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GIULIANO SCABIA

1) Qual è la sua idea della prosa? Come si definisce il suo approccio alla prosa (anche rispetto alla questione dei generi)? Prosa è andare diritto, verso è voltarsi e andare a capo. Il sentiero, fin che non svolta, sarebbe prosa. Andare diritto (prosa) fino a chissà dove, e magari nel chissà dove improvvisamente scoprire in una radura una compagnia di attori dilettantistico amatoriali che battono nella voce i versi bianchi di Shakespeare. Come sono impressionanti i versi di Shakespeare (in inglese). Come quelli del Tasso drammaturgo dell‘Aminta. Una volta ho sognato che cascavo dalla Divina Commedia (versi) nel Decameron (prosa). Chissà. Però con Virgilio e Dante si camminava nella prosa, ma in versi, su per la scalinata di terzine dall‘Inferno al Paradiso. 2) Crede che nella poesia contemporanea il problema della prosa si ponga soltanto nei termini dell‟“abbassamento prosastico” e dell‟avvicinamento asintotico della poesia alla prosa, come importanti critici hanno sottolineato, oppure le sembra di osservare Ŕ nel lavoro suo, o di altri Ŕ altre modalità di interazione, o di scambio di strumenti tra i due generi? Nella prosa posso raccontare grandi storie, più lunghe che in poesia. Solo la prosa ha reso possibile il romanzo moderno. Ma i primi romanzi europei (quelli di Chretien), erano in versi, e cantati. C‘è mistero su verso e prosa. Bisognerebbe interrogare i cavalieri messi in verso e poi passati derisoriamente in prosa da Cervantes quando non ci si credeva più. Nelle poesie succede però che, a volte, per come nascono, si va più nell‘abisso, ad ascoltare il non si sa che. 3) Quale posizione ha la prosa all‟interno della sua opera, e di singole sue opere (eventualmente scindendo il discorso tra libri di poesia in cui compaiono pezzi o inserti in prosa e libri di narrativa vera e propria)? Che tipo di lavoro le interessa fare con la prosa, anche rispetto al verso? Quali sono le prerogative o gli strumenti della scrittura in prosa che le interessano maggiormente? Nel romanzo molto importante è la struttura, l‘architettura. C‘è gran lavoro per accordare tutto, per me anni di lavoro. Ma poi in un libro per me centrale (Teatro con bosco e animali) c‘è prosa, poesia, teatro. I generi, che sono natura, sono anche un po‘ stupidi, come tutte le definizioni. La lingua, per fortuna, è matta. Nei versi cerco di ascoltarla secondo fiato, ritmo, musica, tono, timbro, umidità, armonia, invincibilità. Nella prosa secondo gentilezza, amore e bizzarria. 4) Nel panorama contemporaneo, o nella tradizione, ci sono autori (di prosa poetica, prosimetri, poemi in prosa, prosa narrativa, frammenti lirici o altro) che le interessano particolarmente (anche non italiani)? Uno dei compagni di viaggio di cui mi ha impressionato la prosa, molto vicina alla poesia e al teatro, è Dylan Thomas. Poi Lorca. E Maiakowski. E Brodski. E Pasternak. E Palazzeschi. E Dino Campana. E Zanzotto. E Meneghello. E Rigoni Stern. 5) Ha mai fatto esperienze di traduzione di autori di prosa poetica, o di altri tipi di scrittura in prosa? E che tipo di contraccolpo hanno avuto sul suo lavoro in versi (se ne hanno avuto)? Ho tradotto versi da molte lingue, per esercizio interiore. Ma non prosa poetica (forse qualcosa di Char, anni fa).


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