavano i cancelli del bosco ove si andava per castagne e per il muschio destinato al presepe. L’altro accesso, da corso Assereto, saliva tra il muro dello scalo e quello imponente di Villa Andrea e consentiva subito di incontrare qualche bottega artigianale, l’osteria, la ruota cigolante del mulino, e anche un carrozzone da circo radicato definitivamente presso un’abitazione nel 1936. In quello stesso anno per il 24 maggio venne intitolata al tenente Alfredo Betti, caduto in Africa orientale, e nel 1941 poi verrà aggiunto il nome del fratello Achille, anch’egli morto per la patria in terra etiopica.

Il portale della proprietà Molfino dopo i restauri degli anni Ottanta

Non mancavano sulle pareti delle case, le immagini della Vergine come a ricordare che da questa strada, dal 1932, il Santuario di Montallegro era raggiungibile con la carrozzabile. Intorno c’era la campagna, contrappuntata di cipressi, gli orti recintati, i cascinali, il pozzo con la “sigogna”, qualche vigna, le rogge per portar l’acqua al frantoio e gli ulivi sulle colline. Una nota non del tutto armonica era costituita dall’edificio disadorno e privo di persiane eretto nel 1930 per dare asilo a famiglie bisognose in permuta della costruzione che fin dal 1885 i coniugi Giambattista Pellerano e Rita Murtula avevano a tale scopo realizzata in via Regina Elena (ora corso Matteotti) e che si volle demolire per la sistemazione edilizia della città come si indicò su di una lapide, ma anche

per consentire un’operazione edilizia non poco vantaggiosa per qualcuno. Un indiretto sintomo di quella “febbre speculativa” che investirà, dagli anni Sessanta, l’intero rione con sorgere di decine e decine di enormi caseggiati anche sugli argini di quel Fossato che, da San Maurizio di Monti placidamente nel verde, si distendeva fino al mare. Gli altissimi pilastri del viadotto autostradale sovrastanti l’abitato completarono la “plastica” al quartiere rendendolo irriconoscibile. Ora, nel greto e in qualche pozza d’acqua, si sono sistemate le oche e qualche anatra, assumendosi il duro compito, nel frastuono del traffico congestionato da mille problemi, di ricordare il silenzio, al di là del gracidio delle rane, di un tempo e il fascino del paesaggio ligure travolto dal cemento.

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SOCIETÀ/1 E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Elena LAVAGNO CANACARI

EQUILIBRI

Una vita bevuta. Per i giovani, un problema emergente L’aumento dei consumi di alcool è un fenomeno dilagante e insieme disperante na vita bevuta”. Così un noto quotidiano titolava in questi giorni la cronaca, triste ed impietosa, di una notte di “sballo” giovanile fatto di alcool e di miscele varie, di ricoveri al Pronto Soccorso per coma etilico, di risse e danneggiamenti. Non è una esagerazione od un episodio sporadico quello che riporta la cronaca, ma una realtà che non possiamo più ignorare o fingere che non ci riguardi e che rischia di diventare, se non lo è addirittura già, un problema sociale. Il Ministero della Salute ha più volte messo in guardia istituzioni e famiglie sui pericoli rappresentati dall’alcool assunto dai giovani e molto spesso anche da adolescenti, specie se in contemporanea con droghe e bevande energizzanti. L’ultima moda tra i giovani, che spopola in questa torrida estate, sono i cocktail a base di alcool e di energy drink, che si stanno diffondendo ovunque e sono acquistabili anche online. Sono drink che hanno nomi invitanti, colori accesi ed un sapore dolce che ben si sposa al gusto dell’alcool. Ma queste sostanze, se pure in carattere con la personalità effervescente dei giovani, la spensieratezza della loro età e le tentazioni estive, hanno, come altra faccia della medaglia, una caratteristica inquietante: FANNO MALE e se assunte in maniera sconsiderata, possono causare gravi danni, limitando fortemente i riflessi e le capacità di reazione dell’organismo. L’abuso di alcool è talmente frequente tra i giovani, da diventare ancora più pericoloso del consumo di cocaina. Le statistiche affermano che in Europa il venticinque per cento delle morti tra i giovani è in qualche modo collegato al consumo irresponsabile di alcool, visto anche come causa di gravi incidenti stradali, oltre che primo fattore di rischio di invalidità, mortalità prematura e malattia cronica. Nei giovanissimi, poi, i danni dell’alcool sono ancora più rilevanti per la salute, trattandosi di organismi in fase di crescita. L’alcool infatti, appena ingerito, si diffonde con grande rapidità in tutti gli organi del corpo e,

“U

se diventa un’abitudine, può portare danni al sistema nervoso e causare cirrosi, tumori, gastriti, alterazioni della personalità. Anche nel nostro Tigullio, come riferiscono fonti attendibili, è in aumento il consumo di bevande alcoliche tra i giovani e mentre fino a qualche anno fa gli alcolici venivano assunti quasi esclusivamente dai maschi, oggi può capitare di vedere sia ragazze che ragazzi ubriachi: un ben triste spettacolo di degrado morale e fisico e di rinuncia alla propria dignità di persona, ed un altrettanto triste traguardo di parità tra i sessi ! Ma quale è la causa scatenante che spinge questi nostri giovani allo “sballo “ da alcool? Alcuni esperti di problematiche giovanili parlano di grande fragilità psicologica delle nuove generazioni che, specie in questa nostra epoca caratterizzata da una grande crisi di valori economici ed etici, vedono il loro futuro senza prospettive e senza certezze e quindi l’alcool costituisce un “anestetico “ ad una vita senza promesse e senza passioni. Altri sono convinti che il giovane comincia a bere soprattutto nei momenti di euforia e/o di noia e questo percorso, pensano in molti, è la costante di tante situazioni di abuso, non solo di bevande alcoliche, ma anche di sostanze stupefacenti. I media, poi, con la loro pubblicità martellante, inducono a considerare il bere come esperienza di vita, di libertà, di ebbrezza da gioventù, ed il marketing delle industrie che producono le bevande che piacciono ai giovani, considerano questi un target di eccellenza. Cosa deve fare la famiglia? Il ruolo della famiglia in questo contesto è senz’altro determinante , in particolare quando si parla di ragazzi giovanissimi. E’ infatti la famiglia che deve vigilare attentamente sul comportamento dei figli, per essere in grado di cogliere i primi segni di quella che potrebbe diventare un’abitudine molto pericolosa: l’assunzione di alcool. A questo scopo il compito primario dei familiari è quello di mantenere

aperto un dialogo costante con i loro giovani per conoscerne le amicizie e le abitudini, senza essere troppo inquisitori ma senza tralasciare alcun particolare, anche minimo, che possa essere indizio di un processo di devianza in itinere. Nell’ipotesi che la famiglia venga a conoscenza di assunzione di alcolici da parte dei figli con una certa frequenza, giornaliera o settimanale, è necessario chiedere l’aiuto di un esperto. Per trovare il centro specialistico più adatto , basta rivolgersi alla propria ASL o agli Uffici della Regione che si occupano di tossicodipendenza, per prendere gli opportuni contatti, senza perdere tempo . E’ noto che, in certe serate di “sballo“ molti ragazzi finiscono al Pronto Soccorso. Il fatto viene quasi sempre tenuto sotto silenzio, in quanto giustamente le famiglie hanno il diritto di mantenere la loro privacy. Questo però non deve indurre ad abbassare la guardia, perché anche un fatto occasionale può essere la spia di un disagio da studiare attentamente e da tenere sotto controllo. Anche la scuola deve assumersi le sue responsabilità Qualche ragazzo racconta che è proprio nell’ambiente della scuola che a volte vengono fatte le prime esperienze alcoliche - per diverti-

mento, per emulazione, per alterare le proprie sensazioni, per sentirsi più forti e dominare gli altri, oppure per nascondere carenze scolastiche - . Fatti che il più delle volte sono semplici bravate che passano inosservate. Ma un insegnante scrupoloso non può non rilevare qualche anomalia nel comportamento di questi ragazzi, anomalia che deve essere segnalata subito alla famiglia per il necessario approfondimento. Anche questo dovrebbe essere il compito educativo della scuola, che non si deve limitare ad insegnare le materie ministeriali, ma deve contribuire alla formazione dei giovani, nostra unica risorsa per il futuro e per la nostra speranza di sopravvivenza. Occorre dunque una sinergia di forze per dire stop all’alcool tra i giovani , per arginare un fenomeno che rischia di avere forti implicazioni di carattere sociale, sanitario ed umano per le conseguenze che determina. Occorre arginare l’influsso di chi specula sulla fragilità della gioventù e sulla precarietà dei nostri tempi, per inculcare nei nostri ragazzi falsi modelli di vita che li possono rendere schiavi di paradisi artificiali dietro ai quali c’è il vuoto assoluto. Questo è anche il compito delle Istituzioni e della società.


SOCIETÀ/2 E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Benedetta MAGRI

ESTATE

Alberto Romano

Rapallo è giovane Una “Young night” dimostra che la popolazione ha voglia di divertirsi. Basta dargliene l’occasione

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ifficile da credersi, ma il 12 agosto 2012 passeggiando per le strade di Rapallo si aveva la sensazione di essere in una città giovane. C’erano giovani d’età e giovani di spirito, scesi in strada, magari approfittando per cenare in qualche locale nella zona pedonale. Tutto ciò in occasione della così battezzata “Young Night” che, rimanendo in un contesto linguistico locale, sarebbe definita “nêutte zûaena” o, per far comprendere a tutti, “Notte giovane”. Si è trattato di un evento articolato, con diversi punti di interesse all’interno della città e che ha coperto la serata a partire dalle ore 19.30. Questa “Notte bianca” è stata fortemente voluta dal Sindaco Giorgio Costa e dal consigliere Gambèro in collaborazione con La Perla del Tigullio Teatro. Sembra che nell’organizzazione tutto sia svolto al meglio, promuovendo un’interazione tra l’ufficio Turismo e le persone prima citate. La Perla del Tigullio Teatro è un gruppo composto da giovani guidati da Viola Villa, classe ’80, che ha aperto la serata, con Andrea Roncagliolo

un’ apericena con Delitto Fashion Victim ambientata nella cornice di piazza Cavour, della durata di circa 2 ore. Questo tipo di performance, ormai molto in voga, è basata su una vena comica e una forte attenzione a coinvolgere il pubblico. Aspetto riuscito in pieno per Viola e Irene Villa, Andrea Benfante e Tommaso Cosseta. La gente poi ha potuto concedersi una pausa per visitare i ristoranti intorno, che finalmente hanno usufruito del plateatico e addirittura hanno sforato di qualche metro per non rifiutare i clienti. Invece, dalle 21 è iniziata la parte strettamente musicale dell’evento: presso il Parco Canessa si sono esibiti i ragazzi del Beer‘Art’Rock Festival, che si esibiscono tutti i martedì sera. A riguardo ho notato che la pagina facebook di questi ragazzi è molto seguita e i loro spettacoli, naturalmente in stile rock, sono molto apprezzati, perché hanno la capacità di far ballare e divertire. Il cartellone della serata era talmente ricco da presentare, di fianco al rock, il rap interpretato da Luca Sciamanna, in arte Mc Oro dei Gigaflow in Piazza Venezia, e la chitarra live di Marco Zoccheddu, non più troppo giovane (era un componente dei New Trolls), presso il parco Emilio De Martino, fino alla disco anni ’70 dalle ore 23 con May Day. In realtà, il momento più importante della serata è stato il “Talent Show”, nato con prerogative ben diverse da quelle dei talent show televisivi. Si è trattato di un’esibizione di ragazzi giovanissimi, protagonisti del canto o della danza. La selezione degli artisti non è avvenuta tramite un bando di concorso, bensí sembra, dalle risposte ambigue ricevute, che sia avvenuta attraverso conoscenze. A questo punto mi appariva si trattasse del solito atteggiamento nepotista italiano,

ma poi ho avuto modo di parlare con alcuni organizzatori che mi hanno spiegato che si sono basati sui curricula dei gruppi e dei singoli partecipanti. A mio parere sarebbe stato più corretto pubblicare un bando di concorso, ampliando le possibilità di partecipazione anche a giovani emergenti e meno conosciuti ai piani alti locali o all’organizzazione… Nonostante questa critica poco giornalistica, non posso esimermi dal dire che Elena Ventura, Alberto Romano, Andrea Roncagliolo, Mitia, il Gruppo Floetic e la crew Bloomyc sono stati tutti bravi e con dei numeri da giocarsi, certo ancora con tanti aspetti da perfezionare, ma talentuosi. Elena Ventura, rapallese, con un abito in stile Beyonce e un sorriso accattivante, ha proposto un repertorio da Mia Martini a Rebecca Ferguson, con una delle hit dell’estate, per poi concludere con un medley dei Ricchi e Poveri. La sua apertura ha subito scaldato il pubblico, che, a onor del vero, creava un ingorgo abbastanza consistente all’interno della zona antistante al palco, di fronte al Chiosco della musica. Subito dopo, Viola Villa, che ha anche presentato la serata, ha introdotto il pubblico al mondo hip-hop, con una digressione quasi eccessiva, dato che poi sono saliti sul palco i Floetic e la crew Bloomyc, di cui Ombretta Ravera cura le coreografie. Entrambi i gruppi vantano partecipazioni a eventi di calibro nazionale e le ragazze della crew Floetic sono

anche salite sul palco di Italia’s Got Talent. Le loro coreografie sono caratterizzate da una tendenza all’unione tra gli aspetti base della cultura hip-hop ad alcuni temi prettamente europei. Non si nega l’abbigliamento classico, ma la potenza espressiva di questi due gruppi non sta nel trucco a volto bianco e labbra nere della particolare interpretazione Drama, ma nel divertimento che trasuda dai giovanissimi Bloomyc, ad esempio. È giunto poi il momento di Alberto Romano, 19 anni, rapallese catapultato a noi dagli anni ’70-’80 che ha fatto il suo debutto proprio durante la Notte Giovane. Le canzoni scelte erano tutte molto impegnate e le ha interpretate senza base, accompagnato dalla sua sola chitarra. È stato molto apprezzato e ha avuto un’ ottima presa sulla platea, nonostante si percepisse il fatto che cantasse per un suo piacere, con passione, non per far colpo sulla gente e questo gli ha fatto perdonare anche la scelta di canzoni solo in lingua straniera e quindi un pelo penalizzanti. Infine è stato il momento di Andrea Roncagliolo e Mitia. Il primo ha la voce del cantautore italiano di tipo melodico e sicuramente a soli 16 anni è dotato di una tecnica degna di nota, mentre il secondo ha avuto una resa molto interessante, nonostante non fosse stato messo in cartellone e il suo nome sui manifesti non sia mai apparso.

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SOCIETÀ/3 E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Renzo BAGNASCO

AUTUNNO

I nostri giovani... siamo noi ndubbiamente i nostri figli stanno vivendo un periodo delicatissimo, che avrà ripercussioni sulla loro maturazione futura. Uno su tre non ha lavoro. Per cercare di meglio capirli, comincerei, una volta tanto, ad esaminare il comportamento di noi genitori che dovremmo prepararli ….. alla vita, non solo mantenerli …. in vita. Leggo su un settimanale molto diffuso e seguito, la lettera che la cantante Orietta Berti, rende pubblica perché arrivi al figlio che, da quanto si capisce, vive per conto suo fuori casa, anche se “quotidianamente mi viene a trovare”. La famiglia vive nelle terre emiliane soggette al terremoto. La cara Orietta giustifica la lettera ‘aperta’ al figlio con il fatto che quando cala la sera, a lei prende l’angoscia delle “scosse” e vorrebbe che tutta la famiglia le fosse attorno per permetterle di dormire tranquilla. E’ quanto meno singolare che per combattere una sua fobia, si rivolga ‘pubblicamente’ al figlio, attraverso un settimanale, visto che come lei stessa afferma, lo vede tutti i giorni. Speriamo che il figlio, dal nome esotico, resista e continui a star fuori (si badi bene: non è in mezzo ad una strada. Ha un suo appartamento) così che la madre impari a vivere, senza egoisticamente perseguitare quel povero ragazzo che tenta i primi passi da solo. Posso intuire che l’appartamento non sia il frutto dei suoi quotidiani risparmi ma, vivaddio, già che tende alla libertà, lasciamolo fare. Voi direte: Orietta Berti se lo può permettere anche se, con il non lasciarlo andare, sta condizionando la vita del figlio. E noi cosa facciamo? Se il nostro ragazzino prende dei brutti voti a scuola, non gli diamo dei salutari scapaccioni ma anzi andiamo dai Responsabili dell’Istituto a chiedere la testa dell’Insegnante ; se non ascoltati, gli in-

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viamo l’Avvocato e pretendiamo controllare se gli altri meritavano di essere premiati più del nostro. Non se hanno studiato di più; semplicemente, anche se non presenti in classe, giudichiamo troppo compiacenti gli insegnanti nei confronti di chi supera nei voti nostro figlio. Ma il vero colpevole neppure ci sfiora per il cervello di cercare di capire se proprio non sia quello che stiamo allevando ad abiti firmati, zainetti d’autore, merendine super alimentanti, playstation dipendente ed eternamente davanti ad Internet. E non parliamo del danno devastante che producono i genitori separati. Del figlio non frega niente a nessuno; prima viene la loro personale soddisfazione. Non possono aspettare, prima di sfasciarsi, che lui si sia un po’ più formato. No! La loro egoistica felicità, deve prevalere. Al ragazzino disorientato e privo di quei riferimenti che sino fino a ieri pensava fossero loro, va già bene se ha ancora dei nonni in “gamba”; almeno quelli gli sapranno dare amore e attenzioni che i suoi, impegnati a superarsi l’un l’altro e a buttarsi reciprocamente fango, non hanno saputo riservargli. In molti casi usano il figlio come merce di scambio o di ricatto. Recenti fatti di cronaca evidenziano che, pur di prevalere, non si esita ad “uccidere il coniuge” anche in loro presenza. Una volta separati, privando il figlio dell’amore genitoriale, i due disgraziati cominciano una corsa a chi “offre “ di più per recuperarlo e, ‘monetizzando’ il mancato amore, lo rovinano. Ogni volta che, come sentenziato dal Giudice, “spetta ad uno dei due”, per quel breve lasso di tempo, lo subissano di regali e favoritismi che, invece di rincuorarlo, lo disorientano, non facendogli capire più quale sia il suo vero ‘status’. Recentemente, per i più grandi, abbiamo istituzionalizzato il “Bus della

Droga” che li prende da casa e, una volta “cotti”, ce li riporta. La scusante per istituirlo è stata che andando in bus (a prezzo politico) non corrono i rischi di guidare, al rientro, in pieno “sballo”. Gli ideatori, visto il numero dei frequentatori, lo considerano un successo. Ma non spetta alle Autorità ostacolare e non facilitare l’assumere droga ? L’altro giorno viene in casa il vecchio falegname; è sempre solo, cioè mai accompagnato da un apprendista. Gliene chiedo il perché, ma sento che suo figlio studia da ragioniere per entrare in Banca, anziché seguire il padre che guadagna assai più di un medico e con meno responsabilità. Allora mi azzardo e chiedo: “Ma qualche giovane esterno?” Risposta: “Ogni volta che arriva qualcuno, è sempre accompagnato dai “sindacalisti” di casa e, nel presentarglielo, papà o mamma e a volte entrambi, chiedono subito quanto intendo pagarlo, con quali orari di lavoro e quante ferie gli spettano”. E il vecchio: “Tutto quello che chiedete è giusto, ma mi sapete dire almeno cosa sa fare ?” Fine dell’incontro. Una volta, parlando con don Picchi, il fondatore sul finire degli anni ’60 del “Centro Italiano di Solidarietà” di Roma, uno dei primi ad interessarsi al recupero dei ragazzi drogati, specificatamente dei figli di quelli che diremmo di buona famiglia, mi diceva “Prima di accettarli devo parlare con entrambi i genitori, i veri responsabili di quello stato, chiedendo loro di fare assieme un esame di coscienza; perché il vero problema è che non hanno capito il loro figlio, certamente più debole di altri e quindi più bisognoso di essere com-

preso ma non assecondato”. Quanta verità. Noi corriamo un attimo prima che loro passino, per evitar loro ogni ostacolo, poi ci stupiamo se ci sembrano un po’ rammolliti. Certo la Società esterna, che alla fine siamo sempre noi, una mano non ce la dà; essa si è talmente auto-esautorata al punto che anche i massimi responsabili, additano una squadra di calcio quasi fosse depositaria dell’orgoglio nazionale. I ‘media’ sono persino arrivati a fare un parallelo fra il simpatico ragazzo di colore e le riunioni a Bruxelles, in base alla sola omonimia. E’ quindi sufficiente demandare a undici ragazzotti in mutandoni, di salvare l’onore di 60 milioni di cittadini? A noi basta dipingerci il viso e, ingurgitando birra, quando non altro, lasciamo passare la notte sperando. Se poi la nazionale vince, il nostro orgoglio “personale” ne è appagato come fossimo noi gli artefici, ed esultiamo anche se il nostro debito nazionale resta invariato. Se perde, pazienza, sarà per la prossima volta, incapaci pure di “incazzarci”: troppo faticoso e richiederebbe un minimo di orgoglio. Ma quando poi, nelle difficoltà quotidiane, i ragazzi si trovano ad affrontare piccoli ostacoli, allora crollano. E ci chiediamo: cosa vogliamo di più da questi ragazzi che non hanno lavoro (anche, se in vero, pochi lo cercano qualunque esso sia). Non tutti sono così, ma temo lo sia la maggioranza perché se così non fosse staremmo tutti certamente in acque migliori.


URBANISTICA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

di Paolo BELLOSTA

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S. MARGHERITA

Piano urbanistico comunale (Puc): è sempre polemica Scambio di accuse fra maggioranza e opposizione sul futuro della città. L’area più contestata è quella che dal porto arriva a Punta Pedale. Ma non mancano anche le spine di un tunnel “che non s’ha da fare né oggi né mai” gosto 2012 non verrà ricordato solo per le temperature tropicali che stiamo registrando in questi giorni, ma anche per le polemiche che da inizio mese stanno tenendo banco. Da questo punto di vista non si può certo dire che sia stato un mese monotono, quest'anno, sotto l'ombrellone. Oltre ai soliti romanzi rosa e agli immancabili cruciverba di Ferragosto non è certo mancato un po' di sano gossip nostrano. Tra Puc e Vas, acronimi divenuti negli ultimi tempi di uso comune, tra epistolari bollenti, polemiche che si riaccendono su progetti ormai accantonati da tempo e nuovi altarini che vengono a galla, non ci siamo fatti mancare proprio nulla. Facciamo un po' di ordine, il Puc, il piano urbanistico comunale, ovvero il piano regolatore generale della città era stato adottato alla fine dello scorso aprile. Già allora le polemiche non erano mancate. L'opposizione, infatti, aveva preferito abbandonare l'aula, protestando contro i sistemi di voto attuati, un inizio tormentato per una questione decisamente intricata. La fase successiva, durata novanta giorni, è stata quella delle discussioni, durante la quale tutti i privati cittadini, tutte le libere associazioni e tutti gli enti pubblici sono stati autorizzati a presentare

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proposte, domande e osservazioni di vario genere riguardanti il piano. Insomma una sorta di passaggio intermedio che avrebbe poi dovuto portare all'approvazione del progetto. All'inizio di questo mese è stata, però, una lettera dell'Architetto Maurizio Galletti, Direttore Generale della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria, a scoperchiare il vaso di Pandora delle polemiche. Galletti ha sottolineato il fatto che il Puc prevedesse la riqualificazione di diverse aree di pregio, di notevole valore estetico ed ambientale, tra queste: la zona portuale, la passeggiata a mare, l'area del Covo e quella di Punta Pedale. Ha poi osservato come un programma definito "congruo e adeguato", parole testuali del sindaco De Marchi, che avrebbe dovuto "prendere in mano alcune situazioni di degrado per valorizzarle e svilupparle" potesse, in realtà, rivelarsi dannoso e deleterio. Ha parlato anche della spinosa questione del porto, ricordando come la Direzione Regionale abbia, in una nota del 15 aprile 2011, richiesto una particolare attenzione oltre che per le zone più sensibili da un punto di vista paesaggistico anche a quelle rilevanti da un punto di vista culturale, "infatti sulla rada della zona portuale si collocano beni tutelati, quali il Castello, l'Oratorio

di Sant'Erasmo e la chiesa di San Giacomo, in stretto rapporto visivo reciproco con la marina e il mare aperto". In conclusione Galletti ha richiesto che il piano regolatore di Santa Margherita fosse rivisto e sottoposto alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas). La lettera, com'era prevedibile, ha scatenato un polverone di polemiche, alcuni, tra questi l'ingegnere Franco Traverso di "Difendi Santa", hanno letteralmente esultato leggendo la tesi del Dottor Galletti, vedendo nella Vas la tanto attesa soluzione, "dopo due anni in cui la città è stata esposta a ogni attacco speculativo". In tutto questo marasma cosa risponde l'attuale primo cittadino di Santa Margherita? Semplice, prova a difendersi, attaccando a sua volta, sostenendo che la lettera dell'Architetto Galletti è stata semplicemente

a p p o C i d e o t a n o i p m a C i d e t i Le part L A e m e i s n i e vediamol

BAR

ZIO BELLO EX BAR DEI CACCIATORI

Via della Libertà 140/A Rapallo

mal interpretata e che è stato proprio l'attuale Puc a fare piazza pulita di progetti a rischio ambientale presenti nel precedente Piano regolatore, quali il Tunnel Santa-Rapallo o l'espansione edilizia nella zona di San Lorenzo. Una situazione bollente, una polemica continua, infatti proprio queste ultime dichiarazioni hanno accesso un ennesimo battibecco tra De Marchi e il consigliere regionale Capurro. Un aspro epistolario partito dal famigerato tunnel, "aver fatto saltare un progetto del genere non è una cosa di cui farsi vanto, visto che sarebbe potuta essere un'opera fondamentale", che ha riguardato, anche, l'attuale ospedale di Rapallo, a detta del Sindaco, "costato l'ira di dio e che oggi offre meno servizi di quanti i rapallesi ne avessero a Santa", e che è poi sfociato in pesanti accuse lanciate da Capurro, infatti, secondo quest'ultimo De Marchi avrebbe chiaramente sponsorizzato l'iniziale progetto "Volpi-Bandera". Capurro fa riferimento a una visita in Regione dello scorso novembre, durante la quale il primo cittadino sammargheritese avrebbe spalleggiato e sostenuto il progetto "Santa Benessere & Social", poi rinnegato a gran voce. Un'accusa molto grave che se si rivelasse veritiera determinerebbe sicuramente pesanti ripercussioni. La querelle non sembra avere fine, dopo un lungo ed emblematico silenzio stampa l'opposizione consiliare ha chiesto un incontro urgente per chiedere spiegazioni e chiarire al più presto la questione. Insomma se l'estate sta volgendo al termine la nostra telenovela continua, chissà che non diventi il tormentone del prossimo autunno...


FILO SPINATO E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

di Renzo BAGNASCO

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NAZISTI IN FUGA

Quando incontrai Eichmann... in convento ul finire del 1944, io, Lucio, Franco, Gianni, Aldo e altri, ci incontravamo sempre nel Convento dei Francescani di Pegli, dedicato a Sant’Antonio Abate, quello con il maialino. Non eravamo una vera associazione, per altro proibita dal Regime Fascista, in quell’epoca dominante. Si giocava a biliardo, a carte e quant’altro con il beneplacito dei rispettivi genitori che, sapendoci in convento, ritenevano quello essere uno dei posti più sicuri in un momento di caos inimmaginabile. Ci eravamo organizzati una specie di bar, nei limiti del tempo di guerra, per dare parvenza di “adulti” ai nostri incontri. All’imbrunire però si doveva per forza rientrare a casa per non incorrere nel “coprifuoco” che, all’epoca, scattava abbastanza presto ed era fatto rispettare con rigore dai militi delle Brigate Nere. Facevano parte del nostro gruppo anche i giovani frati, da poco nominati Sacerdoti e che da lì iniziavano la loro missione. Insomma eravamo tutti giovani e in Convento c’era uno dei pochi telefoni funzionanti; nelle case era oggetto raro. Noi poi non eravamo ancora in età da essere arruolati nei Bersaglieri, il corpo raccogliticcio messo insieme, per volere dei Tedeschi, dal governo fantoccio, grondante sangue, della Repubblica di Salò. Quell’età, in guerra, continuava ad abbassarsi mano a mano che gli uomini al fronte morivano, e i più giovani finivano d’ufficio nei “Bersaglieri. Và detto che quel Corpo raggruppava tutti quelli che non si volevano unire volontariamente alle varie Brigate Repubblichine operative, vere e proprie bande di assassini. Insomma vi finivano i “lavativi”. Appena finita la guerra, dopo pochissimi mesi, ci raggiunse con gioia, anche Enzo, il fratello di Gianni, appena tornato a casa dopo aver risalito l’Italia combattendo come soldato del ricostruito Esercito Italiano, equipaggiato dagli Inglesi. Dopo neppure un anno, iniziarono ad arrivare degli individui che cercavano di Padre Dömotor ( che noi pronunciavamo Demeter)un frate ungherese che, da poco arrivato, si era inserito bene nel nostro gruppo. Era un formidabile giocatore di biliardo. Parlava uno strano italiano, oggi diremmo alla Zeman, ed era molto gioviale, anche se un po’ misterioso. Ogni tanto spariva per poi ricomparire senza dare spiegazioni. Poco dopo la sua comparsa cominciarono ad arrivare degli individui, tutti dall’atteggia-

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mento dignitoso e taciturno; restavano alcuni giorni in convento, uscendo solo la sera e mai allontanandosi dal sito. Il Convento è in zona defilata e dominante, fuori dalla viabilità usuale che invece passa poco sotto, al fianco della ferrovia. Era quello che si potrebbe definire “un posto discreto e tranquillo”. In generale, appena arrivati, vestivano lunghi inquietanti cappotti di pelle nera, che richiamavano alla mente, uniti ai cappelli a larga tesa, l’abbigliamento classico della Ghestapo, la terribile polizia Segreta hitleriana. Poi rimediavano abiti civili. A noi dicevano che erano intellettuali o attori ungheresi, fuggiti perché ricercati come anticomunisti dagli occupanti russi e vestivano abiti raffazzonati, dati loro dalla Croce Rossa Internazionale. La Chiesa, materna, li aiutava per quello. Quindi veri e propri profughi perseguitati che noi, ormai liberi, guardavamo con simpatia anche se facevano gruppo a sé. Non parlavano con alcuno se non con Padre Demeter e riservatamente. Ogni tanto però qualcuno spariva e subito ne arrivavano altri. Di solito li vedevamo, uscendo alla sera, che facevano crocchio fuori dalla porta del convento ma mai in Chiesa, che noi invece frequentavamo. Mi ricordo che una volta, e vi rimase per alcuni giorni, arrivò un mingherlino piccoletto, dal fisico da ragazzino asciutto pur essendo adulto, ma con degli occhi che mi rimasero impressi. Erano di cristallo quasi trasparenti; oggi li definirei di ghiaccio. Anche lui, il ragazzino, come gli altri dopo un po’ scomparve e sapemmo che pressoché tutti andavano a trovare pace in Sud America, in particolare in Argentina, all’epoca governata dal Generale Peron, utilizzando molto spesso navi della Costa, molto legata alla Curia genovese, all’epoca retta dal Cardinal Siri. Le navi spesso tornavano poi con carichi di carne congelata o altre derrate; credo rientrassero negli aiuti del dopoguerra, gestiti anche dal Vaticano. Dopo qualche tempo cessò l’arrivo dei profughi e, con la partenza dell’ultimo di loro, anche Padre Demeter scomparve, insalutato ospite. Di queste presenze i frati non desideravano parlare e, se ben ricordo, di padre Demeter non avevano grande stima: la consegna era il silenzio. Non predicava nè confessava ma, visto lo strano italiano che parlava, la cosa era, per noi ragazzotti,

comprensibile. E pensare che alcuni di noi, come chi scrive, affiancavano già i partigiani. Dopo qualche anno, tutto quell’andare e venire, venne smascherato dal gruppo di Simon Wiesenthal, l’ebreo scampato ai campi di sterminio che si era ripromesso di rintracciare quelle “pantegane”, in qualunque parte del mondo si fossero infognate. Scovarono anche “il ragazzino”: era Eichmann che avevo visto e memorizzato a Pegli. Si seppe che molti di quei “pegliesi” erano “ustascia”, cioè boia di destra croati, di etnia cristiana che si erano messi al servizio dei nazisti per massacrare i loro compatrioti, con la scusa della diversa fede. Una considerazione va fatta: la gerarchia ecclesiastica non poteva non sapere chi erano quelli che aiutava a scappare se addirittura l’ufficio per salvarli era gestito, in Vaticano, da due Cardinali. Alla domanda legittima: «Perché lo avete fatto?», la solita farisaica risposta: «Erano anticomunisti». E i cinque milioni di ebrei, da quei maledetti inceneriti come fossero denaro falso, cosa erano? E i massacri degli ustascia erano giustificati solo perché contro i “comunisti”? Non mi si dica che la Curia non lo sapeva; proprio loro che sanno tutto e che confessano i fedeli. Quando, anni dopo e per lavoro, andai in Venezuela, scoprii che Padre Dömoter, morto da poco, nel frattempo era diventato niente meno che Ordinario Militare della Polizia Venezuelana. L’allora dittatore, Perez Jemenez, affidò a militari nazisti e a membri della Ghestapo transfughi, l’incarico di ristrutturare tutte le sue Forze Armate e la Polizia. Guarda caso, Padre Dömoter c’era un’altra volta di mezzo.

Otto Adolf Eichmann (Solingen, 19 marzo 1906 – Ramla, 31 maggio 1962) è stato un paramilitare e funzionario tedesco, considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Col grado di SS-Obersturmbannführer era responsabile di una sezione del RSHA; esperto di questioni ebraiche, nel corso della cosiddetta "soluzione finale" organizzò il traffico ferroviario che trasportava gli ebrei ai vari campi di concentramento. Criminale di guerra, sfuggito al processo di Norimberga, si rifugiò in Argentina, ma venne poi catturato dal Mossad, processato e condannato a morte in Israele per crimini contro l'umanità. Eichmann, come altri fuoriusciti nazisti (vedi Mengele - il dottor morte), nel giugno 1948 venne munito di documenti di identità falsi a nome "Riccardo Klement", rilasciati dal Comune di Termeno e che asserivano la sua nascita nello stesso comune altoatesino. Nel 2007 è stato ritrovato, tra i documenti coperti dal segreto di stato in Argentina, il passaporto falso con il quale Eichmann lasciò l'Italia nel 1950: era intestato a Riccardo Klement, altoatesino, e rilasciato dalla Croce Rossa di Ginevra in base alla testimonianza del padre francescano Edoardo Domoter. Il Mossad scoprì che Adolf Eichmann si nascondeva a Buenos Aires e, dopo un lungo periodo di preparazione, il servizio segreto israeliano organizzò, nel 1960, un'operazione che portò al rapimento ed al segreto trasferimento (nel sistema giuridico argentino l'estradizione non era prevista) di Eichmann in Israele affinché venisse sottoposto a processo per i crimini di cui si era reso responsabile durante la guerra. Al momento del rapimento (a pochi metri dalla sua residenza), un gruppo di operazione dei servizi segreti israeliani lo stava aspettando con la scusa di un problema meccanico della loro auto. Al sentire "un momento, signore", Eichmann capì che si trovava nei guai, dato che era consapevole del fatto che fosse ricercato. Nonostante la sua resistenza, fu caricato sull'auto "guasta" e portato in un luogo segreto per il seguente passo dell'operazione, trasportarlo in Israele e processarlo.


STORIE DI MARE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Carlo GATTI

NAVI

L’ultimo viaggio della M/n Sestriere Una nave fortunata e di grande personalità che compì la sua ultima traversata il 15 aprile 1970 partire dalla metà degli anni ’60, la Marina Mercantile Mondiale mostrava ormai tutta la sua anzianità. Era la Flotta del dopoguerra. C’erano i LIBERTY che, costruiti per compiere una traversata atlantica, viaggiavano ormai da oltre 20 anni e non reggevano più il mare. C’erano le efficientissime ma obsolete petroliere USA T/2, ma soprattutto navigavano ancora gran parte di quelle carrette che erano state tirate su dal fondo dopo la Seconda guerra mondiale e circolavano per i sette mari rattoppate da innumerevoli casse di cemento. Navi che perdevano l’elica o il timone e s’incagliavano sulle scogliere. (Chi scrive operò 7 disincagli di navi in quasi 9 anni di servizio con la Società Rimorchiatori Riuniti di Genova). Navi da rimodernare e da rimorchiare da un Cantieri Navale di un porto ad un altro. Navi che chiedevano soccorso durante le tempeste. Nacquero gli “agguati”. I Rimorchiatori d’altura sceglievano punti pericolosi e strategici per la navigazione: La Manica, Finisterre, Il Leone, Le Azzorre ecc... e rimanevano alla fonda nelle golfate, con tre radiotelegrafisti in servizio permanente, nell’attesa di chiamate di soccorso. Navi da rimorchiare verso i Cantieri di demolizione. Questa era la principale attività dei RR. Il Torregrande andò fino in Canada per prendere a rimorchio un sottomarino. C’é da aggiungere infine che molte navi erano vittime d’incendi, perchè avevano gli interni in legno e altro materiale infiammabile. Innumerevoli furono gli interventi dei rimorchiatori su navi famose: Achille Lauro, Angelina Lauro, Karadeinz, Anna C. e molte altre sia in porto che in mare aperto. Sempre in quei primi anni ’70, gli USA decisero di “svendere” le centinaia di Liberty-Ships che avevano tenuto in “naftalina” nelle RESERVE FLEET di N.Y. (Albany) in Atlantico e S.Francisco (in Pa-

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La M/n Sestriere in navigazione

cifico). In questa fase di cambiamento epocale nella storia dei trasporti navali, va visto l’ultimo viaggio della della M/n “SESTRIERE” La tragedia della London Valour si era appena consumata sull'imboccatura del porto di Genova, il 9 aprile di quell'anno. Con il mio equipaggio eravamo ancora sotto shock per l’accaduto, quando il Capitano d’armamento della Società RR mi chiamò per un nuovo viaggio di rimorchio. Per la verità si trattava di un breve trasferimento, da Genova a Vado Ligure, di una nave da consegnare ai Cantieri di demolizione che erano affamati di ferro. Ma la sorpresa fu enorme quando seppi che si trattava della gloriosa Sestriere (Società Italnavi) che era uscita miracolosamente indenne dalla Seconda guerra mondiale, schivando numerosi siluri e bombardamenti aerei. Per dare un’idea della carneficina che fu il 2° conflitto per la nostra Marina Mercantile, riporto solo alcuni agghiaccianti dati statistici: all’inizio delle ostilità (10.6.1940) l’Italia contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per oltre 1200 navi. Il tonnellaggio complessivo al maggio 1945 era ridotto a 220.000 t.

Nell’ambiente marittimo si parlava ancora della “Seconda Spedizione dei Mille”, definito anche “Il Viaggio della Rinascita” dalla stampa dell’epoca, avvenuto nell’immediato dopoguerra (8 novembre 1946), quando la Sestriere trasferì negli Stati Uniti 50 nostri equipaggi per armare 50 Liberty Ships acquistati da armatori italiani. In seguito, la nave subì diverse trasformazioni strutturali per trasportare emigranti in un primo tempo, ed auto della FIAT nelle Americhe in un secondo tempo. Conoscevo la sua storia attraverso molti episodi che mi erano stati raccontati da cap. Pro Schiaffino, dai miei futuri colleghi-piloti del porto di Genova Enrico Buzzo, Giuseppe Protti e Stefano Galleano che navigarono da ufficiali e Comandanti sulla Sestriere. Tutti loro ne parlavano con “grande affetto ” e mi resi conto, forse per la prima volta, che la nave ha un‘anima che sa legarsi in modo anche duraturo ai suoi equipaggi. Quel 1970, purtroppo, decretò anche la sua demolizione, la fine di una nave tra le più belle ancora in circolazione, e ricordo che proprio durante l’ultimo viaggio della Sestriere, fummo tutti d’accordo su un punto: una nave così carica

di storia e di ricordi non doveva essere demolita, ma conservata. Con lei sarebbe uscita di scena una parte importante della nostra storia navale. In pochi giorni eravamo stati colpiti al cuore da due tragedie, e la fine della Sestriere non era diversa da quella della London Valour, anche se una differenza in qualche modo c’era: la fine della nave italiana era stata decisa dall’uomo e non da un’infernale libecciata che, invece, colpì a morte la nave inglese. “Con Tempo assicurato”. Questa era la formula con cui la Capitaneria dava il “nulla osta” al trasferimento della Sestriere a rimorchio. Le istruzioni allegate al Contratto di Rimorchio raccomandavano di consegnare la nave verso le 08 del 15 aprile 1970 ai rimorchiatori locali di Vado L. che l’avrebbero accostata da qualche parte nell’attesa di spiaggiarla nello specchio d’acqua del Cantiere. Nel primo pomeriggio del 14 aprile ci ormeggiammo con la poppa del Torregrande sotto la prora a pallone della Sestriere. Dopo un accurato controllo dell’assetto, riscontrai che la nave non presentava alcun sbandamento ed aveva un ideale appop-


Il Comandante Giuseppe Ferrari, a bordo, nel 1966 e, a destra, l’ultimo viaggio della Sestriere.

pamento di 4 piedi. Mi recai a bordo della nave per ispezionare insieme al nostromo tabarchino Zeppin Luxoro e al direttore di macchina Guido Bianchi che il timone fosse bloccato al centro, che l’elica fosse ferma e bloccata, le stive fossero chiuse, i bighi abbassati e rizzati, che gli oblò fossero chiusi e gli ombrinali attappati. Fui subito tranquillizzato che quattro marinai (runners) del Cantiere sarebbero rimasti a bordo della Sestriere per disormeggiare la nave a Genova, per controllare il rimorchio in navigazione, per agevolarci il recupero degli attacchi da rimorchio nella rada di Vado e, infine,

avrebbero filato i cavi ai rimorchiatori locali per la manovra d’ormeggio. Consegnai al nostromo della nave una delle mie radio con la raccomandazione di riferirmi eventuali anomalie. Mi raccomandai d’ingrassare i punti di contatto dell’attrezzatura da rimorchio sui passacavi di prua e di controllare gli eventuali sforzi sulle bitte. Era la prima volta che mettevo piede sulla Sestriere e mi resi subito conto delle sue linee sobrie, essenziali, eleganti per una nave da carico che conservava ancora nel suo look un passato come nave passeggeri. La sua ciminiera era alta, robusta ed imponente come piaceva

ai vecchi armatori genovesi. Mi convinsi che la Sestriere apparteneva ad una categoria di navi evergreen che non avrebbe dovuto lasciare il posto a quelle orribili navi portacontenitori che facevano già capolino, e che da lì a poco tempo sarebbero diventate le “brutte” protagoniste dei sette mari. Passammo quindi all’attacco di rimorchio vero e proprio. Diedi disposizione di approntare la patta d’oca di catena (briglia) sulle bitte prodiere della nave, facendola fuoriuscire penzola sul tagliamare fino ad un metro sul livello del mare. I due terminali di catena furono collegati, tramite un

maniglione, ad una colonna (cavo d’acciaio da 40 mm.), e questa ad un grosso spezzone di cavo di nylon-perlon di 10 metri di lunghezza, impiegato per dare elasticità al convoglio. A quest’ultimo componente collegammo il cavo da rimorchio (troller-winch automatico) del Torregrande. Questo importantissimo elemento strutturale del rimorchiatore d’altura era in effetti il “cuore” di tutto il sistema. Poterlo filare in mare per tutta la sua lunghezza (700 metri) in caso di moto ondoso pesante, e virarne una buona parte a bordo con la bonaccia di mare, dava sicurezza contro gli strappi e massimo controllo al convoglio in navigazione. Approntammo anche un cavo d’emergenza perché questa era la prassi (assicurativa) in caso di eventuali rotture... Il viaggio non presentò problemi, ma fu intriso di tristezza e di quella strana consapevolezza che si prova quando si sa di compiere un errore purtroppo “inevitabile”.... In quel periodo non mi era ancora esplosa la passione per la fotografia navale, tuttavia, in quella occasione, sentii il bisogno di immortalare con qualche scatto il funerale di un illustre personaggio della nostra Marina Mercantile.

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CULTURA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Massimo BACIGALUPO

ANNIVERSARI

Ezra Pound fra le spie Un romanzo di Justo Navarro propone un ritratto inedito del poeta el 2012 corre il quarantesimo anniversario della morte di Ezra Pound, memorabile e ingombrante cittadino di Rapallo, dove visse sull’arco di mezzo secolo (e dove suo padre Homer è sepolto nel cimitero “acattolico” sotto un cippo con maschera mortuaria realizzato dal nostro Agostino Pastene). Il 2012 è iniziato con la querelle giudiziaria fra Mary de Rachewiltz, la figlia del poeta americano, e Casa Pound, centro sociale romano di estrema destra con diramazioni in tutta Italia che afferma di ispirarsi alle idee di Pound e si fa bandiera del suo nome senza preoccuparsi di cosa ne pensano familiari e lettori. Mary ha intentato causa al gruppo assai agguerrito (in tutti i sensi: si veda il suo sito), causa per uso non autorizzato del nome di un grande scrittore a fini politici. Infatti Pound, americano in Italia, sostenne il fascismo come lo poteva vedere a Rapallo dalla sua mansarda sul lungomare e poi, convinto che la Seconda guerra mondiale non dovesse contrapporre la sua patria natale con la sua patria d’adozione, parlò da Radio Roma, e per questo fu poi arrestato, processato per tradimento, dichiarato incapace di intendere e recluso in manicomio giudiziario. Ma identificare tutta la sua prodigiosa carriera letteraria con la lotta politica ed economica è fargli torto. Una cinquantina di scrittori e intellettuali (fra cui Rosellina Archinto, Luigi Brioschi e Giorgio Ficara) hanno firmato una dichiarazione di solidarietà nei confronti della figlia, appoggiando la sua azione giudiziaria. Azione simbolica, dato che è difficile impedire che uno affermi di ispirarsi a Tizio o Caio e ne sfrutti il nome. Inoltre come i rapallesi sanno, Pound viveva con la moglie Dorothy sul lungomare, ma aveva un secondo nido a Sant’Ambrogio, presso la compagna Olga Rudge, musicista, con cui poi trascorse stabilmente gli ultimi dieci anni di vita. E Mary è figlia di Olga, il che rende per lei più difficile dal punto di vista strettamente legale difendere in sede processuale il nome del padre. Questo padre complicato e confusionario. Valeva però la pena di dire no alla strumentalizzazione. Sembra infatti ingiusto che un americano che dal fascismo non ottenne alcun beneficio venga identificato con il fascio quando ciò non avviene per gli intellettuali di cui il regime si faceva vanto e che onorava: Pirandello, Marconi, Marinetti e tanti altri.

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Vecchie polemiche, che però hanno la loro attualità dato che nella situazione di crisi attuale i messaggi di contestazione politica ed economica di CasaPound, come di analoghi centri sociali di estrema sinistra, trovano ascolto. Del resto Allen Ginsberg, il guru dei poeti Beat del secondo Novecento (famoso il suo Urlo tradotto da Fernanda Pivano nel libro Jukebox all’idrogeno) diceva che le idee economiche di Pound erano giuste, che egli aveva capito davvero che le guerre le facevano i mercanti e i mercati. Oggi infatti la fanno sia sul campo sia in Borsa. Per conoscere a grandi linee queste idee si può leggere il libretto Carta da visita, scritto da Pound a Rapallo nel 1942 (giusto settant’anni fa) e ora ristampato dall’editore Bietti (prefazione di Luca Gallesi, pp. 103, € 14,00): “La guerra dove muoiono e vengono feriti gli arditi, questa guerra nostra iniziò, ossia iniziò la fase che oggi combattiamo, nel 1694 con la fondazione della Banca d’Inghilterra. Disse Paterson nel suo manifesto pubblicitario per raccogliere azionisti: ‘la Banca beneficia dell’interesse su tutta la moneta che crea ex nihil (da niente)’”. In effetti oggi ci chiediamo di nuovo cosa sia questa moneta creata “ex nihil”. L’Europa dandosi l’euro si è rafforzata o si è esposta in blocco agli speculatori che come sappiamo in un giorno trattano cifre pari ai bilanci di intere nazioni? Sarebbe interessante discuterne con un economista, visto che Pound tenne persino una serie di conferenze alla Bocconi sulle convinzioni economiche da lui sviluppate nel corso di decenni e che furono in buona parte responsabili delle sue scelte politiche. Carta da visita, per quanto risenta dell’atmosfera bellica, è un libretto vivacissimo, scritto in un italiano pittoresco (magari un po’ corretto dal primo editore, l’estroso Giambattista Vicari), che come piaceva a Pound condensa in poche pagine tutto un mondo di intuizioni, fissazioni e passioni. Un vero e proprio autoritratto sintetico, che è anche una chiosa in prosa all’opera poetica. Se invece di questo Pound che si muoveva fra Rapallo e Roma spargendo articoli, opuscoli, volantini (e trasmissioni radiofoniche) vogliamo un intenso ritratto dall’esterno, ce lo offre puntualmente il romanzo-cronaca La spia dello spagnolo Justo Navarro (Voland, pp. 173, € 14,00): un libro quasi tutto ambientato a Rapallo e che racconta senza

reticenza una vicenda terribile, meteorica, anche comica e misteriosa: Ezra Pound fra 1930 e 1945. Un episodio importante è la visita di uno studente americano che nel 1938 scatta alcune fotografie del poeta sul tetto del Palazzo Baratti di Via Marsala (sopra il Caffè Rapallo), sullo sfondo i fregi che adornano il cornicione dello stabile attiguo (quello del Caffè Nettuno) e in basso il lungomare ancora con i bagni (si era dunque d’estate). Questo giovane si Ezra Pound sul tetto della sua mansarda di Rapallo chiamava James Jesus intorno al 1938. Questa fotografia fu scattata da James Jesus Angleton (1917-87), che durante e Angleton (1917-87), in sedopo la guerra fu esponente di punta dei servizi seguito capo dei servizi di in- greti Usa. Il notevole romanzo-cronaca di Justo Natelligence americani in varro, La spia (Voland, 2012), ambientato per buona Italia, nonché fra i fondatori parte a Rapallo, tratta in particolare dei rapporti di e direttori della CIA. Nel film Pound con il misterioso Angleton. The Good Shepherd - L'ombra del potere (2006) il protagonista, dato a soldati americani che lo portaletterato e poi dirigente dei servizi se- rono a Genova insieme all’inseparabile greti, interpretato da Matt Damon, è in Olga. parte basato proprio su Angleton. (Che Quando feci queste ricerche non riuscii pare fosse non poco paranoico: era con- però a trovare i nomi dei due partigiani o vinto che persino Eisenhower fosse al incaricati che lo prelevarono a Sant’Ambrogio e lo condussero a Lavagna. La fiservizio dei russi.) Nella sua cronaca Justo Navarro si vale glia dice nella sua autobiografia di questo episodio per avanzare delle ipo- Discrezioni che “uno dei due più tardi fu tesi sui ruoli che Pound può aver avuto in accusato di omicidio e giustiziato; l’altro quegli anni confusi, e in effetti le autorità fu messo in prigione per furto”. Forse fasciste sospettavano di lui e gli misero qualche lettore del “Mare” potrà aiutarci alle calcagna un carabiniere, che Na- a chiarire meglio questo episodio. (Anni varro intervista in un ospizio. Sarà vero? fa conobbi a Zoagli un anziano che afInfatti La spia appartiene a quel genere fermava di essere uno degli esecutori che introduce elementi di fantasia nel rac- dell’arresto, ma conclusi che lavorava di conto documentario. Per esempio, Na- fantasia.) varro dice che la sua passione per la Comunque sia, La spia di Justo Navarro, saga di Pound nasce da un suggeri- fra i sentieri della storia e dell’invenzione, mento dell’amico giallista “Carlo Trenti” è un libro che tutti i curiosi di letteratura di cui lui è il traduttore spagnolo. E’ vero moderna, specie se di queste parti, doche Navarro ha tradotto opere impor- vrebbero conoscere, un libro leggero e tanti (fra cui recentemente Il grande impressionante, che ha anche il merito Gatsby) ma non so se traduca dall’ita- di dare la parola a Pound nel capitolo liano o chi possa essere questo suo “Metato, Pisa”, dedicato alla reclusione di Pound nella fatale estate del 1945 e alla amico scrittore. Comunque per quanto riguarda Pound straordinaria poesia che ne nacque, quei posso testimoniare che in La spia tutto Canti pisani (editi oggi da Garzanti, pp. o quasi è esatto. Navarro conosce per- XII+317, € 14,00) che da soli riscattano fino quei Tigullio Itineraries da me pub- tutto il rumore e furore di una vita: blicati nel 2008 (da Busco). Per quanto “Quanto meschini i tuoi odi, nutriti di falne so è l’unico che li abbia letti con tanta sità. / Strappa da te la vanità, ti dico, attenzione, ricavandone ad esempio il strappala”. A quarant’anni dalla morte, nome del partigiano di Lavagna con cui il miglior complimento che si possa fare Pound se la vide il 3 maggio 1945, e che all’inquieto Pound è riscoprire, come voleva rilasciarlo. Fu Pound, un po’ spa- ci invita a fare Navarro, la vitalità ventato, che insisté perché fosse affi- della sua poesia.


ARTE MINORE

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di Emilio CARTA

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

PIETRE DI MARE

Michele Guarino, ovvero l’arte dell’effimero È un rapallese l’autore di queste creazioni che, simili a minuscoli menhir, emergono dall’acqua incuriosendo i turisti. Per qualcuno è diventato il “gioco dell’estate”, altri hanno chiesto se erano in vendita hiamatela arte minimalista o, se preferite, povera. Resta il fatto che quelle quattro pietre a forma di pinnacolo emergenti dal mare e poste alla destra dell'antico castello sono diventate un punto d'attrazione estiva e di curiosità per i turisti che, armati di macchina fotografica, cliccano le sculture a tutto spiano. L'autore, Michele Guarino, rapallino doc e socio dell'associazione “Amici del castello” se la ride di gusto: “L'idea è nata per caso e volevo solo eliminare quei sassi, pericolosi per chi si avventurava in quei bassi fondali e per le barche. Da quel primo casuale “menhir”, ne sono sorti poi altri. Lo definirei

C

un gioco di equilibrio, in perenne lotta col mare”. Già, perché ogni scultura con l'alta marea o in caso di maltempo diventa a rischio. E allora bisogna ricominciare da capo innalzando pietra dopo pietra i pinnacoli che non hanno resistito al lavorio costante della natura e tutte le volte il risultato è diverso dal precedente. Michele Guarino, una vita passata all'Ibm quale tecnico dei computer, aggiunge: “Alcuni bagnanti dopo avermi visto all'opera si sono messi pure loro a raccogliere pietre e a disporle a loro piacimento, in-

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somma è diventato un gioco dell'estate”. Il più caustico è il barbuto Gianni Uccelli, soprannominato “il filosofo” e socio storico degli “Amici del castello”, che interrompe per un attimo il lavoro di pitturazione del suo gozzetto: “Ieri sono approdati qui da noi due turisti francesi col gommone; lei ha detto di essere una psichiatra e, guardando incuriosita quelle quattro prie che svettavano verso il cielo ha dato una sua personalissima versione di quell'arte definendola simbolismo erotico allo stato puro. Boh”.

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DOCUMENTI E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Emilio CARTA

MONTALLEGRO

Le ultime tracce di un tram chiamato desiderio

Doveva essere un'attrazione turistica con ristorante e pub annesso come sui Navigli ma la natura si è rimpossessata di quel corpo estraneo. E i vandali puntualmente hanno fatto il resto n prossimità di Montallegro, semi nascosti dalla vegetazione, appaiono i resti di quello che una volta erano le carrozze di un autentico tranvai. Pare impossibile ma è così anche se al curioso che si avventura in mezzo ai cespugli che avviluppano il tran verrebbe da pensare che il mezzo lì abbandonato fosse un tempo un modo alternativo alla funivia o alla strada carrozzabile per raggiungere il santuario mariano. Nulla di simile perché, molto più prosaicamente, quel tram doveva diventare un ristorante alternativo. Ma alternativo a che? E soprattutto come hanno fatto a trasportarlo lungo quella strada stretta e piena di curve dove anche la corriera di linea fa fatica a passare? E come districarsi tra leggi, normative e strumenti urbanistici vari? “L'idea, forse un po' balzana, era venuta al rapallese Guy Castruccio e ad una sua amica cui frullava per il capo il pensiero trasferire alcune di quelle carrozze in disuso sulle alture rapallesi – racconta un abitante di San Maurizio di Monte – A base di tutto c'era il successo che tale iniziativa aveva ri-

I

scosso a Milano, dalle parte dei Navigli, o a Brera”. Una leggenda metropolitana narra che la proposta venne esposta a un noto politico rapallese che, tra il serio e il faceto, gli rispose di farlo nottetempo. Una volta raggiunto il terreno dove depositare quell'ingombrante ferraglia pesante tonnellate chi avrebbe avuto poi avuto l'ardire di portarlo via? La follia spesso trae forze insperate e disumane. Sta di fatto che una notte un possente bilico iniziò a salire da via Betti lungo la tortuosa carrozzabile sino a San Maurizio di Monti; e poi ancora più su sino al bivio per la Crocetta deviando per Montallegro e, ancora, sino a un terreno, spianato preventi-

vamente, era pronto ad accogliere il tram. E di certo doveva essere presente anche una possente gru per il trasferimento definitivo. Non sappiamo come la burocrazia dell'epoca abbia accolto quello “stupro” al paesaggio fatto sta che i resti di quelle tranvai sono ancora lì assieme a un vecchio pullman. Non so neppure che possano aver pensato cinghiali e volpi che allora, come oggi del resto, avevano da sempre eletto quei boschi come loro dimora abituale. A farla breve, quella sorta di agriturismo “alla milanese” cominciò a incuriosire e a funzionare ma poi alterne vicissitudini dei proprietari portarono alla vendita di quelle carrozze che si trasformarono via via in pub dove le salsicce alla griglia erano il piatto forte e la birra scorreva a fiumi. Il vociare dei giovani avventori assieme alla musica live provocarono anche vari esposti alle forze dell'ordine da parte dei vicini che su quella collina avevano cercato la pace non certo urka e schiamazzi ad ogni ora della notte. Alla fine il tranvai è rimasto in mezzo agli ulivi e alle querce, ridotto ad un

corpo estraneo dimenticato da tutti ma non dai vandali che hanno iniziato un'opera di dileggio e distruzione sistematica. Qualcuno, dopo aver tagliato la rete metallica adiacente al cancello, ci ha pure dormito e bivaccato. Intanto la natura, piano piano, procedeva ad avvolgerla come la liane con ben altra forza hanno nascosto i templi Maya. Chissà se un giorno Indiana Jones, salendo lungo la strada provinciale per Montallegro alla ricerca di un fantomatico Eldorado si imbatterà fra quelle lamiere arrugginite, simbolo di un reperto industriale così lontano dai luoghi dov'era nato e cresciuto. Fra qualche anno potrebbe rivelarsi un nuovo mistero degno del programma televisivo Voyager, pane per i denti del bravo autore televisivo Roberto Giacobbo.

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RECUPERI E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Annalisa NOZIGLIA

S. MARIA DEL CAMPO

La chiesa è stata restaurata completamente D omenica 12 agosto alla presenza del Vescovo della Diocesi di Chiavari, Mons. Alberto Tanasini, l’Associazione Santa Maria del Campo –Cultura, Arte e Tradizione, unitamente alla parrocchia, ha presentato a tutta la comunità i lavori di restauro della chiesa parrocchiale di S. Maria del Campo. L’incendio del 9 giugno 2010 era stato motivo di grande mobilitazione da parte di numerosi enti pubblici e privati, nonché del comune di Rapallo e della curia diocesana, tutti hanno generosamente contribuito al risanamento delle parti intaccate dall’incendio, poi con la nascita dell’associazione il 24 settembre 2010 si è optato per un lavoro ben più ambizioso, ovvero al completo restauro della chiesa e delle opere artistiche in essa contenute. In questi anni, tutti, Parrocchia, Associazione e Comitato Festeggiamenti si sono prodigati completamente investendo tutte le risorse a questo scopo. Domenica 12 è stata grande festa, dopo il discorso di apertura del presidente dell’Associazione Gianni Macchiavello si sono distinte le presenze dell’Architetto Francesca Passano che ha illustrato la cronologia dei lavori, del responsabile della ditta Caropreso che ha materialmente eseguito il restauro di presbiterio e navata ed infine, la Dott.ssa Angela Acordon – responsabile per i beni storici e artistici – che con un significativo intervento ha fatto memoria del dolore da cui ha perso vita questa impegnativa opera di restauro. La dott.ssa Acordon, infatti, ricordava il grande sgomento provato entrando in chiesa nel vedere ciò che restava della sacrestia subito dopo l’incendio, quindi di quanto fossero ambiziosi i progetti che si fecero subito dopo e di come oggi, dopo un grande impegno, sia grande la gioia di veder salvato un così

prezioso patrimonio artistico, culturale e certamente affettivo. Presente, inoltre, il dott. Pierluigi Vinai, vicepresidente della Fondazione Carige, che già aveva elargito un generoso contributo di 70.000 €. Grazie al contributo di € 12.250 erogato dalla Fondazione Cattolica Assicurazione, nella sua nicchia troneggia la statua di N.S. di Caravaggio, tornata alla sua antica bellezza, splendidi gli altari laterali, e i colori dei marmi e delle ardesie riaffiorati dopo il restauro conservativo ed estetico. La chiesa nel suo complesso ha riacquistato una luminosità inaspettata che le ha reso giustizia dopo essere stata annerita dai fumi dell’incendio ed il nuovo impianto elettrico con l’inserimento di nuovi corpi illuminanti ha certamente contribuito al buon esito finale. Un vero e proprio gioiello è proprio la sacrestia, che, come ricorderete, era stata completamente divorata dalle fiamme, la nuova pavimentazione e il mobile settecentesco completamente recuperato dalla ditta Calzolari lasciano realmente di stucco. Davvero un intervento di grande pregio che ha valorizzato al meglio uno tra i pezzi di maggior valore artistico. Anche il sindaco della città, insieme con alcuni membri della giunta e del consiglio comunale tutto, era presente e plaudendo ai lavori ha sottolineato l’affetto che prova per la chiesa di Santa Maria e per questa frazione. Inoltre, ha promesso che altri aiuti arriveranno da parte del comune in vista delle ingenti spese che dovranno ancora essere affrontate per il saldo dei lavori. Infine, il Vescovo ha sentitamente ringraziato il parroco Don Luciano Pane e tutta la parrocchia per quest’opera di restauro, rammentando che quando visitò la chiesa appena distrutta dall’incendio non trovò lacrime e dispe-

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razione ma, con grande stupore, vide tanta gente che lavorava per rendere agibile la chiesa il prima possibile. La festa è stata gioiosa soprattutto per coloro che in questi anni si sono davvero rimboccati le maniche e che con il loro estro e buona volontà hanno contribuito in maniera significativa a quest’opera di restauro. Mi riferisco tra molti altri ad un gruppo di giovani confratelli dell’Arciconfraternita di N.S. del Suffragio che si sono presi la briga di pulire e restaurare tutti i lampadari della chiesa creando un vero laboratorio di restauro presso l’Oratorio soprastante la chiesa parrocchiale, nonché di abbellire con alcuni dettagli l’altare maggiore. Mi permetto di fare due nomi, spero che tutti gli altri non me ne vorranno, ma mi pare che citare Andrea Costa e Stefano Tassara, i due più giovani, sia doveroso perché meritano tutto il nostro plauso per l’impegno e la dedizione dimostrata; inoltre, quale maggiore freschezza c’è nel vedere dei giovani che si prodigano tanto per mantenere vive le nostre origini? Un grazie, quindi, a chi ha collaborato, grazie a chi ha donato e un invito a tutti

quei lettori che desiderano vedere con i loro occhi questa chiesa tornata ad un insperato splendore venendoci a trovare di persona in quel di Santa Maria! Questa volta siamo costretti a chiudere con una nota dolorosa, ringraziando e salutando l’amico Gabriele Roncagliolo che proprio in questi giorni tanto lieti ci ha lasciati per andare nella Celeste Dimora, da cui, ne siamo certi guarderà sempre con quel suo sguardo benevolo che tutti abbiamo negli occhi alla sua Santa Maria…

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di Bruno MANCINI

SPORT

Torneo “Luigi Arata” (disperso in Russia)

TORNEO “LUIGI ARATA” (disperso in Russia) 31 ottobre - 19 dicembre 1948 Squadre partecipanti al torneo: Junioristica “A” Junioristica “B” P.A. Croce Bianca Rapallese A.C.S. Santa Maria del Campo U.S. Murialdo del Collegio “Larco” di S. Margherita Ligure Villa Parma - Lavagna (ritiro dal torneo alla 4A giornata) Gromolo - Sestri Levante A.C. Rupinarese di Chiavari U.S. Pro Recco A.C.S. Ardea di Genova

CENA RISTORANTE “DA ARDITO” San Pietro di Novella (dicembre 1948) Da sinistra in alto: Bartolomeo “Berto” Gardella - Agostino “Gusti” Frattini - Aldo Ghio - Giuseppe “Pino” Raimondi - Marco Queirolo - Luigi “Gino” Terzano (seminascosto) - Bernardo “Bena” Moretti - Sandro Ansaloni - Gregorio “Grego” Boero Alberto Ferrarini - Angelo Pessina - Avv. Giovanni Maggio (sindaco di Rapallo) Ugo Macchiavello - Rev. Canonico don Adriano Bruschi - Arturo De Bernardis Oscar Bernardini - Pier Luigi Benatti - ....... - Eugenio “Genio” Ghio - Giovanni Corradini (giocatore dell’A.C. Rapallo Ruentes) - Don Emilio Noziglia - Carlo Crivelli - Lucio Mascardi - Antonio Scazzola Da sinistra al centro: Alipio Leporatti - Giovanni “Giuva” Bernardini - Jolly Grieco (portiere di Sestri Levante) - Enrico Cigolini - Sandro Solari - Franco Ferrari Da sinistra, sotto: Mario Baudino - Sirio Forlani - Claudio “Long John” Carmelo Luciano Raspolini - Ernesto “Pacio” Bogliardi - Augusto Scapini (allenatore con la coppa “Luigi Arata”) - Sergio Marciandi - Alessandro Piccoli - Mario Bini Inginocchiati dopo l’allenatore Scapini: Attilio “Tilin” Vallebella - Carlo Sovarato - Cesare Callegari - Danilo Rocca - Mario “Marò” Ravera (mitico massaggiatore e allenatore - scopritore di campioni cittadini di nuoto: Lucio “Lacci” Bonazzi, Aldo Samoiedo, Luciano Zanoni....)

A conclusione del Torneo “Luigi Arata”, pubblichiamo l’articolo apparso su un giornale dell’epoca, “La voce del popolo”, tratto dall’archivio calcistico di Giuseppe “Pino” RaiERRATA CORRIGE: il nome dello zio del sig. Giuseppe Demi, citato nell’articolo mondi, per dare, nel modo migliore, i del numero “Ricordi d’infanzia. Le elementari Mortola” non è Giuseppe, ma Gioparticolare di quella serata. vanni Vogliolo. Ce ne scusiamo con gli interessati.

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di Ilaria NIDASIO

GUIDA TURISTICA

Quo vadis? Rea Palus «R

apallo non è solo abbronzatura, ma anche cultura»: è questo il sottotitolo, che riassume in una sola frase l'intento dell'intero volume, dell'opuscolo di Jolanda Giovenale, “Quo vadis? Rea Palus”. La pubblicazione, di facile consultazione e dal formato comodo anche per il turista più frettoloso, è suddiviso in nove sezioni, che accompagnano il visitatore nella scoperta, rispettiva- mente, degli itinerari suggeriti, dei luoghi di culto in città, nelle frazioni e..sott'acqua, per proseguire con i palazzi degni di nota, le accademie culturali, i monumenti, le statue e i busti marmorei e bronzei, chiudendo con i portali in ardesia. Il meglio della città viene riassunto in 79 pagine ricche di fotografie e di suggerimenti: al turista (ma probabilmente dovrebbero farlo anche molti residenti) non resta che prendere nota delle bel-

lezze da visitare e iniziare il tour consigliato dall'autrice, che già nella prefazione avverte: «A te la scelta poiché a Rapallo tutto è permesso, tranne che annoiarsi». E, proprio per lasciare ai visitatori piena libertà, l'opuscolo è stato concepito in modo da essere maneggevole e di veloce consultazione: cosa c'è di meglio, infatti, che scoprire un luogo “vivendolo”, girando per le sue vie senza una destinazione precisa, ma con il solo intento di assaporarne ogni angolo? E se poi si ha la possibilità di assaporare anche qualche tipica prelibatezza gastronomica, ad esempio la squisita focaccia o le rinomate torte salate genovesi, allora la visita può davvero essere considerata perfetta! Tra i tanti consigli che l'autrice dispensa come può fare solo chi conosce ed ama la propria città, ce n'è uno che dovrebbe essere accolto soprattutto dai resi-

JOLANDA GIOVENALE

denti, che ogni giorno attraversano Rapallo frettolosamente, senza godere delle sue bellezze: scrive infatti la Giovenale:« siete in stazione ed attendete il treno, forse a causa di un ritardo? Non restatevene lì ad imprecare, sprecando del tempo della vostra vita, che nessuno vi renderà. Piuttosto impiegatelo visitando anche un solo angolo del Centro Storico». Naturalmente, con il libro alla mano!

Quo Vadis? Rea Palus

Dove Vai? A Rapallo

Le copie gratuite possono essere ritirate presso il punto informativo turistico in piazzetta Est oppure lʼAzienda Grafica Busco Editrice - via Volta 39 - Rapallo

L’ANGOLO E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

La Liguria non è solo abbronzatura, ma anche cultura

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di Rossella CARTA

COSTUME

Lingua italiana autentica o sigle? C

he cosa scrivo sul numero di questo mese? ..mi sono seduta sul divano con il mio computer e ho atteso che mi arrivasse l'ispirazione. Pensando a nulla di speciale, osservando lo schermo del computer.. ad un tratto una vibrazione accanto a me mi ha smosso dai miei pensieri.. un messaggio sul cellulare.. una mia amica: "Ciau Ro, cm va?TT bn? :*;) divertita ma anche un po’ irritata, le rispondo, ma non sopporto in realtà la frase, e da quando ho tenuto in mano il cellulare e sono riuscita ad ottenere una tariffa vantaggiosa, cerco di comporre i messaggi ‘parlando lineare’ come mi piace definire le parole intere.. e l'ispirazione che cercavo mi è giunta in quel momento... e la domanda è sorta spontanea: ma siamo ancora in grado di scrivere un italiano corretto o ormai sintetizziamo tutto? Ricordo che una mia compagna di classe alle medie un giorno consegnò un tema interamente composto di sigle, e la prof non aveva potuto fare a meno di darle un voto molto basso. Questo perché? Perché la ragazzina era abituata a ridurre ogni cosa e aveva

scribacchiato senza riflettere come se stesse prendendo appunti o creando qualcosa sul proprio diario, mostrando dunque poco riguardo per la prof, per noi compagni e anche per la nostra stessa preziosa lingua. Nel mondo dei giovani la maggioranza degli studenti non prova molto piacere nello studio, fattore che dispiace molto a tutti e reca danni alla società. Alcuni laureati, invece, che avrebbero scelto di dedicare la propria gioventù allo studio fino al momento della laurea, non ricordano nemmeno la corretta scrittura di termini elementari, i quali si studiano dai primi anni di vita e si pensa siano acquisiti, come ad esempio soqquadro, accelerare, riscuotere, acquistare e così via. Il report 2006 del ramo italiano dell'indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico ecc.)

Però come si può risolvere questo problema, che coinvolge non solo i laureati ma anche ognuno di noi? Ampliare i nostri orizzonti culturali leggendo può essere d’aiuto per tutta la popolazione, e sicuramente se non conosciamo il significato o la corretta ortografia e dizione di un termine, vorremo documentarci consultando dizionari o enciclopedie, per ampliare così il nostro lessico. La lingua italiana ha una storia avvincente e durevole di secoli, che l'ha guidata alla sua attuale condizione, e pur essendo così vasto l'elenco dei lemmi già conosciuti si può dire che essa è una lingua 'viva' non solo perché esiste un intero Paese che la diffonde ma poiché esistono grandi linguisti e ricercatori che ne approfondiscono e favoriscono lo sviluppo. Naturalmente questo pensiero si può estendere e applicare a tutte le principali lingue diffuse sul globo. Indubbiamente l'Italiano è un idioma affascinante ed è a disposizione di tutti per essere studiato scrutato condiviso, un meraviglioso mezzo di comunicazione, dalla grammatica un tantino complessa per i non avvezzi ma anche per gli esperti che

vi girano curiosamente intorno come fosse un nobile pezzo d'antiquariato, quale essa in effetti è. Viene definita una lingua neolatina, cioè deriva dalla lingua volgare (da vulgus, popolo) insieme al francese, il romeno, il ladino, il portoghese, il galego (La lingua "dotta" parlata in Spagna assai prima del Castigliano), lo spagnolo (o castigliano, con tutte le sue forme diffuse in America Latina), il catalano, il francoprovenzale, l'occitano, il ligure, il piemontese, l'insubre, l'orobico, il romancio, il ladino, il veneto, il friulano, il sardo, il napoletano, il siciliano. La cultura italiana possiede un ricco patrimonio di manoscritti e opere d’arte famosi in tutto il mondo, per non parlare dei grandi uomini di origine latina presenti nella storia d'Italia. Perciò di sicuro potrà capitarci di abbreviare a volte le parole, magari per pagare anche meno nei messaggi o per risparmiare tempo nelle chat, ma si deve sempre tenere a mente il valore dei vocaboli nel loro pieno splendore e significato, la vera essenza della nostra meravigliosa sorprendente sagace lingua, l’italiano!


2012 e Golfo del Tigullio XIII edizione

TURISMO - ARTIGIANATO - ENOGASTRONOMIA - ENERGIA ALTERNATIVA

Grande successo e bilancio positivo per RapalloExpo 2012 manifestazione giunta alla XIIIa edizione di cui l’Associazione “Il Cuore” è promotrice RapalloExpo è annoverata tra gli eventi ricorrenti del Comune di Rapallo e negli ultimi anni è diventata un punto di riferimento di interesse regionale. Lo scorso anno infatti è stata premiata fra le migliori manifestazioni della Provincia di Genova al Festival Mare 2011 che si è svolto a Sanremo. Anche quest’anno la manifestazione si è svolta dall’8 al 12 agosto nel centro storico di Rapallo che ha animato e ravvivato con varie iniziative. I numerosi visitatori sono stati invitati ad apprezzare le eccellenze proposte dagli espositori, ma soprattutto a partecipare agli eventi che hanno accompagnato le cinque giornate L’evento è occasione di incontro e di confronto tra le diverse realtà imprenditoriali del territorio con la presenza di espositori qualificati e rappresentativi dei settori Turistico, Artigianale, Enogastronomico, e dell’Energia alternativa. Presenti ed aprezzatissime anche alcune Associazioni tra le più rappresentative Artigianali (Pizzi e Merletti) e del Volontariato Locale come il Centro di Formazione New Life Resuscitation di Rapallo che ha presentato e svolto corsi, aperti a tutti, sul tema della rianimazione cardiorespiratoria (corsi BLS _ Basic Life Support) . Interessante la relazione su Cibi e Vini di Liguria del noto giornalista enogastronomo V.Pronzati e B. Marini a cui è seguita la consegna del 2° PREMIO DI GIORNALISMO “SCRIVI CON IL CUORE” vinto quest’ anno dal giornalista Marco Massa fondatore e direttore di Levante News. Molto seguita a partecipata la

V GARA DI PESTO AL MORTAIO. Il regolamento prevedeva che i concorrenti si cimentassero nella preparazione del miglior pesto genovese al mortaio, utiliz- zando gli ingredienti e strumenti messi a disposizione dall’organizzazione (eccetto il mortaio che potevano essere personale). Una giuria di esperti ha scelto il vincitore dell’edizione 2012: Franco Gelosa, medico gastroenterologo ospedaliero che lavora a Milano ma si considera rapallese di adozione. Tra gli spettacoli serali oltre alla serata Blues dei The Knickers Blues Band è stato particolarmente apprezzato e seguito il

2° CORTEO STORICO CITTÀ DI RAPALLO organizzato dall’ Ass.ne IL CUORE per il secondo anno, che ha ospitato alcuni rappresentanti del nascente gruppo storico del Capitaneato di Rapallo (da non confondere con la ProLoco Capitaneato) ma soprattutto con la gradita presenza dell’ Ass.ne dei Sestieri di Lavagna, del gruppo Musici e Sbandieratori e del gruppo storico “Le Gratie d’ Amore“ di Lavagna.

I ristoratori di Rapallo aderenti all’iniziativa nel periodo della manifestazione, hanno proposto agli ospiti il MENU RAPALLOEXPO 2012 con il caratteristico piatto locale “Mandilli de saea” al pesto. La manifestazione è stata qualificata da incontri culturali e didattici aperti al pubblico a cui hanno partecipato in qualità di relatori: Dott. C. Castagneto allergologo, C. Chendi noto sceneggiatore di fumetti, P. Burzi Pres. ProLoco TerreMare, G.B. Raviolo esperto di flora locale, P. Muzi biologa nutrizionista, A. Assereto apicoltore, gli Assessori all’ ambiente P. Iantorno (Rapallo) e M. Corrado (SML) MOMENTI CULTURALI che hanno visto come relatori U. Ricci (Pres. Proloco Capitaneato), Roberto Pagni (che ha presentato letture da “Ricordi di un vecchio scolaro” di R. Girlando), E. Carta (giornalista), E. Andreatta (Mare Nostrum), Il Pres. dell’ Ass.ne NIKAIA Col. G. Fiocco che ha presentato il libro di I. Giovenale “Quo vadis? Rea Palus” Lo stand più votato dai visitatori e vincitore dell’ ed. 2012 è stato quello del “Corpo Bandistico Città di Rapallo”. RapalloExpo si svolge in questo periodo perché vuole proporre anche al turista estivo le eccellenze del nostro territorio e dare occasioni di svago e divertimento ma anche riflessione su temi importanti come l’ambiente, la prevenzione cardiovascolare ed il risparmio energetico. L’ Organizzazione ringrazia il Comune di Rapallo per la disponibilità dimostrata e le organizzazioni di volontariato del territorio, che sono i veri tesori nascosti da valorizzare, per la loro collaborazione (in particolare l’ ass.ne nazionale Alpini Sez. di Rapallo, le confraternite degli oratori dei Bianchi e dei Neri ed il Corpo Bandistico della Città di Rapallo). L’ obiettivo degli organizzatori è quello di migliorare sempre più l’ evento perché possa diventare sempre più un punto di riferimento ed un aiuto a promuoversi per le attività produttive di tutto il comprensorio del Tigullio. Il Presidente Ass.ne IL CUORE- Rapallo Dott. Mauro Barra


ANNI SESSANTA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

di Silvana GAMBÈRI GALLO

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AMARCORD

C’è nonna e nonna (maneggiare con cura) Q

uando ero piccola, le nonne erano figure dolci e misteriose, con un che di ambivalente: offrivano zuppiere (“fiammanghille”) di ravioli o teglie di lasagne la domenica, e al contempo brandivano il mestolo a mò di clava quando i nostri gomiti poggiavano sul tavolo o la schiena non era abbastanza dritta. Causa guerra, io ho conosciuto soltanto nonna Teresa: un metro e mezzo di autorità, forgiata in titanio dai bombardamenti subiti e da cinque figli, peraltro zittiti con una sola occhiata. Dopo i figli tocco' ai nipoti, a me nella fattispecie: siccome per anni lei e nonno Annibale avevano gestito a Rapallo il "Caffè Centrale", tornava qui in occasioni precise. La preferita era la ricorrenza del "Corpus Domini", e cosi eccomi sull'ottovolante delle sue routine, spesso faticose per chi allora iniziava le elementari. Un giglio nella destra e via in processione, dove chiunque affrontava i suoi gorgheggi da mezzosoprano; poi il tour-de-force nelle macellerie, con discussioni epiche per ottenere le rigaglie basilari a cucinare la "finanziera" (antica leccornia piemontese). Quindi ecco il famigerato pranzo di famiglia, cristianamente tollerato da mio padre, inevitabilmente alla deriva tra spumante, ricordi e lacrime; Monicelli ne avrebbe tratto un bel film. Ora tocca a me, contare i lustri

che mi destinano – ipoteticamente – ad un virtuale ruolo “nonnesco”, che tuttavia molte coetanee affrontano (evvai!) in scioltezza e disinvoltura: passeggini colorati spinti indossando “chiodo” in pelle e jeans, il tacco che non guasta, l’acconciatura a posto. Immagini ben lontane, da quelle del passato: via la crocchia di capelli candidi impagliata con retina e forcine, i grembiulini a fiori non abitano più qui, la sedia a dondolo arroventa da tempo i barbecue. Facebook, Twitter e & hanno soppiantato il telefono nero sul mobiletto in legno, da cui partiva/giungeva la quotidiana chiamata con l’amica di sempre; resiste il cane o il gatto sul divano e un occasionale lavoro di tricot, che non è mai un’elaborazione all’uncinetto destinata al centro tavola. Siamo le eredi delle “vecchiette terribili”: da Jessica Fletcher che pubblica gialli, si divide fra hotels e aeroporti (peccato tutti quei cadaveri: un karma negativo, ma fruttifero) alla mi-

tica Nonna Abelarda, che sfrecciava sulla moto e risolveva i diverbi a suon di pattoni. Manca un nome all’appello: indimenticabile per noi ex-bambini, su cui le storie di oceani e di pirati hanno sempre esercitato un grande fascino. E tra i suoi “nipotini” potremmo annoverare un certo Jack Sparrow, che ne ha ereditato la lingua tagliente e il senso dell’umorismo. Ma allora erano gli anni Sessanta, e lei si chiamava “Giovanna, la nonna del corsaro Nero”: solcava i mari col maggiordomo Battista e il nostromo – balbuziente – Nicolino. E ancora oggi, guardando l’Antico Ca-

stello (nato come fortezza antiDragut) mi viene da canticchiare un grande urrà per nonna sprint / la vecchia che è più forte di un bicchiere di gin…. L’immaginario che ritorna. E forse, oggi, girerebbe in chiodo e jeans. Assieme a noi.

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CULTURA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Domenico PERTUSATI

L’abito non fa il monaco uesto detto non può non indurre tutti ad una sincera e profonda riflessione. In verità quando capita di leggere moniti di questo genere viene spontaneo subito riferirli ad altri il cui comportamento appare scorretto. Quasi mai mettiamo in gioco la nostra persona. Non è facile porre in discussione se stessi, anche perché –come racconta la favola di Fedro ( libro IV n.10)- ciascuno porta la bisaccia dei propri difetti dietro la schiena e pertanto riesce difficile, se non addirittura impossibile, avere una visione, non dico obbiettiva, ma almeno approssimativa delle proprie lacune, mentre quella degli altri è ben palese e visibile alla luce del sole. Ritengo che questa metafora sia quanto mai indicativa della nostra facilità di critica e, di converso, della scarsa propensione all’autocritica. Seneca, nella sua saggezza, affermava: “Nessuno di noi è senza colpa” (De ira II,26). L’ invito ad esaminare attentamente la propria persona con imparzialità e verità vale per tutti: diventa un dovere assoluto per coloro che si professano cristiani, fedeli seguaci del vangelo. Di conseguenza la superbia è –non solo a mio parere- la colpa più grave che si possa commettere. IL FARISEO E IL PUBBLICANO A rendere chiara e accettabile questa asserzione, basta leggere quella parabola che il Divino Maestro ha rivolto a coloro che era convinti di essere nel giusto e guardavano gli altri con disprezzo, ritenendoli degni di biasimo e di condanna. (cfr: Luca18,9-14). Mi permetto riportarla integralmente perché la trovo di estrema attualità. “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e nep-

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pure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermandosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Ed ecco la conclusione.“Io vi dico: “Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Come si vede, non conta essere fedeli e zelanti esecutori delle regole religiose per sentirsi con la coscienza a posto. Mi è stato fatto osservare che il fariseo non riferiva cose non vere, ma nel contempo commetteva il peccato più grave: la superbia,cioè la convinzione di essere migliore degli altri e, in particolare, di quel “pubblicano”, che se, pur colpevole, si dimostrava profondamente umile, riconoscendo il suo cattivo operato. C’ è da aggiungere che i pubblicani svolgevano il ruolo di esattori delle tasse a favore dell’Impero romano: pertanto erano visti dagli ebrei come traditori. Inoltre era per loro facile alzare i tributi a proprio vantaggio: in pratica facevano gli strozzini e gli imbroglioni. Pertanto “pubblicano” per gli ebrei diventava sinonimo di lestofante e di peccatore per antonomasia. Nella parabola citata proprio ad uno di questi e non al perfetto esecutore delle prescrizioni religiose viene concesso il perdono. Questo significa in modo incontestabile che davanti a Dio non è l’apparenza che conta, ma è la sincerità del cuore. Possiamo immaginare quanto sia risultato scandaloso per i farisei e gli scribi udire questa paradossale conclusione, dal momento che erano per l’intransigenza e l’intolleranza. Cristo esalta chi si umilia, anche se è un

Festa in un paese del Monferrato: la processione solenne si conclude in piazza con la banda che suona e le danze dei “cristi” (venuti dalla Liguria) e della Santa Patrona tra gli applausi dei presenti.

grande peccatore. Non va dimenticato che nel corso della sua missione il Divino Maestro non ha mai respinto le persone umili, anche se colpevoli, mentre ha rivolto la sua condanna a chi faceva della religione un blasone personale e un privilegio speciale. In altra circostanza sentenziò perentoriamente: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio” (Mt.21,31). Mi chiedo: “ Quanti sono i preti che con coraggio fanno professione di profonda umiltà e si pongono anch’essi tra i peccatori?”. La risposta, salvo rare eccezioni, è scontata. Sentono di appartenere ad una classe eletta, ben distinta dai semplici fedeli: dicono senza battere ciglio di essere “alter Christus”, vale a dire sacri rappresentanti di Cristo, simili a Lui, degni di venerazione e rispetto. Il “popolino” non si permetta di avanzare dubbi sul loro operato. CHI È INNOCENTE? “L’abito non fa il monaco” è in particolare un invito rivolto ai “religiosi” e ai “sacri ministri” ad esaminare se stessi in profondità e convincersi che in coscienza non sono esenti da colpe. S. Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, sentenziava: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia” (3,23-25) e più avanti ammetteva: “So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene” (7,18). Se si è convinti che l’esteriorità non conta, perché allora esibirsi nelle sacre funzioni con paramenti lussuosi e preziosi, con indumenti pregiati che attirano l’ammirazione e il plauso delle persone semplici e “devote”. Per essere seguiti ed apprezzati non serve l’apparato esteriore. Non fanno aumentare i consensi le cerimonie solenni con suonate d’organo a pieno volume. Non servono neppure i discorsi altisonanti. Non è stato questo l’esempio del Divino Maestro e degli Apostoli. La predica che convince è soltanto l’esempio offerto con la propria condotta. Che serve “predicare bene” se poi nella vita privata si curano interessi che non sono affatto spirituali? Il dovere di correggersi non vale forse per tutti? Questo invito dovrebbe essere accolto anche da quei credenti intransigenti che rifiutano qualsiasi critica e obbiezione, pronti a chiudere gli occhi anche di fronte all’evidenza. E’ sufficiente ricordare che Papa Ratzinger, poche settimane prima di essere eletto al Supremo Pontificato, parlò di “sporcizia” presente nella Chiesa. PAPA CORAGGIOSO Tra le varie doti di questo Pontefice emergono in primo piano il rispetto della verità a qualunque prezzo e il coraggio di ammettere pubblicamente di fronte al mondo in-

Il fariseo è l’emblema dell’uomo pio, devoto e scrupoloso osservante della Legge, consapevole della sua superiorità nei confronti degli altri, ritenuti peccatori.

tero quello che da sempre si sospettava e si vociferava sul comportamento scorretto di una parte del clero. Sappiamo tuttavia che non tutti i porporati e presuli furono soddisfatti della sua coraggiosa denuncia relativa alla pedofilia presente nel clero. Nessun papa prima di lui aveva osato tanto. La regola che tradizionalmente veniva seguita (e addirittura imposta) era il silenzio. Certe notizie “indecenti” erano soltanto bisbigliate. Guai a chi ne parlava apertamente: la scomunica era pronta. Questo è stato sempre il modo di procedere circa gli scandali che purtroppo non di rado si sono verificati nel mondo clericale. Valeva la regola: “il silenzio è d’oro.” IL DESIDERIO DI RICCHEZZA Tra gli scandali in seno alla chiesa non va dimenticata, per usare un’espressione classica, la “auri sacra fames” (Virgilio, Eneide III,57), cioè l’amore “esecrando” del denaro. Varie sono le fonti di arricchimento: business, operazioni finanziarie, ricerca di donazioni, caccia ai legati testamentari... Ritengo utile e pertinente riproporre all’attenzione dei lettori il giudizio severo, ma obbiettivo di un maestro di spiritualità che stigmatizzava gli errori degli ecclesiastici esattamente cinquant’anni fa. Sembra la “fotografia”di quanto sta accadendo proprio nel nostro tempo. “Ci sono magagne sulle quali si può stendere il velo pietoso dell’ipocrisia, la quale, almeno per un certo tempo, le nasconde agli occhi indiscreti che si appuntano sulla persona del sacerdote e ne scrutano la vita; ma l’avarizia non è tra questi: essa si esercita necessariamente nelle relazioni con i fedeli, i quali divengono testimoni oculari di tutte quante le miserande espressioni: spilorceria, grettezza, esosità, fiscalità, rapacità… E’ purtroppo vero che parecchi abbandonano la casa del Signore quando vi sentono l’acre odore del soldo; ecco lo scandalo: il ministro della religione diviene causa di irreligiosità”. (Rhaudenses, Lezioni di vita, Ancora Milano 1962, pag. 180). Già S. Gerolamo ai suoi tempi (IV sec.) scrivendo a Nepoziano lamentava: “E’ cosa vergognosa per i sacerdoti dedicarsi con impegno (studére) alle ricchezze”. Non dimentichiamo che Giovanni Paolo II, durante la visita alla Diocesi di Chiavari, il


Uno dei tanti incontri tra Pio XII e il Cardinale Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, molto stimato e apprezzato

18 settembre 1998, in un incontro in cattedrale riservato ai sacerdoti e religiosi non mancò di ammonire e raccomandare caldamente: “Dio sia la sola vostra ricchezza”. Coloro che riescono a vivere questa esperienza suggerita dal Papa offrono una testimonianza che vale molto di più di tante prediche. “PUSILLUX GREX” Non sono pochi i parroci e anche i prelati che si dicono soddisfatti nel vedere nelle festività solenni e nelle processioni tradizionali molta affluenza e partecipazione. Non possono illudere ed illudersi. Il dovere di rispettare le tradizioni (con la “t” minuscola) è il frutto di una abitudine inveterata, non sorretta da profonda convinzione. Quando si tratta di fare festa non ci sono remore: anche coloro che non frequentano i sacramenti sentono il dovere di essere presenti. I baldacchini, le statue, i numerosi

“cristi” molto ben adornati, la banda musicale e i canti, lo show dei fuochi artificiali attirano sempre e “conquistano”.... Ma la presenza di tanta folla può essere segno di fede convinta? Cristo non ha avuto difficoltà a indicare i suoi seguaci come “un piccolo gregge” (pusillux grex in Luca 12,32). IL VERO “DISTINTIVO” Devo ammettere che di recente ho avuto un ulteriore conferma che l’abito non fa il monaco. Infatti mi è capitato di incontrare in due diocesi del Piemonte alcuni preti di un certo livello. Ho notato che esteriormente non mostravano segni della loro qualifica: erano privi dell’abito talare, del colletto bianco e del cosiddetto “clergyman”. Devo ammettere con sincerità che, colloquiando con cordialità, sono rimasto molto impressionato dalla correttezza e consapevolezza del loro ruolo nonostante

le apparenze. Non c’è dubbio che è soprattutto il comportamento sorretto da una forte convinzione interiore a costituire il vero distintivo del sacerdote. C’è di più: ho notato inoltre che i fedeli sentono quei sacerdoti alla loro stessa stregua, vale a dire membri della stessa famiglia, vicini e compartecipi dei loro problemi. Riporto questa mia recente esperienza perché in Liguria, soprattutto nella diocesi di Genova, numerosi “ecclesiastici” continuano ad indossare il tradizionale vestito “lungo” (la talare) e a portare segni convenzionali per apparire ben distinti anche esteriormente dal popolo. Mi si dirà: eseguono gli ordini delle loro autorità oppure non intendono lasciare le vecchie abitudini. Può essere: ma l’abito sacerdotale, senza adeguata comprensione e apertura verso tutti (compresi i cosiddetti “lontani”), non serve affatto; anzi finisce per allontanare. Nostro Signore era semplice: vestiva come i suoi conterranei e raccomandava ai suoi discepoli quando andavano in missione “di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone, né pane, né sacca, né denaro nella cintura, ma di calzare sandali e di non portare due tuniche” (Mc 6,8-9). In conclusione l’abito autentico dei sacerdoti è la condotta modellata sul Vangelo che predicano: umiltà, comprensione, aiuto diretto (non saltuario e non delegato) del prossimo,vicinanza soprattutto a coloro che in questo momento di grave crisi stentano “ ad andare avanti” senza manifestare

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per pudore la loro indigenza. Si tratterebbe in sostanza di non chiedere continuamente soldi ai fedeli per finanziare progetti di vario genere non urgenti ed impellenti, e, possibilmente, di rinunciare a parte delle offerte ed elemosine aprendo generosamente il cuore e la borsa ai fratelli bisognosi. Così avrebbe fatto il Divino Maestro: “Io vi ho dato l’esempio perché voi facciate altrettanto” (Gv.13,15) avvertendo che “un servo non è più grande del suo padrone” (ibidem). PRETI DI DOMANI Questo dovere va inculcato a quanti intendono intraprendere la via del sacerdozio da parte di coloro che, ormai anziani, hanno svolto un servizio sincero e disinteressato. I giovani hanno bisogno di essere ben “indirizzati” soprattutto con l’esempio. Mentre sto scrivendo queste riflessioni, mi sovviene quello che il Cardinale Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, Presidente della C.E.I., molto stimato ed apprezzato da Pio XII, rivolse ai giovani che stavano per ricevere l’ordinazione sacerdotale: “Vi raccomando, dopo la celebrazione della messa, non sostate in sacrestia; ritornate in chiesa per il rendimento di grazie, la recita del breviario e la meditazione” e aggiungeva: “Ricordatevi che spesso le sacrestie diventano luoghi di “ciaeti” (ovvero “pettegolezzi” secondo l’espressione dialettale). Non frequentatele troppo”. Questa autorevolissima esortazione non farà piacere a certi parroci. Chissà che non li induca ad un serio esame di coscienza!


GENTE DI LIGURIA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Alfredo BERTOLLO

MOVIMENTI

La rivolta dei “Viva Maria” 1797. Due episodi inediti relativi ad alcuni personaggi ecclesiatici coinvolti nella vicenda

L

e pagine di storia relative al 1796, quando la Francia rivoluzionaria rivolse le sue mire all’Italia, sono fin troppo note e quindi non è il caso di ricordare le vittoriose battaglie di Napoleone nel ponente ligure e nel Piemonte. Va però sottolineato che quelle vittorie furono in Liguria la causa della rivoluzione che trasformò il 2 dicembre 1797 la pusillanime e ormai esausta aristocratica “Repubblica di Genova” nella democratica “Repubblica Ligure”. Alla “Repubbilca Ligure” si giunse non senza contrasti. Infatti i patrioti, chiamati giacobini su modello francese, erano una minoranza alla quale si opponeva gran parte del popolo catto-

lico, soprattutto della periferia e dell’entroterra. Il fenomeno rivoluzionario, sollecitato dai francesi, era urbano e limitato alla cerchia dell’ Intellighentia (avvocati e anche nobili) ma il Governo Provvisorio, iniziato il 22 maggio 1797 trovò nel movimento dei “Viva Maria”, una controrivoluzione del genere di quella della Vandea, repressa nel sangue due anni prima, un avversario idealmente pericoloso ma, al momento, facilmente debellabile. L’insurrezione si sviluppò, con il sostegno di molti preti, particolarmente fra i contadini della val Fontanabuona e di quella di Rapallo, che avevano interesse a mantenere il vecchio sistema e temevano i francesi aggressivi e sacrileghi.

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Pertanto il 4 e il 5 settembre 1797 da Camposasco in val Fontanabuona al grido di “Viva Maria”, che 50 anni prima all’epoca della rivolta detta “di Balilla” i genovesi avevano usato contro gli Austro-sardi, questi contadini, armati di forconi e solo di alcuni fucili, si avviarono verso Genova guidati dal “generalissimo” Paolo Bacigalupo. Ma, avuto notizia che i rivoltosi della Valpolcevera si erano sbandati a sentire i primi colpi di fucile e sentito parlare di amnistia lasciarono che prendesse piede il “Governo Provvisorio” Di questa non molto conosciuta pagina di storia locale vogliamo riportare due avvenimenti: uno supportato da ampia documentazione, l’altro da

testimonianze dell’epoca. Sono quelli relativi al’arciprete Matteo Marchese di Camogli e di Giuseppe Maria Canessa, canonico della collegiata di Rapallo. Da Camogli abbiamo due documenti originali, classici esempi del “visto da destra e visto da sinistra”. Il primo, sotto il titolo di “Libertà-Eguaglianza”, è una petizione contro il parroco Matteo Marchese indirizzata da alcuni rivoluzionari, tramite il Comitato di Polizia del Governo Provvvisorio che così recita: “Sebbene il trionfante carro della rivoluzione abbia ripristinato, nell’antico regno di Libertà ed Eguaglianza, la Ligure Nazione..., pure esistono ancora fra di essa degli uomini, o piuttosto


dei mostri, li quali non lasciano intentato ogni mezzo all’oggetto di togliere ai cittadini la pace e la tranquillità, che sono la base fondamentale del nuovo adottato sistema, e fomentare de’spiriti di partito tendenti ad una qualche rovinosa controrivoluzione. Secondo gli accusatori, già in precedenti circostanze, l’arciprete Matteo Marchese colle sue brighe e maneggi e per mezzo delle armi micidiali del confessionario e del pulpito avrebbe concitato il pubbico. Oltre a ciò essi esibivano una requisitoria in nove punti chiedendo al cittadino Vicario Arcivescovile di prendere opportuni provvedimenti contro il cittadino arciprete Matteo Marchese. Ed ecco, conforme allo stile dell’epoca, spontanea e tempestiva, sempre sotto il titolo “Libertà-Eguaglianza”, la risposta: “Si tratta di un’obbrobriosa congerie di calunnie ed è documento della scelleratezza, empietà ed antipatriottismo degli accusatori. tra l’altro anonimi; costoro, che si mostrano tanto zelanti del nuovo governo, hanno fatto insulto parlando delle armi micidiali del confessionario e del pulpito”.

Immagini del Santuario della Madonna del Boschetto

Il Comitato di Polizia che aveva proseguito il processo contro Matteo Marchese, anche allo scopo di calmare le turbolenze, lo rimandò a Camogli alla sua parrocchia che lo accolse con illuminazione ed evviva. Di Rapallo ricordiamo Giuseppe Maria Canessa di Nicola, canonico della collegiata, antifrancese matricolato, molto basso di statura. Mentre a Rapallo, in piedi sopra una botte arringava una folla di popolani, accalorandosi e saltandovi sopra, ne spaccò il coperchio e, sul più bello, finì dentro al contenitore. Ci possiamo immaginare la scena e comprendere come il personaggio diventasse sim-

patico a tutti i presenti quando uno del pubblico commentò: “Nelle botti piccole ci sta il vin buono.” Quando nel 1797 fu innalzato a Rapallo, l’albero della Libertà, il nostro prete, passandoci vicino, esclamò “Albero, ti vedo, ma non ti vedo” e suscitò contro di sé gli odi dei francofoni liberali quali i Tasso, i Norero, i Capurro e gli Assereto. E, proprio in occasione della sopra-ricordata controrivoluzione, seraficamente cantano “Viva Maria”, alla testa di una folla armata di forconi, bastoni e altre armi di questo genere, prima di partire con il generale Paolo Bacigalupo per Genova, a Rapallo

mise a sacco proprio la casa di Giuseppe Assereto. Fallita la rivolta, di ritorno da Quinto, lo stesso Giuseppe Maria, figura certamente eccentrica rispetto ai clichés degli ecclesiasti dell’epoca, sfuggì ai rivoluzionari che controllavano l’uscita da Camogli, nascondendosi in una piccola cesta. Sembra, ma non è documentato che non fosse poi rientrato a Rapallo dove avrebbe subito, se non la fucilazione, certamente un sacco di botte, ma nell’entroterra in una casa di contadini dalle parti delle Case di Noè sul versante di Montallegro.

Estate, occhio alle meduse! I rimedi a cura dello YACHT CLUB RAPALLO oloro che sono riusciti a fare le prime uscite in mare avranno notato la presenza, poco gradita, delle meduse. Le meduse sono animali acquatici, simili a polipi, trasparenti che si nutrono di plancton. Nei mari italiani troviamo frequentemente la Pelagia nocticula, a forma di ombrello con tentacoli che hanno la funzione di difesa o di predazione. Studi approfonditi hanno stimato un incremento del 15% della fauna delle meduse marine nei pressi delle nostre coste, con una crescita esponenziale di tre diversi tipi: la Pelagia Nocticula: marroncina di colore e con i tentacoli molto lunghi, Rihzostoma Pulmo: dal colore violetto opalescente; la Velella: la più piccolina tra le tre specie, ma ugualmente molto urticante. I motivi che hanno contribuito a questo prolificare di meduse, secondo i biologi marini, sono essenzialmente 3: il surriscaldamento delle acque, l'inquinamento delle stesse e la progressiva scomparsa dei predatori naturali delle meduse, ovvero pesce luna (mola), tonni e pesci spada.

C

Per riconoscere alcuni esemplari cliccare su: http://www.regione.sicilia.it/sanita/media/UserFiles/File/depliant_meduse.pdf Nei casi di contatto con conseguenze gravi: reazione cutanea diffusa, manifestazione difficoltà respiratorie, pallore, sudorazione, o si riconoscesse di avere avuto il contatto con una medusa pericolosa, telefonare al 118 e rivolgersi al pronto soccorso più vicino, senza attendere o indugiare. Il contatto dei tentacoli provoca una reazione locale a livello cutaneo: la pelle diventa irritata e arrossata con sensazione di dolore e prurito. Stimolare l’attività muscolare favorisce al veleno di circolare nell’organismo, per tale ragione è necessario mantenere la calma il più possibile. Ecco alcuni utili consigli in caso di contatto con le meduse: 1) Non strofinate bocca e occhi (se si viene colpiti in queste zone, rivolgersi subito al pronto soccorso); 2) Eliminare eventuali frammenti dei tentacoli della medusa facendo scorrere acqua di mare o miscela di acqua di mare e bicarbonato (ottimo) o con le mani, evitare lacerazione dei tessuti (non usare pinzette); 3) Non lavare con acqua dolce la parte colpita dai tentacoli della medusa, che favorisce la produzione di neurotossine in grado di causare danni a livello del sistema nervoso centrale, non utilizzare acqua fredda o ghiaccio; 4) Non grattare la zona dove è presente l'irritazione

in quanto questa azione stimolerebbe l'attività muscolare mettendo in circolo più velocemente la sostanza tossica; 5) Non sono utili impacchi con aceto o ammoniaca perchè sulla loro efficacia la medicina moderna ha avanzato numerosi dubbi; 6) L'uso di alcool è sconsigliato in quanto potrebbe stimolare l'apertura dei nematocisti, le cellule urticanti delle meduse; Prima di adoperare pomate e creme è sempre bene chiedere il consiglio di un medico o uno specialista; Il rimedio migliore in caso di contatto con i tentacoli delle meduse è l'applicazione di gel astringente al cloruro d'alluminio, che ha un' immediata azione antiprurito e blocca la diffusione delle tossine. Cortisonici ed antistaminici non vanno bene come primo soccorso, in quanto la loro azione si manifesta dopo circa mezz'ora dall'applicazione quando la fase acuta è già passata. Le tossine sono termolabili, perciò in mancanza d'altro è una buona idea applicare pietre molto calde. Le credenze popolari di strofinare sabbia o altro sulla parte lesa è sbagliata (potrebbe provocare infezione e altre lacerazioni), così come non è provata l’efficacia dell’ammoniaca (urine). L’aceto, invece, c’è un fondo di verità perché contro le punture delle meduse tropicali (cubomeduse) che sono mortali, viene utilizzato l’acido acetico che è contenuto anche nell’aceto casalingo. Ottimo risulta un impasto fluido di bicarbonato di sodio e acqua (di mare) applicato per 30 secondi.


VIAGGIARE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

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di Vinicio TEMPERINI

DAL PORTOGALLO ALL’ANGOLA

In viaggio con i garofani/1 D

ue importanti Industrie europee – una italiana ed una inglese – allestivano in Angola grandi impianti che stavano creando grossi problemi burocratici, politici, organizzativi con le Autorità locali. Occorreva sbloccare crediti, Dogane, Enti Portuali e vari e provvedere a ritiro, consegna, sistemazione materiali e macchinari. Problemi in teoria semplici che però ritardavano e bloccavano l’iter di importanti contratti ed operazioni e di somme notevoli. Fu deciso un intervento forte e tecnico ma diplomatico, molto discreto quasi “personalizzato. L’avvio doveva avvenire a Lisbona per chiarire alcuni dettagli bancari, legali, assicurativi ed ottenere un Visto per l’Angola a colui che andrà ad occuparsi del caso. C’era però un addizionale e non da poco agli ostacoli già previsti. Sia in Portogallo che in Angola era in corso una rivoluzione. Ricevo, lusingato, l’incarico di questa operazione e i nostri Agenti a Lisbona mi fissano un appuntamento con il Funzionario Ministeriale (ancora in carica….) che affronterà con me i dettagli locali e mi darà anche un visto d’entrata (e uscita) per l’An-

gola. Colpo di fortuna, arrivo a Lisbona che la Revoluçäo dos cravos (Rivoluzione dei Garofani) è già praticamente finita ed i soldati circolano già con i garofani nella canna dei fucili. Fortuna anche perché i rivoluzionari portoghesi appoggiavano fortemente l’indipendenza dell’Angola, ottenuta poi a Novembre 1975 anche grazie…ai garofani. Data la chiarezza e trasparenza del mio incarico a soprattutto all’appoggio di Banche ed Autorità varie ottengo, dal Funzionario in carica (non so in nome di chi….) un “Visto Privado Particular” con avvertimenti e consigli su rischi e comportamenti. Intanto l’aeroporto di Luanda viene riaperto – di giorno e con stretti limiti ed io trovo un “passaggio” (ben retribuito) su un Jumbo Cargo che va in Angola a raccogliere materiale ministeriale. LUANDA -1974 Arrivo notturno con disordini e sparatorie, Cominciamo bene….Finalmente all’alba in Hotel Talatona (credo che esista ancora) dove i due ultimi piani e la piscina sono stati sequestrati dai russi. Intanto siamo a Luglio e la situazione politica migliora ogni giorno anche se in Albergo si mangia

Il porto di Luanda

Kunene Arruolamento di un collaboratore “Tecquello che c’è… Al lavoro ! Vita dura con “Capi Galattici e nico”, Jorge Pereira di padre portoghese Capetti Terrestri” ma massima collabora- e madre bantu, sponsorizzato dagli Agenti zione e tanta cordialità, quasi amicizia da locali. Verrà anche Pedro, bantu assistente Portoghesi e Angolani “umani”. Lo si tuttofare, molto sveglio ed affidabile. creda o no, il dialetto genovese che ci di- LUANDA / KABINDA vertivamo e confrontare con il portoghese Uige e Kabinda aeroporti chiusi, Si va su (u frigideiro…) mi ha aiutato molto. Ho strada. Naturalmente troviamo qualche commentato questo episodio con Bruno posto di blocco e relativi interrogatori e Lauzi che mi disse “Ti me devi pagà a per- qualche perquisizione. Jorge esibisce amcentuale”. mirevole “Savoir faire” e merita un plauso. Risolti in qualche giorno (e qualche Ammetto che a questo punto racconto di notte….) i problemi burocratici. Nota mon- un bel viaggio turistico. Strade buone. dana : scopro che a Luanda, come in tutta Qualche zona desertica o savana ma l’Angola, nonostante la Revoluçäo si fa anche foreste, campi, corsi d’acqua e fiumi musica, si canta e si balla. In portoghese suggestivi ( Kubango, Kwanzai), cascate, ed in bantu. L’integrazione è eccezionale. lagune. Incontri con la gente più amicheQuando si chiamava N’gola ed era domi- vole di tutta l’Africa Atlantica. Se hai lo spinata dalla “Compagnia delle Indie” olan- rito giusto, “carpe diem” e goditi il dese c’era Re M‘bundu che spediva con momento. Buon albergo a Uige anche se entusiasmo, ben remunerato, schiavi in nutriti praticamente solo con polli, uova, Sud America soprattutto Brasile. frutta e verdura fresche locali. IncredibilGli Africani – specialmente nella parte Oc- mente problemi risolti in pochi giorni e ricidentale – hanno una forza ed un istinto torno “turistico” a Luanda. Toccava ora irrefrenabili che li porta ad esprimersi con all’intervento al Sud: maggiore distanza da musica, canto, danza. Sono nati così suoni superare in zona più tormentata politicae danze che hanno conquistato poi il mente ed interlocutori molto più problemondo intero. matici. Un esempio. In quei giorni nella L’intervento sarà diviso in due operazioni. zona Kunene/Kabinda esisteva una corAl Nord prima intervento burocratico a rente favorevole ad una secessione pro Uige poi rintracciare, prelevare, assicurare Namibia (in allora South West Africa). Per custodia del materiale a Kabinda, sul delta reazione i “nazionalisti” distrussero subito del fiume Congo/Zaire (non lontano dalle lo storico ponte che univa i due Paesi. Cascate Victoria chiamate così da Livin- Nota statistica: il ponte fu ricostruito, alla gstone mentre i Kololo ancora le chiamano grande, dagli italiani negli anni 80. “Mosi-oa-Tunya” cioè “Il fumo che tuona”. (continua)


CINEMA

di Luciano RAINUSSO

AL CINEMA in diagonale

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

Il Dittatore

di Larry Charles

Non sono pochi i film sui dittatori (uno dei più recenti è quello di Woody Allen, ambientato in una repubblica sudamericana). Su tutti però svetta il capolavoro assoluto di Chaplin, realizzato nel 1939, destinato a rimanere ineguagliabile per tutti i secoli a venire. Questo, invece, è molto più semplicemente il quarto film interpretato da Sasha Baron Cohen, comico inglese balzato alla notorietà internazionale con BORAT: un'estrosa farsa alquanto irriverente di sei anni fa, sulle vicissitudini di un giornalista kasako in giro per gli States. Ora, al centro, c'è il despota di un immaginario paese del Nord-Africa, inviso all'Occidente, che vuole recarsi all'Onu per denunciare i difetti della democrazia americana. Copione vuole che uno zio, infido capo dei servizi segreti, riesca a farlo sostituire, con un sosia, pastore di capre, e lui, perso per New York, senza soldi e documenti, incappi in una biondina pacifista e progressista che sa il fatto suo. Il film è sicuramente più di Baron Cohen (qui anche produttore e sceneggiatore) che del regista Larry Charles. Accumula anche stavolta gl eccessi delle sue precedenti pellicole, deborda sul fronte trash, ma assicura un buon divertimento. Per come metaforizza, parodiandole, realtà geografico-politiche ben note.

War Horse

Eravamo, io e il cinema, della stessa età mentale: io avevo sette anni e sapevo leggere, lui ne aveva dodici e non sapeva parlare. Sartre

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Marigold Hotel di John Madden

Commedia inglese ispirata ad un romanzo che in Italia è in vendita con un titolo piuttosto bizzarro: “Mio suocero, il gin e il succo di arancio”, mentre quello originale è semplicemente “These foolish thinks”. La vicenda è corale e riguarda un gruppo di neo-pensionati inglesi che si recano in India, per prendere dimora in un albergo gabellato on line come confortevole, lussuoso e particolarmente erotico. La realtà che attende gli over 7O sarà ben diversa, ma il colore e il calore locali aiuteranno a risolvere tanti problemi personali. Assortita la comitiva: un'ex governante bisbetica e razzista, un giudice gay alla ricerca di un vecchio amore, un farfallone arzillo che morirà col sorriso sulle labbra, una vedova di belle speranze e due coniugi litigiosi. Il tono punta al grottesco e calibrata è regia dell'autore di SHAKESPEARE IN LOVE, una delle commedie inglesi più riuscite degli ultimi anni, Un gruppo di interpreti che lasciano a bocca aperta (da citare almeno le immense Maggie Smith e Judi Dench). Nel ruolo dell'intraprendente proprietario dell'albergo Devi Patel, il ritrovato simpatico protagonista del famoso film indiano LE MILLIONAIRE.

Ciliegine di Laura Morante

di Steven Spielberg

Un ragazzo inglese del Devon si arruola nell'esercito e parte per la guerra (quella del '14, la prima mondiale) per ritrovare il cavallo che ha visto nascere, venduto dal padre allo Stato per pagare un debito. Solo un regista come Spielberg poteva portare sullo schermo una storia come questa, desunta da un romanzo per minori. Non a caso è stato coniato il detto “dopo l'alieno E.T. e il soldato Ryan salvate il cavallo Joey”. Ovviamente, qui siamo lontano sia dalla retorica bellica che dalla simpatica puerilità dei due film di Spielberg più premiati agli Oscar. Non fosse altro per il grande senso epico che la vicenda acquista nell'affrontare il tema della guerra. E non è un caso che le due sequenze più belle del film siano legate a questo tema: l'assalto della cavalleria inglese che ricorda un momento del kubrickiano BARRY LYNDON e le fuga del cavallo che resta impigliato tra i reticolati della terra di nessuno. Spettacolare, schiettamente popolare, impressionistico, perfetto nel ritmo e nella fattura, WAR HORSE è un altro esempio di quel cinema cui appartengono le opere maggiormente evocative di Spielberg. Tra queste SCHINDLER'S LIST, film sull'Olocausto, il suo capolavoro.

Non sarà l'ultima verità sull'amore quella sostenuta dall'attrice Laura Morante nel suo primo film da regista: Ossia, che si ama l'amore semplicemente perché è un sentimento che mette paura. Per affermare questo assioma piuttosto singolare, la neo regista porta sullo schermo la vicenda di una quarantenne che ha sempre avuto rapporti non facili con gli uomini. Una donna alquanto suscettibile, abituata ad analizzare i comportamenti maschili ricorrendo alla solita lente d'ingrandimento. Le basta un niente per mettere in crisi una relazione, come l'unica ciliegina della torta che, all'inizio, il suo compagno si mangia per distrazione, la sera in cui si festeggia un anniversario. E se le capita di innamorarsi nuovamente dovrà credere che, ad affascinarla, sia un gay per liberare la propria femminilità. Siamo però alla parodia dei film sentimentali e ogni situazione è intrisa di ironia, l'unico ingrediente giusto per trattare i rapporti di coppia, almeno nell'ambito del cinema nostrano. Aiutata dalla suggestiva ambientazione parigina, la Morante tiene presente i modi di raccontare e la levità che furono di Rohmer, sebbene qui il gioco sia piuttosto sterile e totalmente avulso dalla realtà quotidiana. Al fianco della Morante, alcuni ottimi interpreti framcesi, tra i quali Isabelle Carré, l'amica che aiuta il caso a risolvere i problemi della protagonista.

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E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

LETTERE E NOTIZIE

BOSCHI IN FIAMME Spettabile Il Mare, si fa un gran parlare di lotta ai piromani e qui, a Rapallo, nessuno si cura di far spegnere tutti quei fuochi illegali, facilmente individuabili: basta raggiungere la colonna di fumo. Questi fuochi, veri e propri falò, spesso sono accesi (vedi ad esempio la parte alta di Via Aschieri) al confine con parchi alberati di Ville oggi non più 'vissute'. Oltretutto obbligano i vicini a non stendere durante quelle ore per evitare di rifare il bucato e devono vivere (siamo in estate) con le finestre chiuse se non vogliono essere soffocati dal fumo. Ma non è espressamente proibito questo pericoloso crimine che crea pure disagio? Volendo, sono individuabili: qualche controllo in più li eliminerebbe. Dobbiamo aspettare, a Rapallo, il piovoso inverno per vivere in pace? Grazie Lettera firmata

MENU' ....MULTILINGUE Caro Direttore, l'altra sera in una pizzeria ho dato una mano a dei turisti tedeschi che, pur conoscendo l'inglese, non riuscivano a capire il menù perchè scritto solo in italiano. Se Rapallo vuol continuare a farsi scegliere da turisti stranieri, deve adeguarsi, pena soccombere. Se tutti i ristoratori decidessero di dotarsi di un menù almeno bilingue, italiano e inglese, forse potrebberro sperare di restare al passo con i tempi. La spesa per la traduzione, suddivisa fra tutti, è minima ma il risultato assai più pagante. In Austria, anche i più sperduti paesini li hanno. Cordiali saluti. Lettera firmata.

IL CORTEO STORICO DI RAPALLO Spett.le Redazione, in occasione dell’Expo Rapallo-Tigullio ho assistito allo svolgersi del Corteo Storico di Rapallo. Bello e interessante ed è solo al

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TRAFFICO IN VIA DON MINZONI

suo secondo anno. I figuranti tutti impegnati, bravi gli sbandieratori e buono il martellare dei musici. Felice l'idea di fermarsi agli slarghi ed esibirsi. Sarebbe ancora più coinvolgente se sfilassero come ad una "processione". Lo si gusterebbe di più. Un unico neo. In una città che ha ottime scuole di equitazione, non si è visto sfilare neanche un cavaliere. I cavalli danno sempre un tono. Forse basterà coordinarsi per averli il prossimo anno. Cordiali saluti. R.B.

ARIA DI CONFUOCO Caro Direttore, Speriamo che i Nuovi Amministratori pensino in anticipo alla Festa del Confuoco così da evitare quel rituale antistorico e soporifero che ogni anno si svolge, sempre raffazzonato, nel Teatro delle Clarisse. Perchè non affidare la regia della cerimonia a chi ha dimostrato di saperci fare, aderendo alla verità storica e in particolare ai curatori del Corteo storico di Rapallo? Il confuoco, se lo si vuole correttamente far rivivere, deve svolgersi nell'androne del Palazzo Comunale e sulla antistante ampia gradinata, così come lo ripetono al Palazzo Ducale di Genova. Sarebbe bello ci fossero pure gli sbandieratori e i musici: era festa di popolo. La gente coglierebbe il significato vero della cerimonia. Gli show parrocchiali al chiuso, lasciamoli

Invitiamo i lettori a volerci segnalare suggerimenti, problemi. Pubblicheremo le vostre istanze, raccomandandovi la brevità dei testi per evitare dolorosi tagli.

Scriveteci a Redazione “IL MARE” Via Volta 35 - 16035 Rapallo E-mail: rapallonotizie@libero.it

al passato. Per inciso, il Parroco non è figura storica, pur se presente. Questa cerimonia laica ma non anticlericale, ricorda l'incontro fra la classe borghese che stava emergendo dal popolo, Capitano in testa, ed il potere, il Doge. Tutto il resto è anacronistico, ciarpame da buttare, localizzazione nel teatrino compresa. Grazie e speriamo nei "nuovi". R.B.

AIOLE , PERE E CANI Caro Direttore, come era facile prevedere le aiuole con le pere, quelle realizzate in via Mameli, zona supermercati, sono state (complici anche i padroni) ridotte a raccogliere tutte le deiezioni canine e non solo. In questi giorni di caldo e sole intensi, la zona non è più frequentabile perchè il fetore che emanano riscaldandosi, appesta l'aria tutto attorno. Abbiamo perso dei parcheggi in zona nevralgica ma, in compenso, dobbiamo respirare l'aria resa fetida dall'orina dei cani, autorizzati dai loro padroni. Complimenti a chi ha avuto l'idea. Grazie se vorrà pubblicarla. Lettera firmata

Egregio Direttore, vorrei segnalare un paio di inconvenienti, esistenti e verificabili, in Via Don Giovanni Minzoni, a Rapallo. Chissà che la novella Amministrazione non vi possa porre rimedio, come ebbe a fare quella precedente con la messa in opera del segnale di precedenza per il transito del sottopasso ferroviario di Via Maggiocco. La citata Via Don Minzoni fino alla collegata via Maggiocco è a doppio senso di marcia; via Maggiocco invece...pure. Con il traffico aumentato per la cementificazione collinare, complice anche l'afflusso dei "foresti" estivi, oltre che a senso doppio pure a pericolo... triplo. Infatti le vetture parcheggiate a lato strada limitano di molto lo spazio veicolare, talchè le macchine che transitano in senso opposto, i cui guidatori pare abbiano tutti le mani anchilosate perchè, prima delle curve, non segnalano la loro presenza servendosi del clacson, sono costrette a trovare qualche via di fuga oppure a improvvisare repentine marce indietro. Sensi unici, opportunamente studiati e messi in opera, sarebbero salutari anche per i residenti (no incidenti, no clacson, no disagi...). Ancora, alla confluenza di Via Don Minzoni con la Piazza detta "del Polpo" il passaggio pedonale, che era prima arretrato dieci metri, è stato disegnato proprio all'inizio strada. Siccome chi deve passare sulle strisce pedonali lo fa lentamente (trattasi sovente di anziani) e, se i pedoni sono più di uno, attraversano in fila molto indiana, chi deve entrare nella suddetta via si deve giocoforza fermare per non investirli, cosicchè il traffico intenso proveniente dall'Aurelia Levante devesi fermare anch'esso e il rischio di incidenti aumenta. Cosa ci vuole a ridisegnare le citate strisce arretrate come furono nel recente passato? Lettera firmata


di Renzo Bagnasco

Gargantua

LETTERE E NOTIZIE

E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o

Il proverbio del mese Sensa vin se navega, sensa mugugni no Senza vino si naviga, senza il diritto a protestare no

Salsa verde dei frati

Spazio Aperto di Via dell’Arco

Ingredienti: 20 gr di pinoli,1 mazzetto di prezzemolo,1 acciuga, 2 cucchiai di aceto bianco, 15 gr di pistacchi,20 gr di capperi e 4 cucchiasi di olio extravergine. Esecuzione: Pulire e diliscare bene l'acciuga; metterla nel frullatore con i pinoli, i pistacchi e il prezzemolo. Frullare. Aggiungere quindi l'olio, l'aceto e i capperi, frullando poco per non spappolarli. Utilizzare per insaporire bolliti o altro.

Associazione di Promozione Sociale

Settembre SABATO 8, ore 17.00 Passeggiate araldiche Da Cenerentola alla Marina Militare Michele D’Andrea, del Segretariato Generale del Quirinale

SABATO 15, ore 17.00 LUNGOMARE APERTO O CHIUSO? Gentile Redazione, A Rapallo cambiano le Amministrazioni, cambiano i Sindaci, ma le cose "sbiruline" restano. Con questo termine che ricorda un personaggio interpretato da Sandra Mondaini, indico la insana abitudine di chiudere il lungomare Vittorio Veneto,neppure di tanto in tanto,ma più tanto che tanto, acciocchè si svolgano i più disparati "eventi". Sembra che senza "eventi" i rapallini,i rapallesi,i popoli viciniori e pure quelli foresti non riescano a campare. La città, stretta tra i due rivi, il Boate (che alla foce assume l'aspetto di fiume vero) e il San Francesco, (che da torrentello diventa nulla, nascosto, anzi sotterrato,fino allo sbocco naturale davanti al vecchio Castello) scoppia intanto di traffico veicolare, mancando di una via "vera" di circonvallazione. Le macchine si accodano proprio sul ponte del Boate, quelle che giungono dall'Aurelia Ponente si mischiano con le numerose provenienti dall'Autostrada e le numerossime che arrivano da Santa Margherita e si

CASARZA LIGURE Via Annuti 40 (Croce Verde) Apertura: Martedi ore 12

www.ac-ilsestante.it

MESE

Giorno Sabato

Settembre

bloccano, nonostante l'encomiabile sforzo dei due Vigili Urbani preposti all'immane bisogna. Però, siccome tutto il mal non vien per nuocere, ecco una proposta al Sindaco Costa: perchè non organizzare un "evento" sul lungomare tutti i giorni, dal primo Gennaio al 31 Dicembre? E' probabile che i sammargheritini più ostinati, Sindaco De Marchi compreso, sul prospettato tunnel tra la Perla e l'A12 cambino idea... Cordiali saluti, Luigi Fassone

Caro lettore, quella del lungomare aperto o chiuso nelle ore serali è una questione vecchia come il più antico mestiere del mondo. Personalmente, se debbo gustare un gelato lo preferisco crema e cioccolata, senza l’aggiunta di idrocarburi.

20 12 Lunazioni, Stagioni e Segni Zodiacali

Ora./min. Descrizione 08

15:15

Ultimo Quarto

Domenica 16

04:10

Luna Nuova: 7A Lunazione dei Profumi

Sabato

22

16:49

Il Sole entra nel segno della Equinozio dʼAutunno

Sabato

22

21:41

Primo Quarto

Domenica 30

05:18

Luna Piena

Bilancia

Le Repubbliche Partigiane nel Nord-Italia tra 1943 e 1945 Come in molte località liberate venne ripristinato il tessuto civico e si riorganizzarono le istituzioni pubbliche primarie Vittorio Civitella, saggista e ricercatore storico

DOMENICA 16, ore 17.00 Ninel Ivanovna Podgornaja, il coraggio di scrivere nella Russia sovietica “L’attimo irripetibile – intrighi e misteri d’amore alla corte degli zar” [ed. Solfanelli (CH)] Alfredo Bertollo, traduttore; Raffaella Saponaro; Pier Luigi Coda a cura di “La Corallina” - Associazione per le tradizioni liguri

SABATO 22, ore 17.00 Archeologia industriale: Genova e Cornigliano La ricostruzione del paesaggio con l’aiuto della tecnologia Chiara Gardella, storica dell’arte

SABATO 29, ore 17.00 “I Costa. Storia di una famiglia e di un’impresa” Da Santa Margherita a un impero commerciale Giuseppe Costa, presidente “Costa Edutainment” S.p.A.; Erika Dellacasa, giornalista e autrice del libro sulla famiglia Costa; Franco Manzitti, giornalista



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