PIG Mag 87

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Mensile. Numero 87, Novembre 2010

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Allyson Felix. Molto piĂš di un record di velocitĂ . Playmaker, leggenda del bowling, campionessa di sollevamento pesi al liceo. Ora corre da professionista. E indossa NSW Destroyer.


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Testando il nuovo scanner... A pagina 42 (BE STUPID...)

PIG Mag 87, Novembre 2010 PIG Mag is: Daniel Beckerman Publisher Simon Beckerman Publisher & Editor in Chief Sean Michael Beolchini Executive Editor Fashion & Photography Valentina Barzaghi Managing Editor, Cinema Editor Giacomo De Poli (Depolique) Managing Editor Music Ilaria Norsa Managing Editor Fashion Fabiana Fierotti Fashion Editor, Production Assistant Marco Velardi Managing Editor Books Maria Cristina Bastante Managing Editor Design Giovanni Cervi Managing Editor Art and New Media Janusz Daga Managing Editor Videogames Piotr Niepsuj Assistant Managing Editor Music, Photography Gaetano Scippa Contributing Music Editor Marco Lombardo Contributing Music Editor Graphic design dept Stefania Di Bello - Graphic design and layout

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Contributors Marco Braggion (musica), Michela Biasibetti, Federica Baldino, Sara Ferron Cima, Sara Kollhof, Coley Brown (foto), Irwin Barbé (foto), Lady Tarin (foto), Violetta Gatti, Erika (model), Mathias Sterner (foto), Asha (model), Ilaria Peretti, Giorgio Gemmi, Michele Egg Papetti, Antonio Trovisi (hair&make-up), Hoy Fashion (foto), Tankboys (foto).

Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI). Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20

Special Thanks Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Caterina Panarello, Rebecca Caterina Elisabeth Larsson, Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Matteo Convenevole, Karin Piovan, Laura Cocco e Victoria Ebner.

Abbonamenti: B-Arts S.r.l. Tel. +39 02.36.55.90.90 email: abbonamenti@pigmag.com

Marketing Director & Pubblicità: Daniel Beckerman adv@pigmagazine.it Pubblicità per la Spagna: SDI Barcelona - Advertising & Graphic Design Tel +34 933 635 795 - Fax +34 935 542 100 Mov.+34 647 114 842 massi@sdibarcelona.com Gestione & Risorse Umane: Barbara Simonetti Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com Direzione, Redazione e Amministrazione: Ripa di Porta Ticinese, 21 - 20154 Milano. Tel: +39 02.36.55.90.90 - Fax: 02.36.55.90.99 Presidente: Daniel Beckerman PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001 Sviluppo foto: Speed Photo, via Imbriani 55/A - 20158 Milano Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A. Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy). Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46

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I versamenti devono essere eseguiti sul CC Postale numero 38804795 intestato a B-Arts S.r.l Spedizione in abbonamento postale 45% art. 2 comma 20/B Legge 662/96 Milano. Contenuto pubblicitario non superiore al 45%. Per informazioni su distribuzione e abbonamenti internazionali: international@pigmag.com PIG all’estero: Grecia, Finlandia, Singapore, Spagna, Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania. PIG è presente anche nei DIESEL Store di: Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso. PIG Magazine è edita da B-arts editore srl. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.



Sommario Interviste:

78: Zola Jesus

64: John Turturro

60: Diane Pernet

74: Matthew Dear

66: Andreas Nilsson

94: Andata e Ritorno. Foto di copertina di Piotr Niepsuj

Interviste:

Moda:

Street Files:

70: DJ Hell

84: Erika

52: Liverpool

Foto di Lady Tarin

Foto di Hoy Fashion

Regulars 12: Bands Around 18: Shop: Il Baule Blu 20: Publisher: Nicholas Gottlund 22: Design 24: PIG Files 28: Moda News 40: Moda: Coats 48: Photographer of the Month: Ugne Straigyte 106: Musica 112: Cinema 116: Books and So 118: Whaleless 122: PIG Waves 124: Videogames

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Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Mystery Jets La Casa 139, Milano

Nome? Kapil Trivedi Età? 26 Da dove vieni? Londra Cos’hai nelle tasche? Passaporto, cellulare, portafogli, elenco degli alberghi di Verona e dieci Corone Qual è il tuo vizio segreto? Travel Pussey Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? Klaxons Di chi sei la reincarnazione? Michael Jackson Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Jeff Pocaro (il Dio della batteria degli anni ottanta) e Eric Cantona Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Frank Sinatra

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Nome? Kai Fish Età? 24 Da dove vieni? Londra Cos’hai nelle tasche? Passaporto, biglietti del treno per tutte le destinazioni Qual è il tuo vizio segreto? I gatti Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? The Magic Numbers Di chi sei la reincarnazione? Jacqueline Dupre Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Spice Girls Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Pavarotti

Nome? Blaine Harrison Età? 25 Da dove vieni? Sheperd’s Bush, Londra Cos’hai nelle tasche? La macchina fotografica Flip, tabacco American Spirit (35 g), Crackberry e il numero di telefono di Paula Grotowski (una belissima cameriera di Malmö) Qual è il tuo vizio segreto? Gioielli gotici cheap Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? Kelly Rowland Di chi sei la reincarnazione? La Nonna di Kelly Rowland Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Taj Mihelich (il mio rider BMX preferito di Austin, TX) Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Serge Santiago

Nome? William Rees Età? 25 Da dove vieni? Londra Cos'hai nelle tasche? Una Pietra portafortuna, plettro e monete di valute diverse Qual è il tuo vizio segreto? I puma Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Take That Di chi sei la reincarnazione? Walter Gibbson Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Jennifer Aniston Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? La Dolce Vita (WOW!); Cerrone, Supernature; Goblin, Tenebre



Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Magic Kids La Casa 139, Milano Nomi: Will McElroy, Alex, Michael Peery, Bennett Foster, Ben Bauermeister, Alice Irene Buchanan. Età? 21- 25 Da dove venite? Memphis, TN, USA. Cosa avete nelle vostre tasche? Monete di valute diverse, cellulare, portafogli, chiavi di alberghi, plettri, pelucchi e pallini. Mi dite un vostro vizio segreto? Raccogliere dolcetti, cioccolatini, snacks, taccheggiare, teleshopping. Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Ariel Pink’s Haunted Graffiti, Third Eye Blind, Blink 182, The Cranberries, Ludacris, Delorean. Di chi siete la reincarnazione? Gwen Stacy, un gufo, Ringo, ma va la reincarnazione non esiste! Che poster avevate nella vostra camera quando eravate teenagers? Il calendario di Justin Timberlake, X-Man, Björk , vari gruppi metal, Dennis Rodman, Blink182, Rage Agaist The Machine, Beastie Boys, Dutt. Ci dite il nome di un artista o di una canzone italiana? Le Orme, Ad Gloriam; Italo Calvino; Giorgio Moroder, I feel love; ma Sally Shapiro è italiana?

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www.bluedistribution.com


Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Foto di Piotr Niepsuj

Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista Chiara Bertola, direttamente dall’Hangar Bicocca.

Chiara Bertola Come sei arrivata all’Hangar Bicocca? Attraverso un concorso pubblico pubblicato su internet. Una modalità comune all’estero, ma inusuale per l’Italia... Tra pubblico, privato e produzioni dal basso, dove pensi che l’arte abbia più libertà? Penso che l’arte abbia libertà ovunque le si dia la possiblità di manifestarsi. Il titolo della prima mostra del progetto “Terre vulnerabili” è “Le soluzioni vere arrivano dal basso”, una frase di Yona Friedman. Quanto deve girare ed essere curioso chi ha un ruolo come il tuo? La curiosità è un motore fondamentale per tutte le cose che girano intorno all’esistenza. Inoltre poter “vedere” e vivere l’opera dal vivo credo sia un’esperienza importante per capire l’artista e il suo lavoro quindi, direi che il “girare” per aggiornarsi sia, per un curatore, una condizione imprescindibile. Allo stesso tempo

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il moltiplicarsi di eventi in ogni parte del globo ha bisogno di una severa selezione. Riesci a staccare la testa ogni tanto oppure ogni scusa è buona per avere idee e fare progetti? Non penso esista un ‘progettoio’, un luogo apposito in cui mettersi e pensare ai progetti. Quelli migliori mi sono sempre arrivati quando sono in movimento e sto facendo altro! E’ il solo modo in cui riesco a fare delle relazioni e connessioni utili da inserire in seguito dentro ad un progetto. Per esempio il treno è uno spazio interessantissimo in quest’ottica. Cosa pensi manchi a Milano dal punto di vista culturale? Per quello che vedo a livello istituzionale, potrei polemicamente rispondere che manca tutto! Invece penso che ci siano tante realtà interessanti e vive, magari piccole, ma che da un punto di vista culturale sono molto attive,

aggiornate e connesse con il mondo internazionale. Penso non solo all’arte contemporanea ma soprattutto al teatro, alla danza, alla musica, al video. Purtroppo avrebbero bisogno di aiuti economici da parte delle istituzioni pubbliche per poter concorrere all’estero con produzioni nuove, quindi c’è la necessità di poter percepire una programmaticità forte sulla cultura da parte della città. Del futuro che mi dici? E’ una risposta che non so dare, aspetto l’onda d’urto che sta arrivando dopo i tagli ai finanziamenti sulla cultura fatti dal governo, questo ci costringerà a inventarci delle soluzioni più vere e forse più interessanti. Certamente solo chi sarà creativo, generoso e disposto a condividere riuscirà a crescere. Non so, questa mi sembra una strada che riesco a vedere in futuro.... www.hangarbicocca.it



Shop

Intervista a Claudia Grano e Silvia Brinis di Federica Baldino

Il Baule Blu Il negozio di Claudia Grano e Silvia Brinis è un vero e proprio Teddy Bear Hospital, un negozio-laboratorio di restauro per far tornare in vita i nostri vecchi e polverosi orsacchiotti. Ma al suo interno di nasconde anche una vastissima selezione di antiche perle Veneziane e vecchi mobili. Ciao! Come va? C&S: Bene,contente di essere ancora qui insieme dopo 14 anni di attività. 14 anni? Un matrimonio. Sono proprio curiosa di sapere com'è nato Il Baule Blu. C&S: Ci piaceva fare i mercatini dell'antiquariato, eravamo appassionate di giocattoli antichi soprattutto teddy bears, li abbiamo cercati venduti e collezionati per anni, abbiamo imparato a restaurarli usando vecchi materiali e abbiamo imparato a costruirli, così quando ci è capitata l'occasione abbiamo aperto un negozio che vendeva inizialmente solo giocattoli vecchi e li restaurava pure. Ma adesso diciamo che non si trovano solo "vecchi giocattoli"... C&S: Il giocattolo è passato in secondo piano anche se continuiamo a fare restauri (siamo le uniche in zona) e a costruire qualche teddy bear. Vendiamo essenzialmente piccoli

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mobili come sedie di modernariato o firmate da qualche designer, piccoli etager, lampade sempre di design oppure di modernariato, abbiamo anche una grossa quantità di perle veneziane degli anni 70 e 60 in vetro ovviamente. Il vostro cliente tipo? Non credo siano bambini... C&S: Abbiamo parecchi clienti architetti, ci piace molto trattare con loro, sanno di cosa stiamo parlando e conoscono i prezzi di mercato. Ma lavoriamo specialmente con gli italiani, pochi stranieri... non è facile per loro portarsi via un mobile anche se qualcuno ci riesce.Vengono da noi anche persone un pò particolari... artistoidi per intenderci, non so come spiegarmi meglio... Ah dimenticavo il vecchio baule blu in soffitta... C&S: Il nome viene proprio da quel baule

che è stato per anni in vetrina e che adesso sta in soffitta con il cambio di stagione. Blu perchè in origine era marrone ma a lei faceva schifo, quindi lo ha riverniciato, sennò ci saremo chiamate il baule color cioccolato magari... (ride) io non ho preferenze di colore, andava bene così. Ci conosciamo da 30 anni e non vedo perchè non dovrei fidarmi. Una società è come un matrimonio. Claudia e Silvia due persone con uno spiccato senso dell'estetica... C&S: E della manualità...ripariamo tutto, spesso gratis per gli amici. Questo però è meglio che non si sappia in giro, altrimenti ci troviamo fuori la fila di gente con phon e tostapane davanti al negozio. Campo S.Tomà, 2916/a- 30125 Venezia



Publisher

Intervista di Piotr Niepsuj. Foto di Coley Brown

Nicholas Gottlund Gottlund Verlag è una piccola casa editrice della Pennsylvania. Nicholas Gottlund, il suo fondatore, stampa libri di fotografi indipendenti e lo-fi dalla sua minuscola casa in campagna, usando tecniche di cent’anni fa. Coley Brown, uno dei nostri fotografi preferiti, è passato recentamente da là per preparare il suo nuovo libro e ci ha madato alcune foto del suo viaggio. Ci siamo innamorati subito.

Ciao Nicholas, come stai? Ciao.Sto molto bene, grazie! Coley ha scritto che vivi in un bosco, in campagna, in mezzo al nulla, é vero? Si, vivo in un boschetto che si trova in mezzo alla campagna della Pennsylvania. Non è proprio in mezzo al nulla anche se a volte la sensazione è proprio quella. Hai sempre vissuto lì? Sono cresciuto qui, esattamente in questo pezzettino di mondo. Ho vissuto in molti posti diversi, ma alla fine ho deciso di tornare qui. Oltre a vivere in una piccola cittadina, è lì che pubblichi anche i tuoi libri. Quando e come hai deciso di aprire la tua casa

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editrice? Tre anni fa vivevo in New Mexico. Lì veramente era come stare in mezzo al nulla. Mi sentivo come se avessi abbandonato quella che era stata la mia vita fino a quel punto per andare a meditare in mezzo alle montagne o qualcosa del genere. Così ho deciso di tornare negli Stati Uniti. La mia famiglia dal 1800 aveva una piccola agenzia di stampa nella nostra città. Quando tornai, incominciai a parlare con loro e mio zio mi diede una vecchia macchina per la stampa che aveva conservato nel suo fienile. A partire da quel momento incominciai a fare le mie stampe.

Ho letto che hai un ricco background per quanto riguarda le stampe… Ho frequentato l'Accademia delle Belle Arti, dove mi sono specializzato in stampa. Ho incominciato ad interessarmi alla rilievografia, alla serigrafia e, in modo particolare, ai libri che riguardano gli artisti. E' stato lì che ho capito che le tecniche di stampa richiedono molta concentrazione e precisione, ma ho anche imparato come spingermi al limite del processo. Il tuo lavoro ti paga le bollette? Hahahaha, questa è la domanda che mi fanno più frequentemente! Diciamo che non sto diventando un milionario grazie al mio lavoro.


Nonostante ciò, posso dire che, sì, mi paga le bollette ma solo perché lavoro molto. Quanti anni hai? Ne ho 28. Ti consideri oldschool? Cose come impostare i caratteri lettera per lettera aiutano anche a fare il layout di un libro sul computer. Alcuni processi, come stampare foto in una camera oscura o stampare attraverso inchiostro a base di olio su carta ti fanno sentire la qualità dell'oggetto che crei. Questi processi hanno sempre fatto una grande impressione su di me. Detto questo,

posso dire con certezza che però non sono rimasto all'epoca di Byron. Tutto gira intorno al presente. Cosa rende Gottlund Verlag meglio di altre case editrici? Non pretendo che la mia sia meglio delle altre case editrici. Sicuramente siamo differenti. Ogni editore è particolare e crea libri unici, con stili unici. Mi sembra di essere un disco rotto quando parlo così, ma cerchiamo di fare il più possibile da soli. Gestire la produzione, fare andare le stampanti, rilegare i libri e lavorare personalmente con gli artisti inserisce il nostro

business in una dimensione propria ed unica. E' molto difficile mantenere il lavoro su questo livello, ma alla fine paga. Come hai conosciuto Coley che, fra l'altro, è uno dei tuoi fotografi preferiti? Incontrai Coley attraverso un amico comune, Andrew Laumann. Stavo lavorando su "New Messages" con Andrew, quando lui mi disse che Coley era occupato a raccogliere materiale per fare uscire un suo libro. Nel momento in cui lo incotrai per la prima volta, ho capito da subito che avremmo potuto collaborare ad un libro grandioso insieme.

Da un lato ci sono persone che incominciano a pubblicare online, mentre dall'altra molti continuano a stampare le proprie zines: tu che ne pensi? In che direzione ci si dirigerà nel futuro? C'è questa grande ondata creativa di autopubblicazioni tra i giovani artisti, che così trovano il modo per promuovere il proprio lavoro e di confrontarsi con i propri amici. Credo che questa moda andrà via via per attenuandosi, fino a sparire. Immagino che Internet continuerà ad evolversi. I formati dei vari blog migliorano man mano e condividere informazione è sempre più facile. Personalmente però, continua a piacermi

l'inchiostro su carta. Ho visto che fai anche foto… Me ne parleresti un po'. Come mai non si vedono in giro molti dei tuoi lavori? Vedo me stesso come un artista praticante. Mi concentro molto sulle mie pubblicazioni, visto che sono il mio lavoro principale. Nonostante ciò, è anche vero che, nel mio cuore, ho una grande passione per creare arte anche da me. Vorrei fare uscire un libro sul mio lavoro prossimamente. Non ho fretta. Ho un mio sito internet molto semplice, ma non mi sto occupando molto del lato commerciale. Non ho mai capito bene quante persone sappiano realmente del mio lavoro.

Quanto è grande la tua collezione di libri? Cresce di anno in anno. Ogni libro che ho è un libro che amo. Colleziono libri, foto ed altro in base a ciò che mi piace o in base ad una certa qualità o un certo sentimento che riconosco in un oggetto. I libri sono dei grandi oggetti da collezionare. Portano via poco spazio ma contengono dei grandi mondi a parte. Ti eccita pensare al futuro? Sempre. Il progetto più eccitante è sempre quello che uno ha nella propria testa. Ci penso spesso mentre guido. Il mio momento migliore per elaborare progetti avviene solitamente durante i lunghi pezzi di strada. www.gottlundverlag.com 21


Design

Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

ZP studio, tazza Easy Cup

ZP studio, lampada Visitors

Design on the web Evviva la condivisione. E il web (s’intende). Soprattutto quando è lo spazio per un progetto come quello di Garagedesign. Un’eccezione alla regola, perché i quattro che si celano dietro questo nome non sono designer. E allora che cosa fanno? Producono oggetti di design, ma solo quelli che davvero le persone vogliono. Noi abbiamo incontrato Elena Barbieri per saperne di più.

Sabrina Tetrao, poltrona Nido

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Dorothy Gray, teiera Siamese Dream


Ciao Elena, allora che cos'è Garagedesign? Garagedesign è un atelier di produzione e webshop di oggetti di design inediti, è un punto di incontro tra chi crea progetti d’avanguardia con chi è alla ricerca di oggetti unici e speciali da acquistare. Chi c'è dietro Garagedesign? Siamo in quattro, accomunati dalla passione per il design: due creativi della comunicazione, un manager d’azienda e un produttore di arredi su misura di alta qualità. Collaboriamo con un network di professionisti nel mondo del design per selezionare i progetti più innovativi ed avvicinare i giovani designer alla nostra realtà. Che cos'è per voi il design? In linea di principio la nostra interpretazione di design è il progetto che unisce estetica e funzione, si realizza attraverso una lavorazione artistica/artigianale e si vende sul web. Pensate che il design debba essere utile? Utile nella misura in cui ti aiuta nella quotidianità o semplicemente ti fa veder le cose da punti di vista differenti… ti sorprende. Con che criterio vengono scelti i progetti da proporre sottoforma di prototipo nel webshop? Originalità ed eco compatibilità sono tra i nostri criteri, ma a ben guardare la collezione credo il bello sia che non seguiamo un canone estetico predefinito, anzi è piuttosto eclettica. Ci sono oggetti legati al design più classico e funzionale e altri oggetti più surreali, in cui l’utilità è in secondo piano rispetto al gioco artistico. E' mai capitato che un progetto che ritenevate valido non abbia raggiunto il numero minimo degli ordini per entrare in produzione? Abbiamo attivato le vendite sono da alcuni mesi, l’acquisto on-line di oggetti costosi non è semplice, infatti alcuni pezzi più impegnativi non sono ancora stati prodotti. Che cosa pensate della scena attuale del design in Italia? Che designer trovate interessanti? Chi invitereste a collaborare con voi? La realtà del design italiano è estremamente interessante e ricca ma abbiamo anche lo sguardo rivolto ai designer stranieri. Chi inviteremmo a collaborare con noi?... Se Paola Navone ci sta leggendo... bhe, questo è un appello per lei! Come stanno andando le vendite fin'ora? Qual è l'oggetto (o la tipologia) più richiesta/apprezzata? I pezzi più venduti sono la Teiera per due Siamese Dream dei designer Dorothy Gray, i porta bicchieri Easy cup di Zp Studio e la Lazy Football di Emanuele Magini, che è appena stata esposta in “The New Italian

Giordano Pozzi, seduta B-bench

Design” della Triennale Design Museum di Milano, ora in viaggio per Istanbul. In un certo senso avete lanciato una sfida ai meccanismi "classici" di produzione del design (commissioni di aziende) e rappresentate un'alternativa all'autopromozione e autoproduzione… Infatti è così!. Ci piace pensare che esista nel mondo degli oggetti un interstizio abbastanza grande per muoversi tra dilaganti produzioni in serie e semi-estinte lavorazioni artigianali. Spesso la logica del mercato basata sui grandi numeri penalizza ciò, noi proponiamo un meccanismo praticamente privo di sprechi in cui la buona idea viene premiata, ottimizzata dalla conoscenza produttiva, curata individualmente nella realizzazione e consegnata direttamente all’acquirente. L'altro aspetto che trovo interessante è quello legato alle modalità di condivisione del web 2.0: in un certo senso voi chiedete un parere al pubblico prima di produrre un oggetto. Se piace, se viene ordinato, allora viene prodotto... Si, l’obiettivo e produrre solo ciò che è veramente richiesto dal mercato, evitando sprechi e giacenze in un ottica di sostenibilità. Qui Il cliente non è un numero importuno, ma un vero protagonista del processo economico-commerciale. Gli oggetti proposti hanno una fascia di prezzo eterogenea: Qual è stata la risposta del pubblico fin'ora? Vorremmo mantenere dei prezzi democratici, in modo che gli oggetti Garagedesign non siano prettamente esclusivi, l’esclusività è più data dal concetto di edizione limitata. Chiaramente gli articoli che comportano particolari lavorazioni artistiche/artigianali hanno prezzi più alti. Esiste qualcosa di simile all'estero? Avete trovato qualche ispirazione "oltre confine"?

Si tratta di un’impresa sperimentale ed assolutamente unica nel suo genere, un modello innovativo nel mondo del design dal punto di vista del business, qualcuno lo ha definito “design prêt-à-produire”. C'è un oggetto o una collaborazione che ricordate con particolare affetto? Ci ha fatto piacere che alla prima edizione abbia partecipato un designer affermato come Fabio Bortolani. Per il resto, come rispondono le maestre, “non facciamo differenze”... Il bando viene pubblicato con una certa cadenza, anche in vista della partecipazione a fiere di settore. Fino adesso a quali avete preso parte? Che riscontri avete avuto? L’esperienza di lancio al FuoriSalone 2010 è stata molto positiva, abbiamo ricevuto complimenti sia dai designer che dai visitatori, la cosa più bella è quando ti dicono “bravi avete fatto qualcosa che mancava”. Dopo il salone abbiamo partecipato al DMY Berin 2010 e saremo presenti alla Biennale cinese Get It Louder di quest’anno con un bando speciale per designer Cinesi I migliori designer cinesi esporranno fianco a fianco ai designer italiani selezionati per il FuoriSalone 2011. Molti oggetti di design limited edition "sembrano" opere d'arte contemporanea e molti artisti contemporanei delle ultime generazioni "giocano" con il design, attraverso citazioni o proponendo installazioni dalla forte componente oggettuale. Che cosa pensate di questo scambio? E' proficuo? Al centro della questione ci sono i concetti di unicità e di utilità, quando l’arte se ne allontana il design ci si avvicina e viceversa. Da questa dialettica nascono anche gli oggetti di design artistico che ci piacciono. www.garagedesign.it

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PIG files

Di Giovanni Cervi

In da House Legno e sole, sono le basi della vita. Aggiungi fantasia e ti ritrovi una casa dal classico gusto spagnolo/gitano. Questo progetto esce dagli studenti del catalano IaaC, Institute for Advanced Architecture of Catalonia, che sembra proprio essere una garanzia per il futuro. www.fablabhouse.com

Katana rain

Pick me up

Quando la città ti assale, quando la pioggia ti sommerge, quando devi guardarti le spalle, Samurai Umbrella è la soluzione definitiva. Penso che sia una delle cose più contemporanee che abbia mai visto, è utile, richiama il passato in chiave moderna ed esteticamente è impeccabile. Banzai to the system! samuraiumbrella.com

150 tennellate di capacità, copre qualunque distanza, silenzioso ed ecologico. Skylifter sta vedendo la luce in Australia, grazie a finanziatori internazionali. Sembra una grande trottola del cielo, nel prossimo futuro porterà in giro le nostre case o ci farà solo girare la testa? skylifter.com.au

Second coming Stiamo per entrare in una seconda era dominata dal carbone. Dopo la rivoluzione industriale di un paio di secoli fa ecco quella digitale. Dal carbone infatti hanno ricavato il “graphene”, una sostanza dalle mille applicazioni che, a detta di molti, dovrebbe dare una spinta alla tecnologia globale verso un futuro ancora più veloce e sostenibile. E se fosse vero? www.graphene-info.com

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Adam and the garden 3000 Perduto tra il verde della Cornovaglia si staglia una serie di bolle di sapone solide, megalitiche, vive: Eden Project. Un sogno divenuto realtà per ogni amante del verde, un futuro già presente, una location impareggiabile. Voglio una mela e la nuova Eva. www.edenproject.com

Car pet?

Biochimical design

Il feticismo verso tutto ciò che riguarda Guerre Stellari non ha mai limiti. New entry nel negozio online di Star Wars è questo Wampa rug, candido tappeto ispirato a una creatura uccisa da Luke Skywalker. Ps: la principessa Leila Organa di Alderaan, non è inclusa. shop.starwars.com

Marin Sawa unisce il design alla biochimica. Realizza ampolle che illuminano, pozze da coltivare, tutto a base di alghe, vetro e reazioni chimiche. Le verdi alghe convertono CO2 in O2, l’acqua da viola a giallina, mentre i tubi si illuminano grazie alla fotosintesi dei vegetali. Quasi fantascienza. www.marins.co.uk

Tower of power L’acqua inquinata e infetta ha altri usi oltre a far fuori migliaia di innocenti? Sì, secondo gli ideatori di “Water Vapuor - Sang-Wook Park + Lee Sin-Jeong + Lee Ho-Young + Jo Hyeon-Ju”. Il vapore acqueo come fonte di energia, per una nuova rivoluzione industriale Made in Corea con destinazione Africa. Senza dimenticare che la terra d’oriente è sempre più prolifica di progetti di altissimo livello, la nuova capitale del design? www.iida.kr

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Feature on Designer: Raphaelle H’limi www.raphaellehlimi.com - Intervista di Fabiana Fierotti

Raphaelle H’limi, fresca di matrimonio e nuovo lavoro, è una delle designer emergenti che più ha attirato la mia attenzione negli ultimi tempi. Ad un estro tutto personale, si unisce una voglia di fare che comunica estrema positività. Credo saprà regalarci delle belle sorprese in futuro. Ciao Raphaelle, come stai oggi? Mi sento molto felice, mi sono appena sposata e ho iniziato un nuovo lavoro. Wow! Congratulazioni! Che lavoro? Sto lavorando per un'azienda parigina di successo e allo stesso tempo sui miei progetti personali, in modo da sviluppare il mio piccolo mercato. Dove ti trovi in questo momento? Vivo e lavoro a Parigi. Parlaci delle tue origini. Il tuo cognome, H'limi, è piuttosto particolare... H'limi è della famiglia di mio padre. L'apostrofo nasce da un errore di battitura quando i miei nonni arrivarono in Francia. Da quel momento la lettera A è andata persa e sostituita. Così ci sono due scuole di pensiero a riguardo nella mia famiglia: mio padre ha scelto di essere chiamato Limi, togliendo la H, per rendere le cose più semplici al suo pubblico (è un artista). E da parte mia, c'è stata la decisione di esserne orgogliosa e svilupparlo come

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logo per il mio brand "H'LIMI". Amo questo strano nome. Quando hai deciso di diventare designer? Amo la moda fin da quando sono una bambina. Quando ero una teenager ho deciso di imparare a disegnare e di farmi una cultura sulla storia dell'arte. Diventata un pò più grande, ho studiato moda per quasi otto anni, facendo pratica, cucendo e partecipando a qualche stage... credo si tratti di una voglia crescente, molto potente e profonda. Dove hai presentato la tua collezione aw10? Perchè? Questa collezione è stata presentata a Bruxelles perchè era la collezione con cui mi sono diplomata a La Cambre. Che cosa mi sai dire a riguardo? La mia collezione è molto personale: si è trattato di trovare ciò che veramente amo della moda. Quando ho provato a sintetizzare le mie idee in qualcosa di coerente, ho scoperto che amo la moda come gioco. La

mia collezione si chiama "Play The Game". Volevo essere di nuovo una bambina che rimane affascinata dalla creazione. Sono stata ispirata dalla kiddo-blogger Tavi che indossa degli outfit da pazzi e poi li posta su internet. Amo la geometria nei vestiti, almeno quanto i colori e le stampe. E' bello quando un abito emana una buona vibrazione. Infatti hai un’estetica decisamente curiosa. Riusciresti a descriverla in tre parole? Divertente, fresca e femminile. Adoro i tuoi occhiali. Come sono stati realizzati? E' tutto fatto a mano, partendo da un occhiale vintage senza lenti, avvolto con lana e coperto di pelo, perle e catene... Quali sono i piani per il futuro? Vorrei mandare le mie collezione a diverse competizioni. Allo stesso tempo, vorrei realizzarmi in un buon brand e essere una brava designer.


Blog of the Month: Down With Prince downwithprince.wordpress.com - Intervista a Jan Ninh di Fabiana Fierotti

Genio assoluto. Questo è ciò che penso di Jan Ninh, creatore del blog Down With Prince. Il suo modo di guardare la realtà dalla sua piccola cittadina è cosciente, analitico, vero. Finalmente un blog “da leggere”. Ciao Jan, come stai? Bene, grazie. Dove

munque cerco sempre di non pensarci... Wow,

è il sentimento che si impone di più guardan-

ti trovi in questo momento? Sono appena

questa si che si chiama sincerità. Cosa hai

do il mio blog. Sembri molto interessato al

tornato a casa dopo aver passato un'ora e

fatto dopo la scuola privata? Sono diventato

comportamento femminile in generale. C'è

mezza a giocare a biliardo. Quali sono i tuoi

un fuoricorso col desiderio di tornare alla sua

qualche ragione particolare? Come Henrik

piani per la giornata? In questo momento la

laurea in Informatica. Però non mi piace studia-

Ibsen, credo che le donne, rispetto agli uomini,

mia vita in generale non ha una vera e pro-

re, ma mi piacerebbe andarmene da Odense.

siano più propense ad avere un approccio più

pria direzione. Sono un po' privo di propositi.

Quindi non hai un lavoro? Lavo i piatti nei

spontaneo e individualistico alla vita, perchè

Raccontaci un po' di te, della tua infanzia...

weekend. Trovo che il tuo sia uno dei pochi

sono legate più alle loro intuizioni ed emozioni

Sono nato in una casa cristiana. Quando ave-

blog che abbiano un contenuto interessante.

che alla morale sociale e al pensiero conven-

vo quattro anni abbiamo lasciato Saigon e ci

Quando hai deciso di lanciarlo? Il blog è stato

zionale. Parli spesso della moda in relazione

siamo trasferiti in Danimarca. Da bambino i

creato da una necessità personale di esprimere

al cinema. Secondo te in che modo l'una

miei genitori erano troppo occupati ad edu-

gusti e interessi e di scappare dalla realtà per

influenza l'altro? La moda è espressione di

care se stessi e io ero abbastanza per i fatti

certi periodi di tempo. Ho deciso di lanciarlo

sè, emozioni e identità. I registi ne fanno uso

miei. Comunque, avevo molti amici e stavamo

proprio l'anno scorso. Di cosa ti piace scrivere

per fa convergere più personalità nei propri

per la strada tutto il tempo. I miei genitori

di più? Giovani che scappano di casa, anime

personaggi. La moda può anche essere usata

non sapevano mai dove trovarmi, mentre i

perse, persone che non ci stanno dentro. Trovo

nei film per catturare un certo periodo di tem-

ragazzi del vicinato si. Mi castigavano spesso

la bellezza nelle cose che non soggette o co-

po, dal momento che ogni era ha il suo trend.

per questo. Di conseguenza mi misero in una

strette dai limiti della normalità. Sento che loro

I film hanno un modo di accattivarsi e ispirare

scuola privata. Era il loro modo di riempire le

sono davvero puri e reali. La tua scelta di im-

l'audience. Ecco perchè i film di moda stanno

loro mancanze nei miei confronti, ma non si

magini e temi segue un preciso gusto, molto

crescendo così tanto. Che piani hai per il tuo

rendevano conto che era della loro presenza

particolare. Come lo definiresti? Cerco di non

futuro? Sto ancora imparando così tanto. Non

che avevo bisogno più di ogni altra cosa. Co-

pormi dei limiti di espressioni, ma la malinconia

voglio lavare i piatti per il resto della mia vita.

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In between by Guy Bourdin Esce proprio questo mese un capolavoro di raccolta su Guy Bourdin, edita da Steidl. Era il 1955 quando il primo servizio di questo fotografo a dir poco geniale apparse sulle pagine di una rivista: catturava l'alta moda accanto a delle teste di mucche macellate. Da quel momento Bourdin ha sempre spinto all'estremo i limiti della fotografia di moda, in una carriera durata più di 30 anni. La raccolta documenta l'evoluzione artistica del fotografo dal 1950 al 1980, con più di 200 immagini in bianco e nero e a colori. www.steidlville.com F.F.

Lulu & Co. Cade quest’anno il decimo anniversario di Fashion East, progetto creato da Lulu Kennedy che ha lanciato molti tra i designer più in voga del panorama londinese: Jonathan Saunders, Richard Nicoll, Gareth Pugh, Roksanda Ilincic e Marios Schwab, giusto per citarne alcuni. Per festeggiare, la Kennedy ha pensato bene di creare una collezione formata da una serie di limited edition dei pezzi simbolo dei designer di Fashion East: Lulu & Co. Potrete aggiudicarvi qualche pezzo unico da Harvey Nichols, Colette, Barneys, Opening Ceremony e comodamente su internet da Net-A-Porter. www.fashioneast.co.uk F.F.

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Headlines Fino al 20 Dicembre, ai Magazzini del Sale di Venezia si terrà Headlines, evento internazionale di graffiti writing promosso da Urban Code, RVCA e S.a.L.E. Tra i numerosi nomi che parteciperanno all'esposizione vi sarà anche Martha Cooper, icona del mondo dei writers. Fate un salto! www.headlines.urban - code.it www.rvca.com F.F.


Live From Asia Come tutti avrete notato, il mercato asiatico è in continua espansione. La nostra amica Sara si trova a Shanghai da un anno così le abbiamo chiesto di documentarci un po' sulla moda, gli eventi, i trend che si stanno sviluppando in questo momento così particolare.

Me & the City

Hermes Exhibition

Mentre a noi “Me & the City” ricorda vagamente una serie americana, in Cina è un brand che detta legge. Sembra la versione cinese di H&M e infatti come il gruppo svedese, il motto del brand è : “fashion and quality at the best price”. Il fondatore di “M&C” (Zhou Chengjian) era un sarto stacanovista che grazie ad un prestito pari a 20.000 euro è riuscito a creare un brand che attualmente fattura qualcosa come 3 bilioni di yuan (370 milioni di dollari) e cresce più del 30% ogni anno. Piccola chicca: per pubblicizzare il brand durante la s/s 2010 hanno inscenato una finta relazione tra Orlando Bloom e Agyness Deyn con tanto di video e scatti di Terry Richardson. E bravo Mr. Zhou! www.me-city.com di Sara Ferron Cima

La famosa Maison Hermès è arrivata a Shanghai. La location dell’esibizione è Huai Hai road. All’entrata, oltre ad una favolosa Birkin in versione gargantuesca, sono a disposizione brochures e video che mostrano la lavorazione delle H. bags. All’interno dell’allestimento, una sezione è dedicata a “pezzi unici” e rarità della Maison per un valore inestimabile. La cosa un po' paradossale è che praticamente a dieci minuti da qui, si trova il Fake Market dove puoi comprare una Kelly a partire da 30 euro! Questa vicinanza non sarà mica un invito disperato a non comprare merce contraffatta? Certo che 30 euro sono davvero pochi... www.hermes.com S.F.C.

Jenni Kayne 15, un numero perfetto, nonché quello dei look della collezione fw10 di Jenni Kayne presentata a NY. Anche questa stagione Kayne ha rigorosamente rispettato il suo motto: "Vestiti super chic ma facili da portare, questo è ciò che faccio". Così i guanti da equitazione vengono abbinati al top in lapin e ai pantaloni dalla linea fine che fanno da alternativa ai soliti, un po' noiosi abiti da cocktail. Anche la cartella colori non lascia spazio alla monotonia: si parte dal grigio e toccando il viola si arriva al giallo ocra. A voi la scelta. www.jennikayne.com di Sara Kollhof

Simple and Beautiful Quando ce vò ce vò! E stavolta è il caso di dire che A.P.C. non ha sbagliato un colpo. La fw10 è un concentrato di stile e attitude che rispecchia perfettamente i nostri gusti. I colori sono fantastici e i tagli... beh si semplici, ma quanta bellezza si nasconde dietro la semplicità delle cose? Non dobbiamo mica conciarci a festa ogni giorno! www.apc.fr F.F. 35


Marco De Vincenzo Quanto ci piace parlare di bravi e talentuosi designer italiani una volta ogni tanto! Marco De Vincenzo, nello specifico, è siciliano, di Messina, classe 1978. Dopo il diploma in Moda e Costume allo IED di Roma, inizia subito a lavorare per Fendi, per cui tutt'oggi cura gli accessori. Nel 2009 ha lanciato la sua linea di abbigliamento, vincendo il concorso Who is on Next? in collaborazione con Vogue Italia. La collezione fw10 è assolutamente perfetta, azzeccata in ogni piccolo particolare. Lana, colori caldi dal bordeaux, al verde, al senape, stile 70's, forme strutturate. Non c'è un look da scartare, insomma. www.marcodevincenzo.com F.F.

Carte Blanche By Kim Gordon Il progetto Carte Blanche è stato inaugurato da Sportmax nel 2009, con la collaborazione con Christophe Brunnquell, art director di Purple magazine. Adesso è arrivato il turno della musicista e visual artist Kim Gordon, che tutti conoscerete in quanto componente e fondatrice dei mitici Sonic Youth. La capsule collection comprende tre pezzi in edizione limitata (solo 800 esemplari numerati) totalmente ispirati al mondo della natura e al rapporto tra artista e ambiente, rivisitato con la tecnica dell'acquarello. www. sportmax.it/carteblanche F.F.

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We Likey... Questo anello a forma di artiglio di Obey, indossato è davvero d'impatto. Potete trovarlo presso i rivenditori Obey oppure nei numerosi shop online a cui il brand si appoggia. www.obeyclothing.com F.F.


Land Chadwick Bell e Vanessa Webster vengono dalla California. Da amici sono diventati soci, dando vita ad un brand based in New York. La collezione a/w 2010 si ispira alla fotografia aerea di Emmet Gowin. Da qui il nome LAND. Come Gowin esplora la relazione tra uomo e terra, Bell affonda le radici nel rapporto tra donna e natura del tessuto. Paesaggi rurali alterati dal lavoro meccanico, creano abiti dalla silhouette essenziale e dai colori tenui. Pensando alle origini, non manca un tocco di nostalgia. www.chadwickbell.com M.B.

Alexandra Groover Originaria della California, Alexandra Groover si trasferisce a Londra per tentare la carriera di fashion designer. Infatti, prima da Alexander McQueen e poi da Zandra Rhodes, approfondisce e applica gli studi fatti alla St. Martins, sviluppando uno stile tutto suo, che ricorda molto le atmosfere dei primi anni del Novecento. La peculiarità delle sue creazioni sta nel concetto di gioco: ogni suo capo può essere indossato in un milione di modi diversi, per non stancarsi mai e non essere mai uguali agli altri. Elemento ricorrente è l’uso del nero: secondo Alexandra è il modo migliore per esprimere se stessa e mostrare al meglio i tagli, i volumi e i materiali, oltre ad essere un classico perfetto per ogni occasione. Non si può certo darle torto. www.alexandragroover.com F.F.


I said menswear! Come vi avevamo anticipato nello scorso numero, ecco un’intera sezione dedicata alle news di moda maschile. Ogni mese Michela vi informerà su collaborazioni, streetwear, nuovi designer, varie ed eventuali. Hope you like it!

Nouvelle Vague Kulte è un brand francese, nativo di Marsiglia, frutto di un'équipe di appassionati di moda, arti grafiche e musica. Capostipite del marchio: Matthieu Gamet. José Lamali firma la Fall 2010, che prende il nome di "Nouvelle Vague". L'ispirazione viene dal regista parigino Jean Luc Godard e dal suo cult movie "A bout de souffle", del 1960. Non mancano riferimenti a personalità del calibro di Belmondo, Delon e Dutronc, attori simbolo dell'eleganza francese anni '50 e '60. Una moda semplice, giocata sui toni classici del blu, nero e marrone. Senza rinunciare alla cura per i dettagli, quelli che fanno la differenza. www.kulte.fr di Michela Biasibetti

A Major Collaboration Nike si unisce in un sodalizio con Undercover di Jun Takahashi. Il marchio con base a Tokyo, è riuscito in meno di vent'anni ad imporsi come la realtà più rilevante e di maggiore impatto per una moda che viaggia tra high fashion e cultura di strada. Il progetto tra i due brand nasce dalla passione di Jun per la corsa. Percorrendo inizialmente tratti brevi, è poi arrivato a coprire distanze di dodici chilometri quasi ogni giorno, entrando a far parte del team GIRA : la Gyakusou Internation Running Association. Si distingue per un motivo: "Gyaku" vuol dire "andare al contrario", mentre "sou" significa "corsa". La caratteristica di questo gruppo è di correre in senso antiorario, invece che orario come tutti gli altri runner di Tokyo. Non vi sorprenderà scoprire che la collezione è ovviamente dedicata alla corsa. Materiali tecnici e innovativi per una linea essenziale e semplice, che segue la filosofia del "Less but Better", di cui il fondatore di Undercover è portavoce. Detto questo, dopo dieci minuti di chiacchere con Jun in persona, non possiamo che essere di parte. La trovate da Nike Stadium e allo Slam Jam Store. Da questo mese. www.nike.com M.B.

Be Authentic! Carhartt e Vans si uniscono ancora una volta. Dopo il successo ottenuto con i modelli Chukka e Half Cab, i due brand di streetwear rivisitano la prima scarpa da skate anni '60: la Vans Authentic. In edizione super limitata, in cuoio e camoscio, disponibile da questo mese nei Vans e Carhartt Store. www.vans.com www.eu.carhartt.com M.B.

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From Copenhagen... Arriva Frost Birgens. Creato da Jakob Birgens nel 2007, lancia la prima collezione nel 2008. Oggi è diventata un'azienda creativa alla quale si sono aggiunti Simon Hepworth e Christian Kjaer, proiettandola su uno standard di alto livello. Combinando stili dal passato e presente, la caratteristica del brand è di non rinunciare alla funzionalità. Abiti dalla silhouette ampia giocano su colori tenui, dando vita ad un inno alla comodità. www.frostbirgens.dk M.B.



Coats

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Di Fabiana Fierotti

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1-2.Chloe 3.Alexander McQueen 4.Vivienne Westwood 5.Bottega Veneta 6.Chloe 7.Miu Miu 8.Etoile Isabel Marant 9.Gianbattista Valli 10.Moschino 11.Diane von Furstenberg 12.Lover 40 PIG MAGAZINE


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1-2.Max Mara 3.McQ 4.Max Mara 5.Peter Pilotto 6.Sonia by Sonia Rykiel 7.Rick Owens Lilies 8.Alexander Wang 9.Marni 10.Anna Sui 11.Stella McCartney 12.Jil Sander

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Scanner Test PIG Mag per DIESEL - di Piotr Niepsuj e Valentina Barzaghi

La redazione di PIG ha cambiato ufficio. Dovreste vedere dove siamo finiti... una bomba! Ci si sta talmente bene, che quasi lo abbiamo abitato nel vero senso del termine... Problema: i nostri ritmi spagnoli. Il trasloco sta andando a rilento e tra le tante cose che approfittiamo di fare in questo momento di passaggio, c’è anche l’acquisto di un nuovo scanner. Nell’indecisione su quale possa essere il modello migliore, abbiamo deciso di testarne un po’... personalmente! DIESEL ci ha aiutato in questo test sperimentale in cui, inutile dirlo, ci siamo divertiti un casino.


SCANNER A (pagina sinistra) Prova pulizia lastra non superata. Lo tocchi, si sporca. Come fare in ufficio in cui lo usano venti persone diverse al giorno (e fra l’altro... di queste venti solo una si ricorda che esistono i panni per la pulizia)? No, no... Next! SCANNER B Super risoluzione, questo ci piaceva. Nonostante la praticità e un buon prezzo, non ha la funzione per la scansione diapositive. Ok, magari non è un utilizzo che faremo nell’immediato, ma se mai ne avessimo bisogno?


SCANNER C Di questo ci siamo innamorati all’istante. Non mancava nulla (porta USB, scansione diapositive e lucidi), ma soprattutto che qualità d’immagine... Occhio ai peli fuori posto se se ti vuoi fare una scansione tra amici, si rischiano figuracce... Poi però abbiamo capito cosa non andava... Il prezzo. Testa china e affranta, la ricerca continua.


SCANNER D Questo era pressochĂŠ perfetto. Ottima definizione, di semplice utilizzo, ti permette anche di fare degli aggiustamenti sulle immagini prima della scansione finale, una dimensione compatta perfetta per un ufficio... ma la porta USB? No, non possiamo rinunciarci...


SCANNER E And the winner is... Ottima definizione, prezzo imbattibile, corredato di tutto il necessario, compatto quanto basta, ma con un formato che ci consentirebbe di scansionare qualsiasi cosa la nostra mente possa pensare... e con la consegna compresa. E’ nostro!



Photographer of the Month: Ugne Straigyte www.flickr.com/photos/ug--/ - A cura di Sean Michael Beolchini

Ugne Straigyte ha 19 anni e viene dalla Lituania. I suoi occhi sensibili e tranquilli sono contrastati dal suo gusto tom-boy; da questa combinazione nascono dettagli unici che descrivono giorni e notti estivi senza fine. Queste pagine mostrano una piccola selezione dei suoi lavori, vi suggerisco di cercare online altre fotografie di Ugne per vedere come riesce a dire così tanto usando così poco. Recentemente, si è spostata ad Amsterdam in cerca di nuove avventure. 48 PIG MAGAZINE


Come ti chiami? Ugne Straigyte Di dove vieni? Sono Lituana, precisamente di una piccola città che si chiama Marijampole. Dove vivi? Per ora ad Amsterdam. Ci campi con la fotografia? Direi di no. E allora come fai? I miei! Quanti anni hai? 19. Quanti te ne senti? A volte mi sento molto vecchia, sopratutto quando mi metto a confronto con le altre

persone della mia età, che spesso hanno pensieri frivoli. Mi sto riferendo ai miei compaesani. Può darsi che questo sia dovuto al fatto che vivono in una realtà piccola, dove non ci sono diversivi. Culturalmente parlando, non c’è nulla da vedere e da fare. Dall’ altro lato so che ho ancora parecchio per imparare e per vedere. I miei pensieri e le mie idee sono ancora in fase di sviluppo. Quando hai iniziato a fotografare e perché? Tutto iniziò quando trovai delle vecchie macchine fotografiche di mio padre. Ricordo un’estate torrida, durante la quale usavo portare un paio di jeans skinny verdi, che amavo almeno quanto le macchine fotogra-

fiche di mio papà. Mi piaceva fare foto dei miei amici, ovunque, mentre stavamo seduti sulla scarpata del marciapiede o mentre eravamo sdraiati nel salotto di casa. Direi che la maggior parte delle mie immagini raffiguravano letti, coperte e cuscini. Erano la mia grande passione. Immagino che la maggior parte delle persone che fanno foto devono aver provato lo stesso coinvolgimento davanti a questi soggetti. Tutto ciò risale a quattro anni fa. Osservando il tuo lavoro, si può rilevare una nota introspettiva nello stile e nella scelta degli soggetti / dei messaggi. Come mai? Lavoro molto esaminando me stessa. I mes-

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saggi sono spesso in relazione con il mio ego, con il mio essere, i miei sentimenti, con i soggetti che attraggono la mia attenzione, ma raccontano anche storie di persone entrate nella mia vita. Non amo mostrare visi come identità, preferisco illustrare storie attraverso dettagli. In questo modo l’immaginazione è meno ristretta. Film, musica, sogni e incidenti misteriosi mi ispirano a trovare strani dettagli nel percorso della mia stessa vita. Alla fine è come se si scovasse un cortometraggio della propria quotidia-

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nità. In questo modo si riesce a scoprire il pezzo di una storia ancora sconosciuta fino ad arrivare a costruire un sogno. Come descriveresti il tuo modo di fotografare? Alcuni dei miei lavori ritraggono gli stati d’animo delle persone e ciò che le circonda. I luoghi sono spesso incantati, come se si trovassero in mondi o memorie appartati. Le mie foto sono molto personali, di rado pianificate. Descriverei la maggior parte di esse come snapshot della mia vita perso-

nale anche se ulteriormente mi incuriosisce molto cercare combinazioni interessanti in situazioni che hanno concetti diversi. Qual è la tua big picture? E’ quella che nascondo nel mio armadio. Oltre a quella, ne ho una che piace più agli altri che a me. Ritrae un uomo che fa finta di essere un’alce. Sinceramente non ne capisco la particolarità. Non la posso vedere. Mi ricorda i cupcake con la glassa pink. Cosa non ti piace della fotografia oggi?


Non posso dire di odiare qualcosa, per quanto riguarda la fotografia. Credo che tutto sia al posto giusto. Ci sarà sempre una parte positiva e una negativa, ma è così in tutto. Non mi piace il fatto che nel mio paese la fotografia non sia apprezzata da una quantità più elevata di persone. Cosa ami della fotografia oggi? Amo il fatto che oggigiorno ci sia più libertà. Puoi sempre difendere i tuoi punti di vista a riguardo e non serve seguire per forza

corsi o scuole specifiche per farlo. Segui qualche regola? Se sì, quali? Non ho regole. Chi è il tuo fotografo preferito? Ce ne sono molti dei quali mi piacciono i lavori. Direi che sono Gustav Gustafsson, Dirk Braecman, Thobias Faldt. Che tipo di macchina fotografica usi? Uso la Canon AE-1 e la Olympus Mju-2. Che macchina vorresti usare? Mi piacerebbe provare la Contax G2. Chi ti piacerebbe scattare in topless?

Ho un piccolo progetto in mente. Si tratta di scattare culturiste in atmosfere atipiche in topless. Ho una buona sensazione a riguardo. Sinceramente non ho mai pensato a nessuna celebrità o persona in particolare. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo fotografo del mese? Potrebbe essere Katja Mater. Qual sarà il tuo prossimo scatto? Sarà un piccolo photo book con le mie foto. Ci sto lavorando. Mi sto concentrando su diverse idee per poi sceglierne una.

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Nome? Jenny Hind. Età?18. Da dove vieni? Liverpool. Piani per la giornata? Tornare a casa dopo scuola e poi, forse, andare a bere qualcosa stasera. Ami qualcuno? No, ma amo la mia migliore amica Sophie… HaHaha. Sei un fan dei Beatles? Si, una grandissma fan essendo originaria di Liverpool. Quale Beatle saresti stata? George, perché mi piace molto. L'ultimo libro che hai letto? The catcher and the rye… bella lettura!

Street Files. Liverpool - Foto di Hoy Fashion. www.hoyfashion.co.uk

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Nome? Andrew Peter Raven. EtĂ ? 26. Da dove vieni? Svezia. Piani per la giornata? Tornare in UniversitĂ . Ami qualcuno? Si. Sei un fan dei Beatles? Si. Quale Beatle saresti stato? George. L'ultimo libro che hai letto? The catcher and the rye.

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Nome? Nadia Alicia Muckia. EtĂ ? 22. Da dove vieni? Nottingham. Piani per la giornata? Lavoro :-) Ami qualcuno? Si. Sei un fan dei Beatles? Dio, si! Quale Beatle saresti stato? John Lennon. L'ultimo libro che hai letto? Forget you had a daughter.

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Nome? Eugene Mensah. www. styletransition.wordpress.com Età? 24. Da dove vieni? Liverpool. Piani per la giornata? Uni. Ami qualcuno? I miei amici. Sei un fan dei Beatles? Non proprio. Mi piacciono alcune canzoni. Quale Beatle saresti stato? Quello nero, che non diventò mai famoso. L’ultimo libro che hai letto? Cult Streetwear di Josh Sims.

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Nome? Greg Chester. Età?18. Da dove vieni? Liverpool. Piani per la giornata? Scuola :-( Ami qualcuno? No. Sei un fan dei Beatles? Un po’. Quale Beatle saresti stato? John Lennon. L’ultimo libro che hai letto? Leggo solo riviste. Per esempio Purple Fashion Magazine.

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Nome? Abigail Salter. Età ?19. Da dove vieni?Cambridge, Leeds. Piani per la giornata?Andare a vedere un paio di mostre in giro per la città. Ami qualcuno? Si. Sei un fan dei Beatles? Certo. Quale Beatle saresti stato? John. L’ultimo libro che hai letto? The power of now.

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Nome? Sophia Mc Arlane. EtĂ ? 22. Da dove vieni? Stockbridge Village, Liverpool. Piani per la giornata? Lavoro, poi thĂŠ con le amiche. Sei un fan dei Beatles? Si. Quale Beatle saresti stato? John Lennon. L'ultimo libro che hai letto? L'autobiografia di Cheryls.

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Diane Pernet Diane Pernet non ha certo bisogno di presentazioni; è stata, nell’ordine, fotografa, fashion designer, giornalista, genio assoluto aggiungerei. Ricordo ancora la prima volta che la incontrai: era il mio primo anno a Milano e la mia prima settimana della moda. Vidi in lontananza una massa fluttuante di veli neri camminare verso di me. Avvicinandomi, iniziai ad analizzare ogni particolare di quella donna stranissima. All’inizio, non avendo capito chi fosse, pensavo si trattasse di una delle solite matte che girano per Milano. Solo dopo un paio di giorni, guardando gli scatti di street style fatti dai blogger durante le sfilate, finalmente scoprii chi era. Circa un mese fa, dando un’occhiata al suo blog, ho deciso che era arrivato il momento di intervistarla. E’ stata un’assoluta sorpresa scoprire che Diane non solo è simpaticissima, ma anche davvero disponibile, nonché un fulmine nel rispondere alle mail (mi ha confessato di essere una blackberry addicted). Nella nostra lunghissima chiacchierata, ho voluto sapere tutto, ma proprio tutto, sul suo passato, presente e futuro. Se il suo look è affascinante di per sè, la sua storia, vedrete, lo è ancora di più. Intervista Di Fabiana Fierotti. Foto di Sean Michael Beolchini Ciao Diane, come stai? Io bene, e tu? Bene, grazie! Dove ti trovi? Sono a Parigi, ormai da ben tre mesi. E’ insolito per me stare ferma così tanto in un posto, ma ho un milione di cose da preparare per ASVOFF3. Che cosa stai facendo attualmente, oltre a lavorare per ASVOFF3? Sto finendo un progetto per Modo Brussels e ne ho in preparazione un altro ancora. Vorrei indagare un po’ sul tuo passato e sul tuo presente. Quindi incominciamo a parlare della tua infanzia. Dove sei nata e cresciuta? Sono nata a Washington DC e mi sono trasferita nella Main Lain, fuori Philadelphia, all’età di tre anni. I miei genitori sono nati a NYC, dove mi sono trasferita un paio di anni dopo essermi laureata alla Film School. Ho lavorato come fotografa di reportage per poi iscrivermi alla Parsons e alla FIT per studiare fashion design. Dopo nove mesi ho abbandonato gli studi per iniziare con il mio brand, Diane Pernet. Alla fine del 1990 mi sono spostata a Parigi, dove il mio primo lavoro era quello di assistente del produtto-

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re di Fashion Files su CBC. Dopo, sono diventata Fashion Editor per Joyce Magazine, ho scritto anche per Elle.com e Vogueparis. com. Nel febbraio del 2005 ho incominciato il mio blog. Qual è il tuo primo ricordo relativo alla moda? La mia tutina da neve rosa. Ne ero completamente innamorata e avvolta come un fagotto. Hai presente come fanno i genitori con i propri figli, no? Va a finire che ti senti come un piccolo omino di neve. Amavo quella tutina rosa. Che tu ci creda o no, ho avuto una lunga storia d’amore con il rosa! Torniamo alla tua decisione di diventare fashion designer, come ci sei arrivata? Era il mio sogno da quando ero piccola, ma poiché non sono mai stata molto brava come illustratrice pensavo che sarebbe stato impossibile cimentarmi nel design. Di conseguenza mi sono messa a studiare cinema e poi ho fatto fotografia di reportage. Dopo di che, come ti dicevo prima, sono tornata a scuola: prima la Parsons e poi la FIT per nove mesi. Ho smesso e ho incominciato con il mio brand. Dopo aver preso questa decisione, hai

passato sette anni a New York cercando di sviluppare il tuo marchio. Hai qualche ricordo di quel periodo? Era un bellissimo periodo per NYC. Quando mi sono trasferita lì, vivevo tra la 17° e Broadway. Dall’altro lato della strada c’era la Factory di Andy Warhol. I miei disegni erano minimal e austeri, in contrasto al periodo disco di allora. Come per chiunque, ho avuto anch’io alti e bassi. Un momento memorabile è stato quando Seibu Department Store venne al mio show e comprò la collezione. Non avevo mai sentito la frase “comprare la collezione” prima di allora e mi invitarono a Tokyo, dove firmai autografi per business men e clienti. Era stupendo e ogni tre mesi facevamo un controllo per i diritti d’autore. In quel periodo a New York c’era molta creatività, ma rimane il fatto che non è mai stata facile per gli stilisti indipendenti. Il mercato era commerciale all’ora come lo è adesso. Non ho mai perso interesse per il design, semplicemente in quel periodo non volevo più vivere in quella città che si stava degradando. C’erano barboni ovunque, topi, crack. Non molto bello, ma soprattutto non portava ispirazione per una stilista. Ecco


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il motivo per il quale decisi di andarmene. Immagino che sia stato difficile. Tutti noi soprattutto noi italiani - abbiamo un’idea di New York troppo fantasiosa e ingenua, come se fosse una specie di paese dei balocchi dove tutto è perfetto. Ma sappiamo benissimo che, soprattutto in certi periodi storici, era tutto tranne che una città tutta rose e fiori. C’era qualche persona di quel periodo della tua vita che era particolarmente importante per te? Si tratta di Brian Becker che fu l’unico che investì nel mio business. Cambiò la mia vita ed è la persona più generosa e amabile che io conosca. Aveva trent’anni all’ora e lo fece per una stretta di mano. Puoi affermare che parte dei tuoi ricordi più cari siano legati a lui? Si, il mio ricordo più bello è l’incontro con Brian Beker che fin da quel momento è rimasto uno dei miei migliori amici, anche se purtroppo non lo vedo cosi spesso come vorrei. Poi ricordo Madonna ballare sui tavoli del Roxy e delle grandissime feste con Keith Haring al Paradise Garade. Adoro l’estetica delle tue collezioni di quel periodo. A cosa ti ispiravi principalmente? La mia prima collezione era ispirata allo stile Bauhaus, forma e funzione. Volevo trovare il volume perfetto e pensavo che la semplicità fosse sinonimo di eleganza. I miei abiti di allora erano per donne forti e sensuali. Perché la teoria del “less is more”? Credo che purezza sia un sinonimo di bellezza. Hai avuto una musa o una modella particolarmente rappresentativa? La mia modella era Neith Hunter. La vestivo in modo da farla sembrare me. Vestire lei era come vestire una bambola. Era perfetta. Effettivamente non capisco perché non arrivò a diventare famosa come lo è Naomi oggi, entrambe avevano un fisico e un look molto simile. Incontrai Naomi quando aveva quindici anni e Neith aveva forse un paio di anni in più. Probabilmente quello non era il periodo per le modelle esotiche. Leggendo la piccola biografia che hai inserito nel tuo blog, ho trovato un aneddoto che mi ha fatto sorridere in particolar modo. Si riferisce alla prima copertura del tuo brand per il New York Magazine che è stata seguita da Anna Wintour. Ci puoi raccontare qualcosa di più a riguardo? Avevo fatto una collezione ispirata a preti e suore. Ad Anna piacque e chiamò per averla a disposizione per uno shooting. Quando uscì il giornale, non potevo credere ai miei occhi. Aveva preso il mio look austero, una gonna a pieghe fatta a due strati e l’aveva trasformato in stile “Madeleine al Plaza”;

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usò una gonna corta a pieghe, mise una camicia sotto una giacca austera e un fiocco intorno al collo e fini il look con un cappellino in paglia e calze colorate. Il mio design era irriconoscibile ma era bello avere la doppia pagina di apertura sulla New York Fashion Issue. Bene, anche Anna Wintour sbaglia allora. Ma parliamo della tua carriera di fotografa. Quali erano i tuoi soggetti preferiti? Le persone in generale hanno sempre catturato la mia attenzione. Avevi dei fotografi a cui ti ispiravi o con i quali ti sarebbe piaciuto lavorare? Devo dire che ero mi ha fatto estremamente piacere quando Mario Testino fotografò i miei abiti per Vogue Italia. Ero amica di Steven Meisel perché lui era molto in confidenza con la mia amica Anna Sui. Perché hai cambiato la tua acconciatura? Fu un’evoluzione che incominciò approssimativamente negli anni ’80. Te lo chiedo perché, essendo siciliana, riconosco nel tuo stile nel vestire e nell’acconciarti quello delle vedove delle piccole provincie che si vestono in nero, portando un velo di pizzo sul capo. Questa analogia è soltanto casuale o voluta? Probabilmente sono stata influenzata da Visconti, Pasolini, Fellini e Bunuel. Ero solo affascinata dalle giovani vedove fino al giorno in cui io stessa ne diventai una. A quel punto l’immagine romantica che ne avevo, svanì. Il mio primo marito morì in un incidente di macchina quando avevo trentuno anni. Perché hai deciso di trasferirti a Parigi? New York era degenerata alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90 incominciai a sentire il bisogno di andarmene e cosi feci. Dovetti decidermi per una nuova base e poiché la moda era la mia vita, la scelta era ristretta e cadeva su tre città: Parigi, Milano e Londra. Londra non è poi cosi esotica per qualcuno che discende dalla cultura anglo-americana e anche se quella italiana è sempre stata la mia cultura preferita alla fine mi decisi per Parigi. Devo dire senza alcun rimorso. Ti ricordi la tua prima impressione della città? L’inizio è stato abbastanza difficile. La gente mi guardava come se fossi appena atterrata da marte. E’ stato uno shock arrivare lì dopo aver vissuto a lungo a New York dove vigeva la legge del “Vivi e lascia Vivere” . Mi sembrava assurdo che nei caffè di strada le sedie fossero girate in tal modo da dare ai clienti la miglior visuale possibile sui passanti, in modo da poterli scrutare da cima in fondo. Dove hai affittato il tuo primo apparta-

mento? Nel 16° arrondissement. Invece adesso qual è la tua area parigina preferita? Mi piace il mio vicinato, il 7° arrondissement. Qui mi sento a casa. Ricordi il tuo primo lavoro? E’ stato quello di costumista per il film “Golem l’esprit d’exile”. Ho avuto l’opportunità’ di lavorare con il cinematografo Henri Alekan. Aveva 87 anni e aveva lavorato con Jean Cocteau in film come “La Bella e la Bestia”. L’attrice che più ti è rimasta impressa? In quei tempi non s’impazziva per le celebrità come si fa oggi. Ero felice quando Diana Ross comprò i miei vestiti, come lo ero quando Naomi acquistò un abito. Kim Basinger indossava una delle mie creazioni sulla cover di SELF magazine ma poi lo accreditarono ad un altro stilista. Rimasi pietrificata. Furono mie clienti anche Barabara Streisand e Janet Jackson. Mi sono sempre chiesta di che marca sono i tuoi famosi occhiali da sole. Sono vintage? Erano vintage. Ora sono stati rilanciati. Sono di Alain Mikili. Quando hai lanciato il tuo blog “ A shaded view on fashion”? In Febbraio del 2005. Recentemente hai fatto un lavoro eccezionale per il progetto di “A shaded view on fashion film”. Sei felice del risultato? Sì e sto già lavorando alla prossima edizione. Ciò che ho apprezzato è stato girare il film nel Palazzo Morando come ospite di Vogue Italia. I Fashion Films sono estremamente in voga in questo momento e sarà interessante vedere dove porterà questo nuovo trend. C’è stata una notevole evoluzione rispetto al mio primo progetto del 2006, “You Wear it Well”. Quali sono i tuoi piani per i prossimi mesi? C’é qualcosa di particolarmente interessante che puoi condividere con noi? Il mese prossimo sarò concentrata su ASVOFF e una volta finito con quello mi preparerò per una proiezione a Tokyo a fine Ottobre. Sto lavorando anche ad ulteriori progetti. Il viaggio più indimenticabile? Il Darjeeling e Santiago de Compostela. Che musica stai ascoltando in questi giorni? Rosey Chan e My Name is Claude. Se dovessi scegliere una canzone per il tuo funerale, quale sarebbe? Forse qualcosa di Leonor Scherrer. Ha da poco incominciato a scrivere musica per funerali. www.ashadedviewonfashion.com


“Ero solo affascinata dalle giovani vedove fino al giorno in cui io stessa ne diventai una. A quel punto l’immagine romantica che ne avevo, svanì. Il mio primo marito morì in un incidente di macchina quando avevo trentuno anni”.

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John Turturro Per spiegare chi sia e cosa abbia fatto Turturro, ci vorrebbero le pagine di un’enciclopedia, ma d’altronde, chi non lo conosce? Lo abbiamo incontrato a Milano in occasione dell’uscita del suo nuovo film come regista, “Passione” , che lui ama definire un’avventura musicale, un jukebox a metà tra documentario, fiction e videoclip ambientato a Napoli, scrigno di canzoni della tradizione musicale e popolare nostrana. Turturro ci ha messo due anni a preparare il film, vantando alcune prestigiose collaborazioni, tra cui Francesco Rosi e Peppe Barra. Facendoci largo tra una coltre di giornalisti e mitragliate di flash, lo abbiamo raggiunto. Il tempo con lui non è stato molto ed è volato grazie alla sua contagiosa simpatia. Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Sean Michael Beolchini

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Ciao John! Come stai? Ah, molto bene grazie. Il tuo film poggia principalmente su una componente musicale, hai usato soprattutto musicisti per la messa in scena della tua “avventura musicale”. Come hai lavorato con loro? E sugli arrangiamenti? Sono stati una vera e propria sorpresa. All’inizio mi ero chiesto come avrei fatto a riprenderli... La scoperta nel realizzare questo film è stata che gran parte dei musicisti, sono dei veri e propri attori. Non so, nel caso di Misia e Beppe Servillo , vedendoli uno ha l’impressione che recitino insieme da anni e invece era la prima volta che si trovavano a fare una cosa così. Quando provavamo io dicevo di non stare fermi, di muoversi liberamente, così che ad ogni ripresa trovassero nuovi movimenti. Per gli arrangiamenti: ce ne sono di nuovi, come Vesuvio, Tammuriata Nera, Maruzzella... Per quanto riguarda Malafemmena, sono stato a lungo indeciso se usarla o meno perché è una canzone estremamente nota e io volevo usare quelle meno conosciute. Se chiedi a un napoletano, le canzoni sono tutte importanti, ma il mio non appartenere alla cultura partenopea, mi ha reso più libero nella scelta. Per Malafemmena però volevo cogliere quell’aspetto di ironia, di questo uomo che aveva avuto così tante amanti e di fatto poi la sua storia con la moglie finisce perché scopre che lei lo ha tradito. Ho voluto uscire dal cliché che solitamente viene attribuito a questo brano. Anche Non Te Scurda è un nuovo arrangiamento; poi c’è stato Enzo Avitabile che ha creato una nuova versione di Caravan Petrol, oltre a quello per Faccia Gialla. Misia è una cantante portoghese incredibile, lei non conosceva la versione di Mina, gliel’ho fatta ascoltare, in un giorno e mezzo l’ha imparata e si è presentata alle riprese portandosi il suo vestito e ci ha regalato questa esecuzione straordinaria. Dal film si vede che ti sei divertito molto a girarlo. Mi racconti un episodio divertente accaduto sul set? Tutti i giorni di ripresa sono stati davvero divertenti. Se devo fare un esempio, direi per Caravan Petrol. Fiorello aveva molta paura di salire sul ciuccio. Io gli dicevo “vai tranquillo”, ma lui era agitato perché c’erano le api. Così ho dovuto fargli vedere come montare l’asino e per fargli superare la paura glielo tenevo fermo per le briglie. Come attore devo dire che è davvero in gamba, se solo volesse fare altri film ci riuscirebbe molto bene perché è estremamente veloce, ma deve essere lasciato anche libero. Ci siamo divertiti parecchio a girare questa scena.

Cinque cose che vorresti che il pubblico che deve andare a vedere il tuo film, sapesse su Passione. Ti dico più le cose che vorrei accadessero quando si va a vedere il mio film... Vorrei che la gente riuscisse a stare sveglia (ride). Spero che risulti per loro una buona forma d’intrattenimento. Spero che ridano almeno qualche volta. Spero che venga la voglia di ballare. Spero che lo facciano. Ma la cosa più importante è che ci vadano a vederlo con la mente il più aperta possibile e che se lo gustino, come si fa con un buon piatto. Non avevamo un budget gigantesco per girarlo, ma musica e performance fantastiche, quello sì. Se lo capisci e ti lasci assorbire, vivrai un piccolo viaggio, una piccola avventura. Hai definito il tuo film “avventura musicale”, ma è anche una sorta di affresco della città, oltre che della musica di Napoli. Quindi musical certo, ma anche documentario. In cosa ti riconosci di più? Avevo lavorato a Napoli cinque anni fa, a teatro, nello spettacolo Questi Fantasmi di De Filippo. Fu la prima volta, ma fu grandioso. La città e la gente sono unici. Quando mi hanno chiesto di tornare per questo lavoro, le mie perplessità sono state se ne sapevo abbastanza sulla musica napoletana per farne un documentario. Federico Vacalebre mi ha aiutato ad entrare in questo mondo e nel progetto, lui aveva visto Romance & Cigarettes. Abbiamo a tutti gli effetti iniziato a lavorare ad un documentario, ma poi c’erano pezzi troppo brevi di canzoni, così gli ho detto di farmele girare. Ogni canzone è una storia e a Napoli basta aprire una finestra sulla strada per riuscire a raccontarla... abbiamo pensato che quindi fosse questa la giusta via. Ci sono la musica e piccole interviste, ma il tutto poi ha preso più la piega del musical che del documentario, ma è un musical che sale dalla terra, dai visi delle persone, dalle mura... e credo che quello che siamo riusciti a fare sia mostrare più aspetti di Napoli, le sue complicazioni, la follia e la sua umanità... Ci sono un sacco di elementi che vengono da tutta Italia lì... Poi è come se ogni persona fosse una stella, come i tre fratelli Esposito... ma anche tutti quelli con cui mi sono trovato a parlare. E’ stato complicato perché ad esempio, il Canto delle Lavandaie del Vomero, è il più antico della tradizione partenopea e volendo avresti potuto fare differenti film solo su quello, ma abbiamo dovuto scegliere il modo migliore per rappresentarlo. Come credi reagirà il pubblico americano al tuo film? La reazione delle persone sarà sicuramente

fantastica, inoltre ho un’ottima distribuzione. Abbiamo testato il film a Toronto, poi a New York e vorrei dire che circa l’89% delle persone che lo ha visto, lo ha amato. Ho dovuto trovare un distributore che capisse che questo non è il classico film “che fa fare soldi”. Non volevo regalarlo a nessuno, fino a quando non avessi scovato la persona giusta che trovasse un’altra via per distribuirlo. Penso che sia un film davvero speciale e credo che, nonostante tutto, anche il pubblico lo capirà. Credo che il pubblico di questo film sarà davvero misto perché è davvero una pellicola universale: è musica. La domanda che ancora nessuno ti ha fatto su Passione, ma a cui ti piacerebbe rispondere. Tutti i film vengono giudicati in base al tempo o hai soldi che hai speso. In questo caso mi sarebbe piaciuto che mi venisse chiesto: quanti giorni hai speso a girare ogni singola canzone? Solitamente quando giri un musical, per ogni canzone impieghi più o meno una settimana di riprese, spesso anche due settimane, mentre noi dovevamo frequentemente girare una canzone in un giorno, solo qualche volta avevamo più tempo. Questo film è stato davvero un miracolo! Abbiamo avuto un montatore (Simona Paggi, ndr) straordinario, che ha lavorato in maniera grandiosa sul girato, tanto che noi stessi ci stupivamo poi di come il film stesse venendo. Da dove veniva quel film? In pratica non avevamo uno script, avevamo una direzione in cui volevamo andare ben chiara in testa, ma non avevamo molte speranze, lavoravamo tutti i giorni, registrando tutto live, i vari suoni e i pezzi... Questo la gente non lo può capire: tutto era contro, tutto. Ma quando le persone con cui lavori sono ricettive, si vede che amano quello che stanno facendo e si divertono... beh... Certo, ad esempio il giorno in cui siamo andati al mercato a fare le riprese, c’era tanta gente che si rifiutava di essere ripresa, che diceva no, perché pensava potesse essere un problema. Un ragazzo mi ha detto “se riprendi me, io sparo a te” (in inglese: “If you shoot me, I’ll shoot you”), così ho dovuto dire “va beh, non lo possiamo fare...”. Capisci che è stato difficile? Le cose comunque dovevano progredire, ma si trasformava di continuo in un gioco di te contro il tempo, sempre. Quando giri un film ci sono soldi in circolo e le persone ti giudicano di continuo secondo certi parametri, ma qui c’era altro da tener conto... questa è la differenza! Ma se riesci ad uscirne nel migliore dei modi e il pubblico lo apprezza, è come ricevere un regalo. Tutto dipende sempre dalle persone alla fine... 65


Andreas Nilsson Intervista di Marco Lombardo. Foto di Mathias Sterner

Andreas Nilsson, svedese, trentasettenne, è diventato per caso un regista di videoclip. Dopo quasi dieci anni d’attività e collaborazioni con The Knife, Royksopp, Mgmt e Depeche Mode, si descrive ancora come un pittore fallito, alla ricerca della propria strada. Noi invece lo consideriamo uno dei filmmaker più geniali del decennio. Chi starà sbagliando? 66 PIG MAGAZINE


Presentati ai lettori di PIG. Mi chiamo Andreas Nilsson. Ho trentasette anni. Sono nato a Eksjö, un paesino sperduto nel sud della Svezia. Ma sono cresciuto a Aneby. Un villaggio ancora più piccolo, tra le foreste. Oggi vivo a Malmö. Volevo fare il pittore. Invece sono diventato un filmmaker. Quando hai capito di voler fare il regista? In realtà non l’ho ancora realizzato. Sono aperto a qualsiasi cambiamento. Non mi dispiacerebbe aprire una panetteria. Che tipo d’educazione hai avuto? Ho studiato arte. Otto anni. Un’eternità. I tuoi genitori che lavoro facevano? Mio padre rapinava banche. Mia madre è uno struzzo. Dove ti senti a casa? Nel mio giardino. In compagnia di mia moglie. Com’eri da piccolo? Sono cresciuto in un piccolo villaggio. Se non giocavi a calcio o andavi in chiesa eri destinato a una vita alquanto solitaria. Io passavo la maggior parte del tempo a casa con il mio Commodore 64, registrando demo su Fast Tracker, un software di musica, o disegnando. Una volta io e mio fratello abbiamo dato fuoco a un bosco. Il più grande traguardo della mia infanzia. Cosa si prova a essere uno dei registi di videoclip più apprezzati e richiesti del momento? Davvero? Non me ne sono neanche accorto. Ti ringrazio comunque. Come descriveresti il tuo stile? Dark Comedy. Prima di fare il regista suonavi nei Silverbullit. Una rock band svedese con cui hai avuto un discreto successo. Mi racconti la vostra storia? E’ abbastanza banale. Eravamo un gruppo di sfigati che amavano la stessa musica. Abbiamo iniziato facendo cover di Joy Division, Spacemen 3 e Loop. Avevo diciassette anni. Poi ci siamo messi a scrivere brani originali e la cosa ha anche funzionato per un po’. Studiavo a Goteborg in quel periodo. Quando mi sono trasferito ho mollato. Loro suonano ancora. Come hai iniziato a girare videoclip? Avevi qualche tipo di esperienza alle spalle? Durante gli anni dell’Accademia d’Arte ho diretto un paio di corti sperimentali d’animazione e ho imparato a usare After Effects da autodidatta. Karin Dreijer dei The Knife ha visto alcuni di quei lavori e mi ha chiesto di girare il video di Heartbeats. E’ stato un incidente. Ho subito vinto un Grammy Award svedese.

C’è un legame molto forte tra di voi, mi sembra di capire. Come vi siete incontrati? Ci siamo conosciuti sotto un tavolo da ping pong nel 1995, a Goteborg. Lavorare con lei mi ha influenzato parecchio. E’ sicuramente una delle persone più importanti della mia vita. Ci scriviamo via mail e parliamo molto al telefono. Abbiamo conversazioni molto astratte. Discutiamo per ore senza un obiettivo preciso. Solo per confrontarci. Per il puro gusto di comunicare. Che impressione ti ha fatto la prima volta che avete parlato? Mi ha trasmesso un fortissimo senso d’integrità e timidezza. Mi descrivi i visual e la scenografia che hai creato per l’ultima parte del suo tour come Fever Ray? Volevamo allontanarci dal mondo primitivo concepito all’inizio del tour nel 2009. Per le ultime date abbiamo deciso di ricominciare da zero e sviluppare questi nuovi personaggi che assomigliano a zombie appena usciti da un consiglio di amministrazione. Ci siamo mossi su territori decisamente più attuali. Ma non voglio parlarne troppo. So che Karin non apprezzerebbe. Cosa ha ispirato invece la messa in scena del tour di Silent Shout dei The Knife, di cui eri l’ideatore? Ci siamo ispirati a Fantasia della Disney e a Einstein On The Beach di Robert Wilson. Volevamo creare uno spettacolo molto teatrale, lontano dal classico concerto. Un’esperienza audiovisiva dove i musicisti sul palco fossero secondari, focalizzando l’attenzione sulla musica e l’interazione con i visual. Con loro, mi accenavi prima, hai girato il tuo primo video in assoluto. Qual è l’idea dietro a Heartbeats? E’ un video concettuale. Inizialmente volevo usare solo immagini di repertorio legate al mondo degli skaters. Il risultato però era statico e noioso. Così abbiamo aggiunto delle scene in animazione. In questo caso è stato cruciale l’aiuto di Johannes Nyholm, un amico che mi ha insegnato a destreggiarmi professionalmente con After Effects. Gli sono debitore. Nei tuoi lavori in effetti c’è molta postproduzione. Fai tutto da solo o hai qualcuno che ti aiuta? Nei miei primi lavori facevo quasi tutto da solo, in pieno stile DIY (Do it Yourself). Oggi posso permettermi di assumere qualcuno che lo sappia fare meglio di me e abbia più tempo.

Qual è stato sinora il momento più importante della tua carriera? Il giorno in cui mi hanno detto che non dovevo per forza occuparmi di tutto io. Che esistevano delle aziende chiamate compagnie di produzione. Hai mai rifiutato un lavoro perché non ti piaceva una canzone o la band che avresti dovuto dirigere? Capita spesso. Per girare un videoclip non basta una buona idea. E’ importante stabilire una connessione con le persone che hai di fronte. La cosa più importante è capire il perché un brano è stato scritto. La sua storia. Cosa intende trasmettere. Non è sufficiente voler vendere un sacco di dischi. Mi descrivi un tuo tipico giorno sul set? Mangio un sacco di frutta. Cerco di non incazzarmi e di trattare la gente con rispetto. Non ho mai capito perché urlare sia considerato normale sul set. Dove prendi ispirazione per i tuoi video? Hai mai usato i tuoi incubi o i tuoi sogni come materiale narrativo? No, ma ho utilizzato le allucinazioni come fonte d’ispirazione. E’ un processo molto simile. Le situazioni in cui si sogna a occhi aperti nella vita reale sono molto più interessanti e imprevedibili. Oggi come oggi cerco di basarmi su esperienze di vita reale o storie, anche poco credibili, che sento raccontare in giro. Ho una maggiore predisposizione a guardarmi intorno rispetto al passato, quando per lo più scavavo nella mia immaginazione, lasciando fuori il mondo. La mia creatività si basa sull’equilibrio tra duro lavoro e distacco assoluto. Le migliori idee mi vengono facendo qualcos’altro. Quando viaggio o sono impegnato in giardino. Hai degli incubi ricorrenti? Me ne racconti uno? Vivevo con una lontra marina quando avevo sedici anni. Era la mia compagna di stanza. Completamente pazza. Era incredibilmente aggressiva e di notte mi mordeva le dita dei piedi. Una situazione molto stressante. Non volevo liberarmene però. Ho iniziato a sognare regolarmente di lottare con piccoli animali e di ucciderli ferocemente. Ho avuto questi sogni per parecchi anni dopo la sua morte. Vivi il filmare come un momento catartico? Più che di catarsi parlerei di sbornia. Alla fine delle riprese ho sempre dei postumi pazzeschi. Il tuo videoclip preferito di tutti i tempi? Non credo di averne uno. Forse Symphonie Diagonale di Viking Eggeling, un film astrat-

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to del 1924. Com’è nata questa passione per il cinema sperimentale? So solo che sono rimasto folgorato quando ho visto per la prima volta quel film. La stessa cosa mi è capitata con le opere di Oskar Fischinger e le collaborazioni tra Schönberg e Kandinsky. Nel video Saturday‘s Waits di Loney Dear hai utilizzato un cane come attore per impersonare il ruolo di un essere umano. Quanto è stato difficile realizzare quelle riprese? Non si vede quasi mai un cane fare lavori umani. O sbaglio? Recitare non fa differenza. Ho scelto un animale che non impazzisse dopo due ore trascorse in studio. Qualche episodio divertente? Il nostro eroe a un tratto, nel bel mezzo delle ripese, ha smesso di muoversi. Siamo sbiancati. Era un cane molto anziano e per un po’ abbiamo pensato che fosse morto. In realtà si era addormentato per la stanchezza. Let my shoes lead me forward di Jenny Wilson è girato completamente in stop motion. Tutto il video è incentrato su centinaia di scarpe che si muovono, formano coreografie e disegni geometrici. Quanto tempo c’è voluto per realizzare un’impresa del genere? Non è stato poi così complicato. Ci abbiamo lavorato soltanto in tre. Le riprese con le scarpe sono durate un giorno. La postproduzione due. Sei una persona paziente? Credo di avere una buona morale del lavoro. E’ una cosa che amo d’altronde. Sono molto meno paziente nelle situazioni sociali. Di recente ho visto dal vivo a Stoccolma i Wildbirds & Peacedrums al Sodra Teatern, accompagnati da un coro polifonico. E’ stato un concerto magico, assolutamente unico. Hai diretto il video di There Is No Light. Com’è stato lavorare con loro? Sono miei amici. Tutto è stato fatto in maniera un po’ diversa dal solito. Eravamo solo noi tre. Sono venuti in studio e ho girato l’intero video con una camera DV, usando soprattutto luci naturali. Sono una coppia fantastica e dei musicisti geniali. Nei tuoi clip i personaggi sono spesso figure solitarie o degli outsider. Quasi dei freak. Ad esempio l’uomo maiale nei due video che hai girato con José Gonzàlez. Cosa trovi d’interessante in questi elementi? Quanto metti di stesso in quello che fai? Questa è una domanda che dovresti fare a

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mia moglie, che è una psicologa. Purtroppo non è in casa. Ti consideri un freak? No, ma alcune persone pensano che lo sia. La stranezza è un filtro negli occhi dello spettatore. Non è nulla di oggettivo. E’ sconfortante non avere la curiosità di guardare la realtà da diverse angolazioni. I White Lies sono un altro di quei gruppi con cui hai un rapporto speciale. Raccontami di questa collaborazione. Ho girato il loro primo video in assoluto, Death, che a sua volta è stato il mio primo lavoro con una vera e propria produzione alle spalle. Abbiamo condiviso momenti importanti per le nostre rispettive carriere e siamo diventati molto amici. Eravamo insieme io, Harry, il cantante del gruppo e il loro manager, Jallo Faber, sperduti nella tundra russa durante alcune riprese, quando è arrivata la notizia che il loro disco aveva raggiunto la vetta della classifica. E’ stato davvero emozionante. Un bellissimo ricordo. Ti piace la loro musica? Certo. Se poi instauri un rapporto profondo con gli artisti il concetto di buona o cattiva musica diventa meno interessante. Qualche musicista con cui ti piacerebbe lavorare? Se mi chiamassero gli Emperor, gli Shags e Grace Jones accetterei immediatamente. Una domanda che nessuno ti ha mai fatto e alla quale vorresti rispondere? Ho una casa a Zanzibar da regalare. La vorresti? La risposta sarebbe? Certo che sì! In base a cosa decidi se un video sarà girato in pellicola, avrà una struttura narrativa o sarà un’opera d’animazione? E’ una scelta legata all’estetica dell’artista con cui stai collaborando? No, è una decisione che tiene conto delle mie esigenze creative. L’aspetto positivo di lavorare con i videoclip è la libertà che ti garantiscono. Cerco progetti che mi consentono di sperimentare e di seguire un percorso di ricerca personale. Come hai trovato i bikers ballerini giapponesi in Nothing To Worry About di Peter, Bjorn & John? Ho vissuto in Giappone per qualche mese nel 1998. Ho visto questo gruppo di motociclisti e ho subito pensato che avrebbero dovuto essere i protagonisti di un film o qualcosa del genere. Sei quindi tornato in Giappone per filmarli?

Ero lì in vacanza con mia moglie, mio fratello Filip e la sua compagna. In quei giorni Bjorn mi ha spedito la traccia e ho immediatamente pensato ai bikers. Così ci siamo fermati qualche giorno in più, li abbiamo contatti ed è nato un videoclip. Mio fratello ha co-diretto le riprese. Grazie a loro abbiamo conosciuto un lato di Tokio che non avremmo mai potuto immaginare. E’ stata un’esperienza surreale. Il ballo come riscatto per un outsider, o come una religione, mi sembra anche il tema del secondo video che hai diretto per Peter, Bjorn & John: It Don’t Move Me. L’aspirante Michael Jackson come l’hai incontrato? Si chiama Marcus e lo conosco da quando ha dodici anni. Apriva i concerti dei Silverbullit con le sue performance. Siamo rimasti in contatto. La sua energia era al massimo nel periodo in cui abbiamo girato quel clip. Semplicemente magnetica. Anche in questo caso mi ha dato una mano mio fratello. L’attore che interpreta il coach di Marcus infatti è l’istruttore di tennis di Filip. Il ragazzo con la maschera invece è mio nipote. Nell’ultimo anno hai lavorato con alcuni dei gruppi più interessanti nel panorama della musica pop di oggi. Partiamo dagli Mgmt. Ragazzi adorabili. Anche se estremamente impegnati. Ci siamo più che altro parlati al telefono. Sono delle autentiche popstar. Flash Delirium è stato uno dei lavori più impegnativi della mia carriera. Le riprese e la post-produzione mi hanno impegnato per più di un mese. Royksopp. Sono molto intelligenti, hanno grande personalità e un sacco di ottime idee anche dal punto di vista visivo. E’ stata una collaborazione molto stimolante. Ho girato il video di There Must Be It e due corti promozionali per loro. Tutti incentrati sulla relatività del tempo e sull’esistenza di universi paralleli. Sono sempre stati coinvolti nel processo creativo e molto propositivi. Uno dei corti lo abbiamo girato a Skåne, nel sud della Svezia, a casa di Stefan Bogars, un collezionista di bambole. Crystal Castles. E’ stata l’esperienza più difficile che abbia avuto. Non gli sono piaciuto. Inutile girarci intorno. Ci sono rimasto male. E’ come se mi fossi rivisto in loro da giovane. Aggressivi, confusi, intransigenti. Dovrebbero continuare a fare tutto da soli. Come hai fatto a scritturare Kirsten Bell, la star di Heroes, per il video di Madder


Red degli Yeasayer? Le ho mandato il copione perché credevo fosse perfetta per la parte. Ma non ho ricevuto risposte. Poi l’ho incontrata per caso all’Apple Store di Santa Monica. Mi sono avvicinato e le ho raccontato del progetto. Il giorno dopo ci stavamo accordando sull’inizio delle riprese. Adorabile. Il tuo regista preferito? Heineke, Seidl, Bela Tarr e Herzog. L’attore? David Dencik.

Il pittore? Kazimir Malevich. Che musica ascolti in questo periodo? I dischi dell’etichetta di mio fratello, la Kning Disk. Alfred Schnittke e i Television Personalities. Mi suggerisci qualche artista svedese da tenere d’occhio? Fredrik Söderberg, Christine Ödlund, Christian Andersson, Alexander Gutke, Matti Kallionen. Come t’immagini tra dieci anni? Spero di essere ancora vivo. Mi piacerebbe

trasferirmi a Tirana, una città che adoro. Progetti futuri? Un video per la Converse che coinvolge gli Hot Chip e alcuni membri dei New Order, una pubblicità per un’agenzia d’assicurazione e un’opera teatrale di Bergman con Malin Stenberg e Karin Dreijer Andersson. Esordiremo a Marzo al Royal Theater di Stoccolma. Descrivimi in tre parole come ti senti in questo momento. Non è interessante. In effetti sono proprio tre.

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DJ Hell.

Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini

Hell, DJ Hell o perché no Mr. Hell, come spontaneamente mi è venuto da chiamarlo per tutta la durata di questa chiacchierata. Se ci fosse stato un modo in inglese per dargli del lei, o per rivolgermi a questo quasi cinquantenne “signore” tedesco in modo anche formalmente rispettoso, sicuramente l’avrei fatto. Un curriculum che parla da sé, quello di Helmut Josef Geier: DJ, produttore, discografico, imprenditore, divo e molto altro. Dopo tanto allenarsi negli anni ottanta, Hell scende in campo nei novanta, mostra i muscoli e studia da “grande”, per erigersi - alla fine del millennio - ad icona a metà tra musica, moda e arte. Con la sua creatura, la Gigolo Records, finisce per dettare legge in materia di house, techno ed electro. Tiga, Fischerspooner, Miss Kittin & The Hacker e Zombie Nation, solo per fare alcuni nomi, hanno spiccato il volo da quelle parti. A parlare per lui la discografia che ruota attorno al suo lavoro, le prestigiose collaborazioni, i riconoscimenti e i successi che, nonostante il fisiologico “declino” e le fortune alterne della sua label, lo mantengono un punto di riferimento e un maestro per tanti. L’abbiamo incontrato a poche ore dalla sua doppia esibizione, l’ultima sera del Sonar, in apertura e in chiusura del concerto dei Roxy Music di Brian Ferry, con cui ha lavorato per un brano dell’ultimo album. Buonasera Mr. Hell, come sta? Bene direi. Ho fatto una nuotata in piscina, poi un giro in sauna… Diciamo che mi sto preparando al meglio per il mio show di stanotte. Non vedo l'ora che arrivi il momento di rincontrare Brian Ferry, ma soprattutto di vedere per la prima volta nella mia vita i Roxy Music live… Non pensavo sarebbe mai successo. Possiamo tranquillamente dire che "questa sera è La sera". A quanti Sonar ha partecipato finora? Credo siano stati quattro o cinque, anche se ho organizzato diverse Gigolo Nights durante le passate edizioni del festival. Per molti anni ci siamo anche occupati della festa di chiusura (non ufficiale) al Moove, un piccolo locale dove invitavamo a suonare tutti i DJ che avevano partecipato al festival e si trovavano ancora in città. Abbiamo avuto Tiga, i 2manyDJs e tanti altri; molti venivano a suonare gratis pur di partecipare. Sfortunatamente, ad un certo punto, abbiamo dovuto scrivere la parola fine a questo appuntamento perché la situazione ci era sfuggita di mano. Tieni presente che stiamo parlando di un club molto piccolo, con una capienza di trecento persone al massimo. La gente arrivava in massa e il locale non era predisposto per accoglierla tutta. Sono stato costretto a chiudere quando anch'io mi sono ferito durante una di queste serate. La cosa più scioccante è che non me n'ero neanche accorto e non avevo idea di come potesse essere successo: ricordo solo che stavo suonando e ad un tratto c'era sangue dappertutto. Si trattava di un taglio enorme. Mi hanno portato all'ospedale e lì ho incontrato altri feriti che arrivavano dalla festa. Ricordo una ragazza con un taglio sull'occhio. Credo che non si rendesse veramente conto che avrebbe portato con sé quella cicatrice per il resto della sua vita. Mentre ero sdraiato lì e mi stavano dando dei punti, ho pensato: "siamo andati un po' oltre…". Avevamo perso il controllo della situazione. 70 PIG MAGAZINE

Quella è stata l'ultima festa al Moove. Ancora oggi mi invitano qui per suonare durante diverse serate, ma la situazione é totalmente diversa. Sono stato resident al Apolo / Nitsa per due o tre stagioni, ma alla fine ho smesso anche lì. Gli organizzatori non l'hanno presa benissimo dato che erano serate da tutto esaurito, ma sono convinto che quando incominci a ripeterti, devi capire che è giunto il momento di fermarsi e cominciare qualcosa di nuovo. Quest'anno mi hanno invitato al Sonar ed eccomi qui, l'anno prossimo chissà… Forse tornerò a proporre la mia musica live. Non l'ho mai fatto e vorrei che fosse qualcosa di innovativo. Stavo pensando che mettendo insieme i miei pezzi degli ultimi vent'anni, in teoria dovrei arrivare ad almeno un'ora di musica… Cosa ne dici? Com'è nata la collaborazione con Brian Ferry? L'idea è partita da lui. Sono andato a trovarlo nel suo studio di Londra per suonargli alcuni dei miei pezzi e fargli capire qual era il mio stile, che tipo di musica facevo. Si sa che è così che nascono le collaborazioni, ma in quel momento non era ancora ben chiaro dove eravamo diretti. C'erano in giro molti remix dei Roxy Music fatti da svariati DJ e anch'io avrei dovuto farne uno della mia canzone preferita, Do The Strand. Ho cominciato dai brani con Erlend Øye e Billie Ray Martin, ma non mi sembrava abbastanza convinto e così sono passato a Let's get Ill e Jack U, le mie collaborazioni con Puff Daddy. Mi ha detto che si trattava esattamente di quello che aveva in mente e mi ha dato le parole e le tracce di You Can Dance, una canzone che non era mai stata pubblicata, pur essendo stata prodotta negli anni '90. L'ho praticamente rifatta, tenendo solo le parole e trasformandola in qualcosa di completamente nuovo. A quel punto si trattava solo di capire come pubblicarla. Ovviamente io speravo di farla uscire sul mio nuovo album e alla fine, anche se inizialmente Brian non era convinto della cosa, ma visto che il mio lavoro

gli era davvero piaciuto, si è deciso a darmi i diritti. E' stato uno dei pezzi più suonati da diversi DJ ed è stato remixato anche da Carl Craig. Il risultato ha soddisfatto entrambi. Spero che il futuro mi riserverà ulteriori collaborazioni con Brian... Chi lo sa?! So che sta lavorando ad un nuovo album sia da solista che come Roxy Music. So anche che Brian Eno è di nuovo in studio con lui. Di certo non avremo occasione di vedere Eno questa sera sul palco perché non suona più live da un bel po'... Che cosa ha fatto nell'ultimo periodo? Intendo dall'uscita del nuovo album… Sono stato presissimo, come al solito. Ad esempio ho lavorato alla nuova compilation Body Language per la Get Physical… …Ho incontrato proprio ieri i Booka Shade… Ah si? Loro sono degli amici carissimi. Vivono a Berlino e a volte ci capita di andare in tournée insieme. Mi piace sia la loro musica, che la loro label. Ultimamente ho lavorato anche ad un'altra compilation per la mia Gigolo Records. Ho fatto anche diversi remix; tra i meglio riusciti I'm not a Robot per Marina and The Diamonds e uno per le Fagget Fairies. Sono due ragazze di Copenhagen che hanno fatto un pezzo che si chiama Feed The Horse. Loro sono molto buffe, ma se vai su Youtube vedrai che hanno un seguito incredibile. Il pezzo ha avuto un gran successo. Anche io le ho scoperte su internet e mi sono detto: "questo è davvero Gigolo…". Così ho chiesto loro se potevo omaggiarle con un remix - non sarebbero mai state in grado di pagarmi considerando che non escono per una major - e così è stato. In ogni caso sono molto popolari e girano per il mondo in tour nonostante non ricevano grande attenzione nemmeno dalle riviste. Forse lo saranno presto… Poi ovviamente continuo a suonare tantissimo in giro e ho lavorato parecchio con gli artisti della mia etichetta. Mi sono fatto coinvolgere in tanti altri progetti…


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Martedì prossimo farò il mio primo shooting per Vogue Germania. Ho lavorato alla Fashion Week di Berlino dove ho contribuito con la mia musica e suonato alle sfilate. Evidentemente il mio lavoro lì è stato apprezzato, visto che sono stato approcciato da diversi designer che mi hanno chiesto di collaborare con loro. Faccio musica per istallazioni artistiche e disegno vestiti insieme ad alcuni stilisti. Prossimamente usciranno una collezione di magliette e una linea di occhiali da sole. Sto cercando di ampliare i miei orizzonti, cimentandomi in altri settori, al di fuori di quello musicale. Ho tante idee per la testa… Ultimamente ho anche incontrato Puff Daddy a New York, che sta girando un film che si chiama Last Train to Paris. Non ho idea come sia venuto a sapere che fossi in città, so solo che ad un certo punto mi ha chiamato il suo manager in albergo chiedendomi se avevo voglia di passare a trovarli in studio. Lei e Puff Daddy vi conoscete da tempo… Si, l'ho incontrato la prima volta un paio di anni fa, mentre lavorava al suo album House of Techno. Disco che poi non fu mai pubblicato. Cosa sa al riguardo? Sinceramente non ho la più pallida idea del motivo per il quale non sia stato pubblicato, anche perché avevo sentito alcuni pezzi e mi avevano fatto davvero una buona impressione. Mi disse che aveva investito troppi soldi per i vari produttori e che era sicuro che non li avrebbe mai recuperati. Ora è al lavoro su un nuovo album, ma per promuoverlo vuole produrre un film, un corto, quello di cui ti parlavo prima, Last Train To Paris. Subito dopo il nostro incontro gli ho proposto alcune tracce, quattro per la precisione, anche perché non è il tipo di persona che ama aspettare. Però non ho ancora capito se ha intenzione di usarle o meno. Questo è tutto quello che so, oltre al fatto che reciterà nel film, nel ruolo di protagonista. Mi ha detto che non vuole farlo produrre da uno dei grandi studios hollywoodiani, ma che preferirebbe coinvolgere studenti delle scuole d'arte, persone nuove che portino idee fresche. Ma con lui, non sai mai cosa può succedere. Girano strane storie circa delle vostre avventure a Ibiza… (Ride)… Beh, abbiamo lavorato prevalentemente a New York… E fatto un paio di feste incredibili insieme alla Miami Winter Music Conference. E' vero, ci siamo incontrati anche a Ibiza, ma quanto al resto, temo di doverti deludere... Un aneddoto che vale la pena raccontare è accaduto a Miami, quando venne a trovarmi nel bel mezzo di un party in cui stavo suonando. A un certo punto salta fuori un megafono e lui comincia a cantare la "sua" Let's get Ill, dal vivo, mentre io la stavo suonando, in piedi sopra la consolle, davanti a migliaia di persone. La gente è andata letteralmente fuori di testa. E' un bravo ragazzo. A volte si presenta alle feste per gentilezza, come segno di rispetto nei 72 PIG MAGAZINE

confronti delle persone che lo hanno invitato. E ti assicuro che per lui non è facile. E' perennemente circondato dalle sue guardie del corpo. Non può semplicemente entrare in un posto per essere se stesso e divertirsi; attirerebbe tutta l'attenzione e la gente incomincerebbe a mormorare: "guardate, c'è Puff Daddy!". Anche per questo motivo preferisce organizzarsi le feste da sé. Quindi per rispondere in parte alla tua domanda: si, Puff Daddy è uno a cui piace divertirsi… Ho letto che ha firmato un italiano per la sua Gigolo di recente… Si, Hard Ton Disco Queen. La prima volta che ho sentito un suo pezzo si trattava di una cover di Madonna, ma l'avevo preso per un bootleg perché la cantano uguale! Esteticamente assomiglia a Divine negli anni '80, perché è un ragazzone enorme. Credo che venga dalla scena heavy metal, data la tonalità della voce. Ora è passato alla disco music e ha preso il nome di Hard Ton Disco Queen. Sta lavorando al suo album e devo dire che mi piacerebbe molto pubblicarlo: stiamo parlando di un grande artista e cantante. Come vanno le cose alla Gigolo? "Fino a qui tutto bene". Al momento ho tra le mani un sacco di singoli, artisti e progetti nuovi e sono concentrato su diversi album. Tra questi c'è anche un ragazzo svizzero sconosciuto, con un album in stile detroit house, poi uno di Vienna, Hard Ton, sta lavorando al suo lp… Nel frattempo è uscita la nuova compilation. Insomma, come puoi vedere, di carne al fuoco ce n'è talmente tanta che devo stare attento a non fare uscire troppe novità tutte insieme. Oggigiorno non si vendono più tanti vinili come una volta, di conseguenza gli artisti emergenti fanno più fatica a farsi notare. Nonostante ciò, non ho paura di spingerli e farli conoscere al pubblico. Credo molto in tutto ciò che faccio. Lei è considerato uno dei guru, dei personaggi più influenti al mondo della musica dance degli ultimi vent'anni… Come vede la situazione odierna? Là fuori c'è una sacco di buona musica ed è davvero difficile stare dietro a tutto quello che esce. Faccio fatica a valutare tutte queste novità. Bisogna essere organizzati per riuscire ad ascoltare tutto e capire cosa potrebbe essere interessante pubblicare con la label o semplicemente cosa suonare. Lì fuori è pieno di novità. Negli ultimi cinque anni sono cambiate molte cose. Dall'attrezzatura per fare il DJ al modo di vendere, promuovere e mettere la propria musica sul mercato. Negli ultimi due anni è avvenuta la più grande rivoluzione di tutti i tempi nella storia della musica e i risultati probabilmente li vedremo nel giro di qualche anno. Tra l'altro tutti stanno cominciando a lavorare con dispositivi touch screen, con l'i-Pad… Persino con l'i-Phone. Ci sono applicazioni rivoluzionarie e ogni giorno esce una novità. Anche Brian Eno ha fatto

un'applicazione con la quale si possono creare suoni e sequenze sonore. La cosa positiva è che le grandi case discografiche stanno andando a fondo e non riescono più a tenere in pugno il mercato. La differenza più grande è tra ciò che viene pubblicato da loro, ciò che viene trasmesso dalle radio e tutto quello che accade nelle sottoculture (preferisco non chiamarlo underground). Sto parlando di quello che succede su internet o anche qui al Sonar in questi giorni. Io stesso non conosco e non ho mai sentito parlare della maggior parte degli artisti e delle loro label. C'è una forte concentrazione di talento qui come altrove. E forse l'1% di loro passa sui grandi network radiofonici… Si, infatti li puoi trovare su internet, hanno i loro myspace, i loro siti web. Non si parla di musica per le masse. E' qualcosa di molto diverso. Ha una canzone dell'estate? Ricordo che in passato ogni anno c'era l'usanza di eleggere l'"hit dell'estate". Un pugno di canzoni sulle quali tutti si concentravano e suonavano. Mi sembra che da due, tre anni le cose siano un po' cambiate. Probabilmente la ragione sta nel fatto che c'è moltissima musica in giro. Potrei dirti la canzone della mia estate… E qui la scelta cade senza ogni dubbio su I'm not a Robot di Marina & the Diamonds, un pezzo che non esce più dalla mia testa. Inserirei anche due tracce che hanno sbancato alla MWMC: Hey Hey di Dennis Ferrer e fortunatamente You Can Dance di Brian Ferry. L'hanno suonata talmente tanto, che a un certo punto mi sono quasi ingelosito, dato che si tratta della mia canzone. Se ne devo scegliere una tra queste però opto I'm Not A Robot. Dal momento che siamo italiani, una domana su Adriano Canzian non possiamo non fartela: lo senti ancora, in che rapporti siete? No, abbiamo avuto dei problemi. Adriano è un bravo ragazzo ma anche una persona abbastanza difficile con cui avere a che fare. L'ho sostenuto tantissimo quando non era nessuno: l'ho portato in Germania, l'ho fatto conoscere, l'ho fatto suonare in giro nonostante lo scetticismo dei promoters che non erano convinti di poter guadagnare su qualcuno che non aveva ancora un nome. Non ho idea di che cosa stia combinando ora: non lo sento da circa sei mesi. Abbiamo lavorato tanto e bene insieme, ma ora il suo lavoro non mi attira più, ha esagerato. Alcune persone non sanno tenere separato l'aspetto professionale da quello privato. Comunque preferisco non addentrarmi nella questione, lui sa a cosa mi riferisco. Sono felice se lui è felice. Quello che ho fatto, l'ho fatto perché credevo nelle sue potenzialità: la musica e il suo modo di vestire erano davvero particolari. Era un grande. Pensa che anche l'idea per la cover dell'album in stile Grace Jones era mia. Speravo che si sarebbe diretto nella direzione giusta, ma evidentemente ha preferito fare di testa propria.


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Matthew Dear Intervista di Marco Braggion. Foto di Coley Brown

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Matthew Dear cambia faccia. Il ragazzo conosciuto come False, Audion o Jabberjaw fa il botto: in questi giorni esce infatti con un disco che è un 30 e lode all’esame di cantautorato sintetico. “Black City” è la tavolozza completa di ricordi anni Ottanta che, grazie a una voce baritonale da crooner, riprende la lezione di Brian Eno e David Bowie, arricchendola di darkness proiettata now. Come biglietto da visita sfoggia una storia da romanzo: il papà texano che fa fingerpicking con la chitarra folk e gli instilla l’amore per la musica, la migrazione dalle lande desolate del sud per incontrare la house a Detroit. Folgorato dai maghi del ritmo segue un percorso intimista arrivando a collaborare con personaggi del calibro di Charlotte Gainsbourg, The xx e Hot Chip. Non solo: mixa album per Get Physical e Fabric, il gotha della scena house contemporanea; ma in fondo resta sempre un ragazzo normale. Non si monta la testa e per questo merita la nostra ammirazione. Ci piaci così, caro Matthew.

Ciao Matthew come va? Bene grazie, e tu? Bene! Partiamo. Quanti anni hai? Trentuno. Io trentatré. Siamo quasi coetanaei. Sei soddisfatto dell'ultimo album? Sì sono soddisfatto di com'è venuto. Ci ho messo tanto tempo a completarlo, e sono molto felice che alla fine sia stato pubblicato. Dove vivi ora? Vivo a Brooklyn, New York. Ho letto molti commenti sul tuo album. Ci sono molte persone che definiscono il suono del tuo album come dark. Ascoltandolo bene, però è anche pieno di rimandi agli anni Ottanta e a melodie light, non necessariamente oscure. Che ne pensi? E' definitivamente più dark di tutte le cose che ho fatto. Ho trovato molti spunti nella musica del passato. Oltre agli anni Ottanta anche in quella degli anni Settanta. Gruppi come i Can, cantanti come Gary Numan, Brian Eno o la musica sintetica e dark. Sono tutte influenze fondamentali sulla mia musica e sul modo di scrivere le canzoni. Quando ascolto la musica di solito penso sempre a quello che sta facendo l'artista, a come ha composto il pezzo e da lì cerco di prendere spunto. Penso che l'ascolto sia una grande scuola. Cosa significa Brian Eno per te? Ti ha influenzato di più nello scrivere le melodie o i ritmi? Mi sembra che nella traccia Monkey ci sia una grossa influenza... Non direi che influenza molto la scrittura delle melodie. Penso di condividere con lui una stessa sensibilità pop. Eno riesce ad essere molto semplice nelle cose che scrive. Non penso sia il miglior cantante pop del mondo, ma quello che conta è il suo tocco. Non per niente è anche un grande produttore. Mi ha molto influenzato il fatto che anche lui riesca a modificare il suono a seconda della funzione da conferirgli: ad esempio c'è un Eno produttore, un Eno rock con David Byrne o con Bowie, un Eno solista o con i Roxy Music. E' impossibile non essere influenzati da Eno, date le molteplici sfaccettature che usa. Hai usato strumenti analogici o digitali per comporre le canzoni? Un mix. Ho usato i computer per il sequen-

cing, in particolare il software Ableton Live. Ho utilizzato poi molti sintetizzatori analogici, che ho comprato in un negozietto di Brooklyn: il Korg PolySix (è primo mitico synth programmabile, che dal 1981 ha forgiato il suono di gente del calibro di Geoff Downes, Astral Projection, Jimi Tenor, Global Communications, Kitaro, Robert Rich, Keith Emerson e Tears for Fears, ndr), il Roland SH-101 (un altro sintetizzatore analogico degli anni Ottanta, usato tra gli altri da Prodigy, 808 State, Josh Wink, Aphex Twin, Les Rythmes Digitales, Squarepusher e Chemical Brothers, ndr) e il Korg MS 20 (una specie di alternativa al mitico Minimoog, ndr). In più ho usato anche dei buoni microfoni per registrare la voce e le chitarre. Mi sembra che in questo senso ci siano anche dei suoni che assomigliano alle sonorità degli Animal Collective. Li conosci? Certo che li conosco! Sono un loro grande fan! Ma li conosci di persona, visto che come loro vivi a Brooklyn? No, non li ho mai incontrati. Solo una volta in un backstage ad un festival, sei o sette anni fa in Scozia. Ovviamente erano molto stanchi. Purtroppo non ci ho parlato. Ho visto sul sito che uscirà un'edizione speciale del CD con dei totem in regalo. Saranno dei pezzi limitati, delle piccole sculture forgiate per l'occasione. Perché li hai abbinati al disco? Volevo fare una cosa che durasse di più di un disco. Prendendo questi totem tra le mani puoi provare una sensazione di fisicità che non hai quando ascolti il CD. In più, puoi conservarle, metterle su una mensola o dove preferisci. E' quasi come avere una piccola scultura, un pezzo d'arte. La musica oggi può essere molto veloce, è tutta digitale, passa in fretta. Ho pensato a questi totem per lasciare in mano alla gente qualcosa di fisico e duraturo. Pensavo che fossero una rappresentazione della Black City... è una città vera o è una finzione? E' una finzione. Quindi quando parli della Black City non ti riferisci direttamente a New York? In parte c'è un riferimento a New York. Non solo alla Big Apple però. Ho vissuto molto a

Detroit, quindi c'è sicuramente anche un riferimento alla Motor City. Non c'è un'unica città che può essere presa a modello: in qualche modo tutte le città influenzano il modo in cui vivi. Black City è quindi anche una metafora del viaggio: anche Berlino ha molti lati oscuri, specialmente in inverno. Ci sono poi dentro Tokyo, Londra e altre metropoli che ho visto. Per tornare ai totem, l'idea di costruirli è venuta ad una piccola azienda di New York quando ha ascoltato la mia musica (gli artisti che hanno creato le piccole sculture sono i product designers Constantin e Laurene Boym della Boym Partners di New York, vincitori nel 2009 del National Design Award for Product Design, ndr). Tutti questi input si sono integrati tra loro e hanno portato alla luce queste sfumature diverse. La città è quindi un modo di convogliare diverse anime in uno stesso contenitore: in questo caso l'album. Pensavo anche a Gotham City, la città di Batman... Certo Gotham City è una grande Black City! Una città piena di fascino e mistero... in qualche modo riflette quello che ho cercato di esprimere nel disco. Ho letto nella tua biografia che ti sei spostato dal Texas a Detroit. Perché? Mi sono trasferito con la mia famiglia... E hai scoperto lì la musica techno? Sì è proprio così. Quando ho traslocato ascoltavo molto rock e musica composta principalmente con le chitarre. Sono arrivato a Detroit che avevo quindici anni. Alla radio di notte suonavano techno, hip-hop e rap. Così ho aperto i miei occhi sulla musica elettronica. Naturalmente ho iniziato a frequentare le feste house e ho iniziato a vedere tutti i DJ di Detroit che suonavano. Hai scritto anche una canzone, che poi è diventata un piccolo grande inno (Hands Up for Detroit). La suoni ancora quando metti i dischi? Nooo. E' vecchia! Mi piace quella canzone, ma non mi piace suonare le mie canzoni quando faccio Djing. Suono musica di altra gente. Ho letto che tuo padre era un chitarrista folk/country. Ti influenza in qualche modo anche oggi quel suono? Nel mio album precedente (Asa Breed) mi ha 75


influenzato nella composizione di una canzone e su certi suoni di chitarra acustica puoi trovarci i miei vecchi e ripetuti ascolti di Townes Van Zandt e di musica folk texana. Oggi però non uso molto quei suoni. Magari un giorno scriverò un album di folk. Tempo fa hai mixato un disco per la Get Physical e so che hai un sacco di progetti paralleli. In mezzo a tutte queste cose ti occupi anche della label Ghostly International. La stai un po' lasciando perdere ultimamente? Sì, in effetti ultimamente sono un po' più concentrato sulla mia musica. Della label ormai se ne occupa il mio amico Sam Valenti. Lui è il capo dell'etichetta. Io sto lavorando molto sull'album e su altri progetti. Come Audion, False... Hai pensato di suonare l'album dal vivo, con la tua Big Hands Band? Certo! E' da quattro settimane che stiamo provando a New York. Partiamo con il tour il mese prossimo negli Stati Uniti. New York, Chicago, San Francisco, Los Angeles e altri posti. A dicembre saremo in Europa e in Inghilterra. Verremo anche in Italia a dicembre. Nella band siamo partiti in tre: un batterista, un bassista, io suono il computer e qualche synth. Rispetto al tour di Asa Breed adesso abbiamo aggiunto anche Greg Paulus alla tromba e alle tastiere. Lui è conosciuto anche come No Regular Play. E' stato difficile uscire dallo studio e mettersi a suonare dal vivo? Sì, non è facile, ma è bello vedere come le canzoni cambino forma nel provarle con la band. Nell'album infatti tutte le parti di batteria e di basso non sono suonate. Per riportare sul palco le sensazioni del disco è come fare un remix di una traccia che alla fine suona totamente differente dall'originale. Il tuo suono e il tuo modo di fare djing è molto berlinese, molto minimal. Hai mai suonato a Berlino? Ti piace? Si ho suonato parecchie volte a Berlino. Lì ho molti amici, ci ho anche vissuto un po'. Il legame con la città è molto forte anche perché ho suonato per la M-nus di Richie Hawtin (aka Plastikman). Suonerai come dj nel prossimo futuro? Sì farò un po' di djing, magari dopo qualche concerto. Anche se per adesso mi sto focalizzando principalmente sulla band. Praticamente continuerai a fare un milione di cose! Certo! Non mollerò il djing, stanne certo! Come al solito cerco di fare tutto quello che mi piace. Quali sono le differenze fra djing e palco? Sono due cose totalmente diverse. Quando suoni dischi techno l'energia la trovi istantaneamente nella gente che balla e in ogni canzone che proponi. Quando suoni sul palco, la gente non balla. In un certo senso quando canti sei più onesto e dai al pubblico qualcosa di più personale, ti metti in gioco di più.

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Sei un dj fanatico del vinile? Non molto. Compro dischi in qualsiasi formato e poi li importo nel mio hard disc. E questo secondo te migliora o peggiora la qualità dei set? E' meglio avere più pezzi da cui scegliere. Quando usi dischi in vinile devi fare una selezione prima del set, perché non puoi portarteli tutti. Invece col digitale è più facile, puoi portarti tutta la collezione. In certi casi però può anche essere più difficile, dato che hai a disposizione una mole di canzoni infinita e certe volte non sai proprio cosa scegliere. Conosci qualche artista italiano? Mi piace molto Davide Squillace. Di sicuro conosci poi Marco Corona. C'è della buona musica che sta uscendo fuori dal vostro paese. Quando sono stato in Italia ho notato che la gente è affamata di buona musica e ho visto che questi ed altri produttori ce la stanno mettendo tutta per tirare fuori qualcosa di nuovo e buono. Cosa ascolti in questi giorni? Ascolti di più musica dance o canzoni rock? Ascolto più rock. Sto ascoltando molto gli Animal Collective. E naturalmente non riesco a smettere di ascoltare Brian Eno. Ascolto un mix di cose vecchie e nuove, anche se cerco sempre le novità nel mercato della musica indipendente. Ci sono molti suoni anni Ottanta nel tuo ultimo album. Ti concentri soprattutto sul suono dark. Pensi che questo mood sia appropriato per descrivere il nostro tempo? Sicuramente non puoi scappare dai guai che ci sono in giro per il mondo. Penso che sia anche per questo che la musica nell'album suoni dark. C'è un'incertezza in giro, le cose sembrano poco stabili dappertutto. Anche se l'album è oscuro nel complesso, nelle ultime canzoni riesci ad intravedere un po' di luce. Con questo voglio dire che non sono pessimista. Non penso che il mondo finirà presto (ride). Penso che dobbiamo essere consci però di quello che succede e di non ripetere gli stessi errori che abbiamo fatto nel passato. Mi sembra che il suono si riferisca anche alle atmosfere dei Depeche Mode. Ti piacciono? Certo, sono un loro fan. Pensa che è stato il primo concerto che ho visto in vita mia. Avevo 14 anni. Mi ci ha portato mio fratello. Sono rimasto colpito dal loro suono e penso mi abbia condizionato per tutto il resto della vita. Non dimenticherò mai quel concerto. Questa nostalgia per il suono degli anni Ottanta colpirà sicuramente gli over 30. Pensi di aver trovato il tuo suono 'maturo' in questo disco? Beh sarei un coglione se non ti dicessi che mi sono migliorato con il passare del tempo (ride)! Sto ancora cercando di trovare il suono perfetto. Molti album che escono oggi suonano un po' troppo forti e molto veloci, soprattutto per quanto riguarda la musica sintetica.

Qualche volta mi metto a scrivere un pezzo dance e scatta un qualcosa che mi fa abbassare i bpm. Anche nello scrivere le canzoni per quest'album è successo questo: mi son messo a pensare di cantare sopra le basi rallentate e ne è venuto fuori l'intero album. I dischi house che escono oggi sono molto aggressivi. Io non sono così, penso di essere più 'spaced out', mi piacciono i suoni più raccolti, più complicati. Quando la musica va più lentamente c'è più spazio per respirare. In questo senso il suono anni Ottanta mi dà emozioni più sexy, elementi che mi coinvolgono di più. Sono proprio queste emozioni che voglio mettere nella mia musica. Riesci a coniugare in qualche modo le direzioni divergenti dei tuoi progetti? Mi piacerebbe poter suonare sia dance che pop, ma sia per le prove con la band che per la promozione del disco, alla fine devo concentrarmi su un singolo aspetto. Oggi mi sta a cuore di più il cantato. Non mi piace pensare a un pubblico definito cui rivolgere la mia proposta. Sto tentando di proseguire quello che ho iniziato a fare quando avevo quindici anni e giocavo con la musica nel mio garage. Spero di poter far uscire da me stesso tutte le sfumature della mia musica, non solo un lato. Ora che ti stai concentrando sulla scrittura di canzoni pensi che siano più importanti le parole rispetto al suono? Parto sempre dal suono, ma poi quando entrano in gioco le parole, diventano più importanti, perché sono tutto nella mia vita. Le prendo dal mio profondo e quando scrivo una parola diversamente dal suono che è astratto, ha un significato ben preciso. Non voglio però indicare una via di interpretazione all'ascoltatore. In questo sono molto zen. Voglio solo lasciare pezzi di significato qui e là, senza raccontare storie compiute. Cosa pensi si ricorderà la gente dopo aver sentito il tuo album? Bella domanda. Probabilmente che la vità è molto confusa, ma che alla fine di quella confusione c'è comunque una soluzione che ti permette di uscire dai guai. Stai con qualcuno? Sì sono sposato. Ho una moglie e sono felice con lei. Probabilmente si spiegano molte cose allora: sei tranquillo anche per questo motivo nelle tue canzoni; anche nelle cose più da club c'è sempre questa tranquillità. Grazie! Sono contento che senti questo nella mia musica. Grazie mille Matthew, vuoi dirci qualcos'altro prima di chiudere? Beh, sono contento di come stanno andando le cose e del tour che parte fra pochissimo. Sarà stancante, ma prometto che darò il massimo negli show. Anche in quelli europei (ride)! Ci vediamo a dicembre in Italia!


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Zola Jesus Nika Roza Danilova ha iniziato a studiare canto lirico a dieci anni. Poi è stata rapita dal suono dei Residents e dai dischi di Diamanda Galas. Diciottenne ha fatto il suo esordio come Zola Jesus, pubblicando una serie febbrile di album e collaborazioni. Sull’onda di uno sperimentalismo in bilico tra noise e architetture lo-fi. Al centro di tutto, la sua voce. Oscura, magnetica. Apocalittica. Oggi Nika ha ventuno anni, un tour con Fever Ray alle spalle e un mini album, “Stridulum II”, in promozione. Una raccolta di preghiere elettroniche di cui ci siamo subito innamorati. Dall’Opera al Pop, passando per il Noise. L’arte in fondo vive soprattutto di cambiamenti.

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Intervista di Marco Lombardo. Foto di Irwin Barbé

Ciao Nika, come va? Bene, grazie. Dove ti trovi al momento? Sono a Montreal in Canada. Suonerò qui stasera. Cosa vuol dire per te il progetto Zola Jesus? E’ una sfida, un tentativo per scendere a patti con la mia voce e provare a me stessa che posso fare musica anche da sola. E’ una creatura nata da un coacervo di fragilità che lentamente si stanno diradando. Venivo da una fase di profonda depressione quando ho iniziato. Cantare mi ha fatto uscire dal tunnel. Grazie alla voce riesco a seppellire quei tarli oscuri che troppo spesso s’infilano nella mia testa. Dove sei nata? A Phoenix, Arizona. Dove sei cresciuta? A Madison, una piccola cittadina nel Winsconsin, ora abito a Los Angeles. Vivere in un posto sperduto mi ha aiutato a sviluppare una personalità autentica, senza troppe infrastrutture legate all’apparenza. Il contatto con la natura è stata una parte importante della mia infanzia e i lunghi inverni trascorsi lì, in qualche modo, mi sono rimasti dentro. Cosa facevi prima di formare i Zola Jesus? Come ti guadagnavi da vivere? Andavo a scuola. Zola Jesus mi accompagna dall’adolescenza. Ho iniziato molto presto. Sono passata direttamente dai banchi di scuola ai palcoscenici. A che età hai iniziato a fare musica? Canto da quando ho sette anni ma ho iniziato a scrivere come Zola Jesus a quindici anni. Sono in giro da parecchio tempo ormai. Spesso i giornali mi considerano una giovane rivelazione. In realtà ho già qualche disco alle spalle. Da dove vengono le tue canzoni, da quali stati d’animo trai maggiore ispirazione? La musica che scrivo nasce in un posto in fondo al mio cuore, dove c’è un sacco di tensione e aggressività repressa. Cantare è un processo di catarsi. I brani diventano così una sorta di urlo liberatorio. La musica mi ha dato quel senso d’identità che nel vivere quotidiano faticavo a raggiun-

gere. Sono sempre stata un outsider. A scuola facevo di tutto per tenere lontani i miei coetanei. Cosa volevi raggiungere con Stridulum, il tuo ultimo Ep? Volevo fare un disco che potesse mettermi alla prova, diverso da qualunque cosa avessi fatto in passato. Pensi di esserci riuscita? Non sono mai del tutto soddisfatta di quello che faccio. Ma credo di esserci andata vicino. Perché questo titolo? Stridulum è un film horror/fantascientifico di Giulio Paradisi del 1978. Racconta la storia di una giovane ragazza in bilico tra il bene e il male. E’ un film magnifico, incompleto, grezzo, a tratti confuso ma potente ed evocativo. Ho usato alcuni campioni della sua colonna sonora nel brano che poi ha dato il nome all’Ep. Dove hai registrato il disco? Nella mia camera da letto. Quanto tempo ci è voluto? Ho scritto e registrato le prime sei canzoni in due settimane. Le tre bonus track invece, che sono poi finite su Stridulum II, la riedizione per il mercato europeo di quell’Ep, hanno avuto una gestazione ancora più breve. Ho fatto tutto nel corso di un weekend. Hai prodotto tutto da sola? Sì, la maggior parte del lavoro è stata fatta in solitudine. Poi il mio amico Alex Degroot mi ha aiutato nella fase di missaggio e nella registrazione delle parti vocali. Stridulum segna un’evoluzione estetica importante rispetto ai tuoi dischi precedenti, caratterizzati da un suono marcatamente lo-fi. Questo passaggio verso sonorità più pulite è frutto di una scelta precisa avvenuta in fase di registrazione? Volevo sperimentare nuovi territori, almeno per quanto mi riguarda. Nei primi dischi ero interessata al confronto con la bassa fedeltà e le possibilità melodiche intrinseche al rumore. Una volta raggiunta una certa confidenza con quel tipo di linguaggio la voglia di cambiare si è fatta incontrollabile. Non avevo mai lavorato in termini così “pop”. E’ stata una sfida

avvincente. D’altronde mettere alla prova le proprie possibilità è una delle componenti organiche dell’essere un’artista. Ti piacerebbe collaborare con un produttore in futuro? Qualcuno in particolare? Non saprei, non sono interessata a mettere la mia musica nelle mani di un’altra persona. Vivo ancora tutta questa storia come una questione molto privata e personale. Ti piacerebbe scrivere una canzone per qualcun altro? No. Come ti dicevo scrivere per me è un qualcosa che va aldilà di una semplice forma di intrattenimento. E’ una sfida continua con me stessa. Uno specchio con cui analizzarmi e allo stesso tempo una porta che mi permette di entrare in contatto con il mondo esterno. Quali sono gli artisti che hanno avuto un impatto maggiore sulla tua crescita musicale ed estetica? Consciamente non faccio riferimento a nessuna influenza del passato. E’ un processo che avviene in maniera inconscia. Inevitabilmente però quando siamo esposti a nuovi input qualcosa dentro di noi, anche d’impercettibile, cambia per sempre. Spesso non ci accorgiamo nemmeno di questi cambiamenti. Li riconosciamo a posteriori, guardandoci indietro. La tua voce viene spesso paragonata a quella di Diamanda Galas e Lydia Lunch. Cosa ne pensi? E’ un onore essere accostata ad artiste del genere. Quando scrivo una canzone però non seguo alcun modello e cerco di essere il meno possibile derivativa. Chi ascolta un mio brano dovrebbe avere la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito e originale. E’ passato un po’ di tempo dalle registrazioni di Stridulum. Ti capita spesso di riascoltare i tuoi lavori? Che reazione hai? In realtà non lo ascolto da parecchio tempo. Faccio fatica a sentire i miei dischi senza provare imbarazzo ed essere estremamente autocritica. C’è una canzone che preferisci rispetto alle altre e che in qualche modo pensi ti rappresenti maggiormente?

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No. Sono fiera di ognuna di esse per motivi diversi. Preferisco immaginarle come un blocco unico, fatto di diverse sfumature. Perché la scelta di pubblicare Stridulum in una nuova versione? Ho aggiunto tre bonus track per completarlo e renderlo un vero e proprio Lp. L’album è uscito da parecchi mesi negli Stati Uniti ma avevo questi nuovi brani da parte che rispecchiavano totalmente le atmosfere dell’Ep. Quelle canzoni sono a tutti gli effetti un’appendice organica del primo Stridulum. Quindi ho deciso di raccogliere tutto il materiale insieme e allo stesso tempo di dare al pubblico europeo un qualcosa di nuovo in concomitanza del mio tour. Da dove prendi ispirazione per i tuoi testi? L’ Apocalisse vissuta dalla prospettiva di un essere umano è un tema che ricorre spesso, e poi il sentirsi fragile di fronte alla vita. Uso parole e sentimenti universali. Con i quali chiunque può entrare in contatto. Siamo tutti così tremendamente sperduti. Cerco di essere astratta quando scrivo. Voglio raggiungere una connessione profonda con chi mi ascolta. Riempire dei buchi. Lenire delle mancanze. Ognuno ha la sua storia però. Cerco allora di trovare una chiave che possa essere universale. Come descriveresti la tua musica a chi non ha mai ascoltato Zola Jesus? Non sarei in grado di farlo, davvero. Non ci proverei nemmeno. Cosa fai quando non sei in tour? E’ da maggio che sono in giro ininterrottamente. Quando mi fermo vado a scuola. In questo momento non c’è molto altro nella mia vita a parte l’università e la musica. Cosa studi? Filosofia. Durante tutti questi viaggi hai scoperto qualche band che ti ha sorpreso positivamente? Non ascolto molti nuovi artisti. Non riesco a tenermi aggiornata. Musicalmente parlando vivo in un mondo tutto mio. Qual è la parte migliore dell’avventura Zola Jesus? Essere in grado di mantenermi grazie alla mia passione più grande. Vivo questa condizione ancora come un sogno. L’aspetto peggiore? Essere obbligata a stare lontana da mio marito per troppo tempo.

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Qual è stato il momento più importante della tua carriera sinora? Sono fortunata, cambia di volta in volta. Le cose continuano a migliorare ogni mese. Il punto di svolta? In realtà non ho mai riflettuto in questi termini. Non saprei. Il momento più difficile? La stanchezza è costante. Il tour può portare alienazione. Ma ne vale pena. Ogni aspetto negativo è immediatamente ricompensato dall’affetto del pubblico e dal sapere che nel mondo ci sono persone che ascoltano i miei dischi e magari si emozionano grazie a una canzone di Zola Jesus. Ti ricordi il tuo primo concerto? Certo. E’ stato terribile. Ero terrorizzata. Sono appena riuscita a portare a termine un set di tre brani, nello scantinato di una pizzeria. C’è una band o una canzone che ha cambiato la tua vita? I Residents. Rappresentano tutto ciò che amo nella musica. La voglia di sperimentare, l’imprevedibilità, un fortissimo senso d’ identità, originalità, versatilità e allo stesso tempo un profondo rigore intellettuale. Altri gruppi importanti sono stati gli Swans, i Throbbing Gristle, le girl band degli anni sessanta, i Suicide, Kate Bush, Diamanda Galas… Dal punto di vista strettamente musicale quale direzione prenderà Zola Jesus in futuro? Non ne ho idea. Sono stata troppo impegnata anche solo per fermarmi a pensare. Come ti immagini tra dieci anni? Farò le stesse identiche cose che faccio oggi, allora però avrò pagato tutti i miei debiti con il mondo. Sei religiosa? No. Credo che la religione abbia un impatto negativo sulle persone. Le allontana da se stesse, proietta le insicurezze individuali all’esterno, affidandole a un’entità astratta, impalpabile. E’ una facile via d’uscita per non affrontare la solitudine. Ci rende spesso ancora più deboli e vulnerabili, incapaci di scendere a patti con la nostra natura più intima. Sei mai stata in Italia? Sì e l’adoro. Conosci qualche artista italiano? Luigi Russolo (compositore e pittore futurista della prima metà del novecento, è considerato l’inventore della musica noise). Un uomo molto importante per me.

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Cosa ti spaventa di più come artista? Essere mal interpretata. Come persona invece? La morte. Qual è la storia dietro al tuo nome? E’ un moniker che ho inventato quando ero una teenager. Stavo leggendo un libro di Émile Zola e me ne sono innamorata. Gli aggiunto Jesus per dargli un tocco di ambiguità. Dopodiché ho iniziato a presentarmi così. Il tutto per differenziarmi e allontanare i miei compagni di scuola. Hai aperto i concerti di Fever Ray nell’ultima parte del suo tour. Com’è stata quell’esperienza? Straordinaria. Karin è un’artista geniale. Ha una passione enorme per la sua arte e una dedizione assoluta. In questo siamo molto simili. Hai avuto modo di conoscerla meglio anche come persona? E’ molto dolce e gentile. In privato è sicuramente distante da quell’immagine un po’ inquietante che traspare dal palco. Da piccola hai studiato canto operistico. Quando hai iniziato e come ti sei fatta coinvolgere da un genere così inusuale per una ragazzina? Ho iniziato a studiare Opera a dieci anni. Mi sono ritrovata questa voce così potente e non sapevo bene cosa farmene. Ero confusa. Volevo svilupparla e imparare a gestirla. Mi è sembrato un ottimo modo per entrare in contatto in maniera più consapevole con questa parte ingombrante di me. Cosa ti piace di più dell’Opera? La potenza e la forza nel cantare. La voce è una componente fondamentale di questo genere musicale. Aver studiato canto operistico ha influenzato la tua musica in qualche modo? In un certo senso sì. Zola Jesus è nata proprio come reazione all’insicurezza e all’ansia che ho sviluppato studiando canto. Avevo bisogno di liberarmi da quei vincoli accademici così asfissianti e lasciarmi trasportare da una libertà espressiva più istintiva e meno controllata. Ho imparato molto da quelle lezioni anche se mi hanno fatto soffrire. La rigidità di quei canoni a un certo punto è diventata insopportabile e mi ha spinto verso la sperimentazione più assoluta, seguendo un percorso di contrappasso. Visto il tuo background, cosa ne pensi di Tomorrow In A Year, l’album operi-

stico dei The Knife dedicato a Charles Darwin? Mi piace, credo sia brillante. Loro sono degli artisti sensibilissimi e anche in questo caso hanno fatto un ottimo lavoro, soprattutto quando si avvicinano alla musica concreta. Ho letto che fai anche parte di una rock band sperimentale, i Former Ghosts. Mi racconti qualcosa di questo progetto? Freddy Ruppert è il fondatore e la mente creativa del gruppo. E’ una delle persone più dolci e talentuose con cui abbia lavorato. Sono davvero fortunata ad averlo come amico e collaboratore. Sono coinvolti nel progetto anche Jamie Stewart degli Xiu Xiu e Yasmine Kittles dei Tearist. Faremo qualche data insieme a fine ottobre, portando in giro sia i Fomer Ghosts che Xiu Xiu e Zola Jesus. L’album, New Love, uscirà a metà novembre per l’etichetta Upset The Rhythm. Riesci a vivere soltanto di musica ormai? Sì, stento ancora a crederci. Ho combattuto così tanto per arrivare a questo punto. Spero che questa situazione duri il più a lungo possibile. Hai rivelato in alcune interviste che soffri di attacchi di panico dovuti alla tua paura del palcoscenico, ma nonostante questo continui a esibirti ogni sera. Perché? Cosa ti spinge sul palco? Non posso farne a meno. E’ parte del mio lavoro. E’ un sacrificio necessario per potere vivere di tutto questo. Mi terrorizza, ma è una cosa che devo ai fan che comprano il biglietto per vedermi e acquistano i miei dischi. Mi fai il nome di qualche film o regista che ti ha influenzato? Cronenberg, Svankmejer, Parajnov, e qualsiasi film giallo con Edwige Fenech. Che musica stai ascoltando al momento? Molte cose diverse. Soprattutto musica soul. Chi è la persona più importante nella tua vita? Mio marito. Il tuo fashion designer preferito? Rick Owens. La serie tv? Twin Peaks di Lynch. Se non fossi una musicista, cosa ti piacerebbe fare? Non ci sono alternative. Questa è l’unica strada percorribile per me.


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Golf EMPORIO ARMANI, orecchino MARIA FRANCESCA PEPE

Erika Photographer: LADY TARIN Styling: ILARIA NORSA Assnt styling: FABIANA FIEROTTI Model: ERIKA at Next Models Special thanks: VIOLETTA GATTI

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T-shirt HAIDER ACKERMANN, vestito TOPSHOP, golf rosa CALVIN KLEIN JEANS, orecchino MARIA FRANCESCA PEPE

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Golf PRINGLE OF SCOTLAND, jeans LEVI’S, anelli MARIA FRANCESCA PEPE

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T-shirt e cardigan vintage stylist’s own, leggings in velluto AMERICAN APPAREL, collane MARIA FRANCESCA PEPE, occhiali SUNETTES

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Golf EMPORIO ARMANI, collana FANNIE SCHIAVONI, gonna vintage, orecchino MARIA FRANCESCA PEPE

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Vestito C’N’C COSTUME NATIONAL, golf stylist’s own, collana ed anelli MARIA FRANCESCA PEPE

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Golf nero DIESEL, jeans LEE, boots DR MARTENS, collana e anelli MARIA FRANCESCA PEPE

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T-shirt SIXPACK, pantaloni DIESEL, anello EMANUELE BICOCCHI

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Vestito trasparente DIESEL, golf nero CALVIN KLEIN JEANS, cardigan grigio SESSUN, guanti neri OBEY, collana MARIA FRANCESCA PEPE, boots FORFEX

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T-shirt AMERICAN APPAREL, gilet in pelle MISS SIXTY, pantaloni e cintura vintage stylist’s own

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Andata e Ritorno.

Mantella SEE BY CHLOE

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Photographer: PIOTR NIEPSUJ Styling: FABIANA FIEROTTI Assnt styling: SARA KOLLHOF Hair&make-up: ANTONIO TROVISI at Orea Malia’ Models: ASHA at Joy Models, ILARIA PERETTI, GIORGIO GEMMI e MICHELE EGG PAPETTI

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Giorgio: giacca LOREAK MENDIAN, t-shirt SIXPACK, jeans DIESEL - Egg: giacca WRANGLER, jeans LEVI’S

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Ilaria: maglione DIESEL, scarpe FORFEX

Asha: mantella SEE BY CHLOE

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Asha: giacca MARIOS, vestitino OBEY - Egg: maglione MARIOS

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Egg: maglione MARIOS, cuffie WESC

Giorgio: camicia LEE, jeans DIESEL Ilaria: giacca DIESEL, t-shirt RVCA, jeans LEVI’S

Giorgio: maglione RVCA, jeans OBEY, occhiali SUPER Ilaria: maglione DIESEL

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Asha: mantella SEE BY CHLOE Ilaria: cardigan LOREAK MENDIAN

Asha: vestitino OBEY

Ilaria: cardigan LOREAK MENDIAN

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Ilaria: cardigan e camicia LOREAK MENDIAN

Asha: mantella SEE BY CHLOE, jeans DIESEL - Egg: giacca WRANGLER

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Ilaria: jeans DIESEL, scarpe vintage - Giorgio: jeans LEE, scarpe VANS

Giorgio: camicia LEE

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Ilaria: maglione DIESEL - Giorgio: maglione RVCA, occhiali SUPER

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PIG list: Interpol A ridosso dell'uscita dell'ultimo e omonimo lp, ecco una playlist targata Interpol e firmata da Daniel Kessler.

Deerhunter - Desire Lines, Cass McCombs - Dreams Come True Girl, Burial - Etched Headplate, Avi Buffalo - Truth Sets In, Papa M - Arundel, Colleen - Everyone Alive Wants Answers, Can - Oh Yeah, Caribou - Odessa, The Dirty Projectors - Stillness Is The Move, Beach House - 10 Mile Stereo

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Di Marco Lombardo

Foto di Samantha West

Musica Album del mese

Twin Shadow - Forget (4AD) La voce di George Lewis Jr, bizzarro

label britannica. Il tutto riproposto da una

crooner di origine domenicane residente

prospettiva soul languida e sensuale. In

a Brooklyn, è un improbabile mash-up tra

cabina di regia troviamo Chris Taylor dei

Morrissey, Kurt Wagner dei Lambchop e

Grizzly Bear. Ed è una babele di ritmiche

il misconosciuto popster svedese Nicolas

sincopate, arrangiamenti di sintetizzatori

Makelberge. Forget esce su 4AD e non

dai suoni filologici, archi che ricordano

poteva essere altrimenti. Imbevuto di

Arthur Russell e chitarre riverberate.

atmosfere New Wave, il disco ci conduce

Intanto George ci racconta di fredde

con garbo nei meandri di un’originale

stazioni della metropolitana che scorrono

rivisitazione del canovaccio 80’s Pop caro

fuori dal finestrino, di vagoni coperti

ai Police, agli Echo And The Bunnymen e

di graffiti e ricordi che fanno male. Al

ai primi Simple Minds. Senza dimenticare

capolinea però, una promessa. La sua

la miriade di gruppi minori della seminale

musica ci aiuterà a dimenticare. 107


Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo, Gaetano Scippa e Marco Braggion

Avey Tare - Down There (Paw Tracks) Dopo il panda, è il coccodrillo a emergere dal collettivo animale. Il primo album solista di David Portner, registrato con Deakin in una vecchia chiesa di NY, è molto più che un debutto. Come Person Pitch, è una prolunga più elettronica degli AC, ugualmente personale e matura. Meno solare, ovvero più ricca di elementi stranianti e tenebrosi che compaiono e scompaiono come folletti in una selva oscura. Se la convenzionale 3 Umbrellas accontenta lo zoccolo duro di fan, a farci esultare sono il cuore house di Oliver Twist, i riverberi acquatici di Ghost Of Books e la caleidoscopica luce in fondo al tunnel di Lucky 1. G.S.

Warpaint - The Fool (Rough Trade) A non saperle in giro da sei anni verrebbe da apostrofare queste quattro donzelle yankee come raccomandate, non come estremamente tenaci. Al loro fianco ieri John Frusciante, oggi Andrew Weatherall, per un esordio su Rough Trade condito da immancabile hype, a cui il tour con gli xx non può che avere contribuito. Nove tracce, scarne, tra folk e indie rock, new wave britannica aspra circa eighties, sonorità ruvide e atmosfere malinconiche e spiritate. Pensate ai Blonde Redhead, non gli ultimi, a Mazzy Star e persino agli xx, e nel caso avventatevi su The Fool. D.

Small Black - New Chain (Jagjaguwar) Dopo Despicable Dogs, il singolo delizioso dello scorso anno, il quartetto di New York esordisce sulla lunga distanza. Immersi in quella terra misteriosa rinominata chillwave, gli Small Black scrivono un disco ricco di sfumature eighties, dove avvolgenti melodie telefonate si mescolano alla grana polverosa di synth e drum-machine colorate. New Chain unisce la malinconia di Washed Out, l’anima psichedelica degli Animal Collective, grazie anche a brillanti incursioni in territori dub, con fraseggi di chitarra alla New Order. Canzoni per l’autunno inoltrato. M.L.

KXP - K-X-P (Smalltown Supersound) Non è tutto metal quel che luccica in Finlandia. Timo Kaukolampi (K) e Tuomo Puranen (P) sono due musicisti degli Op:l Bastards. In mezzo a loro, una X delinea lo spazio di percussioni, bassi e sintetizzatori che hanno fatto la fortuna di gente come LCD Soundsystem e zZz. Fortuna ottenuta attingendo a piene mani dal repertorio di Suicide e soprattutto di gruppi cosmici tedeschi anni ’70. La presa elettrica d’annata lavora bene, in modo semplificato ma divertente ed efficace, raggiungendo due picchi ad alto voltaggio con tanto di voci come 18 Hours (Of Love) e Pockets. Il kraut rivisto e corretto come piace a noi. G.S.

The Concretes - WYWH (Something In Construction/Friendly Fires) Tornano dopo tre anni di silenzio i Concretes, il gruppo di Stoccolma, una volta capitanato da Victoria Bergsman (Taken By Trees), oggi guidato dalla batterista Lisa Milberg. WYWH segna un cambio di direzione rispetto al passato. Troviamo infatti il gruppo svedese alle prese con una disco music aristocratica e raffinatissima. Basso e batteria in primo piano. La voce algida, sofisticata e distante di Lisa a disegnare melodie diafane. Mentre misurati inserti di elettronica impreziosiscono i dettagli. Gli Abba sono tornati ed è un piacere per soli adulti. M.L.

Crystal Fighters - Star Of Love (Zirkulo) Ho come la sensazione che questo quintetto formato da due ragazzi inglesi, un americano e due femminucce spagnole, con base nell’East London, verrà ingiustamente massacrato dalla critica. La colpa? Essere arrivato al debutto fuori tempo massimo per godere del calderone Nu-Rave che sembrava averli adottati. Peccato davvero. Perché Star Of Love merita. Eccome. Ibrido bastardo tipicamente londinese, i Crystal Fighters mischiano in un vortice esotico elementi di folk basco, electro punk, sbavature rave e synth pop accartocciato. E suonano tremendamente originali e rinfrescanti. Don’t believe the Hype. M.L.

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Brian Eno - Small Craft On A Milk Sea (Warp) E’ arrivato l’atteso matrimonio con la Warp. In apparenza nulla di trascendentale, anzi i più cinici potrebbero sollevare la questione del manierismo. Invece il discorso funziona, l’album è fluido e potente, “frutto di anni di jam tra Eno, Abrahams e Hopkins”, come spiega Leo Abrahams. Oltre al chitarrista, infatti, in questo lavoro “improvvisato” e liberatorio si sente la mano di Jon Hopkins, che amplifica l’esito organico e marziano al tempo stesso. Droni, synth artici e ritmiche motorik generano tensione (la triade Flint March, Horse, 2 Forms Of Anger) e poi distendono. Corriamo a ordinare il box in edizione limitata. G.S.

The Orb featuring David Gilmour - Metallic Spheres (Sony) La psichedelia come trait d’union tra due Orb e un Pink Floyd, titani nei rispettivi campi d’azione. Martin ‘Youth’ Glover – artefice di questo split – per le parti di basso e tastiera, Alex Paterson per la manipolazione del suono e gli inserti di piatti e tastiere, David Gilmour per la chitarra e (frammenti di) voce. Una sessione di mix in studio che ha prodotto due suite equilibrate di chill out dal sapore mantrico, ognuna divisa in cinque parti. Se da un lato pesa la mancanza di una struttura, dall’altro l’effetto che si protrae per cinquanta minuti scarsi è comunque piacevole, ritmato ma rilassante. G.S.

Le luci della centrale elettrica - Per ora noi la chiameremo felicità (La Tempesta) Vasco Brondi è materia preziosa. Canta. Ma in realtà è come se quella voce fosse una videocamera. Intenta a riprendere capolavori di neorealismo contemporaneo mai girati. Le sue parole descrivono un Italia in ginocchio. Abbandonata e stordita. Che attraverso la sua lente diventa bellissima e struggente. Come una pellicola di Pasolini. Vasco è un poeta acutissimo. Precario. A tratti disperato. In grado di sconvolgerti dentro con immagini che si incastrano tra il cuore e lo stomaco. Nelle sue canzoni ci sono le nostre storie che pulsano. M.L.

Crimea X - Prospective (Hell Yeah) Joint venture tutta reggiana quella tra DJ Rocca (Ajello, Super Sonic Lovers, Maffia Sound System) e Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò. Testa che si perde tra le nuvole seguendo rotte che portano a paesaggi immaginari, ma piedi ben piantati per terra per un concept che dovrebbe idealmente ruotare attorno alla dottrina marxista. Sonorità liquide e grooves ipnotici la fanno da padrone in questo viaggio senza vuoti d’aria che lambisce e unisce disco, house, psichedelia e kosmische musik, tra aliti di flauto, tastiere e percussioni tribali. Musica per il corpo e per la mente, materiale “resistente”. D.

I Blame Coco - The Constant (Islands Records) Eliot “Coco” Paulina Sumner, nata a Pisa nel 1990, è la figlia di Sting. Fisico da modella e fascino malinconico, inizia a scrivere musica a quindici anni. La Island ne fiuta presto il talento. La mette sotto contratto e l’affida a Clas Ahlund, il produttore di Robyn. Coco inizia così un lungo praticantato da pop star e forma la band I Blame Coco. The Constant è il suo album d’esordio. Una raccolta di numeri fm-pop-rock contaminati d’elettronica, arricchita da un cameo della stessa Robyn in Caesar. Parlare di passaggio di testimone è prematuro ma il futuro è dalla sua parte. M.L.

Magnetic Man - Magnetic Man (Columbia) Se volete capire dove va a finire il clubbismo UK, entrate nel disco più chiacchierato da quest’estate a oggi (almeno su NME). Il progetto ubercommerciale di Skream, Benga e Artwork cancella l’underground dall’etichetta dubstep e riporta tutto nel club, con semi-inni da rave, sfoggio di cattiveria gangsta e tante tante spezie chimiche. Sicuramente una bomba per gli isolani che rimpiangono i fasti del 2step. Per gli altri, una presa di coscienza di come il ritmo di Croydon sia entrato definitivamente in classifica. Poshy-step is the new loud. M.B.

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Musica Varie

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa

The xx - The xx remix - (White Label) EP

Traks Boys - Starburst / Yellobirds

Korallreven - Honey Mine (Acephale) 7”

Non è ancora chiaro che forma prenderà questa

(Internasjonal)

Ennesima crisalide balearica dal duo di Stoccol-

release, ma il Four Tet di VCR è da corto circuito

Già apprezzati con il precedente 12” tornano

ma, che ha in organico il tastierista dei Radio

e il “sentimento” balearico che Talabot ci mette

i misconosciuti ma dotatissimi nipponici. Testa

Depth. Ospite alla voce c’è Victoria Bergsman.

in Shelter la rendono indispensabile. Come rin-

coda A1 B2 tra la fluttuazione celestiale di

E il paradiso si tocca con un dito. Remixa D.

namorarsi degli xx, un anno e mezzo dopo. D.

Starburst e il turbo boot che TBD mettono a

Lissvik. M.L.

Yellobirds. D.

Iori’s Eyes - Matter Of Time

Kappah - Welcome Superstereo Stars

The Gaslamp Killer - Death Gate

(Saphary Deluxe) EP

(ReddArmy)

(Brainfeeder) EP

Le star indie-pop che l’Italia aspetta da sempre.

Promessa del wonky nostrano, Kappah si espri-

William Bensussen ci spara nel woofer cinque

Clod e Sofia questa volta guardano agli anni

me meglio quando si scolla dai canoni del ge-

nuovi pezzi, tra cui il dubstep mediorientale di

ottanta e puntano a varcare i confini nazionali.

nere o dal miele r’n’b. Del godibile WSS, in free

Fun Over 100 e l’ethio-jazz di When I’m In Awe

Talenti assoluti. Siamo con voi. M.L.

download, ci sorprendono l’incedere di Space

con la voce di Gonjasufi. Della cricca losangeli-

Explorations e il riuscito feat. con Railster. G.S.

na, al momento, TGK è il più ispirato. G.S.

AAVV - Future Bass (Soul Jazz)

Museum Of Bellas Artes - Days Ahead

Eliphino - Undivided Whole

Guardare avanti, sempre. In questo box ci sono

(Force Majeure) EP

(Somethinksounds) EP 12”

diverse tracce esaltanti, tutte inedite, dove emer-

Tre fanciulle di Stoccolma. Per un nuovo mira-

Elettronica da Leeds particolarmente emozio-

gono post-dubstep (Mala), post-house (Four Tet),

colo tutto svedese. Disco music caraibica, con

nante. Le prime due tracce di UW sono sviluppi

post-drum’n’bass (Ramadanman) e post-trip-hop

spruzzate di vernice Italo. Adesso aspettiamo

esemplari del nuovo garage/2step, mentre il

(Black Chow). Il futuro è già qui. G.S.

trepidanti l’album. M.L.

lato B spinge in direzione house. Musica per

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mente, corpo e anima. G.S.



Film del mese

Di Valentina Barzaghi

Scott Pilgrim vs The World Di Edgar Wright. Scott Pilgrim è un fumetto del brillante cartoonist Bryan Lee O'Malley, che ha unito in modo strepitoso comedy, action, teen-problems, love story. Il regista Edgar Wright, ha preso la trama del comic book e ne ha fatto un film divertentissimo. Scott è fondamentalmente un giovane scansafatiche, bassista di una garage band, che quando meno se l'aspetta incontra la sua donna dei sogni: Ramona. Il suo problema è che la ragazza è più difficile da conquistare di quanto mai lui avesse potuto credere. Per vivere una tranquilla relazione con lei, dovrà prima riuscire a sconfiggere i suoi sette pericolosissimi fidanzati che sono tornati solamente per ucciderlo. Con l'idolo Michael Cera e la "in realtà super figa" Mary Elisabeth Winstead, è l'ultimo film geek (a breve distanza dal straordinario Kick Ass, di cui però qui non si hanno 112 PIG MAGAZINE

ancora notizie sull'uscita) che i vostri sogni potevano aspettare. Ragazze belle, ma in forme, ragazzi bruttini e nerd che hanno la meglio sui bellocci cattivi, sono solo alcuni ingredienti della pozione magica che Wright ci offre, un intruglio a base di manga, videogames e comic books. Il regista non fa il sobrio nella messa in scena dell'immaginario di genere e così, come nei fumetti veri, ogni rumore viene accentuato sullo schermo con grafica (esempio. "whoosh"- fruscio o "thonk" per un colpo). Per non parlare delle coreografie dei duelli con i vari fidanzati di Ramona, in cui il giovane Scott e gli sfidanti si esibiscono, tra salti e capriole mirabolanti, senza dimenticare mosse di arti marziali e alla smackdown. Wright è bravo a dirigere i ragazzi, soprattutto nelle scene di combattimento (e questo lo avevamo già capito da un suo lavoro precedente e molto apprezza-

to da queste parti, Hot Fuzz), creando un film ad altissimo voltaggio, che lascia lo spettatore in un continuo stato di eccitamento (avete presente il trailer del film? Beh... Scott Pilgrim vs The World è così per pressoché tutta la durata). Ma il film di Wright, così come ovviamente lo era il fumetto di O'Malley, è anche una tradizionale favola per la new generation: gode di tutti gli stilemi classici, tra cui una principessa, l'eroe che la salva e chi si frappone alla loro unione felice, ma utilizzando metodi moderni di narrazione (come si diceva: videogames e animazione). Andate a vederlo, sarà come entrare in un frullatore: cervello cotto ma divertimento assicurato! N.B. Il film piacerà soprattutto agli under 30 o agli accaniti consumatori di geek movies. Per gli altri, meglio l'astensione!


Cinema

The Killer Inside Me Di Michael Winterbottom. Tratto dall'omonimo libro di Jim Thompson (1952), celebre autore pulp, racconta l'ambigua e controversa storia di uno sceriffo di una periferia texana (interpretato dall'inquitante Casey Affleck) che inizia una relazione clandestina con una prostituta (Jessica Alba). Man mano che la relazione tra i due diventa più intima, emergono anche alcuni torbidi aspetti del

carattere e del passato del protagonista, che fanno solo da preambolo allo scoppio di follia successivo. Winterbottom costruisce un buon noir, a tratti forse un po' troppo lento, ma crudo e angosciante. Ci catapulta nella storia del suo protagonista, ce lo fa amare nonostante i sostenitori del romanzo sicuramente storceranno il naso. Thompson aveva costruito una storia pulp. Punto. Niente giu-

stificazioni psico-sociologiche di contorno. Winterbottom lo rinterpreta secondo la sua chiave stilistica, poco adiacente quindi alle pagine scritte, ma la visione che ne dà è comunque potente, con quella fotografia patinata dai colori accesi, la musica country-jazz, i titoli di testa da fumetto... E la violenza, col ritratto torbido del suo protagonista, quando arriva lascia turbata la vista e lo stomaco.

The Social Network Di David Fincher. Chi non ha facebook ai giorni nostri è davvero un irriducibile (oltre una persona che stimo, ma è personale)... In Italia un annetto circa fa avevamo provato a fare un film sul network, Feisbum, di cui eviterei di parlare per ovvi motivi... Il film italiano comunque era una storia ad episodi sui cambiamenti sociali postfacebook (social network). Il film di Fincher invece racconta come è nato Facebook, la sua vera storia, muovendo le fila dal libro

“The Accidental Billionaires: The Founding of Facebook, A Tale of Sex, Money, Genius and Betrayal” di Ben Mezrich, che parla proprio di quanto accaduto nelle aule di Harvard. E' qui infatti che Saverin e Zuckerberg si sono conosciuti: tipici nerd, adorano la matematica e sono dei veri impediti con le ragazze. Per affrontare il problema a modo loro, Zuckerberg una notte viola la rete universitaria, andando a creare un database con tutti i dati

delle ragazze. Da lì poi il resto è storia: il ragazzo rischia di essere cacciato da Harvard, l'amico Saverin si sente tradito... Fincher presta molta attenzione a questo dettaglio, ci fa riflettere su come la creazione di qualcosa che debba unire le persone, sia in realtà nata per colmare un vuoto-una solitudine, dalla rottura di un'amicizia reale e... perché no, anche dal trovare un modo facile e senza esposizione del "vero sé" per rimorchiare. 113


Dvd

Di Valentina Barzaghi

Shadow Federico Zampaglione, dopo il successo di “Nero Bifamiliare”, è tornato dietro alla macchina da presa con un film di genere horror. La storia è quella di un reduce della guerra in Iraq che per dimenticare, si avventura tra le montagne europee per un giro in mountain bike. Qui incontra la bella Angeline e insieme si avventureranno tra i pendii incantevoli, ma che nascondono qualcosa di misterioso e davvero truce... Il 16 novembre sarà in vendita l’imperdibile Special Edition (dvd+blue ray disc) che oltre il dvd del film contiene il “Behind Shadow” e il cortometraggio di Dario Albertini “Voce nella notte”. Per finire, la graphic novel, un prequel ispirato ai personaggi di Von Moertitz, genesi di un’entità maligna sempre in agguato. In occasione di questo lancio, abbiamo scambiato al telefono due parole con il regista Federico Zampaglione. Com' è stato girare Shadow? C'è stato un gran lavoro dietro, è stato un film molto difficile da girare. Quando ho iniziato a lavorarci non avrei mai immaginato quello che poi è successo, anche il fatto che abbia fatto questo record di vendite all'estero diventando il film italiano più venduto degli ultimi dieci anni, che era la cosa più lontana che io potessi pensare, credimi. In Italia in sala non è andato male: non è rimasto molto in cartellone, ma per il tempo in cui c'è stato ha avuto un ottimo riscontro. Si sa che il genere in Italia fa spesso un po' più di fatica... ma il lato positivo di avere un cast internazionale è che proprio adesso mentre stiamo parlando (13 ottobre, ndr) il film esce in sala negli U.S.A. In generale comunque

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sono felice all'idea di aver contribuito al cinema di genere, a rimetterlo un po' in gioco a livello internazionale, perché ti assicuro che il nostro cinema di genere è amatissimo e rispettato all'estero ed è un peccato che non ci sia più attenzione. Nei circuiti istituzionali trovo che ci sia una certa ignoranza nei confronti di un certo tipo di cinema... mi è capitato di parlare con persone che cadono dalle nuvole, che non sanno che esiste tutto questo circuito. Ti ricordi quando ti è venuta in mente l'idea per il film? Un giorno avevo noleggiato delle biciclette con mia moglie, le stesse che hai visto anche nel film, ed eravamo andati a fare un giro nel bosco. Ad un certo punto l' ho

persa di vista: ho fatto una curva e, anche se per pochi minuti, non l'ho vista più. C'era questo bosco che nel frattempo era diventato molto silenzioso, come nel film quando lui si perde lei; anch'io incominciai a chiamarla, ma nel mio caso, grazie al cielo dopo poco si risolse tutto. Quando stavo tornando a casa però, dentro di me cominciai a sentire che era un soggetto perfetto per un film... Sai quando un momento credi di essere tranquillo e poi ad un tratto sparisce qualcosa, una persona? Mi erano venuti i brividi... Parlare di Iraq in un film di genere horror non è poco ambizioso, ma direi che nel tuo caso sei riuscito nell'intento. Era maggiore la necessità di parlare di Iraq o di


fare un film horror? La prima necessità era quella di fare un film horror. Quali sono state in questo, le tue fonti d'ispirazione più grandi? Guarda, io nasco essenzialmente come appassionato di un certo tipo di cinema, per cui sono cresciuto guardando i lavori di Fulci, di Dario Argento, di Bava... è sempre stato un linguaggio cinematografico che mi è piaciuto tantissimo quello dell'horror anche perché le musiche hanno avuto da sempre un grande spazio. Già da bambino adoravo guardare queste pellicole, quindi era un sogno per me poter fare un film così. Mio padre mi portava al cinema a vederle e da lì ho capito che questo mondo spaventoso, misterioso, mi piaceva da morire, mi intrigava, nonostante mi spaventasse moltissimo... Mi ricordo che ogni tanto in tv, quando ero bambino, sbirciavo i film di Joe D'Amato... Che poi è stato anche colui che mi ha rimediato un contratto discografico, quindi credo in qualche modo che il mio destino fosse già legato al genere... La prima volta che invece vidi un horror al cinema era Suspiria di Dario Argento. Mi ricordo di essere morto di paura! Mi ero già approcciato a qualcosa di simile con il mio primo film, Nero Bifamiliare, ma lì non ero riuscito a fare fino in fondo quello che volevo, cioè qualcosa dai toni molto più neri, nonostante il titolo richiamasse un po' questa idea. La produzione di quel film però era orientata verso il "film per tutti", che implica anche dei compromessi. Sono stato complessivamente soddisfatto, ma mi ero riproposto di affrontare come secondo passo quello che amo di più, che è il

News

cinema di genere. Parlavi della colonna sonora, che nei film dell'orrore comunque è sempre stata una parte rilevante. Quella di Shadow è stata composta e arrangiata da The Alvarius, tra cui c'è tuo fratello... Sì è mio fratello (Francesco Zampaglione, ndr) che ha firmato la colonna sonora. Ne abbiamo parlato prima e poi ci ha lavorato lui con Andrea Moscianese... Io ho dato più che altro indicazioni di regia, le linee guida... Credo che abbiano fatto un ottimo lavoro, sono riusciti a dare una voce molto particolare al film. Come mai hai voluto dare un risvolto quasi umano al tuo personaggio "mostruoso"? Intendi la scena del manichino, no!?! Diciamo che il personaggio fisicamente è abbastanza mostruoso, ma rappresenta anche un'entità metafisica; quindi non mi sembrava giusto attribuirgli solo connotazioni negative, ma mi piaceva che avesse dei momenti di arrendevolezza, mostrati in maniera del tutto singolare, ma umani; un momento di contatto con qualcosa che non fosse distruzione e morte. Quali sono le cose che vorresti far sapere a uno spettatore che si sta approcciando al tuo film? Mah, non vorrei che sapesse troppo... Un buon horror, più rimane avvolto nel mistero e meglio è. Un film horror a me piace soprattutto quando non riesco a capire che cosa succederà. Da spettatore, ti posso dire che ci sono stati alcuni momenti in cui mi sono dovuta coprire gli occhi (e non ne vedo pochi di

film di questo genere). Tu come hai fatto a lavorare dietro alla macchina da presa, soprattutto in scene come quelle del taglio della palpebra? Quando stai filmando, dopo magari i primi momenti, ti distacchi completamente e quindi al momento non hai lo stesso impatto dello spettatore. Fra l'altro, citavi la scena dell'occhio... Quella è stata complicatissima perché ha avuto anche un lavoro di effetti speciali in digitale, quindi ha preso man mano vita fino a diventare realistica come nel film. Anche il viso dell'attore è stato ricostruito con un occhio finto, in cui abbiamo fatto muovere la pupilla... Insomma... Però ti devo dire che la prima volta che ho visto l'effetto finito, ha dato fastidio anche a me. La domanda che nessuno ti ha mai fatto su Shadow, ma a cui ti piacerebbe rispondere? (ride) Lo rifaresti? E la risposta sarebbe... Sì, lo rifarei, anche se come ti dicevo è stata l'esperienza che su tutti i fronti più difficile della mia vita, sia fisicamente che artisticamente. Fisicamente perché girare con quel freddo, su quelle montagne, con tutte quelle situazioni di pericolo, è stato un modo per mettersi alla prova. Artisticamente perché ho davvero dovuto andare a pescare l'aspetto più nero dentro di me; inoltre sono percepito dal pubblico come un cantante romantico, quindi ho messo in gioco tutto, perché tutte le persone che ascoltano la mia musica, magari con un film del genere cambiavano idea. E' stato un gesto d'amore che rifarei, ma non ti posso negare che ci sia voluta una buona dose di follia.

Di Valentina Barzaghi

51 Festival dei Popoli, Firenze Interessante appuntamento che si rinnova di anno in anno quello del festival fiorentino, quest'anno in corso dal 13 al 20 Novembre, sotto la direzione di Luciano Barisone. Dedicato alla produzione documentaristica mondiale, inaugurerà con un'anteprima italiana imperdibile: When You're Strange, documentario di Tom Dicillo sui The Doors. Oltre a questo, a far da padrone ovviamente sarà il Concorso Internazionale Lungometraggi (con 16 opere inedite in Italia), oltre a quello dei Cortometraggi e sezione Stile Libero, dedicata alle forme più originali dello sviluppo di genere. La personale invece sarà su Peter Mettler, acclamato regista canadese. www. festivaldeipopoli.org

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Books and So

Di Rujana Rebernjak. Foto di Tankboys

Toppled Scrivere non è il mio lato forte... almeno non quanto leggere. I libri solitamente li divoro. Nonostante in questo caso avessi poco da leggere, Toppled l'ho divorato in ugual modo. L'effetto che ha avuto su di me questo libro, realizzato a partire da un archivio che conteneva più di 700 immagini trovate in internet, è stato forte e immediato. L'iniziale curiosità per la ridicola violenza delle fotografie, è tramutata nell'interesse di scoprire cosa avesse portato alla loro creazione. Toppled è una raccolta di immagini delle

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statue di Saddam Hussein che sono state trasformate da icone nazionali da venerare, mentre era al potere il suo regime, in un simbolo della caduta dello stesso. Usate per esprimere tutto il disprezzo del popolo, come si vede dalle sezioni del libro, le sculture sono state ribaltate, picchiate, ci hanno pisciato sopra, sono state portate via e persino vendute su internet. Questo libro dimostra come, per riportare le parole dell'autore Florian Göttke, anche nella nostra “moderna società delle immagini”,

l'antica connessione magica che legava la persona alla sua rappresentazione rimanga ancora viva nella psiche umana. Per dare una descrizione più banale, questo libro fa ridere, ma molto di più fa pensare, anche senza aver letto nulla. www.post-editions.com by Florian Göttke Post Editions, 2010 15.4 x 24 cm, 148 pp paperback


Couples

Couples é un archivio privato di immagini che documentano una storia d’amore; ma come succede a quelli di noi che nella loro vita hanno passato almeno una vacanza con il proprio principe azzurro, non esiste nemmeno una fotografia che documenti la coppia unita. Ci troviamo invece davanti ad una lunga serie di immagini, scattate nel

corso di almeno dieci anni, che ritraggono prima Lei, e poi Lui, rispettivamente davanti allo stesso scenario, spesso con gli stessi vestiti, la stessa espressione e nella stessa posa. Lei diventa Lui e viceversa. Una serie di immagini trovate da Erik Kessels, e pubblicate dalla casa editrice KesselsKramer Publishing, che ci danno un’insolita ed af-

fascinante visione delle abitudini amorose comuni a tutti. www.kesselskramerpublishing.com Collected and edited by Erik Kessels KesselsKramer Publishing Color, 170x225mm, 40 pages, soft cover, edition of 500

Zero Tolerance

Marco Müller e Nicolas Sourvinos sono arrivati già alla seconda edizione di questo libro (pubblicata per la casa editrice Kodoji Publishing nel 2009, ampliata sia in termini di quantità del materiale che di tecniche di stampa), non per puro caso. Zero Tolerance è un libro che incuriosisce per l'unione tra le bellissime foto ed il testo ironico. Infatti, le fotografie dei graffiti amatoriali scattate in giro per l'Europa, che

hanno fatto appassionare gli autori per la loro espressione libera, legata alla clandestinità dell'esecuzione e all'illegittimità rispetto al mondo dell'arte, sono accompagnate dal testo preso da un sito internet anti-graffiti, lasciando nel dubbio su quale sia l'intento degli autori, e a chi esattamente si riferisce il titolo. Fosse un appello per prevenire al vandalismo locale oppure per rendere omaggio a

quei piccoli geni della strada, Zero Tolerance è un invito ad osservare i soliti muri del quartiere perché potrebbero rivelarsi non così banali come ci sono sempre apparsi. www.rollo-press.com by Marco Müller and Nicolas Sourvinos Rollo Press, 2008 16.5 x 23 cm, 80 pp offset rainbow print, paper band

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori

Opera di Francesca Randi

informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Two sisters Hai mai visto una balena? Purtroppo non ancora. Però tempo fa ho sentito una registrazione con i richiami e i canti delle balene. E' un canto magico, meraviglioso, ipnotico! Che rapporto hai col mare? Di amore e odio. Abito in Sardegna, il mare è un elemento importante per me. Non mi piace frequentarlo in estate, odio tintarella e turisti che assediano e deturpano le spiagge. Mi piace passeggiare nelle spiagge deserte in autunno ed in inverno, perché il paesaggio muta costantemente. A volte ho la percezione che le cose importanti accadano tutte al di là del mare e della mia isola, e noi qui come piccoli hobbit ad aspettare che qualche avventura ci chiami per poi ritornare con l'animo più ricco. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? Mi piacerebbe trasformarmi in una creatura marina misteriosa

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e intelligente di cui si vocifera l'esistenza ma non si hanno prove certe, una creatura sospesa tra leggenda e realtà. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché? L'aria. Gli antichi greci utilizzavano due parole diverse col significato di "aria": una indicava gli strati più bassi e oscuri dell'atmosfera, l’altra quelli più luminosi situati sopra le nuvole. Questa è l’essenza doppia d’ogni uomo, che contiene tenebre oscure e parti luminose. Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? Attraverso l'arte si può dire tutto, il contrario di tutto, e il nulla assoluto. Dipende solamente dall'onestà intellettuale di chi la fa. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo? Inquinato, tecnologizzato, decadente, egoista. E come lo immagini tra 20 anni? Sono pessimista a riguardo. Penso che

tra vent'anni il degrado ambientale e sociale aumenterà in maniera esponenziale e forse non si potrà più tornare indietro. Ci dici qualche parola da associare al tuo modo di fare arte? Realismo fantastico, perturbante, impressione onirica. Come hai realizzato questa balena? In questo scatto ho sovvertito volutamente le proporzioni, le balene ci appaiono minuscole se messe a confronto con le due bambine, è questo le fa apparire fragili e preziose, vittime dell'uomo che le sta facendo estinguere. A cosa stai lavorando ora? Un progetto tutto nuovo dove tratto un argomento molto complesso, quello della solitudine esistenziale. Hai un sogno/incubo ricorrente? Ne ho tanti, uno su tutti, una sorta di sogno a puntate ambientato in una strana città fatta tutta di marmo bianco. www.myspace.com/francescarandi


C.so di Porta Ticinese 80 - Milano - 02 89056350- WWW.THESPECIAL.IT


PIG Waves

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

PIG Waves è un flusso di immagini e parole che segue una parola chiave: Cyborg, compiono 50 anni, scopriamo che ha coniato il termine, I primi veri cyborg umani e un po’ di fascinazione futura.

“Ho visto cosec he voi umani…” 120 PIG MAGAZINE


50cyborgs.tumblr.com - “Siamo già tutti meccanici semza saperlo?”

en.wikipedia.org/wiki/Cyborg - “The first man!“

v2.stelarc.org - “Dall’Australia con impianti”

wearcam.org/steve - “Dal Mit con occhi meccanici”

www.blade-runner.it - “Gli androidi sognano pecore elettriche?” 121


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. “Ma vai a lavorare in Miniera” disse un LEGO ad un PC. Minecraft (Mac_PC) A prima vista sembra il più brutto gioco del mondo, ma dategli un paio di minuti. Si tratta di distruggere blocchi e costruire con i blocchi. Maneggiare terra, tagliare legno, scavare roccia, edificare piramidi, sfondare castelli, esplorare miniere d’oro profonde chilometri. Un pianeta di mattoncini da plasmare secondo precise regole fisiche e architettoniche. Difficile dire quale sia il fascino di questa avventura senza senso, probabilmente è così brutto e semplice che vi spingerà a dare il massimo per cavarne fuori un capolavoro. Geniale. www.minecraft.net Call of Duty Black Ops (multi platf.) CoD si deve prendere perché è CoD. Lasciamo stare che l’inserimento dei Bot gestiti da Ai anche in cooperativa non sono una novità, lasciamo perdere che la grafica non riesce a migliorare più di così, lasciamo correre che noi preferiamo gli scenari WWII . Black Ops è un titolo che nessuno dovrebbe farsi sfuggire. Questione di Status Pro. GT Racing Motor Academy (iPhone_iPad) Più che il solito Arcade Racing Gameloft ha voluto regalarci un quasi perfetto simulatore di guida sportiva in vero stile GT. Un pacco di veicoli tra cui scegliere (107 in tutto): dalle ultime Ferrari e Lamborghini ai mar-

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chi più commerciali e meno sportivi. L’elenco dei costruttori include praticamente tutte le case automobilistiche esistenti. La grafica è strepitosa, la versione iPad garantisce una giocabilità superiore e con la modalità multiplayer online si può correre contro 5 avversari. Start your engines! NBA 2K11 (Xbox360) Il nuovo capitolo della serie dedicata al Basket rilancia alla grande l’indimenticabile Michael Jordan. Imperdibile anche solo per godere dell’aura magica di Jordan e dei suoi numeri da fenomeno. Che siate fan del basket o meno è un titolo da stragiocare, e come direbbe il vecchio Dan: “Amici sportivi e non sportivi, fe-no-me-na-le!” Wii Party (Wii) La cosa bellissima di Wii Party è che porta l’interazione a livelli mai visti prima. Oltre le classiche sfide da affrontare con il telecomando, per la prima volta dovremo interagire con l’ambiente circostante trasformando la casa in un vero e proprio campo di gioco. Bruciate D&D, lasciate a casa Risiko, vendete la chitarra: con più di 60 minigiochi, sfide di gruppo, giochi di coppia sarà impossibile non proporlo agli amici!


Nuovi poteNZiameNti

Gioco cooperativo

Trasformati per la prima volta in Mario Nuvola

Nuove maGiche GaLassie

Gioca con un amico o con un membro della tua famiglia!

iL ritorNo Di Yoshi

La piĂš potente alleanza intergalattica!

Ti aspettano mondi pazzeschi da esplorare...

LaNciati NeLLo spaZio coN mario e Yoshi!

www.nintendo.it Š 2010 Nintendo


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

When there’s no room left in hell, the dead will shop in Fortune City. Romero è vecchio, Dario Argento è in pensione e non c’è più nessuno a ricordare certe cose. Ricordo la prima volta che da bambino ho visto Zombi e mi sono domandato cosa fosse quell’enorme struttura piena di negozi in mezzo al nulla, sembra strano ma questa cosa, molti anni dopo mi fa arrivare al punto del discorso. Gli Zombi sono morti che camminano, putrefatti e schifosi, ma hanno un’anima che parla di lotta e rivoluzione. L’invasione dei centri commerciali da parte dei morti viventi era una chiara accusa al consumo di massa che proprio in quegli anni si scontrava con pesanti scelte politiche e sociali. Enormi parcheggi sotterranei abitati occasionalmente da gente sotto l’effetto della filodiffusione che trascina un carrello di metallo. Gli zombi erano un modo per denunciare gli aspetti più negativi della

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società americana degli anni ’60 e ’70. Tutti quei temi che hanno fatto parte della rivoluzione studentesca di quegli anni, le Black Panther, il Vietnam e la Guerra Fredda con i Russi. Questo è il punto, questa è la virgola e questa è anche la cosa davvero potente di quel messaggio: “Gente, non c’è futuro se non usate il cervello. E questa società tenta di fottervelo”. Il messaggio rivoluzionario era immaginare la totale distruzione della società civile, la devastazione dell’ordine pubblico e dei servizi di base. Un nuovo inizio senza più memoria ne regole, senza gerarchie ne razza. Come la peste medievale. L’eccitazione nell’immaginare quella situazione nasceva proprio da una voglia di libertà rispetto ai dogmi e alle leggi imposti da consumi e governi sempre più ossessionati dal controllo. E questa cosa è parecchio diversa

dall’attuale visione sul tema “Zombi”. Qualcuno si ricorda l’angolo di paradiso nella roulotte di Il Giorno degli Zombie? Antimilitarismo allo stato brado. E’ proprio per questo che a parte alcune eccezioni, i film di Romero rimangono nella Top Ten del genere: contengono “il messaggio” mentre gli altri si limitano al sangue sul parabrezza. Vi sembra poco? Dead Rising 2 parla di Zombi ma lo fa col sangue sul parabrezza mentre tenta di ricordare quale fosse il messaggio. E l’atmosfera ne soffre. Dopo il primo capitolo ambientato nel classico Mall, il secondo ci trascina in una Las Vegas (Fortune City) piena zeppa di sonnambuli delle slot con il cervello in pappa. Parecchie le novità rispetto al predecessore: molti più Zombi da macellare e un territorio ancora più vasto da esplorare. Se amate il sangue questo è il vostro gioco: per uccidere si


potranno combinare insieme vari tipi di oggetti e di armi per ottenerne di ancora più potenti. Basterà legare un paio di Uzi ad una sedia a rotelle et voilà! O magari un bel palo di legno per maneggiare due seghe elettriche stile Kung-Fu. La storia è quella dei tre giorni di tempo prima dell’arrivo dell’esercito ma tanto, missione dopo missione uno se ne dimentica e pensa solo a come ucciderne cento al colpo. All’inizio fa impressione ma poi diventano come

birilli sulla pista e si va cercando qualcosa di diverso: magari il vestito da cane gigante da abbinare ai boxer a cuoricini per inaugurare il nuovo ombrellone-fucile-lanciamissili da tavolo. Tutto disponibile nei negozi della zona infestata, tutto per aggiungere un pizzico di humor al duro lavoro del beccamorto dei morti. Dead Rising 2 non si può non giocare, è uno dei pochi giochi che ancora usa gli Zombi vecchio stile –lenti e stupidi- e il sistema di salvataggio regalerà

qualche brivido, abituati come siamo all’autosave automatico ogni 4 secondi. Le orde di morti sono davvero impressionanti e meritano di essere falciate almeno una volta o due. Difficile ritrovare un’ apocalisse simile in altri titoli. Per rivivere l’atmosfera di quei film, per rivedere quei film, per rilassarsi con la motosega, per farsi largo tra centinaia di morti viventi che si agitano e grugniscono. Aumentate la sensazione di isolamento e mettete le cuffie, tanto Romero non ci sente.

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