Pizza e Pasta Italiana - Marzo 2024

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anno XXXV 2024 ma o 03
— Sommario
AZIENDE 6 editoriale di Antonio Puzzi 8 gli eventi del mese a cura della redazione 10 pizza news a cura della redazione 12 prima pagina a cura della redazione La Omnichannel Customer Experience: come essere presenti “ovunque” D.M.J. Vino. Una pessima annata? O forse no di Luciano Cescon 4 pizza e pasta italiana marzo 2024 26 32 14 20 Crisi del personale: è possibile uscirne? di Giampiero Rorato 36 ristorazione domani L’agriturismo del futuro, un settore ristorativo in grande evoluzione di Giampiero Rorato Questione di aff...eeling di Antonio Puzzi Campionato Mondiale Della Pizza p. 18-19 Cerutti Inox p. 67 Conserve Italia p. 73 Cuppone p. 39 Demetra p. 25 Di Marco Corrado Srl p. 57 Fiera Ungheria p. 111 Fiera Di Parigi - Parizza p. 114 Gi Metal p. 35 Ireks Italia p. 81 Lactalis p. 116 La Torrente p. 23 Millberg p. 45 Molino Agugiaro p. 29 Molino Casillo p. 49 Molino Pasini p. 7 Molino Magri p. 3 Molino Naldoni p. 97 Rinaldi Superforni p. 75 Sacar Srl p. 69 Sanfelici Franco p. 115 Scuola Italiana Pizzaioli p. 13 Sori' Italia p. 2 Sitta p. 53 Sunmix Srl p. 77 Tanagrina p. 63 Trinka p. 9 Uni - Tech p. 33 Refrattari Valoriani p. 101 Waico - Italforni p. 11

40

Quale futuro in cucina? A spasso per Las Vegas

di Domenico Maria Jacobone

46

la birra

La birra di “Recupero”

Alfonso Del Forno

prodotti

50

Andar per lattughe di Caterina Vianello

54 prodotti

Quale olio per la mia pizza?

di Massimiliano Bruno Gallo

58

prodotti

Piccola e ragionata guida agli asparagi italiani

di C.V.

64

storie di pizza

Extremis, pizza e amicizia “estreme”

di Giusy Ferraina

70 storie di pasta

L'antico borgo a Grangnano

di Noemi Caracciolo

78 storie di pizza I Quintili a Tor Bella Monaca Storie di ordinaria burocrazia

di Giusy Ferraina

86

I "fuori cottura"

di A.P.

90 salute Stress da alimentazione

di Marisa Cammarano

gluten free

94

Gluten free in pizzeria in 5 semplici mosse

Alfonso Del Forno

98

Il calice racconta

Verso tipicità e festival

di Caterina Orlandi

102

Pineapple on Top L’ananas nel piatto Storia di un sacrilegio

di Sabino Berardino

108

la posta dei lettori

Le Associazioni della Pizza: facciamo chiarezza

a cura della redazione

112

un libro al mese

Marketing e management per le imprese di ristorazione

a cura della redazionei

le aziende informano

5 stagioni p. 93

Scuola Italiana Pizzaioli pp. 13-31

5 sommario

6 pizza e pasta italiana

marzo 2024

SEditoriale

Antonio Puzzi

ono stanco. Direte voi: “e che ce frega?”. Peccato sia questa la risposta che spesso date anche ai vostri collaboratori e dipendenti quando vi chiedono un giorno di permesso o, peggio, di ferie. Sì, perché chi lavora nella ristorazione (e anche chi scrive di pizza, cucina e agroalimentare) parla spesso di “sacrifici” e “rinunce”, di questioni che portano alle separazioni dagli affetti più cari a causa di “disorientamento” e “incomprensioni”. Ma è davvero questo il mondo del cibo che vogliamo costruire? È questo il futuro che crediamo di meritarci?

Vorrei, a tale proposito, raccontarvi una storia: «se mettete una pallina su un piano inclinato, la pallina comincia a scendere e, per quanto impercettibile sia l’inclinazione, inizia a correre e correre sempre più veloce. Fermarla è impossibile. Ma, per fortuna, gli uomini non sono palline: basta un gesto, un’occhiata, una frase qualsiasi a fermare il corso delle cose». Confesso che la storia non è mia ma la narra la voce di Aldo Baglio nel film Chiedimi se sono felice. Sapete come si conclude la scena? Con una triste – ma troppo spesso vera – affermazione di Aldo che ci ricorda che è vero che gli uomini non sono palline ma che spesso non c’è alcuna volontà di fermare la velocità di quella pallina che corre all’impazzata.

So che la mia è una battaglia contro i mulini a vento, perché - in fondo - chi legge questo giornale (ma anche chi lo scrive) fa un mestiere che gli piace e, quindi, trova spesso conforto nel proprio lavoro e le “rinunce”, nella concretezza dei fatti, non sono davvero tali ma concessioni a favore di ciò che amiamo davvero. Così, la nostra “pallina” accelera fino a rendere quasi impossibile riacciuffarla e riacquistare il controllo del suo movimento. In questo numero, però, proviamo a raccontarvi qualche storia che ci ricorda che lavorare in una pizzeria o in un ristorante può ancora essere “umano”, consentendoci anche di trascorrere del tempo insieme a chi non fa lo stesso mestiere, se davvero lo vogliamo. Magari rinunciando a qualche ora di lavoro. E voi lo volete davvero? Che si tratti di un rapporto umano o professionale, sarebbe bello poter credere che non siamo schegge impazzite nell’Universo.

nio

COLOPHON

PIZZA E PASTA ITALIANA

Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

Edito da PIZZA NEW S.p.A.

Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990

Anno XXXV - n.3 marzo 2024 - Repertorio ROC n. 5768

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO

Massimo Puggina Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE

Antonio Puzzi

PUBBLICITÀ

Caterina Orlandi

REDAZIONE

Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO

Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi

— Mediagraf lab

DIGITAL PUBLISHING

Maura Trolese

— Mediagraf lab

IN COPERTINA

illustrazione di Liubov Dronova

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A.

Noventa Padovana (Pd)

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE

Marisa Cammarano, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI

Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).

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LINEA SOFFIO PIZZERIA

QUATTRO GENERAZIONI, 100 ANNI DI STORIA, L’ARTE DELLA FARINA IMPRESSA NEL DNA.

MOLINOPASINI.COM @MOLINO_PASINI MOLINO PASINI
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Gli eventi del mese

3–6

marzo

TIRRENOCT

Carrara, Complesso fieristico 430 aziende in rappresentanza di oltre 900 marchi commerciali nei 30mila metri quadrati coperti del complesso espositivo di Carrara Fiere per promuovere l'ospitalità, la ristorazione, il turismo, attraverso iniziative professionali di vasto interesse, capaci di coinvolgere tutti gli operatori dei rispettivi settori di attività.

7–9

marzo

ENOLIEXPO

Bari, Fiera del Levante

Fiera internazionale di macchinari, tecnologie e servizi per la produzione di olio di oliva e vino.

8–10

marzo

FIERA AGRICOLA

San Marco Evangelista (CE), A1 Expo

Giunta alla quindicesima edizione, Fiera Agricola si pone l'obiettivo di promuovere il comparto con un orientamento speciale verso la valorizzazione del territorio, della qualità della vita e dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici. A tale scopo, la manifestazione si pone come snodo nevralgico per le piccole e medie imprese, favorendone l’accesso ai mercati esteri, sempre più attenti e interessati al Made in Italy di qualità.

10–12

marzo

G.A.T.E. & GUSTO 2024

Foggia, Fiere di Foggia

Alberghi, gelaterie e pasticcerie, settore balneare e villaggi turistici, ristoranti e agriturismi, pizzerie e panetterie, turismo “en plein air”. Questi i settori della nuova edizione di G.A.T.E. & GUSTO a Foggia.

10–13 marzo

RISTOREXPO

Erba (CO), Lariofiere L’evento B2B con oltre 200 aziende che presentano le novità e le tendenze per il fuori casa e 20.000 professionisti del settore Ho.Re.Ca; l’occasione per incontrare e confrontarsi con i più grandi maestri della cucina italiana: un laboratorio di idee dove confrontarsi e far nascere progetti.

14–16

marzo

BMT BORSA

MEDITERRANEA DEL TURISMO

Napoli, mostra d’Oltremare Un’area espositiva di 12.000mq ospita 400 espositori, 10.500 operatori accreditati, 140 buyers di cui molti selezionati dall’Enit specializzati sul prodotto Italia, 370 sellers, 26 destinazioni internazionali, 4 workshop B2B tematici. In contemporanea alla BMT, si svolge anche “Mediterraneo. Wine and food and Travel” in cui le aziende italiane dell’agroalimentare e del turismo incontrano le aziende estere e gli operatori internazionali del settore.

15–17 marzo

LA FIERA DI VITA IN CAMPAGNA

Montichiari (BS) Vita in Campagna è una fortunata rivista dedicata al settore della produzione agroalimentare. La fiera è un appuntamento con centinaia di espositori che rivendono semi, piante, attrezzature e macchinari. I corsi pratici sono protagonisti della Fiera con lezioni teoriche e pratiche dedicate alla coltivazione di orto, giardino e frutteto, alla cura degli animali, alla casa di campagna e alle eccellenze agroalimentari.

17–19 marzo

HORECA EXPOFORUM

Torino, Lingotto Fiere

Evento internazionale dedicato ai professionisti del settore Horeca del Nord-Ovest. Dopo il successo di Gourmet Expoforum, la rassegna diventa Horeca Expoforum per confermare in maniera più accentuata il suo format e il suo pubblico di riferimento.

22–24 marzo

FA’ LA COSA GIUSTA!

Rho (MI), Fieramilano

Più che una fiera, l’inizio di una rivoluzione. Fa’ la cosa giusta! è nata nel 2004 per dimostrare che un’economia sostenibile era possibile. Vent’anni dopo, è diventato uno degli eventi di riferimento in Italia per il mondo green.

22–25 marzo

62A FIERA NAZIONALE DELL’ AGRICOLTURA

Lanciano (CH), Lancianofiera

Più che una fiera, l’inizio di una rivoluzione. Fa’ la cosa giusta! è nata nel 2004 per dimostrare che un’economia sostenibile era possibile. Vent’anni dopo, è diventato uno degli eventi di riferimento in Italia per il mondo green.

Per segnalare i tuoi eventi, scrivi a redazione@pizzaepastaitaliana.it

8 pizza e pasta italiana marzo 2024

Pizza Bit Competition

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Edizione:

I 30 gennaio al via le gare regionali per conquistare il titolo di Pizza Ambassador 2025

Molino Dallagiovanna

Al via la terza edizione di Pizza Bit Competition, la gara per i pizzaioli professionisti ideata da Molino Dallagiovanna in collaborazione col Gambero Rosso, primo gruppo editoriale multimediale in Italia nel settore Wine Travel Food. Ai blocchi di partenza 135 pizzaioli, selezionati tra gli oltre 300 professionisti che da settembre a novembre 2023 hanno fatto richiesta di partecipazione sul sito dell’azienda piacentina. In palio il titolo di “Dallagiovanna Pizza Ambassador 2025”, volto ufficiale del Molino per il settore pizza in Italia e nel mondo.

Anche quest’anno a ospitare la prima delle 9 gare regionali (3 al Nord, 3 al Centro e 3 al Sud) sarà la Campania, dove martedì 30 gennaio presso Me.Pa Alimentari di Pozzuoli (NA) si sfideranno i primi 15 pizzaioli. Le gare regionali continueranno fino a metà maggio per dare, poi, spazio alle 3 semifinali, in programma a luglio sulle spiagge di tre località turistiche (1 del Nord, 1 del Centro e 1 del Sud). Per conoscere il nome del vincitore occorrerà attendere settembre quando si disputerà la finalissima presso la sede di Molino Dallagiovanna a Gragnano Trebbiense (PC) nel corso della Festa dei Granai.

Nelle gare regionali e nelle semifinali passano il turno i 3 pizzaioli che ottengono il punteggio più alto. Il confronto avviene sulla realizzazione della Pizza Classica al Piatto. A valutare i concorrenti è una giuria tecnica composta da esperti del settore, blogger e giornalisti tra cui rappresentanti del Gambero Rosso. I giurati nella loro scheda devono assegnare un punteggio a ricetta dell’impasto, presentazione del piatto finale, assaggio e professionalità del candidato ma anche anche alle doti comunicative dei pizzaioli.

Per maggiori informazioni: https://www.dallagiovanna.it/pizzabitcompetition3

“Anteprima Olio Extravergine di Oliva Dop Umbria”

Si è tenuta lunedì 19 febbraio a Bettona (Pg) la prima giornata dell’Anteprima olio e.v.o. dop Umbria, l’iniziativa giunta alla terza edizione dedicata alla presentazione della nuova annata Dop Umbria, rivolta a giornalisti, chef e operatori di settore che, dopo un intenso programma incentrato sull’assaggio e la conoscenza dell’olio Dop in compagnia di esperti e produttori, prosegue nella giornata di domani, martedì 20 febbraio, con due educational tour alla scoperta dell’Umbria dell’Olio, della biodiversità, dei Siti Unesco e del Perugino.

La prima giornata di Anteprima Dop, evento organizzato dall’Associazione Strada dell’olio e.v.o. Dop Umbria, si è svolta interamente a Bettona (Pg) dove i partecipanti, dopo essere stati accompagnati in una visita guidata al borgo storico e ai frantoi del territorio, si sono ritrovati nella Sala della Pinacoteca comunale, nello storico Palazzo del Podestà, per una grande degustazione con un “Panel test”, sessione di assaggio di Olio e.v.o. Dop Umbria a cura dei capi Panel del Premio Regionale Oro Verde dell’Umbria. A seguire, gli ospiti, hanno preso parte al Banco di assaggio, un’occasione importante di dialogo e confronto con i produttori di olio e.v.o. di qualità, partecipanti al Premio regionale “Oro Verde dell’Umbria” e aderenti al circuito della Strada dell’Olio Dop Umbria.

Nella seconda giornata, l’Anteprima Olio evo Dop Umbria, martedì 20 febbraio - con l’intento di rimarcare il peso del territorio di origine che incide sulla qualità organolettica dell’olio, ma che sta sempre più diventando una chiave di lettura originale per i turisti che visitano i territori di produzione – prosegue con due educational tour all’insegna delle due chiavi di lettura dell’olio e.v.o. e dell’arte del Perugino. Il primo è il tour del Dolce Agogia nell’Umbria dei Colli del Trasimeno dove affianco all’esperienza di pesca turismo con la Cooperativa dei pescatori del lago Trasimeno, ci sarà un particolare focus nei luoghi del Perugino; il secondo itinerario, sempre all’insegna di paesaggio olivato, arte e enogastronomia, è il tour del Moraiolo nell’Umbria dei Colli Assisi – Spoleto e dei siti UNESCO.

PIZZA NEWS 10 pizza e pasta italiana marzo 2024
a cura della redazione

a cura della redazione

Continua l’attività di formazione dei futuri chef da parte di Cattel Spa

L'evoluzione è parte integrante del DNA di CATTEL

SPA, azienda veneta leader nella distribuzione di prodotti food e no-food nel canale Ho.Re.Ca., che fa del continuo rinnovamento il suo modus operandi. Ma, se un’attività funziona e continua a dimostrarsi efficace, perché cambiarla? È così che, anche quest’anno, Cattel ha avviato “Insegnare in cucina”, il riuscitissimo progetto di formazione degli studenti di alcuni istituti alberghieri del nordest d’Italia, sempre articolato in due fasi: una prima parte teorica svoltasi in aula e rivolta ai ragazzi di terza superiore in cui Cattel ha illustrato l’avvincente mondo dell’horeca e, più in particolare, l’attività dell’azienda stessa (tra cui i processi di selezione dei prodotti, di acquisizione degli ordini e di organizzazione logistica a magazzino e in distribuzione), e una parte pratica dedicata ai ragazzi del quarto anno che inizierà il 6 marzo e comprenderà una visita alla sede del leader della distribuzione seguita da una piccola sfida fra studenti, invitati a realizzare e servire un menù (da loro stessi definito in base alla vasta gamma di prodotti distribuiti da Cattel) sotto la supervisione dello Chef Resident di Cattel e docente Mauro Cadamuro, e sottoporlo al giudizio di una giuria di professionisti, che valuteranno la professionalità e creatività dimostrate dai giovani chef. Un’iniziativa fortemente voluta da Cattel che, in questo modo, contribuisce nel suo piccolo alla formazione dei futuri chef e molto apprezzata da insegnanti e in particolare dagli allievi che – grazie al distributore veneto – possono affacciarsi sull’avvincente mondo horeca e avere un assaggio di quello che potrebbe essere il loro futuro. Un progetto formativo e altamente motivante che porta un po’ di “mondo vero” all’interno del mondo spesso troppo chiuso e teorico della scuola.

Lesaffre presenta il programma 2024 della Baking Center™ Academy

Lesaffre Italia, azienda che produce e commercializza lievito fresco, lievito madre e ingredienti per la panificazione artigianale, industriale e domestica rinnova anche quest’anno il suo impegno per la formazione e l’aggiornamento dei professionisti dell’arte bianca con la presentazione del programma 2024 della Baking Center™ Academy.

6 eventi gratuiti nell’arco del 2024, tenuti dal team del Baking Center™ di Sissa Trecasali in provincia di Parma, centro di eccellenza in materia di panificazione e formulazione di nuovi ingredienti. Tutti gli appuntamenti, della durata di una giornata, prevedono una parte teorica e un momento pratico di “mani in pasta” con il coinvolgimento di tutti i partecipanti.  Tanti i temi affrontati in questa seconda edizione, ampliata e rinnovata.

Per prenotare la formazione della Baking Center™ Academy contattare Christophe Carlo, Baking Center™ Manager Lesaffre Italia.

Lesaffre Italia produce e commercializza lievito fresco, lievito madre e ingredienti per la panificazione artigianale, industriale e domestica. Grazie alle tecnologie produttive più innovative e a una logistica organizzata in modo capillare, i prodotti Lesaffre sono distribuiti in tutti i segmenti di mercato e su tutto il territorio nazionale. Da 25 anni nel nostro Paese, Lesaffre Italia fa parte del Gruppo francese, fondato nel 1853 dalla famiglia Lesaffre nel Nord della Francia a Marquette-Lez-Lille. Dopo 170 anni, la famiglia è ancora alla guida dell’azienda, oggi attore mondiale di riferimento nel campo del lievito e degli ingredienti per la panificazione. Lesaffre realizza un fatturato di 2,7 miliardi di euro, ha 11.000 dipendenti di 96 nazionalità e 77 siti produttivi in 50 Paesi.

PRIMA PAGINA 12 pizza e pasta italiana marzo 2024

Questione di aff…eeling

Per Unioncamere, il 2024 sarà l’anno delle pokerie. In un articolo apparso all’alba del nuovo anno sul portale della confederazione camerale si legge, infatti, che tra le 6 attività maggiormente orientate al successo per l’anno in corso ben 4 sono legate al cibo e una lo tocca in via trasversale.

Oltre alle tanto discusse pokè, però, i nuovi imprenditori possono puntare su dark o ghost kitchen per la consegna a domicilio, family bar e chioschi per il sushi.

Numeri in crescita

Il settore food continua, dunque, a essere un pilastro del franchising, con un interesse crescente per specifici trend alimentari e cibi etnici ma, più in generale, le statistiche del franchising 2023 indicano una crescita globale del modello: il rapporto di Business Research Insights stima che la dimensione globale del settore franchising, pari a 1.00797,4 milioni nel 2021, raggiungerà i 1.75955 milioni di dollari entro il 2027. In Europa operano oltre 8.500 brand. Tra questi, i marchi più diffusi sono quelli di aziende americane legate al food, al benessere e alla logistica ma ben l’80% dei brand di maggior successo ha origine proprio in Europa. Secondo recenti sondaggi, a convincere gli investitori sono soprattutto i

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vantaggi derivanti dall’utilizzo di brand affermati e un rischio d’impresa ridotto rispetto a quello di chi apre un’attività partendo da zero. Franchise Direct riporta che il 99% di chi sceglie il franchising supera con successo la fase di startup mentre (dati Creditnews) un’impresa autonoma su due chiude nei primi due anni di vita. In Italia, Assofranchising ha dichiarato un fatturato globale per il 2023 pari a 30,9 miliardi di euro, con un incremento del 7,1% rispetto al 2022.

La tutela giuridica

L’affiliazione / franchising è normata in Italia dalla Legge 129/2004, grazie alla quale si definisce la figura del “franchisor” come chi produce o distribuisce e quella del “franchisee” come il soggetto che beneficia e veicola tali prodotti o servizi. A tale proposito, la norma distingue tre tipologie di franchising

• di distribuzione: il franchisor ha messo a punto delle tecniche e dei metodi commerciali che trasferirà al franchisee

• di servizi: il franchisor vende un pacchetto di conoscenze per la prestazione di servizi, oltre a prodotti collegati, nei

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settori più eterogenei;

• di produzione: il franchisor concede al franchisee il diritto di produrre determinati beni, usufruendo dei propri marchi, dei processi produttivi o della formula per la fabbricazione (manufacturing) o lavorazione (processing), e la possibilità di rivenderli sul mercato secondo le tecniche di vendita dell’affiliante.

Agli antipodi:

le aziende familiari

Se è innegabile la crescita del franchising, è altrettanto vero che un’indagine della Rome Business School resa nota nell’ultimo trimestre del 2023 rileva che le aziende familiari non sono affatto in crisi. Dal punto di vista dei ricavi, infatti, le aziende familiari di piccole dimensioni hanno registrato una crescita del 38,1% tra il 2013 e il 2021. Al contrario, le aziende familiari italiane di grandi dimensioni, che fino al 2019 avevano registrato tassi di crescita dei ricavi superiori a

quelli delle aziende di piccolemedie dimensioni, hanno subito un evidente calo nel 2020, recuperato poi totalmente nel 2021. Attualmente, le aziende familiari in Italia impiegano oltre 3,1 milioni di dipendenti con ricavi per oltre 20 milioni di euro.

Considerazioni

Ciò che emerge dal raffronto di questi dati è che un’azienda di piccole dimensioni, sia essa affiliata a un brand o – viceversa – un progetto individuale, ha maggiori possibilità di affacciarsi con successo sul mercato. Il vero problema della “gestione familiare” sta nell’instaurare rapporti solidi con il personale non afferente alla famiglia che – come vedremo nelle prossime pagine di questo numero – è la grande discriminante di un’azienda di successo.

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Se, dunque, vogliamo davvero costruire il futuro, bisogna farlo partendo dalle persone, con la consapevolezza che il primo passo è non fare tutto da soli ma circondarsi di persone fidate (di ogni età) alle quali assegnare parti importanti del nostro progetto d’impresa e con le quali prepararsi al momento in cui lasceremo il passo a chi avrà maggiori energie. Forse un uovo di Colombo – è vero – ma anche una consapevolezza difficile da ottenere in un mondo che ci chiede performance sempre più elevate e senza soluzione di continuità.

Anche per le multinazionali, infatti, sembra finita l’epoca in cui il personale è considerato solo una casella di bilancio per ottenere manodopera: il sistema di premialità fa ormai capolino in ogni dove. Un dato allarmante che emerge da uno studio realizzato da Bnp Paribas Wealth Management in partnership con Sda Bocconi School of Management è che in Europa solo il 37% dei titolari di un’azienda familiare dichiara di avere un piano di successione solido, documentato e ben comunicato ed è forse questo il motivo per il quale nel 2022 in Italia sono state vendute oltre mille imprese familiari, come commenta Pierre Ramadier, global head of entrepreneurs & families coverage di Bnp Paribas Wealth Management.

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CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 2024

10, 11 APRILE PALAVERDI, PARMA E N J YO T H E XE P E RIEN C E take y o u r placetake y o u r p l eca
9,

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ISCRIZIONI APERTE

!REGOLAMENTO ED ISCRIZIONI: www.campionatomondialedellapizza.it

CONTATTI: info@campionatomondialedellapizza.it

INGRESSO VISITATORI: www.campionatomondialedellapizza.it/evento-2024/visitatori

VUOI PARTECIPARE AL CAMPIONATO COME VISITATORE?

L'ingresso è gratuito previa registrazione

Inquadra il qr e compila il modulo per ricevere il voucher di ingresso.

Mediagraf Lab
Pizza World Championship Campionato Mondiale della Pizza

Crisi del personale: è possibile uscirne?

Il mondo cambia e cambia molto velocemente. Basta parlare con le persone anziane. Quando sono nate, il telefono ancora non esisteva; poi, vennero installati i telefoni pubblici nell’osteria più frequentata al centro dei paesi. E questo solo dopo l’ultima guerra mondiale.

Oggi, con i cellulari di ultima generazione, non solo si telefona ma si fotografa, si mandano messaggi, si leggono i giornali, si conosce in tempo reale quanto avviene nel mondo, si ascolta musica e si fanno molte altre cose. Fra poco non servirà neppure parlare: basterà pensare e il cellulare trasmetterà il messaggio. La ristorazione ha conosciuto la stessa enorme evoluzione? Chi conosce il mondo della ristorazione sa che nella seconda metà del secolo scorso sono nate e si sono sviluppate molte varianti, come la straordinaria diffusione delle pizzerie nel mondo, il progressivo aumento degli agriturismi dove degli agrichef – come oggi amano essere chiamati – servono piatti a base dei prodotti dei loro orti, dei loro campi e della loro aia; e poi ancora le paninoteche, le cicchetterie, ecc.

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Nascita ed evoluzione dei ristoranti

E sorge subito una domanda: si è evoluto anche il rapporto tre le persone che lavorano nel ristorante, cioè tra ristoratori, cuochi, camerieri e clienti?

I moderni ristoranti, come è noto, sono nati prima dei telefoni e, precisamente, sul finire del Settecento, negli anni della Rivoluzione francese (1789-1799), quando molti cuochi di casate nobiliari, rimasti senza lavoro (i loro padroni erano finiti sulla ghigliottina), hanno realizzato in proprio dei luoghi di ristoro per il pubblico, i “restaurants”, che, pian piano sono andati sostituendo le cucine delle “taverne” di antichissima origine.

Cosa è cambiato da allora nell’organizzazione dei ristoranti?

Innanzi tutto si sono enormemente diffusi, soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso; poi, dagli anni della Rivoluzione Francese ad oggi, è cresciuta molto la cultura sia generale che professionale di quanti lavorano nel mondo ristorativo, perché è in costante aumento il numero del personale di cucina e di sala con alle spalle il diploma ottenuto in scuole adeguate e un curriculum professionale arricchito spesso da corsi di specializzazione e da stages anche all’estero in importanti cucine e ristoranti.

E c’è un ulteriore fattore da tener presente. La recente pandemia da Covid ha spinto un buon numero di ristoratori e pizzaioli a chiudere la propria attività, molti altri hanno approfittato del periodo di crisi per restaurare, ammodernare o trasformare il proprio locale; inoltre, con il mutamento dei flussi turistici, si sono decisamente rinnovati anche i ristoranti degli alberghi, tanto che in molte città e località turistiche, e cito per tutte Venezia, i ristoranti degli alberghi hanno superato per qualità generale la normale ristorazione cittadina, conquistando più stelle Michelin dei pur rinomati ristoranti tradizionali. Questa è, per sommi capi, la realtà ristorativa attuale.

Ed oggi – ecco una domanda doverosa - come si trova e come vive il proprio lavoro il personale di questo importante settore?

Questo è un argomento sul quale merita sostare almeno un attimo per una riflessione più seria e approfondita di quanto normalmente si faccia.

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I problemi del personale

Cerchiamo ora di mettere in evidenza alcune problematiche ancora irrisolte, ben note a quanti vivono ed operano nel settore. La stampa specializzata ed anche recenti inchieste ci dicono che molti giovani, ragazze e ragazzi, anche se in possesso del diploma delle Scuole alberghiere, abbandonano dopo qualche anno la professione, preferendo il lavoro in fabbrica. Un buon numero di diplomati sceglie fin da subito altre strade professionali. Non so se ovunque, ma nell’Italia settentrionale, in cui vivo, è così.

Perché se ne vanno?

Molti dirigenti scolastici, psicologi e giornalisti del settore hanno compiuto approfondite indagini e, mettendo il naso dentro ristoranti di città, di paese o stagionali, hanno scoperto che i lavoratori stranieri – cuochi, pizzaioli, camerieri – sono spesso più numerosi degli italiani. Interrogando i giovani che abbandonano il settore si scopre che le cause principali – soprattutto per gli italiani – sono il lavoro nei fine settimana, gli orari molto fluttuanti, le paghe piuttosto basse, l’enorme difficoltà a sviluppare una carriera soddisfacente.

Ci sono dei giovani e delle ragazze che lavorano nei locali delle spiagge che svolgono ogni anno le medesime mansioni dell’anno prima e, a fine stagione, non ricevono un qualche compenso di buonuscita che ritengono ampiamente meritato e, spesso, neppure un grazie, per cui, insoddisfatti dell’esperienza vissuta, scelgono di andare in fabbrica o emigrare all’estero. Dunque, da un punto di vista psicologico, lavorare nella ristorazione per un buon numero di giovani, anche in possesso di un diploma adeguato, non è premiante, non appaga, non dà soddisfazione, per cui ritiene sia meglio andarsene. Il risultato è che soprattutto i giovani, lavorando nel settore, non godono di un giusto “benessere” ma soffrono di un “malessere” psicofisico, non ricompensato neppure da una ricca busta paga.

I locali esemplari

Mi sono soffermato su alcune carenze ben note non solo al personale ma anche ai datori di lavoro, i quali, giustamente, fanno notare le crescenti difficoltà del loro lavoro, a cominciare dagli accresciuti costi di gestione – materie prime, acqua, gas, luce, tasse, affitto. ecc. – per cui devono stringere le spese del personale e quelle per l’acquisto della materia prima, anche se ci sono locali che, per fortunate circostanze, affrontano senza eccessive difficoltà gli accresciuti costi di gestione. In passato, ciò accadeva per i locali stellati, nei quali il costo di un pranzo era abbastanza alto; tuttavia, da un po’ di tempo, anche molti stellati sono in crisi e diversi hanno dovuto chiudere. Tenuto conto dei problemi reali, brevemente accennati, va subito detto che gestioni più facili e quindi più favorevoli al personale si hanno nei ristoranti dei grandi alberghi di diverse catene internazionali, dove la clientela non bada a spese. In questi ristoranti - l’ho visto ad esempio a Venezia dove i grandi alberghi delle catene internazionali sono in aumento - il personale si trova generalmente bene, i turni di lavoro sono precisi, i riposi assicurati, lo straordinario correttamente pagato e, soprattutto non mancano congrue mance della ricca clientela internazionale.

22 pizza e pasta italiana marzo 2024
“Gli tisti della pizza”.

Ogni mese, ci deliziamo con dodici straordinarie creazioni dei nostri “Ar�s� della Pizza”. Per il mese di marzo, abbiamo la gustosa “Fantasia di pomodori” ideata dal talentuoso pizzaiolo Simone Pandolfi. Questa prelibatezza è realizzata con i “Pela� pomodori interi”. Ogni morso di questa pizza è un viaggio sensoriale, la combinazione di ingredien� freschi, croccan� e sapori� che � farà desiderare di assaporarla ancora e ancora. L'armonia dei sapori è irresis�bile, e il contrasto tra i pomodori dolci e il guanciale salato crea un'esperienza unica che non vorrai perdere.

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E, negli altri ristoranti, è possibile garantire al personale un giusto benessere psicofisico?

Certamente sì, ma dipende da come il locale è organizzato e da chi lo dirige. Girando per lavoro, anche in questi ultimi anni ho trovato del personale sorridente, di grande disponibilità e gentilezza, anche in ristoranti turistici stagionali e, soprattutto, nelle pizzerie. Approfondendo, si scopre che chi dirige questi ristoranti – e lo stesso vale per le pizzerie - conosce bene la professione, ha una buona cultura e una intelligente sensibilità, ha capito che mettendo a proprio agio il personale dipendente si ottiene di più, che parlando con serenità con gli operatori si crea un clima positivo, rendendo l’ambiente leggero e il lavoro meno pesante. Dipende da chi dirige che pur facendo sempre rispettare le regole, lo fa col sorriso, senza urlare, senza minacciare ma incoraggiando a far meglio, a evitare errori, quindi educando e non punendo. E magari, a fine estate o a fine inverno nei ristoranti stagionali, e a fine anno o in altra occasione negli altri, dare al dipendente un concreto riconoscimento, come fosse una lauta mancia, per ringraziarlo della disponibilità e della serietà professionale: costa poco e crea amicizia ed è garanzia di un buon rapporto che durerà nel tempo.

Quel dipendente resterà legato al ristorante che considererà come suo e resterà o ci tornerà sempre volentieri. E devo dire che questo clima positivo l’ho trovato più nelle pizzerie, dove il pizzaiolo-titolare lavora più dei dipendenti, dà loro l’esempio e, a fine serata, si ferma con loro, collega tra colleghi. La ricerca di un rapporto ideale fra quanti operano nel mondo della ristorazione richiede per primo una conoscenza delle persone, del loro carattere, delle loro speranze ed ambizioni, sapendo che ogni persona ha dei desideri e immagina per sé una positiva carriera. Capirlo e dedicare del tempo ai dipendenti è fondamentale per realizzare nel ristorante e nella pizzeria un serio e sincero rapporto umano oltre che professionale, il quale, senza minimamente infrangere le regole operative e i legittimi interessi economici, fa apprezzare quel locale anche dai clienti che ci tornano volentieri. Infatti, come ci ricordano le inchieste di settore, dove c’è armonia vera e non solo apparente, tutti stanno bene, perché quanti entrano in un ristorante o in una pizzerie cercano non solo il cibo ma anche un clima di benessere che compensi le fatiche e lo stress del lavoro quotidiano.

24 pizza e pasta italiana marzo 2024

AU TH EN TIC

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Tutti i migliori ingredienti più uno... la nostra autentica passione

Rispetto per la stagionalità delle materie prime, “dalla terra in cucina”, dalla raccolta alle preparazioni sapienti, prodotti gustosi e freschi direttamente nelle tue mani. Un’attenta selezione di pomodori conservati in innovative confezioni: polpa, passata, datterini, ciliegini e pomodori pelati... questo è il segreto di Demetra perchè ogni pizza diventi straordinaria. demetrafood.it

Lezioni di marketing PARTE 1a A

Domenico Maria Jacobone

La Omnichannel Customer Experience: come essere presenti “ovunque”

L’interazione fra cliente e “Brand” (nella più letterale traduzione italiana di marchio o marca) ha un percorso evolutivo cominciato sin dagli albori del commercio, ma le interazioni che il cliente ha con un’azienda non sono più legate solo all’antiquato concetto di “pubblicitàacquisto-consumo-passaparola”. L’evoluzione di questo legame è cresciuta con gli strumenti tecnologici, aumentando e modificando il coinvolgimento del consumer, il cliente che, all’inizio, era un soggetto passivo che “subiva” l’influenza del marchio attraverso la pubblicità.

La crescente disponibilità di tecnologie ha modificato le nostre abitudini d’acquisto fino a renderci consumatori informati e coinvolti nei processi decisionali delle aziende (grazie a indagini condotte sui comportamenti e sulle abitudini di consumo, questionari, focus group, ecc), con un crescendo di stimoli ed interazioni inimmaginabili fino a qualche decennio fa e che oggi sono pilastri di una moderna strategia di marketing.

A proposito di marketing Sempre più spesso sentiamo utilizzare termini ed abbre-

viazioni che hanno a che fare con l’interazione fra cliente e brand: Customer Experience (CX), Customer Journey (CJ), Omnichannel Customer Experience (OCX).

26 pizza e pasta italiana marzo 2024
CURA DI
Cosa significano? Come si possono inserire in un contesto come quello della ristorazione?

Con questo articolo in due puntate, proveremo a dare qualche risposta e qualche spunto di riflessione.

Partiamo però dalle definizioni, per avere basi solide e ben chiare:

Customer experience

La definizione di Customer Experience (CX) che preferisco (tra le tante che si conoscono) è quella di “Oracle” che è tra le prime aziende IT ad avervi dedicato addirittura una divisione aziendale.

“Per Customer Experience (CX) si intende il modo in cui un’azienda interagisce con i propri clienti in ogni fase del processo di acquisto, dal marketing alle vendite al customer service e in ogni passaggio intermedio. In gran parte, è la somma di tutte le interazioni che un cliente ha con il tuo brand.”

Customer journey

Per quanto riguarda la Customer Journey mi avvalgo della definizione dell’Osservatorio “Omnichannel Customer Experience” del Politecnico di Milano:

“La Customer Journey (CJ) è in sostanza il percorso che il cliente compie durante la relazione con un’azienda. Percorso che comprende sia le tappe online che quelle offline. Il Customer Journey, dunque, non è altro che la storia del legame fra il cliente e l’azienda. Una storia che inizia nel momento in cui il cliente cerca un bene o servizio di un’azienda per soddisfare un proprio bisogno, e finisce con l’acquisto.”

Omichannel

customer experience

Proseguo citando ancora l’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano perché è stato tra i primi istituti italiani a raccogliere dati internazionali e nazionali e fornisce ogni anno un report aggiornato ed aperto alla lettura, che invito tutti a seguire per avere spunti ed aggiornamenti.

“L’Omnichannel Customer Experience Management (OCX) si riferisce alla creazione di un’esperienza cliente coesa e integrata su più canali di comunicazione e punti di interazione, al fine di garantire che i clienti ricevano un servi-

27

zio coerente e personalizzato, indipendentemente dal canale utilizzato (es. negozi fisici, siti web, social media o applicazioni mobili). Trasformazioni organizzative, oltre che tecnologiche, sono però fondamentali per riuscire a raggiungere tale obiettivo pienamente.

Con il termine Omnichannel, che in italiano si traduce con Omnicanalità, si intende la gestione sinergica dei diversi punti di contatto (o touchpoint) e canali di interazione per otti-

mizzare l’esperienza che l’azienda offre al cliente finale lungo tutto il Customer Journey.”

Fatta un po’ di chiarezza sulle definizioni e sulle sigle, approcciamo il modo in cui sta cambiando l’interazione fra cliente e ristoratore. Il mondo della ristorazione ha la responsabilità di dover gestire un doppio cambio di paradigma che mette il cliente al centro di un’esperienza d’acquisto ed il prodotto al centro della sua decisionalità di fruizione.

Retail

Nel retail (ovvero la vendita al dettaglio ai consumatori) da più tempo è in atto un cambiamento che pone il cliente al centro dell’attenzione delle aziende produttrici e gli “oggetti” da comprare disponibili in diversi formati e modi d’acquisto, spesso differenziati per canale. Per citare un oggetto che tutti conosciamo, potremmo parlare di un’azienda che ha scritto alcune pagine di storia del marketing e che sicuramente tutti conosciamo: Coca Cola L’iconica bevanda gassata è disponibile in tutti i canali distributivi ed i formati nei quali si può acquistare sono più di venti: Lattine da 150 ml, 330 ml, 250 ml, 330ml vending (per distributori automatici), 500 ml; Bottiglie in PET: 330ml Vending, 450ml, 660 ml, 1L, 1,35L, 1,5L, 1,75L, 2L; Vetro a Perdere 350ml, 330ml, 200ml, 1L, SPINA E PREMIX.

28 pizza e pasta italiana marzo 2024

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Questo significa che un potenziale cliente può acquistare e bere una Coca Cola in qualunque situazione della quotidianità. Si potrebbe ordinare:

• con consegna a domicilio tramite delivery o spesa consegnata a casa da supermercati e negozi online,

• chiesta al banco del bar, in pizzeria, al ristorante,

• in viaggio (dal distributore di carburante al frigo da hotel),

• nei distributori automatici posizionati in azienda, a scuola o in ospedale.

Si può inoltre acquistare al supermercato e sostanzialmente in qualunque altra occasione di consumo possiate immaginare. Ovviamente, si può coprire

una tale mole di opportunità soltanto con un attento studio ed un prodotto “adattato” nel formato e nel prezzo ad ogni specifico canale di vendita, ma con una sola e riconoscibile identità di marca.

In Coca Cola anche la comunicazione è omnichannel e varia dalle affissioni stradali alle app, dal gaming al camion di Babbo Natale che gira a dicembre, oppure via TV, Internet e qualunque social. E tutti i canali hanno una comunicazione dedicata con spot, immagini, post ed interazioni che mettono sempre più al centro la clientela e che vengono personalizzati per ogni singola nazione ed abitudine di consumo.

In Italia c’è stata un’evoluzione facilmente riscontrabile, se andiamo a rivedere gli spot storici che sono passati dall’internazionalità del messaggio “sulle tavole di tutto il mondo” del 1986 al racconto del consumo e delle occasioni di consumo in Italia (1995), a quelle sulla quotidianità di consumo sempre nel nostro Paese di vent’anni dopo (2011-2015), fino a celebrare la produzione nazionale con la campagna pubblicitaria del 2021 intitolata “Italiana di fatto”(che fa perno sugli stabilimenti produttivi dislocati nel nostro Paese).

Immaginate un’occasione di grande visibilità, un evento sportivo, il bar affacciato sul Colosseo, su una stradina di Caracas o su Central Park e troverete un’insegna, una vela, un ombrellone, un ledwall che vi richiama alla presenza del marchio Coca Cola.

Nel mondo della ristorazione, le strategie omnichannel sono già realtà, soprattutto in luoghi dove la commistione di più settori è stata la spinta

ad adattarsi a questo nuovo approccio. Diversi player della distribuzione alimentare hanno proposto format sempre più integrati fra negozio alimentare e gastronomia per evolversi anche in piccola ristorazione. Pensiamo all’esempio di Peck a Milano, o a Eataly come fenomeno internazionale, alle gastronomie con servizio negli ipermercati e a tanti altri esempi, anche di piccole botteghe di quartiere dove si sono incrociati retail e ristorazione (e viceversa).

30 pizza e pasta italiana marzo 2024

Non è un caso che questo format di bottega-ristorante funzioni ed abbia un seguito perché trovarsi in un luogo dove poter consumare o acquistare un prodotto che possiamo fruire a casa o direttamente nel negozio/ristorante è semplice e comodo. In questi contesti, non si acquista una specialità per necessità o convenienza, non c’è un “volantino” ma un’interazione tra personale e cliente che sfrutta sempre più spesso il “sistema” dell’acquisto di impulso, ovvero quello che dà sfogo ad un bisogno sconosciuto, improvviso e “suggerito” che non si aveva o di cui non si era consci prima di entrare nel negozio. Un po’ come accade quotidianamente con caramelle, cioccolatini e snack alla cassa del supermercato.

Continua nel numero di aprile

È TUTTA QUESTIONE DI TEAM

Nella ricerca del personale, sia nei nostri locali a Marina di Massa che in quelli a Montpellier in Francia, utilizziamo principalmente gli annunci e il classico passaparola. Le poche volte che ci siamo rivolti alle agenzie per il lavoro abbiamo avuto scarsi risultati. Per il personale in pizzeria, prediligo chi ha già seguito i corsi di Scuola Italiana Pizzaioli in modo di parlare la stessa lingua.

Una volta trovata la persona che riteniamo più consona a essere inserita nel team, cerchiamo di fidelizzarla al meglio. All’interno delle mie aziende, posso vantare collaborazioni ultradecennali, come quella con Federico, che è passato da essere un metalmeccanico a mio braccio destro in pizzeria, oppure quella con Michael, che ha iniziato come ragazzo delle consegne e, dopo aver attraversato tutti gli step di formazione è diventato un ottimo pizzaiolo. A Montpellier quattro miei collaboratori (Paolo, Alessia, Roberta e Ilaria) sono diventati miei soci. Nella gestione dei rapporti con i dipendenti, cerco sempre di tener conto dell’età dei miei collaboratori. Un ragazzo o una ragazza giovane hanno delle necessità diverse da quelle di un padre o madre di famiglia ed è in questo che il gestore, secondo me, deve riuscire a captare i reali bisogni del proprio collaboratore: perché una persona felice del suo posto di lavoro difficilmente lo cambia. Diverse volte l’anno ci riuniamo in cene aziendali, facciamo visite negli stabilimenti dei nostri fornitori o partecipiamo a concorsi di pizza. Spesso ho l’impressione che tanti miei colleghi siano rimasti agli anni ’80: dobbiamo capire che il mondo è cambiato e non per forza in peggio. Io mi ricordo di stagioni di lavoro di 10/12 ore al giorno senza un giorno libero settimanale. Adesso i ragazzi hanno altre esigenze ed è qui che il gestore deve essere capace di stimolare, motivare, retribuire il giusto e trattare esattamente come si vorrebbe essere trattati. Solo così, secondo me, non avremmo questa carenza di personale e le cosiddette “mele marce” si eliminerebbero da sole.

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VINO

una pessima annata?

forse no?

32 pizza e pasta italiana marzo 2024
O

La produzione mondiale di vino nel 2022 è stimata in 260 milioni di ettolitri e segna un leggero calo dell’1% rispetto al 2021; mentre quella europea è stata di 157 mhl con l’Italia primo produttore mondiale con 50,3 mhl, seguita dalla Francia con 44,2 mhl, dalla Spagna con 33 mhl e dagli Usa con 23,1 mhl.

L’annata produttiva del 2023 ha manifestato parecchie problematiche. Sulla base delle informazioni dell’OIV su 29 Paesi che rappresentano il 94% della produzione globale la produzione mondiale di vino nel 2023 è stimata tra 241,7 e 246,6 mhl e ciò rappresenta un calo del 7% rispetto al volume del 2022 già inferiore alla media.

Si tratterebbe della produzione più bassa dal 1961 (214 mhl), persino inferiore al volume di produzione storicamente ridotto del 2017 (a causa soprattutto delle gelate - 248 mhl). Questo andamento negativo può essere attribuito a cali significativi nei principali Paesi produttori di vino in entrambi gli emisferi. Mentre nell'emisfero australe Australia, Argentina, Cile, Sudafrica e Brasile

sono state registrate variazioni su base annua comprese tra il -10% e il -30%, nell'emisfero boreale Italia, Spagna e Grecia sono i Paesi che hanno sofferto maggiormente le condizioni climatiche avverse durante la stagione di crescita. Solo gli Stati Uniti e alcuni Paesi dell'UE, come Germania, Portogallo e Romania, hanno registrato condizioni climatiche favorevoli che hanno portato a volumi medi o superiori alla media. Ancora una volta, condizioni climatiche estreme - come ad esempio: gelate precoci, forti piogge e siccità - hanno avuto un notevole e significativo impatto sulla produzione del vigneto mondiale; tuttavia, in un contesto in cui il consumo mondiale del vino è in calo e le scorte sono elevate in molte regioni del mondo, la bassa produzione prevista potrebbe portare ad un nuovo equilibrio sul mercato mondiale.

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Con queste premesse, la Francia diviene quest'anno il primo Paese al mondo con una produzione di vino stimata a 45,8 mhl, perfettamente in linea con il livello del 2022 e del 3% al di sopra della media degli ultimi cinque anni. Il raccolto del 2023 può essere considerato ottimo, anche se alcune regioni hanno registrato variazioni negative rispetto al 2022. È il caso della zona di Bordeaux e del SudOvest che hanno sofferto gli attacchi della peronospora, e della Languedoc-Roussillon che è stata colpita da ondate di calore e siccità. Volumi particolarmente elevati sono previsti nel Cognac, nella Corsica e nello Champagne.

Il 2023 è stato un anno complicato per quanto riguarda gli altri due maggiori Paesi produttori dell'UE: infatti l'Italia ha registrato una notevole diminuzione del volume della sua produzione di vino, stimata a 43,9 mhl (-12% rispetto al 2022). Si tratta della produzione più bassa dalla vendemmia storicamente scarsa del 2017.

Molti fattori possono aver contribuito a questa ridotta produzione, in particolare le piogge primaverili che hanno provocato forti attacchi di peronospora (soprattutto nella forma larvata nel mese di luglio) nelle regioni centrali e meridionali; inoltre, una parte del vigneto italiano è stato colpito da alluvioni, grandinate e siccità. La Spagna mantiene la sua posizione di terzo produttore di vino al mondo, con un volume stimato di 30,7 mhl, con un calo del 14% rispetto al 2022 e del 19% rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Questo basso volume del raccolto è la conseguenza di una grave siccità e di temperature estreme che hanno fortemente colpito le vigne ed in particolar modo nella Castilla-La Mancha, la più grande regione produttrice di vino, dove si prevede una diminuzione della produzione superiore al 15% rispetto allo scorso anno.

Per quanto riguarda gli altri principali Paesi produttori di vino dell'UE, si prevedono tassi di crescita positivi in Germania (9,0 mhl, +1% / 2022), Portogallo (7,4 mhl, +8% / 2022) e Romania (4,4 mhl, +1% / 2022). La produzione di vino in Russia è stimata a 4,9 mhl, una cifra in linea con il volume del 2022 e del 9% superiore rispetto all'ultima media quinquennale. Negli Stati Uniti, quarto produttore a livello mondiale, la stima preliminare per la produzione di vino nel 2023 è di 25,2 mhl; tale produzione è superiore del 12% rispetto al 2022 ed è stata favorita dalle temperature fresche e dalle forti piogge invernali nelle regioni della Napa Valley e Sonoma Valley, che hanno portato la necessaria umidità alle viti dopo diversi anni di siccità.

Nell'emisfero meridionale, dove le vendemmie sono terminate nella prima metà del 2023, i dati preliminari sulla produzione di vino tendono a essere più precisi e affidabili in questo periodo dell'anno. Dopo una vendemmia 2021 da record e un relativo calo dei volumi nel 2022, la stima della produzione di vino per il 2023 è di 45 mhl, che rappresenta non solo un calo del 19% rispetto al 2022 ma anche un calo del 18% rispetto all'ultima media quinquennale. Si tratta del livello di produzione più basso registrato dal 2003 e può essere attribuito agli eventi climatici estremi che si sono verificati durante la stagione vegetativa in tutte le principali regioni produttrici di vino. Nel complesso, la produzione di vino dell'Emisfero Sud nel 2023 dovrebbe rappresentare il 19% del totale mondiale. I dati sulla vendemmia in Cina non sono al momento disponibili in quanto le prime stime per l'anno 2023 saranno fornite nel primo semestre di questo nuovo anno.

34 pizza e pasta italiana marzo 2024

Ti svegli la mattina e porti avanti la tua

TRADIZIONE

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LI’AGRITURISMO DEL FUTURO

UN

di Giampiero Rorato 36 pizza e pasta italiana marzo 2024 Ristorazione domani
SETTORE RISTORATIVO IN GRANDE EVOLUZIONE

tempo diffusi in tutta Italia, gli agriturismi hanno iniziato la loro storia in Alto Adige, poi in Toscana, accogliendo turisti, dapprima tedeschi e nordeuropei, desiderosi di trascorrere un periodo di relax nelle case contadine, partecipando con la famiglia ospitante alle attività di campagna e consumando assieme i pasti quotidiani. Dopo gli esordi, è seguita una veloce evoluzione e, mentre alcuni agriturismi sono rimasti fedeli alle origini, altri hanno arricchito l’offerta, mettendo a disposizione degli ospiti cavalli per passeggiate in campagna o biciclette per visitare paesi vicini e luoghi di interesse naturalistico, culturale o artistico. Altri ancora hanno migliorato e ingrandito l’orto, aumentando la produzione di ortaggi, legumi, zucche, erbe aromatiche; hanno riempito l’aia di animali da cortile e allevato più maiali per poter offrire una maggior varietà di piatti a base di materie prime di propria produzione. E, crescendo ancora di nu-

mero, molte aziende agrituristiche sono diventate quasi delle trattorie campagnole sempre affollate nel fine settimana, utili per migliorare l’economia famigliare. Pian piano, in questi anni post-pandemici, anche per gli agriturismi molte cose stanno cambiando e su questo mondo sta soffiando un vento nuovo che ha già fatto giungere a maturazione i primi frutti. Dimentichiamo, dunque, il passato, quasi ovunque ormai lontano ovvero quel dilettantismo che, nella seconda metà del secolo scorso, aveva spinto diversi titolari di aziende agricole a improvvisarsi ristoratori e dove si mangiava anche bene ma che si distinguevano molto poco dalle trattorie di paese. L’agriturismo, già lo sappiamo, è un’attività legata alla terra, a un’azienda agricola gestita dalla stessa famiglia che lavora i campi e che, in questo modo, arrotonda le entrate, spesso magre se l’azienda è piccola. Da un po’ di tempo,

grazie anche all’impegno formativo delle associazioni di categoria e alle esperienze fin qui maturate, si sta rendendo concreto il significato vero del termine “agriturismo”, che è turismo in campagna, sia esso in pianura, in collina o addirittura nelle malghe di montagna ed è un luogo dove di va per godere un po’ di relax e per gustare i prodotti della terra e i piatti lì dove nascono i prodotti impiegati: carne, ortaggi, frutta, vini e, nelle aree vocate, anche olio extravergine d’oliva, funghi e altro. Se è così – e deve esserlo – si capisce subito l’enorme differenza fra l’agriturismo e la ristorazione tradizionale delle trattorie e dei ristoranti. Queste ultime attività, non essendo quasi mai legate alla terra, acquistano la materia prima necessaria dove ritengono opportuno.

L’agriturismo futuro - in un numero crescente di casi già oggi – confeziona e serve piatti con prodotti quasi esclusivamente propri o di colleghi che operano come loro (ad eccezione, è chiaro, di sale, spezie, caffè e poco altro). Nell’agriturismo si hanno quindi piatti realizzati con materie prime dalla filiera corta, controllabile e di sicura qualità. E già questo è un pregio non trascurabile, avendo i clienti la certezza di trovare una cucina realizzata con prodotti locali, buoni, sani, freschi e di stagione. Quindi, la cucina degli agriturismo del futuro – ma, come detto, la si può trovare anche oggi – grazie all’aumentata cultura e serietà professionalità dei titolari è cucina di alta qualità sostanziale perché realizzata con materia prima di qualità da personale che ha studiato e frequentato appositi corsi di qualificazione curati dalle associazioni di categoria.

da
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Ristorazione domani

LA TRADIZIONE

Se la cucina degli agriturismi è legata ai prodotti aziendali o, comunque, di quel preciso territorio, è una cucina spesso uguale o molto simile alla “cucina della nonna” che usava quei medesimi prodotti dell’aia, dell’orto, della stalla e dei campi ed erano prodotti sicuramente bio. La differenza è necessariamente – e chiaramente - solo formale, non sostanziale, poiché oggi si impiegano strumenti per la cottura e la conservazione diversi da quelli che avevano le nonne e gli stessi prodotti possono in qualche caso essere diversi, perché negli orti e nella campagna arrivano di continuo nuovi biotipi e nuove varietà, ma coltivati con la stessa cura della nonna. Nel contempo è pure migliorata la tecnica di cottura, c’è il ripescaggio di piatti dimenticati, la riscoperta di erbe spontanee di campo e di erbe aromatiche, ecc. La cucina dell’agriturismo –quello serio, quello vero – non ha bisogno

IL CONTORNO

Quanto fin qui illustrato non basta per qualificare un serio agriturismo, perché l’evoluzione del settore esige molto altro, a cominciare da una intelligente “location” (questa parola straniera rende bene l’idea) che racconti a chi arriva la campagna d’attorno e che sia un luogo di sobria eleganza e di piacevole godibilità visiva. La casa – solitamente vecchie case contadine dei secoli passati - va sapientemente curata per mostrare a chi arriva il suo aspetto più bello, con abbondanza di fiori e, attorno, alberi da frutta e angoli verdi e ben tenuti dove i più piccoli possono giocare in sicurezza. A volte, e sempre più spesso, ci sono anche animali che piacciono ai bambini, cavalli, asini, anche struzzi, lama, ecc. Molto importante è poi il servizio. Oggi in ogni agriturismo entrano degli stranieri e serve poter accoglierli con almeno qualcuno che parli una o più lingue straniere, soprattutto l’inglese. E il personale di sala deve conoscere bene i piatti che serve, an-

che la loro storia, oggi sempre più richiesta specie dagli stranieri molto attenti a queste cose. Infine, c’è il prezzo. In passato, si andava negli agriturismi per spendere poco e si mangiava di conseguenza: se così non fosse stato, l’azienda sarebbe fallita. Oggi, ma sempre più in futuro, si andrà per mangiare bene le tipicità del territorio, in un luogo caldo e accogliente: quindi, una cucina locale sana e ben realizzata, capace anche di rispondere a sani principi alimentari, aspetto quest’ultimo molto importante. Di conseguenza, il costo di un pranzo o di una cena può essere tranquillamente e giustamente superiore a quello di una normale trattoria.

Ci sono già ovunque in Italia degli ottimi agriturismi; l’augurio è che aumentino, conservando le caratteristiche casalinghe, nel quadro di un proprio serio e moderno progetto gastronomico, senza erroneamente imitare l’altra ristorazione, anche la più buona e la più celebrata.

di tanti piatti (ne ho visti lavorare con un solo ingrediente: l’oca), ma non è né una cucina banale o anonima, né una semplice ripetizione di piatti del passato ma un meditato progetto gastronomico che racconta il territorio, la storia e la cultura alimentare della comunità locale. E lo si capisce subito, perché questa cucina è un fatto culturale che racconta l’evoluzione delle generazioni che hanno abitato e abitano quel luogo, a differenza di un ristorante – specie i cosiddetti stellati - dove l’apparenza può superare la sostanza; dove la cucina, pur eccellente, racconta semmai la bravura o la fantasia di un cuoco, a prescindere dai prodotti, dalla storia, dalla cultura e dalla civiltà del territorio. Non è quindi concorrenziale ai ristoranti e neppure alle pizzerie, oggi i locali in assoluto più diffusi e più frequentati, che hanno una clientela consolidata e in continuo aumento.

38 pizza e pasta italiana marzo 2024
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Quale futuro in cucina?

A SPASSO PER LAS VEGAS

di Domenico Maria Jacobone

Il CES 2024 di Las Vegas non è stato solo un palcoscenico per robot e gadget futuristici, mezzi a guida autonoma e macchine sempre più connesse ed attente ma ha anche offerto un’anteprima allettante delle tecnologie e delle tendenze alimentari che ridefiniranno in maniera sempre più spinta il modo in cui mangiamo.

Dalle cucine intelligenti agli articoli alimentari sostenibili, l’evento ha dipinto un quadro entusiasmante del futuro del cibo e delle esperienze possibili grazie alle nuove tecnologie.

Oltre le bevande: esperienze liquide ed interattività nel servizio automatizzato

Al CES 2024, il confine tra bevanda ed esperienza di degustazione si è fatto ancora più sottile con l’emergere di nuove tendenze e format di consumo. Un chiaro esempio è quello dei “bar multisensoriali” che sono una realtà già presente sul mercato come “The Molecule Project” a Londra. In questo nuovo format, per rendere unica l’esperienza del cliente, si utilizzano diffusori di aromi, bicchieri a temperatura controllata e persino decora-

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zioni e guarniture interamente edibili per creare una nuova esperienza di degustazione di cocktail coinvolgente e multisensoriale, che avvolge e appaga tutti i sensi. Anche in un mondo apparentemente standardizzato, come quello dei distributori automatici, si stanno proponendo nuovi moduli interattivi: al CES sono stati presentati i “chioschi intelligenti” con touchscreen e sistemi di ordinazione cashless e ad attivazione vocale, dedicati anche ai clienti con disabilità. Questo tipo di distributore sta aggiungendo al modulo di acquisto del prodotto, oltre all’interazione vocale, l’intrattenimento tramite gamification. All’esperienza del semplice ordine di cibo e bevande, si innestano nuovi sistemi legati all’intrattenimento e ad aumentare l’engagement e l’interazione del cliente con i marchi presenti nel distributore automatico.

Esperienze culinarie virtuali, ostenibili e connesse

L’incorporazione della realtà virtuale nella sfera culinaria sta facilitando un notevole cambiamento. Immaginate di vivere un viaggio culinario in Italia mentre assaporate un autentico pasto italiano preparato da uno chef locale nel comfort della vostra cucina. Aziende come “Voke Restaurant” esemplificano una tendenza trasformativa che sfuma i confini tra viaggio e ristorazione, offrendo esperienze virtuali coinvolgenti.

Gastronomia sostenibile

Agricoltura verticale: Aziende come “Plenty” stanno sviluppando tecnologie di agricoltura indoor all’avanguardia che promettono prodotti freschi e privi di pesticidi tutto l’anno, indipendentemente dal clima o dalla stagione. Immaginate verdure a foglia raccolte in loco presso i ristoranti, riducendo i trasporti e l’impatto ambientale, oltre che con funzione interattiva e didattica per la clientela. Alternative vegetali: “Beyond Meat” e “JUST Egg” hanno collaborato per un panino per la colazione “Sunrise Scramble”, evidenziando la crescente popolarità delle alternative vegetali. Aspettatevi più opzioni senza carne e ingredienti innovativi a base vegetale o alternative proteiche, come carne coltivata e stampata in 3D. Riduzione degli sprechi alimentari: Aziende come “Apeel Sciences” hanno presentato rivestimenti commestibili che prolungano la durata di conservazione di frutta e verdura, riducendo gli sprechi alimentari.

Molto presto, con la diffusione dei visori AR/VR, i consumatori potranno prendere parte ad avventure culinarie di ispirazione globale senza uscire di casa. Questo nuovo modo di fruire la cucina si allinea perfettamente con la crescente domanda di esperienze a domicilio che offrono cucine internazionali e il comfort di casa propria.

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Frutti di mare a base vegetale: Aziende come “Finless Foods” e “Kulean”a stanno creando tonno, salmone e crostacei a base vegetale, soddisfacendo la crescente popolarità delle alternative ai frutti di mare e affrontando i problemi di sostenibilità.

Nutrizione personalizzata

Analisi del DNA e del microbioma intestinale: Aziende come “DayTwo” e “Nutrigene” offrono piani alimentari personalizzati basati sulla composizione genetica unica e sui batteri intestinali, ottimizzando così la nutrizione per la salute, le prestazioni e la prevenzione delle malattie. Altre innovazioni nel mondo del consumo consapevole sono proposte attraverso il monitoraggio e le raccomandazioni di consumo degli alimenti basati sull’intelligenza artificiale: dispositivi e app intelligenti come “Nutrino” scansionano i pasti e tengono traccia dei nutrienti, offrendo feedback in tempo reale e consigli personalizzati per abitudini alimentari più sane. Altra funzionalità dell’app è il monitoraggio “intelligente” degli alimenti: dispositivi wearable come lo scanner indossabile si collegano ai database degli alimenti, comunicando immediatamente il contenuto nutrizionale dei pasti e creano alert se rilevano allergeni o potenziali interazioni pericolose per la salute del paziente.

Il futuro della vendita al dettaglio di prodotti alimentari

Negozi alimentari automatizzati: i negozi in stile “Amazon Go” continuano ad evolversi, con aziende come “Standard Cognition” che sono pioniere dei supermercati senza cassiere che tengono traccia dei movimenti degli acquirenti e addebitano loro automaticamente gli articoli scelti. Consegna Hyperlocal di cibo: Droni e servizi di consegna robotica sono in aumento, promettendo una consegna rapida di prodotti freschi e pasti pronti da fattorie e ristoranti locali. Cercare maggiori opzioni di interazione diretta fra produttori e consumatori è l’obiettivo per la consegna del futuro di cibo sostenibile e di supporto alla comunità.

Tech-to-table

Le innovazioni Tech-to-table in mostra al CES 2024 di Las Vegas hanno segnato un cambiamento epocale nell’approccio dell’industria alimentare e della ristorazione, con l’ascesa di un trend denominato “rivoluzione dell’automazione culinaria”.

Questa tendenza è guidata dall’integrazione di robotica avanzata e intelligenza artificiale (AI) nel mondo culinario, con implicazioni rivoluzionarie per il modo in cui cuciniamo e mangiamo.

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I Robot Chef ci sgravano dai compiti più noiosi

Protagonista quasi assoluto di questa rivoluzione è Chef Moto di “Moley Robotics”, uno chef robotico dotato di AI. L’impatto strategico di questa tecnologia è potenzialmente rivoluzionario: potrebbe liberare gli chef umani da compiti ripetitivi, consentendo loro di concentrarsi sulla creatività e sull’innovazione,

creando al contempo cucine efficienti, ma senza stress. La vera forza di questi chef robotici basati sull’AI risiede nella precisione impeccabile. Non si limitano a compiti semplici ma possono eseguire processi culinari anche più elaborati, come tagliare le verdure con millimetrica precisione, soffriggere e impiattare i piatti con raffinatezza, ripetendo la stessa routine milioni di volte con un grado di precisione impensabile per un essere umano. Il robot Chef Moto è anche in grado di preparare e cucinare pasti elaborati da zero.

Immaginate ristoranti che impiegano chef robot per una maggiore efficienza e coerenza, offrendo anche piatti personalizzati in base alle preferenze dietetiche ed alle esigenze dei consumer, con un margine di errore vicino allo zero. Un risvolto sociale potrebbe anche essere legato alla cucina senza allergeni fatta in parallelo o a produzioni su larga scala in contesti complessi come la ristorazione ospedaliera.

L’ascesa degli elettrodomestici intelligenti potenziati dall’AI

L’AI sta rimodellando radicalmente il modo in cui interagiamo con gli elettrodomestici, ampliando le loro funzioni tradizionali per offrirci una maggiore comodità nella vita quotidiana. In ambito domestico, la vera rivoluzione sta nell’approccio all’”intelligenza emotiva” negli elettrodomestici: dispositivi come il frigorifero “MoodUP” analizzano lo stato emotivo dell’utente e adattano l’ambiente regolando l’illuminazione e la musica di conseguenza. Questo va oltre la semplice utilità, creando un ambiente armonioso che si integra perfettamente con le nostre attività quotidiane.

Pentole connesse: Aziende come “Brava” hanno presentato elettrodomestici da cucina intelligenti che si collegano al

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telefono, consentendoti di controllare la cucina da remoto e di accedere a ricette personalizzate. Il tutto volto a cercare un’integrazione perfetta tra pentole e dispositivi intelligenti per la massima comodità culinaria anche a distanza: rientrare all’ultimo momento e trovare il pranzo pronto non è più fantascienza! L’automazione “olistica” è l’interpretazione di una visione legata al benessere attraverso l’utilizzo di questi elettrodomestici mira a cambiare radicalmente le nostre vite. La tendenza alle tecnologie attente al benessere si estende ben oltre i frigoriferi: lavastoviglie intelligenti che apprendono le preferenze di pulizia, forni autopulenti e pentole intelligenti che guidano i processi di cottura; tutto questo rappresenta un approccio olistico all’automazione che rivoluzionerà il modo in cui cuciniamo e viviamo le incombenze quotidiane.

Esperienze culinarie virtuali che ridefiniscono la ristorazione

Il CES 2024 ha messo in luce un cambiamento significativo nel modo in cui le persone interagiscono con le esperienze culinarie. La tendenza è verso esperienze virtuali che trascendono la ristorazione tradizionale e offrono viaggi coinvolgenti che espandono i confini del gusto e dell’atmosfera. Un ponte metaforico tra virtuale e fisico: il già citato “Voke Restaurant” è un esempio lampante di questa tendenza.

Il feedback tattile nutre anche i sensi

Segnaliamo infine che una tavola rotonda di esperti di fama mondiale provenienti dal mondo accademico, dalle aziende tecnologiche e dal settore F&B si è riunita per discutere l’influenza trasformativa del feedback tattile nelle esperienze culinarie. La sessione ha evidenziato sia le sfide che le opportunità che si prospettano per lo sviluppo futuro. Sebbene le esperienze tattili di cibo e bevande disponibili in commercio siano ancora limitate, vi è un crescente interesse e una ricerca attiva in questo settore. Un esempio è la ricerca sugli imballaggi tattili di “Nestlé”, che esplora l’utilizzo del feedback tattile per fornire informazioni sulla freschezza, la temperatura e le date di scadenza del prodotto attraverso sottili vibrazioni o consistenze.

Questo ristorante funge da portale verso un mondo virtuale, consentendo agli utenti di trascendere i limiti geografici e immergersi in paesaggi virtuali mentre gustano “analogicamente” la cucina autentica di quei luoghi.
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LA BIRRA

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birra, bevanda

Esploriamo più approfonditamente alcuni esempi che incarnano questa evoluzione nel mondo della birra artigianale.

1) Birra Biova: un progetto piemontese di economia circolare

L'antica pratica di utilizzare il pane avanzato per la produzione di birra è stata rivisitata in modo moderno grazie a un gruppo di giovani imprenditori piemontesi. Questi visionari hanno lanciato il progetto “Birra Biova”, trasformando il pane vecchio in una birra unica, rinominata “Biova” in onore della classica pagnotta piemontese. Il progetto non è nato come un birrificio tradizionale ma come una start-up incentrata sul recupero di alimenti invenduti. Collaborando con panificatori e grandi distributori, Biovaproject ha creato un'efficace sinergia che riduce gli sprechi alimentari e promuove la sostenibilità. La presidente di Biovaproject, Emanuela Barbano, sottolinea l'importanza di posizionare il birrificio vicino al fornitore di pane per garantire una produzione sostenibile dal punto di vista ambientale.

2) PanBirretta:

una golden ale

stile

inglese contro lo spreco

Il Birrificio “Forum Iulii” di Cividale del Friuli ha introdotto un progetto innovativo denominato “PanBirretta”. Questa birra golden ale, con una gradazione alcolica del 4,7%, rappresenta un connubio tra birrificio, produttori di pane, operatori della ristorazione e grande distribuzione. Sostenuto dalla Regione attraverso Agrifood e il marchio "Io sono Friuli Venezia Giulia", “PanBirretta” è parte di un circolo virtuoso per ridurre lo spreco alimentare e valorizzare i prodotti del territorio. Le lattine di “PanBirretta” riportano il marchio "Io sono FVG", simbolo di impegno verso le aziende e i prodotti agroalimentari locali.

3) OTUS Cuor di Pane: helles senza glutine contro gli sprechi

OTUS “Cuor di Pane” si distingue come una birra Helles senza glutine prodotta con pane invenduto recuperato dai produttori originali. Giunta alla ventottesima cotta, questa birra ha contribuito al recupero di oltre 1.500 kg di pane invenduto, equivalente al 15% del malto d'orzo utilizzato nella produzione. Un esempio concreto di come la birra possa diventare un alleato nella lotta contro lo spreco alimentare, “Cuor di Pane” celebra quattro anni di impegno nel ridurre gli sprechi e sensibilizzare sul tema.

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Illustrazioni di Giulia Serafin

LA BIRRA

4) Santa Birra Pane Liquido: sostenibilità sarda in una birra unica

Dal cuore della Sardegna sudoccidentale nasce “Santa Birra Pane Liquido”, un'innovativa birra che si basa sull'economia circolare e il recupero del pane raffermo di Civraxiu. Il birrificio Rubiu, in collaborazione con uno storico panificio locale, ha inaugurato una nuova linea di birre che trasforma il pane tostato in una birra dalla bassa gradazione alcolica. Questa sperimentazione si integra perfettamente nella produzione delle 10 specialità che caratterizzano l'azienda, evidenziando l'impegno verso

5) RecuperAle: Una pale ale solidale

Il birrificio "Vale la pena" di Roma è stato tra i primi a pro durre birre da pane di recupero con la “RecuperAle”, una Pale Ale che racchiude in sé il concetto di recupero sia nel nome che nella produzione. Questa birra, nata dal pane raffermo, è parte di un progetto che coinvolge detenuti ed ex detenuti, offrendo loro un'opportunità di lavoro e di riscatto. In collaborazione con la onlus “Equoevento”, Recu perAle è un esempio tangibile di come la birra possa diven tare uno strumento di reinte grazione sociale, dimostrando

6) Erapane: birra biologica dal cuore veneto

Lo storico panificio “Rizzato” nel Veneto ha lanciato la birra “Erapane”, un prodotto interamente biologico realizzato con pane recuperato dagli eccessi di produzione. Questa birra unisce il malto d'orzo al pane, aggiungendo un tocco di economia circolare al processo birrario. “Erapane” è un esempio pratico di come sia possibile coniugare il gusto della birra artigianale con l'impegno contro lo spreco alimentare. La birra, non essendo pastorizzata, conserva intatte le sue proprietà organolettiche, offrendo un'esperienza di gusto unica.

La birra dal pane di recupero non è solo una tendenza ma una rivoluzione sostenibile nel mondo birrario. Ogni esempio citato riflette l'impegno di birrai, panificatori e comunità nel ridurre gli sprechi alimentari, promuovendo al contempo prodotti unici e di alta qualità. Queste birre non sono solo bevande ma testimonianze di come l'innovazione possa coesistere con la tradizione, creando un futuro birrario più sostenibile e consapevole.

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Andar per lattughe

Accade spesso di dare per scontati i prodotti che consumiamo quotidianamente, magari confondendone il carattere e l’identità o utilizzando in modo scorretto il nome. La lattuga rappresenta un esempio significativo: usata spesso come sinonimo di insalata, accostata a ortaggi che appartengono a tutt’altra famiglia, la pianta verde probabilmente più consumata sulle nostre tavole finisce così per essere considerata una tra le tante verdure a foglia, interscambiabile e anonima. Per restituirle il giusto ruolo e soprattutto per conoscerne le diverse varietà, meglio fare chiarezza. Appartenente alla famiglia delle Asteracee,

la lattuga ( Lactuca sativa ) è una pianta erbacea di cui si consumano le foglie, ricchissime di acqua, vitamine e sali minerali. Chiamarla insalata è sbagliato, commettendo un errore gastronomico e di concetto: la lattuga è un prodotto, mentre l’insalata è una composizione/ preparazione di vegetali misti e che prevede un condimento. Sbagliato anche accostarla a indivia o radicchio - due specie di cicoria - o alla rucola, che è una brassicacea; o ancora al songino, che appartiene alla famiglia delle Valerianacee. Il nome varietale, lactuca , starebbe per “ricca di latte”: caratteristica della pianta è infatti quella di avere molti sac -

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chi lattiginosi (in particolare nel gambo e nelle radici), che secernono una sorta di linfa lattea nel momento in cui vengono tagliati o recisi.

Pur continuando a parlarne al singolare, più corretto sarebbe parlare al plurale di “lattughe”, viste le varietà che si possono suddividere in quattro grandi categorie:

• capitata, con cespo a forma rotonda con foglie di colore chiaro e di consistenza croccante (iceberg e cappuccio);

• longifolia, con cespo allungato con foglie a costa carnosa (romana);

• crispa, cioè lattuga da taglio con foglie ondulate e spesso di colore scuro (lollo e foglia di quercia),

• angustana, con stelo commestibile e foglie di colore chiaro (lattuga asparago). Ulteriore suddivisione è legata al colore, alla grandezza delle foglie (verdi o rosse) e alla loro forma (lisce o ricce). Uno sguardo alle principali varietà rivela un modo assai composito che permette anche di comporre le nostre insalate con più attenzione al gusto, al colore e alla consistenza.

Romana

Se già gli antichi Egizi conoscevano la lattuga, si deve ai romani l’apprezzamento e la valorizzazione della verdura: esaltata da Apicio, Celso e Dioscoride, alla lattuga si riconoscevano molte proprietà. Che poi fosse proprio la Romana, non possiamo dirlo ma è significativo che una delle varietà forse più consumate porti questo nome. Appartenente alla categoria delle longifolie, è croccante e dolce, con cespo lungo e stretto e foglie voluminose e carnose, di colore verde brillante e dai bordi ondulati. Vale la pena di ricordare alcune sottovarietà che differiscono per colore, stagione e consistenza: la Verde degli Ortolani, la Marvel (rosso acceso), la Bianca d’Inverno e la Gigante Bianca e Rossa.

Canasta

Cespo largo e compatto, il cui sviluppo parte da un cuore chiaro e tenero, foglie carnose e consistenti che dal colore verde chiaro-verde biondo, a volte bordate di rosso o vinaccia, diventano più scure man mano che si allontanano dal centro e cespi abbastanza aperti: la canasta è inconfondibile, soprattutto per la consistenza delle foglie che, grazie ad un margine abbondantemente ondulato e molto spesso increspato, hanno una croccantezza assai gradevole. Il sapore è dolce. Tra le sottospecie, merita ricordare la Batavia, dalle foglie più increspate con bordo ondulato, la Ubriacona umbra, tipica del centro Italia e la Meraviglia di Verano.

Cappuccio

Deve il nome al latino “caput”, cioè testa, in relazione alla forma tipicamente rotonda. È voluminosa, tenera, compatta: le foglie, consistenti, possono essere lisce e dal margine regolare o dal margine ondulato e frastagliato, con colore che varia dal

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verde chiaro al verde scuro, in alcuni casi rosso. La più conosciuta tra le sottovarietà è la Trocadero, specie invernale dal colore verde-biondo e intenso, forma tondeggiante e con foglie da lisce a medio-bollose. Sempre invernali sono la Parella, la Meraviglia quattro stagioni, la Bruna e la Meraviglia d’inverno. D’estate, ecco invece Kagraner, Sant’Anna e Regina d’Estate.

Iceberg

Inconfondibile grazie ad una forma rotonda e ad un peso notevole (è ricca di acqua), ha foglie chiare molto larghe, carnose e rugose, dal bordo frangiato, più o meno ondulate ed estremamente croccanti, di colore variabile dal verde medio al verde intenso. Ne esistono almeno tre sottovarietà: Great Lake, Regina dei Ghiacci e Resisto, che ben sopporta le alte temperature.

Lollo

Della varietà crispa, ha cespo aperto e foglie arricciate ai bordi. Il colore varia dal verde scuro, nella Lollo bionda al violaceo, nella Lollo rossa.

Pasqualina

Varietà tipicamente primaverile, è tenera, delicata e di piccola dimensione. Le foglie sono ondulate e frastagliate dal colore che va dal verde pisello al rosso violaceo e sapore molto delicato. È disponibile per pochi mesi all’anno.

Trentina

Tipica dell’Italia settentrionale, è detta non a caso anche Rossa di Trento o Ubriacona di Trento. Si raccoglie dalla primavera all’autunno: è rustica e resistente, con foglie frastagliate, molto croccanti all’assaggio. Ha colore verde-rosso, ideale per i piatti in cui si gioca anche con le note cromatiche.

Gentilina

È una delle varietà più amate. Ha foglie verdi, piccole, dalla forma frastagliata e dalla consistenza croccante. Saporite, arricciate quanto basta per fare solletico al palato e farsi apprezzare, la gentilina è immancabile per comporre una insalata che si rispetti.

Manigotto

Ha forma regolare e compatta, con foglie tonde e larghe, di un bel verde brillante, dalle proprietà diuretiche. La loro consistenza morbida permette di consumare la Manigotto anche cotta.

Foglia di quercia

Un nome che descrive perfettamente la forma delle foglie ondulate di questa varietà, che è morbida e carnosa. Il colore varia dal verde brillante al rossiccio. Il sapore è vagamente tostato e ricorda la frutta secca.

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Quale olio per la mia pizza?

A crudo o a cotto? Un cucchiaio può bastare oppure si può abbondare? Se pizzica in gola vuol dire che è buono?

Ecco una piccola guida per accompagnarvi nelle nostre scelte.

Perché si chiama “extravergine”?

Un olio di oliva viene definito “extravergine” quando rispetta 26 parametri analitici e supera un panel di assaggio ufficiale. Tra i parametri più importanti, è bene citare quello legato all’acidità, che non deve mai essere superiore a 0,8g. di acido oleico su 100g. di prodotto.

Come si degusta un olio?

Come per tutti gli alimenti, anche l’olio ha le sue fasi riconosciute per poter essere valutato al meglio.

La fase visiva

Il colore dell’olio non stabilisce la sua qualità, strano vero?! Eppure, è così. Un olio può avere un colore bellissimo, acceso, intenso ed essere comunque non di qualità. Può però essere piacevole, quando descrivete un olio, identificarne il colore; del resto, anche l’occhio vuole la sua parte.

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di Massimiliano Bruno Gallo
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La fase olfattiva

Immaginiamo di avere il nostro olio da degustare in un bicchierino: la prima cosa da fare è riscaldarlo, con un movimento circolare delle mani intorno al bicchiere. Quando il calore del palmo della nostra mano avrà raggiunto la stessa temperatura del fondo del bicchiere, allora l’olio si troverà intorno ai 22°24°, la temperatura perfetta per l’assaggio. La prima cosa da valutare è il “fruttato di oliva”, ovvero i profumi che percepiamo immediatamente al naso e che possono essere divisi in:

• Fruttato di oliva verde, che ricorda profumi di erba appena sfalciata, foglia di pomodoro, mela verde, vegetale selvatico (etc).

• Fruttato di oliva maturo, che ricorda profumi di mandorla dolce, frutti rossi, bacca di pomodoro (etc). Subito dopo va valutata “l’intensità del fruttato”, quindi quanto è intenso l’odore che sentiamo. In questo caso, l’intensità del fruttato può essere: leggero, medio o intenso. Non esiste una vera tecnica per valutare

l’intensità, se non quella del confronto tra i vari oli che si assaggiano: solo così si potranno fare i giusti paragoni e valutare correttamente questo aspetto. In ultimo, dopo aver diviso gli odori nella classe del fruttato verde o maturo, vanno valutati i singoli odori. Per non fare confusione, prima si procede dividendo gli odori in gruppi o famiglie (ad esempio, odore di frutta acerba), successivamente si elencano i vari odori (odore di banana e di mela).

Nell’olio extravergine di oliva possono essere presenti più di cento odori diversi, un vero e proprio “profumo alimentare” che lascia spazio a sensazioni particolari e inusuali, da scoprire con pazienza e curiosità.

La fase gusto-olfattiva

L’ultima fase è quella “gustoolfattiva”, ovvero vanno valutate sia l’intensità del dolce, dell’amaro e del piccante,

stabilendo un punteggio da 1 a 5, sia la corrispondenza degli aromi con gli odori sentiti precedentemente. Nel caso dell’olio (e solo in questo caso), il gusto dolce viene valutato non come la presenza di zucchero all’interno dell’alimento ma come l’assenza dell’amaro e del piccante. Se ad un olio assegno un punteggio di “amaro 4 e piccante 4”, non potrò valutare il dolce 4 ma 1 o 1,5. Viceversa, se ad un olio assegno un punteggio di “dolce 5” non potrò dare all’amaro e al piccante il punteggio di 3, ma di 0,5 o 1. In base alle varie zone specifiche della lingua, percepiremo con intensità diverse i vari gusti esistenti. Il dolce, ad esempio, è percepito sulla punta della lingua; infatti, è quello che avvertiamo per primo. L’amaro invece nella parte finale; infatti, è quello che avvertiamo per ultimo. Il piccante, invece, non è un gusto ma una sensazione che, per usare un termine di più immediata comprensione, possiamo definire come un’irritazione delle papille gustative. Contestualmente alla valutazione del gusto va fatta anche la valutazione degli aromi percepiti in bocca.

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Quello che dobbiamo valutare in un olio è se c’è corrispondenza tra gli odori e gli aromi; in questo caso, l’olio viene definito coerente; oppure, se avvertiamo degli aromi diversi rispetto agli odori, in questo caso dobbiamo semplicemente scrivere sulla nostra scheda di assaggio quale percezione nuova abbiamo avvertito.

Come abbino il giusto olio alla pizza?

Stabilire delle regole che funzionino sempre è quasi impossibile: ogni pizza ha il suo olio perfetto da abbinare; quindi, solo con la conoscenza e diverse prove potremo trovare l’abbinamento perfetto. Certo è che quando un olio extra vergine è di qualità, tutto diventa più semplice ma esistono delle tecniche di abbinamento che sono fondamentali per abbinare perfettamente un olio alla nostra pizza.

La tecnica dell’accostamento

Immaginiamo di avere una pizza con base mozzarella, confettura di fichi del Cilento e pancetta arrotolata di suino di Cinta Senese. La tecnica dell’accostamento suggerisce di abbinare a questa pizza un olio con caratteristiche gustative simili rispetto alla pizza, quindi con un dolce intenso ma con amaro e piccante delicati.

La tecnica del completamento

Immaginiamo di avere una pizza con alla base crema di zucca mantovana, stracchino e tartare di Vitello. La tecnica del completamento suggerisce di abbinare a questa pizza un olio con caratteristiche gustative diverse rispetto alla pizza, quindi un olio poco dolce ma con amaro e

piccante decisi. Questo vuol dire che posso abbinare qualsiasi olio a qualsiasi pizza? Assolutamente no! E un buon parametro per sapere se il mio abbinamento può essere vincente è quello di paragonare l’intensità gusto-olfattiva della pizza a quella del mio olio evo: se ho una pizza con ingredienti decisi e un gusto molto intenso, non potrò abbinare un olio con fruttato leggero e poca complessità olfattiva ma abbinerò un olio con un fruttato intenso e un bouquet di odori ampio. Allo stesso modo, se preparo una pizza molto delicata con una tartare di pesce, sarà meglio utilizzare un olio con fruttato leggero che accompagni gli ingredienti della pizza e non li sovrasti.

L’abbinamento, così come l’amore, è un’esaltazione armonica e, come tale, non sovrasta ma accompagna, aggiunge, migliora.

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Piccola e ragionata guida agli asparagi italiani

Sostavo rapito davanti agli asparagi, aspersi d’oltremare e di rosa, e il cui gambo, delicatamente spruzzettato di viola e d’azzurro, declina insensibilmente fino al piede – pur ancora sudicio del terriccio del campo – in iridescenze che non sono terrene.

Mi sembrava che quelle sfumature celesti palesassero le deliziose creature che s’eran divertite a prender forma di ortaggi e che (…) lasciassero vedere in quei colori nascenti d’aurora, in quegli abbozzi d’arcobaleno, in quell’estinzione di sete azzurre, l’essenza preziosa.

(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

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Primavera, tempo di asparagi: i turioni escono dal terreno, le foglioline a scaglie formano una specie di corolla e in cucina si è già pronti a cucinare. Pianta erbacea perenne, l’asparago fu inizialmente coltivato in Egitto, dove cresceva spontaneamente lungo il delta del Nilo. A Roma, la coltivazione è documentata nel II sec a.C. attraverso i testi di Plinio e Catone, che riferiscono di un apprezzamento notevole e che già ne sottolineano la capacità di lenire lo stomaco e le proprietà diuretiche e depurative. Queste stesse virtù fanno sì che, dal Medioevo in poi (grazie agli Arabi), la presenza dell’asparago sulla tavola (nobile) sia una costante. Molte sono le ricette che lo vedono protagonista, non poi così diverse da quelle contemporanee. Da Galeno a Savonarola a Platina, l’asparago è frequentemente consumato lesso, condito con olio e garum prima, o aceto poi. Oggi, grazie a tecniche di cucina via via più raffinate ed evoluzioni di gusto, l’asparago è meglio valorizzato andando oltre il tradizionale abbinamento con le uova, arrivando a vellutate, risotti, paste, ripieni, pasticci, gratin e giocando con consistenze che ne esaltano morbidezza o croccantezza. Le varietà di asparago sono moltissime, oltre 200: una prima distinzione si basa sulla differenza cromatica a sua volta legata all’esposizione alla luce del sole, che ha conseguenze anche sul sapore. Ecco allora asparagi verdi, bianchi e color violetto. Quello verde è il più diffuso: germoglia alla luce del sole, come quello violetto, dal quale si differenzia per il sapore meno marcato e meno amarognolo. Il violetto ha sapore più deciso e amaro mentre la varietà bianca è quella più delicata, completamente ricoperta di terra in fase di coltivazione e crescita.

Asparago bianco di Bassano

Risale al 1600 questa Dop vicentina, riconosciuta dal 2007. La tipica colorazione bianca è ottenuta evitando l’esposizione alla luce solare, coltivando i turioni sotto terra e ricoprendoli da teli scuri. La forma è inconfondibile: allungata, dritta, con apice serrato. Il gusto è delicato, dolce, morbido, e la consistenza è priva di fibrosità.

Asparago bianco di Cimadolmo

Igp trevigiana dal 2002, è coltivato in 11 comuni attraversati dal fiume Piave. È simile a quello bassanese, con il quale condivide la protezione dai raggi solari. Ha consistenza quasi burrosa e gradazioni cromatiche madreperlacee della polpa: ha sapore rotondo e delicato.

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Asparago di Badoere

Due le varietà, verde e bianca, per un altro grande veneto: l’asparago di Badoere. Igp dal 2010, è coltivato nella zona compresa tra i fiumi Sile, Dese e Zero, comprendendo le province di Treviso, Padova e Venezia. Affermatosi nel secondo dopoguerra, vanta la mostra più antica, che risale al 1968. La versione bianca è dolce, non salata, tenera, priva di fibrosità e con un aroma lieve di legumi freschi. L’amaro è appena percepibile. Il verde è dolce, dal sapore marcato, non amaro, tenero, privo di fibrosità dall’aroma fruttato ed erbaceo. subito dalle altre per essere di qualità notevolmente migliore e senza semi.

Asparago violetto di Albenga

È l’unica varietà a possedere 40 cromosomi anziché 20, caratteristica che ne impedisce l’ibridazione con altre specie. Bene da un lato, mantenendo la purezza, un po’ meno dall’altro, venendo minacciata la sopravvivenza (non a caso è Presidio Slow Food). Viene coltivato sui terreni della piana di Albenga, in provincia di Savona, in un’area di meno di 10 ettari, su suoli sabbiosi e limosi e raccolto a mano. Ha consistenza morbida e gusto dolce e burroso, qualità che lo rendono molto pregiato, ma anche estremamente delicato.

Asparago verde di Altedo

Marchio Igp per questa varietà emiliana coltivata nella provincia di Ferrara e in parte di quella di Bologna, a nord della via Emilia: si devono infatti a terreni di tipo sabbioso e sabbioso-argilloso il colore ed il sapore decisamente più intensi rispetto ad altre varietà. Ha consistenza tenera e gusto dolciastro ma ben definito.

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Asparago rosa di Mezzago

La tradizione della coltivazione sul territorio mezzaghese risale ai primi decenni del secolo scorso ed ha vissuto il proprio periodo d’oro negli anni ’30. De.Co della provincia di Monza e Brianza, ha gambo bianchissimo e punta di un rosa delicato. Ancora una volta è una combinazione tra terreno, argilloso e con minerali ferrosi, e raccolta, che avviene dopo una limitatissima esposizione al sole, a dare la colorazione tipica al prodotto. Ha gusto delicato.

Asparago di Cantello

Eccellenza orticola di Varese, marchio Igp dal 2016, viene coltivato sin dall’800 su terreni sabbiosi che vengono coperti da teli neri tolti solo al momento della raccolta. Colore bianco, ha profumo intenso e delicato allo stesso tempo, e sapore dolce, con un retrogusto solo leggermente amaro.

Asparago montine©

L’asparago verde amaro Montine si coltiva da secoli sulla sottile striscia di terra che si trova tra il mare e la laguna nord di Venezia, dalla foce del Sile fino a Punta Sabbioni, in un’area che comprende le isole di Treporti, Lio Piccolo e Mesole. Clima mite, brezza e terra marina permettono una produzione dalle notevoli caratteristiche organolettiche. Appartiene alla varietà “Asparagus maritimus” - la forma spontanea più diffusa nei litorali adriatici - e quello coltivato deriva da un incrocio tra quello selvatico e quello più comune. Ha gusto amarotico e tono rustico. I turioni hanno color verde intenso con sfumature violacee, e si consumano crudi in insalate ma soprattutto lessati, in minestre, zuppe o creme.

Asparago rosa di Nogaredo al Torre©

Eccellenza friulana inserita da Slow Food nell’Arca del Gusto, questo asparago è coltivato sin dal dopoguerra e, fino agli anni ’80, ha visto un progressivo abbandono a favore di altre produzioni. Frutto probabilmente di incrocio tra una varietà selvatica e una francese, introdotta a suo tempo dalle truppe napoleoniche, è più sottile degli altri asparagi e, una volta emerso dal terreno, ha un colore verde tenue sul gambo, tendente al rosa sulla punta.

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Asparago bianco di Zambana

De.Co del Trentino, si coltiva sin da inizio Ottocento. Chiede terreni sabbiosi e la peculiarità è che il colore varia a seconda del momento della raccolta: bianco, se la testa non fuoriesce dal terreno, o rosa, blu e violetto a seconda dell’esposizione alla luce del sole. Se lasciato maturare, diventa verde. Di conseguenza anche il sapore cambia: più delicato se non esposto alla luce, più marcato ed erbaceo se a contatto con l’esposizione solare.

Impossibile non citare gli asparagi selvatici, i più ruspanti della famiglia: sottili, lunghi e amarognoli danno una spinta in più ai piatti.

Condividono con gli asparagi la stagione primaverile, gli agretti: noti anche come barba di frate, lischi, roscano o miniscordi, appartengono alla famiglia delle

Chenopodiaceae e il loro luogo d’origine è il bacino Mediterraneo, in particolare le zone costiere e sabbiose. Noti sin dall’antichità - Egizi e Fenici li utilizzavano come erba aromatica o medicamentosa e, più tardi, i monaci li coltivavano negli orti di abbazie e monasteri – sono lunghi, filiformi, carnosi e dal colore verde intenso. Ricordano, per consistenza e sapore, la salicornia, le cui foglie si presentano corte e dalla straordinaria capacità di trattenere l’acqua. Dopo la raccolta, i mazzetti scoprono il colore rossiccio alla base vicino alle radici. Hanno una consistenza croccante e un sapore amaro-acidulo e a tratti pungente, inconfondibile. In cucina, se si consumano crudi o lessati, come contorno a piatti di carne (specie bianche) e di pesce (per lo più sgombro o salmone), sono in grado di rivelare un carattere decisamente versatile. In zuppe, frittate, come farcia di torte salate, tortini o polpettoni o come condimento per la pasta, regalano note diverse e decisamente sapide, declinando la piccantezza oltre il tono già noto del peperoncino.

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PIZZA E AMICIZIA “ESTREME”

marzo 2024

Edoardo Cicchinelli, Giovanni Giglio e Mattia Lattanzi sono tre amici cresciuti tra le cucine dei ristoranti e alcune pizzerie della Capitale, una lunga gavetta alle spalle, percorsi diversi e obiettivi simili.

Quando si incontrano, ognuno con il proprio progetto avviato, arriva l’intuizione di EXTREMIS, che non è solo una pizzeria della zona di Pietralata (a Roma) ma un progetto non convenzionale - estremo per l’appunto – che mette insieme con equilibrio più elementi: pizza contemporanea e cucina alternativa, food design, arte e musica. Più che un luogo dove mangiare, potremmo definirlo un collettore di idee capace di coinvolgere il cliente in una ‘Foodtastic Experience’, come recita il loro claim.

Ciò che li guida in questa visione moderna e originale, estrosa a tratti, è la sperimentazione, un comune denominatore che si vede, si tocca, si assaggia nelle differenti espressioni di Extremis, che ha da

poco compiuto un anno confermando la sua filosofia, o meglio dire rivendicando con orgoglio il suo essere ‘estremo”.

E la pizza è, ovviamente, la protagonista: negli impasti e nelle cotture, c’è la volontà di proporre qualcosa di differente, qualcosa che possa diventare unico e identitario, così come è stato per il Lingotto (ora marchio registrato), diversificazione del supplì, un altro modo di concepire il fritto (che a Roma è un diktat in pizzeria). Stiamo parlando di un parallelepipedo capace di riproporre le ricette della tradizione italiana, super croccante fuori e cremoso dentro: un pezzo di food design, un morso di gusto.

La scelta di pizza e di menu è divertente: si va dai gusti classici ma rivisitati, come

può essere la Margheritissima che regala quel sapore comfort, alla Remake di Crostino d’Agnello, a quelle pizze dove si sente forte la voglia di giocare tra impasti e cucina gourmet e ‘alternativa’. Un esempio? La “Modena Bangkok” (crema di biancone, entrecôte di manzo marinata agli agrumi, stracchino biologico, cipolla rossa di Tropea caramellata, rucola croccante) o la “Triple X” con la formula della tripla cottura: vapore, fritta e forno per un risultato di croccantezza, morbidezza e leggerezza finale. E, in questo sperimentare e provare, abbiamo fatto un po’ di domande a Giovanni Giglio e Mattia Lattanzi, i due con le mani in pasta, per farci spiegare meglio questa loro visione estrema della pizza.

La prima domanda è: come vi siete incontrati e com’è scattata l’idea e/o la necessità di un progetto comune?

"Il progetto "Extremis" nasce circa 8 anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto "Spiazzo". Io e Mattia ancora non avevamo le forze necessarie per aprire un locale ma le nostre idee erano già molto chiare: portare la cucina sulla pizza, mixando la tradizione (la cucina di casa delle nostre nonne) alle nostre esperienze e conoscenze. Nel frattempo, conosciamo Edoardo, che si presenta come partner perfetto, con la nostra stessa visione: ricerca e selezione di prodotti e conoscenza della materia prima con il suo progetto "Ethical Food Selection".

Extremis, un nome che dice molto della vostra visione della pizza e della cucina. Che cos’è per voi essere estremi e in cosa vi sentite estremi?

Per noi essere EXTREMIS significa portare al massimo i sapori della cucina italiana, proporre al nostro pubblico sapori ben precisi, ben definiti e ben pensati, senza nessun compromesso. Spaziamo dalla cucina tradizionale alla cucina più orientale, mescolando tutte le influenze acquisite nel tempo. Stessa cosa per gli impasti. Ci piace sperimentare tecniche e stili di cottura diversi, spaziando dalla napoletana al crumbly (padellino), fino alla nostra “triple x” con tre cotture (al vapore, fritta e al forno). Per questo ci sentiamo estremi”.

Rimanendo nel mood delle visioni estreme, secondo voi la pizza cosa sta diventando e fin dove si può spingere?

La pizza sta diventando (o forse lo è già) parte integrante della ristorazione di alto livello. Ormai parlare di pizzeria è riduttivo: si sperimentano impasti, cotture, tecniche di lavorazione differenti. Si lavora con prefermenti con lievito madre e, nella parte di cucina, si utilizzano tecniche come nell’alta ristorazione spaziando dalle basse temperature, alle cotture confit, alle affumicature fino ai vari tipi di marinature. Oggi per noi la parola "pizzeria" ha un valore diverso.

storie di pizza

Parliamo ora della vostra pizza, vi sentite più classici o più creativi?

Che tipo di impasto e che tipo di topping prediligete?

Non possiamo di certo definirci una pizzeria classica ma allo stesso tempo abbiamo grande rispetto della tradizione e, nel nostro menu, i grandi classici non possono mancare, non transigendo ovviamente sulla ricerca della materia prima a partire dalle farine, al pomodoro e alla mozzarella. Ma se dovessimo definirci con un aggettivo, questo sarebbe: creativa. Ogni giorno amiamo sperimentare un nuovo prodotto.

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Insieme verso la qualità

storie di pizza

Che spazio date al vegetale e quanto è importante nel concetto di pizza odierno?

Nella nostra pizzeria non manca la proposta vegetale, sia negli antipasti che nelle pizze. È sempre più frequente la richiesta di prodotti vegetariani e vegani e, anche nelle proposte che offriamo, richiamiamo sempre la tradizione, dalla più classica alla più estrema. Nel nuovo menu, abbiamo ad esempio la "ragù bugiardo", una pizza vegetariana golosissima che va ad esaltare al massimo gli odori tanto usati nella cucina italiana (sedano, carota e cipolla) trattandoli come fossero carne, con un risultato sorprendente sulla pizza. Con il vegetale facciamo questo: lo rendiamo interessante e accattivante per tutti, anche per chi è orientato alla carne.

Vi definite anche una pizzeria sostenibile: perché?

Oggi, per noi, dire “sostenibile” è molto importante, perché implica un impegno organizzativo non indifferente che viene ripagato sicuramente in termini di costi di gestione e riduzione degli sprechi (in particolare organici ed energetici). A partire dalla proposta beverage, abbiamo puntato su prodotti biologici e locali, selezionando sin dalle bibite analcoliche prodotti italiani e di nicchia come la MoleCola. I nostri impasti vengono realizzati con farine (OIRZ) del Molino Fagioli (progetto che abbiamo sposato sin dall’inizio in quanto rispecchia a pieno il nostro concetto di sostenibilità).  Per quanto riguarda tutta la parte food, viene fatta una selezione della materia prima accurata. L'80% dei prodotti che utilizziamo arriva da piccole aziende territoriali e non sempre con la disponibilità desiderata. Ecco perché spesso ci capita di cambiare alcune pizze nel menu. Quando un prodotto finisce, è finito; preferiamo sostituirlo piuttosto che acquistare prodotti provenienti da allevamenti intensivi o, nel caso delle verdure, da importazioni. Ovviamente, tutto questo ha un costo sensibilmente più elevato rispetto ad utilizzare prodotti industriali ma riusciamo a essere concorrenziali in termini di qualità/prezzo proprio per l’ottimizzazione dei processi produttivi, di stoccaggio e di minimizzazione degli sprechi.

pizza e pasta italiana 2024

E poi ci sono i vostri “lingotti”, che sono anche un marchio registrato: raccontateci cosa sono e come nasce l’idea.

Lingotti, qui si apre una bellissima parentesi. Sono nati circa 9 anni fa: mentre nasceva la nostra idea di pizzeria, allo stesso tempo sentivamo l’esigenza di proporre un fritto col quale dar voce alle nostre esperienze e al nostro concetto di cucinato ma senza appesantire con ulteriori carboidrati (come per il supplì). La forma è stata sin da subito molto importante; era necessaria una sezione trasversale rettangolare per garantire una temperatura interna del fritto più omogenea possibile, uno stoccaggio ordinato che ottimizzasse gli spazi e una standardizzazione della quantità di ripieno senza l'utilizzo della bilancia per velocizzare i processi di produzione. I primissimi gusti da noi proposti furono: “sformato di patate”, “parmigiana di melanzane”, “broccoli e salsiccia” e “ricotta e ‘nduja”. Ad oggi abbiamo in serbo oltre 40 ricette della cucina italiana che di volta in volta inseriremo in menu. Questo è il nostro antipasto di punta nel locale, dove esprimiamo a pieno la nostra cucina e i nostri ricordi. Per noi, il lingotto è stato ed è il supplì del futuro.

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L’ANTICO BORGO A GRAGNANO

marzo 2024
di Noemi Caracciolo

Mangiare è bello, ma lo è ancor di più se ciò che si mangia ha la capacità di riportare alla memoria momenti d’infanzia e i sorrisi delle persone care, come la minestra di Natale della nonna o il ragù della domenica.

Ciro Coticelli e sua moglie sono originari di Gragnano e, proprio li, in Via Castello, anni fa hanno aperto l’Hostaria L’Antico Borgo, partendo dall’amore per la loro terra e le antiche ricette di famiglia. È proprio grazie a quelle ricet te, infatti, che la loro cucina si contraddistingue per sapori autentici e genuini, casarecci e soprattutto, a km “zerissimo”.

Ciro com’è nato

l’Antico Borgo?

Mio padre era un pastaio, come tutti a Gragnano e io, per mantenermi gli studi, facevo il cameriere. Non nasco né come cuoco né come pastaio, in realtà mi sono laureato in Scienze motorie e, infatti, facevo anche l’istruttore di ginnastica artistica femminile. A causa di alcune disavventure, tra cui un incidente, ho cambiato strada. Più di 25 anni fa, abbiamo aperto un’attività in famiglia, poi mi son messo da parte e ho preso un locale a Gragnano centro che però, dopo un po’, abbiamo chiuso. Venendo da una famiglia di contadini, c’è sempre stata l’attitudine alla cucina e all’uso dei prodotti della terra, volevamo un locale che rispecchiasse quel tipo di cucina. Dopo vari tentativi, abbiamo trovato il posto dove siamo ora: non è facile arrivarci essendo in un borgo, ma è bello che le persone ci vengano proprio appositamente. La nostra è una cucina paesana e genuina ma non basta dirlo: bisogna anche saperlo fare.

A te chi ha insegnato a cucinare?

Mia nonna, mia madre, le zie. È una cosa di famiglia. Ho anche sfruttato le situazioni extra però, nel senso che quando facevo il cameriere e scendevo giù in cucina osservavo tutto. All’inizio, non sapendo che ogni formato di pasta avesse un tempo di cottura diverso, i paccheri li facevo crudi e gli spaghetti scotti! Oggi, comunque, io seguo più la parte amministrativa e ho lasciato il timone a mia moglie. Lei viene dalla scuola della mamma, molto contadina. Pensa: da lei andavano a chiedere come si facessero la giardiniera e i pomodori in barattolo.

Diciamo che ci siamo improvvisati, ma lo facciamo sempre e da sempre con passione.

So che usate tutti prodotti a km

“zerissimo”...

Abbiamo tanta terra messa a coltivazione, siamo da sempre abituati a mangiare proprio così, con i prodotti che la campagna ci offre stagionalmente. Poi abbiamo un orto di fianco al ristorante. Così com’eravamo abi -

tuati, abbiamo riportato nella nostra cucina. Grazie a questo, non soffriamo neppure la concorrenza: da noi trovi più o meno sempre il piatto del giorno. Certo, abbiamo un menù ma la realtà è che capita di avere richieste che non soddisfiamo, proprio perché “fuori tempo”. Non è stato facile trasmettere questo nostro modo di fare ma oggi i clienti apprez zano molto.

Anche la “minestra maritata”, per esempio, io la faccio a Natale e Capodanno di solito ma capita che i clienti mi dicano: “io non posso venire a Natale, me la puoi fare?” e io gli rispondo di no, che gliela preparo e se la portano a casa in un contenitore nel periodo di Natale. Se non è tempo di quel prodotto, non lo faccio, altrimenti i sapori non sono gli stessi.

So anche che non solo gestite l’orto in prima persona ma avete anche un tipo di

aiuto

molto particolare…

Innanzitutto, qui al ristorante ognuno di noi può sostituire l’altro, nel senso che se io non posso preparare e infornare il pane, può farlo tranquillamente mia moglie, così come, se lei non può fare i dolci, allora li preparo io. Poi, ci sono le zie che, se magari hanno dei broccoli in più, li puliscono, li sistemano e ce li danno già pronti all’uso. Ad agosto, quando siamo in piena attività, la giardiniera la fanno spesso le zie di 84 o 85 anni che, se non gliela porti, si arrabbiano pure! Sono quelle da cui abbiamo imparato e la mia fortuna è

Insomma, fate il pane, i sughi, le verdure, l’olio: cos’è che non producete

home made?

Il fior di latte, la carne rossa, anche se comunque siamo molto affezionati al territorio e ai suoi prodotti.

Facciamo anche i liquori. La procedura tanto è sempre la stessa, bisogna solo valutare il frutto. Adesso, per esempio ho fatto il mirtillo e non ho messo zucchero, perché il frutto è bello dolce. Il nocino lo facciamo con una ricetta antichissima: abbiamo la fortuna di avere lo zio che va ancora in montagna a prendere i ciuffetti di erbe che servono per prepararlo. Poi magari qualche scatolame e il mais, quando non è periodo di pannocchie… giusto per fare un’insalata, altrimenti ci facciamo anche quello! La nostra politica comunque è quella di fare quando è il momento giusto, non conserviamo nulla per più di 48 ore. Sono convinto che i cibi siano buoni si, ma che si alterino i sapori. La genovese, ad esempio, la faccio un giorno si e uno no. Se mi conviene? Non lo so, ma so per certo che è meraviglioso entrare nel locale e sentirne il profumo. Solo a sentire quello, già si vende.

Si, confermo! Ricordo di aver mangiato del buonissimo prosciutto sott’olio, mi ha ricordato i barattoloni che preparavano i miei nonni e dei bei momenti.

Prima lo mantenevano nella sugna e lo mettevano in cantina in vasi di terracotta. Non sei la prima a dirmi una cosa del genere, anzi, non c’è una persona che si alza dal

tavolo senza dirmi che qualche piatto gli ha rievocato un ricordo. Una volta mi sono emozionato: un cliente mi chiama e mi fa: “avete fatto intossicare a papà perché gli avete fatto ricordare come mammà faceva la minestra”. Quel signore era anziano, emozionato e io

La minestra è un piatto povero, ma è comunque un piatto della memoria per molti. Ecco, noi cerchiamo di far sentire tutti a casa.

Sono soddisfazioni…

Sì. È bello quando prepari gli gnocchi ai bambini, semplici con acqua e farina e i genitori, dopo averli assaggiati, ne chiedono un piatto per sé. Gli gnocchi li fanno tutti e non sono certo una vittoria per me ma considerare che le persone si esaltano quando li mangiano, quello si che è una vittoria. È bellissimo, Anche se non è semplice. Per molte cose (se non per tutte) ci vogliono volontà, tempo e salute. Come per i funghi. Ad esempio, il porcino lo proponiamo quando la montagna lo offre.

Volevo dirti questa cosa: a Gragnano, anni fa, cinque pastifici uscirono dal Consorzio e, per presentare il loro nuovo progetto, vollero fare una degustazione dei formati di pasta per 30 critici gastronomici. Ero coinvolto e coinvolsi anche dei miei amici chef veramente bravissimi di Gragnano che cucinano

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storie di pasta

“gourmet”. Ognuno scelse il proprio formato, lasciando fuori la Mafalda che è il formato più antico di Gragnano. Usarono creme, vellutate, diverse cose. Io venni al locale, preparai una semplice pasta con alici fresche, capperi, olive nere e pomodorino giallo in 5 minuti. Quando la portai all’assaggio, dopo gli ottimi piatti dei miei amici, impiattando con molta semplicità, quel profumo e quella pasta fecero scalpore. Magari non era un piatto casareccio, le alici non le facciamo noi, ma era semplice e la semplicità per me vince sempre. Anche queste sono soddisfazioni.

Stiamo parlando di cucina e tradizioni, ma so che fate anche il panuozzo…

Pizza e panuozzo, solo il sabato. Ci difendiamo bene anche su quello, prima avevo una pizzeria di 500 posti. Anche in questo seguo la stagionalità.

Avete dei dipendenti esterni alla famiglia?

Non si trovano, abbiamo proprio difficoltà. La colpa credo sia dei genitori. Io mi ricordo che, nonostante studiassi, mi divertivo e lavoravo per non mettere in difficoltà i miei genitori, anche per guadagnare 100.000 lire. Oggi noi genitori tendiamo ad accontentare i figli in tutti i modi e non è molto positivo.

Poi non ti dico con che voglia vengono: diven ta difficile anche gestire il rapporto lavorativo. Sono capaci pure di lasciare il piatto caldo sul tavolo per rispondere al telefono e poi stanno sempre con il cellulare in mano a prescindere. Pensa che addirittura a Sorrento non si trova personale. Oggi pensano prima a divertirsi. Ad aiutarci ci sono le mie figlie, hanno 20 anni e stanno imparando. Non so se dopo la scuola vorranno continuare, ma almeno si troveranno ad aver imparato le ricette di famiglia.

Quali piatti preferite preparare?

I primi piatti. Fatti in modo semplice, sono distintivi e meravigliosi. La pasta e patate con la provola, semplicissima, senza pancetta o rucola o altro, non posso mai toglierla dal menù. È richiestissima. Oppure c’è la graffetta calda a fine pasto, senza patate: la facciamo con la ricetta della nonna e la chiedono sempre. A volte i clienti mi chiedono se ce l’abbiamo ancor prima di sedersi! Quando è al culmine della lievitazione, è “proprio nu babbà”! Così come la genovese, fatta solo con carne di primo taglio. Io non uso il muscolo come alcuni dicono si debba fare. Potrebbe capitare di trovare un nervetto nel sugo e non mi piace, io non credo che debba essere per forza unta e grassa. La mia è semplice e alla gente piace tanto.

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Che pasta usate per la genovese?

Gli ziti spezzati o la candela, ma preferisco i primi. Essendo più piccoli e stretti mantengono molto meglio la cottura. Parlare di pasta mi sta molto a cuore.

storie di pasta

Perché non hai seguito la strada di papà?

Premesso che oggi il lavoro è cambiato, quan do lo faceva papà e io, tornando da scuola, mi fermavo da lui, nella sala macchina con tutto quel vapore c’erano 60°. La sua temperatura corporea era talmente alta che durante i giorni della merla stava fuori al balcone a mezze maniche. Oggi è cambiato molto, è uno studio di ragionieri praticamente, i pastifici lavorano tutti benissimo. Almeno è buonissima la pasta di chi segue il discipli nare. Io comunque ho lavorato 15 giorni in un pastificio ma non mi piaceva fare il lavoro meccanizzato.

Hai un formato di pasta preferito?

Il Pacchero sta bene con tutto, ma anche la Casareccia e il Vesuvio di Gragnano. In gene rale la pasta corta.

ragù. Per me ce ne sono di due tipi: uno di maiale e uno di carne rossa.

C’è chi mischia ma io non lo preferisco, penso che si mischino troppo i sapori. La nonna lo faceva di maiale ovviamente. Fai un bel soffritto, con la cotica fai una braciola con prezzemolo e aglio (qualcuno chiede anche i pinoli), prendi la tracchia con l’osso (non la pancetta!), il salsiccione fatto con il prosciutto e la cotica lessata e tritata e soffriggi tutto con la sugna, un po’ di vino rosso per sfumare e aggiungi una bella salsa. Via a “pippiare” (sobbollire lentamente) per almeno 5 o 6 ore. Io accendo il fornello quando vengo al mattino molto presto a infornare il pane. Ho i segni di bruciatura dovuti agli schizzi che escono quando si cuoce, fanno male ma il ragù deve assolutamente “pippiare” il giusto tempo.

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marzo

I QUINTILI

storie di pizza

A TOR BELLA MONACA

STORIE DI ORDINARIA BUROCRAZIA

di Giusy Ferraina

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pizza e pasta italiana marzo 2024

Qualche mese fa vi abbiamo

raccontato la storia de La Vita è Bella , la pizzeria di Antonio della Volpe aperta a Casal di Principe, un simbolo di riscatto sociale ed economico e un esempio di attaccamento e amore profondo per il territorio in cui si vive e si lavora.

Questa storia non è la sola; per fortuna, se ne contano diverse di pizzerie o attività ristorative aperte in periferia o in zone definite poco raccomandate o raccomandabili. Sono sicuramente delle scommesse, avventure nel vero senso della parola, in cui, oltre all’entusiasmo e alla passione, serve una buona dose di coraggio ma, se si vincono, significa che la strada è quella giusta e la pizza è uno dei possibili strumenti di conquista. Ci piace infatti considerare la pizza come un elemento di rinascita, un piatto che piace a tutti, capace di mettere insieme le persone, un prodotto artigianale che è capace di portare valore aggiunto in un posto “dimenticato”, non considerato o spesso abbandonato. La pizza diventa così elemento vivo e vivace, forte e positivo, costruttivo e fattore di crescita. È intorno alla pizza che si crea il progetto di un locale, che

nella mente del pizzaiolo deve far rifiorire un quartiere. È sull’idea di gusto, allegria e condivisione che si gettano le fondamenta di un sistema virtuoso sociale ed economico.

A dicembre 2017, Marco Quintili, pizzaiolo originario di Pignataro Maggiore (Caserta), decide di aprire la sua prima pizzeria nella Capitale e sceglie Tor Bella Monaca, un quartiere che non è proprio nel centro storico di Roma o il più ricco della città. Tutt’altro.

Tor Bella Monaca è una piccola area nella zona est di Roma, oltre il Grande Raccordo Anulare, che si estende su una superficie di 0,77 chilometri quadrati. Questo quartiere, dalla strana forma che ricorda una banana, è abitato da circa 28.000 persone ed è caratterizzato da una alta concentrazione di case popolari. Tor Bella Monaca (o TBM come la si chiama in gergo) è il quartiere con la maggiore incidenza di patrimonio pubblico con ben 5.567 appartamenti su 6.753 del totale cittadino e qui si è perennemente in lotta. Se poi provate a digitare Tor Bella Monaca su Google, si scoprirà anche un mondo di illegalità, spaccio di droga e delinquenza che la porta in auge nella cronaca. Ma ovviamente qui non ci sono solo cose brutte e i progetti di valorizzazione culturale e sociale sono numerosi.

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Per esempio, c’è chi, come Quintili, individua in questa zona il potenziale per un’attività di impatto positivo e anche un trampolino di lancio per la sua professione di pizzaiolo. E non sbaglia, portando senza timore la sua visione di pizza, completamente nuova per gli abitanti di zona. L’obiettivo non facile - come racconta - era quello di portare una buona pizza nella periferia di Roma, qualcosa a cui gli abitanti non erano abituati: se poi il quartiere si chiama TBM allora l’obiettivo avrebbe potuto essere una mission impossible “I Quintili” si trova a Via S. Biagio Platani, 320, zona Due Leoni, praticamente alle spalle di Tor Bella Monaca: 250 mq e 9 saracinesche intorno al perimetro di uno stradone buio, tristemente noto per essere stato teatro di traffici non propriamente legali. Ed è proprio il caso di dire che la pizza ha portato qui luce e speranza. Da quando, infatti, le insegne della pizzeria si sono accese, tutto ciò che il buio nascondeva viene totalmente cancellato e la pizzeria si presenta non solo come luogo di gusto che attira persone ma anche un posto di lavoro. Con il crescente successo, a far vivere cucina e sala ci sono 20 dipendenti e molti di questi vivono proprio a TBM e sempre da qui arrivano anche molti dipendenti degli altri locali aperti negli anni successivi.

“La mia arte bianca è stata come una boccata di ossigeno per i ragazzi di zona e per le loro famiglie; la possibilità non solo dell’intrattenimento ma anche del lavoro sono state alternative per la loro quotidianità prima, per il loro futuro poi”

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racconta il maestro pizzaiolo, che è stato artefice con la sua scelta imprenditoriale di un cambiamento radicale nelle vite di molti, che hanno scelto la via della legalità.

E anche su questo versante la pizza nella sua essenza diventa un motore per il cambiamento, un esempio di legalità. Marco non vuole aprire una piccola pizzeria di quartiere ma vuole portare la grande qualità in periferia, invertendo il classico flusso dalla periferia al centro per fare serata. “I Quintili” si presenta come un ampio locale, con una zona esterna per l’estate che raddoppia gli 80 coperti iniziali e che fin dalle prime settimane comincia ad essere frequentata dagli abitanti di zona del popoloso quartiere e poi da quelli delle zone vicine per via del passaparola. La curiosità è tanta, i coperti si triplicano e il servizio si declina su tre turni. Perché aprire una pizzeria qui non è propriamente un evento quotidiano; se poi la pizza è anche buona, complici le prime recensioni

che cominciano ad arrivare, ecco che le persone curiose di scoprire la pizza firmata da Marco Quintili si spostano da altre zone di Roma e non solo, visto che questa nuova insegna viene subito annoverata tra le migliori del Lazio e della città. Il grande successo arriva appena dopo un anno: “I Quintili” di Tor Bella Monaca diventa la meta dei romani amanti della pizza, curiosi di assaggiare questa contemporanea che Marco chiama “tecnicamente napoletana”. Qui arrivano da ogni parte di Roma, un flusso continuo di persone che riesce a creare movimento, a dare un’altra vita a questi luoghi a cui – va detto con fierezza - la pizza ha regalato una nuova immagine, sicuramente gustosa.

Nel suo progetto infatti la qualità è al primo posto: vera, genuina e senza mezzi termini. Per lui, una buona pizza deve avere un impasto studiato, leggero e digeribile e avere solo ingredienti scelti. Il menu offre una lunga lista di

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fritti che spazia dalle iconiche frittatine ai supplì filanti o alle crocchette; poi, le pizze: da quella più classica alle sue rivisitazioni delle ricette romane, come la carbonara o l’amatriciana in fiamme, fino ad arrivare alle sue combinazioni gourmet con la carta delle speciali. E qui si punta da subito su materie prime di pregio, grazie alla collaborazione di aziende locali e non, fornitori selezionati, divenuti negli anni storici, e finanche l’inserimento di una carta degli oli extravergine, con tutte le etichette disponibili accanto a ogni pizza. E poi un servizio di sala che "faceva" la differenza: cortese, veloce e molto attento. Marco Quintili è riuscito, con grande determinazione, a mettere insieme senza stonature o forzature la genetica del quartiere popolare con la sua concezione moderna di pizzeria; è riuscito a far spostare i romani verso la periferia e soprattutto a far conoscere il suo locale in tutta Italia. Parlando del servizio di sala, abbiamo scritto

volutamente "faceva la differenza" perché questa sede è oggi chiusa per ristrutturazione e, da un anno, vittima delle lungaggini burocratiche, in attesa di un documento. Notizia, questa, di cui si sono occupati anche altre testate romane che hanno cercato di accendere i riflettori su una realtà positiva e necessaria, di cui si aspetta il ritorno. Come conferma il gestore di un bar lì accanto, anche Presidente dell’associazione "Incontro" , in una video intervista online: "Marco era come una luce, una speranza".

Insieme a lui, c’erano 20 famiglie del quartiere a lavorare; molte di queste

adesso vengono assistite da noi, con dei pacchi di cibo che le aiutano ad arrivare a fine mese. Speriamo che questa luce si riaccenda presto.

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I “FUORI COTTURA”

Sono l’incubo dei

pizzaioli, il cruccio dei proprietari, il simbolo della pizza cosiddetta “contemporanea”, il segno distintivo dei creativi. Sono i “fuori cottura”. Ma come sono nati e perché?

Bisogna, come sempre, fare una precisazione: oggi, nel linguaggio comune, per ingredienti “fuori cottura” si intendono sia preparazioni gastronomiche sia prodotti inseriti dopo la fase di cottura della pizza e possono essere prodotti crudi, cotti o addirittura ricette complesse. In origine, però, il “fuori cottura” era quell’ingrediente che proprio non si poteva cuocere e che quindi veniva apposto sulla pizza

direttamente prima di essere servita o addirittura fornito al cliente al tavolo per apporne a suo piacimento. Nella pizza “classica”, dunque, i “fuori cottura” esistevano già e si chiamavano, a mo’ di esempio: prosciutto crudo, speck, salame o salsiccia stagionata ma anche olio extravergine (eventualmente aromatizzato), patate fritte ecc… Due trend gastronomici hanno, però, portato allo sviluppo di questo “second time” della farcitura: il primo è stato la nascita delle guide gastronomiche dedicate alle pizzerie, che hanno reso accessibile al vasto pubblico dei pizzaioli e dei loro utenti quei modi di fare pizza che si allontanavano dalla tradizione più diffusa; il secondo elemento è invece collegato alla diffusione del crudismo, chiaramente non in senso radicale (visto che una pizza cruda non si può mangiare) ma come “tendenza” che ha coinvolto sempre più persone nella volontà di maneggiare il meno possibile le materie prime.

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antistress
Consigli

Così, dal 2013 a oggi, la mania degli “out of cooking” è aumentata e, con essa, la necessità di munirsi di preparazioni sempre più elaborate sul bancone della pizzeria. Oggi, tra i fuori cottura più diffusi nelle pizzerie napoletane si trovano la parmigiana di melanzane e le polpette mentre, spostandosi a Roma e nel centro Italia, non mancano formaggi freschi e salumi; a nord-est, il radicchio la fa da padrone mentre nel nord-ovest su tutti vince la carne cruda, sia essa di fassona, come la battuta o di vitello, come la salsiccia di Bra.

La domanda di fondo non è, dunque, se sia giusto o meno apporre fuori cottura ma come gestirli e come rendersi conto se si sta esagerando. Ecco, dunque, alcuni nostri “tips”:

1.Gestiamo il pass e non sovraccarichiamo il personale.

Da qualche anno, si è diffuso l’inserimento di una nuova figura che resta ferma al pass, ossia al luogo di scambio tra la cucina e la sala, per aggiungere gli ingredienti dopo la cottura. Va sottolineato, però, che non è sufficiente impiegare questa risorsa solo nei momenti di maggiore afflusso, in quanto spesso i “fuori cottura” sono preparazioni che richiedono una buona dose di consapevolezza non solo sulle dosi ma anche sulle modalità di apposizione, soprattutto in quei locali che servono il loro prodotto già tagliato a spicchi. Per questo motivo, investire su questa figura anche nei giorni di minore affluenza consentirà alla stessa di formarsi e di raggiungere una pressoché totale autonomia gestionale che velocizzerà di molto il lavoro.

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2.

Usiamo per più pizze un’unica preparazione “fuori cottura”.

Quando i “fuori cottura” proliferano, si pone il problema dell’annoso rapporto tra il reparto cucina e quello della pizzeria, che spesso viene gestito sulla base di relazioni personali tra i soggetti assegnati a tale uopo. Se questo è vantaggioso dal punto di vista della creazione di un ambiente di lavoro sano, è però altrettanto rischioso perché, qualora i rapporti si incrinassero, nascerebbe il problema sulle preparazioni.

Per questo motivo, è importante ridurre al minimo quei “fuori cottura” che richiedono elaborazioni gastronomiche e magari usare lo stesso ingrediente per più pizze.

3.

Attenzione alle ricette troppo elaborate!

Il sogno di ciascun pizzaiolo è quello di essere considerato uno chef; il sogno di ogni chef è quello che ciascuno faccia il proprio mestiere e a lui/lei sia riservato il ruolo principale all’interno della cucina. Dal canto nostro, noi consigliamo ai pizzaioli di non affidarsi troppo al proprio estro creativo senza avere nozioni specifiche di tecnica di cucina non casalinga o senza avere preso preventivamente accordi con uno chef, al quale va richiesto come gestire i tempi. Se, viceversa, è lo chef ad approdare alla pizzeria dopo la propria esperienza in cucina, è consigliabile che parta con la sperimentazione di ricette più classiche prima di conferire il proprio genio a quel settore.

86 pizza e pasta italiana marzo 2024

In fondo, si sa: anche Picasso, prima di diventare cubista, disegnava quasi alla maniera rinascimentale.

E oggi, una pizzeria senza “fuori cottura”

è possibile?

Secondo noi sì e ci sono davvero validissimi esempi in tal senso. Basti pensare alle numerose pizzerie al taglio che sempre più stanno riservando piacevoli sorprese. Racconto, in tal senso, un’esperienza tra tutte, nata qualche mese fa a Bra, in provincia di

Cuneo: “Croccante”. Noemi e Giuseppe hanno investito in questo piccolo locale nel quale non ci sono fornelli ma solo forni, proprio come i bei panifici di un tempo. Per questo motivo, le loro preparazioni sono tutte apposte prima della fase di cottura della pizza.

La particolarità è che cuociono quasi tutte le varianti di pizza al 90-95% quando le espongono sul banco, eccezion fatta per quelle pizze con ingredienti “freddi” che sono dunque cotte al 100%. In questo modo, alcuni ingredienti che necessitano di una ripassata in forno non si asciugano troppo e la pizza ottiene quell’effetto “crunch” oggi tanto ricercato.

INSOMMA, LA PIZZA È BELLA PERCHÉ

È VARIA. 87

Stress ed alimentazione

a cura della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

88 pizza e pasta italiana marzo 2024
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che un’alimentazione sana ed equilibrata, ricca soprattutto di certi nutrienti, può aiutare il nostro organismo a liberarsi dagli stati di stress ed ansia sia fisici che mentali cui siamo sottoposti ogni giorno.

Uncolloquio di lavoro importante, il datore di lavoro che ci mette sotto pressione, una situazione familiare o sentimentale complicata, ecc. sono, infatti, tutte condizioni che, anche se non ce ne accorgiamo direttamente, possono generare nel nostro corpo uno stato di stress e di ansia. Lo stress cronico può creare uno stato infiammatorio generalizzato, che provoca una serie di risposte nel nostro organismo, tra cui aumento delle citochine proinfiammatorie, invecchiamento e danno cellulare, ipertrofia dell’adipocita (cellula di grasso), sindrome metabolica, alterato

metabolismo lipidico e glucidico, aumento del cortisolo che provoca un accumulo di grasso a livello addominale, ipertensione, insulino-resistenza (non casualmente le persone più stressate sono quelle con un indice di massa corporea più elevato e tendenti all’obesità), disbiosi intestinale con possibile conseguente alterazione dell’umore, incremento dello stress psicologico e ansia (asse intestino-cervello e comunicazione bidirezionale). Una buona dieta può aiutare ad abbassare i livelli di cortisolo nel sangue, cioè l’ormone dello stress, e ad alzare i livelli di serotonina, cioè l’ormone del buon umore. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo stress è uno dei disturbi della salute più diffusi nella popolazione. In Italia, ad esempio, colpisce circa 9 persone su 10, molto spesso accompagnato da disturbi come debolezza, spossatezza, ansia, insonnia, emicrania e depressione. Tanti studi hanno evidenziato come lo stress psicologico sia in grado di influenzare negativamente anche la salute del nostro cuore. Inoltre, l'esposizione ripetuta allo stress sociale può alterare la diversità e la composizione del microbiota intestinale, accompagnata da cambiamenti dei metaboliti microbici, di citochine e di altre sostanze, che regolano il comportamento stimolando il sistema nervoso periferico e centrale.

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Se stiamo vivendo una situazione stressante, mangiare i giusti alimenti potrebbe aiutarci a stare un po’ meglio. Esistono, infatti, alcuni nutrienti che svolgono un’azione benefica sul nostro umore e ci aiutano a ridurre le tensioni fisiche, psichiche e nervose.

Stiamo parlando principalmente di:

• Grassi omega -3

• Vitamine del gruppo B

• Triptofano (un aminoacido che si trova in molte proteine, animali e vegetali)

• Zinco e magnesio

• Curcuma, spezia "magicamente" potente, aiuta a ridurre lo stress. Contiene curcumina, principio attivo in grado di ridurre l'ansia, che agisce sulla salute del cervello e in particolare sullo stress ossidativo, proteggendo le cellule da parte dei radicali liberi. La curcumina può supportare gli acidi grassi omega-3 nel cervello aiutando a sintetizzarli in modo più efficiente. Inoltre, le persone ansiose hanno un basso livello di antiossidanti nel sangue e la curcumina ne favorisce invece il loro aumento in circolo.

I cibi che contengono questi nutrienti possono aiutare corpo e cervello nei momenti di particolare pressione. Ricordiamoci sempre che cibo ed emozioni sono strettamente correlati tra loro, le proprietà degli alimenti che consumiamo hanno un effetto anche sul nostro umore, oltre che sulla nostra salute.

Per assumere grassi omega-3 possiamo mangiare:

• Pesce azzurro (alici o acciughe, sardine, sgombro, aringhe, ecc.). Il consumo di pesce azzurro è uno dei migliori antistress naturali che esistano ed, inoltre, un anticolesterolo di qualità. Infatti, i pesci grassi contengono fosforo, che protegge il sistema nervoso e le vitamine B5, B9 e B12 che ci permettono di combattere la stanchezza e calmare il nostro nervosismo. Il loro consumo attiva la secrezione di melatonina, che migliora il nostro sonno e regola lo stress. I pesci grassi sono, anche, estremamente ricchi di omega-3, un acido grasso essenziale nel nostro corpo che regola i neurotrasmettitori, l'infiammazione e promuove una sana funzione cerebrale.

• Tonno e salmone;

• Oli derivati dal pesce, come l’olio di fegato di merluzzo;

• Frutta secca a guscio, come noci e mandorle

• Semi di chia, lino, girasole, ecc.

90 pizza e pasta italiana marzo 2024

Per assumere vitamine del gruppo B possiamo mangiare:

• Fegato;

• Tuorlo d’uovo;

• Carni;

• Latte e latticini, una porzione da 25 g di formaggio, ad esempio, soddisfa il 37 % del fabbisogno di vitamina B12 di un adulto, una vitamina fondamentale per la produzione dei globuli rossi e per la formazione del midollo osseo, indispensabile soprattutto per lo sviluppo dei bambini.

Per assumere   triptofano  possiamo mangiare:

• Yogurt;

• L-atte e formaggi stagionati che apportano la maggiore quantità di calcio, un minerale benefico per ossa, denti e che interviene nell’equilibrio del sistema nervoso, nella circolazione sanguigna e nella regolazione della frequenza cardiaca. Inoltre, tante proteine ad alto valore biologico, tra cui il triptofano, ma anche vitamine del gruppo B ed antiossidanti come vitamina A, zinco e selenio.

• Pesce fresco, soprattutto filetti di orata, sogliola, merluzzo o nasello

• Uova;

• Alcune frattaglie, come il fegato e il cervello di bovino;

• Frutta secca come mandorle dolci, anacardi e noci, in quanto i fitosteroli che contengono svolgono un ruolo importante per la salute cardiovascolare e quindi lo stress.

Zinco e magnesio si trovano, invece, in tantissimi alimenti, sia di origine animale che vegetale come per esempio

• Cereali integrali e crusca di frumento, legumi, frutta secca  (mandorle, noci, nocciole, pistacchi) e semi, verdure fresche, soprattutto quelle a foglia verde  (bietole, carciofi, spinaci, zucchine, ecc.),

• Frutta fresca, come kiwi, banane, prugne, arance, mele, pere, ecc.

• Miele che, avendo proprietà lenitive, agiscono positivamente sul nostro umore. Calma il sistema nervoso grazie ai suoi oligoelementi come calcio, potassio e magnesio ed aiuta a combattere lo stress, la stanchezza e la depressione. Il miele inoltre accelera la produzione di endorfine e quindi influenza favorevolmente l'ansia.

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Lo stress, purtroppo, non è prevenibile. Spesso non possiamo avere il totale controllo su di esso, ma sicuramente possiamo imparare a gestirlo. Per farlo, dobbiamo imparare a ritagliarci ogni giorno un po’ di tempo per noi stessi, per fare ciò che ci piace e ci fa stare bene. Dobbiamo cercare di organizzare la nostra giornata evitando sovraccarichi di impegni, siano essi lavorativi o personali. Alimentazione regolare: mai saltare i pasti e prevedere piccoli spuntini o merende in modo da non arrivare ai pasti principali troppo affamati, rischiando di mangiare nervosamente troppo cibo e di aumentare velocemente il peso corporeo rischiando sovrappeso e obesità. Cercare di pianificare i pasti della settimana evitando cibi pronti troppo ricchi di sale e grassi; spesso quando il tono dell’umore è deflesso la voglia di cucinare è poca: in questi casi meglio un pasto semplice e poco impegnativo. Limitare i caffè oppure tisane come il tè della giornata e le bibite che contengono caffeina. Tuttavia, basta fare attenzione a non assumere più di 3 tazzine di caffè espresso al giorno. Cenare almeno tre ore prima di andare a dormire. Avere lo stomaco pieno disturba il riposo. Più pesante è il pasto, più sarà lungo il tempo per digerirlo. Evitare i cibi grassi e quelli

molto speziati. Quando le persone sono stressate e soffocate da un enorme numero di cose da fare, spesso tendono a sacrificare immediatamente il proprio sonno. Dormendo un numero di ore adeguato permettiamo al corpo di trovare nuova carica e vigore, garantendo la capacità di ripartire ogni giorno. Cercare di dormire mediamente 7-8 ore ogni notte. L’ attività fisica regolare è sicuramente uno dei modi migliori per scaricare lo stress, perché durante l’esercizio si producono endorfine, cioè sostanze chimiche prodotte dal nostro cervello che hanno un effetto analgesico naturale, “simile”

a quello della morfina. Una bella passeggiata all’aria aperta, un giro in bicicletta, una nuotata in piscina o al mare sono attività che possono aiutarci a scaricare le tensioni e soprattutto a staccare un pò la testa. Anche le discipline di rilassamento, come yoga e thai chi, e gli esercizi di respirazione o la meditazione possono sicuramente aiutarci a ridurre i livelli di stress. Le tecniche di rilassamento, infatti, sono state associate alla prevenzione e alla riduzione di ricorrenza degli eventi cardiaci. Infine, il supporto psicologico da parte di un esperto (psicologo o psicoterapeuta) è indubbiamente utile per imparare a gestire lo stress e liberarci dalle situazioni che provocano in noi troppa tensione fisica ed emotiva.

92 pizza e pasta italiana marzo 2024

AGUGIARO & FIGNA MOLINI

Via Monte Nero 111, 35010 Curtarolo (Pd), Italy

Il Campionato Mondiale della Pizza è un evento unico nel suo genere, che riunisce i migliori pizzaioli del mondo per tre giorni di competizione, formazione e divertimento. Le 5 Stagioni, main sponsor dell'evento, offre un'esperienza straordinaria all'interno del Campionato, combinando eccellenza culinaria, formazione di alto livello e un impegno per la sostenibilità.

Le 5 Stagioni ti accoglie nel cuore dell'evento, e anche quest’anno offre uno spazio dedicato ai pizzaioli che trasforma l'esperienza culinaria in un'avventura indimenticabile.

OLTRE LE GARE – FORMAZIONE E ISPIRAZIONE

Spazio alla formazione, ai focus tematici sulle farine, sui lievitati. Non mancheranno gli show cooking e i momenti di approfondimento sulle tendenze del mondo pizza. Un programma di appuntamenti che si terrà all’interno dello Spazio Le 5 Stagioni e che vedrà la collaborazione con i Master Istruttori della Scuola Italiana Pizzaioli, dei Tecnici R&D del Molino oltre che alle testimonianze di pizzaioli di spicco come Ciccio Vitiello, Gianni DI Lella, Giulia Vicini, vincitrice del premio Sostenibilità all’edizione del Campionato Mondiale 2023, e ancora Petra Antolini, Federica Mignacca, Pasquale Petrillo, miglior Pizzaiolo Emergente 2023.

LOUNGE PIZZA STORIES

La Lounge Pizza Stories è uno spazio vibrante e dinamico dove gli ospiti del Campionato Mondiale possono connetter-

Un'esperienza unica e totalmente rinnovata al Campionato Mondiale della Pizza con Le 5 Stagioni, il brand di farine dedicate alla pizza di Agugiaro & Figna Molini.

si, rilassarsi e condividere storie oltre che scoprire contenuti esclusivi, assistere a interviste con ospiti selezionati, tra cui gli ambassador “Le 5 Stagioni”. Nella lounge si rinnova la collaborazione tra Le 5 Stagioni e Velier, storica azienda importatrice di distillati, e Fever Tree, presenti come partner tecnici nell’area Bar, insieme all’iconico Trapizzino. La lounge non è solo relax e svago ma luogo di incontri, di scambio di network. La grande novità di quest’anno è la collaborazione con Lorenzo Palma, di RDS Music, ospite e moderatore di radio LE 5 Stagioni all’interno della Lounge. Un palinsesto di interviste e contenuti di ispirazione sulla pizza, le sue forme e i colori per raccontare le identità uniche dei migliori pizzaioli d’Italia e del mondo.

PREMIO DELLA SOSTENIBILITÀ

Ritorna il Premio Pizza del Cambiamento, pensato per chi ha intrapreso scelte consapevoli in tema sostenibilità. Il premio è volto a premiare il professionista che maggiormente si distinguerà per l’attenzione alla sostenibilità ambientale. I concorrenti saranno infatti valutati sulla base di alcuni parametri, tra cui la scelta di fornitori che operano secondo i canoni della sostenibilità, l’utilizzo di materie prime provenienti da agricoltura sostenibile e a basso impatto e di prodotti tipici DOP e IGP nelle preparazioni della pizza, l’attenzione verso logiche anti spreco sempre più opportune con l’obiettivo di ottimizzare le quantità degli ingredienti. Per partecipare, i concorrenti devono essere iscritti ad una delle categorie “Pizza Classica”, “Pizza in Teglia”, “Pizza in Pala”, “Pizza Senza Glutine” e “Napoletana STG”. L’idea di Agugiaro & Figna Molini è nata

dall’iniziativa “Un sacco di Cambiamento” questo premio all’interno del Campionato Mondiale della Pizza nasce da un’iniziativa intrapresa da Agugiaro & Figna lo scorso anno dal nome “Un sacco di cambiamento”: un progetto nato con l’obiettivo di favorire la nascita di un collettivo di professionisti che diventassero portavoce di una visione nuova di fare impresa e promuovere il valore della sostenibilità attraverso le buone pratiche.

Il Campionato Mondiale della Pizza è molto più di una competizione culinaria; è un'occasione per celebrare la diversità e la creatività che caratterizzano il mondo della pizza. Con il nostro impegno per l'eccellenza e l'innovazione. Le 5 Stagioni è orgogliosa di essere parte di questo straordinario evento e di condividere la nostra passione per la pizza con gli amanti di tutto il mondo.

Unisciti a noi al Campionato Mondiale della Pizza e scopri l'autentica esperienza offerta da Le 5 Stagioni.

LE AZIENDE INFORMANO
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www.le5stagioni.it

Gluten free in pizzeria in 5 semplici mosse

Il fenomeno della celiachia è sempre più diffuso e coloro che soffrono di questa patologia devono fare attenzione non solo a ciò che mangiano ma anche al modo in cui viene preparato il cibo.

La pizzeria, luogo in cui il glutine è protagonista indiscusso, deve adottare misure rigorose per garantire un’esperienza senza rischi per chi segue una dieta gluten free. In questo articolo, esploreremo l’importanza di un ambiente indipendente per la preparazione delle pietanze senza glutine e come questo possa essere implementato in modo efficace in una pizzeria.

Attraverso questa trattazione, approfondiremo minuziosamente il complesso processo di realizzazione del vero senza glutine in una pizzeria, sottolineando l’indispensabilità di un ambiente indipendente, lontano dalle fonti di glutine, in cui ogni passo, dall’impasto alla cottura, sia orchestrato con la massima attenzione e precisione.

94 pizza e pasta italiana marzo 2024

La creazione dell’impasto senza glutine

Il fulcro di un’esperienza senza glutine di alta qualità è incontestabilmente rappresentato dall’impasto. Questa fase cruciale richiede una dedizione totale a una filosofia di preparazione senza compromessi. A tale scopo, si rende imperativo destinare uno spazio specifico, completamente isolato da qualsiasi possibile contaminazione da glutine. Questo ambiente dovrebbe essere dotato di utensili e attrezzature esclusivamente dedicati alla produzione senza glutine. La formazione del personale è altrettanto essenziale; è necessario che acquisiscano una consapevolezza completa delle implicazioni connesse alla contaminazione e adottino procedure igieniche di alto livello.

La cottura della pizza senza glutine

Una volta che l’impasto senza glutine è stato realizzato con la cura dovuta, la fase successiva è rappresentata dalla sua cottura. In questa fase, la dedizione alla sicurezza alimentare non può venire meno. A tal fine, è fondamentale disporre di un forno dedicato esclusivamente alle pizze senza glutine. Questa precauzione mira a scongiurare qualsiasi rischio di contaminazione durante il processo di cottura, garantendo che il prodotto finale sia autenticamente sicuro per chi segue una dieta senza glutine.

Gli antipasti fritti

Se la proposta gastronomica della pizzeria si estende anche agli antipasti fritti, l’attenzione alla sicurezza deve estendersi con la stessa attenzione a questa sezione del menu. Un’area isolata, provvista di attrezzature specifiche per la frittura e distintamente separata dalle preparazioni contenenti glutine, è essenziale per prevenire ogni possibile forma di contaminazione incrociata. Il personale deve acquisire una consapevolezza acuta della necessità di preservare la distinzione tra le preparazioni con glutine e quelle senza.

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Produzione e conservazione dei dolci senza glutine

La capacità di creare un’offerta senza glutine autentica e sicura richiede un impegno ininterrotto, una vigilanza costante e una progettazione meticolosa degli ambienti di lavoro. La completa separazione tra le aree di preparazione del glutine e del senza glutine rappresenta la chiave maestra per fornire un servizio che non solo possa essere apprezzato da coloro che seguono una dieta senza glutine ma che garantisca altresì la massima sicurezza alimentare. Solo attraverso un approccio integrato, diligente e consapevole si può sperare di realizzare il vero senza glutine in pizzeria, un’esperienza culinaria autentica e sicura per tutti i commensali. Per completare in modo perfetto l’esperienza senza glutine, è fondamentale non trascurare la produzione e la conservazione dei dolci. Questi ultimi devono essere concepiti e custoditi in un ambiente appositamente progettato per evitare qualsiasi tipo di contatto con materie prime contenenti glutine. Solo attraverso una dedizione assoluta ai dettagli durante ogni fase del processo, si può garantire che anche i dolci siano esenti da contaminazioni indesiderate.

Formazione del personale

La formazione del personale è un aspetto cruciale per garantire la sicurezza alimentare. I cuochi e il personale addetto alla preparazione devono essere istruiti sulle pratiche necessarie per evitare la contaminazione da glutine e devono essere consapevoli dell’importanza di seguire le procedure stabilite.

96 pizza e pasta italiana marzo 2024

TINA E SOFIA sono due delle cinque

PER PIZZA MOLINO NALDONI che vantano il marchio ITALICA, la linea di farine ottenute dalla macinazione di GRANI 100% ITALIANI .

Nascono da una sapiente molitura che le rende ideali per impasti estensibili e facili da lavorare. Per pizze fragranti e facilmente digeribili.

La scelta di utilizzare solo grano italiano aggiunge un importante valore organolettico e garantisce una qualità costante del prodotto.

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VI ASPETTIAMO

IL CALICE RACCONTA.

Verso Tipicità Festival

di Caterina Orlandi

A fine gennaio, a Senigallia, è andata in scena la terza edizione de “Il Calice Racconta”, l'evento che, anno dopo anno, si sta ritagliando uno spazio importante nel panorama ristorativo, produttivo e di valorizzazione del territorio marchigiano.

Per l'intera giornata, l'Istituto Alberghiero “Panzini”, vera eccellenza regionale, è tornato ad essere punto d'incontro per gli operatori del settore ma anche per numerosi appassionati e curiosi che, oltre a poter assaporare i prodotti delle quasi 60 aziende presenti, hanno anche potuto arricchirsi, grazie ai seminari, agli showcooking ed alle relazioni degli esperti.

L'evento centrale della mattinata, il forum “Sapori Ospitali”, ha visto alternarsi sul palco diverse personalità: il primo a prendere la parola è stato il dirigente scolastico del “Panzini” stesso, Alessandro Impoco, che ha parlato de “L'impatto concreto della formazione sulla valorizzazione di un territorio.” Sono poi intervenuti il Sindaco di Senigallia, Massimo Olivetti e l'Assessore al turismo del Comune di Senigallia, Simona Romagnoli. La forza di iniziative come questa è stata ribadita anche da Francesca Severini, Dirigente Settore Agricoltura Regione Marche, che anche quest'anno ha collaborato alla promozione del territorio con il Bando “Dalla Vigna alla Tavola”.

A fare il punto sul tema dell'enoturismo, è stato Emanuele Piunti, Vicepresidente Inside Marche Live (l'associazione che raccoglie diverse agenzie di incoming del nostro territorio), con l'intervento dal titolo “L'importanza della collaborazione tra gli operatori che compongono la “filiera delle esperienze” per l'ottimizzazione degli itinerari e la valorizzazione del territorio: un meccanismo win-win.” Particolarmente stimolante la testimonianza della ristoratrice

98 pizza e pasta italiana marzo 2024

Valentina Greco, titolare del ristorante “Nana Piccolo Bistrò”, di Senigallia, che ha affrontato il tema “L'incidenza del servizio di ristorazione nella creazione di valore per il territorio. L'importanza della sala e del servizio.”

A sottolineare l'importanza delle sinergie tra le diverse province della regione marchigiana, anche Angelo Serri, direttore di “Tipicità”, che ha raccontato l'esperienza legata alla serie di eventi itineranti, dal titolo “Senigallia Città Gourmet” ed invitato tutti alla prossima edizione, la numero 32, di Tipicità Festival, in programma a Fermo tra il 9 e l’11 marzo 2024.

Particolarmente avvincente anche l'intervento dello chef Enrico Mazzaroni, titolare del ristorante “Il Tiglio”, a Montemonaco (AP), una stella Michelin, che ha raccontato la sua scelta di tornare in montagna dopo il terremoto e dopo due anni trascorsi al mare, a Porto Recanati. L'importanza delle proprie radici, le difficoltà e le sfide da superare,

le decisioni da prendere. La mattinata si è conclusa con gli interventi di Gaetano Agostini, presidente del consorzio di tutela IGP Marche Extravergine e di Alberto Mazzoni, direttore dell'Associazione Produttori Agroalimentare Marche ovvero “Food Brand Marche”.

Valorizzare un territorio significa valorizzare adeguatamente le sue produzioni, anche educando il palato del consumatore. Un consumatore che può essere anche formato attraverso il lavoro dei ristoratori, i quali hanno vari strumenti su cui poter contare. Uno di questi è la carta dei vini; su come sfruttarla al meglio si è incentrato il seminario tenuto da Alessandro Calabrese, presidente regionale della Scuola Europea Sommelier, che ha guidato il pubblico attraverso una piacevole degustazione di vini del territorio, fornendo numerosi spunti di riflessioni ai ristoratori in sala: “Non esiste una regola rigida ed inalterabile nella realizzazione della Carta dei Vini ideale, ma intuire la soluzione ideale per il proprio esercizio è un'innegabile

leva di successo e di reddito”, ha spiegato il sommelier. Per questo educare il personale a ben gestire l'offerta, la vendita e, successivamente, la presentazione ed il servizio del vino è la chiave per il successo di un ristorante, nonché una notevole fonte di reddito.

Nel corso della giornata, gli chef Filippo Giuriatti e Salvatore Giammarinaro, con il supporto della BLU 3 Pro, hanno poi svelato “I segreti della griglia e del sottovuoto”, prima di lasciar posto alle birre, con Sebastiano Nabissi e Nicola Mallucci di Unionbirrai, che hanno guidato i presenti in un “viaggio tra le birre artigianali e il loro territorio”.

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Di nuovo sul tema del vino, con il seminario tenuto dalla FISAR, dal tema: “L'estate tutto l'anno. Una proposta vini che abbraccia tutte le stagioni”, a cura di Mariella Dubbini, sommelier e consigliere Nazionale della Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori. “Il turismo enogatronomico può fare da driver per un turismo che sia fuori dagli schemi – ha dichiarato la Dubbini, che ha

anche aggiunto – Tutti gli attori coinvolti nel mondo enogastronomico devono fare rete e comunicare anche attraverso pacchetti che includano visite in cantine ed esperienze: così si attrae il turista curioso, che cerca emozioni e vuole tornare a casa con un maggior bagaglio culturale. Fondamentale la formazione, sia da parte delle cantine che all'interno dei ristoranti.”

Particolarmente apprezzata anche l'attività dell'Unione Regionale Cuochi Marche e Pasta della Pesa che ha deliziato il pubblico con gli chef Chef Simone Baleani e Daniele Tantucci, grazie allo showcooking dedicato alla pasta all'uovo, mentre la giornata è stata chiusa “divinamente” con la relazione, con annessa degustazione di vini, sul tema del valore del servizio nell'esperienza del cliente, a cura dei Sommelier Stefano Isidori, Presidente regionale AIS Marche e Cesare Lapadula.

100 pizza e pasta italiana marzo 2024
Forni Valoriani, da oltre 100 anni al vostro servizio

PINEAPPLE ON TOP L’ananas nel piatto

Storia di un sacrilegio.

Negli ultimi giorni del 2023, “Google Trends” ha rilevato un significativo picco di interesse per l’Ananas comosus e “Gemini”, l’intelligenza artificiale di Google conferma, stimando tra 100.000 e 500.000 le pagine web che parlano di pizza e ananas pubblicate dopo Natale 2023.

102 pizza e pasta italiana marzo 2024
di Sabino Berardino

La “colpa” è, ragionevolmente, del famoso pizzaiolo Napoletano Gino Sorbillo che, noncurante della PPoP (Prohibition of Pineapple on Pizza - se interessati approfondite cercando l’articolo di Skuli Sigurdsson pubblicato, a Marzo 2020, su “medium”), a fine dicembre dello scorso anno ha titillato Instagram con la sua pizza all’ananas: bravo Gino, missione compiuta (visto che, tra gli altri, CNN e ANSA riprendono la “notizia”)! Considerato che nel 2022 il 34% delle famiglie italiane, secondo i dati di “GfK Consumer Panel”, ha comprato ananas, quindi apprezza questo frutto è ancora, nel 2024, da considerare una provocazione la pizza con l’ananas? Stando alle reazioni degli utenti dei social la risposta è, senza ombra di dubbio, sì.

Storia di un “sacrilegio”

La domanda sorge spontanea: chi è stato il primo a commettere quello che, per molti, risulta essere un vero e proprio sacrilegio - l’ananas sulla pizza - ma che, secoli fa, era invece un frutto accessibile solo a pochissimi privilegiati che ostentavano l’ananas come indice della propria ricchezza? Internet ha una sola risposta: la pizza ‘hawaiana’ (ananas, salsa di pomodoro, formaggio prosciutto o bacon) sarebbe stata ideata, nel 1962, a Chatham (Ontario, Canada) nel ristorante/pizzeria “Satellite” da un pizzaiolo di origine greca, Sam Panopoulos. "Lo abbiamo fatto per il gusto di farlo, per vedere che sapore avrebbe avuto. Eravamo giovani nel settore e stavamo facendo molti esperimenti": Panopoulos dichiarò che il contrasto tra la dolcezza dell'ananas e il prosciutto piacque e la chiamarono pizza hawaiana, richiamandosi alla marca di ananas in scatola. Ricercando, però, gli archivi di “The Oregonian”, si scopre che nel 1957 “Francine’s pizza jungle” (una pizzeria nello stato dell’Oregon, USA) aveva in menù una pizza Hawaiana (papaya e ananas, per la precisione): la “notizia” è riportata sia dal ponderoso testo “Modernist Pizza”

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di Nathan Myhrvold sia dall’ottimo libro “Storia della Pizza” di Luca Cesari. A scavare nei meandri di internet, ci sarebbe anche una pizzeria californiana, “Barone’s”, in attività a Los Angeles dal 1945, che dichiara di aver inventato (1954, pochi anni prima) la pizza hawaiana (ananas e bacon canadese): è scritto su un vecchio menù, non si trovano ulteriori conferme, per cui questa “autocertificazione” è da prendere con il beneficio dell'inventario.

Se si va a ricercare nei cari vecchi amati libri, si trova ancora qualche sorpresa: ne avevo già parlato nel libro "Pizza - Una grande tradizione italiana" (Slow Food Editore, 2016) citando Rosario Buonassisi (“La pizza : il piatto, la leggenda”, Mondadori, 2001), chimico ri-convertitosi al giornalismo e successivamente allo studio della gastronomia, che racconta di aver mangiato, nel 1975, una pizza gorgonzola ed ananas abbinata ad un calice di vino Orvieto Classico in una pizzeria (non meglio precisata, dalle parti della stazione centrale) di Milano. Il titolare della pizzeria gli avrebbe poi spiegato che questa contaminazione era

ispirata alle tradizioni eno-gastronomiche dell’Oltrepò Pavese, ove tipicamente si abbinava il gorgonzola al Moscato dolce e superfrizzante [sic] prodotto in zona. A conferma dell’esperienza avanguardista di Rosario Buonassisi, ho trovato un articolo di Florence Fabricant intitolato “Italian Pizza Police Offer Rules for the Real Thing” pubblicato sul New York Times il 7 giugno 1995: riporta una dichiarazione di Antonio Primiceri, fondatore e presidente di Apes (Associazione Pizzaioli Europei e similari; 1981) che sdogana l’uso di salmone affumicato e caviale sulla pizza ma mette il veto all’ananas (fresco) che a quell’epoca, a suo dire, veniva proposto, in alcune pizzerie, a Milano; Primiceri non apprezzava neanche arance, banana, kiwi utilizzati, all’epoca, come farcitura da una pizzeria di Trento. Rosario Buonassisi, nel suo libro pubblicato nel 2001, data la sua prima degustazione di pizza con l’ananas al 1975; Primiceri afferma - nel 1995 - che a Milano alcune pizzerie avevano in menù la pizza con

l’ananas… Ho nuovamente chiesto lumi a Gemini di Google che confermerebbe: “La pizza con l'ananas era già presente in alcuni ristoranti italiani, principalmente come una variante esotica per i turisti stranieri a fine anni '60”, senza però citare alcuna fonte. A scavare ulteriormente nei meandri di Internet, trovo un commento ad un recente articolo a tema ananas sulla pizza in cui si afferma che “la pizza all’ananas era nel menù pizze negli anni ‘90 nel ristorante-pizzeria “La veranda” (Agropoli, SA): condita con mozzarella, gorgonzola e ananas ed era davvero buona!”. Ci sarebbe da indagare perché sarebbe la prima testimonianza di pizza con l’ananas nel Sud Italia, anche se molto più tardiva rispetto all’episodio narrato da Buonassisi.

Parlando invece di ricette, nel libro di Ettore Bernabò Silorata “La pizza napoletana: storia, aneddoti, ricette” edito nel 1993 da Marotta, a pag. 73 viene presentata una ricetta di pizza ananas e gorgonzola, molto semplice: gorgonzola a tocchetti e ananas fresco tagliato anch’esso a pezzetti, un po’ d’olio e via in forno, per

104 pizza e pasta italiana marzo 2024

20 minuti, a 250 °C. Svariati anni prima (1982) del testo succitato, il giornalista / gastronomo / scrittore nonché padre della cucina in TV, Vincenzo Buonassisi (da non confondere con l’omonimo Rosario citato in precedenza) propone ben due ricette di pizza all’ananas nel suo libro edito da Fabbri. Seguendo le tracce di questo controverso matrimonio, in Italia si ritrovano testimonianze ben documentate di pizza all’ananas in un “tempio” romano: Gabriele Bonci, nella serie “Tutto in 24 ore”, propose a Anthony Bourdain, nel suo “Pizzarium”, una prima versione, poco gradita e una seconda pizza con prosciutto e ananas, a cui aggiunge cipolle fritte e un blend (12 tipi diversi) di pepe che viene, invece, molto apprezzata dal famoso cuoco americano.

Sempre a Roma: Stefano Callegari ci ha pensato a lungo e poi ha deciso di mettere in menù, nella sua pizzeria “Sforno”, la pizzacollananas [ananas, ventricina, pecorino].

Confesso: la pizza con l’ananas l’ho provata un paio di volte, in due diverse prestigiose pizzerie e non me ne sono pentito, anzi l’ho gradita. A Caiazzo, da “Pepe in Grani”, degustai l’AnaNascosta che Franco Pepe ha ideato nel 2019 dopo la richiesta, provocatoria, di un giornalista che, a Hong Kong, gli ha chiesto se avrebbe mai fatto una pizza all'ananas: Franco Pepe la propone con ananas fresco non sciroppato in prosciutto San Daniele, nascosti in un cono di pizza fritta le cui pareti sono rivestite da fonduta di Grana Padano DOP 12 mesi, spolverato con polvere di liquirizia: a me piacque, l’ho trovata divertente, ben equilibrata, piacevole. La scorsa estate, invece, l’ho provata nel ristorante informale a bordo piscina del “Four Seasons” di Firenze: il ristorante “Al Fresco”, nello splendido giardino della Gherardesca, da anni propone anche la pizza e, dal 2023, si avvale della collaborazione del pluripremiato pizzaiolo Giovanni Santarpia, campano, di Castellammare di Stabia, che lavora in Toscana dal 1996; mi è piaciuta al punto che l’ho ordinata anche una seconda volta: questa pizza, dal nome “Brasile andata e ritorno”, è un omaggio agli anni che

Paolo Lavezzini, Executive Chef del “Four Seasons Hotel” ha trascorso a lavorare in Brasile. La pizza è a base bianca con carpaccio di ananas marinato in Bloody Mary con cachaça e lime e prosciutto crudo toscano selezione Simone Fracassi. Ricercando su Internet, ho trovato altre pizzerie Italiane che hanno, recentemente, proposto la pizza con l’ananas: la pizza all’ananas di Massimo Gatti dei “Due Gatti” si chiama Waikiki (è del 2017) ed è fatta con fior di latte, fiocchetto arrosto, carpaccio di ananas al naturale a fine cottura e formaggio sardo erborinato di pecora blu mediterraneo; Simone Lombardi da “Crosta a Milano”: pizza all’ananas con ventricina, cipollotto crudo e coriandolo; Pier Daniele Seu che di pizze all'ananas ne ha ideate due: la Innominata con carpaccio di ananas essiccato, crema di olive nere, mozzarella, prosciutto cotto salato in acqua di mare, misticanza, polvere di olive e gel di jalapeno e ananas fermentato e la Pizza-colada, una pizza dolce cara-

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mellata con ricotta mantecata al lime, ananas marinato al rum, purea di cocco, cocco disidratato e menta; Simone Di Gregorio, nella sua pizzeria “La Bolla” di Caserta ha in carta lo Spicchio di Ananice con ananas sciroppata, succo di frutta all' ananas e polvere di anice stellato; Pine Naples, che è stata la pizza del mese di agosto 2023 di “Uào”, nel quartiere San Salvario a Torino: una pizza hawaiana rivisitata ovvero con crema di ananas, fior di latte di Agerola, prosciutto cotto arrosto, pepe bianco, ricotta salata e germogli di Melissa; infine, la pizza all'ananas in edizione limitata ad agosto 2020 di Pizzeria “Soffio di Grano” sita a Dalmine (BG) con olio evo, sale, carpaccio di ananas tagliato sottilissimo, speck SAlto Adige, gocce di mosto di vino cotto e Grana Padano dop a scaglie.

Polemiche, su internet, ne abbiamo?

Ma certo che si: il presidente Islandese Guðni Thorlacius Jóhannesson nel 2017 dichiarò di voler vietare l'uso dell'ananas sulla pizza; Gordon Ramsay, famoso chef pluristellato non perse l’occasione per comunicare, alla TV e in un tweet del 4 aprile 2017 che la pizza con l’ananas non era accettabile. La reazione del Primo Ministro Canadese Justin Trudeau non si fece aspettare “Sono a favore di questa deliziosa creazione tipica dell’Ontario del Sud Ovest”. Jóhannesson ha, dopo poco, dichiarato pubblicamente che stava scherzando. Come dimenticare che Bill English, all’epoca Primo Ministro della Nuova Zelanda, pubblicò sul suo profilo Facebook, una foto della sua cena in famiglia con pizza “hawaiana” con aggiunta [sulla pizza!] di spaghetti

in scatola, il cui risultato furono oltre 10mila like, quasi 600 condivisioni, oltre 10mila commenti da tutto il mondo, di cui non pochi di Italiani scandalizzati? Siccome di polemiche c’è inesauribile sete: su Gordongram (account verificato di Gordon Ramsay) sono incappato in un post del 14 gennaio 2023 che comunica che la catena di pizzerie londinesi “Gordon Ramsay Street Pizza” ha in menù la pizza all’ananas, per cui il boss deve aver in qualche modo cambiato idea a riguardo.

In chiusura penso sia interessante segnalare una pizza all’ananas che, qualche anno fa, ha scosso le fondamenta dei social con oltre 5 milioni di like su Instagram: il famoso attore Dwayne “The Rock” Johnson pubblica un selfie con pizza all’ananas con prosciutto e afferma, intransigente, che “pineapple on pizza is MY JAM - with ham”; la pizza era della pizzeria londinese “Mulberry StreetLondon's only authentic New York Pizza joint” che ha cessato l’attività, da almeno un paio d’anni.

106 pizza e pasta italiana marzo 2024

ITALIAN EXHIBITION GROUP SPA

"Si confermano gli ottimi risultati della scorsa edizione, con visitatori provenienti da 160 Paesi. Internazionalità, visione, artigianalità, innovazione, identità territoriali che diventano globali e si coniugano con il mondo. Questo e molto altro ha espresso la 45a edizione di Sigep”. Così Maurizio Ermeti, presidente di Italian Exhibition Group, ha commentato la conclusione, oggi alla Fiera di Rimini del Salone internazionale di gelato, pasticceria, panificazione, caffè e cioccolato. “La manifesta-

Rimini: un Sigep internazionale, innovativo e sostenibile conferma la leadership nel foodservice dolce

zione si conferma punto di riferimento per l’industria del foodservice dolce - ha detto Ermeti - proponendo sfide sempre più all’avanguardia e tecnologiche. Un appuntamento di business unico che a Rimini, vocata all’innovazione, ha trovato un enorme valore aggiunto”.

IL SUCCESSO IN RETE E QUELLO MEDIATICO

Una fiera che ha registrato una grande visibilità: mediatica e social. Su questi ultimi con una community da 161mila professionisti, con 2 milioni di visualizzazioni dei contenuti online e 780mila visualizzazioni sull’app TEO – The eating out Hub d’interesse anche per la nuova funzione “Offerte di lavoro” dedicata all’incontro di domanda e offerta, in particolare per i giovani. I contatti media totali, ad oggi, superano i 561 milioni lordi con 660 giornalisti accreditati, dei quali 56 dall’estero.

ATTENZIONE ALLE NUOVE GENERAZIONI DI PROFESSIONISTI

L’ultima giornata di Sigep ha visto inoltre la partecipazione di 3.250 studenti da 70 scuole alberghiere e istituti professionali per un educational tour che ha abbinato la formazione pratica all’interazione con le aziende. L’iniziativa rientra nel progetto Sigep Academy che ingloba Sigep Giovani e Sigep per le scuole.

UNA OVERVIEW A 360 GRADI

Sigep 2024 ha raccolto le principali proposte del mondo del foodservice dolce, tra incontri su innovazioni di prodotto,

nuovi trend di consumo e show-cooking con i grandi Maestri del dolce artigianale che hanno coinvolto distributori, catene di ristorazione e pubblici esercizi. In esposizione le aziende leader di macchine e ingredienti per la gelateria e la pasticceria, la panificazione e la pizza, le filiere del cioccolato e del caffè.

LA GRANDE TENDENZA DELLA SOSTENIBILITÀ

La sostenibilità è stato il filo conduttore di questa edizione. E mentre la green economy sbarca in gelateria, investe anche la pasticceria, che strizza l’occhio al vegetale ed esplora nuove frontiere, tra cui l’intelligenza artificiale. Anche il cioccolato ha mostrato un’inclinazione ai processi produttivi consapevoli, mentre il comparto del caffè si rivolge a un consumatore sempre più attento che predilige le imprese più sostenibili.

TRA INNOVAZIONE E INTERNAZIONALITÀ

Sono stati accesi i riflettori sull’ingegno e le start up nell’Innovation District: il nuovo grande progetto nel cuore della Vision Plaza della fiera, l’Innovation Award che ha premiato le migliori idee di business degli espositori e delle start-up.

Un’edizione, questa di Sigep 2024, che gode del patrocinio del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e di quello del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. E che, nel concludersi, apre nuovi dialoghi grazie alle virtuose relazioni intessute con le associazioni di settore, grande punto di forza.

107 LE AZIENDE INFORMANO
www.sigep.it
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redazione@ pizzaepastaitaliana.it

Le Associazioni della Pizza: facciamo chiarezza

“Gentilissimi, grazie di vero cuore del piacevolissimo servizio dedicatomi sul numero di gennaio di Pizza e Pasta Italiana. Ho ricevuto molti complimenti e questo mi ha confermato, qualora ce ne fosse pur bisogno, la vostra diffusione. Per spirito di verità, mi corre l’obbligo, tuttavia, di chiedervi una importante e storica rettifica: il primo Presidente dell’ Associazione Pizzaioli Italiani ed Europei (A.P.E.S.) fu Antonio Primiceri che la fondò con Luigi Mengozzi e me nel gennaio del 1981, oltre ad altri noti personaggi del settore di quegli anni. Antonio Pace ne è stato invece Vicepresidente e poi fondò la sua Associazione (A.V.P.N.) nel 1984. Negli anni a seguire, dopo l’A.P.E.S., nacquero molte altre associazioni: alcune proseguirono dignitosamente, altre furono solo fuochi fatui e oggi siamo di fronte ad un protagonismo fine a se stesso, per cui sulla pizza tutti arrivano primi, ma solo perché la memoria è breve e tutto viene velocemente bruciato senza lasciare ricordi. Una famosa canzone recita: ma chi erano i Beatles? Ancora grazie della preziosa attenzione, sempre a vostra disposizione, con stima”.

Pino Longo

Il nostro affezionato lettore Pino Longo – giudice del Campionato Mondiale della Pizza a Parma e protagonista di un’intervista del mese di gennaio – ha voluto specificare quando, come e perché sia nata l’A.P.E.S., ponendo particolare accento sul fatto che esistano molte associazioni dedite a dar valore alla figura del pizzaiolo e alla pizza. Qualche volta – essendo le associazioni di settore innumerevoli – si tende a far confusione su “chi abbia fondato cosa, quando e perché”. Sembra che le storie di molte di queste siano avvolte da una nube di mistero, incrementata talvolta da dicerie e voci di corridoio. Come, ad esempio, il fatto che l’A.P.E.S., a suo tempo sia nata con Confcommercio e con il padre di Antonio Pace che sarebbe stato presidente della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), la quale intorno al 2000 creò un segmento per la pizza attraverso un organismo che si chiamava “Comitato italiano pizzerie” di cui Antonio Pace era presidente e rappresentante. Si dice ci fosse l’intento di unire le due associazioni, ma che, visto il disaccordo di alcuni e l’indisponibilità di Antonio Pace a unificare e seguire entrambe le realtà, esse hanno vissuto strade separate. Il sito web dell’AVPN riporta una riflessione del 2008 nella quale Antonio Primiceri, in opposizione all’STG, scrive:

“Alcuni esponenti napoletani, fra i quali Antonio Pace, aderirono in un primo tempo all’APES,

sicuramente con l’intento di mantenere vivo il contributo partenopeo [...] Quest’ultimo poi prese la sua strada perché bene intese che la politica dell´APES era la difesa della pizza italiana, fatta con forni elettrici, a gas, a legna, consentiva l’utilizzo della catena del freddo, permetteva la manipolazione anche a fini di intrattenimento, ecc.”.

Sembrerebbe che Antonio Pace non avesse voluto “seguire le due realtà” perché il suo pensiero era lontano e in contrasto con quello dell’A.P.E.S. Antonio Pace dal canto suo ci racconta:

“Primiceri ha fondato l’APES con Mengozzi ed era in contatto con la FIPE, della quale mio padre era stato fondatore. Nel 1984 l’APES organizzò un convegno al Castel dell’Ovo a Napoli al quale partecipammo anche noi che, nel frattempo, avevamo già fondato l’AVPN. Un anno dopo, agli inizi del 1985, fui nominato Vicepresidente dell’APES e dunque al contempo ricoprivo quella mansione ed ero Presidente dell’AVPN. Le due Associazioni andavano d’accordo in quanto l’una non aveva un disciplinare di attuazione e l’altra invece si, rappresentava un segmento esclusivo. La divisione ci fu in un secondo momento (nel frattempo nacquero tante altre associazioni). Noi di AVPN difendevamo la tradizione assoluta, loro un po’ tutto in generale”.

Pare dunque che le strade delle due associazioni in questione si siano separate perché spinte da volontà differenti e da pen-

108 pizza e pasta italiana marzo 2024

sieri semplicemente non affini. Per il momento, considerando che le Associazioni dedite alla pizza sono tante, Pino Longo ci ha spinto a fare qualche ricerca e ricavare qualche dato rispetto ad alcune di esse. Premesso che ognuna di queste Associazioni si dedica a una tipologia specifica di prodotto e soggetto – che sia la Pizza Napoletana o la pizza in generale, il pizzaiolo o il “pizzaiuolo napoletano” – sono comunque tutte accomunate da una sola missione: valorizzare il simbolo italiano per eccellenza e il mestiere grazie al quale esiste, in ogni forma e in ogni luogo. Vi proponiamo di seguito, dunque, un po’ di storia e curiosità ad alcune di esse collegate. Partiamo proprio dall’A.P.E.S. Nel 1981 nasce l’Associazione Pizzaioli Europei e Sostenitori divenuta poi Associazione Pizzaioli e Similari, il cui scopo era – in un periodo durante il quale la pizza era vista ancora (insieme al pizzaiolo) come elemento puramente folkoristico e “di seconda mano” – porre la pizza e i suoi fautori sotto un’ottica di maggior valore. Fu fondata da Antonio Primiceri, figlio d’arte e anche giornalista (a lui il merito di aver condotto l’Associazione verso giornali e canali TV che iniziarono a

parlare del “fenomeno pizza”), insieme a Luigi Mengozzi, che a suo tempo divenne presidente italiano dell’Associazione. Si può affermare che l’A.P.E.S. sia stata la prima associazione nel settore ristorazione pizzeria in Italia e con delegazioni all’estero; che il suo merito sia stato favorire la scoperta del valore culturale, ma anche economico della pizza. A succedere a Primiceri è stata Maria Teresa Bandera. L’A.P.E.S. negli anni ha visto l’interesse e la partecipazione a eventi e iniziative di personaggi in vista come Vincenzo Buonassisi, Albano Carrisi, Paolo Corazon, Mike Bongiorno, personaggi politici come Silvio Berlusconi e Bettino Craxi. Negli anni, Antonio Primiceri si era opposto alla proposta del disciplinare presentato per la certificazione di Specialità Tradizionale Garantita (STG) della pizza napoletana per diversi motivi, tra i quali – per farla breve – il fatto che la pizza fosse una “specialità mondiale” e non dovesse avere un’appartenenza specifica.

AVPN

L’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN) nasce nel 1984 in seguito alla capillare

diffusione delle grandi catene di fast food e dell’utilizzo improprio della definizione “vera pizza napoletana”. Alcuni maestri pizzaioli si unirono per difendere e valorizzare la pizza secondo le antiche tradizioni napoletane. Correva il mese di giugno quando Antonio Pace iniziò a stilare – con l’aiuto di quei vecchi pizzaioli napoletani – le precise regole per la preparazione della Verace Pizza Napoletana. Pace afferma da sempre di non voler combattere nessuno, tranne l’industrializzazione che va contro la cultura di questo prodotto e di voler semplicemente proteggere una tradizione culinaria ultracentenaria. Dai più o meno venti associati iniziali, l’AVPN ha percorso tanta strada, a partire da varie iniziative, manifestazioni e convegni che, nel tempo, hanno portato alla presentazione del Disciplinare STG “pizza napoletana” nel 2004, marchio successivamente riconosciuto ufficialmente dal Parlamento europeo e “rafforzato” con la riserva del nome a partire dal 2012.

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La “Verace Pizza Napoletana” è oggi riconosciuta in tutto il mondo e “protetta” da alcune semplici regole che vedono protagonisti gli ingredienti (compresi i condimenti), preparazione, lievitazione e maturazione, consistenza e forma e la cottura.

L’Associazione, che ha da poco compiuto 40 anni, ha sede a Napoli ma è internazionale, conta infatti più di 1.000 pizzerie affiliate in 56 nazioni e 30 Brand Ambassador tra l’Italia e il resto del mondo, è promotrice dell’insegnamento dell’arte del pizzaiuolo napoletano grazie a innumerevoli scuole site nei posti più disparati.

API

L’Associazione Pizzerie Italiane nasce a Roma nel 1989 con l’intento di proteggere i pizzaioli, aiutarli a risolvere qualsivoglia problema lavorativo e supportarli nella crescita. A tale scopo, nel 1992, sulla base di un’idea di Angelo Iezzi, l’API ha dato vita alla Scuola Nazionale di Pizza attraverso la quale propone ancora oggi corsi in varie parti del mondo. A partire dalla sua fondazione, è sempre stata impegnata a promuovere iniziative per valorizzare il mondo della pizza a 360°, come, ad esempio, il progetto “FormaGiovani” in collaborazione con l’Anpit

(Associazione Nazionale per l’industria e il Terziario) per favorire il legame tra il mondo dell’istruzione e il settore del lavoro attraverso la formazione o il progetto “Giroitaly” in collaborazione con Menù. Particolare attenzione merita l’iniziativa che l’Associazione ha intrapreso per valorizzare la figura della pizzaiola attraverso la sezione “API DONNA”. Quest’ultima, voluta dal Presidente Angelo Iezzi, vede al timone Laura Ansalone, la quale ci tiene particolarmente a trasmettere il messaggio che una donna può essere una professionista, può coniugare la propria passione con gli impegni di tutti i giorni, senza per questo dover perdere la propria femminilità.

APN

L’Associazione Pizzaiuoli Napoletani nasce a Napoli nel 1998 con l’intento di promuovere la figura del pizzaiuolo e la sua arte. Negli anni, gli intenti non sono mai mutati e ancora oggi è impegnata nella divulgazione del mestiere simbolo della cultura partenopea e nel tramandare, attraverso la formazione, questa antica arte. L’APN ha contribuito al raggiungimento di importanti traguardi per la pizza e la figura del “pizzaiuolo”: in primis – in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – per il riconoscimento S.T.G. per la Pizza Napoletana dall’Unione Europea e inoltre, è stata tra i sostenitori e promotori del dossier di candidatura dell’Arte del pizzaiuolo napoletano” per l’iscrizione nella lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO.

L’APN vuole valorizzare la pizza e i prodotti di eccellenza campana in tutto il mondo, grazie alle proprie sedi sparse un po’ ovunque, dall’Australia alla Cina, dalla Croazia al Messico e non solo.

AENP

Ultima arrivata tra quelle degne di nota ma non meno importante è l’Associazione Eccellenza nella Pizza, fondata nel 2019 a Vicenza da Raffaele Savarise. Quest’ultimo – Direttore commerciale dell’Euroservice Catering S.r.l – ha avviato il progetto in quanto, come lui stesso scrive, aveva il desiderio di ridare lustro a un prodotto, la pizza, che “stava perdendo la sua anima”. L’AENP organizza laboratori, eventi, master e corsi di perfezionamento e si basa sulla diffusione del rispetto della tradizione e l’uso di ingredienti certificati. Non a caso, l’Associazione mette anche a disposizione un catalogo di “eccellenze” italiane, tra cui prodotti dei Presìdi Slow Food.

110 pizza e pasta italiana marzo 2024

SIRH /+ BUDAPEST

International food and & HORECA exhibition INTERNATIONAL HORECA AND RETAIL SHOW

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2024
MARCH 5–7
HUNGEXPO HUNGARY
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Marketing e management per le imprese di ristorazione

Autore: Giuseppe Fierro

Editore: Hoepli

Pagine: 224

Anno di edizione: 2015

Prezzo di copertina: € 29,90

Disponibile in e-book

La manualistica Hoepli è un punto di riferimento imprescindibile per i ambiti professionali, in particolare per quelle attività che investono in settori dalle grandi potenzialità e ancora in forte espansione. Tra questi, vi è chiaramente il settore del “food and beverage” che, quando questo libro ha visto la luce, era ritenuto la chiave del successo anche per chi non avesse alcuna nozione tecnica in materia. Autore del libro è Giuseppe Fierro, sommelier professionista, docente alla Scuola Professionale Alberghiera “Cesare Ritz” di Merano, tra le prime ad avere inserito nelle proprie attività quella di formazione certificata per pizzaioli. Fierro si è occupato anche di progettazione di corsi di formazione post-qualifica e postdiploma per l’area ristorativa e turisticoricettiva, in un territorio a forte vocazione turistica ma con grande carenza di personale.

a cura della redazione

112 pizza e pasta italiana marzo 2024
AL
UN LIBRO
MESE

Il libro è una guida pratica alla gestione dell’area F&B nelle varie tipologie di aziende ristorative e si apre con un’analisi del marketing della ristorazione che ha dalla sua il problema delle innumerevoli variabili culturali e socioeconomiche che sottostanno alle motivazioni d’acquisto del cliente.

Segue, quindi, con particolare attenzione alla pianificazione e al controllo operativo dei costi, un’accurata analisi guidata del processo di management nei settori ristorante e banqueting con la gestione dei reparti sala, cucina e magazzino, bar e cantina.

L’autore arricchisce i vari argomenti affrontandoli con taglio professionale ma in modo chiaro e semplice. I capitoli spaziano dalla conoscenza del target e dei comportamenti d’acquisto al fabbisogno e alla determinazione dei costi della manodopera, soffermandosi sui test di resa alimentare in cucina e sulla percentuale food-cost operativa e sui costi beverage. Con un’analisi particolarmente interessante, vengono trattate le previsioni ricavi e la pianificazione, il controllo e la valutazione dei risultati economici nella banchettistica.

L’ultima parte del libro è dedicata ad aspetti di tecnica professionale, particolarmente cari all’autore, come la degustazione e l’abbinamento del vino, della birra e dell’acqua minerale col cibo con un approfondimento sul vino biologico e biodinamico e sui liquori e i distillati. Pur essendo stato scritto in quella che oggi definiremmo “era pre-Covid”, il manuale resta di grande interesse per chi intende saperne di più sulla gestione di un’impresa ristorativa, senza affidarsi solo al proprio “senso per gli affari” e soprattutto all’improvvisazione.

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* La fie r a che r e i n v en a l a p a u s a p ra nzo ** codice v a li do d u r ante l’ a pe r tu r a del la b i g e t t e r a

13 e 14 mar zo 2024

Paris - Porte de Vers ailles

I l t uo b a dge d ’acces s o g r a t ui t o con i l codice * *

PSM R I S A ND 2 4

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