Ulisse n.15

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56 nella difesa del patrimonio e di unředucazione rigida e tradizionale(28), avviene la sua riscoperta proprio attraverso la madre. Dora dapprima «respira, ritorna la musica/ il canto», ritrova «il tempo dei veli leggeri/ e dei senza pensieri….lo stupidario felice/ dřunřetà che di nuovo le danza intorno». Poi è lei, la madre, a spostarsi […] al centro del gioco, e attraverso il suo nutrimento recuperiamo… riaffiora quel genus paterno Ŕmorto e sepoltoche avevamo sdegnato di assumere in quanto Assoluto Bellocchio. Lasciamo filtrare beviamo dalle due fonti. Quella paterna, fin troppo presente ossessiva dalla quale ci siamo difesi; ma ora la pietra riprende a parlare…Quella materna, non percepita, da prima, durante lřinterminabile attesa nellřastanteria della giovinezza, ma presente in profondo, venuta alla fine alla superficie…fragile, lieve ma ispirativa, ci attraversa ci permea… con nostra sorpresa. Ha un sapore intrigante, come il rabarbaro delle sue caramelle. Allora le dolcezze materne si coniugano con lřautorevolezza paterna. Allora può avvenire la diaspora dei figli e, mentre giacciono a terra, nellředen fiorito della casa «lance spezzate, cavalieri | disarcionati e morti e feriti tra i fanti | tra quelli più esposti più fragili| scesi in campo con un armamento leggero», ciascuno cerca la propria «verità» e «tutti dicono addio a tutti». Allora nasce la commozione e la pietà. Ed ecco che anche i luoghi, per un aggettivo ora più affettuoso ora più lieve ora più visionario, riacquistano quella «grazia» che riesce a rivestire anche la sofferenza e lřorrore ed è propria della tradizione pittorica e poetica emiliana del Correggio, del Parmigianino, di Bertolucci. La rivolta irrazionalistica contro la norma e la chiusura del vivere borghese famigliare dei Pugni in tasca di Marco Bellocchio lascia spazio in questo romanzo in versi a una profonda pietas: criticando dallřinterno, alla luce della ragione e del sentimento, quel mondo famigliare e borghese, paterno e materno, raccogliendone la storia dalle radici, attraverso i passaggi del tempo e del destino, attraverso i luoghi, la pietrosa Bobbio, CastellřArquato della fanciullezza ritrovata («terra feconda che ha uve amabili e perfino | i salami sono gentili, acque salse e zolle | e colline di rosso e di oro»), Alberto Bellocchio ha saputo rappresentare anche la verità di dolore, di sconfitta, di speranza, dřillusione e di delusione , di nevrosi e dřansia di libertà che la famiglia aveva racchiuso nel suo seno. Così, ricolmando di vita lřassenza, lřio narrante si svela, non rallenta la spinta narrativa e prosastica, ma la innerva con le ragioni del cuore, per risalire lungo i sentieri di una liricità che accoglie le pieghe della tenerezza, della malinconia, della leggerezza, della fedeltà. Gabriella Palli Baroni Note. (1) Il presente intervento è stato anticipatamente pubblicato su ŖNuovi Argomentiŗ, n.32, Quinta serie, ottobre-dicembre 2005, pp. 348-362 col titolo Libri di famiglia nel paradiso emiliano: da Attilio Bertolucci a Alberto Bellocchio. (2) La Lettera porta la data «Parma, maggio 1938». Pubblicata in «La luna sul Parma», Almanacco per il 1946-47, Tipografia cooperativa «Gazzetta di Parma», 1946, col titolo Per un amico; successivamente in Gli immediati dintorni, il Saggiatore, Milano 1962 e in Gli immediati dintorni primi e secondi, il Saggiatore, Milano 1983, si legge ora in Vittorio Sereni, La tentazione della prosa, a cura di Giulia Raboni, Introduzione di Giovanni Raboni, Mondadori, Milano 1998, pp.9-10. (3) Si rimanda al carteggio: Attilio Bertolucci Vittorio Sereni, Una lunga amicizia.Lettere 1938-1982, a cura di Gabriella Palli Baroni, Prefazione di Giovanni Raboni, Garzanti, Milano 1994. Si ricordano in particolare le lettere del 17 settembre 1971 e del 12 gennaio 1980.

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