Piante - Sul Viaggio Breve

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Piante. Sul Viaggio Breve.

Pierfabrizio Paradiso

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Alle persone che amano stare al parco.



Non li vede. E loro non vedono lui. Ma sono lì, lo scenario è lo stesso, anche se loro passano e lui resta.


Prima di tutto, non ti sedevi sull’erba di un prato da non si sa davvero quanto tempo. Appena ti abbassi per provare a sederti, cercando di mantenere la grazia cittadina e non sembrare una specie di elefante nei tuoi skinny jeans, trovi immediatamente una ghianda accanto a te. Appena appena interrata, con una superficie liscissima color nocciola. Ti sembra una mina anti-uomo. E’ pieno di ghiande qua a terra, e l’albero non lontano da te non ospita ormai che poche foglie secche, come anelli alle dita di un vecchio pazzo che ha già indicato a parecchi qualcos’altro da guardare.

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Non sai da cosa ti stai prendendo una pausa. Oggi hai visto il sole e non hai potuto fare altro che prendere le cuffie e uscire di casa. Hai percorso la strada che abitualmente fai a piedi per andare a fare la spesa. Ma giunto al supermercato, hai tirato dritto. A dirla tutta, hai fatto una deviazione per poi riprendere la strada principale. Hai circoscritto un piccolo quadrilatero del quartiere, senza motivo. La strada principale è la tua strada principale, a dire il vero. E’ sì una strada molto grande, ma è una strada come tante qua, nella zona sud di Berlino. Oggi la giornata sembra ad ogni modo proprio perfetta per essere una giornata da trascorrere al parco.

Tutti sembrano essersi presi del tempo per stare qua. A buttarlo via, il tempo. 3



Forse anche loro, come te, pensano di averne troppo, di tempo. Sinceramente, a volte non sai che fartene. E ne butti un po’ così, al vento. Stare seduto al parco senza un motivo era una cosa che, però, ancora non avevi fatto. Per terra, in mezzo all’erba. Allungando lo sguardo in lontananza, non saranno che pochi metri, scorgi già l’andirivieni delle automobili dall’altro lato.

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Significa che, praticamente, hai tagliato l’intero parco longitudinalmente, prima di trovare un posto tutto per te.

Hai quattro alberi posti di fronte a te, uno affianco all’altro: sono esattamente speculari a te e ad altri tre tizi inconfondibilmente Berliner, che si gongolano sull’erba. Come cani slegati che non hanno più voglia di correre. Qua era come se mancassi solo tu. E’ una sensazione che non conosci così bene, questa. Mancare a qualcuno, o da qualcosa. E mettersi proprio là, in quel posto che si conforma perfettamente a te, ti accoglie e ti chiede di restare. Senza motivo.

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Tu ti senti, invece, più spesso, come una piantina d’appartamento, se proprio devi darti una collocazione. Quelle sul balcone che, appena le guardi, ti preoccupi di avere cura di loro. Ogni due giorni, anzi, ogni giorno, un goccio d’acqua, senza esagerare; altrimenti si ottiene l’effetto contrario, se si vuole che rigermoglino più belle di prima. Ma rimane, il più delle volte, solo un’intenzione. Finché non sfioriscono nel silenzio.

Non resta altro da fare, dunque, che: ripulire bene il vaso, riporlo nell’armadietto delle cose da giardino. E aspettare. Tanto, prima o poi, qualcuno ti regala sempre una piantina da ficcare sul balcone. In uno spazio lasciato vuoto.

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Girandoti su un fianco, ti trovi un’altra di quelle ghiande che cerca di incastrarsi nella tua anca. Questa è quasi semiaperta. Dentro è color pesca e sembra proprio incastrata nella terra. Sinceramente, non sai con certezza se è davvero una ghianda, perché non hai la più pallida idea di come siano fatte. Se ti rigiri sull’altro fianco adesso, in prospettiva, ti accorgi che questo fazzoletto verde nel parco è una grossa depressione a U, come fosse un tunnel tagliato in due. Senza tetto. Nel quale ti butti dentro. Qui le persone sembrano spegnersi una ad una, se ne vanno per conto loro, da sole o in piccoli gruppi, con un cane o un passeggino che dondolano su e giù. E sprecano il loro tempo andandosene dentro questa U, dove non succede proprio niente. E una fila di alberi morti ti fissa come se non ci fosse nient’altro da fare che fissare il vuoto. 10


Questo equilibrio lo chiameresti felicità. O semplicemente buttare il tempo è la tua più grande rivoluzione.

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