Florian Grott

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GROTT 2010 Florian ‘Sculture e Pittura a più voci’


Catalogo e percorso espositivo a cura di Karin Cavalieri

PREFAZIONE………………………………pg 5

Testo critico Renzo Francescotti

TESTO CRITICO……………………………pg 7 OPERE……………………………pg 11

Fotografie Alessandra Lanfredi Grafica Art Flu Monografia pubblicata in occasione della mostra GROTT 2010 Cirillo - Florian “Sculture e Pittura a più voci’ 18 luglio - 12 settembre 2010 Maso Spilzi, Costa di Folgaria Casa-Museo Grott, Guardia di Folgaria Castello di Beseno, Besenello Trentino Pubblicata in coppia con la monografia dedicata a Cirillo Grott Ideazione Davide Ondertoller Organizzazione Associazione culturale ArteGuardia In collaborazione con Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento, Regione Trentino-Alto Adige, Comune di Folgaria, Cassa Rurale di Folgaria, Consorzio dei Comuni Bim dell’Adige, Promart Trento, Trentino Spa

BIOGRAFIA…………………………pg 38 ANNOTAZIONE…………………………pg 40

Info www.grott.net

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti. Finito di stampare in luglio 2010

Provincia autonoma di Trento Regione Trentino-AltoAdige

Carne contro carne - studio, 2010, tecnica mista su cartoncino, 70x100 cm……………………………pg 11 Il potere della notte, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 12 Creatura lignea - frammento, 2008, cirmolo, 123 cm……………………………pg 13 La donna di Messina, particolare 2009, tecnica mista su tela, 115x75 cm……………………………pg 14 L’erede della solitudine, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 16 L’erede della solitudine, part., 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 17 L’uomo dei muri, 2007, tecnica mista su carta, 70x50 cm……………………………pg 18 Il pensatore, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 19 Il monsignore dell’effimero, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 21 Monsignore, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 22 Monsignore, particolare, 2008, tecnica mista su cartoncino, 100x70 cm……………………………pg 23 Cristo, 2007 salice e nespolo, innesto, 160cm……………………………pg 24 Cristo, particolare, 2007 salice e nespolo, innesto, 160 cm……………………………pg 25 Il Pentimento del guerriero, 2002, cedro, 200 cm……………………………pg 27 Uno scudo contro il potere, 2008, cirmolo, 163 cm……………………………pg 29 Dopo la battaglia, particolare, 2007, cirmolo, 105 cm……………………………pg 31 Guerriero, 2007, cirmolo, 120 cm……………………………pg 32 Guerriero, 2007, particolare, cirmolo, 120 cm……………………………pg 33 L’ombra del guerriero, particolare, 2002, cedro, 165 cm……………………………pg 34 Guerriero morente, 2010, frassino, 70 cm……………………………pg 36 Florian Grott nel bosco, fotografia di Alessandra Lanfredi……………………………pg 37

Comune di Folgaria

Cassa Rurale di Folgaria


Prefazione

Per il nostro Comune è sicuramente un onore ospitare nel 20° anniversario dalla sua scomparsa di Cirillo Grott, la mostra GROTT 2010 Cirillo – Florian ‘Sculture e Pittura a più voci’ all’interno di Maso Spilzi simbolo, assieme all’artista, della storia del nostro Altopiano. Altopiano che Cirillo amava sia per il contatto con la natura sia come spazio emotivamente vissuto, tanto da divenire una sorta di geografia privata fatta di luoghi carichi di significati e simboli che spero abbiano concorso a formare il suo Genius Loci: lo spirito, il carattere, l’anima. In lui l’artista e l’uomo si compenetrano perfettamente nell’umiltà e nella spiritualità, che tanto lo hanno caratterizzato. Cirillo Grott era un uomo così, semplice ma profondo, privo di paura nello scoprire i segreti dell’animo umano, consapevole dei grandi paradossi della vita, affascinato dai miracoli della natura compresa la figura femminile che da lui viene esaltata nella gentilezza delle forme, nella sensualità e soprattutto nella maternità. Un ruolo quello della donna per lui concretizzato nella figura di Alessandra, sua amatissima moglie che è stata per lui compagna, ispiratrice, amica, confidente, nonché madre dei suoi tre figli. L’importanza di questo rapporto si precisa nella metafora che Alessandra ha ricordato in un’intervista: “Diceva che eravamo in viaggio e che io gli indicavo la strada”. Oggi questo viaggio Alessandra lo continua da sola con estremo amore nei confronti del marito per divulgare la conoscenza della sua produzione artistica. Chi invece, ha ereditato la passione per il “fare arte” è il figlio minore Florian, che nonostante il grande confronto con il padre, si presenta sulla scena artistica con un suo operare ben preciso ed autonomo. Sono creazioni che inondano l’osservatore di uno spirito fiero ed ancestrale. I suoi “guerrieri” si impongono davanti ai nostri occhi consapevoli della loro importanza ed esistenza, mentre le “figure femminili” cariche di un’aura regale, esigono da parte nostra un rispetto sincero e silenzioso. Cirillo e Florian Grott ci immergono in un mondo di emozioni e ci fanno sentire partecipi di una visione profonda e intima. Vorrei chiudere questo mio intervento con un pensiero - poesia di Cirillo che ben esprime, dal mio punto di vista, l’operato di entrambi questi artisti: “Attendo e muovo le mani nella mia materia per trarne una vita. […] Vorrei che la mia scultura amica di quei ceppi e di quegli abeti tra cui sono nato, scovasse nell’anima della mia gente ciò che desta stupendo interesse della natura. […] cerco il mio mondo e dono il mio mondo… ”.

rag. Maurizio Toller Sindaco di Folgaria

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Un ideale equilibrio tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione. La figura del giovane artista Florian Grott incorpora un senso trentino di permanenza, di continuazione, di non esclusione. La sua esperienza si presenta infatti come prosecuzione e dialogo rispetto alla ricerca portata avanti dal padre Cirillo. Usa i medesimi materiali – “quei ceppi e quegli abeti tra cui sono nato” – scolpiti anche dal padre. E’ un legno le cui radici affondano nel territorio e i cui tronchi si protendono verso l’alto, verso l’esterno, verso aliti di vita, verso forme sempre nuove che prima Cirillo ed ora Florian infondono dentro di loro. Ne viene a galla un’idea di proseguimento di un cammino, ben lontana da un veloce volontà di superamento, da un freddo senso di allontanamento da quanto ci ha preceduti e da quanto ci circonda. Questo è quanto la mostra Grott 2010 intende sottolineare, affiancando per la prima volta i due Grott artisti, padre e figlio. Conoscitori privilegiati di porte d’accesso all’anima della montagna, da tramandare l’un l’altro e da raccontare attraverso le loro opere d’arte. Franco Panizza Assessore alla Cultura della Provincia autonoma di Trento


Testo critico

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L’EPOS VISIONARIO DI FLORIAN GROTT di Renzo Francescotti Prologo celtico Guardia: un pugno di case sospese sopra la valletta che da Folgaria scende sino alla Vallagarina, col Castel Beseno (il più grande del Trentino-Alto Adige, quasi una cittadella fortificata) a sbarrare l’accesso alla valle, su un percorso strategico che apre agli altopiani di Folgaria, Lavarone, Luserna e più in là di Asiago. Un’indagine di famiglia comunicatami dalla pittrice Paola Grott (anch’essa originaria della Guardia, della stessa tribù dei Grott) ha appurato che i Grott vengono dall’Olanda, discendono da un lanzichenecco che si fermò in questo osservatorio di guardia. L’Olanda, le Fiandre sono una terre di strepitosi pittori: da Bosch a Bruegel, a Van Dick a Van Eick, a Rembrandt, a Rubens, a Vermeer giù sino Van Gogh, a Ensor ai contemporanei Cobra. Tutti di un territorio che era fitto di tribù celtiche. I Celti non credevano in un mondo creato una volta per tutte, ma in un mondo che eternamente si ricrea, in eterna metamorfosi. I Celti amavano visceralmente gli animali, gli alberi, le pietre, le acque: erano visionari per cui non esistevano confini tra realtà e sogno, mondo dei vivi e dei morti, nel segno dell’eterno ritorno. I Celti erano uomini coraggiosi, sfidavano l’avversario nudi, non avevano paura di niente “se non che il cielo crollasse sopra di loro” (l’esplosione dell’universo). I Celti pensavano che la vita fosse un’avventura irripetibile da vivere sino in fondo, irridendo la morte. Sono componenti, a mio avviso, presenti nella scultura e nella pittura di Florian Grott, che vivono e si agitano nel suo patrimonio genetico. Partendo dal padre

Renzo Francescotti è scrittore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di poesia, narrativa, saggistica storica, letteraria ed artistica. La sua notorietà ha varcato i confini nazionali con la raccolta di versi Saguaro (1992), tradotta in Messico due anni dopo e tradotta anche negli Stati Uniti, (2003) e con due libri di poesia: Trent’anni di versi (1995) e Celtica (1998), entrambi tradotti in Romania. È presente in importanti antologie nazionali come Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), entrambe edite da Garzanti. Sue poesie in dialetto trentino sono state incluse – tradotte in inglese – nell’antologia Dialect Poetry of Northern and Central Italy (Legas, New York, 2001).

Quando suo padre Cirillo scomparve improvvisamente a soli 52 anni Florian ne aveva poco più 15, l’età in cui si ha più bisogno di un padre. Vai a vedere il suo percorso artistico e umano e ti accorgi che quello del figlio è perfettamente sovrapponibile a quello del genitore: Florian si è diplomato alla Scuola d’Arte in Val Gardena, ha aperto un suo laboratorio a Rovereto, poi a Folgaria, infine alla Guardia, dove si è costruito un’abitazione-laboratorio. Tutto, tappa per tappa, come suo padre… Tutti gli scultori, concentrandosi sulle forme e i contorni delle cose, sono necessariamente anche disegnatori; ma di norma i loro disegni sono preparatori alla sculture. I Grott padre e figlio sono scultori/pittori quasi divisi in parti uguali, alternando le due arti o portandole avanti parallelamente. A ribadire il legame col padre, la continuità tra una generazione e l’altra c’è da dire che Florian si è costruito in legno un’abitazione su una rampa a prato che si arresta contro il bosco: sopra di lui è la casa/museo di Cirillo, amorosamente custodita dalla moglie Alessandra; a qualche passo la Grottstube gestita da Tiziano, figlio di Cirillo. Cuoco diplomato. L’abitazione del nostro artista è elementare: sotto un ampio laboratorio, sopra un piccolo soggiorno con un soppalco contenente un letto matrimoniale: Florian ci dorme con la giovane moglie russa da poco impalmata. L’abitazione (io la chiamerei barch, parola celtica che significa riparo primitivo, che in dialetto ha dato “barco”, riparo per animali e in italiano “ barchessa”) è viso a viso col bosco da cui lo scultore trae i tronchi, i ceppi che scolpisce: di abete rosso e bianco, di acero, quercia, olmo… Ma girando per i campi può trovare vecchie piante seccate di pero, melo, ciliegio, tutti legni ottimi da scolpire. Insomma, una felice arcadia, si potrebbe pensare, se non fosse che Florian, come tutti gli artisti autentici, è un uomo in cui agisce una carica di disperazione. Mi ha raccontato sua madre che quando suo marito si sentiva angosciato andava nei boschi e tornava rasserenato. Non so se lo faccia anche Florian: penso di sì. Avere un padre famoso e continuare la sua arte può essere un vantaggio per il figlio, ma anche un peso (inevitabile il confronto) di cui è difficile liberarsi. Cirillo Grott guardava agli artisti di Corrente: pittori come Guttuso, Birolli, Migneco, Sassu, scultori come Manzù e poi Murer. Soprattutto quest’ultimo, anche lui uno scultore alpino, che cominciò scavando dai tronchi torsi di uomini, era per lui un artista di culto. Florian è della generazione


seguente, ferita dalle angosce contemporanee, in cui troppe speranze dei padri si sono frantumate. Di tutte le avanguardie che all’inizio del ‘900 sconvolsero il territorio dell’arte, a mio avviso è l’espressionismo il movimento che si è rivelato più fertile: con la sua volontà di liberare le energie più primitive e profonde attingendo alla natura, deformando la realtà per catturarne l’anima, rinnegando i concetti di bellezza e armonia a favore della ricerca della verità. Le istanze espressioniste, in tutte le loro declinazioni hanno percorso tutto il ‘900, sviluppandosi nell’espressionismo astratto, nell’arte materica coi catrami, i cretti, i sacchi bruciati di un Burri, metafore delle frantumazioni, delle angosce, delle catastrofi del secolo più tragico della storia. A me appare naturale inserire Florian Grott in questo scenario, definirlo un artista “espressionista”. A questo punto si profila il pericolo del “già visto”, della ripetizione, dell’epigonismo. Andiamo un po’ a verificare. Ciò che colpisce nelle opere sia di scultura che di pittura di questo artista è la carica vitale che esse sprigionano, espressa nella sua oltranza persino ingenua. E’un mondo di umani e animali (le piante, le pietre, le acque di norma non vi compaiono: gli alberi sono presenti nei tronchi scolpiti, le rocce nei legni plasmati, le acque nei solchi, nelle pieghe del legno scavato). E’un mondo che affonda nell’humus del territorio, concreto e mentale. Il gufo che l’artista ha visto e udito tante volte nella notte del bosco, presente nelle fiabe ascoltate da bambino, nei ricordi della sua infanzia, si dilata, diviene enorme, metafora della presenza/potenza della natura. I guerrieri delle memorie ancestrali, delle letture da ragazzo, balzano fuori dal cavo dei tronchi per rivelarci celticamente l’epifania del coraggio, dell’avventura, dell’oscurità del destino, del mistero, della morte. Le opere in mostra Pur faticando nella costruzione del suo barch ha lavorato intensamente, soprattutto alla pittura negli ultimi due tre anni il nostro Florian. E questa mostra ambientata in tre luoghi carichi di memorie e suggestioni lo documenta. Ci sono figurazioni di tori e toreri (impossibile non pensare a Picasso ma, contemporaneamente, al temperamento di lottatore dell’artista). Ci sono sensuali nudi di donna, non però dipinti nel loro realismo, ma evocati in una valenza metaforica (l’eros, l’enigma); ci sono figurazioni che si riferiscono prevalentemente al passato, come il vecchio montanaro solitario, e al presente, come il cantante rock. Ma i temi, i cicli che dominano osmoticamente sia la pittura che la scultura sono due: i guerrieri e gli ecclesiastici. Il Trentino è il territorio dove si è svolto il Concilio più importante della storia; in cui da qualsiasi punto tu alzi lo sguardo traguardi una chiesa, una cappella, un “capitello”, una croce; dove la figura del prete e del frate sia in campo ecclesiastico che sociale e culturale hanno avuto sino ai nostri giorni (diverso il discorso per il futuro, dato che il clero appare come una specie a rischio d’estinzione) un ruolo determinante se non opprimente. Aggiungi che la Chiesa è stata nei secoli la maggior committente di opere d’arte, in pittura, scultura, architettura, arredo sacro. Impossibile quindi che gli artisti, per sincera fede o sincera convenienza, non siano stati improntati da tutto ciò che attiene al religioso: perfettamente naturale che tutti o quasi gli artisti trentini abbiano affrontato il tema del sacro. Ma qual è l’approccio che su questa coordinata ci rivela il nostro Florian? Diciamo che è necessario distinguere tra religiosità intesa come fede e religiosità come fedeltà alla Chiesa al clero. Sulla presenza nel nostro giovane artista del primo tipo di religiosità non mi pare che ci piova: i bellissimi Cristi scultorei o pittorici sono lì a testimoniarlo. Diverso il discorso religione-clero. Quando, come vedremo concretamente, questo artista trentino dipinge figure di ecclesiastici l’immagine che ci trasmette è controversa, ambigua: in bilico tra l’ammirazione per ecclesiastici che ci trasmettono immagini di dignità/potenza e l’ammiccamento, l’ironia, la smitizzazione. Nell’arte contemporanea del nostro Paese abbiamo tutti in mente le ieratiche immagini di papi e cardinali affidate alla sculture di un Manzù, di un Bodini; così come gli ironici pretini di Nino Caffè. Sono due modi diversissimi se non opposti di guardare al clero: da una parte il fascino, la potenza di una chiesa cattolica millenaria (sentiti anche da un iscritto al partito comunista com’era Manzù); dall’altra il clero còlto negli atteggiamenti più quotidiani, un clero non contestato, non smitizzato, non irriso, ma affettuosamente ironizzato. Tra questi due poli si colloca Florian Grott.

Testo critico

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Le opere in mostra: ecclesiastici e guerrieri Tra i dipinti in mostra (su carta, anche di ampie dimensioni, ad acrilico o tecnica mista) ce n’è uno che è a mio avviso emblematico: è Il pensatore. Impossibile non cogliervi la duplicità, la sovrapposizione delle icone del Cristo e del Che Guevara. Il che significa che il pensiero è rivoluzionario, personificato da chi impugna le armi per affermarlo, oggettuali o spirituali che siano. Ed eccoci alla sfilata degli ecclesiastici. Il vescovo è il dipinto meno ambiguo: ci presenta la figura a mezzobusto di un uomo nella sua impattante fisicità (agisce forse la suggestione di certi film americani, dove i pastori d’anime hanno i tratti di personaggi da Far West). Ne Il monsignore dell’effimero l’immagine sin dal titolo appare di contestazione: i tratti dell’ecclesiastico sono duri, scostanti. In primo piano è una mano che sembra benedicente. Ma ad osservarla bene, con le sue ben sette dita espressionisticamente deformate, enfatizzate, il gesto non è di benedizione, la mano non rivolge la palma ai fedeli: si rivolge a se stessa, come a portare a sé qualcosa. La totale ambiguità presiede il dipinto Il Monsignore in cui l’ecclesiastico rivela una sorprendente somiglianza con Alberto Sordi (una somiglianza conscia o inconsapevole?), vale a dire con l’attore che più genialmente ha interpretato ironicamente l’ambiguità. Infine La deposizione, il dipinto di maggior spazio e complessità, in cui le figure si moltiplicano sino a quattro. Ma non sono quelle della Madonna, di San Giovanni o della Maddalena. Una è quella di un giovane uomo che si disinteressa al drammatico avvenimento, guarda altrove. La seconda è quella di una ragazza spogliata, in atteggiamento provocante, che guarda agli spettatori che la guardano. L’unico a guardare al Cristo deposto è una alto prelato, che ne tocca il corpo. Ma il suo volto è indifferente, la sua mano è stesa in un gesto di possesso. Passando alle sculture lignee c’è un lavoro che può essere considerato un’interfaccia tra le sculture a tema religioso e i guerrieri: il titolo è Guerriero morente. In effetti, pur priva della croce, evidente è l’icona del Cristo crocefisso, di Gesù guerriero dello Spirito morto ammazzato. I guerrieri di Florian non hanno volto, o lo hanno nascosto dietro la celata dell’elmo, o sotto l’elmo non c’è la testa, c’è il vuoto. Non hanno volto, non hanno voce (del calviniano Cavaliere Inesistente sentivi almeno la voce metallica filtrare da dietro la celata). Sono apparizioni enigmatiche come Il pentimento del guerriero, una figura tutta catafratta, quasi “cubistica” che non concede niente di sé; così che non riesci ad afferrare di cosa si sia pentito (di aver disobbedito, o tradito, o ammazzato chi non doveva?). Fantasmatiche sono invece Guerriero e Dopo la battaglia, sculture tra le più magnetiche e inquietanti, fitte di pieghe, di tagli che rivelano anche l’assoluta conoscenza che l’artista ha dei legni, di cui asseconda e valorizza le vene e i solchi, i pieni e i vuoti. Esplicita nel titolo appare invece la scultura Uno scudo contro il potere, focalizzata appunto sullo scudo del guerriero, anch’essa realizzata con la tecnica del non finito, della forma allusa. Viene da pensare che questi guerrieri non siano mercenari, non siano soldati di ventura, ma combattenti contro il potere, ovvero rivoluzionari. I nodi sembrano sciogliersi alla fine con due dipinti di ampie dimensioni Il desiderio del guerriero e Il guerriero senza più guerra. Nel primo quadro giocato tutto sulla diagonale del corpo disteso (dormiente, ucciso?), in gran parte ricoperto da un impattante spadone, il desiderio del guerriero si materializza come un cupio dissolvi, un desiderio di morte. Nel secondo il grande spazio è dominato dalla figura centrale del guerriero disarmato. Sulla sinistra la visione medievale di un castello: sulla destra la moderna città di grattacieli. Il guerriero disarmato (è stato lui a disarmarsi, siamo giunti a un mondo senza più guerre?) porta sulla fronte una bandana: non è una bandana concreta, è una bandana d’ombra. E’ un dipinto visionario come la maggior parte delle opere di Florian, in scultura e pittura. In questo nostro mondo ogni giorno più dominato, schiavizzato dalla tecnologia, in cui la vita e la natura sembrano ormai destinate alla totale virtualità, questo giovane artista affida celticamente alla forza del coraggio, della natura, della visionarietà, dell’utopia il senso dell’esistere.


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Biografia

FLORIAN GROTT 1974 scultura – pittura

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Florian Grott nasce a Rovereto (TN) il 2 aprile 1974 e trascorre la sua infanzia a Guardia di Folgaria (Tn). Dopo aver frequentato la Scuola d’Arte in Val Gardena e successivamente la Scuola Professionale di Scultura, nel 1996 intraprende gli studi all’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Nel 1997 inaugura a Rovereto un laboratorio che funge anche da atelier ove espone in modo permanente le sue opere fino al 2005. Dal 2004 al 2006 abita e lavora nel centro storico di Folgaria, in seguito si trasferisce in un antico mulino della valle del Rosspach e in una baita folgaretana. Attualmente vive e opera nel suo atelier a Guardia di Folgaria. Esposizioni personali: 1995 Rovereto (Tn), Palazzo Moll, mostra a cura di Carlo Fia 1996 Rovereto (Tn), Palazzo Moll, mostra a cura di Carlo Fia 1997 Calliano (Tn), Cantine Vallis Agri, mostra a cura di Silvio Cattani 1997 Folgaria (Tn), Galleria Mastro Paolo, mostra a cura di Lucio Novelli 1998 Cassino (Fr), Sala delle mostre dell’Università, mostra a cura di Lucio Novelli 1999 Verona, Galleria Fra Giocondo, mostra a cura di Andrea Garbellini 1999 Guardia di Folgaria (Tn), Centro Civico, mostra a cura di Benvenuto Guerra 2000 Rovereto (Tn), centro storico, La foresta scolpita, a cura di Mario Cossali 2001 Isera (Tn), Palazzo de Probizer, Il segreto della radice, a cura di Mario Cossali 2001 Milano, Le figlie del fiume, Galleria Cortina, a cura di Gemma A. Clerici e Stefano Cortina 2002 Auerbergland, (Germania), Die grossen Kampfer, a cura di Pankratz Valk 2004 Rovereto (Tn), Sala Iras Baldessari, Dialoghi silenti, a cura di Mario Cossali e Alessandro Pavone 2005 Augsburg, (Germania), Die Ecke Galerie, Arte per tempi nuovi, a cura di Gemma A. Clerici 2006 Villa Lagarina (Tn), Corte di Palazzo Marzani, mostra a cura di Mario Cossali e Serena Giordani 2007 Folgaria (Tn), Municipio, Tre x Dieci a cura di Maurizio Scudiero Principali esposizioni collettive, con catalogo: 2003 Folgaria (Tn), Museo Maso Spilzi, Vivere il legno, a cura di Mario Cossali 2007 Folgaria (Tn), Museo Maso Spilzi, L’idea della Montagna, a cura di Maurizio Scudiero 2008 Borgo Valsugana (Tn), Spazio Klein, Otto dinastie di artisti, a cura di Renzo Francescotti 2008 Nogaredo (Tn), Distillerie Marzadro, Tuning art, a cura di Maurizio Scudiero 2008 Trento, Centro culturale Andromeda, 30 ritratti per un poeta amico, a cura di Renzo Francescotti 2009 Villa Lagarina (Tn), Palazzo Libera, La forma e la figura. Omaggio ad Aldo Caron, a cura di Antonio Cossu e Riccarda Turrina

BIBLIOGRAFIA Cataloghi e opuscoli: Gino Gerola, Florian Grott, 1998. AA. VV., I° Simposio di scultura in legno “Cirillo Grott”, Gruppo Ricreativo Culturale “Guardia”, 2002. Angela Madesani e Stefano Cortina (a cura di), La galleria cortina, Milano, Cortina Arte Edizioni, 2002. Mario Cossali e Martina Raso, Florian, 2003. Massimiliano Unterrichter, Vivere il legno, Centro Documentazione Luserna, 2003. Gemma Clerici (a cura di), Arte per tempi nuovi, Milano, Associazione culturale Renzo Cortina, 2005. Mario Cossali e Serena Giordani, Florian Grott: figure del misticismo, Comune di Villa Lagarina (TN), 2006. Fernando Larcher, Guardia, da posto di vedetta a paese dipinto, Pergine (Tn), Publistampa, 2007. Maurizio Scudiero (a cura di), Tre per dieci: Annamaria Targher, Alessandro Pavone, Florian Grott, Mori (Tn), La grafica, 2007. Antonio Cossu e Riccarda Turrina, La forma e la figura. Omaggio a Aldo Caron, Pergine Valsugana (Tn), Publistampa Edizioni, 2009. Renzo Francescotti, Bottega d’artista, Trento, Ed. Curcu e Genovese, 2009. Saggi e articoli da giornali, riviste e periodici: Mostra di pro-natura, « Ciociara », 18 aprile 1998. Avio, 60 artisti al concorso, « l’Adige », 23 ottobre 1998. Gabriele Benzan, Le sculture di Florian Grott: un dialogo tra uomo e natura, « Alto Adige », 15 aprile 2001. Sculture a Palazzo de Probizer, « Trentino Mese », Ed. Curcu & Genovese, aprile 2001. Renzo Francescotti, Florian Grott, « Trentino Mese », Ed. Curcu & Genovese, febbraio 2007. D. P., Quando l’artigiano è anche artista, « Trentino », 15 gennaio 2008. Giuliana Izzi, Otto dinastie della forma e del colore, « l’Adige », 31 gennaio 2008. Massimo Dalledonne, Le dinastie, « Vita Trentina », 10 febbraio 2008. M. C., L’arte immersa nella grappa, « Trentino », 12 febbraio 2008. La forma e la figura. Omaggio a Aldo Caron, « Il cerchio & le linee », luglio-dicembre 2009. Tiziano Dalprà, Il mondo di Florian Grott, « L’Adige », 21 settembre 2009. Premiato Grott, artista artigiano, « il Trentino », settembre 2009.


Provare a vedere quello che non conosci, provare a capire quello che stai per fare. Esprimere l’essenza della passione guardando le figure rappresentate, cosi come la vita, senza i veli dell’ipocrisia. Raffigurare il giusto delle cose, rendendo il lavoro estremamente tridimensionale, così da poterlo quasi afferrare, che dia la sensazione di tenerlo tra le mani. Florian


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