Ulisse n.15

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55 al tavolo dove tu lentamente leggevi il tuo gioco nella partita di poker, per ricordare quel giocatore cui toccarono in mano non favorevoli carte. Alla fermata della corriera una vecchia avvolta di nero. Come in posa tra le erbe dellřorto una bambina senza memoria vestita di bianco e di rosa. È la Dora che vola e che torna. Le piace abitare le stanze dellřaria migrare. Su tutte, la voce del Narratore, voce di storyteller, che si segnala come personaggio nella seconda parte, dove la partitura è assai composita, anche musicalmente e stilisticamente, poiché allřinterno di capitoli fondati su monologhi sřinserisce un vero e proprio racconto epistolare. Basti ricordare lřincipit ripetuto della Terra promessa «Lřinizio fu magistrale […] Lřinizio fu magistrale e si è detto»; o le sprezzature rapide che introducono modi popolari, ora conclusivi («riassumendo») ora proverbiali: «Amen»; «Ci siamo»; «È meglio che vada in America!»; «Non si vive dřaria | alla fine!»; « un infarto secco e addio!» «Basta! che giudicare è il mestiere di Dio!»; «la testa sta tutto lì!…in quanto, per sua stessa natura, | la testa si fa pane e vino, e lo moltiplica!»)(25) per coglierne la voce antica (anche anagraficamente se Carolina lo interpella «vecchio»)(26) e nuova nel guidare le vicende, costruire la rappresentazione, animare la scena. Mentre Bertolucci aveva scelto di narrare prevalentemente in terza persona, ricorrendo poche volte a una figura di «annalista», «testimone-cronista» o «copista di giornate», e affidando momenti epifanici e intimi alla prima persona in seguenze virgolettate; Bellocchio, che usa la prima persona nella prima parte e nellřultima, diviene figura autonoma nella seconda e terza, alternando la sua voce a quella dei suoi personaggi che via via porta in primo piano. Così la plurivocalità diviene azione teatrale, rappresentazione, dialogo, improvvisazione e animazione. Si veda come talora il Narratore si ponga proprio come attore («Eccoti qua, Barburin…vieni avanti»), ordisca la trama dei giorni, dia il volto e lřanimo dei suoi comprimari. Ma si veda anche come il Narratore si ritragga quando è lřintimità dellřaltro a dover essere indagata e a dover emergere. Diceva Bassani, scrivendo della scelta del punto di vista, dřaver privilegiato componendo le Cinque storie ferraresi la terza persona, tenendosi «celato tra gli schemi tra patetici e ironici della sintassi e della retorica»(27); aggiungeva tuttavia che potevano affacciarsi «difficoltà anche morali» che impedivano allřautore di penetrare nel cuore del suo personaggio. Allora si doveva abbandonare il realismo affidato alla scelta della terza persona per apparire sulla scena e osar «dire finalmente Ŗioŗ». È quanto Bellocchio confessa quando si avvicina al padre («Comunque in lui non è facile entrare…Ce lo dica lui- allora- dove vuole veramente arrivare»), introducendo uno dei monologhi interiori che costituiscono, con la forma epistolare di cui si è detto, la struttura fondamentale dellřopera. Ma prima o terza persona che sia, alla sua voce di cantastorie è affidato il significato profondo di questa «storia di famiglia», che si rivela passo passo, ma soprattutto negli ultimi capitoli dellřultima parte, Il libro di Dora. Ė qui che si realizza e si scopre la ragione del romanzo e il segno della sua unità narrativa e poetica , che è riscatto e compenso dal trauma filiale di unřesistenza «bloccata», segnata dalla «privazione», divisa tra due mondi dissimili, quello paterno e quello materno, tra il compito di far crescere lřalbero della famiglia di Bruno (si veda il bellissimo L‟albero dei talenti della seconda parte La pietra dei talenti) e la creatività inaridita di Dora, il suo isolarsi e allontanarsi. Ma dopo la malattia dolorosa e la morte del padre, intransigente e costrittivo 55


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