Ulisse n.15

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192 Su Thèrése di Florinda Fusco Nell'attualità porta ad un suo straordinario esito il processo di scrittura poematica di Florinda Fusco, in cui l'autorizzazione del Sé-corpo alla scrittura epica diventa presa di possesso, accesso e dilagazione dello spazio grafico del poema 'in lungo e in largo', abolendo la schiavitù metrica. Abbandonate le categorie canoniche versali del Poema dei Padri, abbandonate le controfigure metriche e/o parodiche di Rosselli-Vicinelli-Lo Russo-Valduga, la forma poema al contempo si disgrega definitivamente rinunciando alla tentazione della canonizzazione patriarchista fra le fila dei Santi Padri e finalmente osando dare corpo testuale alla Santità delle Sante Madri tramite il farsi parola del Sé-corpo femminile a prescindere dal canone poematico maschile. La Santità del corpo-voce-scrittura-immagine della Fusco ha per vessillo un titolo ipertestuale che dichiara implicitamente il modello testuale di riferimento: Thérèse è il nome delle due mistiche scrittrici più feconde, famose e amate dalla tradizione canonica (in questo caso in senso ecclesiastico oltre che letterario, ma è evidente che storicamente le poche donne non analfabete appartenevano alla società ecclesiastica, visto che la secolarità riduceva le donne al rango di mogli o amanti, annullandone la personalità), la Grande Teresa d'Avila e la Piccola Teresa di Lisieux, un Nome, insomma, quello di Thérèse, che copre emblematicamente l'intero arco della spazialità e temporalità po-epica femminile dal punto di vista storiografico della scrittura come autonarrazione (la ricerca del Sé) che precede la recentissima nascita della poesia poematica delle donne, poematica, ovvero svincolata dalla gabbia lirica amorosa di maniera e volta alla ricerca di modelli altri. La sacralità del nuovo modello testuale esalta la ricerca del Sé corpo linguistico nello spazio dilatato della scrittura, dove il bianco lungo e largo che circonda il flusso po-ematico diventa luogo di espansione, appropriazione a abbandono al linguaggio del Sé come corpo poematico, luogo fecondo di dissanguamento e dissipazione dell'antica unità versale fonoritmica del poema classico in un continuo decentramento atono/aritmico/telegrafico di linee (così Fusco definisce i suoi versi) esplose dal Ŗquadratoŗ rosselliano (di cui la stessa Fusco ha trattato criticamente) e dalla compattezza fonoritmica del (dis)sacrato poema Sequenza orante ne la Comèdia del Sé tracciata dalla sottoscritta. Si tratta dunque di tutt'un'altra storia rispetto a presunte matrici neoneoavanguardistiche (di cui già si lamentava Ŕ e a ragione Ŕ Rosselli, ma tant'è, il Gruppo '63 e successori hanno tentato di inglobare noi femmine poematiche nel loro discorso, un'operazione criticamente inaccettabile dal punto di vista storico-letterario, anche se va riconosciuta agli esponenti del Gruppo '63 la bontà di averci benedette autrici). Nelle linee-vettori della esplosione del versificare poematico di Lo Russo (Lo Dittatore Amore. Melologhi in particolare) e di Fusco viene meno la necessità del verso tradizionalmente inteso, che collassando si trasforma in extensions di un Sé corpolinguistico da inventare, un'eroina epica che abbandona la pesantezza (in senso weiliano) dell'Io poematico canonico a favore dell'ŗinvuotamentoŗ (parola usata da Fusco ne La signora con l'ermellino) dell'Io, sostituito dalle tracce trapelanti, flebili e rigogliose al contempo, della grazia (nel senso weiliano del termine) del Sé, piuttosto imparentato, se proprio vogliamo trovare un antecedente fuori dal canone poetico italico, al monologante Not I di Beckett piuttosto che alle scomposizioni teatsuali delle neoavanguardie. Le matrici poematiche femminili di Fusco, piattaforme di lancio testuale per l'inveramento nella sua scrittura del Sé-corpo di linguaggio, sono filosofiche: i nuclei aforistici di Weil e Arendt compaiono nel bianco della pagina come puntelli di sostegno ideale e ideologico; e poetiche: le sue linee sono i vettori che il quadrato armato della Rosselli di Variazioni belliche Ŕ da lei criticamente scassinato Ŕ dirama nello spazio bianco del suo impaginare l'esperienza. Ma non meno presenti alla sua scrittura Ŕ forse solo come adesione al progetto-poema, mi paiono i panegirici della libertà dei libella di Rosselli e della sottoscritta, che hanno dato l'avvio al trangugiamento e rimetabolizzazione delle fonti poematiche canoniche, facendo da apripista a questa scrittura che si è liberata dal versificare in antiche lingue toscane definitivamente archiviando la parodia del colosso patriarchista. 192


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