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117 poesie disposte una per pagina, in corsivo sulla pagina di sinistra e in tondo su quella di destra. La duplicità malefica modifica anche il valore della parola-trattino: ―anatra-lepre‖ non può riferirsi ad alcun fenomeno di fluidificazione e poi di irretimento metaforico, ma sancisce al contrario la disfatta di questa tecnica, esautorata della sua firma dal Nemico. «Esseri doppi popolano il mondo. / Sembra che lo raddoppino, / in realtà lo dimezzano» (p. 56); perché «nessuno può vedere anatra e lepre / insieme. O l‘una o l‘altra, / e l‘una dopo l‘altra» (p. 57). Nell‘arbitrio con cui Magrelli si impossessa del test psicologico e del suo transito wittgensteiniano rientra l‘attribuzione di caratteri morali alle due silhouettes animali (è un fattore del trasferimento alla sfera etica), caratteri anch‘essi fortemente polarizzati: la lepre è perfida e sanguinaria, l‘anatra è non certo ―buona‖ ma illusa di esserlo (quindi sostanzialmente sciocca, cieca, e per una ragione ben precisa). E da quest‘arbitrio ―idiomatico‖ discende anche la «terza regola», ossia che, fra le due figure, la prima ad essere percepita è sempre quella illusoriamente buona, e l‘altra «arriva sempre per seconda» (p. 57). Questa creatura inoltre non ha coscienza della sua duplicità, poiché «grazie a un apposito commutatore neurologico, / non c‘è passaggio tra le due metà» e, rincara Magrelli in modo addirittura paradigmatico, se si è seguito fino ad ora il percorso di questo saggio, «Jekyll e Iago esistono soltanto nelle fiabe» (vaporizzate, lo si è visto in DID, dai «numeri» dell‘economia). Ed è difficile resistere al pensiero che la micidiale macchinetta anatra-lepre sia crudelmente proiettata da Magrelli su temi e tòpoi della sua scrittura, per smantellarne il vecchio significato e sostituirlo col nuovo e orrendo; non può essere un caso che nella poesia che si è cominciato a citare l‘anatra-lepre venga messa davanti allo specchio, e integrata così ( a meno che non sia vero il contrario) in quella serie di riflessi speculari semplici o doppi che occupano un posto concettualmente così importante nel lavoro letterario e critico dell‘autore romano.(5) L‘anatra allo specchio non «vedrà spuntare il suo secondo profilo»: «questa specie di mostri disconosce / la sua parte mostruosa, / senza che possa esistere agnizione. / La crudeltà dell‘anatra appartiene alla lepre, / che infatti, non a caso, guarda dall‘altra parte» (p. 59). E quando l‘io prova «a mettere un‘anatra di fronte / alle azioni compiute dalla lepre», tenendola ferma a forza, non ottiene ugualmente nessun riconoscimento, anzi la macchina si disattiva come per sovraccarico o corto circuito: «c‘è un relais, in quei disegni, / che non consente loro alcun passaggio / da un lato all‘altro della prospettiva. / Per questo certe lepri sono in grado / di fare paralumi in pelle umana, / mentre l‘inconsapevole anatra/ volge il viso» (p. 65). È fin troppo evidente, dunque, che a mancare in questa nuova versione della parola-trattino è quell‘«attrito» che la parola aveva in origine la funzione di ritrarre: l‘«io fricativo» di Treno-cometa ha lasciato il posto a un‘agenzia di autoesonero che solleva il soggetto dalla consapevolezza delle crudeltà di cui pure è, indirettamente quanto si vuole, responsabile. Niente attrito, niente dolore, e niente contatto con il presente e la storia (era questo, abbiamo visto, l‘intreccio sempre sciolto e riallacciato di CC): tutto fila liscio come l‘olio. Anche la scrittura poetica è dunque costretta a rivedere il proprio statuto, e ad assumerne uno più modesto e integrato: «ninnoli fatti con calcoli renali? /Se con i propri, passi. Poesie. / Smaltimento rifiuti» (p. 64). Dalla «renella del sogno» come fondo in cui leggere i traumi nascosti della storia si è passati ad una dignitosissima e forse perfettamente vana autoecologia: i calcoli non sono più ―in comproprietà‖ con la storia, ma soltanto e desolatamente propri, buoni per il riciclaggio e la decorazione. Braccialetti per l‘anatra e niente più. La regressione dal terreno ideale su cui i precedenti lavori di Magrelli avevano condotto il loro sperimentare, senza che a tale abbandono corrisponda l‘attivazione di un diverso campo di forze, porta la poesia al suo punto di massima e apparentemente irrimediabile paralisi nella coppia di testi del Post scriptum, dove la resa completa è sancita da quella che si deve chiamare una visione, ambientata durante un sei di gennaio, «Nera Epifania» con tanto di maiuscole allegorizzanti, squarcio del velo. L‘ultimo fondo su cui si era nonostante tutto sperato di poter organizzare una resistenza, di orchestrare un piccolo cerimoniale da opporre, anche solo simbolicamente, a quello strapotente del Capitale immateriale e informatizzato, per tenere in vita almeno qualche piccolo cenacolo di cospiratori, si rivela già parassitato, invaso dal consueto Nemico: […] la lepre mi balzò agli occhi e mi rispose mentre mi rivolgevo all‘anatra.


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