Polizia Penitenziaria - Luglio / Agosto 2010 - n. 175

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Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002

Risolveremo tutto con la vigilanza dinamica!



Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

La Copertina L’appuntato Caputo in servizio di sorveglianza dinamica

ANNO XVII Numero 175 Luglio/Agosto 2010 Direttore Responsabile Donato Capece

L’EDITORIALE Presentazione ufficiale dell’ANPPe di Donato Capece

capece@sappe.it

IL PULPITO Risolviamo con la sorveglianza dinamica

Direttore Editoriale Giovanni Battista De Blasis

di Giovanni B. De Blasis

deblasis@sappe.it

Direttore Organizzativo Moraldo Adolini

IL COMMENTO Uno Stato autorevole e le crisi del Paese

Capo Redattore Roberto Martinelli

di Roberto Martinelli

martinelli@sappe.it

Comitato di Redazione Nicola Caserta Umberto Vitale

L’OSSERVATORIO POLITICO Scambio professionale Sappe/BSBD di Giovanni Battista Durante

Redazione Politica Giovanni Battista Durante Progetto Grafico e impaginazione © Mario Caputi (art director) Direzione e Redazione Centrale Via Trionfale, 79/A 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. fax 06.39733669 E-mail: rivista@sappe.it Web: www.poliziapenitenziaria.net Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: “Polizia Penitenziaria -

COMMENTI Il suicidio del Provveditore Quattrone di Nuvola Rossa

LE FIAMME AZZURRE Finanziaria: ci vuole franchezza a cura di Lionello Pascone

LO SPORT Campionati italiani ed europei di atletica a cura di Lalì

Società Giustizia & Sicurezza” Registrazione Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994

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Finito di stampare: Luglio 2010 Questo Periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Donato Capece Segretario Generale Sappe capece@sappe.it Direttore Responsabile

La presentazione ufficiale dell’AnPPe Tutori dell’Ordine Pubblico ieri, oggi e domani

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l 7 luglio 2010, si è tenuto a Roma, presso la Scuola di Via di Brava, il Convegno Sicurezza, Giustizia e Pace Sociale: Tutori dell’Ordine Pubblico ieri, oggi e domani, un primo appuntamento organizzato dall’ANPPe, e che ha rappresentato anche la presentazione ufficiale dell’associazione a tutte le altre Associazioni d’Arma e Combattentistiche, alla presenza di tante Autorità Istituzionali. Il Convegno è stato senza dubbio un evento, una circostanza per far conoscere maggiormente l’Associazione. Per affermare le numerose finalità di comune interesse con l’amministrazione; l’impegno costante e permanente per tutelare quella essenziale rappresentatività di chi, pur trovandosi in congedo, vuole e sa essere sempre in servizio, non dimenticando i compiti svolti in tanti anni di servizio nei vari servizi penitenziari. Possiamo dire con fermezza e con senso di responsabilità che, sin da quando ci siamo arruolati, abbiamo consapevolmente e coscientemente compreso l’importanza di un incarico, unico ed esclusivo, come quello di offrire il nostro contributo personale per la difesa delle Istituzioni, per una società migliore, per la tutela dei più deboli, affinché i nostri sforzi fossero sempre utili: e questo retaggio, fonte di un patrimonio professionale acquisito, non possiamo certo relegarlo nel dimenticatoio quando, non più in servizio attivo, siamo in congedo. Anzi, è proprio allora che

emerge la necessità di collaborare ancora, quasi non si possa fare a meno di escluderci. Questa caratteristica, in fondo, ci contraddistingue dal momento che, in ogni circostanza precaria, la collettività ha bisogno di noi, in servizio o in quiescenza, e la nostra opera è spontanea, totale, senza orari e titubanze, sollecita e cortese, disponibile. L’ANPPe è al fianco dei nostri colleghi, sostiene le rivendicazioni civilmente, scende in piazza al loro fianco quando si tratta di problematiche comuni e di aspettative che non possono essere deluse e disattese. Di recente, l’ANPPe ha interessato i Parlamentari per reiterare una proposta di legge che riguarda la defiscalizzazione dell’indennità di pensione privilegiata ordinaria; ci siamo rivolti, condividendone pienamente le motivazioni, alle più alte Autorità governative per richiamare, ancora una volta, l’attenzione sulle pensioni d’annata, da rivalutare assolutamente, tenuto conto che da venti anni non si provvede: si assiste, invero, a trattamenti economici fortemente penalizzanti tra personale collocato in congedo di recente e quello in pensione da molti anni, con effetti demotivanti sotto un profilo economico, ancor più pesanti in un periodo di crisi generale che dura da anni. L’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria, a nome degli appartenenti al Corpo degli Agenti di Custodia e del Corpo di Polizia Penitenziaria in congedo, unitamente agli appartenenti alle Forze Armate e alle altre Forze di Polizia in pensione e in quiescenza, non deluderà mai gli impegni assunti e si batterà sempre con ogni mezzo, per l’affermazione di quei principi di civiltà, che sono alla base del rispetto e della dignità umana. ✦

ramai è diventato un mantra. «Sovraffollamento e carenza di organico». «Sovraffollamento e carenza di organico». «Sovraffollamento e carenza di organico”... Questo ritornello, asfissiante e un po’ patetico, comincia a diventare imbarazzante anche per noi addetti ai lavori che, se non fosse per la tragedia quotidiana che ogni giorno si consuma all’interno delle carceri italiane, avremmo voglia pure noi di smetterla con questa litania. Siamo pressoché alla metà di questo interminabile duemiladieci ed i numeri della tragedia sono di quelli da fare tremare le vene ai polsi: trentotto suicidi di detenuti, quattro suicidi di poliziotti penitenziari e un suicidio di un provveditore regionale; decine e decine di suicidi sventati dal personale di sorveglianza e centinaia di aggressioni ai poliziotti penitenziari. Più che la cronaca di ordinaria detenzione sembra un bollettino di guerra. A questo punto è lecito domandarsi a chi faccia comodo mantenere la situazione dell’esecuzione penale italiana al livello di uno stato sudamericano degli anni settanta, del secolo scorso. E’ inevitabile chiedersi se non esista una Cricca, una sorta di P4, che ha l’inspiegabile interesse di far permanere la situazione borderline all’interno delle carceri italiane. Non sembra possibile, infatti, in uno Stato Normale che le Istituzioni, il Governo, la Politica, i Mass media e l’opinione pubblica in generale, restino a guardare inermi lo svolgersi di una simile tragedia. Dopo il fallimento dell’indulto, nel 2006, che è stato concesso ad abundantiam, ma senza essere accompagnato da adeguate riforme strutturali del sistema, ad aprile del 2009 si è cominciato a parlare, per la prima volta apertamente, di Emergenza penitenziaria e della necessità di un Piano Carceri Straordinario. A gennaio di quest’anno, addirittura, è

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Giovanni Battista De Blasis Segretario Generale Aggiunto Sappe deblasis@sappe.it Direttore Editoriale

stato proclamato dal Presidente del Consiglio Lo stato di emergenza delle carceri italiane. Eppure, nonostante tutto ciò, ad oggi, nessun provvedimento concreto è stato adottato dal Governo o dal Parlamento. Si pensi, ancora, che già nel 2000 Papa Giovanni Paolo II lanciò un appello (in occasione del Giubileo) allo Stato italiano affinchè affrontasse la degradata situazione delle carceri. Lo stesso Wojtyla riprese l’argomento tre anni più tardi parlando solennemente alle Camere, riunite per l’occasione.

Il Presidente Berlusconi, e con lui Gianni Letta, hanno condiviso più volte la necessità di un Piano Carceri straordinario. Quest’anno ne ha parlato anche il Presidente Napolitano nel messaggio augurale di fine anno.

Per non dire, infine, di tutte le dichiarazioni rilasciate dal Ministro Alfano e dal Capo del Dap Ionta. Come è possibile, allora, che non succede nulla ?

Ma quale sovraffollamento, ma quale carenza di organico? Adesso risolviamo tutto con la sorveglianza dinamica Qualcunopuò spiegare perché una questione che raccoglie i consensi di tutti, nessuno escluso, non riesce a trovare soluzione? Nel frattempo, però, si sprecano le direttive e i suggerimenti ai Direttori, ai Comandanti ed al personale della Polizia Penitenziaria, per affrontare al meglio l’emergenza estiva. In particolare, va per la maggiore un nuovo modo di svolgere il servizio, moderno ed innovativo: la vigilanza dinamica. In buona sostanza, si tratterebbe di una interpretazione abbastanza elastica dei posti di servizio e del modo di ricoprirli, non più in modo statico e rigido ma, appunto, in maniera dinamica. In pratica, si intende superare il dogma di far presidiare tutte le sezioni da almeno un agente e si vogliono sopprimere definitivamente tutti i posti di sentinella sui muri di cinta, surrogati da servizi di vigilanza esterna automontata. In altre parole, si sta cercando di riciclare, con definizioni moderne e neologismi, il buon vecchio sistema di far ricoprire più posti di servizio allo stesso agente. Bella scoperta...

A me sembra che, oramai, siamo diventati come diceva il buon De Niro nel film Gli intoccabili: Chiacchiere e distintivo... Tutti chiacchiere e distintivo. E meno male che il trucco di mettere sagome di agenti di cartone sul muro di cinta è venuto in mente per primi agli argentini perché, altrimenti, l’evasione di massa ce l’avremmo avuta noi, qui, nella Repubblica delle Banane. ✦

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Nelle foto in alto a sinistra Papa Wojtyla parla alle Camere in basso a sinistra il Presidente Napolitano nel messaggio di fine anno alla Nazione

... e Caputo vola sui pattini

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Roberto Martinelli Segretario Generale Aggiunto Sappe martinelli@sappe.it Capo Redattore

uno stato autorevole e le crisi di un paese ’allarmante situazione delle carceri italiane sta determinando in molti istituti penitenziari tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, come purtroppo dimostrano gli eventi critici che con sempre maggiore frequenza si verificano ogni giorno nelle carceri italiane. La situazione rischia di degenerare, con più di 68mila detenuti stipati in celle idonee ad ospitarne 43mila: non si può perdere ulteriore tempo, lo diciamo da tempo, considerato anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di 5mila unita. Bisogna anche trovare soluzioni concrete. In questo contesto l’ok dato dall’Aula della Camera all’esame in sede legislativa del ddl Alfano che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari può essere un primo passo per ripensare organicamente il sistema penitenziario del Paese.

Protesta in carcere

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Mercoledì 7 luglio scorso, con una maggioranza di 409 voti, l’Aula della Camera ha deciso l’esame in commissione Giustizia in sede legislativa del ddl che prevede l’esecuzione domiciliare delle pene detentive inferiori ad un anno, per far fronte all’emergenza carceraria. Come Sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo l’ob-

bligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo. Il grave momento di crisi che ricade per ora unicamente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria e sulle loro famiglie ci impone di trovare e discutere su soluzioni che possano essere comprese e condivise dai cittadini e fatte proprie dal Governo. E il SAPPE intende fare la propria parte. Serve una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ‘ripensi’ organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria. Si abbiano il coraggio e l’onestà politica ed intellettuale di riconoscere i dati statistici e gli studi Universitari indipendenti su come il ricorso alle misure alternative e politiche di serio reinserimento delle persone detenute attraverso il lavoro siano l’unico strumento valido, efficace, sicuro ed economicamente vantaggioso per attuare il tanto citato quanto non applicato articolo 27 della nostra Costituzione. Proprio un preciso richiamo all’individuazione di misure alternative al carcere per una serie di reati di minore allarme sociale allo scopo di risolvere il problema del sovraffollamento dei penitenziari italiani è stato l’intervento più importante sollecitato dai penalisti di Napoli (e condiviso anche dal SAPPE) i quali, su iniziative delle Camere penali del distretto e dell’associazione ‘’Il carcere possibile Onlus’’, hanno organizzato lunedì 12 luglio scorso una ‘’Giornata di lutto’’ per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla grave situazione di emergenza che si vive nelle carceri italiane. Per il presidente della Camera penale di Napoli Michele Cerabona l’applicazione di sanzioni alternative al carcere da estendere a tutta una serie di reati per chi ritorna a commettere reati, sull’esempio di quanto avviene soprattutto nei paesi anglosassoni, si ap-

plicherebbe invece la detenzione in carcere con aggravamento della pena. C’è un altro settore del penitenziario sul quale è necessario intervenire con urgenza: ed è quello legato all’alto numero di detenuti stranieri in Italia, che erano 25mila (il 37% di quelli presenti) il 30 giugno scorso e che nella Casa di reclusione di Mamone Lodè sono l’84% dei presenti, in quella di Isili e nella Casa circondariale di Padova il 75%. Complessivamente, i più numerosi sono i marocchini (5.295), seguiti da rumeni (3.332), tunisini (3.235) e albanesi (2.955). Il SAPPE, si sa, da sempre sostiene che i detenuti stranieri debbano scontare la pena nel Paese di provenienza. Ma il problema dell’affollamento delle carceri italiane e’ legato anche alla difficoltà di trasferire proprio i detenuti stranieri. E per questo e’ preoccupante che i trattati internazionali siglati recentemente non stiano funzionando. Lo ha detto, intervenendo ad un convegno sull’attività internazionale del Consiglio Superiore della Magistratura, il ministro della giustizia Angelino Alfano che giudica negativamente ‘’il fatto che occorra ancora il consenso del detenuto per il suo trasferimento e perchè sconti in patria la pena. Il fatto che in Italia ci siano tanti detenuti stranieri che si rifiutano di firmare significa che nonostante i disagi delle nostre carceri, queste vengono considerate un approdo sicuro. I trattati bilaterali non stanno funzionando’’. L’amara constatazione fatta dal Ministro dovrebbe indurre a rivedere certe norme eccessivamente garantiste, che alla fine non consentono di risolvere criticità e problematiche importanti, come quella legata appunto alla eccessiva presenza di stranieri nelle carceri italiane, che nel solo anno 2009 si sono resi protagonisti di ben 3.688 dei 5.714 atti di autolesionismo che si sono verificati

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negli istituti. Non è possibile che chi si è reso responsabile di reati in Italia, più o meno gravi, abbia la facoltà di decidere come e dove scontare la propria pena! Questo pone inevitabili problemi di legalità e sicurezza. Ebbe a scrivere tempo fa Luciano Violante, magistrato già presidente della Camera dei Deputati, che il senso di sicurezza di un Paese deriva dal grado di accettazione e di diffusione della legalità, intesa non secondo il vecchio modello della rispondenza dei comportamenti individuali e collettivi ad un modello legale, ma come prevedibilità delle conseguenze giuridiche derivanti al cittadino dal comportamento proprio o altrui. La grande parte dei cittadini si astiene dal commettere reati per ragioni di educazione civile e non perché minacciata dalle pene. Ma c’è un’altra parte di persone per le quali la minaccia di una certa punizione è una forte remora e la consapevolezza, al contrario, che non ci saranno conseguenze negative, è un incentivo a delinquere. Tra queste persone vanno annoverati quegli stranieri che vengono da Paesi nei quali c’è un controllo sociale e religioso molto forte e per le quali il venir meno di questo tipo di controllo, unitamente a situazioni di miseria e disperazione, può diventare una spinta a delinquere. D’altro canto chi ritiene che i delitti rimangono impuniti si sente insicuro, a prescindere dalla reale condizione di sicurezza propria e del proprio territorio. Naturalmente la legalità intesa come prevedibilità delle conseguenze del proprio comportamento non può intendersi in senso assoluto. Il problema sorge quando l’imprevedibilità e l’incertezza superano una soglia di tollerabilità e questa soglia è legata indissolubilmente al funzionamento della giustizia. Il sentimento di insicurezza non è alimentato soltanto dal potere criminale, ma anche dagli arbitrii, dalle omissioni, dai ritardi del potere pubblico. Il cittadino si sente spesso solo e privo di tutela anche di fronte all’esercizio arbitrario del potere, alla difficoltà di rivolgersi alle istituzioni intese come servizio. Sicurezza significa anche certezza della pena e della sua esecuzione. Non basta fare i processi in tempi com-

patibili con la civiltà giuridica di un paese avanzato. Occorre poi che la pena sia effettivamente applicata e scontata. Le proposte di amnistia e di indulto vanno contro questa esigenza, perché eludono e non risolvono i problemi, perché sottraggono senso e credibilità alle regole, il cui rispetto diventa un elemento opzionale e non un fondamento indefettibile della convivenza civile, perché sono di per sé fattori che generano insicurezza. Uno Stato autorevole deve anche tenere conto del comportamento del detenuto durante la detenzione ai fini della riduzione della pena e garantirgli condizioni di vita in carcere rispettose della sua dignità di persona, tali da consentirgli, attraverso la formazione, lo studio, il lavoro, di rientrare nella vita sociale come cittadino non dimezzato. Ma è a mio avviso indispensabile, per uno Stato autorevole, coltivare e rafforzare i diffusi sentimenti di ammirazione e fiducia degli Italiani nei confronti delle forze di Polizia, valorizzando il ruolo di tutti gli operatori della sicurezza, rafforzando il loro ruolo di cerniera sociale con strumenti e competenze che consentano di affinare ulteriormente la loro capacità di risposta ai cittadini e di presenza sul territorio. Questa capacità delle forze dell’ordine merita il riconoscimento dei cittadini, ma merita anche l’attenzione della classe governativa e politica del Paese, che deve saper valorizzare e premiare concretamente il ruolo sociale, l’impegno, la professiona-

lità delle persone che quotidianamente mettono a rischio la propria vita per difendere la sicurezza del Paese. La presenza visibile delle forze di polizia sul territorio scoraggia la commissione dei reati, consente un intervento rapido in caso di necessità, indica ai cittadini che lo Stato non è assente o distante, rende percepibile al cittadino che il potere pubblico si occupa di lui e lo rende perciò più tranquillo. E allora perché in questo Stato (che sembra amaramente perdere giorno dopo giorno la sua autorevolezza per le continue rivelazioni di inaccettabili scandali che vedono coinvolti faccendieri senza scrupoli, politici ed anche uomini delle Istituzioni; in cui il degrado morale ha raggiunto livelli allarmanti tali da costringere alle dimissioni addirittura Ministri in carica…) la classe politica e governativa concepisce, come nella manovra finanziaria attualmente in discussione, norme che pregiudicano in modo irreversibile la funzione di polizia e delle forze armate poste a tutela della sicurezza dei cittadini, condizione imprescindibile per la legalità e lo sviluppo economico del Paese? Ma con quale faccia può, chi prende 10/15/20mila euro al mese di stipendio, dire a chi ne prende 1.500€ che “bisogna fare dei sacrifici”? I privilegi devono essere tagliati in questo Paese, non i diritti. E a proposito di privilegi, i parlamentari italiani (scelti dalle segreterie dei partiti, imposti agli elettori e ‘ratificati’ con il voto grazie ad una legge truffa e vergogna) ne sanno qualcosa... ✦

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Nella foto il Presidente della Repubblica Napolitano, il Ministro della Giustizia Alfano e il Capo del DAP Ionta passano in rassegna i Reparti schierati in occasione dell’Annuale del Corpo 2010

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Giovanni Battista Durante Segretario Generale Aggiunto Sappe durante@sappe.it Responsabile redazione politica

settembre 2009 - settembre 2010

Scambio di esperienze professionali tra il Sappe e il BSBD (primo sindacato tedesco del personale penitenziario) settembre prossimo una delegazione di appartenenti alla polizia penitenziaria tedesca, aderente al sindacato BSBD, visiterà alcuni istituti di pena italiani, su invito del SAPPE. La visita della delegazione tedesca segue quella fatta dal SAPPE in Germania a settembre del 2009. Infatti, lo scorso anno, una delegazione della nostra segreteria generale si recò nel Lander del Baden – Wurttemberg, dove visitò gli istituti di Heimsheim, Schwabisch Gmund e Stammheim, diventato famoso per aver ospitato i due terroristi della banda Baader Meinhof, poi suicidatisi proprio in quel carcere.

Nelle foto in alto il carcere di Stammheim A lato il Console italiano a Stoccarda

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Per quanto riguarda il personale, quello in divisa, in realtà, non è un vero e proprio corpo di polizia, in quanto non hanno funzioni di polizia, soprattutto all’esterno del carcere. Una volta terminato il servizio non possono neanche portare le armi, non avendone in dotazione, al contrario di quanto avviene in Italia, per il Corpo di Polizia Penitenziaria. In compenso, però, sono pagati molto meglio della Polizia Penitenziaria italiana. Un agente appena assunto guadagna circa 2400 euro al mese e può arrivare fino a 3500/4000 se raggiunge il massimo grado della scala gerarchica. Il

reclutamento avviene in ogni singola città. E’ il direttore dell’istituto che emana il bando di concorso ed assume direttamente il personale. E’ lo stesso direttore, insieme alla sua équipe, a valutare la professionalità degli agenti, ai fini della progressione di carriera. Il direttore proviene dalla carriera del magistrati. I magistrati di prima nomina vengono assegnati alla direzione di un carcere per quattro o cinque anni, dopo di che vanno a lavorare in Procura. Ad un certo punto della carriera possono scegliere di tornare a fare il direttore del carcere; se scelgono di farlo la loro carriera prosegue nell’amministrazione penitenziaria. Nelle tre visite che abbiamo fatto ci ha molto colpito, in positivo, il comportamento del direttore. Si è sempre posto davanti alla delegazione, era in possesso delle chiavi dell’istituto ed era lui ad aprire i cancelli. Ogni operatore, anche non appartenente al personale in divisa, è in possesso delle chiavi e si muove liberamente all’interno dell’istituto. Per quanto riguarda i detenuti, il 70/80% svolge attività lavorativa retribuita. Per incentivare le imprese, per il primo anno i costi del lavoro sono a carico dello Stato. La retribuzione è inferiore a 2,00 Euro l’ora. Secondo quanto sostengono i dirigenti tedeschi il lavoro penitenziario rende molto meno del lavoro all’esterno (circa il 70% in meno) e, quindi, deve essere remunerato con una retribuzione inferiore, ferma restando la possibilità di assumere anche incarichi di rilievo nelle aziende. Emblematico, a tal proposito, il caso di un detenuto che era diventato manager di un’azienda e guadagnava 12,700 Euro al mese. Sono sempre di più i detenuti con pene brevi, ai quali le autorità tedesche cercano di garantire un futuro, proprio per evitare che tornino a delinquere. In Italia coloro che lavorano, mediamente, sono circa il 10%.

Ad esempio, nel carcere di Bologna su 1150 detenuti sono circa 110 quelli che lavorano. In Germania i detenuti non possono cucinare niente in cella, quindi, non hanno neanche le bombolette del gas da poter usare come sostitutivo della droga, al contrario di quanto avviene in Italia. Il Capo del Dipartimento del Lander ha affermato che se facesse una cosa del genere, cioè concedere la bomboletta del gas ai detenuti, lo caccerebbero subito.

Inoltre, i detenuti possono spendere solo i soldi che guadagnano, per un massimo di 40 euro al mese, e non possono riceverne da fuori. Ciò, al fine di non creare disparità di trattamento tra coloro che hanno molti soldi e quelli che ne hanno pochi. Questo vale per i condannati, gli imputati possono spendere anche di più. Il servizio mensa, all’interno degli istituti, funziona per i detenuti e per il personale, compreso il direttore, i quali mangiano tutti lo stesso cibo preparato dai detenuti. Si tratta di un piatto unico. Il costo della mensa, per il personale, è di 2,85 euro per ogni pasto.

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In Germania puntano molto sul trattamento e sul recupero del detenuto. Il lavoro è l’elemento più importante, oltre alle misure alternative alla detenzione. Il percorso che porta il detenuto a lasciare il carcere è graduale: si inizia uscendo in gruppo, con altri detenuti e con accompagnatori, poi da soli, senza altri detenuti, ma accompagnati dal personale, e poi da soli. C’è una sezione per semiliberi, dove dormono coloro che lavorano all’esterno. I 4/7 dello stipendio sono disponibili, mentre i 3/7 devono essere risparmiati. Chi non lavora riceve un sussidio di 37 Euro al mese. Lo stipendio di coloro che lavorano, mediamente, non supera i 250 Euro al mese, tranne rare eccezioni. I detenuti pagano l’abbonamento alla televisione e la corrente elettrica. Il lavoro è fonte di guadagno anche per l’istituto; infatti, tutte le strutture penitenziarie hanno un bilancio in attivo, ma la cosa più importante è proprio il fatto che il lavoro è

considerato elemento fondamentale per il recupero del detenuto, al contrario di quanto sembra sia avvenuto in America negli ultimi anni. Secondo la tesi di Christie1, negli USA, vi sarebbe stato un vero e proprio fenomeno di ricarcerizzazione, derivante dal progressivo e determinante peso politico del settore, tanto pubblico quanto privato, interessato al business penitenziario, comparto economico in forte espansione che

Nelle foto dall’alto il Comandante e i suoi collaboratori A sinistra il Ministro della Giustizia del Land Sotto la Direttrice del carcere femminile con “le chiavi in mano”

non diversamente da quello militare costituisce oggi una delle lobby politiche più influenti nelle politiche nazionali ed internazionali. Quindi, il lavoro penitenziario, in America, rappresenterebbe solo una fonte di guadagno per le imprese pubbliche e private, senza alcuna finalità rieducativa, al punto da indurre le istituzioni ad attuare una politica di carcerizzazione selvaggia e, spesso, indiscriminata che ha portato in carcere più di un milione di persone. Nel carcere di Heimsheim il 70/80% delle celle, per un totale di circa 300 posti, sono singole. I detenuti non superano i 450, gli agenti sono 110, dei quali 22 donne. Le donne fanno servizio anche nelle sezioni maschili e lavorano insieme ad un collega. In Germania ogni detenuto ha diritto ad una cella singola. Obbligo rispetto al quale l’amministrazione tedesca cerca di non sottrarsi. Il sovraffollamento, in passato, è stato simile a quello italiano ed è stato risolto con la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle esistenti. Bisogna evidenziare che la recidiva è molto più bassa rispetto all’Italia, grazie al fatto che il sistema di recupero del detenuto funziona molto meglio. Negli ultimi

tempi hanno registrato una diminuzione degli ingressi in carcere, ma non sanno dare una spiegazione di questa inversione di tendenza. I detenuti fanno anche molto sport. I tedeschi sostengono che devono dissipare le energie, lavoro e sport contribuiscono a mantenere tranquillo il detenuto. Nel carcere di Heimsheim abbiamo visitato la palestra, il campo di calcetto e di ba-

sket. Detenuti e agenti, spesso, giocano insieme. „Se giocano insieme è più difficile che possano aggredire il personale» ha spiegato il dirigente della struttura. Forse da noi una cosa del genere sarebbe impensabile. Da quanto sostengono loro tale assunto sarebbe dimostrato dall’assenza di aggressioni al personale. L’ordinamento penitenziario tedesco prevede l’isolamento che non è considerato una punizione, bensì un momento di riflessione, per far calmare colui che si è reso responsabile di gesti inconsulti. Dura fino a quando il detenuto non ha

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Nelle foto la Direttrice del carcere femminile e una sezione dell’istituto

Foto di gruppo con il Console il Vice Console e i colleghi del BSBD Nell’altra pagina una sezione e un collega di Stammheim

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preso coscienza di ciò che ha fatto ed ha chiarito il proprio comportamento. Può durare 3/4 ore oppure qualche giorno, con gli interventi costanti del medico e dello psicologo. Il carcere di Schwabisch Gmund è stato il secondo che abbiamo visitato. E’ un carcere femminile, diretto da una donna molto brillante. Alla domanda se aderiva a qualche sindacato la direttrice ha risposto: «No! Non aderisco a nessun sindacato perché penso che sia incompatibile con la mia funzione.» Da noi, invece, alcuni dirigenti hanno costruito la loro carriera attraverso l’adesione al sindacato, ovvero a qualche partito politico. Il direttore è responsabile di tutti i servizi e, quindi, di tutta la struttura penitenziaria. «Il dirigente è un manager che ha dei dipendenti e deve fare il meglio» ha affermato il dirigente. «Se non c’è senso di appartenenza, consapevolezza, non si può fare niente di buono. I direttori devono anche assumere il personale, fare i concorsi. Tutto il sistema può funzionare se si possono delegare i compiti e se chi ha delle responsabilità è retribuito adeguatamente.»

Dalle parole ai fatti. Il personale in divisa partecipa molto all’attività di osservazione e formula pareri che vengono tenuti in forte considerazione, per quanto riguarda il comportamento dei detenuti. «Sono loro che stanno a contatto di più con i detenuti, quindi, è giusto che siano ascoltati» ha detto il dirigente. Il carcere di Schwabisch Gmund è un ex convento ristrutturato e da duecento anni è adibito a struttura penitenziaria. Ci sono 330 detenute, delle quali 200 lavorano, e gli agenti sono 80. C’è un confortevole asilo, dove le detenute che vanno a lavorare lasciano i loro bambini e poi li vanno a riprendere prima di rientrare in cella. L’asilo ospita anche i figli del personale. Quindi, i bambini delle

detenute e del personale trascorrono molte ore insieme e socializzano. Anche questa è una cosa che da noi sarebbe impensabile realizzare. Tutto il personale ha un cerca persone. In caso di emergenza si spinge un pulsante e si comunica con tutto il personale in servizio. E’ possibile individuare chi ha lanciato l’allarme, in modo da andare immediatamente in soccorso. «Noi lavoriamo secondo criteri di economia: quanti detenuti hai impiegato, quanto hai guadagnato. La nostra struttura ha mediamente un attivo di 80 mila euro l’anno.» Per quanto riguarda la sicurezza all’interno della struttura, il dirigente ha affermato che «la sicurezza aumenta se ci sono buoni rapporti con i detenuti.

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Lettera aperta al Provveditore Paolino Quattrone, defunto il 22 luglio 2010

E’ necessaria la giusta distanza e vicinanza con il detenuto.» Il terzo ed ultimo istituto che abbiamo visitato è stato il carcere di massima sicurezza di Stammheim, dove ci sono poco più di 700 detenuti e 200 agenti. I posti di lavoro sono circa 250. E’un carcere di massima sicurezza, dove, negli anni ’80, venivano richiusi soprattutto i terroristi. Negli ultimi 5 anni ci sono stati 2 suicidi; i tentativi sono abbastanza frequenti. In tutto il Lander, dove ci sono 8000 detenuti, i suicidi, mediamente, sono 8/14 all’anno. ✦ 1

Christie N., Crime Control As Industry: Towards Gulags Wester Style, London, Routledge, 1994.

Egregio Provveditore, Sono trascorsi alcuni giorni dalla Sua tragica scomparsa. Mi ci è voluto fino ad oggi per riprendermi dalla sconvolgente ed inaspettata notizia che Ella non è più tra di noi. In primo luogo vorrei dedicare le prime parole che riesco ad esprimere, con non poca difficoltà, ai Suoi Cari, perché pur non avendo avuto il piacere di conoscerLi, ho dentro di me la certezza e la consapevolezza dell’enorme dolore che stanno vivendo per il gran vuoto che Lei ha lasciato nelle loro esistenze; mi sento vicino a Loro nella condivisione e nell’accettazione della disgrazia che li ha così profondamente colpiti. Io e Lei abbiamo avuto dei trascorsi molto tumultuosi, caratterizzati da comprensioni e anche tante incomprensioni, momenti costruttivi ed altri meno costruttivi, dialoghi pacati e altri molto meno pacati, divergenze e convergenze; insomma abbiamo in fondo condiviso nella vita professionale il perfetto equilibrio dettato dall’inesorabile ed indispensabile gioco delle parti. Ma la sincera e profonda stima che nutro nei Suoi confronti, dovuta al riscontro oggettivo della Sua indiscussa Professionalità, preparazione, serietà ed umanità, mi fanno sentire autorizzato ad eccepire (ho eccepito tante volte le Sue decisioni) la Sua ultima scelta: sono furibondo, perché lei poteva scegliere di vivere e ha deciso invece di non vivere! Poche ore dopo aver ricevuto la notizia della Sua morte e delle circostanze che l’hanno determinata, ho provato rabbia e frustrazione e ho subito deciso di non perdonarLa per aver scelto la morte piuttosto che la vita. Oggi, a distanza di pochi giorni, comunque molto pochi per farmene una ragione, ho deciso di scriverLe che La perdono. La perdono perché Lei ha dimostrato ancora una volta di essere forte e, mi lasci passare la battuta, di voler avere ragione a tutti i costi. Dio solo sa quanto avrei voluto provare a fargli cambiare idea, come qualche volta sono riuscito a fare. A nessuno è concesso di poter giudicare il prossimo e le scelte degli altri, per quel tipo di giudizio, Noi Cristiani (quelli veri e non i falsi bigotti che viaggiano con l’Osservatore Romano sotto il braccio), sappiamo che esiste la Giustizia Divina e sarà solo essa a giudicare Lei, me ed il Resto del mondo. Ho deciso di perdonarLa perchè sconosco i motivi del Suo gesto e darei molto di quello che ho per conoscerli, ma sono certo che non essendo Lei una persona superficiale, di sicuro ne avrà avuti di buoni e di validi; forse avrà accettato molto male o non avrà proprio accettato il fatto che quello Stato che Lei ha sempre servito in maniera integerrima e con obbedienza assoluta, abbia avuto così scarsa considerazione di Lei. Se ha pensato questo, credo proprio, stavolta, di doverLe dare ragione, ma al tempo stesso voglio dirLe che lo Stato è fatto di tante persone e che la maggior parte di esse erano e sono tuttora pronte a giurare che Lei è un autentico, irreprensibile e degnissimo Servitore dello Stato. Lei mal sopporterà la presunzione di questa mia lettera, anzi, vedo già la Sua faccia incazzata e seriosa con la quale la leggerà, ma tanto una litigata in più o una in meno, non cambierà i Nostri rapporti. Dopo averLa fatta arrabbiare un’ultima volta, faccio appello a quell’umanità e generosità che in tantissime occasioni, anche molto tristi, le ho visto mettere in campo, per chiederLe perdono io, stavolta, per la sfacciataggine che ho di testimoniarLe, a nome di una Regione Intera, la nostra, (tranne forse 4 o 5 persone... inezie rispetto al totale. sic!) eterna riconoscenza e gratitudine, per ciò che ci ha insegnato e per l’indelebile impronta che Lei ha lasciato nei Suoi anni di permanenza nella verde Umbria. Forse non avrei dovuto essere io a dirLe grazie pubblicamente, ma in assenza di altri e più qualificati a farlo, mi prendo volentieri l’onere e l’onore di questa incombenza. Con affetto e stima sinceri, da parte mia e di tutto il personale dell’Amministrazione Penitenziaria umbra!!!. Orvieto, addì 26 Luglio 2010 Fabrizio Bonino Segretario Regionale SAPPe per l’Umbria

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Nuvola Rossa info@sappe.it

Il suicidio del Provveditore Paolino Quattrone e l’eutanasia della amministrazione penitenziaria

Nella foto Paolino Quattrone

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taccate la spina, non voglio che l’amministrazione penitenziaria, in coma da qualche anno, continui a vegetare e soffrire maledettamente e con lei tutti gli operatori penitenziari che giorno dopo giorno non vedono all’orizzonte margini di miglioramento! Questo avrei detto ad un immaginario primario al capezzale dell’amministrazione malata, qualora avessi avuto la scelta tra farla morire o lasciarla vegetare così come fa adesso, senza soldi, senza prospettive future, senza uomini della polizia penitenziaria, dilaniata da lotte di potere interne tra funzionari che si denunciano l’un l’altro, con mezzi da rottamare, con 68.000 detenuti stipati come sardine tra malattie che sembravano sconfitte e conflitti razziali. Il 38° detenuto si è suicidato oggi a Catania Bicocca; un morto in più nella statistica penitenziaria, un argomento in più ai radicali, al garante dei detenuti per sparare addosso agli operatori penitenziari; seguirà un’inchiesta, fortemente voluta dai garanti dei detenuti, con la quale si cercherà a tutti i costi qualcuno a cui farla pagare! Sembra che la notizia del suicidio dell’ennesimo detenuto, abbia avuto più spazio – nei mass media – dello sconvolgente suicidio di un alto funzionario dello Stato, il Provveditore della Calabria, dott. Paolino Maria Quattrone; uomo integerrimo, dotato di grande cultura, minacciato nel passato dalla n’drangheta che per lui aveva

pronta un’autobomba stile Via D’Amelio (ma molto prima della strage del Giudice Borsellino). Che dire. Pare che, la motivazione del suicido del dott. Quattrone potrebbe essere l’inchiesta condotta nel più assoluto riserbo dalla Procura di Cosenza, al fine della quale, i PM cosentini, nei giorni scorsi avevano richiesto il rinvio a giudizio proprio nei confronti del provveditore regionale che, si è tolto la vita sparandosi un colpo di pistola alla testa. La vicenda trarrebbe origine dagli accertamenti eseguiti dopo la ricezione di alcuni esposti con cui venivano segnalate presunte anomalie negl’interventi di edilizia della casa circondariale di Cosenza. Al provveditore Paolo Quattrone i pm contestavano i reati di minaccia e abuso d’ufficio. Le presunte minacce sono quelle che l’alto funzionario avrebbe rivolto all’ex direttore del carcere di Cosenza, per indurlo a omettere di comunicare al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma problematiche interne alla casa di reclusione. Quattrone avrebbe utilizzato, secondo l’accusa, nei confronti della presunta parte offesa frasi intimidatorie. L’abuso d’ufficio che veniva contestato al provveditore Quattrone è legato, invece, all’autorizzazione concessa per l’esecuzione degli interventi di manutenzione e ristrutturazione nel carcere di Cosenza. Provvedimenti che, a parere dell’accusa, avrebbero determinato un ipotetico danno ingiusto all’ amministrazione penitenziaria; una vicenda giudiziaria di scarso livello, in un mondo di ladri e corrotti. Il provveditore Quattrone aveva sempre respinto le accuse mossegli dalla Procura. Se per un attimo pensiamo a quello che avrà provato questo onesto dirigente generale alla notizia del suo rinvio a giudizio, è ipotizzabile un momento di

grande sconforto che l’abbia potuto portare ad una reazione abnorme come quella del suicidio. Probabilmente non accettava di essere trattato male da quello Stato per il quale aveva sempre dato tutto, senza obiezioni, obbedienza assoluta, lui con la faccia apparentemente truce, ma sempre pronto a slanci di grande umanità. Ora i soliti bene informati, così come hanno fatto in passato con altri casi di suicidi di agenti di polizia penitenziaria ci diranno che il dott. Quattrone era esaurito, che aveva problemi personali o che forse era malato e che pertanto non c’entra nulla il suo lavoro di Provveditore e le vicende giudiziarie inevitabilmente legate al suo lavoro. Io non ci credo. Il nostro è un lavoro che con le sue vicende tristi, e talvolta con gli strascichi penali, ci logora dentro fino ad ucciderci. Chi subisce un’ingiustizia o crede di subirla può anche impazzire (vedi il caso attuale di un assistente capo della polizia penitenziaria che, congedato dalla CMO ogni giorno protesta, con azioni eclatanti, davanti al Tribunale di Trapani, e per il quale tutti ci chiediamo con ansia come finirà la vicenda…) e il suicidio di un Provveditore, così come lo fu quello di un’altra mitica Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria, l’indimenticata Armida Miserere , così come quello di un giovane commissario del ruolo ordinario, non sono altro che il sintomo di un’Amministrazione malata; un’amministrazione in agonia alla quale bisognerebbe staccare la spina. Il Signore, nella sua misericordia, dia al dott. Quattrone,in cielo quella pace che, in terra, aveva perduto. Ai nostri dirigenti generali o aspiranti tali, sempre in cerca di qualche posto al sole, dico con cinismo che, i problemi nelle carceri rimarranno sempre gli stessi o si aggraveranno, ma ora avranno un ulteriore poltrona in più cui ambire. ✦

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ruoli tecnici: l’opinione di un medico che lavora da dieci anni per la Polizia Penitenziaria i chiamo Andrea Servili e sono un medico che lavora per la Polizia Penitenziaria da 10 anni. A seguito della mia esperienza fino ad ora maturata in questa realtà mi sento parte integrante del Corpo pur non essendo un poliziotto, condividendone con orgoglio i passi da gigante fatti fin dai tempi della riforma, evidenti sia sotto il punto di vista professionale che di immagine stessa e di presenza attiva sul territorio. E’ per me motivo di orgoglio vedere le meravigliose radiomobili sfrecciare per strada e ascoltare i commenti di stupore positivo da parte della gente comune. Questo non è altro che un biglietto da visita per una entità che fino a poco tempo fa veniva considerata dalla gente come un Corpo di secondini ora però, articolato in una svariata quantità di compiti operativi che eleva la Polizia Penitenziaria a pieno titolo con le altre Forze di Polizia Nazionale. Ciò non poteva non svegliare in me una curiosità di importanza fondamentale ovvero l’inadempiuto progetto di riforma dei ruoli tecnici che finalmente equiparerebbe la Nostra Polizia alle altre Polizie Nazionali. Ma in maniera particolare mi sto rendendo conto di giorno in giorno della necessita che si delinei, finalmente,una figura medica che onori il personale penitenziario in tutte le sue particolari esigenze proprio perché,come sopra accennato, la Polizia Penitenziaria non ricopre soltanto il suo arcaico compito di controllo delle carceri, ma si articola in svariati compiti altamente professionali nonché collaborazioni continue con le altre Forze di Polizia. Viene con sé l’esigenza concreta di attuare, mediante l’approvazione a livello istituzionale dei ruoli tecnici, la figura dell’Ufficiale Medico già esistente da anni

in Polizia di Stato, nei Carabinieri e nelle altre Forze dell’Ordine. E’ FONDAMENTALE a mio avviso,la figura del poliziotto medico in quanto attualmente il Poliziotto Penitenziario è sprovvisto di copertura medica a tutela delle sue funzioni. Mancanza di una gravità inaudita. E’ assurdo che un poliziotto non sia assistito DI FATTO da un dottore che possa provvedere nell’immediato a casi di difficoltà. Voglio sottolineare i frequenti casi di malattie psichiatriche che purtroppo colpiscono i nostri uomini per lo più in servizio nei carceri, d’altronde è fisiologico che esercitare un mestiere quasi esclusivamente circoscritto in un ambiente coatto e in un contesto molto particolare come quello di una prigione mette a dura prova il sistema nervoso anche della persona apparentemente più solida. Quindi con più profonda convinzione credo nella immancabile presenza del medico in divisa. Oggi il medico presente nelle carceri è finalizzato alla cura del detenuto e quindi con il nuovo ordinamento sanitario penitenziario i medici operanti nelle case di reclusione passati sotto controllo ASL non possono prestare opera al di fuori della loro competenza assegnata. Gli altri medici che prestano assistenza in altri contesti dell’Amministrazione Penitenziaria sono parcellisti attivi in una fascia oraria limitata i quali possono intervenire solo per una determinata richiesta di assistenza e, tutto ciò che viene effettuato al di fuori della specificità assegnata, viene fatto di propria iniziativa con rischi medico legali piuttosto importanti. Sottolineo infine la mancata presenza di un Ufficiale Medico di Polizia Penitenziaria nelle C.M.O. per la valutazione delle cause di servizio. Come tutti voi sapete, oggi, il Poliziotto Penitenziario è giudicato da una commissione ospedaliera che valuta le pato-

logie legate all’impiego professionale, da un gruppo di miei colleghi appartenenti a Forze dell’Ordine e Difesa che poco hanno a che vedere con la specificità del compito istituzionale della Polizia Penitenziaria. Io personalmente non ritengo giusto che medici di altri Corpi, i quali giustamente non conoscono direttamente le cause delle patologie professionali specifiche, possano, a mio avviso, giudicare le eventuali indennità con la necessaria serenità! Ad ogni modo mi piacerebbe sviluppare questo argomento scambiando idee con voi ragazzi eventualmente anche nel prossimo numero della rivista. Spero di poter dare anche in futuro un contributo, seppur microscopico, a questa GIUSTA causa con l’idea di veder realizzato questo progetto in tempi relativamente brevi! ✦ Dott. Andrea Servili

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Nelal foto “l’Ufficiale Medico” della Polizia Penitenziaria dottor Andrea Servili

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Lionello Pascone Coordinatore Nazionale Anppe Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria

Finanziaria: ci vuole franchezza e sincerità i vorrebbe comprendere come si fa a sostenere, quasi tutti i giorni, che nella Legge finanziaria 2010 e nella manovra economica, stabilita nel decorso mese di giugno 2010, non sono previste tasse. Si vorrebbe comprendere come si possano contraddire gli organi di informazione che, quotidianamente, smentiscono affermazioni del genere, illustrandoci aumenti a raffica di tributi e tariffe. Non è, infatti, possibile nascondere l’aumento dei pedaggi autostradali, l’incremento dei carburanti e del gas, a cui devono aggiungersi i balzelli regionali e locali, connessi alla elevazione degli oneri per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, alle addizionali IRPEF, ai paventati pedaggi per il transito sul GRA di

Roma; per non dire dei costi delle assicurazioni auto (i più cari d’Europa). Così si apprende che il PIL dell’anno 2009 è cresciuto ulteriormente, vale a dire che il 43,5% del reddito individuale è sottoposto a prelevamento fiscale, che sta chiaramente a denotare che quelle tasse che, “si dice”, non sarebbero state aumentate, pesano, però, maggiormente sulle tasche dei cittadini. Perchè bisognerebbe spiegare, in modo chiaro, se queste non sono tasse, cosa sono diversamente? Chi le paga, se non sempre lo stesso destinatario che, senza avere migliorametni sociali e delle condizioni di vita, è costretto a partecipare alla spesa pubblica diminuendo sempre più le proprie risorse economiche cioè in pratica il pro-

il Coordinatore Nazionale dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria dott. Lionello Pascone premiato a Venezia come “Amico Forze dell’Ordine 2010”

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In occasione e nell’ambito della cerimonia annuale della Madonna della Sfida, che si è tenuta a Venezia il giorno 17 aprile 2010, al Coordinatore Nazionale Dott. Lionello Pascone è stato conferito il Premio Amico Forze dell’Ordine 2010 con la seguente motivazione: Dopo anni di leale compito Istituzionale, al servizio della comune Patria, fin dal suo primo approccio con l’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria, fece del garantismo per le Forze dell’Ordine e volontariato la sua bandiera. Garantismo come cultura giuridica, come metro di un livello di civiltà che va, nel mondo moderno, ben oltre il romanistico, poichè racchiude tutta quella categoria del rispetto per gli altri che è uno dei fondamenti della giustizia moderna. ✦

prio potere di acquisto. Non è una pretesa fuori luogo quella di ottenere franchezza, sincerità, in una consapevolezza complessiva di sacrifici che, come al solito, si riversano sempre sugli stessi contribuenti, quelli che hanno un reddito fisso (dipendenti pubblici e pensionati) a cui facilmente e con immediatezza si può attingere, nella certezza di non ricevere riscontri diretti negativi, perchè impossibilitati. Sarebbe ora - e l’ulteriore condizionale è d’obbligo in quanto sempre privo di ascolto e della minima attenzione - di cospargersi umilmente il capo di cenere e di vestirsi di sacco e di non usare più inutili frasi imbonitrici, quando la realtà è ben diversa e determinata dagli stessi imbonitori. ✦

FIORI D ’A R A N C I O a BERGAMO La segreteria Regionale di Bergamo brinda alle nozze di Rosangela Barucco e Marco Malvestuto, figlio del Segretario Regionale Pasquale. Le nozze hanno avuto luogo sabato 3 luglio a Ospitaletto (BS), con Marco in Alta Uniforme dei Carabinieri. Tanti auguri agli Sposi da parte della Segreteria Nazionale e dalla Rivista.

Polizia - luglio /agosto2009 2010 PoliziaPenitenziaria Penitenziaria- -SG&S SG&Sn.175 n. 167 - novembre


L’ANPPE chiede l’estensione della convenzione con Telecom anche ai pensionati del Corpo Con lettera circolare n. 0201084 del 10 maggio 2010, la Direzione Generale delle Risorse Materiali dei Beni e dei Servizi del DAP ha inteso estendere la Convenzione CONSIP Telefonia Mobile 4 tra Telecom Italia ed il Ministero della Giustizia al personale con qualifica di Medico e/o infermiere che presti servizio all’interno delle strutture penitenziarie. La determinazione, da quanto si apprende dall’atto stesso, è stata assunta per ragioni istituzionali, considerato che tale personale presta la propria attività lavorativa nell’interno dell’Amministrazione Penitenziaria. Questa Associazione non ha nulla in contrario acchè altre figure professionali accedano alle agevolazioni offerte dalla richiamata Convenzione, anche se il personale interessato non ha alcun vincolo di dipendenza con il Ministero della Giustizia: e ciò è dimostrato da tutta una serie di provvedimenti che quotidianamente vengono assunti negli Istituti. La scrivente non può fare a meno di evidenziare, invero, il disinteresse dell’Amministrazione nei confronti dei propri dipendenti, nella fattispecie il personale del Corpo, a cui la scheda TIM viene immediatamente revocata e tolta al momento del collocamento in congedo, nonostante si tratti di personale che ha dedicato un’intera vita al servizio delle Istituzioni, con impegno e sacrificio. Non può non sorprendere il fatto che si proceda ad ampliare il numero dei beneficiari della Convenzione di cui trattasi, e quindi delle relative agevolazioni, a personale esterno all’Amministrazione, senza invece considerare l’importanza di comprendere nei medesimi contenuti tutto il personale in quiescenza del Corpo di polizia penitenziaria: l’iniziativa sarebbe di grande rilievo perché riserverebbe una particolare attenzione ad una categoria che merita senza dubbio ogni stima e apprezzamento. ✦

Palermo: Festa di San Basilide La Sezione ANPPE di Palermo ha partecipato, nel mese di luglio 2010, alla celebrazione della Santa Messa in onore di San Basilide tenutasi presso la Casa Circondariale di Palermo “Ucciardone”. Soddisfazione e compiacimenti sono stati espressi dal personale presente e dalle autorità intervenute per la presenza della delegazione. ✦

Venezia: incontro con le scuole Nel mese di marzo 2010, il Commissario Dott. Ezio Giacalone, Comandante di Reparto della Casa Circondariale di Venezia, ha incontrato gli alunni della 5ª elementare della Scuola S. Giuseppe di Venezia. Le lezioni hanno riscosso notevole interesse da parte dei ragazzi tanto da far nascere un significativo dibattito, che ha posto in luce e alla radice le problematiche trattate, le ragioni che inducono molti giovani in determinati comportamenti improntati alla violenza, a prevaricazioni, ad abusi ed altro. Interessante è stato, inoltre, il dibattito

inerente al fenomeno dell’assunzione di sostanze stupefacenti e di bevande alcoliche, motivi che inducono taluni giovani ad assumerle e soprattutto ai guasti che producono sulla sfera psicologica e fisica. La Dott.ssa Licia Marino, Magistrato presso il Tribunale dei Minori di Venezia, ha quindi incontrato i genitori degli alunni, intrattenendoli su questioni legate alle problematiche giovanili. ✦

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Convegno a Roma

Società Giustizia e Pace Sociale Tutori dell’Ordine Pubblico ieri, oggi e domani

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Il 7 luglio 2010, si è svolto il 1° Convegno ANPPe il cui tema è decisamente significativo, perché intende racchiudere, in sintesi, gli impegni più rilevanti che interessano le Forze Armate e le Forze di polizia, con riferimento a compiti istituzionali che permangono tali anche quando non si è più in servizio. L’ANPPe è nata nell’anno 1998 e rapidamente, negli anni, è cresciuta, inaugurando Sezioni in più sedi periferiche, costituite da ex appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, sempre particolarmente desiderosi di continuare a far parte di una Organizzazione attiva e in grado di esprimersi, a livello nazionale. L’Associazione conta oltre 3.000 iscritti, è certamente presente in occasione di cerimonie e manifestazioni di carattere civile, militare e religioso, è sempre disponibile, come stabilito dai principi statutari, ad offrire il proprio contributo in operazioni di ordine pubblico, di volontariato, di protezione civile. E’ proprio in questo spirito che è stata interessata, in occasione del sisma di L’Aquila del 6 aprile 2009 e di altra calamità naturali, e viene ordinariamente impegnata, in molte città, per la sorveglianza e la vigi-

lanza di musei, di scuole, di edifici pubblici, di parchi e giardini. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 14 luglio 2008 sono stati concessi all’ANPPe lo Stemma e il Gonfalone: un attestato quanto mai emble-

matico, che riconosce alla Associazione una configurazione istituzionale, alla stregua di tutte le altre Associazioni d’Arma e Combattentistiche il cui valore intrinseco trascende dall’espressività e dall’immagine pubblica. Parimenti rilevanti sotto un profilo professionale possono considerarsi, poi, i Decreti, con cui di recente l’Associazione stessa è stata posta sotto la tutela e il coordinamento del Ministero della Giustizia, articolandosi, ora, nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per quanto attiene effettivamente ad una peculiarità di ruolo e di rappresentatività del personale in quiescenza del Corpo degli Agenti di Custodia e del Corpo di Polizia Penitenziaria. Invero, tali provvedimenti assumono uno spessore ancor più notevole, in quanto l’Associazione acquista una connotazione più pertinente, essenziale ed esclusiva, con prerogative e caratteristiche indiscutibilmente più formali ed autentiche.

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Non può esserci dubbio che la presenza dell’ANPPe nell’ambito del Ministero della Giustizia nel suo complesso, d’ora in avanti avrà un ruolo ben distinto e grazie anche alla disponibilità degli Organi ministeriali potrà esprimere una potenzialità rappresentativa davvero unica, collaborando con tutte le altre Associazioni dei pensionati delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine per la tutela e per la rivendicazione di ogni legittima aspettativa, in ogni sede. ✦ Polizia Penitenziaria - SG&S n.175 - luglio /agosto 2010

Foto: Adolini/Caputi © 2010 SG&S

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Lanusei: Convegno Regionale del Sappe su Legalità, Giustizia e Prevenzione

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stata scelta Lanusei per la celebrazione del Convegno Regionale del S.A.P.Pe., un territorio assediato dal crimine che anziché essere tutelato e bonificato dalle Istituzioni rischia la chiusura di due sedi Istituzionali come il Tribunale presso la Procura della Repubblica e la Casa Circondariale. Alla manifestazione sono intervenuti i maggiori rappresentanti locali, tra questi il Sindaco di Lanusei Virginia Lai, che ha evidenziato l’importanza dei servizi essenziali per il territorio dell’Ogliastra, asserendo che gli stessi devono essere garantiti per il bene della comunità. Il Vice Prefetto di Nuoro, Pintori, ha affermato: «è meglio un paese senza pane che un paese senza giustizia», lanciando un monito contro il rischio di vedere chiudere il suo Tribunale. Una Ogliastra senza un presidio giudiziario preoccupa le Istituzioni locali, regionali, provinciali e clericali: per questo sono intervenuti anche il nuovo Presidente della Provincia Bruno Pilia, alla sua prima uscita pubblica e il Vescovo, Monsignor Antioco Piseddu. In campo contro la paventata soppressione del Tribunale e del carcere anche il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, già Presidente del Tribunale di Lanusei, Alberto Cozzella, che sostiene che solo chi non conosce il territorio dell’Ogliastra non può capire quanto sia importante per questa zona non perdere questi presidi, lo stesso si è rivolto al C.S.M., che ne ha chiesto la chiusura al Ministro della Giustizia Alfano. Il Segretario Regionale del Sappe Antonio Cocco nel suo intervento ha dichiarato che non è più rinviabile la ristrutturazione del carcere di San Daniele. Considerato che a Lanusei non è in previsione la costruzione di un nuovo carcere, si dovrà necessariamente riqualificare e am-

pliare l’attuale struttura, al fine di consentire condizioni migliori sia alla popolazione detenuta che al personale dipendente. Il Segretario Regionale Aggiunto Angelo Gavino Tedde, moderatore del Convegno, ha rappresentato il proprio timore affermando: «se il territorio dell’Ogliastra si lascia scippare il Tribunale, a ruota seguirebbe la chiusura del carcere e l’Ogliastra si trasformerebbe in un sobborgo del Burundi». A portare i saluti dell’Amministrazione sarda Marco Porcu, Direttore della Casa Circondariale di Lanusei, delegato dal Provveditore Regionale della Sardegna Francesco Massidda, che ha evidenziato quanto il personale del penitenziario di Lanusei sia parte integrante del territorio e come offra sempre la propria collaborazione alle altre Forze dell’Ordine. Il Convegno ha anche posto in luce la capacità professionale e associativa messa in campo dalla componente regionale del S.A.P.Pe. nel mettersi in discussione e affrontare temi delicati e complessi quali lo stato sociale in generale, la sicurezza a vari livelli, il mondo della scuola e i giovani oltre ai mutamenti del territorio. Soddisfazione è stata manifestata da parte della Segreteria Regionale del Sappe per la riuscita dell’evento, per aver discusso e fatto discutere di temi che vanno ben oltre le mura del carcere, continuando nel progetto di crescita ed innovazione del Corpo di Polizia Penitenziaria. Una innovazione a cui si lavora continuamente per non restare impreparati di fronte alle innovazioni future; qualcuno, invece, diversamente, pensa che il futuro si affronta con le parole, il Sappe, alle parole preferisce i fatti, ecco perchè il nostro motto non poteva che essere Res Non Verba di cui siamo orgogliosamente fieri. ✦ Paolo Spano

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Castrovillari: raduno Lambretta Club

lente al 1200. Il personale di Polizia Penitenziaria in rappresentanza del Corpo e nelle funzioni di polizia stradale ha contribuito a scortare la carovana, garantendo la sicurezza dei partecipanti. ✦

Si è svolto nelle giornate del 25-26 e 27 giugno 2010 il XVIII Raduno Nazionale Lambretta Club, organizzato quest’anno dal lambretta club del Pollino con sede in Castrovillari; la manifestazione nazionale ha visto la partecipazione di oltre 220 lambrette per un totale di circa 300 partecipanti, fra lambrettisti ed accompagnatori. Il presidente del club Sig. Pietro De Santis nel ringraziare tutti i partecipanti alla manifestazione e gli enti che hanno contribuito alla stessa, ha rivolto un particolare ringraziamento al Corpo di Polizia Penitenziaria ed in modo particolare al nucleo operativo di Castrovillari che nella giornata di venerdì 25 ha supportato la manifestazione con due motocicli. Dopo la partenza dalle Terme di Spezzano Albanese, luogo del raduno, la sfilata si è diretta prima al centro della cittadina di origini italo albanese per poi proseguire verso la città di Castrovillari, dove ai partecipanti sono stati offerti prodotti tipici calabresi. Si è proseguito, poi, verso il protoconvento francescano sito nel centro storico di Castrovillari, dove il gruppo folcroristico della città di Castrovillari ha intrattenuto i partecipanti con musica e balli tradizionali cenando nella pittoresca struttura risa-

Cagliari: la mascotte Fermo: Concerto della della segreteria Regionale Banda del Corpo Mi chiamo Zahara, ho circa un anno e sono nata a Cagliari. La mia tutrice è Sandra Cocco. In data 3 giugno 2010 sono stata nominata mascotte della Segreteria Regionale della Sardegna e ho capito subito che sarei diventata una componente di una grande famiglia! Un saluto a tutti i poliziotti penitenziari italiani. P.s. il mio sogno? entrare nel gruppo cinofili!!! ✦

LUTTO A NOVARA Il 4 luglio 2010, è prematuramente venuto a mancare, a causa di una grave malattia, il collega ed amico Lorenzo Leso, di anni 45, in servizio presso la Casa Circondariale di Novara. I colleghi della Casa Circondariale e la Rivista porgono alla moglie Monica, alle figlie Sara di anni 12 e Roberta di anni 9, le più sentite condoglianze.

Il 25 giugno 2010, presso l’Auditorium di Villa Vitali, si è esibita la Banda Musicale del Corpo di Polizia Penitenziaria, nell’ambito delle manifestazioni legate alla Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria della Regione Marche. Nel concerto sono state suonate le note della Marcia del Corpo di Battaglia, il Nabucco di Verdi, la Marcia Slava di Tchaikovsky e The Second Waltz di Shostakovitch. Poi, a seguire, sono state ascoltate The Blues factory di Hann, S.P.Q.R. di Schembari, La vita è bella di Piovani e per finire Il canto degli italiani di Mameli. Sono intervenuti alla manifestazione il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Ilse Runstemi e il Direttore della Casa Reclusione di Fermo Eleonora Consoli. Presenti, inoltre, il Sindaco di Fermo Saturnino Di Ruscio e l’Assessore alla Cultura Maria Antonietta Di Felice. ✦

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Campionati italiani ed europei di atletica

Nelle foto sopra lo stadio di Grosseto a fianco Daniela Reina

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Barcellona, la città in cui il dedalo di vie, ville e palazzi trasudano storia e mistero ad ogni angolo, tanto cara a Carlos Ruiz de Zafon, dal 26 luglio al 1 agosto si svolgeranno i campionati europei di atletica leggera. Per le Fiamme Azzurre ci sono soddisfazione e discreto ottimismo per i sei atleti convocati nella massima rassegna continentale della città catalana. I nostri a strappare il pass per l’evento sono stati Daniela Reina (800m e 4x400m), Anna Incerti (maratona), Chiara Rosa (peso), Laura Bordignon (disco), Zahra Bani (giavellotto) e Audrey Alloh (4x100m). La prima convocazione, ampiamente prevedibile, c’è stata per la nostra marciatrice Anna Incerti. Come da prassi infatti, data la tipologia della specialità, per consentire di finalizzare al meglio la preparazione in funzione degli appuntamenti clou, le buone notizie giungono in anticipo rispetto a quelle relative al resto del team. Ma pur buone sono state, e altrettanto pro-

crastinabili le altre relative a cinque dei maggiori protagonisti dei campionati italiani assoluti che si sono tenuti a Grosseto il 30 giugno ed il 1 luglio scorsi. Quella appena conclusasi era la 100^ edizione. Lo Stadio Zecchini, ha ospitato ben 757 atleti (375 uomini e372 donne per un totale di 938 atleti-gara) con 148 società a contendersi i 42 titoli tricolore (21 maschili e 21 femminili). Dopo gli eventi internazionali juniores degli anni passati (Europei 2001 e Mondiali 2004), il capoluogo maremmano ospitava per la prima volta la massima rassegna tricolore in una struttura completamente rinnovata proprio per l’evento. Da record è stata la copertura tv, senza precedenti per gli Assoluti, con 9 ore complessive di diretta su RaiSport 1, più due sintesi pomeridiane su Rai 3, che hanno dato grande visibilità ad uno sport che in genere trova poco spazio nelle dirette previste dai palinsesti nazionali. Ad accrescere il climax della manifestazione è stata anche la gara extra di Oscar Pistorius, che si è confermato vicinissimo al suo miglior tempo nei 400, vincendo tra il boato dello Zecchini tutto per lui. Stesso finale di applausi a scena aperta ha meritato anche il campione

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a cura di Lalì info@sappe.it Redazione sportiva

Nelle foto a sinistra Chiara Rosa a destra Laura Bordignon

olimpico di marcia, e boyfriend della nostra Carlina Kostner, Alex Schwazer, sui suoi livelli migliori. I tricolori estivi hanno mostrato una buona tenuta dei nostri punti di forza nel settore lanci: Chiara Rosa ha trionfato nel peso con 18.61, Zahra Bani nel giavellotto con 59.87, misure che sono tra le migliori prestazioni italiane 2010 della disciplina regina. Il ciclone Rosa delle Fiamme Azzurre, a due settimane dal titolo italiano di Grosseto, al Trofeo Toni Fallai di Conegliano Veneto (TV), ha poi centrato un’ottima serie su cui spiccano i 19 metri del suo secondo lancio, nona prestazione europea dell’anno. Diciannove metri sono solo a 15 centimetri esatti dal suo primato nazionale, 19,15, che Chiara Rosa aveva ottenuto il 24 giugno 2007 in Coppa Europa a Milano, poi eguagliato il 14 giugno del 2009 a Berlino. Chiara dopo aver saltato la stagione indoor per problemi fisici, si è presentata all’aperto in una forma ritrovata e più leggera di 20 kg. Più che positiva la serie completa dei suoi lanci nella gara di Conegliano: 17,90; 19,00; X; 18,68; X; 18,40. Il Direttore tecnico delle squadre nazionali Francesco Ugua-

gliati, relativamente alle previsioni sul settore femminile ha espresso aspettative di buone prestazioni da parte della nostra maratoneta Anna Incerti. «Console e Incerti stanno molto bene e possono essere protagoniste anche a livello individuale. La Toniolo sarà, invece, la “donna squadra”. Contiamo su di lei per cercare spazio sul podio della classifica di Coppa Europa, vinta quattro anni fa a Goteborg. Quella del 31 luglio dovrebbe essere una gara tattica, con partenza alle 10 del mattino dove tutte dovranno fare i conto con il caldo e l’umidità. Va detto che, in campo femminile, la concorrenza straniera si preannuncia molto più qualificata dove la squadra Russia, sulla carta, è candidata ad un ruolo di primo piano, mentre, in termini individuali, occhio alla britannica Yamauchi, alla tedesca Mockenhaupt e alle due keniane con passaporto europeo Kibet (Olanda) e Andersson (Svezia)».

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Sopra Francesco Uguagliati

al centro Anna Incerti

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Nelle foto al centro Zahra Bani sotto Audrey Alloh

Preziosissimi per la spedizione azzurra saranno anche i contributi di Daniela Reina sul giro di pista della 4X400 e negli 800 femminili individuali, e, unica azzurra della velocità sui 100m, di Audrey Alloh nella 4X100.

Vista la buona forma dimostrata nelle ultime kermesse internazionali e nazionali i marciatori Alex Schwazer ed Ivano Brugnetti e la saltatrice in alto Antonietta Di Martino sono i più accreditati nell’aspirare a rincorrere le posizioni di vertice. I campionati d’Europa saranno trasmessi in tv con ampi servizi di Rai Sport 1 e Eurosport a quasi totale copertura dell’evento. Nel settore atletica delle Fiamme Azzurre, gli ultimi appuntamenti e test estivi ci mostrano la nostra Valeria Roffino in crescita: la biellese nella prova tricolore, ha sfiorato il personale sulle siepi migliorandosi poi sui 3000m piani in occasione del meeting di Nembro (9’35”55, nuovo primato sociale).

a fianco Valeria Roffino al centro Andrew Howe in alto a destra Alex Schwazer in basso a destra Oscar Pistorius

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Parziale amarezza per le nostre è arrivata invece dalla Coppa Europa di prove multiple (Hengelo, 26/27 giugno), con le azzurre fuori dal podio: il quartetto, nel quale erano inserite anche le nostre Bettini e Trevisan, ha mancato la promozione di Super Legaue per appena 23 punti (16.705 contro 16.728 delle olandesi). Determinante è stata per la débacle l’assenza di una pedina importante come la nostra Cecilia Ricali a causa dell’infortunio che l’ha fermata in primavera: la campionessa italiana indoor avrebbe sicuramente fornito alla spedizione il valore aggiunto per raggiungere l’obiettivo. ✦

Più in generale, riguardo alle previsioni per i titoli a cui il Team Italia potrà aspirare, buone possibilità ci sono per i due azzurri campioni già vincitori degli europei a Goteborg 2006: Stefano Baldini nella maratona, giunto all’ultimo appuntamento della sua gloriosa carriera, ed Andrew Howe rientrato a Grosseto con un buon 8.16. Polizia Penitenziaria - SG&S n.175 - luglio /agosto 2010



Il DAP e via Arenula, in realtà sono sedi disagiate

Nella foto il Ministero della Giustizia e nel riquadro Gian Carlo Caselli

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pesso mi capita di visitare (per lavoro) la sede centrale del titanico Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, meglio conosciuto come D.A.P. Fino a qualche anno fa non era raro imbattersi in colleghi che, soprattutto se un po’ anziani, si riferivano al DAP come a il Ministero, confondendo il Ministero della Giustizia che ha sede in Roma in via Arenula presso il Palazzo Piacentini (dall’omonimo architetto che nel 1913 lo progettò) e uno dei suoi Dipartimenti, quello dell’Amministrazione Penitenziaria che ha sede anch’esso a Roma presso il Palazzo di cemento grigio con tante finestre, lungo via Silvestri. Ho sempre pensato che l’incapacità di distinguere le due sedi dipendesse dall’ignoranza che ammanta le persone che lavorano all’estrema periferia, le quali non riescono a cogliere l’importanza di quelle diverse denominazioni e quindi non apprezzano le differenze di attribuzioni, di competenze e di responsabilità che sono alla base della nostra moderna Nazione democratica e che differenziano il Ministero dal Dipartimento. Con il tempo ho iniziato a ricredermi, anche perché ho avuto modo di passare qualche ora a Palazzo Piacentini e ho iniziato ad accorgermi che in quei corridoi, dentro quelle stanze, si aggiravano le stesse facce che c’erano al DAP e ormai da tempo, ho iniziato anch’io a nominare il DAP come il Ministero. Da quelle facce ho iniziato a sviluppare una mia personalissima teoria che mi fa capire se quel posto, come sede di servizio, è un posto da consigliare o meno. Ebbene, di tutte le sedi di servizio (non

moltissime, ma nemmeno poche) dove ho avuto modo di soffermarmi per missioni o altro, il DAP è forse il posto più triste nella nostra amministrazione. Dipende dai valori che ognuno di noi ha, questo è certo, perciò per molti il DAP è la sede per eccellenza, quella dove risiede il potere vero, lì dove si può conoscere qualcuno ed ottenere il favore; ma se vi capitasse per caso di passare al DAP dopo una giornata passata al mare, all’aria aperta, in compagnia di amici, non potreste non guardare quelle facce e non potreste non accorgervi del modo in cui cammina la maggior parte delle persone. Lente, curve, rassegnate, sfaticate. Il DAP è un’immensa fabbrica di persone demotivate, rassegnate, senza uno scopo

nel lavoro. Non si faccia l’errore di confondere questo stato d’animo con la sindrome da burnout, quella cioè che colpisce le persone che vivono situazioni da stress lavorativo dovute al fatto che non riescono a mettere in pratica gli onerosi compiti che il lavoro le chiama ad assolvere. Alle persone che lavorano al DAP infatti, non viene richiesto nulla. Per il DAP dovrebbe essere inaugurata una nuova sindrome, quella da mancanza di obiettivi nel lavoro. E’ così, da quando ho iniziato a frequentarlo, i vari Capi del Dipartimento che si sono succeduti hanno contribuito, ognuno per proprio conto, ad aggravare la situazione. Uno degli ultimi scossoni che ha peggiorato l’umore di chi lavora al DAP è stata l’era Caselli, quando il Procuratore di Palermo, allora simbolo di onestà, rettitu-

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di Enzima info@sappe.it

dine, riscatto verso le ingiustizie di ogni genere, è salito al soglio dipartimentale. In quei giorni, in quelle settimane, subito dopo la nomina di Gian Carlo Caselli a comandare il DAP e quindi la Polizia Penitenziaria, si respirava tutta un’altra aria. C’era gente, soprattutto tra noi poliziotti, che aveva stampato il sorriso sulla bocca. A maggior ragione, gli animi si riscaldarono come non mai quando si seppe che Caselli aveva avocato a sé tutte le pratiche possibili ed immaginabili ed aveva riempito la propria scrivania di decine di faldoni contenenti le pratiche più refrattarie al loro dipanarsi: segno inequivocabile che di lì a poco sarebbe stata Rivoluzione!. Sono stato testimone diretto e posso anche giurare che in quei giorni ho visto pure persone lavorare e lavorare felici. Nei mesi seguenti, però, quando fu evi-

dente a tutti che la Rivoluzione! stentava a farsi largo, le persone tornarono ad incurvarsi e a spostarsi lentamente da una stanza all’altra, dove potevano passare quegli unici momenti davvero belli e spensierati: quelli in cui si parla delle ultime partite di calcio. Allora si parlò di montagna che ha partorito un topolino, ma non me la sento di giudicare negativamente il Dott. Caselli. Forse anche lui è stato colpito dalla sindrome che ancora non ha un nome e che aleggia al DAP e, ripensandoci bene, negli ultimi mesi di permanenza al DAP, pure lui l’ho visto camminare un po’ curvo...

Da allora le cose sono solo peggiorate tranne qualche guizzo momentaneo che, per assurdo, non fa che intristire ancora di più le persone, le quali, in cuor loro, lo sanno bene che basterebbe poco per far funzionare qualcosa al DAP. Perciò tu: tu che lavori nel tuo istituto di periferia, tu che fai ore su ore di straordinario non pagato in mansioni non riconosciute, esposto a malattie sconosciute, non lamentarti e dedica un pensiero a chi lavora nella sede più disagiata della nostra Amministrazione. E pensa anche allo stress che si respira in via Arenula, dove ogni giorno centinaia di persone spendono le proprie energie per dimostrare che sono più capaci di chi hanno intorno. E’ un lavoro difficile, talmente difficile e stressante che poi a fine giornata non rimane né il tempo né la voglia per fare altro. ✦

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Nela foto il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria)

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Aldo Maturo* avv.maturo@gmail.com

Mobbing quando la vita (non) è bella

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i piace lavorare di Francesca Comencini è un film da vedere. La regista di Carlo Giuliani,ragazzo (sui disordini del G8 a Genova) ha fatto questo film che è una cruda denunzia sul problema del mobbing, affidandone l’interpretazione a Nicoletta Braschi, la moglie di Benigni. E’ un problema attuale il mobbing e in Europa ne sono vittime oltre 40 milioni di dipendenti mentre in Italia, secondo alcune stime di certo approssimative, i lavoratori mobbizzati sarebbero circa due milioni. Per l’ISPESL ( Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) oltre il 70% delle denunce provengono dal pubblico impiego, l’età media delle vittime ha oltre 50 anni ed appartiene per oltre l’80% alla fascia dei Quadri ed Impiegati. Mobbing deriva dall’inglese to mob, aggredire, ed è passato nella sua accezione comune ad indicare il complesso di violenze morali e psicologiche esercitate su un dipendente in un ambiente di lavoro. Invidia, gelosia, concorrenza, antipatia, competizione esasperata, creano una conflittualità al limite della persecuzione psicologica proveniente indifferentemente da un superiore (mobbing verticale), da colleghi pari grado (mobbing orizzontale) o, al limite, da inferiori (mobbing ascendente) Se poi questo comportamento è finalizzato a spingere il lavoratore a dare le dimissioni o a chiedere il trasferimento ad altra sede si parla di mobbing strategico. Perché vi sia mobbing è comunque necessaria, secondo la giurisprudenza e la dottrina, “una serie prolungata di soprusi inseriti in una condotta persecutoria protratta nel tempo”. Il soggetto è destinatario di comporta-

menti di tipo persecutorio, attuati in modo evidente e continuo. Il fine è di eliminare una persona che è o è divenuta, in qualche modo, scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente, isolandola dal contesto lavorativo, umiliandola fino a provocarne il licenziamento, spingendola alle dimissioni o al trasferimento. I comportamenti mobbizzanti sono i più diversificati e sono noti a chiunque vive in un ambiente di lavoro: • atteggiamento palesemente difforme del superiore rispetto agli altri dipendenti; • sistematico discredito, calunnie, diffamazione di colleghi verso un altro collega; • dequalificazione nel lavoro; • diniego immotivato di permessi o ferie; • accuse generiche, non supportate da fatti o circostanze; • rimproveri alla presenza di colleghi pari grado, inferiori o in pubblico; • critiche continue e immotivate, aggressioni verbali; • demansionamento e attribuzione di

compiti dequalificanti e non adeguati alla propria professionalità; • desocializzazione con isolamento fisico in uffici decentrati, spogli,senza contatti con altri, negando all’interessato le informazioni di lavoro necessarie; • richiesta di più controlli medico-fiscali per lo stesso periodo di assenza per malattia, diversamente dalle prassi seguite nei confronti di altri; • distacchi illegittimi; • minacce continue o immotivate di procedimenti disciplinari. Per il lavoratore vittima di mobbing la vita diventa un inferno, sia nell’ambiente lavorativo che in quello privato. L’integrità psicofisica del soggetto diventa compromessa e passa velocemente ed irrimediabilmente nella schiera dei DAP-ISTI, i portatori di DepressioneAnsia-Panico. Vive con disperazione la presenza sul posto di lavoro, cominciano le prime forme depressive reattive, inizia l’assunzione di psicofarmaci, cure del tutto inutili se a monte non si risolve la causa del disagio.

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Il mobbing può portare anche alla invalidità psicologica del lavoratore tanto che si parla insistentemente di riconoscerla come malattia professionale, al pari di un infortunio sul lavoro. Pare che l’INAIL abbia suddiviso le patologie da mobbing tra lievi e gravi; per le lievi è riconosciuto un danno biologico del 6% mentre per le gravi del 15%. Se si considera che le norme generali dell’INAIL prevedono una franchigia di 10 punti si avrà il risultato che per i casi gravi si indennizzano solo il 5% mentre per gli altri casi non vi è alcun indennizzo. La vita del mobbizzato è difficile sia nel luogo di lavoro che nelle aule di giustizia. In linea teorica è possibile richiedere: • il danno biologico, quale lesione all’integrità psicofisica della persona che andrà sottoposta ad accertamento medico legale. A carico del datore di lavoro o del Capo Ufficio può configurarsi la violazione delle norme del codice civile (art.2087, art. 1375 e art.1175) che impongono al datore di lavoro di garantire la sicurezza sul posto di lavoro assicurando l’integrità psico-fisica del lavoratore. La giurisprudenza ha riconosciuto il danno biologico in relazione a varie ipotesi, es. lavoro usurante senza concessione di riposo, sovraccarico di lavoro, isolamento fisico e psicologico del soggetto, aggressioni verbali,molestie sessuali dequalificazione professionale, mancata concessione di benefici di carriera ed economici. Il danno biologico può essere provato con prove testimoniali, documentali,sindacali e con una consulenza medico legale disposta dal giudice che accerti il nesso di causalità tra il pregiudizio subito a livello psico-fisico e gli eventi mobbistici subìti; • il danno esistenziale è correlato ai riflessi sulla vita di relazione del soggetto che, diventato depresso ed ansioso, vittima di attacchi di panico, si chiude in se stesso limitando la sua attività al pendolarismo tra casa e ufficio, quando non decide di assentarsi per malattia restandosene chiuso in casa in attesa della visita fiscale o anche nel timore di più visite

fiscali. Una tale situazione non può che ripercuotersi anche sulla famiglia,stravolgendone le abitudini e i contatti con l’esterno; • il danno professionale deriva dalla decisione del datore di lavoro o capo ufficio di negare o impedire al dipendente di svolgere le mansioni correlate alla sua qualifica determinando una dequalificazione del suo profilo. E’ un danno all’immagine che si ripercuote sulla vittima a maggior ragione nell’impiego privato dove – tramite il passaparola - determina una svalutazione professionale del soggetto nel mercato del lavoro, precludendogli opportunità lavorative; • il danno da demansionamento o dequalificazione integra una lesione del diritto del lavoratore ad estrinsecare le sue capacità professionali e si ripercuote non solo nella vita professionale ma anche nella vita di relazione e va quantificato sia in senso patrimoniale che non (Cass.Civ.Sez.III, n.7980/2004). Purtroppo davanti al giudice bisogna fornire la prova della relazione diretta tra il danno subito e gli eventi di cui si è stato vittima. Il danno biologico sarà accertabile in sede medico legale, il danno esistenziale dipenderà da accertamenti che dimostrino l’alterazione delle abitudini relazionali del soggetto sintomo della modificazione subita dalla sua personalità. Per i dipendenti della Pubblica Amministrazione contrattualizzati (la mag-

gioranza) le controversie di lavoro restano di competenza del magistrato ordinario e seguono le procedure preliminari previste dal D.Lgs.165/2001. Il Tar di Roma con sentenza n.3315/2007 ha voluto differenziare la tutela per i non privatizzati della P.A. (forze di polizia, magistratura, carriera diplomatica, penitenziaria o prefettizia, etc.). A loro ha riconosciuto una doppia tutela, quella del giudice ordinario e quella del Tar. E’ competenza del primo il mobbing dovuto a comportamenti vessatori dei superiori gerarchici e dei colleghi, resta competenza del Tar invece il mobbing dovuto a demansionamento. Quest’ultima forma di mobbing,infatti, derivando dall’emanazione di atti amministrativi ritenuti illegittimi, resta di competenza del Tar. Ancora più difficile è la tutela penale perché in tal caso il lavoratore deve provare la sussistenza della volontà vessatoria del superiore o dei colleghi, cioè il dolo specifico che li ha animati nel colpirlo ponendo in essere comportamenti antigiuridici. Tale prova è difficilissima perché si scontra con la viltà strisciante di tanti ambienti di lavoro dove, pur nella consapevolezza del disagio di un collega, del trattamento mobbizzante che subisce, nessuno parla e nessuno è disposto a testimoniare. Il timore di ritorsioni da parte dei responsabili o degli stessi capi ufficio diventa un ostacolo insormontabile a riprova della viltà e dell’insensibilità di tanta gente. ✦ * Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria

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Germania: Ladro si introduce di notte in carcere per fare sesso con la fidanzata emmeno il muro di cinta di un carcere è stato in grado di fermare il trentenne Daniel Eberhardt che non ha esitato ad intrufolarsi nel carcere di Brackwede, nella città di Bielefeld nel Nordreno-

l a e d d a c c A o i r a i z n e t i Pen Westfalia, per fare sesso con la propria fidanzata che vi era detenuta. Il ragazzo tedesco ha ripetuto l’operazione per più notti, scavalcando un muro nemmeno troppo basso e riuscendo sempre a non farsi notare dai poliziotti di sorveglianza. Per aprire le porte interne al carcere Daniel, che manco a dirlo di professione faceva il ladro, ha utilizzato copie delle chiavi e questo va e vieni dal carcere è durato almeno per un mese.

Alla fine i due amanti carcerari sono stati scoperti soltanto perché le altre detenute, disturbate ed infastidite dai lamenti e dalle grida della coppia, hanno fatto la spia al personale di sorveglianza. Soltanto in questo modo è stato possibile cogliere l’uomo in flagranza di reato e denunciarlo alla magistratura che dovrà ora decidere se spedirlo definitivamente in carcere... questa volta, però, senza la fidanzata. ✦

Germania: Lo strano caso di Maurice Baumann che esce dal carcere perché in erezione

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Maurice Baumann, 32 anni, era stato condannato ad un anno di carcere per una serie di furti con scasso all’interno di una base militare britannica, a Bielefeld, in Germania. L’uomo, però, è riuscito ad uscire di prigione con una motivazione alquanto bizzarra. Il giovane, infatti, è stato ricoverato d’urgenza nel locale ospedale perché colpito da un episodio acuto di priapismo che gli ha provocato una continua ed incontrollabile erezione. Il referto medico ed il successivo rapporto clinico dell’ospedale hanno confermato che Maurice soffriva di semi o massima rigidità del pene in maniera continuativa. A Baumann sono stati prescritti numerosi farmaci, è stata praticata l'agopuntura e sono stati forniti pantaloni speciali per nascondere il suo imbarazzo, ma dopo una settimana di trattamento i medici hanno ammesso di essere in grado di dimezzare l'erezione dell'uomo ma non di annullarla. Lo stesso Baumann ha poi raccontato ai Magistrati che hanno esaminato il suo caso di essersi svegliato una mattina in quello stato, di non essersi inizialmente preoccupato perché capita ad un sacco di uomini, ma il problema è stato che poi il suo pene non è mai più tornato alla posizione di riposo. Il trentenne ha anche confessato di aver fatto sesso con la ragazza, ma cinque minuti dopo era di nuovo eccitato. Ha aggiunto di aver preso antidolorifici e bevuto tanta birra nella speranza di sortire un qualche effetto rilassante. Ma alla fine, secondo lui, nulla avuto effetto e la cosa non è affatto divertente. Tra l’altro, a suo dire, il problema continuava da diversi mesi, e, ultimamente, è stato oggetto di un trattamento medico e farmacologico di una settimana dal costo di 5.000 sterline. Nella cartella clinica dell’ospedale è stato scritto che i dottori hanno infilato siringhe nell'invincibile pene di Baumann per oltre novanta minuti nel tentativo di ridimensionarlo, ma dopo cinque minuti il membro era tornato eretto come prima. Anche un secondo tentativo di iniettargli farmaci non ha avuto gli effetti sperati. Il tribunale di Bielefeld, infine, ha dovuto prendere atto dell'anomala situazione dello scassinatore e ha decretato che lo stesso può rimanere fuori dal carcere almeno fino a che non ha risolto il problema. La sentenza non è stata affatto gradita al procuratore Harald Krahmoeller che ha dichiarato: «Solo pazienti afflitti da gravi problemi sanitari dovrebbero essere mandati a casa e questo non penso sia un caso grave. Spero di rivederlo dietro alle sbarre il più presto possibile». ✦ Polizia Penitenziaria - SG&S n.175 - luglio /agosto 2010


fonte: www.poliziapenitenziaria.net

Venezia: Esce dal carcere e viene di nuovo arrestato dopo solo mezz’ora

L’ispettore generale dei cappellani rivela: anche in carcere si fanno sedute spiritiche e riti satanici L’ispettore generale dei cappellani dell’Amministrazione penitenziaria, monsignor Giorgio Caniato, 82 anni, ha rivelato, di recente, che dentro le carceri italiane ci sono detenuti che evocano il diavolo con riti e sedute spiritiche. Monsignor Caniato ha dichiarato che: «Si fanno sedute spiritiche e la cosa è venuta fuori perché gli altri ospiti nei penitenziari si sono lamentati che la notte nelle celle le sedie ballavano e le pentole appese ai muri cadevano. Lo hanno detto alla sorveglianza e sono venuti a saperlo pure i cappellani e le suore». Stando a quanto è emerso, la pratiche sataniche sarebbero esercitate più dalle donne, anche se sono capitate anche nei settori maschili. Sempre secondo Caniato: «Evidentemente, queste persone hanno continuato a fare dentro quello che praticavano fuori, per evocare amici e parenti defunti e per sapere da loro chissà che cosa. Ovviamente, praticare riti satanici in carcere è vietato.» Il fenomeno finora risulta, però, molto circoscritto e all’ispettore generale dei cappellani non risultano casi di possessione diabolica o d’infestazione ambientale all’interno di un carcere, tanto che nessun esorcista ha mai varcato la soglia di un istituto penitenziario con Bibbia, aspersorio e acqua santa. Pur tuttavia, una riflessione di monsignor Caniato induce a prendere atto di come: «Sono aumentati i detenuti per reati che hanno a che fare in qualche modo con il diavolo: pensiamo alle bestie di satana di Varese e alle tre omicide della suora di Chiavenna.» Su questo argomento, nessuna fonte può essere considerata più attendibile di monsignor Caniato, visto che il prelato esercita la sua missione apostolica nelle carceri italiane fin dal lontano 1955. ✦

Se non è record del mondo, poco ci manca. Sicuramente C.M., veneziano di quaranta anni, troverà un posto nel Guinness dei primati come il più veloce (o uno dei più veloci) scarcerato a tornare in prigione. Il quarantenne, detenuto nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia per scontare una condanna per reati contro il patrimonio, appena uscito di galera è stato subito adocchiato dagli agenti del Commissariato San Marco, che lo avevano arrestato due anni prima, e che lo hanno seguito. L’uomo, infatti, risulta molto conosciuto dalle forze dell’ordine veneziane per essere abilissimo borseggiatore e astuto topo di appartamenti e di alberghi. Il pedinamento, effettivamente, ha subito dato i suoi frutti. C.M. si è introdotto in una locanda del sestiere di Cannaregio da dove è rapidamente uscito con fare furtivo. Fermato immediatamente dagli agenti è stato trovato in possesso di un portafoglio che ha subito confessato di aver sottratto ad una donna addetta alla reception della locanda. Detto, fatto... nel breve volgere di mezz’ora il lestofante è tornato nelle patrie galere di Santa Maria Maggiore. ✦

Paraguay: Popolazione compra tv ai detenuti per vedere mondiali Sudafrica l Direttore del carcere paraguayano di Asuncion, Julio Azevedo, ha reso noto nei giorni scorsi che i duemila detenuti del carcere potranno vedere le partite dei mondiali di calcio grazie alla generosità della polazione della capitale. I cittadini di Asuncion, infatti, hanno partecipato ad una sottoscrizione pubblica con offerte di danaro o regalando direttamente televisori, al fine di permettere ai detenuti di vedere i mondiali sudafricani. Ovviamente la notizia ha provocato l’entusiasmo dei duemila reclusi. ✦

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James Patterson, Liza Marklund

Vincenzo Merlo

CARTOLINE DI MORTE

LA LAMPADA SOPRA IL MOGGIO

LONGANESI Edizioni pagg. 304 - euro 18,60

ARES Edizioni pagg. 320 - euro 15,00

ono giovani, belli, felici. Sono giovani coppie in viaggio di nozze, in giro per le più importanti capitali europee. Hanno tutta la vita davanti. Ma sono morti che camminano. Perché qualcuno li uccide e ricompone i cadaveri in pose enigmatiche, li fotografa con una Polaroid e poi invia la foto a un giornalista del quotidiano locale. Ma quel giornalista sa che cosa lo aspetta, perché pochi giorni prima ha ricevuto una cartolina dai killer, una cartolina di morte. Jacob Kanon, detective del NYPD, è l’unico sulle tracce dei killer, ma è sempre un passo indietro. Eppure non si arrende, non può cedere, perché ha un motivo del tutto personale per fermare la strage. Ora, finalmente, è a pochi passi dalla soluzione. Dopo Roma, Francoforte, Copenhagen e Parigi, Stoccolma potrebbe essere l’ultima tappa della catena di omicidi. Tutto dipende da una giornalista svedese, la giovane e agguerrita Dessie. Lei ha ricevuto l’ultima cartolina di morte e solo lei può aiutare Kanon, prima che i killer mettano in atto una contromossa imprevista. O forse l’hanno già fatto?

Dagli eccidi della Rivoluzione francese ai totalitarismi del XX secolo; dalle persecuzioni anticristiane alla vicenda di Eluana Englaro, attraverso la crisi delle ideologie: Vincenzo Merlo ripercorre con il rigore dello storico e la convinzione del credente alcuni passaggi chiave degli ultimi due secoli, mettendo in luce mediante l’analisi puntuale delle grandi encicliche della Chiesa cattolica le ragioni dell’umanesimo cristiano, contro i guasti della modernità laicista che si adopera, oggi come ieri, per estirpare Dio dall’orizzonte dell’uomo. Il pantano odierno è la conseguenza di una serie di errori commessi tutti a danno dell’uomo, scrive Rosa Alberoni nella Prefazione, perché, con le parole di Henri De Lubac, «non è vero che l’uomo non possa organizzare la terra senza Dio. Quel che è vero è che, senza Dio, egli non può in fin dei conti che organizzarla contro l’uomo». Il titolo stesso ribadisce che il Vangelo e la tradizione cristiana rimangono riferimenti certi, fari luminosi per chi ha smarrito la via nella notte del mondo. Tess Gerritsen

L’OMBRA DEL RE

Tre anni dopo. Un’antica moneta maya, spezzata a metà, è l’unico ricordo che Jake e Kady hanno del padre e della madre, spariti in circostanze misteriose durante una spedizione archeologica in Messico. È quindi con un misto di orgoglio e di speranza che accettano l’invito del British Museum per l’inaugurazione della mostra allestita coi reperti rinvenuti sulla Montagna delle Ossa. Quella potrebbe essere l’occasione per trovare un indizio su cosa sia realmente accaduto ai loro genitori. E infatti un oggetto enigmatico attira subito l’attenzione di Jake: una piramide maya in miniatura, che presenta un intaglio di forma identica ai frammenti di moneta da cui lui e la sorella non si separano mai. Spinti dalla curiosità, i ragazzi li incastrano nella piramide e succede l’incredibile: all’improvviso non sono più a Londra, ma a Calipso, una terra magica abitata da civiltà scomparse da secoli. Spaesati e atterriti, i giovani Ransom dovranno attingere a tutto il loro coraggio per sopravvivere in quel mondo sconosciuto e pericoloso, perché sul loro destino incombe l’ombra del re Teschio, un malvagio stregone che stava aspettando proprio l’arrivo di Jake...

NORD Edizioni pagg. 408 - euro 16,60

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Yucatan, Messico. Si dice che la Montagna delle Ossa sia un luogo maledetto. Si dice che chiunque abbia osato avventurarsi nella giungla per scalarla non sia più tornato indietro. Ma i coniugi Ransom non si sono lasciati intimorire e hanno scoperto un segreto straordinario. Un segreto che però non potranno raccontare a nessuno... Polizia Penitenziaria - SG&S n.175 - luglio /agosto 2010


a cura di Erremme

Alberto Leoni

LA CROCE E LA MEZZALUNA ARES Edizioni pagg. 464 - euro 23,00 A distanza di sette anni ritorna questo volume in nuova veste, riveduta e ampliata. Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, che avevano gettato ombre angosciose sul futuro dell’umanità, non sono stati dimenticati (non del tutto, per lo meno) e non hanno perduto uno iota del loro valore storico, nonostante la smemoratezza e l’incoscienza dell’Occidente. Nella loro cifra simbolica gli attentati di al Qaeda, condotti in luoghi ove era inimmaginabile potessero accadere, recano ancora un secco, ma significativo messaggio: la forma di vita occidentale divenuta egemone sull’intera Terra può essere vinta attraverso la guerra del terrore, odierna modalità di quel duro conflitto che per secoli oppose (e oppone) cristiani e musulmani in Europa, Asia e Africa. Di questo conflitto Alberto Leoni narra la storia dalle guerre arabo-bizantine ai giorni nostri, situando il confronto militare e le relative operazioni belliche (battaglie, assedi, strategie) entro i sistemi di valori propri delle civiltà islamica e cristiana e rendendo, in pari tempo, contemporaneo un passato con troppa faciloneria rimosso per convinzioni ireniche o per opportunismo politico. Emerge da queste pagine una verità incontrovertibile, che l’asfittica e provinciale storiografia italiana non ha mai adeguatamente sottolineato, preferendo i Masaniello ai Giovanni da Capistrano o agli Eugenio di Savoia: i popoli cristiani d’Europa (in particolare quelli cattolici) hanno combattuto guerre sanguinosissime e feroci contro l’Islàm per non perdere la propria identità e difendere, con la fede, la libertà e la dignità della per-

sona a vantaggio dell’Occidente e dell’umanità tutta. La presente edizione accoglie un’appendice che attualizza quei conflitti e fa comprendere come, rispetto al 2001, la situazione mondiale sia addirittura peggiorata. La sfida dell’Islam fondamentalista all’Occidente continua.

Michele Brambilla

L’ESKIMO IN REDAZIONE QUANDO LE BRIGATE ROSSE ERANO ‘SEDICENTI’

ARES Edizioni pagg. 264 - euro 15,00

Ecco un libro che meriterebbe di essere letto nelle scuole per denunziare l’antico vizio italico del conformismo. Se si leggono le ricostruzioni che storici e giornalisti fanno degli anni di piombo, sembra che i brigatisti rossi e i loro stretti parenti siano sempre stati considerati dei folli, isolati da tutto il resto del Paese. Sembra che il progetto di una società comunista, da realizzare attraverso una rivoluzione, sia stata una pazza idea nelle menti di pochi. Ma non andò così. Per una decina d’anni, diciamo dal 1968 in poi, l’estremismo di sinistra poté godere della benevolenza, del consenso, e

a volte della complicità della maggior parte dei giornali e del mondo della cultura ufficiale. Ci volle il cadavere di Moro fatto trovare a metà strada fra le sedi della Dc e del Pci per interrompere una mistificazione che i mass media conducevano dal tempo della scoperta dei primi covi delle Brigate Rosse. Per dieci anni gli italiani furono ingannati dai nove decimi della stampa nazionale, che chiamò sedicenti le Brigate Rosse e nascose e negò qualsiasi episodio di violenza e di estrema sinistra. Perché accadde tutto questo? Molti giornalisti agirono per fede politica. Ma molti altri, più semplicemente, si accodarono seguendo il vento, che in quel momento sembrava portare a un immancabile trionfo del marxismo. Così, legioni di cronisti borghesi si misero l’eskimo, confermando una vecchia battuta di Leo Longanesi, e cioè che lo stemma al centro della bandiera italiana dovrebbe essere la scritta: «Ho famiglia». Questo libro, il cui titolo è entrato a suon di edizioni nell’immaginario collettivo come la sintesi più efficace di un dato periodo di giornalismo italiano, riporta fra virgolette che cosa scrissero i giornali sui principali episodi di violenza dell’estrema sinistra. Il lettore della presente nuova edizione rivista e aggiornata, a distanza di tanti anni dalla prima del 1990, continuerà a stupirsi, incredulo. ✦

Polizia Penitenziaria - SG&S n.175 - luglio /agosto 2010

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Lettera al Direttore gregio dott. Capece, non posso far altro che complimentarmi con lei per l’attenzione e la perspicacia con cui sta portando avanti la battaglia per i ruoli tecnici della Polizia penitenziaria, per un legittimo riconoscimento delle aspettative di chi, come me, ha investito anni di studio e di sacrificio personale, sperando di poter contribuire alla crescita del nostro Corpo, mettendo a disposizione, ognuno nel proprio piccolo, la propria professionalità acquisita negli anni. Mi dispiace dover constatare che il no-

stro Ministero non ha alcuna intenzione di voler far crescere e progredire il nostro Corpo, e ciò è dimostrato dai fatti. Al di là delle esternazioni di facciata, che puntualmente vengono fatte in occasione delle varie manifestazioni pubbliche, come la Festa del Corpo, niente viene fatto in concreto, a dimostrazione della totale incoerenza che li contraddistingue. Spero che continui a tenere desta l’attenzione su questo argomento, dicendole che non sarà solo a lottare, affinchè le linee guida del disegno di legge vengano rispettate in toto senza omissioni o storture. Se ci sarà bisogno di manifestare o di fare ricorso, nessuno si tirerà indietro, al fine di vedere, una volta per tutte, rispettata la legge. Antonio Massimo Ciasullo

Caro Collega, ti ringrazio per le belle parole che ci hai voluto indirizzare, perchè talvolta fa anche piacere ricevere qualche complimento. Le gratificazioni, soprattutto quelle dei colleghi, servono da sprone a fare sempre meglio e con maggiore convinzione. Come certamente saprai, quella dei ruoli tecnici è una battaglia che ci sta particolarmente a cuore e, stai sicuro, che non desisteremo fino a quando non vedremo soddisfatte le legittime aspirazioni del colleghi. Un caro saluto. Donato Capece

© 2010 Caputi & De Blasis

IL MONDO DELL’APPUNTATO CAPUTO

LE FERIE DI CAPUTO...

Commissario, mi scusi, vorrei presentare la domandina per le ferie...

Ok, Caputo. Non ci sono problemi: ti puoi fare 15 giorni a luglio, la settimana di ferragosto e altri 15 giorni a settembre...

Ma che fa, te... Comandan scherza?

però Si, Caputo, iato hai cominc prima tu...

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radici salde e profonde sostengono gli alberi piu’ grandi.

Sappe: la forza nelle radici.



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