Mensile Valori n.53 2007

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Anno 7 numero 53. Ottobre 2007. € 3,50

valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

FRANCESCO COCCO / CONTRASTO

Fotoreportage > Cambogia

Dossier > La classifica delle cinquanta aziende irrresponsabili del pianeta

I nuovi cattivi Finmeccanica > Arriva il manager licenziato per le tangenti sulle armi Finanza > CalPERS, il fondo pensione che fa paura a Schwarzenegger Nucleare > I grandi riarmano: altro che la Corea del Nord Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.


| editoriale |

Oltre le mode

contro i nuovi cattivi di Andrea Di Stefano

BDL SGR

V

IOLANO I DIRITTI DELL’UOMO. Spesso, troppo spesso, anche quelli dei bambini e delle donne. Inquinano, pagano salari da fame (meno di 33 centesimi di dollaro l’ora), applicano sanzioni corporali. Oppure tolgono dal mercato farmaci salvavita per chi è affetto dall’Aids. Sono le decine di aziende alle quali la redazione di Valori ha deciso di affibbiare il titolo di “nuovi cattivi”. Non perché i vecchi, cioè tanto per capirsi le più conosciute Nike, Coca Cola, McDonald’s, Nestlé e annesse, siano diventate un paradiso della correttezza, trasparenza e responsabilità sociale. Ma perché le campagne degli ultimi anni hanno costretto le corporation più esposte al rischio di perdere reputazione a cambiare. In molti casi si è trattato di operazioni d’immagine, di tentativi più o meno maldestri di ripulirsi. Campioni in questo senso lo sono sicuramente le grandi compagnie petrolifere che con incredibili operazioni di green washing si sono trasformate in paladine del risparmio energetico e delle risorse rinnovabili: c’è persino chi è arrivato a cambiarsi nome come la britannica BP che da British Petroleum oggi si firma Beyond petroleum. Ma nel panorama mondiale dei grandi marchi comunque qualcosa è cambiato. E in meglio. Oggi sappiamo quante aziende lavorano per la Nike, in quali paesi e con quali condizioni. In molti casi sono stati rescissi contratti con chi violava in modo più scoperto i minimi diritti umani. In altri il lavoro minorile è stato vietato, almeno sino ai sedici anni. Per continuare una battaglia senza confine per il rispetto della dignità umana, dei diritti sindacali, della giustizia sociale, dell’educazione e della salute bisogna informarsi sempre di più, analizzare e capire chi fa che cosa e perché. Quali sono i punti deboli sui quali è possibile impostare una campagna di informazione e delle iniziative di boicottaggio. In questo numero di Valori trovate la lista di cinquanta aziende “cattive”. Sul nostro sito pubblicheremo a breve un piccolo profilo per ognuna e speriamo di riuscire a continuare la nostra battaglia che è principalmente la nostra missione editoriale: fare informazione, diffondere notizie, favorire il dibattito e il confronto, approfondire il più possibile le problematiche, far emergere le contraddizioni. Perché a volte è troppo semplice dire “chiudete quella fabbrica”: bisogna sapere quali sono le condizioni di quell’area, cosa pensano e domandano i cittadini, cioè le donne, i bambini e gli uomini che lì abitano oltreché lavorano.

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anno 7 numero 53 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore

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FRANCESCO COCCO / CONTRASTO

ottobre 2007 mensile

“Stung meanchey”, la discarica di Phnom Penh, chiamata anche la “montagna fumante”.

Cambogia, 1999

bandabassotti

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fotoreportage. Cambogia

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dossier. Nuovi cattivi Nuovi e vecchi cattivi la lista deve essere aggiornata Una nuova vita per le scarpe più cool I nuovi cattivi secondo Valori Disposti a tutto per una buona reputazione La fabbrica Ethica della Regione Toscana

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lavanderia

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finanzaetica CalPERS il fondo che batte Terminator La ricetta di Chris per la pensione degli insegnanti Le banche a Roma non danno credito alle periferie

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bruttiecattivi

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economiasolidale Con la liberalizzazione l’energia diventa rinnovabile Pallante rilancia: molta autoproduzione all’orizzonte Zamagni presenta le giornate di Bertinoro

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macroscopio

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Adescoop ˜ Agenzia dell’Economia Sociale s.c. Via Boscovich, 12 - 35136 Padova

internazionale

abbonamento annuale ˜ 10 numeri

Frontex. L’immigrazione secondo Bruxelles La Corea del Nord nasconde il riarmo nucleare

54 56 62

utopieconcrete

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gens

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altrevoci

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globalvision

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numeridivalori

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paniere

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padridell’economia

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abbonamenti, sviluppo e comunicazione

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| bandabassotti |

Consob

Il controllore esiste ancora di Andrea Di Stefano

IQUIDARE LA CONTROLLANTE PER SALVARE LA CONTROLLATA, che altri non sarebbe che la Richard Ginori, una delle prime industrie della storia italiana e uno dei marchi italiani più vecchi e conosciuti al mondo. Ma intanto perché non liquidiamo la Consob, nel clamoroso caso della trevigiana Pagnossin, società quotata e sospesa dal listino dal 6 dicembre 2006 (ripetiamo 6 DICEMBRE 2006) perché completamente paralizzata dalle non scelte del suo azionista di riferimento, Carlo Rinaldini, il nostro sistema regolatorio ha superato il ridicolo. Possiamo dire che è scaduto nel grottesco anche perché sembra impossibile potersi appellare ad una qualche procura che possa accendere un faro sulla nebbia Pagnossin. La Banca Antonveneta, che fa parte del gruppo olandese Abn Ambro, vanta un credito di oltre 25 milioni da Pagnossin. Con la messa in liquidazione della società trevigiana, che è la controllante di Richard Ginori, e con la cessione dei diritti da Rinaldini e Villa per il controllo di Ginori, Banca Antonveneta rischia di vedere sfumata la possibilità di recuperare il prestito a Pagnossin. Per questo ha deciso di presentare istanza al tribunale di Padova per impugnare l’accordo fra Rinaldini e Villa che a luglio si sono accordati per cedere i diritti ad eseguire l’aumento di capitale di Ginori, sottraendola dall’orbita asfissiante di Pagnossin. Il ricorso è ex articolo L’incredibile caso Pagnossin700, di urgenza. La notifica è indirizzata Richard Ginori continua da quasi Holding, la cassaforte finanziaria due anni con centinaia di lavoratori adiRetma Carlo Rinaldini, che era titolare dei diritti sul lastrico e il rischio di cancellare sull’aumento di capitale e a Starfin candidata uno dei marchi industriali italiani a diventare azionista di maggioranza di Ginori. più famosi al mondo Dà notizia dell’azione di Antonveneta l’ex presidente di Richard Ginori, Luca Fabrizio Sarreri, che da quando ha lasciato la presidenza di Ginori, a luglio, ha continuato a muoversi da battitore libero per rientrare: «Come Immobili Commerciali spa – dichiara - abbiamo presentato un’offerta ad Antonveneta per garantire il concordato e offrire 19 milioni di euro, a condizione che dentro Pagnossin sia presente il 57% di Richard Ginori». La notizia dell’iniziativa di Antonveneta arriva dopo l’annuncio da parte di Borsa Italiana che dal 24 settembre sono state ritirate dal listino le azioni ordinarie di Pagnossin. Lo scenario che si apre per Ginori è complesso. Se Antonveneta si sente defraudata dall’accordo Rinaldini-Starfin, cosa dire degli investitori che hanno acquistato azioni Pagnossin e che si ritrovano con carta straccia? E quali riflessi l’iniziativa di Antonveneta potrà avere sulla Consob, chiamata ad esprimere un parere su quel prospetto di aumento di capitale che Antonveneta denuncia e che da luglio attende una risposta? Potrebbe Antonveneta chiamare in causa responsabilità della stessa Consob nel caso in cui l’approvazione dell’accordo Rinaldini-Starfin portasse Pagnossin ad essere nient’altro che una scatola vuota? Interrogativi che gettano ombre inquietanti su una vicenda della quale rischiano di far le spese centinaia di famiglie di lavoratori a Treviso e Firenze.

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BERTINORO

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FRANCESCO COCCO / CONTRASTO

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> Cambogia foto di Francesco Cocco / Contrasto

Un Paese che tenta faticosamente di uscire dalla povertà in cui l’ha lasciato la passata e feroce dittatura dei Khmer rossi. Un Paese giovane, con una mortalità infantile che sfiora il 75 per cento. Un Paese da sempre strategico per la sua posizione geografica. Un Paese composto per l’80% da buddisti e riso. Benvenuti in Cambogia.

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ol Pot. Quando si pensa alla Cambogia, viene subito in mente questo nome. Gli appassionati del grande schermo pensano anche al film “Urla nel silenzio” (del regista inglese Roland Joffé). A quel nome, che sembra la marca di una gomma da masticare, risponde uno tra i più feroci dittatori di tutta la storia dell’Asia. Quel nome oggi è un brutto ricordo che a sua volta ha lasciato ai cambogiani una pesante eredità di miseria. La dittatura in Cambogia durò dal 1975 al 1979. Pol Pot non era uno qualsiasi, aveva studiato i meccanismi del sistema, partendo dal simbolo della grandeur intellettuale del Vecchio Continente: la Sorbona di Parigi. Uno abituato a non guardare in faccia a nessuno, come dimostrano gli omicidi compiuti dai khmer rossi che hanno trucidato 1 milione e 700 mila persone. I khmer distrussero fin da subito i legami famigliari e amicali. È così i bambini diventarono delatori dei genitori, i fratelli più piccoli dei fratelli più grandi, i padri dei nonni. La Cambogia si trovava di fronte a una nuova società e a un nuovo tempo che il dittatore definì “anno zero”. La capitale Phnom Penh venne svuotata, due milioni di persone furono costrette ad andare a lavorare nei campi di lavoro. Pol Pot vi deportò, dove poi morirono, anche suoi due fratelli. Il nemico erano gli intellettuali e i filoccidentali. Venne, così, azzerata un’intera classe dirigente, con l’obiettivo di azzerare l’influsso di quella civiltà. Era sufficiente portare un paio di occhiali per finire giustiziati a colpi di bastone (si risparmiavano le palllottole). Bastava avere un’automobile parcheggiata sotto casa ed era la fine. Fu un genocidio e il patrimonio umano di due generazioni è andato perduto per sempre. A liberare la Cambogia dalla ditattura di Pol Pot sono stati Americani e Nord Vietnamiti. Pol Pot è morto nel suo letto nel 1998. A settembre di quest’anno le manette sono arrivate anche ai polsi di Nuon Chea, 82 anni, il più alto responsabile ed ex numero due del regime cambogiano dei khmer rossi, arrestato per ordine del tribunale del genocidio patrocinato dall’Onu, incaricato di giudicare in Cambogia i crimini più gravi commessi negli anni della dittatura. L’uomo è stato prelevato dalla polizia nella sua casa e subito dopo trasferito in elicottero nella capitale Phnom Penh, dove il portavoce del tribunale ha annunciato che Nuon Chea, il cui vero nome è Long Bunruot, è stato formalmente accusato di crimini contro l’umanità. Il “Fratello numero due” aiutò Pol Pot a prendere il controllo del movimento comunista della Cambogia negli anni ’50-60 ed è considerato l’ideologo del movimento. Oggi il Paese è retto da una monarchia costituzionale, si produce riso e si pratica una pesca nelle acque interne per sopravvivere. L’unica risorsa mineraria è il sale, mentre l’analfabetismo è su livelli preoccupanti, sfiorando il 30 per cento della popolazione. ANNO 7 N.53

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L’AUTORE Francesco Cocco è nato a Recanati nel 1960, ma vive e lavora a Carpi. Ha iniziato l’attività di fotografo nel 1989. Le immagini di Cocco raccontano il disagio di persone che vivono e sopravvivono ai margini della società. Le sue foto sono state pubblicate su riviste nazionali e internazionali, nonché esposte in mostre collettive. La sua passione per la fotografia e lo spiccato interesse per l’uomo nel suo ambiente lo hanno spinto a compiere numerosi viaggi in molti luoghi del mondo, soprattutto nei paesi asiatici. In Bangladesh ha fotografato le condizioni di vita dei bambini di strada e il lavoro minorile, mentre in Vietnam, subito dopo la riapertura delle frontiere, ha realizzato un reportage le cui immagini sono state esposte nell’ambito della mostra “Vietnam Oggi” (Modena, 1993). Successivamente, in collaborazione con l’associazione Emergency, ha documentato il dramma delle vittime delle mine antiuomo in Cambogia, dove, con il supporto dell’ong “New Humanity”, ha anche affrontato il tema della prostituzione minorile. In Brasile ha fotografato i non vedenti dell’Istituto “Benjamin Constant” di Rio de Janeiro e lo sfruttamento dei bambini lavoratori sull’isola di Marajoa in Amazzonia. Nel 1999 una selezione di sue foto sul tema dell’infanzia traumatizzata dalle guerre è stata esposta a Carpi nella mostra “Ci sono bambini a zig-zag”.

Phnom Penh. Colazione per i bambini che lavorano alla discarica. In Cambogia si contano più di 22.000 ragazzi di strada.

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> Cambogia

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A sinistra, la strada dei bordelli di Phnom Penh. Da sopra, l’Afesip, centro di recupero per giovani prostitute; i bambini che lavorano alla discarica mentre sono a scuola; l’ospedale militare della capitale.

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A destra, bambini si tuffano nel Tonle Sap. Sopra, dall’alto in basso, Il festival dell’acqua che si tiene sullo stesso lago; una doccia arrangiata con delle pentole al “Pour Sourire d’enfantes”, il centro fondato dalla suora laica francese Anne Marie per assistere i bambini che lavorano alla discarica; un bambino vittima di una mina antiuomo gioca a pallavolo alla “Lavala school”.

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dossier

ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

a cura di Baiocchi, Barolini, Isonio, Meggiolaro, Nardi e Tramonto

La lista deve essere aggiornata >18 Una nuova vita per le scarpe più cool >20 I nuovi cattivi secondo Valori >24-27 Disposti a tutto per una buona reputazione >28 La classifica integrale di Reptrak >31 La fabbrica Ethica della Regione Toscana >33

L’ingresso della scuola nella zona di “Stung meanchey”, la discarica della città. Una bambina guarda dalla finestra. Molti dei bambini che frequentano la scuola lavorano anche alla discarica.

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Nuovi cattivi

Oltre i grandi marchi la nostra lista nera Le campagne delle Ong, i boicottaggi, la richiesta di trasparenza e diritti hanno lasciato il segno solo su chi teme di perdere reputazione

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| dossier | nuovi cattivi |

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di Elisabetta Tramonto

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AA cercasi un po’ di senso critico per stilare un nuovo elenco dei buoni e dei cat-

tivi nel mondo dell’industria e della finanza. Mc Donald’s, Nike, Adidas, Nestlé, Coca Cola. La top ten delle multinazionali da boicottare è sempre la stessa da almeno dieci anni. I siti internet di organizzazioni contestatrici riportano spesso informazioni vecchie, dati imprecisi e non aggiornati per motivare le campagne no logo. E se nel frattempo fosse cambiato qualcosa? Andando a cercare informazioni più recenti potremmo scoprire, magari, che quelli che abbiamo sempre considerato i grandi cattivi dell’economia globalizzata hanno anche fatto qualcosa di buono. Oppure potremmo trovare ulteriori conferme, aggiungendo alla nostra lista nuovi e ancor più gravi danni provocati dai giganti della marca. O magari potremmo accorgerci che oggi c’è chi si comporta anche peggio di Nike o Coca Cola. Aziende che non sono nel mirino delle campagne di protesta o che, peggio ancora, sono sempre state considerate impeccabili e possono, quindi, agire indisturbate. È il caso di Volkswagen (vedi SCHEDA a pag. 23), da sempre vista come un modello di responsabilità sociale d’impresa, per le ottime relazioni con le parti sociali, le condizioni di lavoro invidiabili, l’impegno a tutela dell’ambiente. Peccato che siano saltate fuori tangenti pagate ai sindacalisti per comprare il loro consenso e diversi casi di corruzione tra i manager dell’azienda. O la casa di moda Armani (vedi SCHEDA a pag. 23), certificata SA8000, denunciata dalla campagna Abiti Puliti per le condizioni di lavoro disumane in alcune fabbriche in India.

Sotto pressione, i grandi marchi voltano pagina «Non si può certo dire che multinazionali come Adidas, Coca Cola o Mc Donald’s siano improvvisamente diventate degli stinchi di santo, ma hanno compiuto degli enormi passi in avanti», commenta Cristina Daverio responsabile della ricerca in Italia per l’agenzia di rating etico Vigeo. Mancanza di trasparenza, violazione dei

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Mancanza di trasparenza, lavoro minorile, violazione dei diritti umani: le corporation sotto accusa non si comportano più come prima diritti umani nei luoghi di lavoro e alto impatto ambientale. Si possono raggruppare attorno a questi tre punti le principali accuse ai grandi marchi. «Grazie alle pressioni di Ong, gruppi di investitori, campagne di contestazione, le aziende più esposte e più sotto i riflettori dell’opinione pubblica, hanno iniziato a dotarsi di codici etici e standard ambientali, ad ammettere violazioni e ad adottare politiche di trasparenza. Le controversie restano, ma essere diventate più trasparenti ha reso possibile verificare con mano che cosa accada al loro interno e se vengano mantenute le promesse fatte», conclude Cristina Daverio. Un’inversione di rotta, quindi, non certo spinta da un improvviso spirito samaritano, ma dalla volontà di restituire al proprio marchio quella reputazione tanto preziosa persa sotto il tiro incrociato delle campagne di denuncia. Le grandi imprese oggi attribuiscono al consenso dell’opinione pubblica una tale importanza da arrivare a compiere azioni che

possono apparire assurde. È il caso di Wal Mart, il colosso statunitense del commercio al dettaglio, che si è messa a spiare una congregazione di suore. La rivelazione è arrivata all’inizio di quest’anno da un ex dipendente del dipartimento di sicurezza dell’azienda, licenziato perché aveva preso la telefonata di un giornalista. Bruce Gabbard, in un’intervista pubblicata lo scorso aprile dal Wall Street Journal, ha rivelato che la comunità delle suore benedettine di Boerne, in Texas, era inserita nella lista di Wal Mart delle organizzazioni pericolose. Il dipartimento di sicurezza dell’azienda, le teneva sotto stretta sorveglianza, raccogliendo informazioni, dati elettronici, registrazioni audio-video e ogni tipo di comunicazione riguardanti le religiose. Il motivo di tanta preoccupazione? Semplice: le suore avrebbero presentato una mozione insieme al Centro Interreligioso sulla Responsabilità Sociale (Iccr) al successivo meeting aziendale di Wal Mart. E non è tutto. La catena americana l’anno scorso ha anche assunto una ex suora, Harriet Hentges, come responsabile della politica ambientale e di responsabilità sociale dell’impresa. «È la dimostrazione di quanto prendiamo sul serio il problema. Chi meglio di una religiosa può assolvere a un simile compito?», ha replicato ai giornalisti la portavoce dell’azienda, Sarah Clark. Non sempre, però, le multinazionali scelgono queste strade.

Le buone azioni dei vecchi cattivi Prendiamo ad esempio Adidas, insieme a Nike (vedi ARTICOLO a pag. 20) ai primi posti della lista dei marchi da boicottare nel mondo dell’abbigliamento e delle calzature sportive. È già da quattro anni che l’agenzia di rating etico Ethibel, oggi acquistata da Vigeo, ha promosso l’azienda sportiva tedesca nell’elenco dei buoni. Dal 2001 Adidas impone ai propri fornitori il rispetto di codici etici basati sugli standard dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) e monitora costantemente gli stabilimenti. 839 i controlli effettuati il primo anno, 32 i contratti rescissi con fornitori in Cina, Taiwan, Tailandia, Honduras, Messico, Turchia e Bulgaria, che avevano violato i codici etici. Per ridurre l’impatto ambientale ha eliminato molte sostanze nocive dai processi produttivi, tra cui il Pvc. Diversi fornitori hanno anche ottenuto certificazioni ambientali. Ma i punti oscuri non mancano. Nelle regole stabilite per la tutela dei lavoratori, ad esempio, è stato fissato a 60 ore il limite di lavoro settimanale, con 24 ore di riposo. Meglio di niente, viene da pensare. Ma sono sempre 12 ore di lavoro al giorno. Nonostante il dialogo avviato e la massima trasparenza dimostrata verso le Ong, non con tutte Adidas ha mantenuto buoni rapporti. Porte chiuse ad esempio a Clean Clothes Campaign. E sono molte le contese aperte in diversi

paesi dove sono situate le fabbriche produttive, la maggior parte incentrate sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti. Il marchio Gap rientra a tutti gli effetti nella lista degli storici cattivi. Il copione è sempre lo stesso: abiti prodotti in 3.000 stabilimenti situati in paesi a basso costo della manodopera, sfruttamento dei lavoratori, bambini in fabbrica, insomma condizioni di lavoro disumane e nessun rispetto per i diritti umani. Nel 2003 Gap ha dovuto pagare 20 milioni di dollari per chiudere una class action lanciata da un gruppo di operai del Saipan, nell’arcipelago delle Marianne nell’Oceano Pacifico. Le accuse? Le solite: troppe ore di lavoro, sottopagate, in condizioni disumane, fino a politiche di aborto forzato per le dipendenti. Ma è proprio in quel periodo che è cominciata la svolta del marchio californiano, che ha iniziato ad applicare un programma di monitoraggio dei fornitori e dei loro standard di lavoro (vengono incoraggiati ad aderire agli standard SA8000). Dal 2003, ogni anno, l’azienda pubblica i risultati dei controlli nelle fabbriche, effettuati sotto la supervisione di organi esterni come le organizzazioni per la tutela dei diritti umani Verite e Social Accountability International, che nel 1997 ha lanciato gli standard SA8000. Nel 2003, ad esempio, è stato monitorato il 94% per cento dei fornitori e in 136 casi sono stati rescissi i contratti di fornitura. E così ogni anno successivo. Anche per Gap le denunce non sono sparite del tutto. Risale all’anno scorso la notizia dei lavoratori di una fabbrica in Giordania dove bambini e adulti lavoravano per 109 ore alla settimana, senza essere pagati per sei mesi. Le accuse contro Coca Cola piovono da ogni dove. Violazioni dei diritti dei lavoratori, spreco di acqua potabile, soprattutto in paesi dove scarseggia, Bambini rovistano fra l’immondizia incentivazione dell’obesità innella discarica di Phnom Penh, fantile. L’azienda sta cercando chiamata anche “Stung meanchey”, la montagna fumante. di tamponare tutti e tre i fronti. Cambogia, 1999 È stato recentemente siglato un accordo con il WWF, con cui Coca Cola si impegna ad utilizzare in maniera più responsabile l’acqua. Negli ultimi cinque anni, afferma la compagnia, a fronte di un incremento delle vendite del 14,6%, il consumo d’acqua è sceso del 5,6% e l’efficienza nel suo utilizzo è aumentata del 18,6%. E dal 2010, Coca Cola s’impegna a far sì che tutta l’acqua che utilizza nella produzione sia scaricata a livelli di qualità tali da consentirne l’utilizzo in agricoltura e in acquacoltura. Un utilizzo, sempre a detta dell’azienda, che oggi rappresenta l’85% dell’acqua impiegata. Ma l’accusa più pesante rivolta alla Coca Cola, arriva dalla Colombia, dove si susseguono dall’inizio degli anni ‘90 assassini di sindacalisti che lavoravano ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

Nuovi e vecchi cattivi La lista deve essere aggiornata

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nelle fabbriche di imbottigliamento della multinazionale statunitense. Gli attivisti (vedi www.killercoke.org) da anni accusano l’azienda di essere la causa di queste morti e di torture e maltrattamenti di operai. Per la prima volta quest’anno Coca Cola ha permesso all’Ilo di effettuare monitoraggi nella fabbriche colombiane e ha invitato le Ong a un confronto. Nella lotta all’obesità infantile, invece, Coca Cola, insieme ad altri dieci grandi produttori alimentari (Cadbury Adams, Campbell Soup, General Mills, Hershey, Kellogg, Kraft Foods, Mars, McDonald’s, Pepsi e Unilever) si è impegnata a limitare la pubblicità di bevande e alimenti diretta ai minori di 12 anni. Tra le società che non hanno aderito all’iniziativa volontaria, vi sono Nestlé e Burger King. Trovare il lato “buono” di Nestlé è un’impresa più ardua. Il no alla lotta all’obesità infantile è forse il minore dei problemi dell’azienda, che negli anni ha collezionato le accuse più disparate. Solo per citare le più recenti, nel luglio 2005 l’International Labor Rights Fund ha denunciato negli Stati Uniti tre compagnie che importano cacao dalle coltivazioni della Costa d’Avorio, accusandole di traffico di bambini, torture e lavoro forzato. Le tre società sono Nestlé, Archer Daniels Midland (ADM) e Cargill. Il rapporto parla di 12.000 bambini ridotti in stato di schiavitù nelle piantagioni di cacao della Costa d’Avorio, 284.000 quelli che usano il machete e 153.000 quelli che usano pesticidi senza protezione. Numerosi anche i casi di denuncia di violazione dei diritti dei lavoratori, in particolare in Colombia e nelle Filippine. Giudizi positivi, però, appaiono nei rapporti delle agenzie che attribuiscono valutazioni etiche alle imprese, sul fronte del coinvolgimento dei lavoratori e della tutela ambientale, ad esempio. Una vittoria del mondo ambientalista, Greenpeace in testa, è quella messa a segno con Apple. Quest’anno la compagnia di Steve Jobs ha siglato un impegno a rimuovere alcuni composti tossici dai propri prodotti e ad aumentare le pratiche di riciclo, passando dal 9,5% dei prodotti venduti nel 2000 al 28% nel 2010, promettendo anche maggiore trasparenza e rapporti annuali. Greenpeace l’ha definita una “svolta fondamentale”, che testimonia “come sia possibile raggiun-

gere grandi risultati attraverso la rete e la mobilitazione dal basso degli utenti”. Quelli elettronici e informatici sono tra i settori a più alto rischio di violazione dei diritti umani e di inquinamento ambientale. «La produzione è sbriciolata in una moltitudine di fasi e di fabbriche a cui viene affidata la realizzazione dei singoli componenti. Gli stabilimenti sono situati tutti in paesi dove la tutela dei diritti umani è inesistente e sono talmente piccoli e numerosi che un monitoraggio delle condizioni di lavoro applicate in ciascuno è molto difficile», spiega David Schilling dell’ICCR, il Centro Interreligioso sulla Responsabilità Sociale (vedi INTERVISTA a pag. 22). Per questo da qualche anno le Ong locali e internazionali stanno prestando particolare attenzione a tale settore. Da parte dei grandi marchi poi arriva l’impegno ad applicare rigidi codici di condotta. Tre anni fa Cisco Systems, HP, Microsoft e Intel hanno creato un gruppo di lavoro per redigere l’Electronics Industry Code of Conduct (EICC, www.eicc.info), un insieme di regole a tutela dei lavoratori e dell’ambiente a cui oggi aderiscono le principali aziende del comparto elettronico e informatico e i loro fornitori.

“PICCOLI CATTIVI” CRESCONO: LA PANTHER RESOURCES IN VALDI NOTO UNO SPAZIO IN UNA LISTA DI “APPRENDISTI CATTIVI” lo meriterebbe di certo la Panther Resources Corporation. La multinazionale texana famosa in Italia per il progetto di trivellazioni nel suggestivo Val di Noto, dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2000. Il caso: a giugno 2005 la giunta Cuffaro le rilascia una concessione per estrarre gas e petrolio. Ventuno pozzi. Contro il progetto, lo scrittore siciliano Andrea Camilleri lancia una petizione che raccoglie 80mila adesioni. Risultato: la Panther rinuncia a trivellare. Vittoria? Non proprio. Perché la rinuncia riguarda solo il centro storico di Noto, la riserva naturale di Vendicari e il sito archeologico di Noto antica: 86 km quadrati su 746. Per il resto, il progetto va avanti. A dimostrarlo, il ricorso al Tar di Catania per costruire un pozzo di esplorazione. Accolto il 28 agosto perché la Regione non ha presentato in tempo la richiesta di valutazione d’impatto ambientale. Come andrà a finire lo sapremo nei prossimi mesi. Ma un dubbio sorge subito: è più cattivo chi chiede autorizzazioni per lucrare, deturpando un territorio indipendentemente dalla sua importanza storica e ambientale o le autorità pubbliche che quelle autorizzazioni le concedono e non tutelano gli interessi dei cittadini? Uno scontro tra titani…

Un approccio nuovo Ad essere cambiato è proprio l’approccio alla responsabilità sociale, alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani: «dieci anni fa non potevo neanche usare il termine “diritti umani” all’interno di un’azienda. Non mi avrebbero ascoltato. Oggi, invece, è una parola chiave nel vocabolario delle principali imprese», racconta Christopher Avery, direttore del Business & Human Rights Resource Centre (www.business-humanrights.org), un’organizzaizone non profit indipendente che collabora con Amnesty International nella tutela dei diritti umani. Ed è cambiata l’estensione del concetto di violazione dei diritti umani. «Dieci anni fa si pensava solo all’industria estrattiva e all’abbigliamento e solo ai paesi in via di sviluppo. Oggi invece è chiaro come il problema coinvolga tutte le imprese in tutti i settori e in tutti i paesi. Discriminazioni di ogni tipo, diritti dei lavoratori, salute e sicurezza, accesso ai medicinali fondamentali, inquinamento, povertà». Sono sempre più nume-

rose le imprese impegnate a garantire il rispetto dei diritti umani. «Peccato però che molte siano più brave a sottoscrivere politiche per il rispetto dei diritti che a metterle in pratica e a farle applicare dai loro dipendenti». Christopher Avery porta un esempio: «Mi è capitato più di una volta di chiedere a qualche azienda che pubblicizzava a gran voce la sua adesione alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, una copia della loro politica in tal senso. E, in risposta, non trovare nessuno che sapesse di che cosa stessi parlando». Le denunce di abusi non sono certo terminate, anzi. Tra Europa e Stati Uniti però c’è una grande differenza nella risposta alle violazioni. Se circa il 75% delle imprese europee che producono in stati ad alto rischio hanno una politica di tutela dei diritti dei lavoratori, la percentuale scende a meno del 40% negli Usa e a circa al 15% in Asia. Sono i dati rilevati dall’ultimo rapporto sulla responsabilità sociale e ambientale realizzato dall’agenzia di rating

etico Eiris. Molto migliori i dati sulla riduzione dell’impatto ambientale, con le imprese europee e giapponesi in prima linea. I primi della classe sono proprio Europa e Giappone dove oltre il 90% delle grandi imprese ha sviluppato politiche di tutela dell’ambiente, contro il 75% di quelle australiane e neozelandesi, il 67% delle statunitensi e, a enorme distanza, il 15% di Asia e Giappone. Le campagne di contestazione contro le multinazionali sembrano, quindi, aver dato risultati notevoli. I grandi marchi hanno capito che scendere a patti è meglio, anche se spesso più costoso. Il World Resources Institute (WRI, www.wri.org) lo ha dimostrato nelle società del settore minerario pubblicando un rapporto (disponibile a: http://pdf.wri.org/development_without_conflict_fpic.pdf) in cui dimostra, con tanto di dati economici, come convenga ottenere il consenso informato libero e preventivo da parte delle popolazioni locali, prima di cominciare a scavare.

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Una nuova vita per le scarpe più cool al mondo Dopo aver subito anni di attacchi e aver sempre negato le proprie responsabilità, il colosso dell’abbigliamento sportivo diventa e dell’ambiente. O almeno, quanto basta per salvarsi la reputazione. paladino dei diritti umani

A BERSAGLIO NUMERO UNO DELLA CONTESTAZIONE NO GLOBAL, simbolo dello sfruttamento del lavoro minorile, a modello di responsabilità sociale. Qualche dubbio che questa svolta radicale sia reale è legittimo. L’immagine di un bambino coreano che cuce un pallodi Elisabetta Tramonto ne Nike è difficile da cancellare. Eppure a testimoniare la svolta sono associazioni in prima linea nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani come Greenpeace, Clean Clothes Campaign, Fairlabor e agenzie di rating etici come la belga Vigeo e la britannica Eiris.

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Occhio non vede... Il nocciolo del problema per Nike era oltreoceano, nelle

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fabbriche dove avveniva, e avviene tuttora, la produzione di scarpe, abiti, palloni di cuoio, accessori di ogni genere. Oltre 900 fabbriche, in 50 paesi, 660 mila lavoratori, soprattutto donne tra i 19 e i 25 anni (dati del 2004 dal sito www.nike.com), e, almeno fino alla fine degli anni ‘90, anche molti bambini. Per oltre un decennio accuse di sfruttamento di minori, maltrattamenti, abusi sessuali hanno travolto Nike. Che dire quindi di fronte a rapporti, come quello pubblicato dal New York Times nel 1997, che denunciava, prove alla mano, l’esposizione a sostanze cancerogene degli operai negli stabilimenti in Vietnam? Come giustificare il fatto che il 77% dei lavoratori di quelle fabbriche soffriva di gravi problemi respi-

ratori a causa della scarsa ventilazione e dei solventi tossici usati nella produzione di scarpe? La risposta di Nike per anni è stata una sola: negare, negare, negare: “non esistono abusi, violenze, sfruttamento minorile”. Oppure prendere le distanze: “le fabbriche non sono nostre. Non abbiamo alcuna responsabilità per quanto accade al loro interno e nessun potere di influenzare il livello dei salari o le condizioni di lavoro”. Poi, improvvisamente, l’atteggiamento di Nike è cambiato. Radicalmente. Nel 1998 il Ceo dell’azienda Philip Knight annunciò che in tutte le fabbriche che producevano scarpe e abbigliamento a marchio Nike, non avrebbero più lavorato bambini, sarebbero stati applicati gli standard di sicurezza

in vigore negli Usa, consentiti controlli negli stabilimenti da parte di associazioni per la tutela dei diritti umani e ambientali e rescissi i contratti con i fornitori che non rispettavano le nuove regole. Ma perché questa improvvisa assunzione di responsabilità? Semplice: gli anni di contestazioni, manifestazioni di protesta, campagne di boicottaggio, avevano danneggiato gravemente il marchio Nike. E per un’azienda di quelle dimensioni il marchio è tutto. Non significa solo vendite, fatturato e profitti che, in alcuni casi, possono anche non subire cali. Il marchio è immagine, reputazione, valori, che nel tempo determinano il successo o l’insuccesso. Per un’impresa che pretende di vendere sogni ed emozioni il marchio non

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Il manifesto della campagna contro Nike sulla responsabilità sociale.

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può essere associato a un lavoratore malato o a un bambino con le mani tagliate.

Pagella da prima della classe TRASPARENZA. Come primo passo, Nike ha pubblicato la lista di tutti i suoi fornitori e la localizzazione di ciascuno. «Una svolta notevole. Non è frequente che un’impresa si esponga a tal punto. Nike è stata poi imitata da Levi’s, Puma, Timberland, e Reebok», spiega Cristina Daverio responsabile della ricerca in Italia per Vigeo. «E trasparenza significa anche denunciare quello che non funziona». Nel rapporto sociale del 2004, ad esempio, Nike ammette che in 569 aziende controllate ci sono state violazioni degli standard di tutela dei lavoratori. APERTURA. Dalla fine degli anni Novanta, Nike ha avviato un fitto dialogo con i sindacati e con le associazioni di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, aprendo loro le porte delle fabbriche che prima erano bandite. CONDIZIONI DI LAVORO. L’età minima dei lavoratori è salita a 18 anni nelle fabbriche di scarpe, a 16 in tutte le altre. Sono stati introdotti codici di condotta basati sui criteri dell’Ilo e sono state consentite ispezioni. Nike ha formato un gruppo di 87 funzionari, il cui unico compito è monitorare le condizioni dei lavoratori e l’impatto ambientale della produzione. Operano in 18 stati tra cui Cina, Vietnam, Corea, Hong Kong, Filippine, Indonesia, Thailandia, Bangladesh, India e Sri Lanka, con visite periodiche, da due a quattro volte l’anno per ogni stabilimento: nel 2003 più di mille. EDUCAZIONE. Nike ha introdotto programmi di formazione dei lavoratori, scolarizzazione dei bambini, so-

Dopo anni di contestazioni il cambio radicale per contenere i danni d’immagine

stegno alle micro-imprese. IMPATTO AMBIENTALE. Nel 2001 ha aderito ai programmi del WWF per la misurazione e la riduzione delle emissioni di gas inquinanti durante i processi produttivi e nel trasporto delle merci. Applica metodi di risparmio dell’acqua e di riduzione degli sprechi nella progettazione dei capi e delle confezioni. Ricicla i rifiuti solidi, che vengono tritati e usati per la pavimentazione di campi sportivi, e impiega il più possibile materiali riciclati. Per la produzione del 95% delle scarpe impiega adesivi a base di acqua.

Non solo rose e fiori Ma è troppo presto per consegnare a Nike la targa di impresa modello. Impegni, controlli, codici di condotta, sono passi avanti necessari, ma non trasformano una fabbrica in Cina nel migliore dei mondi possibili. Ancora oggi infatti compaiono denunce di maltrattamenti, violenze e abusi sessuali. Rapporti resi pubblici dalla stessa Nike, in un’ottica di massima trasparenza, a cui seguono sistemi di monitoraggio costante di quella fabbrica, addirittura corsi di rieducazione per i manager accusati di violenza sessuale. Non si può certo dire che il problema sia risolto e non è così chiaro come si possa risolverlo. Nei casi, frequenti, in cui Nike ha rescisso contratti di fornitura con le aziende che non rispettavano i suoi codici etici, è stata accusata da molte Ong di togliere lavoro a centinaia di persone e di non risolvere comunque il problema. Un altro punto dolente sono i salari. In un rapporto di China Labor Watch si sottolinea come il salario minimo nella maggior parte dei paesi asiatici sia al di sotto del minimo legale. E non sono certo cifre da capogiro: in media 33 centesimi di dollaro all’ora.

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Missione possibile convertire il peccatore Nike Intervista a David Shilling che da anni segue il caso del colosso per conto di ICCR centro interreligioso sulla RSI. portanti gruppi di pressione che negli ultimi 15 anni Una hanno combattuto perché Nike adottasse politiche di missione allettante per un religioso, sotutela dei diritti dei lavoratori e di riduzione dell’imprattutto se il peccatore in questione è patto ambientale. un cattivo per eccellenza come Nike. Il di Elisabetta Tramonto reverendo David È davvero cambiata la politica di Nike? È diventata Schilling da anni segue il caso del colosso dell’abbiun’impresa sostenibile? gliamento sportivo per ICCR (www.iccr.org), il Centro Nike è un caso esemplare di successo delle campagne David Shilling Interreligioso sulla Responsabilità Sociale, un’organizdi pressione da parte di Ong, gruppi di contestazione, zazione con sede a New York che raggruppa 275 investitori istiopinione pubblica. C’è ancora molta strada da fare, ma i protuzionali e fondi pensione di stampo religioso. È uno dei più imgressi raggiunti sono molti, se si considera che fino alla fine de-

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IPORTARE I PECCATORI SULLA RETTA VIA.

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I NUOVI CATTIVI VOLKSWAGEN ANNO ZERO Ottime relazioni con i sindacati, attenzione all’ambiente, investimenti nel sociale. Per anni Volkswagen è stata in testa alle classifiche dell’etica nel settore automobilistico. Poi, nell’estate del 2005, scoppiano una serie di scandali. Parcelle pagate a politici per fantomatici servizi di consulenza, tangenti ai vertici sindacali, viaggi di lavoro in mezzo mondo con visite a bordelli di lusso. Il tutto a spese dell’azienda. A Praga Helmuth Schuster, boss di Skoda (controllata da VW), maneggia una giungla di imprese fittizie per far girare truffe milionarie. A Wolfsburg, sede della società, il manager Joachim Gebauer compra l’assenso dei sindacati a suon di accompagnatrici e notti folli. Mentre Klaus Volkert, sindacalista e direttore del Consiglio Aziendale, riceve quasi 2 milioni di euro dal direttore del personale Peter Hartz. Per dire sempre di sì. Il pasticciaccio Volkswagen ha gettato fango su un marchio prestigioso e la casa tedesca è ora alla disperata ricerca della reputazione perduta. BAE SYSTEMS: CORRUZIONE SENZA SE E SENZA MA Terzo produttore di armamenti al mondo, primo in Europa. Il gigante inglese Bae Systems viene regolarmente accusato di corrompere i governi per portarsi a casa le forniture. Secondo il quotidiano inglese Guardian, BAE avrebbe versato segretamente 12 milioni di dollari nel 2002 per una commessa in Tanzania, uno dei Paesi più poveri del mondo. Sempre il Guardian, nel 2005, ha svelato le trame del traffico clandestino di armi con il dittatore cileno Pinochet. Accuse di corruzione anche per contratti in Qatar, Repubblica Ceca, Romania e Sudafrica. Alla fine del 2006, in nome dell’interesse nazionale, Tony Blair ha fatto interrompere l’inchiesta per corruzione che il Serious Fraud Office stava conducendo da due anni su BAE Systems: l’indagine riguardava mazzette pari a 114 milioni di dollari pagate dalla compagnia per corrompere dignitari dell’Arabia Saudita, pagando, tra l’altro, prostitute, Rolls-Royce e vacanze in California. Sul bilancio sociale 2006 di BAE si legge: “continuiamo a respingere tutte le accuse. Prendiamo molto seriamente i nostri obblighi di legge e continueremo ad essere in linea con gli accordi internazionali”. ARMANI: IL RE DEGLI ABITI SPORCHI Il gruppo Armani è costituito da una quarantina di società, che fanno capo al 100% a “re Giorgio”, attraverso la Giorgio Armani spa. Ha un fatturato di 1,5 miliardi di euro con una crescita media del 14% negli ultimi cinque anni. Con 4.700 dipendenti e 250 negozi monomarca in 36 paesi del mondo, è tra le aziende leader della fascia alta. Nonostante le dimensioni, l’azienda non è quotata in borsa. È certificata SA8000. La “Guida al vestire critico” (EMI, 2006) aveva già denunciato Armani per l’uso di “terzisti localizzati in Bulgaria e Madagascar, paesi che ostacolano fortemente la libertà sindacale”. Un rapporto di Greenpeace, «Parfum de scandale», segnala come il profumo She di Armani contenga flatati e muschi sintetici, sostanze pericolose e per la salute e per l’ambiente. Per l’uso di pellicce nei propri capi, Armani è inserito, dal dossier pellicce 2007 di Animalisti italiani, nella lista degli “stilisti più cattivi”, preceduto da Cavalli e Dolce e Gabbana (noti per aver creato nel 2004 una linea di pellicce per bambine). Ma gli “abiti sporchi” di Armani sono emersi all’attenzione pubblica dopo la pubblicazione in Italia all’inizio di quest’anno da parte della campagna Abiti Puliti di un rapporto (www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/azioni/FFI/rappFFI) delle condizioni di lavoro disumane nella fabbrica indiana Fibres & Fabrics International e nella sua controllata Jeans knit Pvt Ltd. Un elenco di violazioni che va dagli abusi fisici quando i lavoratori non tengono il passo con i ritmi produttivi («Sono i supervisori e il direttore del reparto a picchiarci a bastonate, a schiaffi, a calci, in qualsiasi parte del corpo», hanno spiegato alcuni lavoratori) al clima militaresco:

al lavoro è vietato parlare, i bagni sono chiusi a chiave, alla minima protesta scattano licenziamenti arbitrari. Armani ha risposto con una lettera che intima di rimuovere le denunce dal sito della campagna Abiti Puliti e del settimanale Carta, che aveva titolato in copertina “Armani: collezione autunno-inferno”, in quanto per la collezione 2007 non si rifornisce più dalla fabbrica indiana. ABBOTT, LA MULTINAZIONALE CHE FA CAUSA AI MALATI È il sesto produttore di materiale medico e il nono gruppo farmaceutico del mondo. Il fatturato per il 2007 è stimato in 23,6 miliardi di dollari, con un utile netto di 4 miliardi. Ha sede negli Usa. Produce, tra gli altri, Dobutamina, Vercite, Ferro-Grad, Froben. Nel 2003 ha improvvisamente aumentatodel 500% il prezzo di un farmaco anti-Aids largamente diffuso, Norvir. La strategia era mirata a spingere i pazienti adacquistare un nuovo medicinale prodotto da Abbott, il Kaletra, che non necessita di pillole concorrenti. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, alla Abbott meditarono perfino di ritirare dal mercato le scorte di pillole (fingendone un invio umanitario in Africa), vendendo il farmaco solo in sciroppo. Tanto non lo comprerebbe nessuno – spiegava un dirigente Abbott in una e-mail interna – perché “sa di vomito”. Recentemente la Abbott ha scatenato le ire delle Ong, non commercializzando in Thailandia la nuova versione termo-stabile (utilissima in tutti i climi caldi) del Kaletra. Per protesta, lo scorso 26 aprile l’associazione di sieropositivi Act Up-Paris ha sovraccaricato il sito internet dell’industria, provocandone il blocco per qualche ora. La Abbott ha citato l’associazione per 100mila dollari: è la prima volta che una multinazionale fa causa ad un gruppo di attivisti malati di Aids. PFIZER, SPERIMENTAZIONI SOSPETTE È il più grande gruppo farmaceutico mondiale. Produce l’8,2% delle medicine consumate nel mondo. Nel 2006 ha fatturato 48 miliardi di dollari, con un utile netto di 13 miliardi. Ha sede negli Stati Uniti. Produce, tra gli altri Viagra, Reactine, Ribex, Cicatrene. Recentemente è stata accusata dal governo nigeriano di aver sperimentato segretamente un farmaco (nel 1996) su 200 bambini, col pretesto di portare soccorso alle popolazioni della regione settentrionale di Kano, colpita da una gravissima epidemia di meningite. Il farmaco in questione è il Trovan (trovafloxacina), un antibiotico orale che per la Food and drug administration americana presenta «rischi di tossicità epatica». Secondo il governo nigeriano, la Pfizer selezionò i 200 bambini cavia (11 dei quali sono morti) in un ospedale, senza neppure il nulla osta dai genitori. ENI: UN FIORE ALL’OCCHIELLO CON MOLTI LATI OSCURI Eni fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo? Forse se ci si basa sui bilanci (un utile netto di 9 miliardi l’anno scorso, a fronte di un fatturato di 86). Molto meno se la si valuta su legalità, ambiente e diritti umani. La sua attività estrattiva nell’Amazzonia ecuadoriana è stata oggetto di denunce per i danni alla salute delle comunità aborigene. Mentre in Nigeria, il tribunale federale ha condannato Eni e altre compagnie a pagare 1,5 miliardi di dollari come risarcimento per le fuoriuscite di petrolio. Più volte denunciate (con tanto di interrogazione parlamentare) anche le connivenze con le forze di polizia. L’ultimo episodio il 21 giugno: l’esercito ha “liberato” l’impianto Agip di Ogboinbiri nel Delta del Niger. Una strage: 15 manifestanti uccisi. “Se c’è un azienda che ha fatto tanto in Nigeria è l’Eni – replicano sdegnati dalla compagnia – 97 milioni di euro in dieci anni per interventi sociali e ambientali”. Tuttavia, l’Eni è stata esclusa dall’indice etico FTSE4Good per lo scarso rispetto dei diritti umani. PETROCHINA: LA NUOVA “SORELLA” DEL PETROLIO La seconda compagnia petrolifera del mondo per valore di mercato (41 miliardi di dollari di fatturato), uno sfidante agguerrito per Exxon, Shell e BP. Il colosso China National

Petroleum Corporation e la controllata Petrochina testimoniano il cambiamento nei rapporti di forza del mercato energetico mondiale. Dietro l’inarrestabile crescita di Cnpc c’è una strategia spregiudicata di accordi commerciali. A gennaio, ha firmato un accordo in Myanmar per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio. Pechino si è nel frattempo opposta in Consiglio di Sicurezza Onu a sanzioni contro il regime militare birmano. In Africa, la Cnpc si è aggiudicata immensi giacimenti in Sudan e Nigeria. In cambio la Cina garantisce il saldo del debito, prestiti a fondo perduto e sostegno politico ai regimi al potere. Cattive notizie anche per l’ambiente: il 13 novembre 2005 un’esplosione in un suo petrolchimico ha ucciso 5 persone e riversato nel fiume Songhua 100 tonnellate di liquami tossici. Le sostanze velenose hanno percorso 400 chilometri, raggiungendo la città di Harbin: oltre 4 milioni di persone sono rimaste senza acqua potabile. Nuove potenze, vecchi metodi. SANPAOLO-IMI, LA REGINETTA DELLE BANCHE ARMATE Il gruppo Sanpaolo-IMI si conferma per il secondo anno consecutivo al primo posto nella classifica delle “banche armate”, con il 29,9% di tutte le operazioni di incasso e pagamento relative all’export di armi italiane. per un volume d’affari 2006 di 448,3 milioni di euro, in crescendo di quasi tre volte rispetto ai 164 milioni del 2005. Il gruppo Sanpaolo-IMI si è da poco fuso con Banca Intesa, che ha registrato nel 2006 un boom in controtendenza con operazioni per 46,9 milioni di euro, (solo 160 mila euro nel 2005) tra cui spicca un’autorizzazione di 41 milioni dell’Agusta agli Emirati Arabi Uniti per una “prima fornitura” di elicotteri CH-47C ammodernati e altri equipaggiamenti per 58,9 milioni di euro. ITALEASE: I FURBETTI DEL LEASING Come il maggiore operatore italiano del leasing può trasformarsi da riferimento per migliaia di imprenditori, in incubo kafkiano; l’ultimo degli scandali della finanza italiana è affiorato nelle indagini sul gruppo Ipi di Danilo Coppola. I magistrati vogliono capire con quali garanzie nel dicembre 2005 Italease abbia dato il via libera alla vendita di tre palazzi del gruppo Ipi, su cui gravava un leasing da 122 milioni di euro. La banca milanese in totale ha 190 milioni di euro di crediti ex Coppola, garantiti da una fidejussione della Banca Arner di Lugano. Chi garantisca per il garante svizzero è oggetto dell’indagine. Ora la banca annaspa e chiede il conto ai clienti sui derivati: proposti ad almeno 2000 investitori assieme al leasing, per coprire i rischi dei tassi ne amplificano gli effetti a vantaggio della banca. YUE YUEN: IL COSTO UMANO DELLE SCARPE Registrata nelle Bermuda, fa capo alla società taiwnaesePou Chen della famiglia Tsai: è il più grande produttore mondiale di scarpe sportive, quasi il 17% del mercato globale per quasi 200 milioni di paia di scarpe nel 2006. Rifornisce oltre 30 grandi marche, tra cui Nike, Adidas/Reebok, New Balance, Timberland, Asics. Ha stabilimenti giganti - vere e proprie città-fabbrica - in Cina, Indonesia, Vietnam. È quotata alla borsa di Hong Kong e ha un fatturato da 3,657 miliardi di dollari (2006), con oltre 280mila dipendenti (al 30 settembre 2006). Un recente rapporto dell’ong statunitense National Labor Committee e di China Labor Watch ha denunciato che nelle fabbriche cinesi di Yue Yuen le condizioni di lavoro sono estremamente intensive (con turni che vanno dalle 11 alle 16 ore al giorno, 6 giorni alla settimana), la paga oraria è di 0,35dollari; non sono ammessi sindacati e un complesso sistema di regole e multe punisce chi commette la minima infrazione (da 5 minuti di ritardo al lavoro al “disordine” nella propria camerata), oltre a riduzioni di salario se gli obiettivi di produzione non sono raggiunti. Dongguan, a poca distanza da Hong Kong, è più grande stabilimento con oltre 70.000 lavoratori, in gran parte donne immigrate da altre regioni della Cina.

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[ CHI SONO E PERCHÈ TENERLI D’OCCHIO – PER SAPERNE DI PIÙ: WWW.VALORI.IT ]

I NUOVI CATTIVI / 1

ENERGIA

AZIENDA

TRASPARENZA

IMPATTO AMBIENTALE

TUTELA DIRITTI UMANI

BP

Inquinamento del Rifugio Nazionale della Fauna Artica in Alaska

Tre esplosioni in raffinerie in 4 anni: 12 operai uccisi e 170 feriti

BRAZIL PETROBRAS

Danni a ecosistemi e agricoltura in Argentina e Amazzonia

PETROCHINA CNPC

Collusioni con la dittatura militare birmana

Nigeria, manifestazioni contro le trivellazioni represse nel sangue

CHEVRON

Scarti petroliferi nei fiumi amazzonici

100 tonnellate di rifiuti tossici nel fiume Songhua

EXXON

Alaska, incidente della Exxon Valdez

Torture, stupri e omicidi all’interno degli impianti petroliferi

ENEL

Investimento nel nucleare in Slovacchia e riconversione a carbone di 4 centrali

ENI

Gas flaring nel delta del Niger

15 morti nel blitz per liberare un impianto Agip in Nigeria

PETRONAS

Contaminazione idrica a causa dell’oleodotto Chad-Camerun

2 morti e 30 arresti per una manifestazione sindacale

SHELL

Gas flaring nel delta del Niger

Deportazione e lavori forzati in Birmania

TOTAL

Nigeria, 1,5 tonnellate di greggio riversate al suolo

Sotto processo in Belgio per crimini contro l’umanità, lavori forzati, torture in Birmania

ABBOTT

FARMACEUTICI

Multe da Antitrust e Commissione europea per politiche anticoncorrenziali

Ha fatto causa a un gruppo di attivisti che hanno bloccato per alcune ore il portale aziendale. È il primo caso di richiesta di risarcimento da una multinazionale nei confronti di attivisti malati di Aids Ha chiesto di brevettare un farmaco in India nonostante esso non sia un nuovo medicinale, ma solamente la combinazione di due sostanza note

GILEAD SCIENCES È coinvolta in un caso di conflitto di interessi per aver chiuso contratti con il governo USA nonostante tra i suoi azionisti ci sia l’ex Segretario di Stato alla Difesa Donald Rumsfeld

Ha citato in giudizio il governo indiano per tentare di indurlo a cambiare la legge nazionale sui brevetti in favore delle multinazionali

È accusata di produrre pesticidi altamente inquinanti

PFIZER

È accusata di aver sperimentato segretamente un farmaco su 200 bambini nigeriani

SCHERING-PLOUGH

È accusata di aver sperimentato un farmaco anti-Aids di seconda linea su pazienti che non avevano mai assunto medicinali antiretrovirali

MERCK

È accusata di aver venduto per anni il farmaco Vioxx nonostante fosse a conoscenza di gravi effetti collaterali

GLAXOSMITHKLINE

È accusata di aver nascosto studi che dimostravano come il farmaco Paxil inducesse i pazienti al suicidio

ROCHE

Ha patteggiato una maximulta per elusione fiscale

ASTRAZENECA

Ha violato la legge americana sulla trasparenza nell’informazione sui farmaci nel 2003. Oggi è di nuovo sotto processo con lo stesso capo d’accusa.

BAYER

Multata dalla Commissione europea per concorrenza sleale

Accusata di gravi sperequazioni nei prezzi fra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo

Accusata di aver inquinato con mercurio e PCB l’area di Nova Iguacu in Brasile

SIEMENS (elettronica)

BENI DI CONSUMO

Tangenti a scienziati Onu per negare il global warming Esclusa dagli indici per l’investimento responsabile Ftse4Good

Ha aumentato per ragioni commerciali il prezzo di un farmaco anti-Aids del 500%

NOVARTIS

RESPONSABILITÀ SOCIALE ED ETICA

Partecipa al consorzio per la costruzione di due nuovi reattori nucleari a Belene in Bulgaria. In una zona sismica

BAE SYSTEMS (armi)

Scoperta a fine 2006 una cassa nera di oltre 420 milioni di euro per pagare tangenti agli Stati e assicurarsi appalti pubblici.

YAHOO (internet)

Indagata per corruzione e riciclaggio di denaro per vendita di armi in Tanzaniam, Arabia Saudita e nel Chile di Pinochet. Nel giugno del 2007 l’inchiesta sull’Arabia viene insabbiata dal governo inglese.

FREEPORT McMORAN

Accusato di violare la Dichiarazione Universale dei diritti umani perché collabora con la censura cinese. Yahoo!: ha aiutato la polizia a rintracciare il giornalista dissidente Shi Tao, permettendone la condanna a dieci anni di reclusione, nel 2005 Nel 2003 l’impresa ha ammesso di aver pagato la polizia e i militari indonesiani per tenere lontano dalle miniere i legittimi proprietari terrieri. Secondo il New York Times sarebbero stati pagati 20 milioni di dollari tra il 1998 e il 2004

(industria mineraria)

HALLIBURTON

È l’impresa che ha maggiormente beneficiato della guerra in Iraq. Coinvolta in una serie di scandali di corruzione, è stata accusata di applicare sovrapprezzi alle forniture per l’esercito americano. Gestisce i contratti per la ricostruzione dell’industria petrolifera irachena.

(contractor)

FINMECCANICA (armi)

Le attività civili sul totale dei ricavi del Gruppo Finmeccanica sono passate dal 33 per cento del periodo 2002-2003 al 18 per cento del 2004-2005 e sono destinate, nelle intenzioni del management, ad essere cedute. "Riconversione al contrario" per il secondo gruppo industriale italiano

LA MANCHA RESOURCES

L’impresa canadese è considerata un “highest offender” dei diritti umani dalla “Task Force per il disinvestimento dal Sudan”. In joint venture con il governo sudanese per lo sfruttamento delle miniere, contribuirebbe in modo decisivo al finanziamento del genocidio del Darfur

(industria mineraria)

gli anni ‘90 non voleva neanche assumersi la responsabilità di quello che accadeva nelle fabbriche dove venivano realizzati i suoi prodotti: violenze sessuali, punizioni corporali, condizioni di lavoro disumane. Oggi invece l’impegno di Nike per il rispet-

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to dei diritti umani nelle fabbriche è esemplare. Quali sono quindi queste nuove virtù dell’azienda? La trasparenza, innanzitutto. Sul sito dell’azienda, www.nike.com,

Esclusa assieme ad altre sei imprese dal fondo previdenziale del governo norvegese perché sarebbe coinvolta nella produzione di armi nucleari

si può trovare il rapporto sulla responsabilità sociale dell’azienda “Innovate for better world” e la mappa delle fabbriche dove vengono prodotti abiti e scarpe a marchio Nike. È un passo molto importante perché in questo modo le associazioni locali di tutela dei

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diritti dei lavoratori e dell’ambiente possono verificare con mano che cosa succede in tutte le fabbriche. Ma com’è stato possibile un simile risultato?

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I NUOVI CATTIVI / 2

ABBIGLIAMENTO

BENI DI CONSUMO

AZIENDA

TRASPARENZA

IMPATTO AMBIENTALE

TUTELA DIRITTI UMANI

RESPONSABILITÀ SOCIALE ED ETICA

SUEZ

Privatizzazione dei servizi idrici nei Paesi del Sud del mondo (America Latina). Difficoltà di accesso all’acqua per le famiglie povere in seguito ai rincari. Nel 2006 Suez è stato costretto a lasciare l’Argentina e la Bolivia

HUNTINGDON LIFE SCIENCES

L’impresa inglese conduce test chimici e farmaceutici su 75.000 animali ogni anno. È la più grande società del genere in Europa. A causa delle violente campagne di ecoterrorismo è stata costretta a posticipare il suo ingresso in borsa di 15 mesi

WAL MART

Nel 2006 Wal Mart ha annunciato piani per ridurre gli imballaggi e le emissioni di CO2. Ma il modello di business della multinazionale è di per sé insostenibile perché dipende fortemente da catene di approvvigionamento globali e si basa sullo spostamento di merci e clienti su lunghe distanze

Il più grande datore di lavoro del mondo continua ad essere considerato come una delle peggiori multinazionali esistenti. Non paga i contributi sanitari a più della metà dei suoi dipendenti ed è uno dei più noti trasgressori delle leggi sul lavoro e sui suoi standard minimi

YUE YUEN Inc.

Nel 2006 alcune fabbriche hanno ottenuto la certificazione ISO14001

Le denunce principali riguardano il management militaresco, straordinari obbligatori, paghe al di sotto del minimo salariale, condizioni di lavoro insicure, contratti illegali, repressione dei sindacati

ARMANI

Uso di pellicce nei propri capi

Dopo il rapporto-denuncia della campagna Abiti puliti, ha rescisso il contratto con un fornitore indiano che abusa dei lavoratori

VF CORPORATION (USA)

Sistema di controllo del codice di condotta interno

INDITEX (Spagna)

Pubblica un rapporto di sostenibilità sociale e ambientale, però povero di informazioni rilevanti

Nel 2005 la Clean Clothes campaign denuncia le condizioni di lavoro in una fabbrica terzista in Bulgaria per salari arbitrari, rifiuto di assunzione di donne incinte, salari sotto il livello di sussistenza, ambiente di lavoro insalubre. L’11 aprile 2005, a Dhaka in Bangladeh, è crollato un edificio che ospitava due fabbriche che lavoravano per Inditex, provocando la morte di 64 persone. Già prima della tragedia, la fabbrica era stata teatro di incidenti gravi, per le condizioni di lavoro e di salario molto sotto il minimo legale

LVMH (Francia)

Il bilancio della controllante Christian Dior ha una sezione sui temi sociali e ambientali, ma non sufficientemente dettagliata

Il rapporto “Parfum de scandale” di Greenpeace segnala che il profumo Poison di Dior contiene ftalati e muschi sintetici, sostanze potenzialmente pericolose per la salute e l’ambiente

LEVI STRAUSS (USA)

Nel 2005 ha messo a disposizione del pubblico la lista dei suoi fornitori

PUMA (Germania)

Nel 2005 ha messo a disposizione del pubblico la lista dei suoi fornitori. Pubblica un bilancio di sostenibilità, ma non entra nel dettaglio

FILA (USA)

Varie denunce circostanziate dall’associazione WRC per gli stabilimenti thailandesi (far East Garment e First Apparel) per limitazione della libertà sindacale, violenzafisica, ambienti di lavoro insalubri e insicuri. Altre denunce da FLA, dalla National Labora Committee, soprattutto rispetto alle Zone economiche speciali di El Salvador e dello Sri Lanka

Ha filiali in paesi considerati paradisi fiscali dalla legislazione italiana (Hong Kong, Lussemburgo, Svizzera). Compare tra i fornitori del Dipartimento della difesa USA

La capofila è certificata SA8000. Donna Karan Int.filiale statunitense di Lvmh, ha pagato nel 2003 un indennizzo complessivo di 20 milioni di dollari a favore di 30.000 lavoratori per violazione alle normative su salari, orari e altri diritti dei lavoratori, da parte di fornitori localizzati a Saipan, isola del Pacifico sotto giurisdizione USA

Nel rapporto di sostenibilità 2004 si dice che sono state effettuate 2600 ispezioni indipendenti alle varie fabbriche, ma non è precisato da parte di chi, né i risultati

Associazioni e sindacati stanno denunciando da anni le violazioni che riscontrano nelle fabbriche che lavorano per Levi Strauss come terziste. Vari casi di abusi sono descritti in rapporti di WRC, e CCC

Nel 2003, due ex manager di Levi Strauss hanno accusato la multinazionale di falso in bilancio e transazioni fraudolente verso filiali localizzate in paradisi fiscali per evitare le tasse

Puma fa produrre in conto terzi in paesi che vietano le libertà sindacali. Nello stabilimento cinese Pou Tuen sono state riscontrate numerose violazioni: da straordinari sottopagati al clima da caserma, dall’igiene precaria all’utilizzo di sostanze chimiche

Puma ha filiali a Hong Kong, Singapore e in Svizzera, considerati paradisi fiscali dalla legislazione italiana

Solitamente FILA non risponde agli appelli e sollecitazioni della società civile e dei consumatori

Vari rapporti denunciano gravi violazioni in stabilimenti di terzisti in Cina e Indonesia: lavoro minorile, salari sotto il minimo legale, condizioni igieniche precarie, mancato pagamento dei contributi sociali

Nel 2003 in USA,Jonathan Epstein, amministratore delegato di Fila USA si è riconosciuto colpevole e condannato per falso in bilancio e false dichiarazioni. Fila hafiliali in paesi considerati paradisi fiscali dalla legislazione italiana

BASICNET (Italia)

Tende a evitare di discutere i temi contestati

Associazioni e sindacati denunciano da anni i salari al di sotto del minimo legale, mancato rispetto delle libertà sindacali, insulti, intimidazioni e molestie

Ha filiali in Lussemburgo e Hong Kong, considerati paradisi fiscali dalla legislazione italiana

BATA (Canada)

È “avara” nella diffusione di informazioni. Non si conosce il bilancio consolidato del gruppo

Ottiene parte dei suoi prodotti in paesi che ostacolano le libertà sindacali

È membro della Camera di Commercio Internazionale (IIC) e promuove attraverso la sua lobby la liberalizzazione del commercio e degli investimenti

Secondo il suo stesso rapporto, Puma avrebbe attuato risparmi energetici e riciclaggio dei rifiuti e l’eliminazione del PVC dai suoi prodotti. Secondo Greenpeace, le scarpe Puma contengono ftlati e composti organostannici - potenzialmente pericolosi per l’uomo e l’ambiente

INTESA SAN PAOLO (Italia)

Nel 2005 e 2006 è stata la banca italiana maggiormente attiva nel commercio di armi

JP MORGAN CHASE

Finanzia i produttori di cluster munitions. Frode Fisco italiano per rimborsi d’imposta non dovuti

FINANZA

(USA)

CITIGROUP (USA)

Sostiene il nucleare.

KKR (USA)

Sostiene il nucleare. Portale per i paradisi fiscali

UBS (Svizzera) CARLYLE GROUP (USA)

Indagato per collusione nelle aste di acquisto e manipolazione dei bilanci

Controlla i produttori di armi e rifornisce l’esercito USA

HSBC (UK)

Appoggio finanziario a società attive nel taglio della foresta pluviale

BANCA ITALEASE (Italia)

Emissione di derivati ad alto rischio, proposti come protezione al rischio tassi insieme ai contratti di leasing.

MONEY TRANSFER

Indagini in corso sulle movimentazioni dei money transfer per sospette attività di riciclaggio di danaro e finanziamento al terrorismo

STANDARD & POOR’S, MOODY’S (USA)

Certificazioni “generose” su titoli spazzatura

Merito delle enormi campagne di contestazione scoppiate a partire dai primi anni ‘90, che stavano danneggiando gravemente il marchio Nike. Per salvarlo è stata disposta a cambiare la propria politica e a investire molte risorse. Ma è stato un lavoro lungo.

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Finanzia i produttori di cluster munitions

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Nike ha iniziato ad imporre ai propri fornitori corsi di formazione per la qualità e la sicurezza dei prodotti e per il rispetto dei diritti umani dei lavoratori. Così non si limitava a intervenire ex-post, ma ad agire sistematicamente sulla causa di quelle violazioni. E, ri-

Banca attiva nell’export italiano di armi

sultato importante, è stata coinvolta tutta l’azienda. Il concetto di responsabilità sociale è stato esteso all’intero business. Quindi non resta più niente per cui combattere?

Restano ancora delle questioni aperte: le ore di lavoro, i salari, il coinvolgimento dei lavoratori nel processo decisionale, il diritto all’organizzazione collettiva. In molte fabbriche si lavora 18, 19 ore al giorno. Non è sostenibile, né sano. Nike lo ha riconosciuto e ci sta

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CAMPIDOGLIO: ENI NELLA “BLACK LIST” DEGLI SPONSOR COMUNALI È BENE PRECISARLO SUBITO: il suo parere non è vincolante. Ma la rilevanza politica della decisione è evidente. Il Comitato etico del Comune di Roma ha consigliato al Campidoglio di rifiutare sponsorizzazioni dal gruppo Eni Italgas. “Esistono – si legge nel rapporto - circostanziate denunce relative a gravi violazioni in materia ambientale da parte dei soggetti a cui partecipa il gruppo Eni in Nigeria”. In particolare, il Comitato, presieduto dall’ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, fa riferimento a una sentenza del novembre 2005 con la quale l’Alta Corte federale nigeriana vieta all’Eni l’utilizzo del gas flaring (combustione diretta del gas dei pozzi petroliferi). Una tecnica che provoca malattie respiratorie alle comunità del delta del Niger, corrode i tetti delle case, danneggia i raccolti e devasta l’ecosistema. Il dossier non si limita a inserire l’Eni nella “lista nera”. Propone, più in generale, di rifiutare soldi da tutte le imprese petrolifere. Quello dell’oro nero è infatti “un settore in cui è più facile e più frequente, a livello mondiale, che si verifichino scelte e condotte discutibili dal punto di vista dei diritti umani e della tutela dell’ambiente”

lavorando. I salari poi sono ancora troppo bassi, non sono commisurati al costo della vita e ai bisogni essenziali delle famiglie, ma solo al minimo salariale del settore in quello stato. In molti paesi poi, Usa compresi, non è garantito né rispettato il diritto all’organizzazione collettiva dei lavoratori. Ma non vi preoccupate delle aziende più piccole? Possono provocare danni anche maggiori di una multinazionale, passando però inosservate… È vero. Noi di Iccr ci occupiamo soprattutto delle aziende con un’articolata catena di approvvigionamento, dove cioè la produzione viene in gran parte affidata all’esterno, a fabbriche situate nei paesi dove la manodopera costa meno, Cina, Corea, Centro

Disposti a tutto per una buona reputazione

America, e dove lavoratori e ambiente non vengono tutelati. Strutture del genere sono tipiche dei grandi marchi. Ma cerchiamo di seguire anche le aziende meno conosciute, che oggi possono essere più pericolose dei grandi marchi. Ad esempio la “Collective brand”, un’azienda americana di abbigliamento sportivo, con sede in Kansas. Ha 5000 outlet retail in tutti gli Usa e vende marchi piccoli, a prezzo medio-basso, che fa produrre per lo più in Cina. Non ha codici di condotta, ma solo regole generali, come “i dipendenti devono essere buoni cittadini” e “bisogna supportare programmi che migliorino la qualità della vita”. Regole così generali non significano niente. Aziende del genere dovrebbero essere sottoposte alla stessa pressione dei marchi leader.

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Campagna “Il mio danaro. Senza scrupoli?” di Netwerk Vlaanderen e altre organizzazioni che cercano di spingere il mondo finanziario e i risparmiatori verso investimenti responsabili.

I grandi marchi farebbero qualsiasi cosa per guadagnarsi una buona reputazione. Quella di Barilla e Ferrero è ottima, tra le prime dieci al mondo, spiega Davide Ravasi della Bocconi BARILLA HA LA REPUTAZIONE MIGLIORE AL MONDO. Ha infatti conquistato il primo posto nella classifica (vedi TABELLA a pag. 31) stilata dal Reputation Institute di New York e pubblicata dalla rivista Forbes (novembre 2006), che valuta 300 tra le di Elisabetta Tramonto più grandi imprese di tutto il mondo in base alla loro reputazione. Un fattore che per le aziende conta anche più delle vendite, perché determina il loro successo nel tempo. Per difenderla, o per ripulirla dopo uno scandalo, i grandi marchi sono disposti a spendere enormi risorse. Lo hanno fatto Nike, Adidas, Coca Cola, McDonald’s e molti altri colossi, che hanno investito in sistemi di monitoraggio dei fornitori, in nuovi impianti ecologici, in programmi di sostegno ai paesi in via di sviluppo. Perché? Lo spiega Davide Ravasi, professore associato di strategia al dipartimento di management dell’Università Bocconi di Milano.

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A NOSTRA

Fino a che punto per un’azienda è importante la propria reputazione? Tanto più quanto più è sotto la lente della stampa, delle Ong, della campagne a tutela dei diritti umani e dell’ambiente. Più un’impresa ha visibilità, più è probabile che venga sottoposta a boicottaggi e a campagne denigratorie.

Davide Ravasi, professore associato di stategia all’Università Bocconi di Milano.

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La si può misurare? Sì, usando strumenti e metodi diversi, come la classifica delle Most Admired Companies della rivista Fortune, l’indice Reptrak sviluppato dal Reputation Institute. Quello che è più difficile misurare è il suo valore, quanto esattamente contribuisce – in positivo o in ne-

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gativo – alle vendite, ai margini e ai profitti. Spesso il valore della reputazione si manifesta nei differenziali di prezzo o di vendite nel corso del tempo o tra imprese diverse. In America, ad esempio, una stessa macchina prodotta dalla Ford e dalla Toyota nello stesso stabilimento, venduta poi con modifiche trascurabili e sotto nomi diversi, ha un prezzo più alto e si deprezza meno quando porta il marchio Toyota. Perché la Toyota ha una reputazione di maggiore affidabilità e il cliente è, quindi, disposto a pagare di più. Molte grandi imprese monitorano costantemente l’evoluzione della loro reputazione, cercando di correlare l’andamento delle vendite, ma anche le reazioni dei consumatori e dell’opinione pubblica, con le azioni che compiono ogni giorno, con le decisioni prese. Oggi conta più di ieri? Da sempre le imprese hanno prestato attenzione alla propria immagine. Oggi però è aumentata la sensibilità dei consumatori e l’attenzione della stampa, delle Ong e dei gruppi di pressione sull’opinione pubblica. Il tutto amplificato da Internet. Si diffonde sempre più un concetto di consumo responsabile, anche se i valori assoluti non sono ancora elevatissimi. Sempre più acquirenti cioè si pongono il problema di come vengono realizzati i prodotti che acquistano; dell’impatto sociale e ambientale delle loro scelte, non solo di consumo ma anche di investimento. In Rete si moltiplicano i siti che comparano i marchi, raccolgono le lamentele, denunciano violazioni. L’attività comparativa della stampa, anche on line, rende più trasparente ciò che un’azienda compie. Le imprese

sembrano avere acquisito maggiore consapevolezza dei rischi che corrono nel non prestare attenzione alla propria reputazione. Quali sono quindi i rischi di una cattiva reputazione? Un danno all’immagine si può ripercuotere direttamente sulle vendite, ma non è l’unica preoccupazione di un’azienda. Ci vuole tempo e fatica per costruirne un marchio solido e riconoscibile. Campagne di protesta, boicottaggi, denunce possono distruggere la credibilità di un’azienda. Si pensi a Nestlé che sta pagando ancora oggi per le sue pratiche commerciali irresponsabili messe in atto trent’anni fa o più con la vendita di latte in polvere nei paesi africani. E, nonostante gli sforzi compiuti per ricostruire la propria reputazione, basta un passo falso, come l’accusa di comportamenti collusivi nel settore del latte in polvere o la controversia innescata con il governo dell’Etiopia per riavere indietro le proprie fabbriche nazionalizzate, per rilanciare proposte di boicottaggio. Ci sono poi casi estremi come la società di revisione Arthur Andersen, che ha chiuso i battenti a cuasa dello scandalo Enron. Si può anche arrivare a, non rare, cause legali. Nike ha iniziato a effettuare rigidi controlli sui suoi fornitori solo dopo aver perso una causa per informazione scorretta agli investitori, legata a rapporti sulla responsabilità sociale stilati in modo grossolano e poco preciso, e aver pagato una multa molto consistente.

CATTIVI SEMPRE PIÙ VELOCI LE POLITICHE DEI GRANDI MARCHI sono in continua e rapida evoluzione, mentre le battaglie per i diritti dei lavoratori nella globalizzazione sono rimaste indietro agli anni 80 e 90. Lo sostiene Susan George, del Transnational Institute, intervenuta al forum per un’economia diversa organizzato dalla campagna Sbilanciamoci a Marghera dal 6 al 9 settembre scorso. Quali sono oggi le peggiori imprese transnazionali?

Sono senz’altro le grandi banche – che grazie alle continue acquisizioni e fusioni hanno ormai dimensioni giganti e possono determinare le politiche economiche di un paese – e i grandi fondi d’investimento, dagli hedge fund in poi. Sono quasi totalmente non regolamentate e hanno lobby molto potenti a Bruxelles e altrove, anche se oggi la Commissione Europea e in particolare il Commissario per il commercio non hanno più bisogno di intermediari. Sotto quale aspetto?

La nuova veste della cosiddetta Costituzione europea – bocciata da francesi, danesi e sospesa negli anni scorsi, ma oggi ripresa sotto forma di emendamenti al Trattato di Maastricht – è cucita sugli interessi delle imprese multinazionali, sia per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, sia per la spinta ultraliberista. Il lavoro delle lobby diventa quasi superfluo. Dopo anni di campagne sulla responsabilità sociale d’impresa, sono migliorate veramente le condizioni dei lavoratori nei grandi gruppi industriali?

In un certo senso sì: oggi chi lavora per una multinazionale europea o statunitense Susan George, ha un buon salario e un ambiente dinamico del Transnational e stimolante. Generalmente i diritti sono rispettati Institute. e le “corporation” sono “buoni” datori di lavoro. Il problema è che tutta la parte produttiva è fatta da subfornitori in paesi dove le condizioni di lavoro sono pessime e inumane. Ma questo non è il loro problema: quello che interessa alle multinazionali è tenere il prezzo basso; come il fornitore riesca a garantirlo non li riguarda. Quale deve essere allora il target delle campagne contro gli “sweatshops” (aziende che sfruttano manodopera)?

Non ci sono più “sweatshops”! O meglio, sono nascosti alla nostra vista, sempre più remoti, distanti. Si può continuare a puntare il dito sull’industria mineraria, petrolifera, le cartiere e provare i loro danni ambientali. Ma le battaglie per i diritti dei lavoratori nella globalizzazione sono rimaste indietro agli anni 80 e 90. Oggi il rischio reputazionale dei grandi marchi è salvaguardato e provare gli abusi nelle grandi fabbriche in paesi a-democratici è diventato molto difficile. Ci vuole tempo per organizzare le battaglie – nel frattempo, i “cattivi” si sono spostati e sono anni avanti. Jason Nardi

Come si può difenderla? Con dei comportamenti coerenti, resi pubblici attraverso

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ASAQ. A come adattato. S come semplice. A come accessibile. Q come di qualità. E, soprattutto, gratuito (o quasi). Le Monde lo ha definito “sconvolgente” per le multinazionali di tutto il mondo. Parliamo di un medicinale anti-malaria prodotto dalla DNDi (Drugs for Neglected Diseases iniziative, ente non-profit creato da Medici senza frontiere nel 2003) in collaborazione con una delle più grandi industrie del farmaco, la francese Sanofi-Aventis. Tecnicamente è una un combinazione in dose fissa dei due principi attivi, l’artesunato e l’amodiaquina. Storicamente può essere considerato una rivoluzione. Perché il costo di un intero trattamento a base di Asaq non supererà un dollaro per un adulto e 50 centesimi per un bambino. Perché il medicinale consentirà ai pazienti di assumere solamente due pillole al giorno (contro le otto necessarie negli attuali trattamenti). Ma, più di ogni altra cosa, perché la nuova formulazione non sarà brevettata: chiunque potrà produrla liberamente e ciò contribuirà ad abbassarne ulteriormente il prezzo. Una rivoluzione per milioni di malati, sopratturo bambini. «Asaq – sottolinea Christophe Fournier, presidente di Msf – dimostra la validità di un nuovo approccio alla ricerca medica, focalizzato sui bisogni dei malati». Al servizio, per una volta, solamente della vita. A.B.

CLASSIFICA REPUTAZIONE INDICE REPTRAK 2006

una comunicazione trasparente. Puntare solo sulla comunicazione, senza che questa sia suffragata da comportamenti concreti, è difficilmente sostenibile nel lungo periodo. Comporta dei costi notevoli? Certo, ma per molte aziende sono inferiori a quelli che dovrebbe sostenere se la sua immagine fosse danneggiata o se fosse citata in giudizio. Questo non vale in tutti i casi, naturalmente. Non sempre cioè i benefici superano i costi. Dipende da quanto si è esposti a una ritorsione pubblica. Non per tutti la reputazione ha lo stesso peso, quindi? No, per un’azienda conta la reputazione percepita da chi ha la possibilità e l’interesse, direttamente o indirettamente, di penalizzarla. Ci sono imprese che compiono delle vere stragi ecologiche, ma non vengono minimamente danneggiate perché la gente non lo sa o, in altri casi, non ha gli strumenti per fare qualcosa. Se ad esempio, la Nestlè ha una cattiva reputazione, i consumatori possono decidere di non acquistare i suoi prodotti e incidere quindi negativamente sulle sue vendite. O, in altri casi, possono esercitare pressioni sui governi nazionali perché non concedano autorizzazioni, ad esempio, nei paesi in via di sviluppo. Se invece è un’azienda che si occupa dell’estrazione di minerali ferrosi a compiere azioni socialmente riprovevoli, è difficile che l’opinione pubblica lo venga a sapere ed è quasi impossibile poterla danneggiare dal momento che il consumatore finale non ha modo di rintracciare i prodotti dell’impresa all’interno dei propri acquisti.

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LIBRI

Felice Casson La fabbrica dei veleni Sperling & Kupfer, 2007 Ogni Petrolchimico in Italia ha lasciato dietro di sé uno strascico di morti che ancora aspettano giustizia e di devastazioni ambientali di cui le imprese non si sono assunte la responsabilità. Felice Casson, pm nel processo al Petrolchimico di Marghera ne ricostruisce l’iter, le connivenze e le difficoltà di arrivare a sentenza.

Un altro modello possibile Mentre le certificazioni sociali sono sempre più richieste dai consumatori, le istituzioni europee sono in ritardo negli standard. ratiche sleali verso la concorrenza e i consumatori, discriminazione contro le donne, lavoro forzato, lavoro minorile, corruzione, nessuna libertà di associazione, ogni volta che si legge l’elenco dei diritti mancanti di Paola Baiocchi o delle vessazioni diffuse nel mondo del lavoro vengono i brividi. Possibile che ancora esistano pratiche del genere? Sì, ma non in tutto il mondo e comunque molto è stato fatto, dice il rapporto 2007 sullo stato del business responsabile di Eiris (Ethical Investment Research Services) l’organizzazione indipendente con sede a Londra che da 25 anni studia l’impegno ambientale e sociale delle imprese e la loro governance:

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AZIENDA

Il logo della campagna contro le banche armate. www.banchearmate.it

per le aziende la responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsability) è passata dall’essere considerata un’attività filantropica, a far parte integrante dell’organizzazione societaria. Anche se sembra più facile conquistare il rispetto dell’ambiente che quello dei diritti umani. Cosa significa Csr (o in italiano Rsi, responsabilità sociale d’impresa) lo spiega la definizione del Libro Verde dell’Unione europea: “La Csr è l’integrazione volontaria da parte di imprese (ma più in generale enti, organizzazioni profit e non profit) delle problematiche sociali ed ecologiche nei rapporti con tutti i soggetti interessati, al di là delle prescrizioni legali e degli obblighi contrattuali”. Un’idea dell’impresa che Adriano Olivetti nel secolo scorso

FONTE: REPUTATION INSTITUTE, 2006. I DATI SUL FATTURATO SONO CALCOLATI DA FORBES E RIFERITI AL 2005 O PUBBLICATI SUL SITO DELL’AZIENDA, A PARTE QUELLE SEGNATE CON L’ASTERISCO. * FATTURATO 2005 DA HOOVERS.COM. ** FATTURATO 2004 DA HOOVERS.COM

MALARIA UNA RIVOLUZIONE IN PILLOLE

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 13 17 18 19 20 23 27 31 33 34 36 38 41 42 47 49 50 55 56 60 62 64 67 69 76 77 80 99 103 106 120 122 123 124 131 139 140 158 166 173

PAESE

SETTORE PUNTEGGIO REPTRAK 2006

Barilla Holding Italy Alimentare LEGO Holding A/S Denmark Beni di consumo - giocattoli Deutsche Lufthansa AG Germany Aereo e aerospaziale IKEA International A/S Sweden Arredamento Compagnie Generale des Etablissements Michelin France Automobilistico Toyota Motor Corp. Japan Automobilistico A.P. Moller-Maersk A/S Denmark Trasporti e logistica Ferrero SpA Italy Alimentare Samsung Electronics Co. Ltd. South Korea Elettronica Kraft Foods Inc. USA Alimentare Johnson & Johnson USA Farmaceutico Tesco PLC UK Vendite alimentari al dettaglio BMW AG Germany Automobilistico Honda Motor Co. Ltd. Japan Automobilistico Tata Group India Multinazionale PepsiCo Inc. USA Bevande Walt Disney Co. USA Informazione & Media Luxottica Group Italy Beni di consumo - occhiali Coop Italia Italy Vendite al dettaglio Airbus S.A.S. France Aereo e aerospaziale Robert Bosch GmbH Germany Elettronica Canon Inc. Japan Elettronica Nokia Corp. Finland Telecomunicazioni Vestas Wind Systems A/S Denmark Pale eoliche Sharp Corp. Japan Elettronica 3M Co. USA Prodotti per l’industria - chimica L’Oreal S.A. France Beni di consumo - cosmetici Groupe Danone France Alimentari Bridgestone Corp. Japan Automobilistico - pneumatici Heineken N.V. Netherlands Bevande Carlsberg A/S Denmark Bevande Sony Corp. Japan Elettronica Siemens AG Germany Elettronica Esselunga Group Italy Vendite al dettaglio Intel Corp. USA Computer Statoil ASA Norway Energia Volvo AB Sweden Automobilistico Motorola Inc. USA Telecommunications Pirelli & Co. Italy Automobilistico - pneumatici Coca-Cola Co. USA Bevande Hewlett-Packard Co. USA Computer Indesit Company Italy Elettronica - elettrodomestici Peugeot S.A. France Automobilistico Nestle S.A. Switzerland Alimentare e tabacco Volkswagen AG Germany Automobilistico Microsoft Corp. USA Computer H & M Hennes & Mauritz AB Sweden Vendite al dettaglio - abbigliamento GlaxoSmithKline PLC UK Farmaceutico Mediaset Group Italy Informazione & Media Assicurazioni Generali S.p.A. Italy Finanza-assicurazione

FATTURATO 2005 ($MIL)

87.79 86.58 84.09 84.08 83.79 83.15 83.15 82.98 82.57 81.82 81.07 79.65 79.58 79.55 79.41 78.85 78.65 77.68 77.44 77.41 77.26 77.02 76.85 76.80 76.38 76.27 76.12 75.48 75.38 75.29 75.23 75.17 75.11 75.09 74.47 74.43 74.18 72.44 72.22 72.06 71.27 71.16 71.11 71.11 70.46 70.01 69.97 69.12 68.89 68.52

5,522** 1,380 21,353 18,088 18,428 179,024 33,058 5,664** 79,501 34,113 50,514 69,218 55,149 84,317 17,878* 32,562 31,944 5,578 15,000 28,313 49,759 31,798 40,415 4,243 23,803 21,167 17,178 15,395 22,796 12,761 6,160 63,616 90,679 5,200 38,826 57,808 30,233 36,843 5,803 23,104 86,696 3,830 66,509 69,153 112,610 44,282 7,569 37,216 4,695 90,895

Il Reputation Istitute ogni anno stila una classifica che misura la reputazione delle imprese. Per realizzarla sono state intervistate 30 mila persone in tutto il mondo. La reputazione è un fattore fondamentale per la vita di un’impresa. In base ad essa un cliente decide se acquistare un prodotto e un investitore se investire in un azienda. Da non confondere con un giudizio etico. Una buona reputazione non necessariamente coincide con un comportamento impeccabile.

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| dossier | nuovi cattivi | ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

| dossier | nuovi cattivi |

DAI 35 GIORNI ALLA FIAT ALL’IMPEGNO SOCIALE PERMANENTE “NON MI BASTA MAI” (FILM DOCUMENTARIO, ITALIA 2000) Qual è la responsabilità sociale di una grande impresa quando decide di “decapitare” le avanguardie sindacali? Lo raccontano Guido Chiesa e Daniele Vicari in “Non mi basta mai”, il coinvolgente film-documentario nato da un’idea di Pietro Perotti operaio comunista e filmaker che durante i 35 giorni della lotta alla Fiat del 1980 ha filmato tutto, anche la famosa votazione sotto la pioggia in cui gli operai bocciano l’ipotesi di accordo ma il sindacato chiude lo stesso la vertenza, consentendo Pietro Perotti alla Fiat di mettere in cassa integrazione e le sue sculture per 3 anni 23mila operai. di gommmapiuma. Nel film ci sono le bellissime immagini d’epoca girate da Perotti che si incrociano con il racconto delle strade che hanno intrapreso ora i cinque che continuano tutti, a modo loro, ad impegnarsi nel sociale; ma soprattutto nel film si individua bene l’inizio dello sbriciolamento delle conquiste dei lavoratori, che hanno portato all’attuale precarizzazione. Durante la cassa integrazione dall’80 all’84 sono stati 149 gli operai che si sono suicidati, mentre quasi nessuno dei 23mila è riuscito a tornare al proprio posto di lavoro ma è stato assegnato a reparti confino o in rami d’azienda poi ceduti.

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aveva cominciato a realizzare, immaginando l’attività industriale armonicamente inserita nel territorio e che al territorio restituisce quanto gli sottrae. L’Olivetti arrivava ad intervenire per la conservazione delle case tipiche del canavese, la zona dove aveva sede, ma soprattutto aveva capito l’importanza dell’apporto creativo di ogni lavoratore, perfino in catena di montaggio e puntava alla loro valorizzazione, anche con le biblioteche di fabbrica e le pause mensa lunghe per leggere. Un modello che aumentava la produttività e la qualità, ma venne fortemente osteggiato dalla Fiat e, più in generale, dalla tradizionale concezione fordista del lavoro. Le imprese europee dice, il rapporto Eiris, sono quelle che hanno più sviluppato pratiche di business responsabile, a casa propria e con i fornitori extraeuropei, rispondendo alle richieste degli investitori, alle pressioni delle Ong e al quadro legislativo che ogni nazione si è dato. Anche con il contributo delle lotte dei lavoratori, bisogna aggiungere; ne è un esempio l’articolo 41 della nostra Costituzione che per prima nel mondo mette al centro il lavoro e non la proprietà. Il sociale e non il profitto individuale. É l’Europa dove sono maggiormente sviluppati gli investimenti responsabili, anche se ci sono significative esperienze di questo tipo in Nord America, in Australia/Nuova Zelanda e in Giappone: anche nei mercati emergenti sono stati lanciati alcuni fondi di investimento responsabili. Eiris valuta che, l’ammontare complessivo di fondi responsabili sia negli ultimi dieci anni di 4mila miliardi di dollari. A fronte dell’interesse dei cittadini europei, le istituzioni delle Ue a proposito di Csr, si stanno muovendo abbastanza lentamen-

IN RETE AGENZIE DI RATING ETICO www.eiris.org www.vigeo.com ORGANIZZAZIONI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI E DELL’AMBIENTE www.amnestyusa.org (Amnesty International) o www.amnesty.it (la sezione italiana) www.oxfam.org www.hrw.org (Human Rights Watch) www.humanrightsfirst.org www.sa-intl.org (Social Accountability International) www.verite.org www.business-humanrights.org www.stopcorporateabuse.org www.iccr.org (Centro Interreligioso sulla Responsabilità Sociale) www.globalexchange.org www.chinalaborwatch.org www.mexicosolidarity.org www.madeindignity.be www.cleanclothes.org www.banktrack.org www.asyousow.org www.cds.aas.duke.edu (Student Action with Farmworkers) www.studentsagainstsweatshops.org (United Students Against Sweatshops) www.sacom.hk (Students and Scholars Against Corporate Misbehavior, situate a Hong Kong) www.goodelectronics.org (rete internazionale per la tutela dei diritti umani e dell’ambiente nel settore elettronico) www.eicc.info (Electronic Industry Code of Conduct Implementation Group, codice etico a cui aderiscono molte imprese del settore elettronico) www.greenpeaceusa.org www.wri.org www.foe.co.uk (Friends of the Earth)

Molto dibattito sulla CSR-RSI a livello europeo ma il rischio della delega alle imprese è enorme. Anche quando esistono formule costituzionali eccellenti

A sinistra, una bambina nella sua casa a Phnom Penh. Il paese asiatico è privo di controlli e tutele contro il lavoro minorile.

Cambogia, 1999

te. Il 13 marzo scorso il Parlamento europeo ha emesso una risoluzione che contiene molte osservazioni interessanti, per esempio che la Csr deve “affrontare nuovi ambiti come l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, l’organizzazione del lavoro, le pari opportunità, l’inclusione sociale, lo sviluppo sostenibile e l’etica, così da fungere da strumento supplementare per la gestione del cambiamento industriale e delle ristrutturazioni”. Nello stesso documento riconosce “che molte imprese effettuano già un intenso e crescente sforzo per ottemperare alle proprie responsabilità sociali” ma - visto che i mercati e le imprese sono a livelli differenti - l’Europa ritiene che un “metodo universale che cerchi di imporre alle imprese un unico modello di comportamento non sia appropriato”. Insomma, si sceglie di mantenere le differenze nei diritti e nell’organizzazione del lavoro sia tra il Nord e il Sud dell’Europa, che nel resto del mondo. Ancora oggi l’articolo 41 della Costituzione italiana sembra un modello unico: “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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LA FABBRICA DELL’ETHICA ILCASO REGIONE TOSCANA CON 576 IMPRESE CERTIFICATE, l’Italia è oggi il paese con il maggior numero di imprese “socialmente responsabili” al mondo secondo gli standard del sistema SA8000. Più di un terzo di queste aziende sono toscane, frutto di sei anni di politiche di diffusione e incentivazione alla responsabilità sociale d’impresa della Regione Toscana, attraverso la sua Fabrica Ethica. L’iniziativa si avvale del lavoro di una squadra dedicata, che offre un servizio di tutoraggio e accompagnamento per le imprese che vogliono intraprendere il percorso di certificazione, ma anche microcredito, interventi nelle scuole, incentivi e agevolazioni specifiche e un ricco sito di riferimento – www.fabricaethica.it Dopo l’emanazione di una legge regionale specifica (la n.17/06 “Disposizioni in materia di responsabilità sociale delle imprese”), la Toscana ha introdotto il concetto di “tracciabilità sociale” e una serie di agevolazioni che prevedono anche i bilanci di sostenibilità. È stata ricostituita e allargata la Commissione Etica Regionale, passata da 25 a 39 membri, includendo rappresentanti dell’università, di associazioni ambientaliste e dei consumatori, con riunioni mensili e gruppi di lavoro tematici. In sei anni e con un investimento di 30 milioni di euro - che ha permesso di offrire incentivi che vanno dall’abbattimento del 50% dei costi di consulenza e certificazione (anche su ambiente e qualità) e di un abbattimento dell’IRAP del 0.50% - il numero di richieste di certificazione è esploso. In uno studio che ha preso in considerazione 45delle aziende toscane certificate, con l’analisi di 6 casi specifici, emerge che i settori rappresentati sono abbastanza eterogenei, dall’azienda chimica alla pelletteria, dalla ristorazione ai trasporti. “Sono, in generale, aziende stabili o in espansione (considerando la forza lavoro impiegata negli ultimi anni) e ottimiste (non prevedono flessione del proprio organico nel prossimo futuro),” afferma il rapporto. Tra le 186 imprese toscane “responsabili” figurano Gucci, Trenitalia (relativo alla gestione toscana), Coop Italia, Ataf e altri enti di trasporto pubblico e privato, Monnalisa (abbigliamento per teenager), un numero rilevante di aziende della filiera della pelletteria, SAT (società che gestisce l’Aereoporto di Pisa), fino al call center MetaMarketing Services srl. C’è anche Roccastrada (GR), il primo comune toscano a certificare il suo sistema di gestione del personale, del patrimonio e dei servizi erogati per rispondere alle norme ISO 14001 e SA 8000. In collaborazione con Mani Tese e altre Ong toscane che lavorano con le scuole del territorio, è in programma un percorso che affianca quello sui diritti umani, aggiungendo i diritti dei lavoratori e RSI, oltre alla visita guidata alle aziende certificate, in particolare nei distretti industriali attivati con Fabrica Ethica. Sono previsti interventi in oltre 30 scuole della regione. Di tutte queste imprese, la certificazione offre un segnale importante, ma è debole su tutto l’aspetto della filiera lunga, dove è difficile monitorare i comportamenti di fornitori e subfornitori. Per questo servono altri strumenti. “Il marchio SA8000”, affermano a Fabrica Ethica, “non è il punto di arrivo,ma solo l’inizio di una reale responsabilità, da riconoscere e di cui farsi sinceramente carico”. Jason Nardi

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Finmeccanica

Arriva il manager delle tangenti di Paolo Fusi

L MIGLIORE PESCE D’APRILE DEL 2007 È CERTAMENTE QUELLO DI FINMECCANICA.. Il gruppo guidato dall’emerito Guarguaglini il primo aprile si è regalato, infatti, un manager di caratura internazionale, Steve Mogford. L’annuncio è stato fatto in sordina, pur sottolineando la soddisfazione da parte degli italiani per il fatto che uno dei manager più famosi al mondo nel mercato legale delle armi decidesse di passare alla guida di un’industria italiana. Silenzio assoluto da parte dello Stato. Strano. Prima di venire a Finmeccanica, per sei anni Steve Mogford è stato responsabile per le vendite di BAES British Aerospace System, una delle tre più grandi industrie di morte del pianeta. Mogford ha lasciato la BAES perché è stato licenziato in tronco. Poverino. Poverino sì, perché si tratta di una vittima sacrificale per salvare la pelle al Grande Capo della BAES, Mike Turner, invischiato fino al collo in una serie di inchieste penali per corruzione e traffico d’armi in Gran Bretagna, in Svizzera ed in Svezia. Una storia semplice ed esemplare di come gli Stati vendano armi in questo secolo cinico e baro. La storia comincia negli anni ’80, quando la BAES, attraverso la mediazione di Margaret Thatcher, firma un contratto ventennale che assicura alla fabbrica inglese l’esclusiva sugli armamenti dell’aviazione Saudita. L’accordo, chiamato Al Yamamah, porta nelle casse della BAES 100 miliardi di Euro. Roba da risanare l’Italia in un colpo solo. Ma non tutti questi miliardi finiscono nelle casse della BAES. Una parte consistente (circa il 10%, parrebbe) viene pagato in mazzette, mazzettine, regali e pensierini affettuosi. La cosa Steve Mogford licenziato salta fuori nel 2004, quando lo SFO Serious Fraud Office, da Bae Systems per sospette un’unità speciale di Polizia creata da Tony Blair e fortemente tangenti è stasto assunto controllata politicamente dal suo partito, apre un’inchiesta dall’azienda pubblica senza nessuna informazione sul ruolo per truffa e corruzione, minacciando la chiamata a correo del cugino del Re dell’Arabia Saudita, lo sceicco Sultan. reale che dovrà assumere Gli Arabi minacciano ritorsioni economiche, Tony Blair blocca l’inchiesta con l’avocazione del segreto di Stato. Il tutto, si capisce subito, è il frutto di una faida interna al Partito Laburista. Ma non finisce qui. La SFO continua ad analizzare l’operato dell’uomo chiave nel sistema di corruzione della BAES, per l’appunto Steve Mogford, e richiede aiuto alle autorità elvetiche, le quali, con insolita celerità, raccolgono prove schiaccianti non solo sull’affare AlYamamah, ma anche su altri scherzetti compiuti da Turner e Mogford. Salta fuori che Mogford lavora anche con Wafik Said – un trafficante siriano che si nasconde a Montecarlo – e Sailesh Vithlani, un trafficante indiano che vive a Dar-es-Salaam. Il dossier della Polizia Federale svizzera pare essere talmente scottante che le sutorità inglesi decidono di non volerlo ricevere – con scorno e scherno degli svizzeri, un cui ministro commenta: «E poi siamo noi quelli con gli scheletri nell’armadio che puzzano per la mancata indipendenza della magistratura». Cosa diavolo tratta BAES con dei trafficanti d’armi? Mogford non ha voluto dirlo. Per questo l’hanno cacciato via con disonore. Nel frattempo, però, le autorità svedesi, che non riescono a vendere i loro aeroplani da guerra, hanno aperto un’inchiesta per concorrenza sleale ed hanno richiesto il dossier elvetico. Ed hanno scoperto subito che Mogford ha corrotto metà della Tanzania per far comprare loro un impianto radar che da oggi in poi impedirà agli UFO di attaccare il Parco Nazionale. Il costo: metà del PIL della Tanzania. Ora stanno aprendo gli armadi chiamati Uruguay, Turchia, Yemen, Iraq, Egitto, Liberia, Cechia, Qatar… ma Guarguaglini, almeno lui, gode?

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CISL

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CalPERS: il fondo che batte Terminetor >38 La ricetta di Chris per la pensione degli insegnanti >40 Le banche a Roma non danno credito alle periferie >42

finanzaetica APRE NEL CENTRO DI PALERMO LA FILIALE DI BANCA ETICA

GREENSPAN BOCCIA LA FINANZA DI BUSH

INVESTIMENTI DISCUTIBILI NELLA GIUSTIZIA MILITARE

NELL’INSIDER TRADING C’È L’OMBRA HEDGE FUND

IL SINDACO DI PARTINICO ESCLUDE DALL’AMMINISTRAZIONE I COLLUSI CON LA MAFIA

“SCUOLA DELLA REPUBBLICA” BLOCCA I SOLDI ALLE PRIVATE

Dal 18 settembre è attiva la filiale palermitana di Banca Etica, al civico 24 di via Catania. Banca Popolare Etica ha dedicato negli ultimi anni sempre più risorse e attenzione al Sud Italia, inserendolo tra i punti strategici dello sviluppo dell’attività dell’istituto per i prossimi anni. Un impegno particolare è quello di divulgare la cultura della legalità, che trova in Sicilia la sua simbologia più riconosciuta. «In una terra così martoriata, è necessario realizzare afferma Mario Crosta, direttore generale dell’unica banca italiana ispirata alla finanza etica - opportunità di lavoro, utilizzando strumenti finanziari che permettano di sviluppare idee e valorizzare le risorse dell’isola. E ci siamo adoperati per promuovere progetti di microcredito imprenditoriale finalizzati a creare piccole imprese nel campo del turismo sostenibile, dell’agricoltura, della produzione e commercializzazione dei prodotti biologici e dell’artigianato». Sull'isola sono presenti circa 600 soci di Banca Etica organizzati in due circoscrizioni, Sicilia Orientale e Occidentale. All’attivo ci sono già 550 conti correnti e una significativa propensione ai finanziamenti al di là dell'entità della raccolta, a testimonianza che l’impegno al Sud è una precisa scelta della banca. Gli impieghi si concentrano maggiormente nel finanziamento di cooperative sociali di tipo B che operano sui terreni confiscati alla mafia, nel turismo responsabile, nel sociale e nell'agricoltura biologica. Si terrà il 15, 16 e 17 novembre l’inaugurazione ufficiale della filiale con tre giorni di convegni e di festa. «Parleremo alla città e alla regione - dice Stanislao Di Piazza, il neo direttore - qualificando la nostra presenza come un altro tassello della lotta per la legalità e il benessere civile. Proprio in questo periodo stiamo finalizzando una convenzione con il comitato Addio Pizzo per sostenere la lotta all’illegalità di cittadini coraggiosi».

Una mazzata che Bush e i repubblicani non si aspettavano è arrivata da Alan Greenspan, repubblicano e fino al 2006 governatore della Fed. Greenspan bacchetta e boccia le scelte fiscali ed economiche del presidente Bush e lo fa con un libro “The age of turbolence”. L’ex numero uno della Fed rimprovera al capo della Casa Bianca di non aver posto il veto a certe voci di spesa per compensare i tagli fiscali, un’azione necessaria al Paese e non eseguita. E pensare che il 9 novembre del 2005 Greenspan riceveva dalle mani di Bush la medaglia presidenziale della libertà, la più prestigiosa delle onorificenze civili americane. Inoltre, “l’ex alleato” rimprovera ai repubblicani di aver perso la strada dei principi barattati con il potere, meritando così di perdere le elezioni del 2006. Con le sue 81 primavere sulle spalle, Greenspan può permettersi di parlare e bacchettare non risparmiando nessuno, nel bene e nel male, compresi Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Sugli scenari ed equilibri futuri del partito repubblicano Greenspan non promuove Rudy Giuliani, mentre apre la strada al battagliero Newt Gingrich che fu presidente della Camera e stratega dell’ascesa del partito nel controllo del senato.

La leva obbligatoria è stata abolita, la magistratura militare no. Anzi, a fronte di una diminuzione del lavoro delle corti militari il consiglio della magistratura militare ha chiesto con urgenza un ammodernamento del sistema informativo degli uffici giudiziari per un ivestimento totale di 583 mila euro iva esclusa, ora al vaglio del ministero della Difesa. I magistrati in servizio nei 9 tribunali militari sono 103, 79 in primo grado e 17 nelle corti di appello, 4 alla procura generale militare presso la Cassazione, tre al tribunale di sorveglianza militare di Roma. Nel 2006 hanno emesso 1000 sentenze; 12.088 i processi pendenti dal 1988, 2000 nell’ultimo anno. L’unico detenuto è Erich Priebke, condannato per la strage delle Fosse Ardeatine, ma ora agli arresti domiciliari. Ma proprio tra gli interventi ritenuti urgenti, indicati nella delibera, e che giustificherebbero quindi la richiesta di spesa, c’è proprio la necessità di aggiornare l’elenco detenuti con indicazione della loro posizione attuale e quindi la predispozione di progetti statitistici concernenti l’attività dei magistrati di sorveglianza, che in tutto sono tre. Priebke ha superato i 90 anni e si sorveglia da solo.

La Sec (Securities and Exchange Commission), authority che controlla la borsa americana, ha richiesto ai gestori di numerosi fondi informazioni dettagliate sui rapporti di conoscenza, lavoro, parentela e amicizia tra i manager di una ventina di grandi hedge funds e i dirigenti di società quotate in borsa. Un controllo apparentemente di routine, ma per la quantità e minuziosità dei dati richiesti fa pensare a un’offensiva della Sec per stroncare qualsiasi tipo di attività illegale. Negli ultimi mesi infatti l’organo di controllo ha rilevato un aumento considerevole del volume di scambi in azioni e opzioni azionarie di società alla vigilia dell’annuncio di una fusione o una acquisizione. Il sospetto della Sec è che alcuni manager societari, ma anche alcuni loro consulenti e avvocati, scambino informazioni con i gestori di hedge funds, in cambio di facili profitti. L’autority avrebbe individuato solo nell’ultimo anno almeno 233 società coinvolte in scambi e transazioni in odore di insider trading.

Un funzionario comunale colluso con la mafia non può ricoprire ruoli di responsabilità amministrativa. Dovrebbe essere un principio normale, sacrosanto, affermato e scontato. Eppure c’è un solo comune dove è stato applicato, quello di Partinico, città della provincia di Palermo, dove vivono 32 mila anime e una storia che conferma l’alta densità mafiosa. Un atto sancito da una delibera coraggiosa della giunta guidata dal sindaco Giuseppe Motisi (Margherita), subito colpito da una mozione di sfiducia firmata da 28 consiglieri comunali su trenta, compresi sei del suo schieramento. La delibera modifica il regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi che impedirà ai funzionari comunali indagati di assumere incarichi con poteri di firma all’interno dell’ente nel caso in cui, a seguito di uno scioglimento per mafia, emergano collegamenti di pezzi della burocrazia con l'organizzazione criminale. Questi soggetti, grazie alla delibera, non potranno ricoprire il ruolo di segretario comunale, vice segretario, responsabile di settore, responsabile di uffici, responsabile unico di procedimento, componenti di organi di indirizzo e controllo e ogni altro incarico di responsabilità. Sullo sfondo la vicenda della costruzione di un megacentro commerciale, affare già fiutati dalle cosche mafiose. Naturalmente, l’ormai ex primo cittadino ha dato parere contrario alla costruzione, ma il consiglio comunale ha approvato il progetto di lottizzazione su un’area che il prg attribuiva a insediamenti artigiani.

L’associazione nazionale per la “Scuola della Repubblica”, ispirata all’art. 33 della Costituzione, attacca il ministro Fioroni per aver deciso di finanziare le scuole private. «Il ministro Fioroni che pure ha giurato di osservare la Costituzione e quindi anche la norma prima citata - scrivono i responsabili dell’associazione - non solo ha palesemente violato tale norma costituzionale, ma ha dichiarato che si propone di violarla ulteriormente, regalando alle scuole private altri 60 milioni di euro, ovviamente sottratti alle scuole statali: tagli per le scuole statali e regali alle scuole private». L’associazione chiede il rispetto della costituzione e l’impegno a destinare tutte le risorse disponibili alla scuola statale ma anche il ripristino della legittimità. L’associaizone chiede anche una risposta sul terreno del ripristino della legittimità, proponendo a tutte le organizzazioni e a tutti i cittadini che si sono indignati per la proposta di Fioroni di impegnarsi ad impugnare con un ricorso collettivo davanti al TAR del Lazio del decreto del 21 maggio 2007 concernente i contributi alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2007-20088. L’associazione per la “Scuola della Repubblica” sta pensando a un ricorso collettivo su scala nazionale.

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CalPERS: il fondo che batte Terminator

CALPERS - CARTA D’IDENTITÀ NOME

L’ingresso della sede principale di CalPERS

250 miliardi di dollari di patrimonio. Il fondo dei dipendenti pubblici californiani è il più grande del mondo. Da anni si batte per migliorare la corporate America. Nell’interesse dei lavoratori.

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Il Californian Public Employess Retirement System vale metà del risparmio gestito italiano

Rob Feckner, presidente di CalPERS | 38 | valori |

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re il sistema previdenziale californiano smantellando il fondo pensione più grande e più potente del mondo. Ma la mossa di Schwarzy non ha successo. Con la regia di Phil Angelides, uno dei politici democratici più potenti in California, viene nominato alla guida di CalPERS Rob Feckner, un altro uomo del sindacato. E il fondo risorge. Più forte che mai.

Il colosso delle pensioni Oggi il Californian Public Employees Retirement System ha un patrimonio di quasi 250 miliardi di dollari (la metà dell’intero mercato del risparmio gestito italiano), 2.500 dipendenti e un milione e mezzo di aderenti. Quasi il 70% del portafoglio è investito in azioni, il resto in obbligazioni (24%) e immobili. Un colosso. Che da sempre cerca di coniugare i rendimenti finanziari con l’azione sociale e politica. CalPERS nasce nel 1932, negli anni della Grande Depressione, quando gli americani fanno la fila davanti alle mense pubbliche. Lo fonda un gruppo di lavoratori che vogliono tornare a sperare nel futuro. Negli anni ottanta parte il “corporate governance program”, con cui il fondo comincia a fare pressione sulle imprese nelle quali investe per chiedere più trasparenza, più amministratori indipendenti, paghe più eque a tutti i livelli. Gli uomini di CalPERS partecipano alle assemblee, fanno domande, presentano mozioni. E le corporation, molto spesso, sono costrette a cedere. «Il nostro primo obiettivo è garantire una pensione adeguata agli aderenti», mi spiega Feckner. «Le imprese che sono governate male danno in genere profitti inferiori. È per questo che interveniamo per migliorarle: ne va dei rendimenti del fondo». Lo stesso vale per l’ambiente e per il sociale: «nel lungo periodo», continua Feckner, «un’impresa che si preoccupa dei diritti umani e dei cambiamenti climatici ha più probabilità di dare buoni risultati». Si spiega così l’embargo contro le società in affari con

INTERNET SEDE PRESIDENTE ADERENTI PATRIMONIO* ALLOCAZIONE DEGLI INVESTIMENTI* titoli azionari 66,2% (di cui private equity 7%) titoli obbligazionari 25,2% immobiliare 8,2% cash 0,4% TIPO DI FONDO Defined benefit plan Fondo a prestazione definita *dati al 10 settembre 2007

il governo sudafricano, alla fine degli anni Ottanta. O la messa al bando delle imprese malesi, indonesiane, filippine e tailandesi nel 2002. «Per noi è una questione di rischio, non di morale: se un’impresa ha la sede in un Paese che non tutela i diritti umani o la correttezza delle transazioni finanziarie, è più sicuro non investire nei suoi titoli». Ma CalPERS non si limita ad escludere. «Investiamo circa 185 milioni di dollari nel solare, nell’eolico e in altre tecnologie ambientali», continua Rob Feckner. «È un programma che abbiamo avviato da poco. A questi investimenti aggiungerei anche i 600 milioni di dollari che impieghiamo per rendere più eco-efficienti le nostre proprietà immobiliari. Nel 2006, per esempio, abbiamo ridotto del 9% il consumo di gas».

FONDO PENSIONE CALPERS rendimenti storici al 30 giugno (al lordo della tassazione) 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

35,4% 24,6% 13,8% 3,9% 15,7% 9,7% 6,5% 12,5% 14,5% 2,0% 16,3% 15,3% 20,1% 19,5% 12,5% 10,5% -7,2% -5,9% 3,9% 16,7% 12,7% 12,3% 19,1%

Meno clamore, più risultati

Feckner ha 49 anni e nella vita ha fatto di tutto: l’autista di autobus, l’insegnante di sostegno e, infine, il vetraio per le scuole del suo distretto nella Napa Valley. Ancora oggi – dice - fissa vetri dalle 7 di mattina alle 3 del pomeriggio e dedica il resto del tempo a CalPERS. Il suo mandato è iniziato e continua all’insegna dell’understatement: «l’unica cosa di appariscente che vedrete saranno le mie cravatte», ha dichiarato al Los Angeles Times appena eletto. «Non voFONTE: CALPERS

CHWARZENEGGER VOLEVA CHIUDERLO. Troppe grane per il “governator” della California, troppi fastidi alle multinazionali americane. Troppi soldi sottratti alla previdenza privata. Era l’inizio del 2005. CalPERS, il fondo pensione di Mauro Meggiolaro dei dipendenti pubblici californiani, aveva appena mandato a casa il suo presidente, l’istrionico Sean Harrigan. Sindacalista, democratico, ospite fisso nei talk show, trascinatore delle folle nei comizi in tutti gli Stati Uniti, Harrigan era diventato il paladino dell’etica contro i fasti di Wall Street. Nelle assemblee delle società americane aveva guidato decine di campagne contro le paghe eccessive dei manager. Tra le vittime più illustri Richard Grasso, presidente della borsa di New York, costretto a dimettersi, nel 2003, proprio su pressione di CalPERS. Dopo l’uscita di scena di Harrigan scende il silenzio. Il “governator” ne approfitta per sferrare il suo colpo finale: privatizza-

CalPERS, California Public Employees’ Retirement System Fondo Pensione per i dipendenti pubblici californiani www.calpers.ca.gov Sacramento, California, USA Rob Feckner 1.504.103 246,7 miliardi di dollari

glio essere ricordato come uno che gira per gli Stati Uniti e ha le mani in pasta dappertutto». La rottura con l’era Harrigan è chiara. «Non c’è stato nessun cambiamento di priorità», precisa Feckner. «È cambiato solo lo stile. Se dobbiamo intervenire per protestare contro l’esplosione delle remunerazioni dei manager lo facciamo, ma senza urlare. Ora operiamo dietro le quinte, sottotraccia. E otteniamo più risultati. Le imprese ci ascoltano di più, capiscono che facciamo anche il loro interesse perché vogliamo che migliorino». In effetti basta guardare ai dati del 2006/2007 per capire che Feckner ha ragione: 33 mozioni presentate in assemblea, il doppio rispetto all’anno prima. In media hanno ottenuto il 60% dei voti degli azionisti. In genere si tratta di advisory resolutions, che non impegnano le imprese direttamente. «Sono consigli che diamo, ma se sono supportati dal 60% degli azionisti, poi l’impresa è quasi obbligata ad agire. Altrimenti torniamo in assemblea l’anno dopo, con mozioni cogenti. E lì non si scappa».

Assemblea permanente Prima di programmare azioni di pressione sulle imprese vengono consultati gli aderenti al fondo. «Li sentiamo regolarmente attraverso sondaggi. In genere chi partecipa a CalPERS è molto soddisfatto delle nostre attività», racconta il presidente. «E poi lo vedrà anche lei oggi: i nostri Consigli di Amministrazione sono aperti a tutti. Chiunque può intervenire per fare proposte e domande». Il CdA inizia dopo pochi minuti in un auditorium da 300 posti. Tra gli iscritti a parlare c’è J. J. Jones, un ex dipendente pubblico. Chiede a Feckner di fare qualche sforzo in più per l’ambiente, per le generazioni future. Poi interviene un pensionato. Si lamenta perché hanno calcolato male la sua rendita. Gli spetterebbe un’indennità come veterano di guerra, ma si sono dimenticati di includerla. Per tutti arrivano risposte precise, puntuali. Più che un Consiglio di |

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CALPERS: AZIONISTA SEMPRE PIÙ ATTIVO RENDERE IL MERCATO UN LUOGO PIÙ DEMOCRATICO, stimolare le imprese ad essere più trasparenti. Con questi obiettivi CalPERS partecipa alle assemblee degli azionisti per presentare proposte, mozioni, domande. Nell’anno fiscale 2006-2007 (terminato a fine giugno) ne ha sottoposte oltre 30 all’attenzione delle grandi corporation americane. Il doppio rispetto all’anno prima. Buona la risposta degli altri azionisti: più del 60% in media hanno votato con il fondo pensione californiano. “I fondi pensione pubblici sono più attivi che mai nel proporre mozioni, organizzare campagne e puntare il dito sugli amministratori per la loro scarsa attenzione alla governance”, spiega Charles Valdes, presidente del Comitato Investimenti di CalPERS. Una proposta per abbassare a un anno la durata del Board di Kellwood, società americana che distribuisce marchi di abbigliamento, M.M. ha avuto il sostegno dell’88% degli azionisti.

Amministrazione sembra un’assemblea dei soci mensile. Alla fine ci si connette in conferenza telefonica con Washington. Lì c’è un delegato di CalPERS che segue l’evoluzione della normativa federale sui fondi pensione. Il corrispondente da Washington dice che la House of Representatives (Camera dei Rappresentanti) ha approvato due progetti di legge che permetterebbero ai fondi pensione e ai fondi comuni americani di disinvestire da alcune imprese che fanno affari con il Sudan e l’Iran, senza il rischio di incorrere in cause legali da parte degli investitori. Le leggi, se approvate, porterebbero alla creazione di una lista federale di imprese “cattive” che investono nel settore energetico iraniano e in alcuni business in Sudan. «Ci vorrà del tempo», spiega il delegato. «Ma è meglio muoversi in anticipo».

Fondi Usa per la pace Alcuni fondi americani lo stanno già facendo. Nello Iowa il Fondo Pensione dei Dipendenti Pubblici potrebbe presto disinvestire 5,1 milioni di dollari da PetroChina e Misc Berhad (impresa petrolifera malese), che sostengono il governo sudanese (accusato di

crimini in Darfur), grazie a una nuova legge dello Stato. Il fondo dello Iowa ha identificato un universo di 44 imprese che potrebbero avere attività in Sudan e ha contattato tutte le società “sospette” chiedendo di chiarire la loro posizione. Anche il fondo pensione dei dipendenti pubblici del Colorado ha creato una “lista Sudan” che contiene 36 imprese, mentre due proposte di legge per creare “liste Iran” e “liste Sudan” sono state approvate dalla Camera dei Rappresentanti del Michigan. A Chicago, nonostante il governatore dell’Illinois non abbia ancora firmato la “Sudan divestment legislation”, il fondo pensione degli insegnanti ha chiesto ai gestori di uscire al più presto da tutte le imprese che hanno attività rilevanti nel Paese africano. I fondi pensione USA scendono in campo compatti per promuovere la pace e il rispetto dei diritti umani. E Schwarzenegger? «Siamo riusciti a convincerlo che portiamo benefici anche al bilancio dello Stato», spiega Feckner, «e ha capito che deve smetterla di dire che non siamo sostenibili economicamente. Nell’ultimo anno CalPERS ha reso il 19,13%, negli ultimi cinque anni in media il 12,5%».

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CHE COS’È UNA MOZIONE? CHI COMPRA LE AZIONI DI UN’IMPRESA diventa comproprietario della società per la parte di azioni che possiede. Gli azionisti possono partecipare all’assemblea annuale dei soci, votare i punti all’ordine del giorno, intervenire nel dibattito o far votare loro stessi mozioni (nuovi punti all’ordine del giorno). Negli Stati Uniti per far votare una mozione basta possedere 2.000 dollari in azioni (in Italia serve il 2,5% del capitale). Se la mozione ottiene almeno il 2% dei voti può essere riproposta l’anno successivo. La prima mozione di carattere sociale presentata in America risale al 1971. A finire nel mirino fu General Motors. La Chiesa Episcopale votò per chiedere il ritiro di GM dal Sudafrica, dove vigeva la segregazione razziale. Negli anni successivi oltre 200 imprese furono messe sotto pressione per lo stesso motivo. Le mozioni, che non ottennero mai più del 20% dei voti, influenzarono un numero sempre maggiore di persone. L’azionariato attivo contribuì a rendere più efficace la lotta all’apartheid.

La pensione degli insegnanti: la ricetta di Chris Come si gestisce uno dei fondi pensione più grandi del mondo? Lo abbiamo chiesto a Christopher Ailman, direttore investimenti di CalSTRS, il piano previdenziale degli insegnanti californiani. STRS lo segue a poche lunghezze di distanza. La sigla sta per California State Teachers’ Retirement System: Sistema Previdenziale per gli Insegnanti della California. Come CalPERS ha sede a Sacramento, di Mauro Meggiolaro la capitale dello Stato, e gestisce un patrimonio di svariati miliardi di dollari. 171 per la precisione, versati da circa 800.000 aderenti: professoresse, maestri, insegnanti delle scuole pubbliche e delle Università. Il direttore investimenti è Christopher Ailman, uno dei più noti gestori di fondi pensione negli Stati Uniti. Quando entro nel suo ufficio, Chris sta bevendo una Diet Pepsi mentre guarda sconsolato i grafici di Bloomberg: le borse stanno scendendo anche oggi (14 agosto, ndr). Christopher Ailman, direttore investimenti di CalSTRS, il sistema previdenziale degli insegnanti pubblici della California

Brutta giornata per chi investe quasi tutto in azioni… Sì, oggi non c’è proprio niente da ridere. CalSTRS investe quasi il 70% del suo patrimonio in capitale di rischio. Ma è normale per i fondi pensione americani. Abbiamo tutti una prospettiva di investimento di lunghissimo termine: 30-40 anni. Su un orizzonte temporale del genere l’investimento azionario è l’alternativa migliore. Come scegliete i vostri investimenti? L’investimento azionario è dato in appalto a società di asset management specializzate, selezionate in base ai costi e ai rendimenti passati. Il team di CalSTRS è composto da 70 gestori, ma si occupa quasi solo di investimenti in titoli obbligazionari o nel settore immobi-

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liare. Buona parte del portafoglio azionario è investita passivamente in indici molto ampi, come il Russell 3.000, che contiene appunto 3.000 titoli. A differenza di quello che si pensa sui fondi pensione USA, deteniamo al massimo lo 0,3% - 0,5% del capitale di un’impresa. Apparentemente non abbiamo un grande potere come azionisti. Però noi diciamo alle imprese: “il vostro 0,5% lo manteniamo in portafoglio per oltre 30 anni. Siamo investitori di lunghissimo termine. E’ per questo che dovete ascoltarci”.

tiriciclaggio, buone prassi di governance, ecc..), 7 sono legati al rispetto dei diritti umani e delle libertà politiche, alla gestione ambientale e alla presenza di conflitti. I rischi vengono valutati per tutte le imprese che ricavano una parte significativa del loro fatturato da operazioni in Paesi “sensibili” ed entrano nella valutazione dei titoli.

Come valutate il rischio dei titoli? C’è spazio per considerazioni sociali e ambientali? L’anno scorso abbiamo approvato una “Geopolitical Risk Policy” per valutare il rischio geopolitico delle azioni. Abbiamo individuato 20 fattori di rischio connessi con i Paesi nei quali operano le imprese in cui investe il fondo pensione. 13 fattori sono legati alla trasparenza finanziaria e fiscale del Paese (norme an-

Fate anche investimenti etici? La nostra attenzione alla responsabilità sociale e ambientale delle imprese non ha motivazioni etiche. Il nostro obiettivo è assicurare il migliore rendimento a chi aderisce al fondo. Se gli impatti socio - ambientali di una società sono considerati elevati, per noi questo rappresenta un rischio e preferiamo non investire in imprese rischiose. Una piccola parte del nostro portafoglio in realtà è investita in modo socialmente responsabile: 350 milioni di dollari, che abbiamo affidato a quattro gestori esterni specializzati. Se rende bene potremmo pensare di aumentare l’investimento.

CALSTRS - CARTA D’IDENTITÀ In che modo vi fate ascoltare? Come CalPERS facciamo sentire la nostra voce alle assemblee degli azionisti. Con alcune imprese c’è un dialogo che continua anche per due, tre anni. Nel 2003 abbiamo elaborato un “piano di lavoro” per cinque società carenti sul fronte della corporate governance: Compuware, Level 3, Sirius, Solectron e Unumprovident. Abbiamo scritto lettere, incontrato i manager e siamo riusciti ad ottenere risultati importanti. Solectron, per esempio, un’impresa del settore elettronico, su pressione di CalSTRS ha modificato i parametri in base ai quali calcola la remunerazione del direttore generale, legandoli maggiormente alla performance finanziaria. Risultato: il salario del direttore è calato da 6,9 milioni di dollari nel 2005 a 1,6 milioni nel 2006. Unumprovident è l’unica società che non ha risposto alle nostre sollecitazioni. Tutte le altre hanno collaborato, tanto che stiamo preparando una nuova lista, un nuovo “piano di lavoro”. Il dialogo continua.

NOME

INTERNET SEDE PRESIDENTE ADERENTI PATRIMONIO* ALLOCAZIONE DEGLI INVESTIMENTI*

TIPO DI FONDO

CalSTRS, California State Teachers’ Retirement System Fondo Pensione per gli insegnanti delle scuole pubbliche californiane www.calstrs.gov Sacramento, California, USA Dana Dillon 794.812 169,3 miliardi di dollari titoli azionari 69,2% (di cui private equity 6,9%) titoli obbligazionari 20,9% immobiliare: 9,7% cash 0,2% Defined benefit plan Fondo a prestazione definita *dati al 31 luglio 2007

FONTE: CALSTRS

S

E CALPERS È IL FONDO PENSIONE PIÙ GRANDE DEL mondo, Cal-

Sala direzione investimenti della CalSTRS, sistema previdenziale degli insegnanti pubblici californiani. La sua sede è a Sacramento, la capitale dello stato. Gestisce un patrimonio di 171 miliardi di dollari.

Quanto siete esposti ai subprime? Pochissimo. Siamo intorno allo 0,7% del patrimonio: non è nulla. In passato abbiamo deciso di non prenderci rischi aggiuntivi e questa strategia ha pagato. Chris mi saluta guardando lo schermo della CNBC. Wall Street è ancora sotto. La colpa, stavolta, è di una cattiva notizia su Sentinel, una piccola impresa che ha comprato e venduto commercial papers. Un business sicuro. Prima del grande crash.

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Le banche a Roma: poco credito alle periferie

Derivati

Pesante multa per Unicredit di Andrea Di Stefano

ELENCO DI DIRIGENTI, CONSIGLIERI E SINDACI DI UNICREDIT BANCA D’IMPRESA È NUTRITO: 34 persone, per una multa

L’

Più della metà delle banche costituite in società per azioni presenti nella capitale hanno un solo sportello: una presenza istituzionale, ma nessuna attenzione ai due milioni e messo di persone e a decine di migliaia di piccole e medie imprese che sono insediate nei quartieri considerati parte delle periferie.

D

EI 1.206 SPORTELLI BANCARI ATTIVI A ROMA a fine 2006, ben

894, pari al 74%, sono concentrati nel centro della città, uno sportello bancario ogni 442 abitanti. Al contrario, sono 312 quelli che servono i 2,5 milioni di abitanti dei quartiedi Andrea Baranes ri considerati, ai sensi della Legge 266/97, come parte delle periferie della capitale, con una media di 7.763 abitanti per sportello. Quest’ultimo dato è oltre quattro volte superiore alla media nazionale, che vede 1.815 abitanti per sportello bancario. Le stesse indicazioni si ricavano riguardo ai servizi alle imprese: uno sportello ogni 44 imprese al centro, uno ogni 370 nelle periferie di Roma. Sono questi i dati più significativi emersi dalla ricerca “Periferie e credito a Roma” condotta da RespEt , il centro per l’impresa Etica e Responsabile del Comune di Roma. Molti istituti bancari sembrano considerare la presenza nella capitale più una necessità istituzionale che non un’opportunità per interagire e contribuire allo sviluppo economico, in particolare nei quartieri periferici. A conferma di questa considerazione, la ricerca segnala che la metà delle 93 banche costituite in forma di S.p.A. censite a Roma hanno un solo sportello nel territorio della città. Questa situazione si traduce in una notevole difficoltà di accesso al credito per gran parte dei cittadini e delle piccole e piccolissime imprese di Roma, difficoltà che si acuisce ulteriormente per le donne, i giovani, i migranti. Il credito è uno dei motori fondamentali dello sviluppo del territorio e, in particolare nelle periferie, una delle condizioni necessarie per rafforzare il tessuto sociale mediante la creazione di piccole e piccolissime imprese, e in primo luogo di quelle ad alto valore sociale. Anche per questo, una parte della ricerca di RespEt è stata dedicata al rilevamento della percezione che le banche presenti a Roma hanno della responsabilità sociale di impresa. Le risposte hanno evi| 42 | valori |

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denziato una buona conoscenza e utilizzo di strumenti quali il bilancio sociale o un codice etico interno. Molto meno sviluppata è apparsa l’idea di una responsabilità intesa anche come radicamento sul territorio, l’attenzione a soggetti quali le associazioni o le organizzazioni non governative o l’offerta di prodotti mirati a soddisfare particolari necessità, a partire dal diritto alla casa. Tra i prodotti finanziari specifici, sale l’attenzione al settore delle energie rinnovabili, in primo luogo grazie alla rapida crescita del mercato e ai suoi potenziali sviluppi futuri. È la stessa ricerca a concludere che, tra le banche, “l’approccio che potremmo definire di “marketing” sembra ancora prevalente. Ciò vale, ad esempio, per la presenza sul territorio. Spesso le periferie vengono scelte perché il centro è già “coperto”, e comunque non necessariamente in base a considerazioni di ordine sociale.” Allargando lo sguardo, il problema dell’accesso al credito è di grande rilevanza per la maggioranza degli abitanti del pianeta. I problemi evidenziati dalla ricerca sono gli stessi che, in diverse forme e in diversa misura, colpiscono altre periferie, in primo luogo nei Paesi del Sud. Una delle sfide maggiori per il sistema creditizio è quella di trovare la via di mezzo tra la necessità di garantire l’accesso al credito a tutti i cittadini, e in particolare a quelli più svantaggiati, e il non innescare e sostenere spirali di indebitamento catastrofiche. Anche per questo serve un approccio integrato alla responsabilità sociale di impresa, che non valuti unicamente le questioni sociali e ambientali ma anche il radicamento nel territorio e l’analisi delle sue necessità. Un approccio che, secondo le conclusioni della ricerca di RespEt, è ancora lontano dall’essere considerato dalla maggior parte delle banche italiane, ma che sarà necessario adottare al più presto per rispondere alle sfide e ai bisogni dei cittadini, in particolare nelle aree periferiche, delle nostre città come nelle periferie del pianeta.

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complessiva comminata dalla Consob per 511mila euro. La sanzione più consistente (23.800 euro) è andata a Mario Fertonani, presidente del consiglio d’amministrazione di UniCredit Banca d’Impresa all’epoca dei fatti. Tra i multati, per 20mila euro, anche l’attuale amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo, all’epoca dei fatti membro del comitato esecutivo di UniCredit Banca d’Impresa e l’ex direttore generale Pietro Modiano (oggi in Intesa San Paolo) per un ammontare di 19.200 euro. È stato sanzionato per 10.900 euro il Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, per la sua carica di consigliere di amministrazione tra il 2003 e il 2004. Per la stessa carica, ricoperta nel periodo 2003-2005, è stata multata per 12.300 euro Diana Bracco, presidente di Assolombarda. Piero Gnudi ha ricevuto una ammenda da 16.200 euro in quanto vice presidente del cda tra il 2003 e il 2005. Una multa da 8mila euro, infine, è stata comminata a Luca Majocchi, nel cda fino alla metà di luglio del 2003, e attualmente amministratore delegato di Seat Pagine Gialle. L’elenco delle sanzioni comprende Renzo Piccini (16.200), GiovanniDesiderio (16.200), AlessandroRiello (20.000), Giampaolo Giampaoli (20.000), FrancoAndreetta (20.000), Francesco Farinelli (12.400), Mauro Saviola (12.400), Giulio Sapelli (12.400), Giuseppe Pichetto (12.400), Girolamo Marchi (12.400), Luigi Lunelli (12.400), CallistoFedon (12.400), Paolo Cavazzuti (12.400), RobertoNicastro (11.700), MassimoCalearo (9.700), Mario Aramini (20.000), Paolo Prodotti inadeguati, costosi Bonamini (20.000), Giuseppe Benini (16.200), Michele Rutigliano e venduti a clienti non idonei: (16.200), Vincenzo Nicastro (16.200), Federica Bonato (15.300), le motivazioni delle maxi Domenico Insenga (15.800), Fabio Bolognini (11.900), Eugenio Calini sanzioni che hanno colpito (16.200), Ferdinando Brandi (11.900), Carlo Scarenzio (12.400), importanti membri del cda Giorgio Bonavida (15.700). Quanto alle sanzioni in UniCredit Banca Mobiliare (Ubm), queste hanno riguardato 17 manager e dirigenti per un totale di 268.500. Fra i sanzionati, oltre a Profumo e Modiano, anche il vice presidente di UniCredit, Fabrizio Palenzona, e l’ex-commissario Consob, Salvatore Bragantini, consigliere della società nel periodo. Nella lista i nomi di Attilio Leonardo Lentati, Franco Bruni, Eugenio Caponi, Danilo Danielis, Marco Onado, Michele Rutigliano, Alessandro Trotter, Michele Paolillo, Paola Pierri, Luca Fornoni, Davide Mereghetti, Ferdinando Samaria, Giuseppe Aquaro. «Io penso – ha commentato al Sole24Ore il professor Giulio Sapelli – che noi come organismo di controllo abbiamo fatto tutto il possibile a tutela del mercato. Detto questo, proprio per il rispetto del mercato, parto dal principio che l’autorità di controllo abbia sempre ragione: il che significa che questa sanzione sarà un incentivo a fare di più». L’oggetto della maxi-multa: i derivati costruiti ad arte e venduti alle imprese clienti. Le delibere che motivano le sanzioni non vanno per il sottile: Unicredit Banca Mobiliare è stata totalmente "bocciata" sulla costruzione vera e propria dei contratti derivati («ingegnerizzazione di nuovi prodotti», la frase usata nella delibera 16069) e, tra le altre cose, per il costo effettivo delle operazioni («pricing»), spesso rilevatosi troppo oneroso per le aziende che hanno sottoscritto i derivati proposti dall’istituto di credito. UniCredit Banca d’Impresa, invece, (cioè chi ha di fatto distribuito alle aziende i contratti derivati ideati da Ubm) è stata bacchettata per la scelta degli strumenti finanziari derivati risultati non idonei alle esigenze dell’imprenditore («selezione delle operazioni oggetto dell’attività di negoziazione con la clientela») e per l’individuazione della clientela alla quale proporre i contratti derivati.

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Con la liberalizzazione l’energia diventa rinnovabile >46 Pallante rilancia: molta autoproduzione all’orizzonte >46 Zamagni presenta le Giornate di Bertinoro >49

economiasolidale TARANTO IN PRIMA FILA SUL CONSUMO ETICO

APPELLO IN INTERNET PER FINANZIARE IL FILM VERITÀ SULL’11 SETTEMBRE

FARE LA SPESA GIUSTA SI PUÒ

CRESCONO I NUMERI DEL COMMERCIO EQUO

SALSA DI POMODORO GUSTOSA E SAPORITA PRODOTTA GRAZIE ALLA LUCE DELSOLE

ITALIAN AMALA E COBAT IN AIUTO DEI BAMBINI TIBETANI

Un ciclo di incontri sul Terzo Settore, la solidarietà e il commercio equo e solidale sono iniziati a settembre e proseguiranno per tutto il mese di ottobre nella Comunità Emmanuel, centro di prima accoglienza di Taranto. L’iniziativa “5 incontri per il futuro: gli operatori del Terzo Settore si incontrano per…” è organizzata dalla circoscrizione dei soci di Banca Etica. Tra gli argomenti trattati c’è il commercio equo e solidale, il condizionamento pubblicitario rispetto alle scelte, la realizzazione di nuovi marchi che non rispettano i principi di equità e giustizia nel lavoro, il ruolo invasivo e mistificante del marketing. «Se è vero che in paradiso bevono una certa marca di caffè, bisognerebbe chiedersi anche come e dove vivono coloro che producono quel caffè! Purtroppo tutta la produzione di beni provenienti da Paesi del Sud del mondo è caratterizzata dallo sfruttamento indiscriminato di risorse sia naturali che umane» scrivono gli organizzatori. Il commercio equo aiuta ad acquisire una diversa consapevolezza: il prezzo trasparente, che consente al consumatore di sapere quanto di ciò che paga va effettivamente al produttore; campagne di informazione e sensibilizzazione; il prefinanziamento, che consente l’affrancamento dallo sfruttamento finanziario; il rispetto dell’uomo e dell’ambiente.

Il film dal titolo “Zero-Inchiesta sull’11 settembre” (sito ufficiale www.zerofilm.it ) è stato ultimato. La pellicola vede la partecipazione di Dario Fo, Moni Ovadia, Lella Costa, Gore Vidal e decine di esponenti del movimento per la verità sull’11 settembre da tutto il mondo e contiene novità sul fronte dell’indagine. L’uscita nelle sale è prevista per i primi di Novembre. C’è però un ultimo problema da risolvere: dovranno essere acquistati i diritti d’autore delle ultime immagini inserite nella pellicola. È questo il motivo per cui gli autori del film hanno lanciato un appello a tutti coloro che credono in questo progetto per aiutarli con un contributo personale di almeno 100 euro, equivalente al costo di un secondo di immagini. Chi verserà la somma diventerà in quota parte proprietario del film acquisendo il corrispondente diritto di partecipare agli utili derivanti dalla commercializzazione della pellicola. In particolare ad un contributo di 100 euro corrisponde una partecipazione pari allo 0,02% in considerazione del fatto che il budget complessivo ammonta a 500 mila euro. La scorsa settimana è uscito in libreria il volume di Giulietto Chiesa “Zero - perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso” (Edizioni Piemme) che vede la partecipazione di molte firme prestigiose del giornalismo e della cultura mondiale. Film e libro hanno la stessa presentazione grafica e si integrano vicendevolmente. Sono i due primi segmenti di un’operazione multimediale e verranno seguiti dalla produzione di un dvd, che conterrà il film e le “note a pié di pagina”, cioè alcune ore di materiali che non è stato possibile utilizzare nel film ma che costituiscono un imponente corpo di dimostrazione dell’assunto principale. Per informazioni scirvere a: coproduzione@zerofilm.it

Dal 13 al 21 ottobre si terrà la quarta edizione della settimana nazionale per il commercio equo e solidale. L’iniziativa, ideata da Fairtrade Italia in collaborazione con Le Librerie Feltrinelli, Banca Etica e Lifegate coinvolgerà 3000 supermercati in tutta Italia, grande distribuzione ma anche negozi del dettaglio biologico. Si tratta della più grande mobilitazione nazionale per il commercio equo e solidale che coinvolgerà 3000 supermercati le Librerie Feltrinelli e le sedi di Banca Etica. Sono previsti momenti di promozione e di informazione presso gli stessi punti vendita (le insegne coinvolte saranno Auchan, Carrefour, Conad, Crai, Coop, Naturasì, B’io), incontri culturali (nelle Feltrinelli di Roma, Milano, Firenze e Bologna), incontri con l’autore, colazioni ed aperitivi all’insegna del commercio equo (“Equobank” presso le filiali di Banca Etica a Palermo, Firenze, Padova, Mantova), serate di sensibilizzazione che ospiteranno alcuni produttori presenti durante la settimana equa.

Nel 2006 sono cresciuti i numeri del commercio equo in Italia e in Europa. Il valore sul mercato finale di prodotti certificati Fairtrade (FT) nel Vecchio Continente è stato di circa 1,6 miliardi di euro al dettaglio. I paesi che stanno segnando le migliori performances sono Inghilterra, Francia e Germania a livello di valori assoluti con incrementi dal 30% al 40% anno su anno già da un biennio. Il consumo pro-capite più elevato è quello della Svizzera (stima 18 euro pro-capite anno, Italia 1,8 Euro). In Italia l’anno scorso c’è stata una crescita sul 2005del 45% in volume e del 15% in valore, con una grande incidenza della frutta fresca. Sul mercato italiano si stima un valore al dettaglio di circa 100 milioni di euro così distribuiti: 50 milioni sviluppati da 480 Botteghe del Mondo con circa 13.000 referenze ed una sostanziale staticità negli ultimi 2 anni; 50 milioni sviluppati nel mercato tradizionale con Food e non-food, con circa 120 referenze di cui circa 100 certificate FT. In Italia 69 aziende utilizzano il marchio FT; il valore al pubblico “retail” nel 2006 è stato di circa 35 milioni di Euro; sono 55 i gruppi di produttori del Sud del Mondo per il mercato Italiano; circa 600.000 sono le persone nel Sud del Mondo coinvolte nei progetti, e 8.000.000 i lavoratori della terra (cooperative e piantagioni).

La salsa pronto uso prodotta con l’ausilio dell’energia solare. Una dimostrazione concreta delle potenzialità delle fonti rinnovabili che ha visto protagonista un’azienda artigiana, “Ricette mediterranee”, specializzata nella produzione di salse pronto uso di Massa Carrara che ha scelto l’energia pulita installando 120 pannelli solari sul tetto dell’edificio. “Ricette mediterranee”, che produce per la grande catena di distribuzione arrivando anche sui banchi di Germania, Francia e Grecia, e molto presto (sono già in fase avanzata importanti trattative) anche in Olanda e Spagna, è la prima azienda artigianale che si affida, quasi esclusivamente, all’energia pulita. I KW garantiti sono 26 mila annui, pari ad oltre tre quarti del fabbisogno necessario (circa 30 mila) per produrre le buonissime salse (pesto genovese la più conosciuta, poi funghi, tartufo, noci e quattro formaggi) che sono tra le più apprezzate (e vendute) del mercato italiano ed europeo con una produzione complessiva mensile che si aggira tra i 70 e gli 80 quintali. Un gap di 4-5 mila kW accumulabile al fabbisogno medio di una famiglia e un risparmio in termini economici notevole. L’azienda, una pmi artigianale a conduzione familiare (due titolari, Pietro Chioni, che è anche presidente provinciale Cna Alimentare, e Carlo Zoppi, e due dipendenti), è in crescita costante registrando margini positivi annuali, dal 1992, anno della sua nascita, a oggi, tra il 5 e il 10%.

È giunto a destinazione il progetto 2007 del Cobat a sostegno dei bambini del Ladakh, nel nordovest dell’India. Il Cobat, insieme all’associazione Italian Amala nella Regione del Ladakh, ha organizzato questa spedizione, partita l’8 agosto scorso, per aiutare il villaggio di Choglamsar, uno dei 10 Tibetan Children’s Villane, villaggi che costituiscono organizzazione autonoma non governativa, ispirata dal Dalai Lama per la difesa dei bambini tibetani rifugiati in India. La spedizione ha percorso circa 800 km da Nuova Delhi, attraverso strade dissestate, spesso al di sopra dei 5000 metri di quota e prive di protezione laterale, così 550 colli, contenenti abiti, scarpe, stoffe, macchine da cucire, cancelleria, libri, giocattoli, attrezzi da lavoro e occhiali da sole, sono giunti a destinazione, su autocarri, dopo circa 10 giorni di viaggio. La spedizione è stata importante anche per effettuare il primo sopralluogo tecnico che consentirà l’installazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica. Un’operazione complessa che consentirà di migliorare la qualità della vita del villaggio Choglamsar, cuore del progetto Cobat 2007.

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Con la liberalizzazione l’energia diventa rinnovabile Si apre il mercato dell’elettricità e sarà possibile scegliere tariffe che garantiscono energia verde. Prezzi trasparenti e partecipazione con il progetto Co-energia del Distretto di economia solidale della Brianza. ed essere certi che l’energia elettrica che illumina la vostra casa viene totalmente da una fonte rinnovabile, anche se vivete in un appartamento e non potete permettervi un impianto fortovoltaico sul tetto. di Paola Fiorio Dal primo luglio il mercato dell’energia elettrica è stato liberalizzato e tra le molte offerte che si possono scegliere ce ne sono anche molte di verdi, come quelle di Sorgenia, La220, LifeGate Energy e alcune ex municipalizzate. E a garanzia che il cliente sta effettivamente comprando dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, ci sono i Certificati verdi, rilasciati da Gnrt (Gestore nazionale della rete di trasmissione), e anche i Recs (Renewable Energy Certicate System), un certificato internazionale

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MMAGINATE DI ACCENDERE LA LAMPADA DEL VOSTRO SALOTTO

che i fornitori di verde possono sottoscrivere in forma volontaria. La scelta del gestore dell’energia elettrica si potrà quindi basare non solo su un criterio economico, ma anche ambientale. «In termini di costi», spiega Renato Pellegatta di Re-Energy, «il risparmio, grazie alla liberalizzazione, per un’utenza domestica non sarà significativo. Ciò che potrebbe far optare per un gestore piuttosto che un altro è la fiducia in quel fornitore e l’origine dell’energia. Molti sono anche disposti a pagare qualcosa di più per avere la garanzia di un’energia verde». Il rischio, allora, è che dietro una società che fornisce elettricità da fonti rinnovabili non ci sia una reale filosofia ecologica, ma piuttosto un’operazione di trading? «Un soggetto puro che produce energia verde forse non c’è, o se c’è, è un soggetto sempre meno industriale e sem-

UNA RIVOLUZIONE ENERGETICA PER SALVARE IL PIANETA SVILUPPARE L’ENERGIA VERDE, potenziare le misure di efficienza energetica e abbandonare fonti pericolose e inquinanti come nucleare e carbone. Questa la ricetta di Greenpeace per tagliare le emissioni globali di CO2 di quasi il 50 per cento nei prossimi 43 anni. Per promuovere questa nuova campagna, denominata Energy Revolution, gli attivisti dell’organizzazione ecologista a fine 2006 hanno scalato i 250 metri della ciminiera della centrale dell’Enel di Porto Tolle e hanno dipinto sulle pareti la scritta “No Carbone”. Azioni eclatanti, ma anche dati alla mano, per dimostrare che è possibile contenere

il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi centigradi, soglia oltre la quale il processo rischia di divenire irreversibile. Secondo le stime del rapporto elaborato da Greenpeace assieme al Consiglio europeo per le energie rinnovabili, oggi l’uomo immette nell’atmosfera cira 23 miliari di tonnellate di CO2 all’anno. Una quota destinata a raddoppiare entro il 2050 con circa 45 miliardi di tonnellate all’anno. Intervenire sull’efficienza energetica e aumentare il ricorso alle fonti rinnovabili permetterebbe, invece, di dimezzare le emissioni attestandosi sugli 11,5 miliardi di tonnellate all’anno. Entro il 2050, infatti, circa il 75 per cento dell’elettricità potrebbe

pre più finanziario. Ci sono produttori che inquinano e che si danno all’energia rinnovabile non per questioni ideologiche, ma perché devono assolvere all’obbligo del 2,7% di verde (vedi intervista a Pallante). Oppure ci sono quelli che cavalcano l’onda dell’energia verde per la sua valenza economica». Per questo, il Wwf ha inviato delle lettere ai piccoli e grandi distributori di elettricità chiedendo che le tariffe verdi siano prodotte da impianti di energia rinnovabile sostenibili e che ci sia un reinvestimento a favore dell’ambiente. Per essere sicuri che alla scelta del cliente corrisponda un impegno etico, ecologico e solidale da parte del fornitore, il distretto di economia solidale della Brianza (Des.Bri) ha avviato il progetto Co-energia. «Si tratta di applicare i criteri dell’economia solidale dei Gruppi di acquisto, i Gas, anche al settore dell’ener-

realmente essere prodotta da fonti rinnovabili (soprattutto eolico e solare fotovoltaico), mentre biomasse, collettori solari e geotermico potrebbero fornire fino al 65 per cento del riscaldamento. Senza contare che grazie a una migliore efficienza energetica negli usi finali sarebbe possibile risparmiare circa il 48 per cento di energia primaria a livello globale. Insomma, ridurre l’effetto serra è possibile ma, avverte Greenpeace, bisogna agire rapidamente e avviare una vera e propria rivoluzione energetica per abbattere le emissioni di anidride carbonica del 30 per cento entro il 2020 e del 50 per cento P.F. entro il 2050.

gia, che necessita grandi numeri di acquisto», spiega Sergio Venezia, coordinatore del Des.Bri. Comprare collettivamente l’energia rinnovabile permetterà di stabilirne il prezzo, che sarà trasparente e basato sui costi reali d’impresa. Inoltre, La220, il fornitore che ha aderito al progetto, si è impegnato a versare una parte dei guadagni, circa il 2%, in un Fondo di solidarietà destinato al distretto, mentre chi sottoscrive il contratto contribuirà con un altro 2%. Ma l’obiettivo finale del progetto è la cogenerazione di energia elettrica da fonti rinnovabili con tante microproduzioni casalinghe (fotovoltaico, eolico o biomasse) che vengano raccolte e acquistate dallo stesso fornitore. «Si potrà così controllare anche la filiera commerciale dei prezzi, perché sapremo a quanto la vendiamo e a quanto la compriamo», conclude Venezia.

.

La produzione può essere anche molto compatibile Maurizio Pallante: “l’energia verde è un mercato redditizio che fa gola alla finanza. Ma l’elemento nuovo è invece l’apertura a una miriade di piccoli autoproduttori domestici che potranno riversare energia in rete».

“T di Paola Fiorio

UTTO CAMBIA PERCHÉ NON CAMBI NIENTE”. Maurizio Pallante,

consulente del Ministero per l’Ambiente ed esperto di risparmio energetico, cita Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa per spiegare l’interesse del mercato dell’energia nei confronti delle fonti rinnovabili. Al momento, pur con la liberalizzazione, tutti i fornitori dovranno usare lo stesso canale di distribuzione. In che modo allora sarà possibile una vera concorrenza di mercato? Il canale di distribuzione appartiene a un distributore, Terna, che è un soggetto terzo rispetto ai fornitori e quindi farà pagare una sorta di pedaggio a tutti. Perché la rete ha un costo di messa in opera, manutenzione e trasmissione ed è bene che questo costo sia ripartito tra tutti i fornitori in egual misura. I margini di costo si avranno invece sulla capacità di rendimento degli impianti. Maggiore è la redditività, minore è il costo dell’energia prodotta. La concorrenza diventerà allora anche un stimolo per l’innovazione tecnologica, per diminuire le emissioni di CO2. Finora, essendoci un unico produttore, questo sti-

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molo per rendere gli impianti più efficienti è mancato. Quale risparmio si può ipotizzare per il consumatore finale? Dipende dal mercato. La cosa interessante non è tanto quella di passare da un monopolio a un oligopolio, che comunque non consente grossi margini, e alla fine anche con più soggetti nel mercato le tariffe tendono a livellarsi. L’elemento nuovo di questa liberalizzazione è invece l’apertura del mercato a una miriade di piccoli autoproduttori domestici che potranno riversare nella rete l’eccesso di energia, prodotta con fotovoltaico e micro co-generazione, a prezzi più convenienti. Questo permetterebbe una reale concorrenza che l’oligopolio non consente, perché con l’autoproduzione il risparmio non è legato alla fonte, ma all’efficienza con cui la utilizzo. La quota di produzione di energia verde è stata fissata al 2,7% nel 2001. Per incentivare le energie rinnovabili perché non si pensa ad incrementarla?

Il decreto dei certificati verdi prevede un incremento nella produzione di energia senza CO2 del 2% l’anno. Che poi questo venga rispettato è tutto da vedere. Di fatto, poi, nel luglio 2004, il decreto è stato riemesso con le stesse quote facendo decadere gli obblighi fissati nel 2001. In sostanza, l’incremento che non era stato rispettato è passato in cavalleria. Sempre più gestori, anche quelli che inquinano di più, stanno preparando offerte di energia da fonti rinnovabili. Come si spiega questo interesse? Si spiega col fatto che in un futuro nemmeno troppo lontano le fonti fossili daranno problemi di approvvigionamento e che saranno quindi sempre più care. È chiaro allora che le società che operano nel settore dell’energia si stiano attrezzando affinché, come diceva Il Gattopardo, cambi tutto perché non cambi niente. Cioè? Indipendentemente dal tipo di fonte utilizzata per la pro-

duzione di energia elettrica, fossile, nucleare o verde, gli utili per l’azienda non si modificano. Quello che veramente cambierebbe la situazione è la diminuzione dei consumi che è un elemento strettamente legato all’autoproduzione. Perché se mi produco in casa l’energia avrò interesse a non sprecarla in modo da ridurre i kilowattora di fabbisogno e contenere l’investimento dell’impianto. Allora sostituirò lo scaldabagno elettrico, userò elettrodomestici di classe A e lampadine a risparmio energetico. Ci sono dei meccanismi incentivanti per chi distribuisce energia verde? Sì, ci sono i certificati verdi per la produzione di energia da fonti rinnovabili che danno diritto a dei contributi.

Maurizio Pallante, consulente del Ministero per l’Ambiente ed esperto di risparmio energetico.

Quello dell’energia verde allora è un mercato redditizio? Più che redditizio. E sono soldi della collettività, che vengano dalla bolletta o dalle tasse. La scelta di proporre energia rinnovabile è più |

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un affare che un criterio ambientale? Penso proprio di sì. L’ingenuità degli ambientalisti è stata credere che la soluzione all’inquinamento e all’effetto serra fosse tutta nell’energia da fonte rinnovabile. La strategia è invece in tre passaggi: riduzione dei consumi, progressiva sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili, autoproduzione con scambio delle eccedenze.

Perché sia veramente vantaggioso per l’ambiente non basta scegliere le fonti rinnovabili. Ci vuole una riduzione della domanda di energia.

Vuol dire che scegliere una tariffa verde non è abbastanza?

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La finanza è diventata ecologista? Se vanno avanti effetto serra e problemi di approvvigionamento delle fonti fossili è chiaro che occorrerà passare all’energia verde e la finanza sta già seguendo questo filone. Oggi è redditizio per i contributi, domani lo sarà perché costerà meno e darà meno problemi di reperibilità.

Un new deal contro i danni del surriscaldamento Dopo la conferenza, la Camera approva interventi contro il global warming. Per far decollare un’industria da 1000 miliardi. ER UNA VOLTA LE ISTITUZIONI ITALIANE mostrano di aver fatto gioco di squadra. Il ministero dell’Ambiente lancia la sfida. Il Parlamento risponde. La Conferenza nazionale sul clima di metà settembre a Roma si era di Emanuele Isonio aperta con uno slogan: “È il momento di agire”. Ovvero: basta con le parole, stop ai dibattiti inconcludenti. «I cambiamenti climatici costituiscono un problema nazionale. Le strategie per contrastarli vanno considerate prioritarie per l’iniziativa del governo», si legge nel documento finale. Che delinea poi cinque aree d’intervento: mitigazione dei cambiamenti; adattamento (per minimizzarne i danni); patto tra governo, enti locali e parti sociali; fondo europeo di sostegno ai Paesi in via di sviluppo più colpiti; conferenze periodiche per monitorare i progressi conseguiti. Lo stesso presidente del Consiglio, Romano Prodi aveva indicato nel suo intervento le mosse per contrastare il global warming e rispettare gli impegni presi con l’Ue (20% di riduzione dei gas serra entro il 2020): «Incentivare le forme di risparmio energetico e sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili che sono un volano (virtuoso) di crescita economica». Già oggi, il volume mondiale dell’industria ambientale ha raggiunto i mille miliardi di euro l’anno, ponendosi al quarto posto tra i settori industriali e superando il tessile e il farmaceutico. Il Parlamento, come detto, ha recepito l’invito: la Camera dei deputati ha infatti approvato la relazione predisposta dalla Commissione Ambiente e Lavori pubblici. Non è un atto giuridicamente vincolante ma politicamente il passo avanti (per ora) è innegabile. Undici le proposte formulate. Sul fronte del risparmio: incentivi per sostituire gli elettrodomestici “energivori”, per la bioedilizia, per i sistemi antidispersione termica. E ancora, una nuova legge sugli appalti pubblici per premiare le ditte con migliori standard di risparmio energetico, tariffe delle bollette che applichino il principio “chi più risparmia, meno paga”, incentivi all’agricoltura sostenibile e miglioramento dell’efficienza idrica. Sul fronte della riduzione delle emissioni: investimenti in favore delle rinnovabili (dalle quali saranno finalmente escluse le controver-

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se “fonti assimilate”), sostituzione delle centrali più inquinanti, ulteriori liberalizzazioni nel settore dell’energia, leva fiscale in favore del trasporto su rotaia e del car sharing. Proposto anche un piano per la ricerca scientifica. Su solare ed eolico, ma anche sulle energie del futuro: idrogeno, celle di combustibile e nucleare (“da fusione fredda”). Un fiume di interventi mirati. I dati presentati alla Conferenza di Roma da climatologi, meteorologi, economisti in effetti non consigliano ulteriori indugi: in Italia le temperature sono aumentate in cento anni di 1,7 gradi (quasi il doppio della media europea). Sono aumentate il numero e l’intensità delle ondate di calore. Le precipitazioni sono calate del 5% (con punte del 9% in primavera). Dal 1850, i ghiacciai alpini si sono dimezzati. E sugli Appennini sono scomparsi. Ma altri dati dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che il peggioramento delle condizioni ambientali significa un ingente danno anche economico. Qualche esempio: un solo grado in più di temperatura produrrà una contrazione del Pil dello 0,12-0,16% nel 2050 e dello 0,9 -1,14% nel 2100. Nella città di Roma il mancato adattamento alle variazioni climatiche provocherà un danno di 280 milioni di euro (e 772 morti in più per le ondate di calore). A Venezia, il solo settore turistico nel 2030 subirebbe un danno di circa 40 milioni. Mentre il fatturato del turismo in Trentino Alto Adige e Friuli diminuirebbe del 15%. Gli obiettivi dunque sono chiari. Le proposte sono state presentate. «Tutto ciò va ora sintetizzato e tradotto in misure concrete – spiega il ministro della Ricerca, Fabio Mussi – La Finanziaria e i ddl collegati saranno il primo banco di prova per testare l’effettiva volontà politica». Il rischio è di perdere ulteriore terreno, non solo sul piano ambientale ma anche a livello economico, rispetto ad altri Stati europei. «Germania e Gran Bretagna sono già partiti e hanno stabilito di rendere legalmente vincolanti gli obiettivi proposti» ha ricordato Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente di Montecitorio. Berlino ha deciso – unilateralmente – di ridurre del 40% le proprie emissioni di gas serra entro il 2020. Il governo inglese, invece, prevede una riduzione del 25-30% in dieci anni e del 60% nel 2060. «Hanno dimostrato di sapere – prosegue Realacci – che quando c’è una cena è meglio essere tra i commensali che tra le pietanze».

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Senza regole si rischia di perdere l’innovazione Stefano Zamagni illustra i temi principali della settima edizione delle Giornate di Bertinoro che cadono in un momento particolare con molte riforme che sono destinate a chiedere un nuovo sforzo di impegno e creatività. N PASSAGGIO FONDAMENTALE VERSO LO SVILUPPO DEL TERZO SETTORE. Ma con molte incognite legate soprattutto al ruolo del regolatore. Sarà questo il tema principale della settima edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile di AICCON, in un momento in cui si stanno tracciando i binari della futura economia civile in Italia. Il titolo scelto per l’appuntamento spiega perché il tema vada affrontato in modo deciso: quello che è in gioco è la capacità dell’intero sistema di saper produrre innovazione sociale. Sembra arrivato il momento di compiere un salto importante, ma, dal riconoscimento sulla carta alla sua concreta messa in atto, la sussidiarietà continua ad incontrare molti ostacoli. Ne parliamo con Stefano Zamagni, presidente della commissione scientifica di AICCON, ideatore delle Giornate e Presidente dell’Agenzia per le OnLUS.

U di Alessia Vinci Sopra, la passata edizione delle Giornate di Bertinoro.

imprese sociali necessitano “Le di un organismo di controllo operativo invece che di un controllo preventivo ”

Professore, le Giornate apriranno un autunno importante per il terzo settore affrontando il tema della regolamentazione. Quali sono le questioni da affrontare? Il terzo settore italiano sta vivendo una fase di accellerata transizione dal vecchio assetto giuridico a uno nuovo. In particolare mi riferisco alla proposta di rifor|

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| economiasolidale | ma del libro 1 titolo 2 del codice civile, ormai licenziata dalla commissione Pinza, ma anche all’attesa delibera dei regolamenti attuativi della legge sull’impresa sociale che dovrebbe avvenire entro ottobre.

AMPLIFICARE LE RETI SOCIALI DA SEMPRE SOSTENGO che la costituzione di Banca Etica, nel 1999, non ha rappresentato un punto d’arrivo. Piuttosto il punto di partenza per lo sviluppo di un processo di ricerca, sia culturale che operativo, per fare banca in modo innovativo, utilizzando il denaro in modo responsabile, mettendo l’attività bancaria al servizio di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Ma, la vivace sopravvivenza di Banca Etica, in un mercato finanziario che tende ancora senza scrupoli alla massimizzazione del profitto, rappresenta anche una rottura laddove dimostra che si può cambiare rotta, che puntare alla responsabilità sociale permette anche di stare sul mercato. Noi cerchiamo strade non ancora tracciate e procediamo spediti da quando si è cominciato a lavorare al sogno di una Banca Etica, nel 1994. Ma non basta. Per innescare un cambiamento profondo e durevole nella società dobbiamo percorrere le strade nuove che stiamo progettando accanto ad altri soggetti. Dobbiamo costruire reti sociali sempre più forti e collaborative per moltiplicare gli effetti dei processi innovativi dei singoli nodi. Il coinvolgimento degli stakeholder nell’attività di ciascuna impresa, organizzazione o associazione è fondamentale per creare un tessuto sociale impregnato di nuove regole sociali, consapevoli che la trasparenza, la giustizia e l’equità dei rapporti devono stare alla base dello sviluppo della nostra società. E per continuare ad operare quel contagio che notiamo con soddisfazione nell’economia e finanza tradizionali, costrette ad “imitare” seppur parzialmente noi pionieri, introducendo elementi di responsabilità sociale in alcuni dei loro prodotti e servizi. Fabio Salviato

questione da affrontare “La riguarda l’alternativa tra una legge quadro

e un testo unico. La seconda ipotesi è preferibile

” Il nodo non risiede nella

“forma giuridica: un’impresa di questo settore può essere diversa a prescindere dalla forma

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C’è la questione dei registri: in Italia sono 300 tra loro non coordinati. Come è possibile trovare il modo di metterli a sistema? Sembra che ci sia qualcosa che frena un percorso di evoluzione ormai atteso da tutti. Il problema di fondo è che la macchina burocratica è datata: per questo dobbiamo trovare una corsia specializzata per il terzo settore, in un momento in cui questo gode di un consenso unanime. Nessuno può più affermare che il terzo settore non sia importante, tutti sono disposti a riconoscere il suo ruolo e ad investire su di esso, ma quando si va a tradurre in pratica la volontà democratica del Paese si incontrano difficoltà e incongruenze. Un altro esempio è la legge 328 del 2000, che riformava il welfare: era una legge veramente innovativa, che ci invidiavano anche all’estero. Eppure, sono passati sette anni e non è stata applicata. Come mai? In passato c’erano delle resistenze politiche e culturali, oggi c’è un’ampia apertura di credito verso il terzo settore ma incontriamo ancora delle resistenze: tutti sottoscrivono il principio di sussidiaStefano Zamagni, rietà, ma di fatto non si riesce presidente ad applicarlo. della commissione scientifica di AICCON. Un altro punto ancora è il disegno di legge che deve riformare le ONG e definire il loro ruolo in relazione alla costituzione dell’Agenzia della cooperazione. Oggi non ci manca la forza numerica, nè le volontà, né le capacità, ma la possibilità di attuare a livello regolamentativo le norme che potrebbero consentire al terzo settore di avere delle ali finalmente agili. Per questo bisogna capire la natura della situazione e offrire delle piste di soluzione. Altrimenti ne risentirà l’innovazione sociale.

CONTRIBUTO OCCUPAZIONALE DEL NON PROFIT PER SETTORI DI ATTIVITÀ FORME GIURIDICHE DIPENDENTI TOTALE

ISTITUZIONI CON LAVORATORI CON CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA

VOLONTARI

RELIGIOSI

OBIETTORI

14.365

Maschi e femmine Associazione riconosciuta

116.553

7.312

3.523

22.745

1.107.498

27.018

50.674

5.414

1.138

4.333

63.226

1.372

834

102.423

10.121

9.938

39.378

1.931.590

36.432

6.779

767

148

46

1.000

38.743

287

194

Cooperativa sociale

121.894

26.345

871

7.558

19.119

560

2.995

Altra forma

139.615

14.175

2.030

4.926

61.009

30.379

2.621

Totale

531.926

63.515

17.546

79.940

3.221.185

96.048

27.788

Associazione riconosciuta

52.204

1.515

2.030

12.406

709.272

20.718

14.365

Fondazione

17.588

812

488

2.096

28.047

458

834

Associazione non riconosciuta

42.379

1.909

6.868

21.094

1.298.084

18.226

6.779

206

16

26

451

26.081

219

194

Cooperativa sociale

39.732

6.179

237

2.900

10.090

320

2.995

Altra forma

47.108

2.113

1.021

2.562

38.249

11.226

2.621

199.217

12.544

10.670

41.509

2.109.823

51.167

27.788

64.349

5.797

1.493

10.339

398.226

6.300

0

Fondazione Associazione non riconosciuta Comitato

Maschi

Comitato

Totale Femmine Associazione riconosciuta Fondazione

33.086

4.602

650

2.237

35.179

914

0

Associazione non riconosciuta

60.044

8.212

3.070

18.284

633.506

18.206

0

Comitato

561

132

20

549

12.662

68

0

82.162

20.166

634

4.658

9.029

240

0

92.507

12.062

1.009

2.364

22.760

19.153

0

332.709

50.971

6.876

38.431

1.111.362

44.881

0

Cooperativa sociale Altra forma Totale

LIBRI

CONTRIBUTO OCCUPAZIONALE DEL NON PROFIT PER SETTORI DI ATTIVITÀ ATECO 91

OCCUPATI UFFICIALI 2001

OCCUPATI NON PROFIT 1999

PERCENTUALE NON PROFIT SU OCCUPATI TOTALI

Cultura, sport e ricreazione

92

164.926

45.155

27,38

Istruzione e ricerca

80

1.433.909

105.470

7,36

Sanità

851

906.253

121.389

13,39

Assistenza sociale

853

322.177

151.547

47,4

90

92.878

2.264

2,44

Ambiente

Quali possono essere le soluzioni per consentire un concreto processo di innovazione? Sul fronte specifico dell’innovazione la questione da affrontare riguarda l’alternativa tra una legge quadro e un testo unico sul terzo settore: se c’è chi auspica una legge quadro che comprenda tutto, c’è chi ritiene che i tempi non siano maturi e che serva un testo unico che razionalizzi le norme esistenti. Io ritengo che la seconda strada sia in questo momento quella preferibile, dato che la prima porta con sé il rischio di appiat-

DI CUI A TEMPO PARZIALE

LAVORATORI DISTACCATI O COMANDATI DA IMPRESE E/O ISTITUZIONE

Sviluppo economico e coesione sociale Tutela dei diritti e attività politica

n.a. 9.133+9.132

26.832 43.192*

10.175

Filantropia e promozione del volontariato

9.133

476

Cooperazione e solidarietà internazionale

9.133

908

Religione

9.131

11.553

Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi

911+912

Roberto Cartocci Fausto Marconi Libro Bianco sul Terzo Settore Il Mulino 2006

57.010

23,56

45.430

79,69

* il dato si riferisce alla somma del settore e dei tre sottostanti

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Stefano Semplici Il mercato giusto e l’etica della società civile V&P 2005

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Malpensa

A CHE PUNTO SIAMO ASSOCIAZIONI Fondazioni Riforma Libro I Titolo 2 del Codice Civile. Licenziata dalla Commissione Pinza è in attesa della discussione parlamentare

Alla Camera sono state presentate le proposte di Lucà – Presidente Commissione Affari Sociali e di Isabella Bertolini IL PROGRAMMA “Regolamentazione del Terzo Settore e innovazione sociale” è il titolo della VII edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile di AICCON che avrà luogo a Bertinoro i prossimi 12 e 13 ottobre. Il dibattito, articolato in tre sessioni, partirà dall’analisi dei percorsi di regolamentazione delle forme giuridiche del terzo settore per poi affrontare il tema dell’innovazione sociale. Tra le prime presenze confermate Zamagni, Cafaggi, Lamandini, Fiorentini per la sessione di apertura e Becchetti, Stefanini, Salviato per la seconda sessione. La sessione conclusiva sarà dedicata alla Riforma

IMPRESA SOCIALE La legge, a un anno e mezzo dalla sua approvazione, è in attesa dei decreti attuativi ONG Il ruolo delle ONG andrà definito in relazione alla costituzione dell’Agenzia della Cooperazione VOLONTARIATO Sono stati presentati diversi disegni di legge di riforma della legge sul volontarito: al Senato quello firmato Magistrelli – Treu, oltre alla proposta di Laura Bianconi.

ISTITUZIONI E DIPENDENTI ISTITUZIONI

DIPENDENTI

DATI ASSOLUTI

%

DATI ASSOLUTI

%

DIPENDENTI PER ISTITUZIONE

Ripartizioni geografiche Nord

16.799

50,0

274.22

51,6

16

Centro

8.793

26,2

156.976

29,5

18

Mezzogiorno Italia

8.009

23,8

100.73

18,9

13

33.601

100,0

531.926

100,0

16

Forme giuridiche Associazione riconosciuta

8.339

24,8

116.553

21,9

14

Fondazione

1.334

4,0

50.674

9,5

38

15.696

46,7

102.423

19,3

7

247

0,7

767

0,1

3

Associazione non riconosciuta Comitato Cooperativa sociale

398

11,8

121.894

22,9

31

4.005

11,9

139.615

26,2

35

33.601

100,0

531.926

100,0

16

Cultura, sport e ricreazione

8.328

24,8

45.155

8,5

5

Istruzione e ricerca

5.586

16,6

105.47

19,8

19

Sanità

1.651

4,9

121.389

22,8

74

Assistenza sociale

5.624

16,7

151.547

28,5

27

264

0,8

2.264

0,4

9

Sviluppo economico e coesione sociale

1.576

4,7

26.832

5,0

17

Tutela dei diriti e attività politica

1.288

3,8

10.175

1,9

8

Altra forma Totale Settori di attività prevalente

Ambiente

Filantropia e promozione del volontariato

140

0,4

476

0,1

3

Cooperazione e solidarietà internazionale

202

0,6

908

0,2

4

Religione

1.171

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Relazioni sind. e rappresent. di interessi

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Altre attività Totale

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del Libro I Titolo II del Codice Civile sulle Fondazioni e le Associazioni con la partecipazione di rappresentanti della Commissione Pinza, del Governo, del Forum Permanente del Terzo Settore e della cooperazione, tra cui Zamagni, Guidotti, Pezzotta e Poletti. Si ripete inoltre l’appuntamento annuale con le anteprime dei dati ISTAT sull’universo dell’Economia Civile, quest’anno dedicati alla cooperazione sociale. INFO Per informazioni, aggiornamenti sul programma e iscrizioni www.aiccon.it www.legiornatedibertinoro.it Segreteria AICCON tel 0543 62327

tire la diversità che è la cifra distintiva del terzo settore nel nostro Paese. Fare oggi una legge quadro significherebbe uniformare il terzo settore e questo sarebbe un male, dato che la diversità è la forza che dinamicizza il sistema. Una legge quadro in grado di eliminare le incongruenze, rivedendo e adeguando l’assetto dei diversi soggetti del terzo settore, potrebbe invece consentire una nuova fase di innovatività sociale. Parlando di impresa sociale viene immediato affrontare il nodo della sua forma giuridica? Non importa la forma, mentre sino ad oggi l’operatività di un soggetto dipendeva dalla forma giuridica, come a dire che se era una società per azioni non poteva appartenere a questo contesto. La novità che si sta delineando è di rompere questa tradizione: un’impresa sociale può benissimo essere una Spa: la forma giuridica deve essere al servizio degli obiettivi che mi prefiggo, come è stato fatto La Torre di Bertinoro, con la riforma societaria delle dove si tiene cooperative. la conferenza AICCON. Ovviamente questo pone dei rischi ed è per questo che io chiederò con forza che l’Agenzia per le OnLUS assuma il ruolo di una vera e propria Authority, un organismo che controlli non tanto il rispetto formale ma l’attività sostanziale, quello che PER SAPERNE DI PIÙ operativamente viene effettuato da un impresa www.agenziaperleonlus.it che vuole essere riconowww.forumterzosettore.it sciuta come sociale.

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Gli aeroporti occasione perduta di Walter Ganapini

MILANO, di quelli che vi hanno trascorso anni tra i professionalmente migliori della vita, convinti di averli spesi nell’unica città italiana dove si lavorava come in Europa. Si trattava della Milano degli anni ‘80 e ‘90, con tutte le sue contraddizioni, i suoi problemi, i suoi sussulti. Non voglio certo qui analizzare tali caratteri, ma solo contestualizzare un mio ragionamento sull’attuale ‘querelle’ sullo scalo aeroportuale della Malpensa. Uno dei fattori competitivi che rendevano Milano “porta italiana sull’Europa” era Linate: grazie a tale infrastruttura, si era in grado di poter raggiungere Londra, Parigi, Bruxelles, Francoforte, Bruxelles piuttosto che a Copenhagen essendovi operativi dalle 9 di mattina e potendo rientrare in giornata alla base con comodi aerei che partivano tra le 19 e le 22. Ho citato le città che maggiormente frequentavo per i rapporti che allora intrattenevo, particolarmente in ambito comunitario. Lo stesso valeva per le missioni a Roma: con il primo volo del mattino, alle 6.30, spesso arrivavo ad essere quello che “apriva il Ministero dell’Ambiente”, perché, anche in assenza del treno Fiumicino-Termini, l’atterrare alle 7.30 consentiva di anticipare l’ondata degli ingressi intasati alla Magliana ed all’EUR, tipici dalle 8 alle 9. E si poteva Un aggregato di interessi lavorare a Roma fino a tardi, grazie all’ultimo volo ha fatto spendere migliaia di ritorno, tra le 23 e le 23.30. In altri termini, un milanese, di miliardi di lire per un hub anche se abitante a S.Siro, alzandosi attorno alle 5, che ora contribuisce aveva opportunità lavorative e di efficienza nella gestione ad affossare i conti di Alitalia del tempo e dei costi di missione che nessun altro connazionale poteva permettersi. In occasione di Italia ‘90, quando vi sarebbe stata adeguata disponibilità di risorse al riguardo, la potente lobby dei taxisti impedì la realizzazione di una ferrotranvia che unisse Piazza 5 Giornate a Linate, così completando uno schema che sarebbe risultato perfetto. Alla Malpensa si andava per gli intercontinentali, ed era già un viaggio arrivarvi, ma diverso era anche l’approccio alla trasvolata: solo parigini e londinesi, grazie al Concorde, potevano presumere di andare e rientrare in giornata da New York. Cominciarono allora ad intrecciarsi gli interessi finanziari, industriali e lobbistici che intravedevano nella realizzazione di un hub, in mezzo ad un Parco, in un’area densamente vocata alla nebbia, povera di infrastrutture di collegamento, una grande opportunità di business. Alla fine quell’aggregato cementizio e di opere e servizi ha prevalso, generando spese per migliaia di miliardi di vecchie lire e ponendo le basi per una delle concause non secondarie del disastro Alitalia. E mentre Malpensa si impantanava, tristemente Linate si spegneva, con il carico di opportunità positive di cui era ricco. E tutto ciò, paradossalmente, mentre tutto il mondo rivalutava enormemente il ruolo di fattore di successo nella competizione tra sistemi urbani che veniva svolto dai “City Airports”, di cui Linate era l’antesignano.

A

PPARTENGO ALLA SCHIERA DEGLI AMANTI DI

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Frontex. L’immigrazione secondo Bruxelles >56 La Corea del Nord nasconde il riarmo nucleare >62

internazionale NUOVA BOMBA CONVENZIONALE PIÙ DISTRUTTIVA DELL’ATOMICA

LA GIUNTA MILITARE IN BIRMANIA SPARA SUI MONACI IN MANIFESTAZIONE

I KAZAKI VOGLIONO “TENERSI” ILGAS

INASPRIMENTO DELLE PENE PER I CINESI CON PIÙ FIGLI

ARRESTATO ILPRESUNTO MANDANTE DELL’OMICIDIO DELLA GIORNALISTA POLITKOVSKAJA

MUORE VESCOVO ARRESTATO IN CINA

La notizia arriva da Mosca: è stata sperimentata una nuova super bomba convenzionale, potente quanto un’atomica. Il nuovo ordigno sperimentato è una “vacuum bomb”, una bomba termobarica che non viola accordi internazionali sul controllo degli armamenti. Secondo gli scienziati russi la bomba è potente, efficiente e distruttiva quanto una atomica ma non crea inquinamento. Viene sganciata con un paracadute, disperde una nube di materiale esplosivo sull’obiettivo da colpire e poi la fa esplodere generando così un’onda di pressione molto più devastante delle bombe convenzionali, appunto come un’atomica. Per fare un raffronto con gli ordigni esistenti, la nuova bomba è superiore per distruzione all Gbu-43/b di recente fabbricazione americana. La spesa militare del Cremino aumenta e il Paese si riarma. I giornali russi parlano infatti anche di un nuovo sottomarino in costruzione, che dovrebbe completare l’armamento nucleare, già dotato di missili e aviazione strategica.

La polizia nella Birmania ha caricato e sparato su una manifestazione a Rangoon. In marcia per le strade della capitale, 500 monaci buddisti e alcuni giovani sostenitori stavano protestando contro la giunta militare che governa il Paese. I proiettili della polizia hanno lasciato sulla strada quindici morti, tra cui un fotoreporter giapponese. Una situazione incandescente che richiesto la convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Le forze dell’ordine hanno isolato la celebre pagoda di Shwedagon, punto focale delle manifestazioni contro la giunta militare al potere da 45 anni in Birmania, picchiando i monaci buddisti e usando i gas lacrimogeni per disperdere la folla che si era radunata. Il gruppo di monaci in testa a questo corteo ha più volte esortato i manifestanti che li accompagnavano, perlopiù ragazzi, a non esporsi alle violenze, esortando alla non-violenza nei rapporti con i militari: «Noi li ricolmeremo di amabile gentilezza». La giunta militare ha imposto il coprifuoco che vige dalla 21 alle 5 di mattina e che rimarrà in vigore per 60 giorni nelle città più importanti della Birmania. Il provvedimento trasferisce all’esercito il controllo diretto della sicurezza in tutto il Paese e proibisce gli assembramenti e le riunioni di più di cinque persone.

Il Kazakhstan sceglie la via del Venezuela. È stato infatti presentato in parlamento un emendamento per la nazionalizzione dei giacimenti di gas. Una decisione che mette in crisi il negoziato con l’Eni che punta ad estrarre le immense riserve di petrolio e gas che giacciono nel nord del Mar Caspio. I giacimenti sono localizzati a 5000 metri sotto il livello del mare, le temperature raggiungono i meno 40 gradi in inverno e i più 40 in estate. La soluzione della situazione dovrebbe arrivare entro il 22 ottobre, data indicata dal contratto. Il maxiemendamento è stato presentato dal partito unico Nur e dopo la camera Bassa del parlamento kazako, con approvazione in seduta plenaria, dovrà passare al senato. La stagione invernale alle porte non è rassicurante, perché in Italia all’appello del metano di scorta mancano 900 milioni di metri cubi. In particolare, per il deposito di Settala va chiesta la valutazione di impatto ambientale, lo stesso discorso vale per lo stoccaggio di Fiume Treste. Solo nella primavera del 2009 entrerà in attività il metanodotto aggiuntivo per collegare Algeria e Italia.

Il governo cinese ha annunciato un inasprimento della legislazione sul figlio unico. Multe salatissime a chi sgarra la regola. Fino ad oggi si rischiava una piccola ammenda e al massimo il licenziamento dal posto di lavoro. Quindi bastava pagare una somma e il problema del secondo figlio era risolto, soprattutto per le famiglie più benestanti. Con le nuove regole la multa sarà commisurata al reddito e sarà accompagnata da altre misure come la riduzione dell’accesso al credito. In pratica le autorità di controllo sulla natalità potranno intervenire sulle banche affinché non concedano o limitino l’accesso al credito ai trasgressori. Inoltre c’è anche una moral suasion per chi ricopre ruoli pubblici (partito comunista, amministratori pubblici, quadri statali) perché dovrebbero dare il buon esempio. La politica del figlio unico fu introdotta in Cina nel 1979, una misura per contenere l’esplosione demografica: oggi ci sono circa 400 milioni di cinesi in meno. In Cina però si assiste a uno squilibrio demografico tra i sessi: 118 uomini su 100 donne, perché le femmine vengono soppresse. In una prospettiva futura non è una situazione ottimale.

La magistratura russa insiste sulla pista cecena nel ricercare autori e mandanti dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja, scomoda testimone con i suoi reportage delle azioni delle truppe federali russe in Cecenia. La Politkovskaja con i suoi articoli aveva accusato, denunciato e scoperchiato una serie di fatti, di persone e anche istituzioni russe. Erano dunque molti ad avere interesse a eliminarla per i motivi più disparati: vendetta, timore di imminenti e nuove pericolose rivelazioni, come nel caso del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, bersaglio di articoli ferocissimi della giornalista. Oppure per dare un esempio intimidatorio a tutti gli altri giornalisti che facevano inchieste in Russia. L’ultimo presunto mandante del delitto, indicato dai magistrati russi, è Shamil Buraev ex capo dell’amministrazione della regione cecena di Achkoj-Martan, che nel 2003 partecipò alle elezioni presidenziali nella repubblica secessionista del Caucaso. A tirare fuori il nome di Buraev sarebbe stato un ufficiale dei servizi di informazione, l’ex Kgb sovietico, che a sua volta avrebbe aiutato un clan ceceno a raccogliere informazioni sulla giornalista. Già ad agosto erano state arrestate undici persone tutte sospettate di aver partecipato a vario titolo all’assassinio della Politkoskaja, ma solo quattro di questi sono stati incriminati formalmente. Secondo gli inquirenti, il gruppo potrebbe essere coinvolto in altre vicende criminali come l’assassinio di Paul Khlebnikov, ex direttore dell’edizione russa della rivista Forbes, avvenuto nel 2004 a Mosca .

Era stato sequestrato due anni fa e di monsignor Giovanni Han Dingxian, 68 anni arcivescovo di Yongnian nella provincia cinese di Hebei, non si era più saputo nulla. La polizia ha comunicato che il religioso è morto per un cancro ai polmoni. Il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri seppellite in un cimitero pubblico. Una cerimonia celebrata in tutta fretta senza dare la possibilità ai suoi fedeli di dare l’ultimo saluto al vescovo. La comunità religiosa di Han Dingxian con oltre un milione e mezzo di fedeli, è tra le più numerose della Cina. Giovanni Han Dingxian era stato arrestato una prima volta nel 1960 con l’accusa di attività antirivoluzionaria e per quel reato condannato ai lavori forzati. Liberato nel 1979 è diventato prete nel 1986 e nel 1989 ordinato vescovo di Yongnian. Nel 1999 era stato nuovamente arrestato mentre conduceva un ritiro spirituale con giovani e altri religiosi. Fu imprigionato per quattro anni e rapito nuovamente nel 2005.

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A oltre un anno dall’applicazione del progetto Frontex, viaggio tra Senegal e Mali per scoprire gli effetti della politica di chiusura delle frontiere europee. I drammi non diminuiscono e il modello “militare” proposto dall’Unione Europea non ha funzionato sulle coste del Meditteraneo. Uno sbarco di immigrati a Tarifa.

S di Cristina Artoni

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ONO LE PERCENTUALI A CONTARE nei corridoi della sede del-

l’Unione Europea di Bruxelles. Il commissario alla giustizia e sicurezza Franco Frattini, infatti, le mostra con soddisfazione ogni volta venga interpellato sul “dossier immigrazione”. Tra i massimi ideatori delle missioni per controllare con l’agenzia Frontex le Canarie (operazione Hera) e le coste dell’Europa del Sud (Piano Nautilus I e II), Frattini utilizza le percentuali per sostenere l’efficacia degli interventi militari nel bloccare i flussi migratori. I risultati brillanti sarebbero un meno 40% di sbarchi dai primi controlli nel 2006, fino a meno 50% nel corso del 2007. A spingere per un impegno militare da parte di Bruxelles era stato lo scorso anno il governo spagnolo di Zapatero che nel chiudere una falla si era ritrovato a fare i conti con un fenomeno drammatico. Dopo la chiusura della rotta di Ceuta e Melilla, enclave spagnola in territorio marocchino, per anni una delle mete più battute per approdare all’Eldorado europeo, la

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corsa infatti si era spostata verso le Canarie. Per tutto il 2006 l’emergenza è stata su quel tratto di mare che divide il continente africano dall’arcipelago spagnolo. Le cifre degli sbarchi hanno toccato quota 10 mila, senza però contare chi ha perso la vita nel silenzio delle acque dell’Atlantico: «Il 40% delle barche che partono per le Canarie naufragano – spiega Ahmedou Ould Haye, coordinatore della Croce Rossa Mauritana – dal 2005 ai primi mesi del 2006 abbiamo calcolato tra i 1200 e i 1300 i morti. Ma ora che le strade percorse sono sempre più numerose, non siamo in grado di calcolare i “senzanome”». Il fenomeno dell’immigrazione verso l’arcipelago era cominciato tredici anni fa ma l’emergenza sbarchi era scattata nel 2005, dalla Mauritania. In seguito dopo i primi interventi di pattugliamento e controllo dei porti, la rotta si è spostata progressivamente sempre più a sud. Prima di tutto in Senegal. Nell’ultimo anno invece le imbarcazioni affrontano il mare anche dal Gambia e dalla Guinea Bissau.

Ora dopo il piano di intervento di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere, i controlli si sono fatti serrati. Lungo la costa di Lanzarote e dell’isola di Fuerteventura sono stati predisposti dei sistemi di sorveglianza (SIVE) in grado di intercettare a miglia di distanza le imbarcazioni in rotta verso l’arcipelago. A Gran Canaria è stato invece installato su un camion un solo radar che ha una capacità limitata di intervento. Dallo scorso anno il governo delle isole collabora in modo continuativo con le forze di sicurezza mauritane e senegalesi per il pattugliamento delle acque. Al largo di Dakar e lungo tutto il tratto di mare, le perlustrazioni sono affidate a un elicottero e due pattuglie navali. Anche a Nouadhibou, nel nord della Mauritania, i controlli sono affidati a una motovedetta e ad un elicottero. Un’imbarcazione, con un ruolo soprattutto di salvataggio, è invece responsabile per gli interventi intorno alle isole di Capo Verde. A questi dispositivi si è aggiunto anche l’appoggio

dell’Italia. Da giugno una motovedetta italiana, appartenente alla missione Hera 2007 e coordinata dall’agenzia europea delle frontiere, si trova nelle acque antistanti Dakar, per esercitare i controlli e contrastare le partenze. Poco prima il rappresentante del governo delle Canarie, José Segura aveva annunciato che il Ministero dell’Interno aveva anche confermato la presenza di altre due grandi imbarcazioni della Guardia Civil per operazioni di sorveglianza. L’altra operazione di Frontex, Nautilus II, è fallita a un mese dal suo inizio, annunciata tra l’altro con grande enfasi. Non ha infatti funzionato la collaborazione militare tra i paesi che avrebbero dovuto essere interessati all’azione di respingimento nelle acque del Mediterraneo centrale tra Sicilia, Malta e Libia. Alla missione prevista fino a ottobre, avrebbero dovuto partecipare oltre all’Italia anche Grecia, Germania, Francia, Spagna e Malta. Ma i mezzi si sono rivelati limitati rispetto alle |

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PAOLO TRE / A3 / CONTRASTO

Frontex L’immigrazione secondo Bruxelles

PAOLO PELLEGRIN / MAGNUM PHOTOS

Spagna, 2001

Il commissario europeo alla giustizia e sicurezza, Franco Frattini.

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RETOUR-TRAVAIL-DIGNITÉ, LA SPERANZA PER GLI ESPULSI DALL’UNIONE EUROPEA

La raccolta del cotone a Sikasso. Sotto, la tintura manuale delle stoffe.

RICCARDO VENTURI / CONTRASTO

Mali, 2006

«IL MALI È UNO DEI PIÙ GRANDI produttori di cotone in Africa, lo si può considerare davvero come l’oro bianco. Noi abbiamo pensato di rivalutare questa filiera talmente minacciata, anche e soprattutto per ridare importanza ai prodotti locali». Awa Meite mentre racconta quanto preziosa è la sua terra, mostra i modelli che ha disegnato e che sono diventati realtà attraverso il lavoro di decine di lavoratori dell’associazione Retour-Travail-Dignité. La giovane figlia stilista di Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali ed esponente dei Forum Sociali Mondiali, porta avanti con il suo progetto l’impegno di dare occupazione agli espulsi delle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla. «Per ora abbiamo fissato un salario mensile – spiega Awa – anche se non abbiamo ancora venduto le collezioni che abbiamo preparato. Rischio in prima persana, ma credo sia importante che questi giovani possano ritrovare fiducia qui dopo le esperienze che hanno vissuto». Nata a Bamako nel 2005 proprio grazie ad Aminata Traoré, dopo le violenze scatenate dalle forze di sicurezza spagnole e marocchine contro i migranti che tentavano il salto verso l’Europa, l’associazione contava circa 200 persone. Dopo il primo anno alcuni degli espulsi da Ceuta e Melilla sono rientrati nelle regioni di origine. Difficile portare avanti il progetto a Bamako con i pochi finanziamenti a disposizione. Ma nel corso dell’anno l’associazione ha supportato psicologicamente il gruppo di rifugiati per superare lo choc dell’odissea vissuta e sostenuto la formazione attraverso diversi atelier professionali. Ora un gruppo più ristretto, di una trentina di persone partecipa alla produzione delle collezioni disegnate da Awa: «L’industria del Mali è minacciata perchè si trasforma solo il 3 per cento del cotone prodotto. Infatti la maggior parte delle persone che sognano di partire verso l’Europa vengono dalle zone rurali, e risentono della crisi dell’agricoltura. Ovviamente se fosse sviluppato meglio il settore, molta meno gente avrebbe voglia di partire: sono le famiglie cadute nella povertà che vogliono partire. Quando si è felici a casa propria non si abbandona tutto. Le responsabilità verso le proprie famiglie spinge i giovani a partire». Info: djenneart@afribone.net.ml www.awameite.com

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aspettative e ad agosto la missione è stata sospesa. Il commissario Frattini era convinto di poter contare su risorse più numerose. Lo aveva annunciato lo scorso 14 maggio invocando la necessità di inviare subito Frontex anche nel Mediterraneo: «Quest’anno avremo a disposizione oltre 50 navi da pattugliamento, 20 elicotteri e 25 aeroplani. È un numero molto consistente». Nemmeno venti giorni dopo, il 6 giugno Frattini si lamentava ed era costretto a ricredersi: «Delle 115 imbarcazioni promesse ce ne sono sì e no una ventina disponibili. Dei 25 elicotteri ne ho due dalla Germania, uno dalla Francia e uno dalla Spagna. Questo è un appello pubblico». Agli stati dell’Unione Europea, Frattini ha quindi ricordato: «L’effetto positivo avuto nelle Canarie dall’operato di Frontex, l’intercettamento di barche riportate in Guinea Conakry e in Senegal, non ha funzionato nel Mediterraneo dove dobbiamo aumentare i pattugliamenti per far capire che non possiamo tollerare un indiscriminato afflusso di clandestini e per salvare il maggior numero di vite in mare». Nel cuore dell’estate invece tutta l’operazione Nautilus II è nafragata ma non certo l’idea di repressione militare che è dietro i pattugliamenti navali. È infatti in questa logica che rientra anche l’idea dell’Unione Europea di esportare oltre le proprie frontiere i centri di permanenza temporanea. In Mauritania il Cpt si trova a Nouadhibou, in una distesa di sabbia rovente e pietre a un chilometro dal mare. Dall’interno, oltre i muri contornati di filo spinato si può vedere la bidonville della periferia. Il centro, allestito dentro una ex scuola, può accogliere fino a 300 persone, ma nei mesi caldi il sovraffollamento ha toccato numeri impensabili: fino a 1600 persone. Qualche traccia dei sogni bruciati si possono leggere su uno dei muri del cortile: preghiere a Dio in arabo, nomi e soprannomi e in francese una lunga scritta “Vogliamo tornare a casa”.

L’esportazione dei Cpt frenata dalle proteste Madrid ha stipulato dallo scorso anno accordi con le singole autorità locali per il rimpatrio degli immigrati provenienti da Mauritania, Senegal e Mali. Dopo la detenzione nei centri di permanenza nelle Canarie vengono trasferiti a Nouadhibou e in seguito condotti nei paesi di origine. Anche in Senegal l’Unione Europea aveva l’intenzione di finanziare la costruzione di un Centro di detenzione temporanea, ma poi il governo di Dakar ha frenato per evitare le proteste della società civile: «Sarebbero scoppiate delle polemiche incontrollabili qui da noi – racconta July Drop, caporedattore del quotidiano L’Observateur, giornale senegalese indipendente – il tema dell’immigrazione colpisce tutte le famiglie, direttamente o indirettamente.

Molte associazioni denunciano violazioni dei diritti umani in queste espulsioni. Ci sono state manifestazioni e proteste. Un Cpt avrebbe scatenato sicuramente anche rabbia. Il governo ha preferito una linea più morbida. Gli espulsi vengono trasferiti nelle sedi delle Prefetture del paese. Poi gli viene allungata qualche banconota e li si lascia tornare a casa. In questo tipo di rimpatrio ovviamente non c’è nessuna differenza tra gli aspiranti migranti e i trafficanti, i passeurs». Lo scorso anno aveva provocato grande scandalo il rimpatrio dalle Canarie di 99 cittadini senegalesi, sbarcati all’aereporto con le manette ai polsi. Il presidente Wade aveva dichirarato: «Il Senegal chiede il rispetto scrupoloso delle convenzioni internazionali nel caso di espulsioni». Ma l’Occidente, così come le grandi istituzioni economiche internazionali, avrebbe gli strumenti per essere convincente, con la carta degli aiuti e dei finanziamenti. In particolare la Spagna, uno dei paesi europei più colpiti dai flussi migratori ha lanciato lo scorso giugno un’offensiva diplomatica verso i paesi di origine degli immigrati. Sotto il nome di Piano Africa, il dispositivo oltre a prevedere l’apertura di ambasciate in tre paesi dell’Africa dell’ovest (Mali, Sudan e Capo Verde) puntava a cercare di sostenere dei progetti di sviluppo importanti per i governi locali in carica. Per vagliare le necessità nei diversi paesi, Madrid ha inviato immediatamente nella regione una decina di diplomatici. L’iniziativa ha avuto subito un risultato: il presidente senegalese Wade ha accettato il rimpatrio dei cittadini senegalesi sbar-

STUART FRANKLIN / MAGNUM PHOTOS

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Bamako. Un venditore davanti all’Hotel Amiti.

Mali, 2005


cati illegalmente alle Canarie. In cambio il governo spagnolo ha promesso di finanziare i progetti di dighe idrauliche che dovranno limitare il processo di desertificazione. Il Piano Africa deve aver talmente rincuorato le possibilità di manovra del governo spagnolo, che nel mese di settembre ha addirittura proposto che le espulsioni dei migranti, che abbiano cercato di fare resistenza, avvenga con l’uso di camicie di forza e con la testa coperta da un casco. Le violenze nel corso delle espulsioni dall’Unione Europea sono all’ordine del giorno. Non è raro che si trasformino in vere tragedie come nel caso di un giovane nigeriano che la scorsa primavera ha trovato la morte su un volo Iberia. Osamuyia Aikpitanhi, di 23 anni, è stato riportato a casa sotto scorta da tre agenti di polizia. Il ragazzo era stato imbavagliato ed è morto probabilmente per aver ingerito il fazzoletto con il quale tentavano di tappargli la bocca. L’amarezza per una politica di chiusura totale da parte dell’Unione Europea la si legge facilmente sulla stampa della regione, oltre che quella senegalese o maliana, anche del Burkina Faso. È il caso del quotidiano Le Pays che nell’editoriale «Perchè i nostri giovani fuggono in Europa» sottolinea: «Il primo ministro spagnolo – si legge nell’articolo dello scorso luglio – ha moltiplicato le visite nel continente, firmato ac-

Il governo spagnolo ha proposto che le espulsioni dei migranti che facciano resistenza avvenga con camice di forza e casco

| internazionale | cordi, distribuito mezzi (e forse anche denaro) spostato la frontiera fino alle coste africane perchè alla fine i dirigenti africani si occupino dei loro giovani. Evidentemente, è un impegno che ha dietro un calcolo: fornire il necessario per contrastare le partenze senza però offrire ai paesi coinvolti i mezzi per una reale autonomia economica».

Nuova cattedrale nel deserto Sembra andare nella stessa direzione un nuovo progetto sempre targato Unione Europea: la creazione di un centro di gestione dell’immigrazione (CIGM) a Bamako, capitale del Mali. Lo scorso febbraio il commissario europeo Louis Michel ha annunciato che entro la fine del 2007 il centro sarà attivo: «Il Mali – ha spiegato Michel – è considerato dall’Unione Europea come il paese ideale in Africa per la realizzazione di un programma in favore del concetto di immigrazionesviluppo. Prima di tutto il Mali è un paese democratico e sicuro. Ma poi soprattutto le autorità maliane fanno dei grandi sforzi per occuparsi della questione immigrazione. Il Mali, infine non è solo un paese di partenza, ma anche di transito e di accoglienza di migranti». Il centro prevede la cooperazione su temi di migrazione internazionale tra Unione Europea, il Mali e la Comunità economica degli stati dell’Africa dell’Ovest (CEDEAO). Il “progetto pilota”, come è stato definito da Bruxelles dovrà «rinforzare le capacità del governo maliano nella gestione dei flussi migratori,

dare sostegno all’immigrazione legale, la formazione e il reinserimento dei migranti di ritorno e di valorizzare il capitale umano, finanziario e tecnico dei maliani all’estero». Uno dei punti però più chiari del progetto è che sarà accompagnato da un finanziamento da capogiro: 40 milioni di euro per la precisione. Ma a Bamako, dopo gli annunci iniziali, nessuno ha ancora visto qualcosa di concreto sul centro. Dall’entourage governativo c’è silenzio stampa, mentre l’Unione Europea sostiene siano in corso gli studi di impatto nella regione. Le MALI associazioni che da anni Superficie 1 240 190 kmq sono impegnate nel setPopolazione 13,5 milioni tore dell’immigrazione Composizione 23 etnie non sembrano essere statra cui mandinga te nemmeno contattate. bambara Lo conferma Aminata malinké diolas Traoré, ex ministro della Popolazione urbana 26% Cultura maliano, una delPrincipali città le intellettuali africane Bamako 1 milione di abitanti più attive nel movimento Segou 106 mila Sikasso 90 mila new global: «Da anni laMopti 86 mila voriamo sull’immigrazioDensità 10,9% ne e abbiamo creato anSperanza di vita 47,8 che un’associazione per Tasso alfabetizzazione 26,4 sostenere gli immigrati Crescita demografica 3% espulsi da Ceuta e Melilla. Religioni L’abbiamo chiamata Remusulmana sunnita 94% tour-Travail-Dignité (Ricattolica 4% animista 2% torno-lavoro-dignità. VeLingua ufficiale francese di box pag. 58). Da anni Altre lingue bambara siamo qui a Bamako con peul dei progetti eppure nesMoneta franco CFA sun rappresentante delle Crescita economica autorità locali o straniere annuale 4,8% ha preso contatto con noi Principali risorse miglio riso, cotone, arachidi per conoscere o sostenere Risorse minerarie oro il nostro lavoro. Temo argento, sale, che siamo di fronte a un ferro, diamanti nuovo “bla-bla” che porTasso disoccupazione 14,6% ta a far convogliare i soldi Popolazione sotto la soglia di povertà 64% in tasche già conosciute». Eppure il centro CIGM, che a Bamako ancora nessuno sa indicare con certezza dove nascerà, dovrebbe nell’idea di Bruxelles infondere un’idea positiva dell’immigrazione. Nella stessa Bamako l’operazione scatena molti dubbi: «Bruxelles ci propone una nuova cattedrale nel deserto – commenta Abdellah Fadih, un maliano espulso nel 2005 dalla Francia dopo 6 anni di permanenza – cioè costruire un grande ufficio di collocamento nel cuore dell’Africa dell’ovest. È l’ennesima umiliazione.Non abbiamo bisogno di consigli ma di lavoro. Da quando sono stato espulso dalla Francia

con la nuova legge Sarkozy, sono disoccupato e senza prospettive». Mentre l’Unione Europea prosegue con un Piano Africa lontano dalla richieste concrete che arrivano dal continente, il business intorno al traffico di esseri umani diventa sempre più florido. Le rotte infatti per tentare il salto verso l’Europa aumentano e diventano sempre più rischiose, si cercano vie alternative per cercare di evitare i controlli. In Mali confluiscono da tutta l’Africa dell’ovest i giovani che hanno deciso di rischiare la vita SENEGAL per entrare nell’Eldorado Superficie 196 720 kmq europeo. Si concentrano Popolazione 11,6 milioni poi a Kaye, la regione in Composizione assoluto che conta il più Wolof 43,7% alto tasso di emigrazione Peuls 23,2% di tutta l’Africa dell’ovest. Serere 14,8% Al confine con il Senegal Popolazione urbana 43% Principali città e alle porte della MauritaDakar 1,9 milioni di abitanti nia, Kaye è la città di Thiès 320 mila frontiera dove i traffici diKaolack 200 mila Saint Louis 180 mila ventano scivolosi: «La Densità 59,3% chiamano la città carSperanza di vita 55,6 refour – racconta Roger, Tasso alfabetizzazione 38,3% originario della Costa Crescita demografica 2,4% d’Avorio – qui non hai Religioni che l’imbarazzo della musulmana 87% scelta per la strada che animista 7% porta verso l’Europa. Occristiana 6% corrono solo soldi e coLingua ufficiale francese L’80% parla wolof raggio. Io sono qui da sei Moneta franco CFA anni ed ho tentato cinCrescita economica que volte, due dal Senegal annuale 4,6% con i cayucos verso le CaPrincipali risorse arachidi narie, altre due dal Mamiglio rocco verso Ceuta e Melilcanna da zucchero Risorse minerarie fosfati la. Infine, l’esperienza più sale tragica è stata verso la Liferro bia e Malta. Ora ho deciTasso disoccupazione 48% so di ricostruire la mia vigiovani nei centri urbani 40% ta qui a Kaye. È già un miPopolazione sotto la soglia di povertà 54% racolo essere riuscito a sopravvivere». I racconti in questa regione dalla terra rossa si assomigliano tutti e allo stesso tempo sono tutti differenti: la decisione di mettere in pericolo la propria vita pur di trovare un lavoro e aiutare la famiglia di origine. Poi l’odissea cambia in base ai passeurs cui ci si affida per percorrere strade inacessibili e pericolose. «Ho incontrato gente senza scrupoli – continua Roger – che fossero tuaregs, saharawi, mauri o la polizia algerina e marocchina. Tutti puntano al denaro e il costo cambia in base ai chilometri che percorri. Insomma paghi a chilometro».

ALESSANDRO TOSATTO / CONTRASTO

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Aminata Traoré, scrittrice, leader politico, direttrice di eventi culturali e anche dottore in psicologia sociale.

Mali, 2003

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La Corea del Nord è lo specchietto che nasconde la corsa al nucleare Il programma americano Reliable Replacement Warhead (RRW) lanciato nel 2003 prevedeva l’ammodernamento dell’arsenale con la giustificazione che il plutonio invecchia. Gli studi hanno evidenziato che non è vero ma la spesa, 150 miliardi di dollari in 25 anni, non si è fermata. grado di realizzare un ordigno che è tecnicamente imperfetto, ma è PASSATO QUASI UN ANNO, ma l’eco della bomba atomica fatlo stesso in grado di distruggere una città. ta esplodere dalla Corea di Nord il 9 ottobre 2006 non La reazione che c’è stata ha focalizzato il problema sulla necessità si è ancora spento. Gli aghi dei sismografi si sono mosdi mettere sotto controllo gli “stati canaglia” con il conseguente utisi all’1:35 individuando un corpo sismico nel nord-est del paese chializzo politico della vicenda nei confronti dell’Iran. Il problema è però ramente non originato da un terremoto. più generale e, se possibile, ancora più grave e riguarda complessivaLe prime analisi preliminari dell’edi Paolo Bartolomei mente il crollo delle illusioni sorte alla fine della Guerra Fredda sulla splosione rilevavano un’anomalia di Ricercatore Enea possibilità di arrivare al disarmo nucleare. Nei primi anni ‘90 ci fufondo, e cioè il fatto che la potenza era rono segnali estremamente positivi come il trattato di riduzione delpiuttosto bassa , dell’ordine di circa 1 Kton (1 Kton corrisponde alle armi strategiche START-II, il bando dei test nucleari CTBT e la prola potenza di mille tonnellate di esplosivo tipo TNT), tant’è vero che roga indefinita del Trattato di Non Proliferazione TNP. In particolare nei primi giorni era insorto il dubbio che la Corea di Nord avesse proè stato sancito il principio del disarmo nucleare. Le vato a far credere al mondo di avere capacità nucleaarmi nucleari, a differenza di quelle chimiche e biore facendo esplodere un’enorme quantità di sostanze logiche non sono espressamente proibite dalla norchimiche. La questione è stata risolta dalla missione mativa internazionale, anzi il TNP consente a cinque di un aereo spia statunitense che, il 16 ottobre 2006, Stati di detenerle legalmente, sia pure a termine; susha individuato la radioattività tipica di un’esplosione siste però il citato impegno al disarmo previsto dalnucleare nei campioni d’aria prelevati nella zona. l’art. VI del Trattato che è giuridicamente vincolante. La spiegazione del fenomeno è quella di un guaDifficilmente gli Stati militarmente non nucleari sto tecnico, probabilmente una pre-detonazione delavrebbero accettato di rinunciare a quest’arma senza la bomba (in gergo tecnico un “fizzle”) che ha enorricevere in contropartita tale impegno. memente ridotto la potenza dell’evento. La cosa inNel corso del tempo la situazione si è rovesciata. teressante è che questi eventi si possono verificare Il trattato di non proliferazione è stato eroso dall’eKim Jong Il, presidente della solo con dispositivi al plutonio, quindi il tutto è Corea del Nord. A destra, sterno a causa di India Pakistan ed ora della Corea, coincidente con le informazioni secondo le quali la Hiroshima dopo l’esplosione ma soprattutto dall’interno. In particolare nel 1995 della bomba atomica. Corea del Nord non ha ancora acquistato una quanGiappone, 1945 erano stati concordati una serie di “principi ed obiettità significativa di uranio altamente arricchito, ma tivi” in occasione del rinnovo a tempo indeterminato del TNP. Tali può contare solo sulla centrale nucleare da 5 Mw di Yongbyon che impegni sono stati ulteriormente ampliati dai “13 passi pratici“ sul produce 5-7 chilogrammi di plutonio per anno. disarmo definiti alla Conferenza di riesame del TNP del 2000. Il doPurtroppo così un altro paese è entrato nel club nucleare, ma stacumento del 2000 ribadiva inoltre la centralità del Trattato ABM (sui volta ci sono differenze fondamentali. I paesi nucleari storici sono i missili balistici) e promuoveva l’entrata in vigore del Trattato Start II grandi della terra e quelli che si sono aggiunti in seguito (Israele, In(per la riduzione degli armamenti strategici) e la conclusione di un dia e Pakistan) hanno risorse economiche e possiedono una tradinuovo Trattato strategico (Start III) e il CTBT per mettere al bando zione tecnico scientifica di alto livello. La Corea del Nord è invece tutti i test nucleari, compresi quelli sotterranei. economicamente allo stremo, politicamente isolata, tecnicamente Nel frattempo lo START-II è decaduto, il CTBT non è stato ratiarretrata e, comunque, con un piccolo impianto nucleare, è stata in | 62 | valori |

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È

ficato, in primo luogo dagli Usa. La riduzione degli arsenali si è arenata (oggi si contano circa 26.000 testate, tra quelle schierate, operative, di riserva: poco meno della metà dei massimi storici) e l’ammodernamento degli arsenali procede speditamente. Il più importante tra tutti è il programma degli Stati Uniti con investimenti superiori a quelli dei peggiori anni della guerra fredda. È interessante vedere come sia partito, nel 2003 il programma americano Reliable Replacement Warhead (RRW) per l’ammodernamento dell’arsenale: l’argomento cruciale è, si diceva, che doveva servire semplicemente per rimpiazzare le testate più vecchie dato che il plutonio nel corso del tempo si degrada e gli ordini potrebbero essere non più affidabili dopo una ventina di anni. Nel 2006 si concluse il proget-

to che doveva studiare questa degradazione stabilendo che invece il processo di invecchiamento del plutonio è molto più lento e occorrono almeno 75 anni perché sia significativo. Però nel frattempo l’RRW era stato approvato con delle stime di spese di oltre 150 miliardi di dollari nell’arco di 25 anni e ovviamente nessuno ha pensato di tornare indietro; l’argomento della degradazione dei materiale è stato retrocesso a “questione tecnica collaterale”. Gli interessi economici messi in atto sono stati tali da avere il sopravvento. La violazione del TNP è evidente: l’art VI sanciva che “ognuna delle Parti al Trattato si impegna a perseguire quanto prima negoziati in buona fede sulle misure effettive per la cessazione della corsa agli armamenti nucleari e il disarmo nucleare…” mentre il |

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programma RRW sancisce che gli USA, in cattiva fede, hanno deciso di tenersi le bombe per sempre. Ovviamente anche gli altri paesi nucleari hanno programmi di ammodernamento degli arsenali, come la Gran Bretagna che vuole sostituire i vecchi “trident” e per testare i nuovi sistemi ha effettuato, nel febbraio di quest’anno, dei test nucleari subcritici (cioè provando tutti i componenti dell’arma, ma senza arrivare all’esplosione vera e propria) nel poligono americano nel deserto del Nevada. Nonostante la fine della Guerra Fredda la proliferazione nucleare verticale quindi va ancora avanti non più nel numero delle testate, ma nella qualità, così come continua la competizione sui lanciatori. All’inizio del 2006 Putin si è vantato di possedere un nuovo missile ipersonico capace di cambiare continuamente il percorso di volo. La Francia, da parte sua, ha iniziato a collaudare un nuovo missile (il M-51) per il lancio delle testate nucleari da sommergibile e quest’anno siamo arrivati alla vicenda della dislocazione dei sistemi antimissile della NATO. La proposta di Bush di piazzare questi sistemi in Polonia ha aperto la crisi poIL BUSINESS CIVILE

3 miliardi

65.000

di euro il costo della «penale nucleare» pagata in bolletta dagli italiani in 20 anni

tonnellate il consumo annuo di uranio

1

27

centrale in costruzione in Europa [Finlandia]

FONTE: LA STAMPA

le domande di costruzione in Usa

442 le centrali nucleari attive nel mondo

75% 0%

il contributo dell’energia atomica in Francia

la quota dell’energia nucleare in Italia

Peggio della Guerra Fredda: non aumenta il numero delle testate ma la potenza dei lanciatori e degli arsenali litica più grave degli ultimi 20 anni, che alcuni commentatori hanno già chiamato “Euromissili-II”, ma presenta analogie anche con la crisi del 1962, quando Mosca schierò i missili a Cuba, a ridosso del territorio statunitense. La Russia ha minacciato di ritirarsi dal Trattato CFE (Conventional Armed Forces in Europe) del 1990, che limitava i sistemi di armi convenzionali che entrambe le parti possono schierare in Europa e sono ripresi i voli dei bombardieri strategici Russi. Un impressionante passo indietro nel tempo. Alla ripetizione del vecchio scenario se ne aggiungono di nuovi. Lo sviluppo di nuovi sistemi di armi, come le mini-armi nucleari e gli ordigni pentratori (bunker blaster), sta ponendo le armi nucleari su un piano di parità con gli altri sistemi offensivi e difensivi, in apparenza depotenziandole, ma in pratica legittimandone l’uso, come armi risolutive utilizzabili anche sul campo di battaglia. Del resto le recenti campagne in Afganistan e in Iraq ci hanno abituato all’uso sul campo di armamenti come le cosiddette bombe taglia-margherite in grado di devastare tutto nell’intorno di un chilometro e Putin ha annunciato, il 12 settembre di quest’anno di possedere un ordigno “convenzionale” di 5 Kton, quindi più potente di quello nucleare fatto esplodere dalla Corea. | 64 | valori |

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Siamo di fronte ad uno stravolgimento del concetto di deterrenza, che porta ad un pericolosissimo paradosso in quanto le maniacali (quanto unilaterali) denunce dei rischi di proliferazione delle armi di distruzione di massa, la conseguente insistenza sulla minaccia e il possibile uso delle armi nucleari, nel quadro dalla strategia della guerra preventiva, innescano effetti destabilizzanti ed aumentano anziché diminuire le ambizioni di altri Stati di sviluppare, o di perfezionare, gli armamenti nucleari. E non si tratta solo degli “stati canaglia”, secondo il direttore dell’IAEA (l’agenzia delle Nazioni Unite sull’energia atomica) sono 30 gli Stati che potrebbero dotarsi in pochi armi di armamenti nucleari. Tra questi ci sono ovviamente la Germania e il Giappone, che possiedono sia il materiale fissile che le capacità per assemblare la bomba in pochissimo tempo, ma non hanno mai manifestato intenzione di farlo (anche se il revanscismo nazionalista montante in Giappone riduce sempre di più questa sicurezza). Ma ci sono potenze economiche emergenti come il Brasile, che ha voluto programmi di questo genere e il cui presidente Lula da Silva in campagna elettorale ha fatto dichiarazioni in questa direzione e anche paesi come l’Ucraina in piena crisi economica, politica e so42.000 ciale che potrebbe utilizzare in senso politico la catonnellate pacità nucleare ereditata dall’Unione Sovietica. Del l’estrazione annua resto, viste le inadempienze dei paesi del club nudel minerale cleare rispetto agli impegni del Trattato di non proliferazione è sempre più difficile ancorare i paesi non nucleari agli impegni presi. Il rilancio dell’energia nucleare cui stiamo assistendo negli ultimi anni potenzia i rischi di un’ulte60 riore proliferazione nucleare orizzontale. La possibiquelle in cantiere in Cina lità del doppio uso degli impianti è evidente ed è una questione che non è mai stata affrontata adeguatamente negli accordi internazionali. Lo stesso trattato di non proliferazione, all’art. IV, sancisce il diritto inalienabile di ogni paese di ricorrere all’energia nucleare per fini pacifici. L’Iran si appella proprio a questo articolo per sostenere i propri piani. Anche l’IAEA, che dovrebbe effettuare i controlli di salvaguardia, ha la funzione di promuovere l’utilizzo di questa fonte energetica. Il doppio ruolo di controllore e promotore crea oggettivi problemi. Il possesso delle armi nucleari ha coinciso con la potenza ed il prestigio del paese che le possiede, i cinque paesi nucleari erano anche i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU. Quelli poi che si sono armati in maniera “illegale” non hanno di certo pagato pegno. Di sicuro non l’ha pagato Israele nei confronti del quale sembra esista un patto internazionale generalizzato nel far finta di non vedere il centinaio di testate detenute in quel paese. India e Pakistan hanno subito solamente un pletorico embargo nelle forniture di materiale utilizzabile che peraltro nei confronti dell’India è già di fatto caduto grazie al recente accordo tra questo paese e gli Stati Uniti per la fornitura di tecnologia nucleare, ovviamente a fini pacifici. Ancora una volta le ragioni del business hanno prevalso. Mohammed El Baradei ha detto: «Dobbiamo abbandonare la nozione che è moralmente biasimevole per alcuni paesi perseguire la strada delle armi di distruzione di massa mentre è accettabile per altri… se il mondo non cambia il corso, noi rischiamo l’autodistruzione».

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Videogames

Incognite new media di Massimiliano Pontillo

IDEOGAME, TELEVISIONE, CELLULARI, INTERNET: un importante media mix nella formazione e nell’educazione dei giovani. Oggi al centro dell’attenzione, e affiancato anche da un certo allarme, per la crescente quantità di violenza nei contenuti. Occorre assolutamente riflettere e ragionare insieme – mondo politico, istituzioni, imprese, associazioni, esperti – sulla necessità di offrire ai ragazzi giusti strumenti per una crescita equilibrata, sia da un punto di vista psicologico che sociale. Che impatto ha la violenza nelle immagini sui minori? Secondo una recente ricerca del Censis, l’effetto imitativo è forte; e lo è sia nell’induzione di atteggiamenti violenti sia in termini di assuefazione alla violenza. Spesso gli adolescenti non sono consapevoli delle nuove tecnologie, che utilizzano con la massima disinvoltura non conoscendone i rischi. Ma è anche necessario sensibilizzare e educare i genitori, che spesso non parlano la loro stessa lingua. La responsabilità è corale, però: non solo la famiglia, ma la scuola e i produttori e i distributori di film e videogiochi. Su cui si rende indispensabile anche un’attività di formazione. Il sistema di classificazione dei contenuti attualmente in voga in Europa è serio, ma perfezionabile. In particolare, occorrerebbe una definizione più chiara della dignità umana. Bisogna però non demonizzare sempre e comunque i nuovi media: sono strumenti che se usati nel modo giusto hanno un grande potenziale. Sarebbe Pentapolis e Anima lanciano opportuno e utile, tra le altre cose, che i media stanziassero un nuovo marchio, Crescere parte degli utili alla realizzazione di pianificazioni responsabile, per identificare pubblicitarie di educazione permanente, o alla concessione i contenuti che diffondono di spazi per campagne di questo tipo. cultura e negano la violenza Lo scorso novembre, Anima e Pentapolis, due associazioni che si occupano di diffondere la responsabilità sociale nelle imprese, si sono fatte promotrici di un appello contro la violenza nei videogame, che ha raccolto circa 1200 firme nel mondo politico, imprenditoriale e manageriale, nella pubblica amministrazione e nello spettacolo, nella cultura e nel giornalismo, nell’associazionismo e nella società civile. Con l’obiettivo di aprire un dibattito sugli indirizzi politici e di governo, per far luce sui provvedimenti realizzati e in itinere in Italia e in Europa; allargando anzi il tema all’aspetto, più generale, della violenza nelle immagini e nei linguaggi dei prodotti di entertainment video destinati ai più giovani. Per scardinare una situazione che lascia i ragazzi molto spesso oggetto passivo delle incursioni di una televisione e una pubblicità che non li rispetta e nella quale affondano le radici problemi come il bullismo o simili. La stessa Pentapolis, tra l’altro, ha dato vita a un marchio, “Crescere responsabile”, per riportare l’infanzia al centro delle attenzioni e dunque degli investimenti economici e politici del Paese. Verrà presentato il prossimo 5 novembre all’interno del Premio Aretè, giunto alla sua quarta edizione, che si svolgerà a Roma e che per la prima volta sarà dedicato alla comunicazione rivolta ai minori. Affinchè anche gli operatori della comunicazione si sentano in dovere e abbiano l’interesse professionale di proporre forme e contenuti con una reale funzione educativa e che contribuiscano alla creazione di nuovi format nel rispetto delle regole della responsabilità.

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I padroni del vapore di Andrea Montella

Signori, avete voluto frodarmi. Non vi citerò, perché la legge “ è troppo lenta. Vi manderò in rovina. Distinti saluti ”

Cornelius Vanderbilt (1794-1871)

e origini dei Vanderbilt vanno cercate nell’Olanda del 1600 quando il capostipite Jan Aertson nel 1640 salpò per il Nuovo Mondo, lasciandosi alle spalle Bilt il suo villaggio situato nella provincia di Utrecht. Jan Aertson affrontò la traversata su una piccola nave della Compagnia delle Indie occidentali olandesi e impiegò due mesi prima di giungere a Fort Amsterdam, estremità inferiore dell’isola di Manhattan e, come molti di coloro che non possedevano nulla, firmò la rinuncia alla libertà per tre anni e fece il servo a contratto presso i Wolpherson, una facoltosa famiglia di proprietari terrieri. Jan Aertson van der Bilt, incoraggiato dai suoi padroni, trafficava in ogni genere di cosa: dai terreni alle pelli da concia alle pellicce. Le vittime dei suoi traffici erano i poveri indiani a cui venivano dati in cambio collane di conchiglie. La maggior parte delle ricchezze che i coloni sottraevano agli indiani finiva nelle capienti stive delle navi della Compagnia delle Indie in cambio di una mucca o di un mulo. E quando gli indiani scoprivano che lo scambio era svantaggioso e che la giustizia della famiglia, quella di Jeremias Vanderbilt di Brooklyn, che sottoera stata violata si ribellavano e in quel momento, per i coloni al serscrisse anche un documento pubblico di appoggio alla Dichiarazione vizio della Compagnia delle Indie, iniziavano i problemi. Ma la Comd’indipendenza fatta dalle colonie, attirandosi le antipatie di tutti gli pagnia delle Indie era organizzata anche per fornire assistenza miliinglesi conservatori. tare ai coloni: arruolandoli e trasformandoli in soldati, con lo scopo Il vero artefice della fortuna dei Vanderbilt fu Cornelius (1794di ristabilire la “pace” sconfiggendo i nativi per continuare così la pre1871) un uomo che recuperò delle sue origini olandesi le tradizioni dazione di quel territorio. In questo contesto il capostipite dei Vanmarinare. Cornelius era nel contempo parsimonioso e feroce come derbilt prosperò e visse abbastanza per affrancarsi dai Wolpherson e potevano esserlo tutti coloro che erano cresciuti alla scuola dei docks per stabilirsi nella zona di Long Island, veder crescere suo figlio Aris e dei castelli di prua delle imbarcazioni che trafficavano nel porto di e il definitivo arrivo su New Amsterdam (l’attuale New York) degli inNew York. Dotato di una forza eccezionale e di altrettanta abilità maglesi. Aris fece buoni affari nella zona di Brooklyn e fece crescere il panuale, era diventato un elemento di primo piano tra i padroni di battrimonio di famiglia parallelamente allo sviluppo della colonia. telli fluviali e di piccolo cabotaggio. I primi anni della sua attività lo Prima dell’arrivo degli inglesi gli olandesi acquistarono le terre videro impegnato in uno scontro selvaggio contro il gruppo di nadi Staten Island, anche Jan Aertson acquistò la sua parte: 40 ettari. vigazione Fulton Livingston. Quando capì che la navigazione a vaQuei terreni furono ricomperati, in seguito dal figlio di Aris, Jacob, pore sarebbe diventata vantaggiosa fece costruire i migliori piroscaquando questi si sposò con la giovane Mary. Jacob in seguito acquifi e divenne leader del traffico oceanico e costiero. stò altri 40 ettari di terreno nella regione che in seguito fu chiamata Cornelius comprese l’importanza della corsa all’oro verso la CaNew Dorp e che divenne il rifugio dei seguaci di Giovanni Huss, il lifornia e organizzò una linea che partiva dalla costa Nord dell’Aprotestante che spianò la strada alla Riforma. tlantico arrivava a San Juan del Norte e risalendo il fiume San Juan I discepoli di Huss fuggiti dall’Europa, seguirono gli Ugonotti e i arrivava attraverso il lago Nicaragua fino a 12 miglia dalla costa del Valdesi nel Nuovo Mondo dove presero il nome di Moravi e Jacob Pacifico, tratto che veniva percorso con le diligenze per rimbarcarsi van der Bilt ne divenne un fervente seguace. Jacob e Mary ebbero e giungere a San Francisco. Fu una delle imprese dove Vanderbilt diben 11 figli e tra questi Cornelius (1764-1832) che americanizzò il mostrò una determinazione e una durezza senza pari: organizzò persuo cognome in Van Derbilt. Un ulteriore modifica al cognome fu apsonalmente bastimenti e diligenze, superando difficoltà che andaportata durante il periodo della Rivoluzione americana da un ramo vano dalle maree, alle rivolte degli indigeni, alle malattie tropicali,

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A sinistra Cornelius, che ha costruito la fortuna della sua famiglia sui traffici della Compagnia delle Indie e sulla speculazione finanziaria. Sopra, il panfilo Alva di Harold S. Vanderbilt e la sede della vecchia ditta di trasporti a Brooklyn. Nella pagina a fianco, Harold con la moglie.

Con metodi da pirata Cornelius Vanderbilt saccheggiò la borsa giocando al ribasso e al rialzo dei titoli delle sue società

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allo scontro con i filibustieri. Il percorso da lui praticato gli fece nascere l’idea della costruzione di un canale navigabile precorrendo quello di Panama. Prese accordi con il governo nicaraguense a cui avrebbe dato 10 mila dollari alla firma del contratto in cui si impegnava a scavare il canale e altri 200 mila dollari in azioni dell’impresa, più il 20 per cento dei proventi per vent’anni e in seguito il 25 per cento. Il governo nicaraguense accettò, ma trovò a sbarrargli la strada la Corona inglese che sollecitata dagli interessi dei cittadini britannici in America centrale intervenì arrivando al trattato di Clayton-Bulver del 1850 con il governo americano in cui gli inglesi rinunciavano a gran parte dei diritti extraterritoriali nella zona e gli americani non avrebbero costruito alcun canale. Vanderbilt nonostante il tradimento ricevuto dal suo governo non si arrese e scoprì che alcuni inglesi avevano un interesse non proprio fugace sul progetto e da lì ripartì per realizzare comunque una linea di trasporto che congiungesse l’Atlantico al Pacifico passando per fiumi, laghi e terra, costruendo infine una strada asfaltata. La ricchezza di Cornelius Vanderbilt si accumulò soprattutto tra il 1850 e il ’60; in quel periodo aveva più di 100 navi e guadagnava 100.000 dollari al mese. Ma la sua ricchezza non era solo frutto del sudore della fronte: al tempo degli scandali dei sussidi alle linee di navigazione, del 1858, risultò che Vanderbilt e Edward K. Collins della Pacific Mail Steamship Line erano accusati delle principali truffe ai danni dei contribuenti del proprio Paese: Collins ritraeva dal governo un sussidio per il trasporto della posta di 900 mila dollari all’an-

no, una cifra che doveva consentirgli di far pagare ai meno abbienti viaggi a cifre popolari, invece quadruplicava i prezzi per i passeggeri di terza classe e corrispondeva a Vanderbilt, che sapeva della truffa, la ragguardevole somma di 56 mila dollari al mese per stare zitto. Con questi metodi da pirata Cornelius Vanderbilt saccheggiò la Borsa giocando al rialzo e al ribasso dei titoli delle sue società di navigazione e distrusse i suoi concorrenti praticando prezzi talmente ridotti da portarli al fallimento. Ottenuto il monopolio nel settore faceva risalire i prezzi a tali livelli da riprendersi con gli interessi la quota di denaro a cui aveva dovuto rinunciare temporaneamente per sconfiggere la concorrenza. Grazie a queste pratiche Cornelius Vanderbilt nel 1853 poteva vantare una “fortuna” di 11 milioni di dollari che aveva ovviamente investito al 25 per cento. Erano tempi di lotte furibonde, senza esclusione di colpi si lottava per il potere e la legge era un intralcio al mercato capitalistico; Vanderbilt aveva delle regole e della legge un’idea precisa: “Cosa me n’importa della legge? Non ho forse il potere?”. Comunque gli eredi di Cornelius non furono capaci di continuare la sua opera in quanto non compresero l’evoluzione che il sistema capitalistico, nel suo insieme, avrebbe imposto anche alla borghesia. Una selezione che non derivava dalle lotte per il primato nel mercato, ma che avveniva grazie all’introduzione di un sistema fiscale molto efficace. Cosa che invece compresero benissimo famiglie come quelle dei Rockefeller che aggirarono l’ostacolo fiscale trasferendo i loro patrimoni alle fondazioni.

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economiaefinanza

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altrevoci L’UOMO CHE GOVERNAVA LA SICILIA E L’ECONOMIA MAFIOSA CON I PIZZINI, IL MIELE E LA CICORIA

GIUSTIZIA GLOBALE UN’ESIGENZA DEL MONDO

FUTURO SOSTENIBILE E NUOVE REGOLE

SARAJEVO MEMORIA DI UNA CITTÀ APERTA

ANCHE GLI SBIRRI SONO STATI GIOVANI

L’AMORE E ALTRE FORME D’ODIO

Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, e Francesco La Licata, giornalista da sempre in prima linea nella lotta alla mafia, hanno scritto un libro che racconta Cosa Nostra. Con la cattura del padrino Bernardo Provenzano si chiude il capitolo del Novecento, ma se ne apre anche uno nuovo. Cosa sarà dell’economia e del potere mafioso dopo la cattura dell’ultimo grande boss? Il racconto di Grasso è «pretesto» per riaggiornare le famose «lezioni di mafia» a suo tempo scritte da Giovanni Falcone. Il procuratore soddisfa le curiosità del lettore: lo stile di vita di un boss che tutti immaginano come un Re Mida e invece vive in una masseria e si nutre di miele e cicoria; la capacità di «governare» una regione intera (e forse di più) da un buco medievale servendosi di un ancestrale sistema di comunicazione, quello dei “pizzini” scritti a fatica da un uomo che «ha la seconda elementare non finita». Provenzano era il rappresentante di un sistema che includeva oltre a una rete criminale anche una «borghesia mafiosa» che annovera tra le sue fila professionisti, imprenditori e politici. E ancora Palermo e il suo ventre molle, l’appello inascoltato di Grasso a non candidare inquisiti o sospettati, il palazzo di giustizia, il passato e il presente, gli errori dell’Antimafia, le disattenzioni dei governi e della politica.

Il filosofo Habermas la definiva “costellazione post-nazionale”. Una definizione che indicava una serie di questioni che avevano negli squilibri economici e nella diseguaglianza sul fronte dei diritti i suoi limiti macro. L’esigenza di redistribuzione globale della ricchezza, la riduzione delle diseguaglianze tra Nord e Sud del Mondo, la gestione dei flussi migratori, la protezione dai rischi ambientali, la lotta contro le reti transnazionali del terrorismo, sono infatti tutte questioni che travalicano i confini nazionali. A fronte del fenomeno della globalizzazione occorre ripensare i problemi della giustizia e ridefinire criteri di giudizio e di valutazione etica non limitati a comunità chiuse, ma validi al di là dei confini statali. Tuttavia, ancora oggi la discussione sulla giustizia riguarda principalmente le relazioni tra cittadini di uno stato nazionale.

Questo volume è il frutto di due anni di dialogo sul commercio eco-equo: una fitta rete di consultazioni tra esperti, politici, rappresentanti di organizzazioni di contadini di tutti i continenti. La riforma delle regole del commercio dei prodotti agricoli è al centro dei negoziati all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma le piste seguite finora non hanno dato i risultati promessi, con rischi sempre più gravi per gli agricoltori e per l’ecosistema. Così i due autori, Wolfgang Sachs e Tilman Santarius, entrambi ricercatori del Wuppertal Institut per il clima, l’ambiente e l’energia, esplorano nuove regole commerciali, mettono al centro dell’attenzione i problemi delle comunità rurali e propongono prospettive e strumenti politici per istituire un sistema commerciale e agricolo rispettoso dei diritti e dell’ambiente.

«Vivo da 40 anni nello stesso quartiere, a Sarajevo, a due passi da un’antica chiesa ortodossa e da una moschea del XVI secolo. E salendo appena, da casa mia, raggiungo il seminario cattolico. Prima della guerra, quest’armonia, nata dalla differenza, si ritrovava nella vita d’ogni giorno... Sarajevo m’ha aperto gli occhi. Ero stupito nel vedere una città così ricca di grandi qualità umane, soprattutto la tolleranza e la generosità». La guerra, le figure fosche di Milosevic, Karadzic e Mladic, ma anche le contraddizioni e i voltafaccia della componente musulmana durante il conflitto e i nazionalismi sorti dalla devastazione bellica sono rivelati e spiegati in un libro carico di pathos destinato a finire tra i grandi volumi di storia. L’introduzione è del giornalista Paolo Rumiz.

«Questo libro è l’ultimo, in ordine di tempo, che ho scritto sull’ispettore Ferraro, ma in realtà dovrebbe essere il primo». Chi è abituato a leggere i romanzi di Gianni Biondillo è anche abituato ai colpi di scena. “Il Giovane sbirro” ci riporta indietro negli anni e nella vita dell’ispettore Ferraro. Quasi tutte le domande lasciate in sospeso sul personaggio, in questo libro trovano una risposta. Quando si è separato dalla moglie Francesca? Quando ha deciso di entrare in polizia? Quando ha visto il primo morto nella sua storia di poliziotto? In questo romanzo troviamo i primi passi nel commissariato di polizia, i trasferimenti nelle valli alpine, la nascita della figlia Giulia, il ritorno a Milano dove la geografia antropologica è cambiata per sempre e dove il vecchio mondo criminale incrocia i nuovi volti della malavita.

Luca Ricci ha solo 32 anni, ma le storie che racconta sembra che le abbia vissute tutte. Nel chiuso delle villette a schiera, dentro le camere da letto matrimoniali, dietro l’apparente tranquillità della coppia si nasconde invece un’aggressività che può esplodere da un momento all’altro incontrollata e violenta. In ogni universo domestico c’è un segreto che preme nelle teste e nelle esistenze delle persone. Ventuno racconti brevi dove l’autore mette a fuoco il momento in cui il meccanismo famigliare si inceppa. I giorni tutti uguali si trasformano in una lotta senza esclusione di colpi. Di colpo la fantasia lascia il posto al rancore, la complicità alla rivalità, l’erotismo al rifiuto. Un solo momento infinito che ti cambia la vita perché «Quando le cose cominciano a rotolare viene voglia di seguirle, buttarsi con loro a peso morto».

PIETRO GRASSO, FRANCESCO LA LICATA PIZZINI, VELENI E CICORIA

Feltrinelli, 2007

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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JOVAN DIVJAK SARAJEVO, MON AMOUR

Infinito Edizioni, 2007

ISABEL TRUJILLO GIUSTIZIA GLOBALE

WOLFGANG SACHS TILMAN SANTARIUS COMMERCIO E AGRICOLTURA

il Mulino, 2007

Emi, 2007

GIANNI BIONDILLO IL GIOVANE SBIRRO

Guanda, 2007

narrativa

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UN ALBERO CAPACE DI AMARE LA GENTE NASCE IL NOIR SVIZZERO ED È SUBITO GRANDE SUCCESSO EDITORIALE

Un albero che ama la povera gente. Un albero cresciuto a Brooklyn, un quartiere per niente facile. Betty Smith, figlia di immigrati tedeschi, Parlare del genere noir in Canton Ticino è come in quel quartiere ci ha vissuto parlare della marina militare nel lago di Lugano. a lungo. Anche lei ha imparato Cioè, inesistente. Andrea Fazioli, giornalista ad amare la povera gente e giovane scrittore di Bellinzona, ha aperto che, in cerca di fortuna, la strada al genere in Svizzera. Il suo “Chi muore arrivava lì da tutto il mondo. si rivede” in poco tempo è giunto alla quinta Nel 1912 la vita non era facile ristampa ed è stato già ridotto per uno sceneggiato a New York: si faticava televisivo. «Anche se da noi non esiste e si soffriva per costruire la provincia intesa come entità territoriale, un futuro. La piccola Francie il Canton Ticino è come una grande provincia Nolan conduce il lettore sotto il cui apparente ordine si muovono in quel mondo fatto di affetti le trame di storie nere. Ciò che mi spinge famigliari solidi e al tempo a scrivere non è la cronaca, ma la possibilità stesso tragici (il padre, di descrivere sentimenti e tipi umani». cameriere-cantante, morirà La storia raccontata da Fazioli è ambientata alcolizzato a soli trent’anni) tra Lugano, Bellinzona, Locarno con qualche e di una mescolanza culturale puntata nella Zurigo della Street Parade. affascinante. L’autrice L’inizio un po’ incerto della prima parte diventa fa crescere la protagonista ritmo incalzante man mano che si procede e così la si segue all’università con la lettura. Un morto ammazzato nel centro e nella sua crescita di persona di Lugano, un collier di diamanti ritrovato adulta. Nonostante sia stato in una soffitta, una famiglia piena di segreti. pubblicato per la prima volta A sbrogliare la matassa viene chiamato nel 1943, questo è un romanzo l’investigatore privato Elia Contini, un uomo attualissimo per la sua con le sue manie seduttive, le sue amicizie capacità di trasmettere un po’ bizzarre ma capace di districarsi la ricchezza del melting pot . in una storia complicata.

LUCA RICCI L’AMORE E ALTRE FORME D’ODIO

ANDREA FAZIOLI CHI MUORE SI RIVEDE

BETTY SMITH UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN

Einaudi, 2007

Armando Dadò Editore, 2005

Neri Pozza, 2007

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

| valori | 69 |


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fotografia

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IL NONO PIANO VIVE D’EROINA AUTOSCATTO D’AUTORE E NUDO INGENUO FIRMATO DALLA MENTE DI UWE OMMER

Il nono piano di un palazzo a Mahattan. Un appartamento dove un gruppo di eroinomani si ritrova, compra e vende droga, dorme, litiga, fa l’amore e vive. Dietro la porta c’è un mondo sconcertante dove vigono altre regole e dove le emozioni e gli affetti hanno eccessi e vuoti impensabili. In molti hanno fotografato il dramma della droga, ma la forza e la vicinanza emotiva delle immagini di Jessica Dimmock compongono un racconto nuovo di senso, intimo e partecipe. Per oltre due anni Jessica ha seguito le “storie” del nono piano e dei suoi protagonisti. Senza nessun intento morale ma solo per conoscere e capire i ritmi e i meccanismi di una vita così vicina eppure così lontana dalla sua, in cui distruzione, dipendenza, ma anche disperazione e amore, sono i punti cardinali tra cui si muove questo inferno quotidiano.

Uwe Ommer è un fotografo tedesco. Nato a Colonia nel 1943, vive a Parigi ormai da molti anni, specializzandosi nella fotografia pubblicitaria. Sostanzialmente è un freelance e nel suo lavoro dimostra una spiccata sensibilità nelle fotografie di nudo femminile. Celebre il suo libro “Black ladies” pubblicato da Taschen, un omaggio alla donna africana, un viaggio nell’estetica femminile carnale e toccante come solo sa esserlo la bellezza esotica. Lo stesso discorso vale per “Asian ladies”. In “Do it yourself” la donna rimane al centro della sua ricerca fotografica, ma in questo caso cambia lo sguardo, perché Uwe Ommer si spinge al limite. Ispirato da una baby sitter che aveva sorpreso davanti allo specchio intenta a fotografarsi con una Polaroid, il fotografo ha deciso di costruire un libro di autoritratti erotici scattati da fotografe senza esperienza. Ommer si è limitato a consegnare alle modelle una fotocamera spiegandone il funzionamento: molte hanno usato uno specchio per riprendere le loro pose, altre hanno puntato direttamente la fotocamera su di sé. In molti casi non c’è stato bisogno di alcun intervento da parte del fotografo. in altri Ommer ha agito da assistente fotografo preparando le luci e il set.

JESSICA DIMMOCK IL NONO PIANO

Contrasto, 2007

EBRAISMO E TRADIZIONE EBRAICA PER IMMAGINI

FOTOGRAFIA E VERITÀ LA REGOLA DI RUFF

BLOGGER MOBILITATI PER L’AMBIENTE

È il terzo volume della collana “Dizionari delle religioni”. Questo volume sull’ebraismo è drammaticamente attuale nel momento in cui la tensione sta lacerando la terra di Palestina. Questo dizionario, affidato alla competenza di due autevoli conoscitori della materia, chiarisce molti dubbi e risponde a molte domande sull’ebraismo. Da Abramo ai nostri giorni il volume indaga i contenuti teologici e i principi fondanti di questa antica religione (la concezione di Dio, del mondo, dell’uomo e della comunità); la diffusione della religione nel mondo e nella storia; i testi sacri e l’esegesi talmudica; le diverse correnti di pensiero (dalla kabbalà al sionismo), i simboli e le pratiche rituali (dalla menorà al maghen David, dal bar mitzvà al kippur) che animano le vicende e le consuetudini del popolo ebraico. In tutto 320 foto a colori per percorrere una storia che si perde nella notte dei tempi.

“The grammar of photography” è un’importante monografia antologica dedicata al tedesco Thomas Ruff. Negli anni questo fotografo ha dato vita a una serie di lavori che, fedeli alla tradizione tedesca, indagano il mondo intorno a noi riflettendo nel contempo sull’uso del linguaggio fotografico. La sua posizione è però quella dello scettico che non crede nella verità della fotografia. Ruff espone nei più importanti musei di tutto il mondo. Originario di un piccolo paese del sud della Germania, Thomas Ruff nel 1977 entra alla Düsseldorf Art Academy. L’anno successivo prende parte al corso tenuto da Bernd Becher, dopo aver già apprezzato le serie prodotte da questi con la moglie Hilla. Con lui frequentano il corso di Bernd Becher altri studenti fra i quali Candida Höfer, Axel Hütte, Thomas Struth. Oggi il fotografo ha abbandonato quella stessa cattedra che un tempo era stata del suo professore.

Nella home page del sito risalta un conto alla rovescia. Sono i giorni che separano navigatori e blogger di tutto il mondo dal “Blog action day”. Il 15 ottobre, infatti, tutti quelli che aderiranno all’iniziativa scriveranno un post (commento) per sostenere le associazioni nella loro lotta per la salvaguardia dell’ambiente. Il tema centrale su cui saranno chiamati a pronunciarsi è il surriscaldamento del pianeta. Il cuore dell’iniziativa è rappresentato da tre blogger: Collis (NorthxEast), Babauta (ZenHabits) e Cyan (FreelanceSwitch). All’evento hanno già dato la loro adesione in 4.600, tra siti internet e blog, numero che cresce giorno dopo giorno. Il sito riporta anche i nomi dei siti e dei blog che hanno aderito all’iniziativa, suddivisi per data di adesione, con tanto di link attivo. Tra questi anche molti blogger italiani.

SONIA LUZZATI ROBERTO DELLA ROCCA EBRAISMO

Electa, 2007 UWE OMMER DO IT YOURSELF

THOMAS RUFF THE GRAMMAR OF PHOTOGRAPHY

Nepente, 2006

WWW.BLOGACTIONDAY.ORG

CRITICALMAP LA PROTESTA VIAGGIA SU DUE RUOTE Il sito Critical Map è un progetto di “ciclocartografia partecipata” e costituisce una piattaforma comune che permette, a chi si muove in bicicletta, di fissare la propria visione dello spazio urbano sulla mappa delle nostre città. Critical Map da una parte fa riferimento all’esperienza di Critical Mass; dall’altra fa riferimento alla possibilità di fissare su una mappa la visione “critica” ed onirica che un ciclista ha della propria città e delle possibilità che il suo territorio può offrire. L’obiettivo è fornire una mappa a uso e consumo dei ciclisti, utile per aver consigli sui percorsi migliori da percorrere in bicicletta, sulle zone da evitare, sui cantieri delle nuove piste ciclabili. Inoltre si dà una rappresentazione della nostra città ideale in tema di mobilità sostenibile. Con Critical Map si può, ad esempio, mostrare alle amministrazioni locali quali sono i punti critici in cui sarebbe utile intervenire, dove servirebbero nuove piste ciclabili e dove il traffico è fuori controllo. Tutti possono partecipare alla creazione delle mappe presenti su Critical Map. È sufficiente registrarsi sul sito e iniziare a postare segnalazioni e percorsi sulla mappa della propria città. Una sorta di blog collettivo, dove tutti gli utenti registrati hanno la possibilità di pubblicare percorsi e contributi.

multimedia

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SCIENZIATI IN RETE GRAZIE A SCIVEE.TV

LA CINA RACCONTATA DAL MAESTRO ANTONIONI

Un sito creato dagli scienziati per gli scienziati. SciVee.it “libera” gli scienziati dalle pubblicazioni della carta stampata e dalle conferenze sfruttando le potenzialità di Internet come mezzo di comunicazione. In questo sito scienziati giovani e vecchi hanno un posto e una voce e possono condividere gli studi e i progetti di ricerca. Sul sito si possono pubblicare lavori scientifici con video di supporto, creare il proprio profilo professionale e partecipare a gruppi di lavoro. Gli altri scienziati possono consultare liberamente le presentazioni caricate sul sito e collegarsi durante le discussioni virtuali con l’autore e altri navigatori. SciVee facilita la creazione di gruppi di studiosi intorno ad articoli specifici e parole chiave. L’iniziativa è nata dalla collaborazione tra la Biblioteca pubblica della scienza di San Francisco (www.plos.org), il National science foundation (www.nsf.gov) e il Centro del supercomputer di San Diego (www.sdsc.edu).

Sono passati solo tre mesi dalla sua morte e il mito di Michelangelo Antonioni genera le prime opere ricordo. È in uscita per Feltrinelli “Chung Kuo - Cina” (2 dvd + libro, euro 19,90) dedicato al viaggio in Cina che il maestro fece nella primavera del 1972 con una troupe cinematografica. Migliaia di chilometri percorsi, immagini di palazzi, fabbriche, campagne, metropoli, sedi di partito, ospedali per raccontare il continente del socialismo realizzato. Lo sguardo critico di Antonioni, così diverso dall’iconografia ufficiale maoista, non piacque alla sinistra di allora. Il racconto del regista parte da un punto di vista domestico e interiore, un documento ancora oggi insuperato sulla Cina, le sue tradizioni e la sua spinta verso il futuro. “Chung Kuo - Cina” venne trasmesso in bianco e nero dalla Rai nel 1972 e replicato a colori nel 1979. Poi è scomparso, mostrato soltanto a pochi appassionati nei festival e nelle rassegne specializzate. MICHELANGELO ANTONIONI CHUNG KUO - CINA

WWW.SCIVEE.TV

Feltrinelli, 2007

WWW.CRITICALMAP.ORG

Taschen, 2007

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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ANNO 7 N.53

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stilidivita

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SE VAI CON L’OBESO È PIÙ FACILE INGRASSARE TROPPI INCENDI METTONO A RISCHIO GLI IMPEGNI PRESI A KYOTO

Chi ha amici in sovrappeso, ha il 60 per cento di possibilità in più di diventare a sua volta obeso . Questa è la conclusione a cui è giunta una ricerca dell’Università di San Diego e della Harward Medical School di Boston. Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) una persona è obesa se il suo indice di massa corporea (Bmi) supera il valore di 30. Nell’ultimo quarto di secolo negli Usa la percentuale di Bmi over 30 si è duplicata, passando dal 15 per cento al 32 per cento. I ricercatori hanno analizzato i dati sul peso, raccolti dal 1971 per uno studio sulle malattie cardiovascolari, mappando la rete di relazioni tra le persone coinvolte. Questo è stato possibile perchè i partecipanti allo studio avevano fornito una lista dei loro famigliari e amici per aiutare i medici a rintracciarli nel corso degli anni, in caso di necessità. In questo modo, i ricercatori hanno ricostruito reti sociali costituite complessivamente da oltre 12 mila persone.

| 72 | valori |

ANNO 7 N.53

L’estate 2007 è stata una delle peggiori degli ultimi anni sul fronte degli incendi. Il bilancio delle foreste andate in fumo potrebbe mettere in crisi le stime sulla riduzione di anidride carbonica dovuta al riassorbimento operato dagli alberi, sui quali si puntava per risparmiare l’11 per cento delle emissioni ai fini degli impegni presi a Kyoto. Per fare i conti con Kyoto, infatti, bisogna considerare sia l’aumento delle emissioni conseguenti alla combustione, che la riduzione dell’anidride carbonica dovuta alla perdita, negli incendi, delle zone ricoperte di foreste. Nel 2006 il numero degli incendi registrati era sceso del 30 per cento, rispetto all’anno precedente, e la dimensione delle aree andate in fumo era diminuita del 40 per cento. Quest’anno il numero dei roghi è quasi raddoppiato: 7.164 contro i 4.270 avvenuti nell’estate del 2006, ovvero ll 70 per cento in più; 112.740 gli ettari andati in fumo, contro i 27.496 del 2006. Un aumento del 250 per cento. Alla Calabria e alla Campania la maglia nera: sono infatti le regioni più colpite e insieme fanno registrare quasi la metà degli incendi. L’Abruzzo, invece, in termini assoluti ha perso la più estesa superficie boschiva.

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OTTOBRE 2007

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IN GB LA RETE SPOPOLA TRA DONNE E ANZIANI

SCIOPERO SECOND LIFE NON PAGA L’AVATAR

WIRELESS LIBERO DA RIPENSARE NEGLI USA?

Si è sempre pensato che la rete fosse una cosa da supergiovani, perlopiù maschi. Invece, secondo una ricerca di Ofcom, l’autority britannica delle telecomunicazioni, da qualche anno le cose non stanno più così. Secondo le informazioni di Ofcom in Inghilterra sono le donne i maggiori utilizzatori di internet. Sono anche in aumento i siti di interesse femminile e lo shopping on line. Nel 2006 le vendite in rete hanno superato gli 11 miliardi di sterline, un trend che continua a crescere. Solo nel mese di luglio di quest’anno i sudditi britannici hanno acquistato on line per 4 miliardi di sterline. In media un inglese passa 36 minuti in rete al giorno. Solo cinque anni fa la media era di 14 minuti. Le donne tra i 25 e i 49 anni passano più tempo collegate alla rete rispetto agli uomini. Mentre, con le loro 42 ore mensili, gli over 65 sono quelli che passano più tempo in rete, anche più dei ragazzini, legati al telefono cellulare.

Lo sciopero e la protesta virtuale vanno in onda su Second Life. L’iniziativa è della Rsu (rappresentanza sindacale unitaria) della Ibm Italia che ha annunciato l’iniziativa. La protesta dovrebbe concretizzarsi con un blocco dei visitatori che vogliono visitare gli insediamenti di Ibm presenti nella realtà parallela, dove big blue ha fatto investimenti. A fare i picchetti ci penserebbero gli avatar dei dipendenti Ibm in protesta. Il tam tam è già partito attraverso siti e blog e se dovesse essere raccolto dai nove milioni di utenti che colonizzano la realtà virtuale, sarebbe un problema per la grande multinazionale. Non è la prima volta che il popolo di Second Life mette in scena proteste virtuali. Era già accaduto lo scorso luglio contro il sistema di tassazione che la Linden applica ai proprietari delle costruzioni più ambiziose. Una serie di sabotaggi virtuali ha messo sottosopra la realtà parallela. Ma attenzione, perché la Linden potrebbe presentare il conto e a pagare non sarà l’avatar, ma il soggetto reale.

Ad aprire il dibattito sul ripensamento dell’offerta wi-fi gratuita in molte città statunitensi è la rivista Wired che ha pubblicato un reportage sulla difficoltà dei gestori delle reti internet libere di San Francisco, Chicago e Saint Louis rispetto ai pubblicizzati programmi di connessione gratuita “senza fili” nei centri urbani. Secondo il reportage a pesare sui bilanci sarebbero stati una catena di errori progettuali della parte finanziaria con introiti pubblicitari sovrastimati a fronte di costi fissi imposti dalle municipalità sottostimati. Spesso i provider hanno dovuto pagare gli stessi comuni per l’utilizzo dei pali della luce dove venivano posizionati gli hot spot. A seguito di queste valutazioni e di un diffuso clima di incertezza, Earthlink ha per esempio ottenuto a San Francisco condizioni più favorevoli rispetto alla trattativa iniziale, aperta quando il tema del wi-fi libero sembrava dover conquistare molte città Usa. In particolare è indicativo il dato di utilizzo del sistema da parte dei cittadini che ha raggiunto la soglia del 2%, a fronte di una previsione dei fautori dell’iniziativa secondo cui il wi-fi libero avrebbe interessato il 15% della popolazione.

PSICOGEOGRAFIE URBANE PER TRACCIARE GLI SPOSTAMENTI NELLA METROPOLI Il tema della tracciabilità degli spostamenti umani e della loro codifica in un sistema di segnali attraversa i festival europei d’arte elettronica. In attesa dell’evento classico del nuovo Transmediale 2008 a Berlino e dell’italiano NetMage, organizzato da Xing, i festival che precedono l’autunno hanno focalizzato la loro attenzione sul tema della privacy nell’era digitale (Ars Electronica di Linz) e sulla tracciabilità. Gli artisti chiamati ad esporre i loro lavori e le loro performance nel contesto di Conflux a New York hanno allestito spazi e momenti creativi per “avventurieri urbani” in cui sono protagonisti gli strumenti della cartografia tradizionale e quelli degli strumenti mobili, ad alta tecnologia o consumer come cellulari e posizionatori Gps. Attraverso la proposta di percorsi creati da artisti visivi e sonori ci si pone l’obiettivo da un lato di documentare sotto il profilo socio-politico le dinamiche di sorveglianza e controllo. Dall’altro, portando l’arte nelle strade in modo non elitario ma creando forme di vera e propria condivisione della performance si crea un gesto di riappropriazione urbana e di affetto verso la città e le sue contraddizioni. La mappa diventa così da un lato politica, dall’altro emotiva e sentimentale. Grande peso nelle sviluppo di queste iniziative viene dalla riappropriazione della tecnologia usata per “mappare” i movimenti urbani e quindi costruire una psicogeografia urbana legata ad un vissuto concreto e non ad una sua proiezione.

future

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BICICLETTE PUBBLICHE NEL TRAFFICO DI PARIGI

PUBBLICITARI ALL’ASSALTO DI PECHINO 2008

La municipalità di Parigi ha offerto, a partire dallo scorso luglio un servizio di biciclette pubbliche chiamato Velib. La sigla, acronimo di “Vélo” (bicicletta) e “Liberté” (liberta) indica un servizio pubblico a costi accessibili di noleggio biciclette, con costi che variano da un euro per una singola giornata a 29 euro per l’abbonamento annuale. Il progetto è stato presentato dal Sindaco di Parigi, Bertrand Delanoe, con il dichiarato obiettivo di fornire una alternativa agli spostamenti veloci rispetto all’utilizzo dell’automobile. Sono state così messe a disposizione oltre diecimila biciclette appoggiate a oltre settecento punti di raccolta in tutta la città. Secondo le stime della Municipalità verranno messe a disposizione entro il 2009 oltre ventimila biciclette di cui potranno usufruire a costi fortemente agevolati rispetto al mercato oltre il 20% della popolazione cittadina. Un analogo progetto è in corso da due anni a Berlino.

Grande attivismo nel mondo pubblicitario internazionale in vista delle Olimpiadi di Pechino 2008. Le multinazionali dell’elettronica di consumo, dello sport e della ristorazione veloce sono da un biennio impegnate a creare progetti per conquistare il mercato asiatico in occasione dei Giochi Olimpici. Coca Cola ha fatto allestire un numero simbolico di fermate degli autobus (2008) con manifesti avviando la più vasta campagna di affissioni esterne mai realizzata in Cina. McDonald’s è andata alla conquista della Televisione di Stato ottenendo un accordo per la promozione del suo “China Mac”, versione asiatica dell’occidentale panino “Big” bersaglio del documentario “Supersize Me”. Tra le chicche dei futuri memoriabilia, uno spot in cui gli atleti delle Olimpiadi si trasformano in ingredienti del panino. Secondo le previsioni di Mymarketing.it, la Cina sarà nel 2008 il paese al mondo in cui gli investimenti pubblicitari verso il grande pubblico avranno il maggiore incremento (+24%), superiore a quello degli Stati Uniti. Molte delle iniziative previste prevedono uno sfuttamento commerciale di piattaforme Web 2.0 come You Tube.

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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| globalvision |

Mattel

PERDITA ECONOMICA ANNUA DERIVANTE DALL’USCITA DAL MERCATO DELLE STAZIONI SCIISTICHE PRIVE DI COPERTURA NEVOSA AFFIDABILE [milioni di euro]

La Cina non c’entra le regole Usa sì di Alessia Vinci

M

ILIONI DI GIOCATTOLI RITIRATI PERCHÉ CONTENEVANO PERICOLOSI MAGNETI DANNOSI PER I BAMBINI.

La Cina e le sue disastrose aziende sul banco degli accusati per scarsità di controlli e condizioni di lavoro inqualificabili per qualsiasi processo di qualità. Ma era tutto falso. O meglio nel caso specifico, quello della multinazionale statunitense Mattel, le condizioni di produzione e lavoro del grande paese asiatico non c’entravano nulla. Il problema era tutto americano: non solo degli errori di progettazione e design della Mattel, ma soprattutto dell’ente preposto alla difesa del consumatore. Una vicenda che merita un’importante riflessione anche per il nostro futuro. Come al solito gli Stati Uniti non erano arrivati tardi. Anzi. La Consumer product safety commission, l’organismo federale che deve proteggere i consumatori da “irragionevoli rischi” causati dai prodotti di più largo consumo, esiste dal 1973 e ha giurisdizione su oltre 15 mila prodotti. Ma dagli inizi del 1980, dall’avvento della grande stagione della deregulation, dell’arretramento dello Stato a favore del mercato e delle sue tautologiche capacità autoregolatorie, l’agenzia viene continuamente deprivata di risorse e uomini. Le ispezioni ai giocattoli, tanto per restare in tema, sono affidate ad un funzionario, uno solo, rinchiuso in un ufficio assolutamente inadeguato alla periferia del Maryland. Una struttura che la stessa presidente della Consumer product safety commission, Nancy Ford, ha definito davanti al Congresso Usa «inefficiente La lezione fondamentale e nella quale neppure gli edifici rispettano le norme dalla vicenda dei giocattoli: di sicurezza». Dal 1980 ad oggi i dipendenti dell’agenzia la colpa non era delle imprese federale sono stati dimezzati, da 978 a 410, i fondi asiatiche ma della carenza ogni anno ad essere “ridimensionati” di controlli dell’agenzia federale continuano (nel 2007 il budget era di 62 milioni di dollari), statunitense vittima le multe incassate sempre meno anche per effetto dei tagli del danaro pubblico dei ricorsi delle grandi imprese che si possono permettere di spendere decine di milioni di dollari in costosissime parcelle legali. I laboratori sono assolutamente inadeguati e andrebbero ammodernati e per gran parte di quest’anno la commissione è rimasta paralizzata perché Bush aveva cercato di nominare come commissario un ex lobbista dell’associazione manifatturiera e il Congresso aveva bocciato la nomina. Solo durante l’estate, nel pieno dello scandalo Mattel, è stato approvato un emendamento tampone, in un provvedimento sulla sicurezza nazionale, che permette alla Consumer product safety commission di lavorare eccezionalmente sino a fine anno con due soli commissari, la presidente repubblicana Nancy Ford e il democratico Thomas Moore. Ovviamente ora fioccano le proposte di potenziamento e persino la Toy Industry Association, l’associazione dei produttori di giocattoli, chiede nuovi test obbligatori. Il regolatore serve. E molto. Per evitare danni gravissimi ai cittadini, che sono anche consumatori e spesso lavoratori delle stesse aziende che si rendono responsabili di incredibili errori o di vere e proprie truffe. Ma per avere agenzie e autorithy che funzionino servono fondi pubblici e strumenti di controllo trasparenti delle strutture preposte. Altrimenti ci penserà il Dio Mercato a fare carne da macello dei diritti dei consumatori.

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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> 1650 (+1°C)

> 1800 (+2°C)

> 2100 (+4°C)

4.706

13.977

39.861

Piemonte

10.666

18.667

32.000

Alto Adige

23.762

92.081

139.607

Valle d’Aosta

numeri Friuli Venezia Giulia

13.625

13.625

13.625

123

I cambiamenti climatici devasteranno il turismo

ge l’aereo: aereo che risulta fino a quattro volte più inquinanHIACCIAI CHE SI SCIOLGONO. Deserti che avanzano. te, ai fini dell’effetto serra, del trasporto automobilistico. È, Litorali che arretrano davanti alla lima costante d’altra parte, proprio quello relativo ai trasporti il maggiore dell’erosione. Fiumi che evaporano, montagne su contributo del turismo al climate change: esso rappresenta mecui sciare sono solo un ricordo del tempo che fu. Onde abnordiamente il 70 per cento sul totale delle emissioni mentre il remi e cicloni, troppa pioggia o troppo poca, caldo, caldissimo e sto è più o meno equamente spartito fra alberghi, ristoranti e poi, subito, il gelo. È cambiato il clima e ce ne accorgiamo sulaltre attività “di filiera”. la nostra pelle, nell’esperienza quotidiana, anche senza guarDa un punto di vista economico, le statiche dell’Omt hanno dare il “termometro” della Co2 che pure, nell’atmosfera, negli appurato che nell’anno 2000 ogni arrivo in Europa ha generato, ultimi 750 mila anni non è mai stata presente in percentuali esclusi i trasporti, 580 euro, per un totale di 70 miliardi che, apcosì alte. Fra i settori maggiormente coinvolti dalle alterazioni prossimando un credibile tasso di crescita al tre per cento, arriveclimatiche figura senz’altro quello del turismo benché la stretranno nel 2050 a 300 miliardi; è facile però prevedere che, quata correlazione fra dinamiche turistiche e climatiche non trovi lora le variazioni del clima diminuiranno, come sembra grande rilievo nell’acceso dibattito piuttosto che nella ricerca probabile, bellezza e comfort delle mete, il tasso di crescita del tuscientifica e nell’agenda dei decisori politici. Eppure parliamo rismo conoscerà una battuta d’arredella seconda industria del Pianeta CONTRAZIONE DEL FATTURATO DIRETTO TURISTICO sto: basterà così la diminuzione di e di quel 1,56 miliardi di arrivi inun solo punto percentuale per dire ternazionali che l’Omt, l’OrganizCONTRAZIONE % MILIONI RISPETTO AL BAU 2030 DI EURO addio a 198 milioni di presenze e a zazione mondiale per il turismo, Piemonte -10,2 -33,12 circa 110 miliardi di euro. Il probleprevede per il 2020: 720 milioni Valle d’Aosta -4,0 -14,30 ma è però più complesso di quanto solo in Europa, con un tasso di creLombardia -7,1 -29,11 non possa apparire: quello dei camscita del 4,4 per cento. Se in EuroTrentino Alto Adige -14,1 -587,05 biamenti climatici è un fenomeno pa e in America del Nord i veicoli di lungo termine in cui, oltretutto, privati costituiscono il mezzo preVeneto -0,3 -2,46 gli effetti non possono essere preferito per lo spostamento dei turiFriuli Venezia Giulia -15,7 -28,91 detti con precisione nel dettaglio. sti, nel resto del Mondo si predili-

G

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

| valori | 75 |


| numeridell’economia |

| numeridell’economia |

La crescita economica mai così forte per i PVS manda di materie prime hanno una crescita media del 6,4%, contro il 2,4% dei Paesi sviluppati, una situazione che non è mai stata cosi positiva dall’inizio degli anni ‘70. Il Prodotto interno lordo (Pil) procapite dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti è aumentato di circa il 30% tra il 2003 e il

continuerà a crescere per il quinto anno consecutivo, mentre il tasso di crescita globale nel 2007 dovrebbe stabilizzarsi tra il 3,4 e il 4%. Secondo il rapporto Unctad, i Paesi in via di sviluppo che continuano a beneficiare di una forte doECONOMIA MONDIALE

L’

IMPATTI MACROECONOMICI NEL 2050 E NEL 2100

Settori produttivi più colpiti (riduzione della produzione) in caso di aumento di 0,93°C + 1,84%

Elettricità

2007, mentre quello dei paesi più industrializzati del G7 “solo” del 10%. La bilancia commerciale è stata molto favorevole per i PVS ma a trainare le esportazioni commerciali dei “poveri” sono stati soprattutto due giganti: la Cina e l’India hanno segnato entrambe un più 160%.

Servizi

Petrolio

Cereali

Gas

-0,70% /-0,87% - 1,45%

-1,84% -3,56%

.

Diminuzione del Pil in caso di aumento di 0,93°C

Diminuzione del Pil in caso di aumento di 1,2°C

LE NAZIONI EMERGENTI

0,9% / 1,14%

PAESE

PIL

Cina +10,4 India +8,9 Indonesia +5,2 Malesia +5,9 Filippine +5,5 Singapore +7,1 Corea del Sud +5,3 Taiwan +4,6 Tailandia +4,9 Argentina +7,9 Brasile +1,2 Cile +4,5 Colombia +6,0 Messico +4,7 Perù +9,2 Venezuela +9,2 Egitto +5,9 Israele +6,2 Sud Africa +3,6 Turchia +7,5 Repubblica Ceca +6,2 Ungheria +3,8 Polonia +5,5 Russia +7,4

III II II II II III II II II II II II II II II I II II II II II II II

PRODUZIONE INDUSTRIALE

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Agosto Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre

+14,7 +11,4 +6,2 +3,6 -7,0 +7,6 +16,3 +2,1 +5,0 +6,6 +1,3 -2,6 +12,5 +5,0 +9,9 +12,7 +4,0 +8,1 +1,9 +4,0 +5,8 +11,8 +11,7 +4,1

Ott. Sett. Ago. Sett. Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Ago. Sett. Ago. Ago. 2005 Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett.

DANNI ASSOCIATI ALLE ONDATE DI CALORE [STIMA PER LA CITTÀ DI ROMA] MORTALITÀ ATTRIBUIBILE ALLE ONDATE DI CALORE PER CAUSE CARDIOVASCOLARI E RESPIRATORIE (N° DECESSI PER ROMA)

Fasce di età

DANNI MONETARI IN ASSENZA DI ADATTAMENTO PER ROMA

Anno 2000

Anno 2020

Anno 2020

<65 anni

165

211

281 milioni €*

>65 anni

440

561

281 milioni €*

* In assenza di adattamento, tale cifra corrisponde al costo di inazione

PREZZI AL CONSUMO

+1,4 +2,1 +6,3 +3,3 +5,4 +0,4 +2,1 -1,2 +2,8 +10,4 +3,3 +2,1 +4,2 +4,3 +1,9 +8,7 +9,6 +1,3 +5,3 +10,0 +2,7 +6,3 +1,2 +9,2

Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott.

BILANCIA COMMERCIALE

+177,5 Dicembre -48,8 Novemb. +38,5 Novemb. +28,6 Novemb. -4,1 Agosto +33,7 Settem. +16,7 Dicembre +21,3 Dicembre +1,3 Novemb. +12,0 Novemb. +46,1 Dicembre +22,1 Dicembre +0,3 Ottobre -5,9 Novemb. +8,0 Settem. +36,8 III Trimestre -11,1 II Trimestre -7,9 Dicembre -9,6 Novemb. -53,2 Novemb. +2,0 Novemb. - 2,8 Novemb. -4,1 Novemb. +140,8 Novemb.

3,10 7,98 6,20 5,37 6,13 3,06 4,97 2,08 4,97 10,19 13,19 5,16 6,71 7,05 4,45 10,00 9,67 4,60 9,35 19,60 2,57 8,05 5,18 11,00

BENEFICI DELL’ADATTAMENTO [STIMA PER LA CITTÀ DI ROMA] EPISODIO

Ondate di calore estate 2003

ADATTAMENTO

Sistemi di avvertimento HHWs

1,02% / 1,28%

TASSI INTERESSE

PREVISIONE SULLE VITE SALVATE

BENEFICI MONETARI

81 (> 65 anni)

134,47 milioni €*

Aumento della temperatura nel 2050

+0.93°C

ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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Aumento della temperatura nel 2050

0,12% / 0,16% 2050

2100

+ 1,2°C

2100

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

PIL MIN/MAX 2006

MIN/MAX 2007

2,3/3,7 1,8/2,4 1,7/2,5 1,7/2,6 2,7/3,4 2,5/3,3 1,5/2,2 1,5/2,2 1,0/1,5 1,9/3,5 1,6/3,1 2,8/3,5 3,0/4,1 1,7/2,8 2,8/3,9 1,8/2,4

2,7/3,9 1,2/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 2,0/3,1 1,6/2,4 0,2/2,1 0,6/1,7 1,4/3,8 1,4/2,4 2,4/3,1 2,5/3,1 0,9/2,5 2,4/3,5 1,3/2,4

INFLAZIONE MEDIA 2006

MEDIA 2007

3,2 2,3 2,4 2,4 3,2 2,7 2,0 1,7 1,3 3,0 2,2 3,3 3,6 2,8 3,4 2,2

3,3 2,0 2,0 2,5 2,9 2,3 2,0 1,3 1,1 2,4 2,1 2,8 2,9 2,0 2,7 1,8

2006

2,9 2,0 2,2 1,9 2,1 1,9 1,7 1,6 2,1 0,3 1,5 3,3 1,4 1,1 2,9 2,1

2007

BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007

2,7 1,8 1,9 1,9 2,2 1,9 1,6 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,9 1,2 2,3 2,1

-5,4 +0,2 +2,2 -2,3 2,0 2,9 -1,3 3,9 -1,5 3,7 5,2 -6,9 6,7 13,1 -6,8 -0,1

-4,0 +0,2 2,3 -2,3 1,4 2,7 -1,1 3,9 -1,4 3,5 5,1 -7,0 6,3 12,4 -6,8 --------

COSTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI A VENEZIA NEL 2030 [MILIONI EURO/ANNO]

AMMONTARE DEL DANNO COMPLESSIVO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO PER L’ITALIA ESPRESSO COME PERCENTUALE SUL PIL

Danni nel settore del turismo [riduzione delle presenze]

[DANNO CUMULATO SCONTATO SU PIL CUMULATO SCONTATO, PERIODO DI RIFERIMENTO 2001-2100]

34,9 - 42,9

Danni nel settore della pesca [riduzione produzione vongola]

10,4 - 16,5

Danni alla strutture edilizie [pavimenti, pareti, porte, intonaci]

3,3 - 6,4

Danni della forzata chiusura e inaccessibilità delle attività commerciali [una settimana di allagamento]

7,6 - 9,5

SCENARIO B1 [+0,93° NEL 2050]

DANNO QUADRATICO NELLA TEMPERATURA

DANNO ESPONENZIALE NELLA TEMPERATURA

Tasso di sconto: 3%

0.12%

0.14%

Tasso di sconto: 1%

0.18%

0.19%

* In assenza di adattamento, tale cifra corrisponde al costo di inazione

Danni sociali [funzionalità urbana nel suo complesso]

| 76 | valori |

0,16% / 0,20% 2050

49,2 - 86,2

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indiceetico

| numeridivalori |

VALORI NEW ENERGY INDEX NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Abengoa Ballard Power Biopetrol Canadian Hydro Conergy EOP Biodiesel Fuel Cell Energy Gamesa Novozymes Ocean Power Tech Pacific Ethanol Phoenix Solar Q-Cells RePower Solarworld Solon Südzucker Sunways Suntech Power Vestas Wind Systems

Biocarburanti/solare Tecnologie dell’idrogeno Biocarburanti Energia idroelettrica/eolica Pannelli solari Biocarburanti Tecnologie dell’idrogeno Pale eoliche Enzimi/biocarburanti Energia del moto ondoso Biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche Pannelli solari Pannelli solari Zucchero/biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche

Siviglia, Spagna Vancouver, Canada Zug, Svizzera Calgary, Canada Amburgo, Germania Pritzwalk, Germania Danbury, CT-USA Madrid, Spagna Bagsværd, Danimarca Warwick, Gran Bretagna Fresno, CA-USA Sulzemoos, Germania Thalheim, Germania Amburgo, Germania Bonn, Germania Berlino, Germania Mannheim, Germania Konstanz, Germania Wuxi, Cina Randers, Danimarca

CORSO DELL’AZIONE 31.08.2007

RENDIMENTO DAL 30.09.06 AL 31.08.2007

32,70 € 4,73 CAD 5,91 € 5,60 CAD 59,16 € 6,46 € 9,62 $ 29,26 € 647,00 DKK 12,50 $ 11,56 $ 19,22 € 65,00 € 111,98 € 36,20 € 59,44 € 14,12 € 8,51 € 35,75 $ 370,00 DKK

44,12% -27,16% -28,80% 3,36% 55,32% -38,83% 17,56% 69,33% 44,36% -19,83% -23,43% 30,75% 101,24% 101,40% 67,09% 101,01% -27,52% 13,16% 28,71% 135,91%

+32,39% € = euro, $ = dollari USA, £= sterline inglesi, CAN $ = dollari canadesi, DKK = corone danesi

Solare con cautela di Mauro Meggiolaro E AZIONI DEL SOLE. Nell’indice virtuale di Valori ne abbiamo messe sette. 17,18% Nei primi undici mesi di gioco hanno avuto tutte rendimenti positivi, Amex Oil Index [in Euro] in alcuni casi a tre cifre (+101% per Q-Cells e Solon). L’energia solare 32,39% fa scintille in borsa, ma è meglio andarci piano. La produzione di silicio di grado Valori New Energy Index [in Euro] solare (il materiale con cui vengono costruite le celle fotovoltaiche) non riesce a Rendimenti dal 30.09.2006 al 31.08.2007 star dietro alla richiesta di nuovi pannelli, le valutazioni dei titoli sono ancora troppo alte e il rischio bolla è sempre in agguato. Phoenix Solar, Phoenix Solar www.phoenixsolar.de Sede Sulzemoos – Germania l’impresa in vetrina questo mese, è meno espoBorsa FSE – Francoforte sul Meno sta alla carenza cronica di silicio perché non proRendimento 30.09.06 – 31.08.07 30,75% duce direttamente pannelli (come fa, per esemAttività Fondata nel 1999, Phoenix Solar nasce dalla Phönix Solarinitiative, un progetto del Bund pio, Solarworld). Da sempre è specializzata nella der Energieverbraucher (associazione dei consumatori di energia) per portare i pannelli solari progettazione e costruzione di grandi centrali nelle case delle famiglie tedesche. E’ specializzata nella pianificazione e costruzione di grandi impianti fotovoltaici. solari e nella rivendita all’ingrosso delle singole Ricavi [Milioni di €] Utile [Milioni di €] Numero dipendenti componenti (celle, inverter, accessori). Da inizio 2005 gioco ha reso il 30%, mentre l’indice verde di Va2006 118.994 111.116 lori ha chiuso settembre a +32,39%. 15 punti in 4.950 più dell’Amex Oil Index, che misura il rendi101 3.024 mento delle maggiori compagnie petrolifere 71 mondiali. Il sole e il vento battono il petrolio in borsa. Ma la corsa è ancora lunga.

UN’IMPRESA AL MESE

L

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 78 | valori |

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OTTOBRE 2007

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CONTRASTO


| numeridivalori |

| numeridivalori |

PREZZO TRASPARENTE: DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE

VALORI NUTRIZIONALI MEDI

SUCCO D’ARANCIA CONVENZIONALE E SUCCO D’ARANCIA EQUO

SU 100G DI PARTE EDIB. (AL NETTO SCARTI)

CONVENZIONALE

EQUO

prezzo al produttore

0,10€

0,28€

intermediari

0,14€

costo di esportazione

0,03€

diritto di royalty del marchio Transfair costo di importazione, lavorazione e distribuzione prezzo di vendita al pubblico

parte edibile acqua

100% 89,3g

NUTRIENTI ENERGETICI

0,03€

carboidrati (zuccheri) proteine lipidi valore energetico

0,03€

NUTRIENTI NON ENERGETICI

0,30€

0,30€

da 1 a 1,35€

da 1,05 a 1,35€

fosforo calcio ferro 0,2mg vitamina C

8,2g 0,5g tracce 33kcal 17mg 15mg 44mg

FONTE: TABELLE DI COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI, AGGIORN. 2000 ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE

paniere

FONTE: TRANSFAIR

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QUANTO COSTA LA SPESA [IN GRASSETTO IL PREZZO AL KG] BOTTEGA DEL MONDO

preparati con la neve dell’Etna, lo zucchero di canna e il succo d’arancia, a presenza irrinunciabile nella moderna colazione degli americani, la bevanda ha acquisito nel tempo un vadi Anna Capaccioli lore economico crescente, fino a diventare una commodity quotata in borsa, soggetto anche per commedie come “Una poltrona per due”. Un percorso interessante per un prodotto ricavato da una pianta di origine asiatica inizialmente utilizzata a scopi ornamentali o religiosi. Al valore economico corrisponde un valore nutrizionale e salutistico: moderato apporto calorico ma buon contenuto di minerali e vitamine, associati ad un ruolo preventivo delle cardiopatie vascolari, del cancro e dell’Alzheimer; recenti studi scientifici attribuiscono ai succhi al 100% di frutta e verdura un’efficacia paragonabile a quella dei prodotti freschi. Il succo d’arancia confezionato è il risultato di un processo di coltivazione e trasformazione altamente industrializzato che richiede grandi quantità di acqua e di energia. La resa in succo dipende, oltre che da specie e varietà, dal grado di maturazione, dalle pratiche colturali, da fattori meteorologici e dal sistema di estrazione. L’arancia dolce (Citrus x sinensis) è il frutto di un antico ibrido (tra pome-

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| 80 | valori |

AI SORBETTI DEI CALIFFI,

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OTTOBRE 2007

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lo e mandarino) che da secoli cresce come specie autonoma; pianta sempreverde alta fino a 12m, dalle foglie allungate e carnose e dai fiori bianchi, fruttifica da novembre a giugno a seconda delle varietà, che si distinguono anche per la polpa bionda o rossa. Due malattie batteriche degli agrumi, non pericolose per la salute umana ed animale, hanno attualmente un notevole impatto economico a livello mondiale: il cancro causato da Xanthomonas axonopodis pv. citri (Xac) e la malattia d’inverdimento o Huanglongbing (HLB). Xac è considerato un organismo da quarantena in molti Paesi, tra cui gli Stati membri dell’Unione europea (UE), che esenti dalla malattia hanno imposto restrizioni commerciali. Un recente studio pubblicato dal Servizio di ispezione per la salute animale e vegetale (APHIS) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) propone di modificare le attuali misure fitosanitarie per consentire la commercializzazione dei frutti asintomatici provenienti da zone infette/contaminate. Su richiesta della Commissione europea un gruppo di esperti scientifici sulla salute delle piante (PLH) dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha valutato lo studio e non ha ritenuto sufficiente la giustificazione scientifica della richiesta.

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MARCHIO1

SOLIDALE2

El Ceibo bio Altromercato 13,00 €/kg

Perugina

Solidal

8,00 €/kg

Esselunga bio e Ctm Altromercato 14,70 €/kg

10,00 €/kg

8,66 €/kg

Twinings Earl Grey 38,50 €/kg

Tè nero Esselunga bio e Ctm Altromercato 44,70 €/kg

Altromercato tè nero Earl Grey 61,60 €/kg

Twinings English breakfast 37,60 €/kg

Tè Solidal

Twinings Lemon scented 38,00 €/kg

Tè nero al limone Solidal 32,00 €/kg

MARCHIO

BIO E CTM ALTROMERCATO

CACAO AMARO IN POLVERE

El Ceibo bio Altromercato 12,00 €/kg

Perugina

Altromercato tè nero Earl Grey 61,00 €/kg

36,57 €/kg

Altromercato basmati 5,50 €/kg

Scotti basmati 3,24 €/kg

Altromercato basmati 5,50 €/kg

Altromercato thai integrale 3,45 €

Suzi Wan basmati 4,36 €/kg

Altromercato thai aromatico bio 3,85 €

SUCCO D’ARANCIA 100%

Altromercato 2,00 €/l

Santal non zuccherato 1,50 €

Altromercato

ZUCCHERO DI CANNA

Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg

Demerara Sugarville Toschi Mauritius 2,84 €/kg

CREMA SPALMABILE AL CACAO

Altromercato Cajta con anacardi e nocciole 6,25 €/kg

Ferrero Nutella bicchiere 200g 7,45 €/kg vaso 750g 4,52 €/kg

Altromercato

Esselunga

2,85 €/kg

1,69 €/kg

CIOCCOLATO FONDENTE TAVOLETTA 100G

Commercioalternativo Antilla cacao 70% 15,50 €/kg

Perugina Nero cacao 70% 12,00 €/kg

Altromercato bio Mascao cacao 73% 15,50 €/kg

Fondentenero Novi Solidal extra amaro extra amaro cacao 72% bio cacao 70% 9,20 €/kg 9,80 €/kg

CIOCCOLATO AL LATTE TAVOLETTA 100G

Altromercato Companera cacao 32% 11,00 €/kg

Lindt Lindor al latte 13,20 €/kg

Altromercato bio Mascao cacao 32% 15,50 €/kg

Novi cacao 30% 8,50 €/kg

Solidal bio cacao 39% 9,80 €/kg

CIOCCOLATINI ASSORTITI

Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg

Perugina Fantasia Grifo 13,12 €/kg

Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg

Perugina al latte e fondenti 11,60 €/kg

Solidal ripieni assortiti 11,00 €/kg

Altromercato miscela pregiata arabica 100% 11,00 €/kg

Lavazza qualità oro arabica 100% 11,16 €/kg

Solidal arabica 100% bio 9,60 €/kg

RISO

Il succo d’arancia è una bevanda dall’elevato valore economico e nutrizionale, con un importante impatto ambientale in termini di risorse e di inquinanti. Le sue proprietà sono allo studio della comunità scientifica, che indaga anche sulle problematiche delle coltivazioni di agrumi.

COOP

SOLIDALE

SOLIDALE

TÈ IN FILTRI

A qualcuno piace rosso

ESSELUNGA3

PRODOTTO

BANANE

Skipper Zuegg senza zucchero 1,33 €

Solidal senza zuccheri aggiunti 1,15 €

Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg

Demerara 2,88 €/kg

Solidal biologico 2,80 €/kg

Altromercato Cajta con anacardi e nocciole

Ferrero Nutella

Solidal con nocciole

6,25 €/kg

4,92 €/kg

5,00 €/kg

Chiquita

Solidal biologico 2,70 €/kg

2,00 €/l Esselunga bio e Ctm Altromercato 3,38 €/kg

Solidal thai profumato 2,80 €/kg

Esselunga bio e Ctm Altromercato 2,85 €/kg

2,00 €/kg

Lindt cioccolatini assortiti 24,32 €/kg CAFFÈ MACINATO PER MOKA 250G

Altromercato bio caffè 13,00 €/kg

Compagnia Arabica Colombia Medellin arabica 100% 12,72 €/kg

Esselunga bio e Ctm Altromercato arabica 100% 12,60 €/kg

Altromercato bio caffè 13,00 €/kg [1] MEDIA DI PREZZI DI VENDITA APPLICATI IN PUNTI DI VENDITA IPERCOOP E COOP DIVERSI, IN PERIODI COMPRESI TRA FINE 2006 E APRILE 2007 [2] PREZZI MEDI NAZIONALI [3] PREZZI RILEVATI NEL PUNTO DI VENDITA, NON SONO STATE FORNITE MEDIE NAZIONALI

IL SUCCO D’ARANCIA IN BORSA IL CRB (COMMODITY RESEARCH BUREAU) è un indice che rappresenta un paniere di 23 materie prime, tra le più scambiate sui mercati, nel quale i Softs, che comprendono il succo d’arancia, hanno una percentuale elevata: 23% Softs–coloniali (cacao, caffè, succo d’arancia e zucchero) 18% Energy (petrolio, gasolio e gas naturale) 18% Grains (mais, semi di soia e frumento) 17% Precious metals (oro, platino e argento) 12% Industrial (rame e cotone) 12% Livestock (bovini vivi e maiali) Nel 1957 il Commodity Research Bureau costruì un indice

composto da 28 commodity che fece la sua prima comparsa nel 1958 nel CRB Commodity Year Book. Da allora, l’Indice viene aggiornato periodicamente per seguire il mercato delle commodity in continua evoluzione e ha cambiato nome in Reuters/Jefferies CRB nel 2005 dopo l’ultima revisione. Agli indici corrispondono diversi strumenti finanziari, per esempio gli ETC (Exchange Traded Commodities) e gli ETF (Exchange Traded Funds); entrambi sono negoziabili in borsa come delle azioni, ma gli ETC consentono di investire su una singola materia prima a differenza degli ETF, che devono garantire un certo grado di diversificazione.

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ANNO 7 N.53

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CRONOLOGIA ESSENZIALE I sec d.C. Testi romani documentano la coltivazione di un frutto chiamato melarancia in Sicilia IX sec. Gli Arabi conquistano l’Italia meridionale e diffondono l’uso alimentare dell’arancia, termine che deriva dall’arabo n_ran_ (=frutto preferito degli elefanti) X sec. I Saraceni introducono la coltivazione dell’arancio amaro nel Mediterraneo XIV-XVI sec. I Portoghesi introducono la coltivazione dell’arancio dolce in Europa; ancora oggi in arabo la parola usata per parlare delle arance è burtuq_l (che indica l’arancia dolce), che ha soppiantato la parola n_ran_ (che indica l’arancia amara); in molte lingue e dialetti per questi frutti sono usati termini che si riferiscono al Portogallo 1966 Il succo d’arancia fa parte (insieme a cacao, caffè, cotone e zucchero) del gruppo dei beni coloniali e tropicali quotati in borsa e contrattati sul mercato dei future e delle opzioni di New York 1998 Dalla fusione di CSCE (Coffee, Sugar & Cocoa Exchange), dove venivano contrattati il caffè, lo zucchero, il cacao e il succo d’arancia, e NYCE (New York Cotton Exchange), che era la più vecchia borsa merci di New York dove veniva scambiato il cotone, nasce il NYBOT (New York Board of Trade) 2004-2005 Gli uragani che colpiscono lo stato della Florida sono decisivi nella diffusione del cancro batterico degli agrumi, riconosciuto impossibile da eliminare dall’USDA

OTTOBRE 2007

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| padridell’economia |

Mensile di economia sociale,

A CA R I TA S I TA L I A N A - O RGANISMO

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ANNO 7 N.53

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OTTOBRE 2007

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> Cambogia Fotoreportage PA S T O R A L E D ELLA CEI - A NNO XL - NU M E RO 8 - W W W. CA R I TA

S I TA L I A N A . I T

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353/2003 (conv.

4 n° 46) art. 1, comma in L. 27/02/200

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/ CONTRASTO FRANCESCO COCCO

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nti sulle armiegerer per le tangea rzenn er licenziatoche fa paura Schaw ne a > Arriva il manag del Nord Finmeccanic RS, il fondo pensio che la Corea Finanza > CalPE i riarmano: altro Nucleare > I grand Poste Italiane S.p.A.

A POSSIBILITÀ DI RISOLVERE PROBLEMI ANTICHI (ereditati dal passato, come disuguaglianza e povertà) e nuovi

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finanza etica e sostenibilità

ottobre 2007

Poste Italiane S.p.A.

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Mensile di economia sociale,

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(come il degrado dell'ambiente o il sovraffollamento) dipende innanzitutto dalla capacità di rafforzare le diverse istituzioni a presidio delle differenti ma interrelate libertà. (...) In tal senso, il nostro futuro dipenderà soprattutto dal successo nell'ampliamento delle rispettive libertà, ottenuto attraverso il rafforzamento delle diverse istituzioni che sostengono e favoriscono le nostre capacitazioni umane. In questo, ritengo, risiede la più importante indicazione per il nostro futuro». Lo ha affermato Amartya Sen, professore indiano premio Nobel per l’economia nel 1998, spiegando ancora che «la forza protettiva della democrazia è in effetti capace di fornire sicurezza in misura molto più estesa di quanto riescano a farlo i tentativi di prevenzione delle carestie. Il povero nella Corea del Sud o in Indonesia potrebbe non essersi preoccupato troppo per la democrazia nel periodo del boom economico, quando le condizioni di vita di tutti sembravano migliorare nella loro totalità. Ma quando l'economia è entrata in crisi, la democrazia e le libertà politiche e civili hanno cominciato a mancare disperatamente a chi vedeva cambiare i propri mezzi economici e la propria vita in maniera del tutto inaspettata. Da un punto di vista generale, una riduzione del Pil del 5 o del 10% non è certo una calamità, se fa seguito a decenni di tassi di crescita annuali tra il 5 e il 10%. Se tuttavia la riduzione grava iniquamente sulle fasce più svantaggiate, queste ultime potrebbero trovarsi in serio pericolo e aver bisogno di sostegno sociale. L’economista indiano La democrazia è diventata ora un tema centrale in Corea del Sud e in Indonesia. ha utilizzato formule Non vorremmo dover aspettare una crisi economica per apprezzare la forza matematiche per comprendere i problemi protettiva della democrazia.(...)». Il professore è nato nel 1933 a Santiniketan nello stato del Bengala, empirici legati alla ha insegnato presso l’università di Calcutta, al Trinity College di Cambridge, giustizia sociale poi a Nuova Dheli, alla London School of Economics, a Oxford e, successivamente, all’università di Harvard. Nel 1998, pur mantenendo la sua carica di docente ad Harvard, ha fatto ritorno come rettore al Trinity College. Presidente della Economic Society, della International Economic Association, della Indian Economic Association, ha scritto moltissimi testi tra cui Collective Choice and Social Welfare (1971), On Economic Inequality (1973), Commodities and Capabilities (1985), Etica ed Economia (1987), Inequality Reexamined (1992), Lo sviluppo è libertà (1999), Globalizzazione e libertà (2002). Gli studi di Sen partendo da un esame critico dell'economia del benessere, hanno portato fra l'altro alla definizione di un indice di povertà largamente usato in letteratura. Il professore indiano ha sviluppato un approccio radicalmente nuovo alla teoria dell'eguaglianza e delle libertà. In estrema sintesi, Sen propone di studiare la povertà, la qualità della vita e l'eguaglianza non solo attraverso i tradizionali indicatori della disponibilità di beni materiali (ricchezza, reddito o spesa per consumi) ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l'individuo attribuisce un valore positivo. Inoltre va sottolineato che Sen ha da sempre adoperato la logica formale come un mezzo e non come un fine. Le sofisticate strutture matematiche che utilizza sono per lui essenzialmente lo strumento scientifico per eccellenza per risolvere problemi sostanziali, che riguardano l'economia e l'etica. La scelta collettiva, come branca della welfare economica, è in altre parole del tutto funzionale alla soluzione di dilemmi che concernono l'eguaglianza, il benessere, il sottosviluppo, i diritti, la giustizia sociale.

finanza etica e sostenibilità

POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/200 4

di Francesca Paola Rampinelli

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La forza protettiva della democrazia

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Anno 7 numero 53. Ottobre 2007. € 3,50

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LA SICUREZZA, SOLO

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UN FATTO

IL PARADOSSO DI DECORO E ORDINE PUBBLICO? DEL LAVAVETRI BADANTI LA “CUR A GLOBALIZZATA”, UNA MALD CATENA DI AFFET IVE LA DROGA, FLAGELLO TI E DISAGI KENYA LA LOTTA DI AMINA, L’AIDS NEL PARADISO DEL TURISMO NON SI VINCE SOLO CON I FARMACI

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