Studium educationis XV, n. 1, febbraio 2014

Page 1

STUDIUM EDUCATIONIS Anno XV – numero 1 – febbraio 2014


– Anno XV – n. 1 – FEBBRAIO 2014 Rivista quadrimestrale per le professioni educative

Direttore Responsabile

Comitato Scientifico

Comitato di Redazione

Diega Orlando Cian

Sergio Angori Roberta Caldin Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Renato Di Nubila Luciano Galliani Anna Genco Sira Serenella Macchietti Anna Marina Mariani Giuseppe Milan Giuliano Minichiello Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato Milena Santerini Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello

Giuseppe Milan (caporedattore) Luca Agostinetto Mirca Benetton Chiara Biasin Carla Callegari Alessandra Cesaro Mino Conte Emma Gasperi Paola Milani Emanuela Toffano Patrizia Zamperlin Orietta Zanato Comitato Editoriale

Diega Orlando Cian Mino Conte Emma Gasperi Giuseppe Milan Emanuela Toffano

Peer-review

Gli articoli ricevuti dalla Redazione sono sottoposti, in forma anonima, al parere di due membri del Comitato di Referee, le cui decisioni sono inappellabili. In caso di richiesta di integrazioni o correzioni, gli articoli sono rinviati agli autori, che dovranno apportare le modifiche necessarie. Studium Educationis, fondata e diretta da Diega Orlando, professore emerito di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Padova, è uscita come bimestrale, con regolarità, dal 1996 a tutto il 2000. A partire dall’anno successivo ha assunto cadenza quadrimestrale. Quattro anni fa la rivista è passata dalla casa editrice Cedam alla casa editrice Erickson, giungendo infine, a partire dal 2011, alla casa editrice Pensa MultiMedia. Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 1520 del 19 luglio 1996 ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Finito di stampare Febbraio 2014 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata


Comitato di Referee

Giuditta Alessandrini Sergio Angori Roberta Caldin Paolo Calidoni Mirella Chiaranda Giorgio Chiosso Gino Dalle Fratte Renato Di Nubila Agustin Escolano Benito Luciano Galliani Anna Genco Alberto Granese Maria Luisa Iavarone Daniele Loro Sira Serenella Macchietti Susanna Mantovani

Umberto Margiotta Anna Marina Mariani Giuseppe Milan Marco Milella Giuliano Minichiello Ferdinando Montuschi Agostino Portera Jean-Pierre Pourtois Roberto Roche Olivar Luisa Santelli Beccegato Milena Santerini Concetta Sirna Carla Xodo Giuseppe Zago Giuseppe Zanniello

Segreteria di Redazione

Luca Agostinetto luca.agostinetto@unipd.it

Numero a cura di

Mino Conte Emma Gasperi

La Redazione accetta articoli da sottoporre al Comitato di Referee solo da abbonati o da chi sottoscriverà l’abbonamento alla Rivista.

Editore Pensa MultiMedia Editore s.r.l. – Via A.M. Caprioli, 8 - 73100 Lecce tel. 0832.230435 – fax 0832.230896 info@pensamultimedia.it – www.pensamultimedia.it Abbonamenti Enti / Scuole / Istituzioni: Italia euro 60,00 • Estero euro 80,00 • online 50,00 Privati: Italia euro 45,00 • Estero euro 65,00 • online 35,00 Studenti universitari: Italia euro 30,00 • Estero euro 50,00 • online 20,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: Licosa S.p.A. – Signora Laura Mori – Via Duca di Calabria, 1/1 – 50125 Firenze Tel. +055 6483201 - Fax +055 641257 La rivista, consultabile in rete, può essere acquistata nella sezione e-commerce del sito www.pensamultimedia.it Le note editoriali della rivista sono disponibili nel sito www.pensamultimedia.it


INDICE

7

Diega Orlando Cian Ricordo di Fabrizia Antinori

9

Marit Honerød Hoveid European Educational Research – Constraints and Possibilities Mino Conte Il sorvegliante globale e l’educazione come anacronismo Francesca Oggionni La supervisione pedagogica nel lavoro educativo Gabriella Calvano La “Carta della Terra”: implicazioni etiche e prospettive pedagogiche

23 37 51

65 75

85 97

Alessandra Gregianin Educatori e rapporti intergenerazionali giovani-anziani Chiara Bove, Piera Braga, Silvia Cescato Semantiche personali e processi riflessivi negli educatori. Analisi di una storia di formazione Emanuela Toffano Martini Il “Museo dell’Educazione” dell’Università di Padova: 19932013. Due decenni di ricerca e formazione Sira Serenella Macchietti Dagli “Orientamenti” del 1991 ad oggi.Ventidue anni di storia della scuola dell’infanzia

111 Sara Serbati, Paola Milani Progetto educativo 115 Giuseppe Milan Le “pagelle” OCSE: risultati in chiaroscuro 117 Emma Gasperi “Ottobre: mese dell’anziano”, un’iniziativa della Provincia di Rovigo


119 Carla Callegari Convegno di studi “Il Positivismo a Padova tra egemonia e contaminazioni (1880-1940)” Padova 28 - 29 ottobre 2013 121 Rinalda Montani IX Convegno internazionale sulla Qualità dell’integrazione scolastica e sociale Rimini 8 - 10 novembre 2013

123

(a cura di) Emma Gasperi Giorgia Pinelli Luca Agostinetto

Luca Agostinetto • Università degli Studi di Padova Chiara Bove • Università degli Studi di Milano Bicocca Piera Braga • Università degli Studi di Milano Bicocca Carla Callegari • Università degli Studi di Padova Gabriella Calvano • Università degli Studi di Bari Silvia Cescato • Università degli Studi di Milano Bicocca Mino Conte • Università degli Studi di Padova Emma Gasperi • Università degli Studi di Padova Alessandra Gregianin • Università degli Studi di Padova Marit Honerød Hoveid • Norwegian University of Science and Technology Sira Serenella Macchietti • Università degli Studi di Siena Giuseppe Milan • Università degli Studi di Padova Paola Milani • Università degli Studi di Padova Rinalda Montani • Università degli Studi di Padova Francesca Oggionni • Università degli Studi di Milano Bicocca Diega Orlando Cian • Università degli Studi di Padova Giorgia Pinelli • Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna Sara Serbati • Università degli Studi di Padova Emanuela Toffano Martini • Università degli Studi di Padova



Ricordo di Fabrizia Antinori

di Diega Orlando Cian

È naturale, da parte dei colleghi e amici pedagogisti della sede patavina, ricordare la figura e l’opera di Fabrizia Antinori, già ordinario di Pedagogia e Direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione, per lunghi anni partecipe del dibattito pedagogico. Tutti quelli che l’hanno conosciuta possono testimoniare che cosa abbia significato per Lei la relazione educativa reale, ‘volto a volto’, sia con i giovani sia con gli adulti: quel suo volto sempre gioioso e schietto, aperto al dialogo con tutti, nel quale trasparivano sia la massima comprensione della situazione concreta sia l’adesione totale, convinta e argomentata, ai suoi principi pedagogici. In Fabrizia Antinori, difatti, coincidevano vita reale, testimonianza concreta e convincimenti teoretici. Credeva nel rinnovamento continuo, nella possibilità di un cammino umano verso il ‘meglio’ attraverso l’educazione, nella stessa ridefinizione della pedagogia per rendersi più adeguata ai tempi odierni, nell’opportunità, in ogni tempo e ambiente e in ogni stagione della vita, di progettare e realizzare in modo nuovo i principi e gli ideali educativi. Anche dopo il suo collocamento a riposo non si è mai fermata nel ‘fare’ formazione e educazione con bambini, giovani e adulti. Non a caso, a riprova della sua fiducia in un rinnovamento umanizzante, nel suo volume La lezione pedagogica della scienza (Franco Angeli, Milano, 1988) Ella rileva il contributo che l’odierna epistemologia scientifica può offrire alla scienza pedagogica, perché possa smascherare fini extrapedagogici o tendenze totalizzanti, fondarsi sul rigore e sulla coerenza, misurarsi con i fatti, rivedere anche i suoi principi, imparare dai propri errori, aprirsi all’impegno e all’avventura, considerare la conoscenza non come fine a se stessa ma come mezzo soprattutto di comprensione: una scienza pedagogica, insomma, disposta anche a ricominciare da capo. Di qui l’avventura di Fabrizia Antinori proprio nell’attività concreta del sociale, dove i principi hanno la possibilità di confrontarsi e di realizzarsi, di diventare il quotidiano. Nasce così la sua collana ‘Pedagogia per il territorio’, edita dalla Cleup di Padova, di cui danno testimonianza emblematica i titoli stessi dei volumi, tutti usciti nell’anno duemila, a conclusione di un lungo lavoro: Legislazione e tipologia dei servizi sociali; Disagio, lavoro di cura e relazione di aiuto; Disabilità: quadro teorico e percorsi di integrazione; Autonomia, formazione


e inserimento lavorativo dei disabili; Disagio giovanile, famiglia, comunità;Terzo settore, associazionismo e ruolo del volontariato. È opportuno sottolineare che autori ne sono non solo i professori universitari ma anche gli operatori sul campo: un’altra sicura testimonianza del convincimento di Fabrizia Antinori che la pedagogia abbia il suo nucleo fondamentale nel necessario intreccio tra teoria e pratica, tra idee e fatti. Io l’ho conosciuta e stimata, ho lavorato con Lei, avendola invitata a lasciare la scuola secondaria per dedicarsi alla ricerca universitaria. Nel 1979 ho partecipato con Lei al gruppo italiano chiamato a elaborare un testo che rendesse giuridicamente vincolante la Dichiarazione del 1959, che diventò, poi, nel 1989, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Ma, come me, sono sicura che tutti coloro che l’hanno conosciuta possono testimoniare la sua umana simpatia unita al rigore scientifico, all’impegno morale e sociale che Fabrizia Antinori ha sempre rivelato nel suo ‘costruire’ e ‘fare’ pedagogia: un insegnamento, questo, cui oggi i giovani possono attingere per diventare gli educatori di domani.


European Educational Research – Constraints and Possibilities

di Marit Honerød Hoveid

Abstract L’articolo è dedicato all’attuale evoluzione verso la standardizzazione dei sistemi d’istruzioneeducazione nazionali nel quadro europeo.Tale tendenza spinge la ricerca educativa a diventare uno strumento per produrre conoscenza attorno alle modalità attraverso cui poter realizzare pratiche educative sempre migliori ed efficaci. Se l’istruzione-educazione è pensata per realizzare un obiettivo più ampio della qualificazione della forza lavoro, la mia tesi è che i ricercatori in ambito educativo devono poter impiegare come un punto di forza la pluralità e la complessità degli approcci di ricerca esistenti nel loro campo. Ciò presuppone comunicazione tra loro e una critica auto-riflessiva tra tutte le diverse componenti della ricerca educativa. Questo è un compito difficile. Un possibile luogo per svilupparlo è lo spazio offerto dalla Conferenza Europea sulla Ricerca Educativa (ECER) Parole chiave: educazione, ricerca educativa, standardizzazione, riflessività, ECER In this article the current development toward standardisation of national education systems in Europe is addressed. This development pushes educational research into an instrument for the provision of knowledge about better and more effective education. If education is thought to serve a wider objective than that of qualification of a work force, my argument is that educational researchers have to use the already complex and diverse research approaches within the field as a strength.This presupposes communication and a self-reflexive critique between all the different strands of educational research.This is a difficult task. A possible place for this to develop is the space provided by the European Conference on Educational Research (ECER) Key words: education, educational research, standardisation, reflexivity, ECER

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Il sorvegliante globale e l’educazione come anacronismo

di Mino Conte

Abstract L’articolo esamina criticamente il fenomeno del monitoraggio della vita quotidiana, in particolare attraverso la Rete e i network sociali, e la conseguente“datificazione” e “digitalizzazione”della persona umana, delle sue relazioni, attitudini e scelte. Il corpo digitale è un corpo oggettivato, sorvegliato, controllato, che attivamente e spesso inconsapevolmente partecipa alla sua produzione e riproduzione elettronica. L’educazione è chiamata a prendere in seria considerazione le nuove forme di disciplinazione di massa, a riconoscerle come tali, mettendo in questione gli approcci correnti e le retoriche giustificative, ed assumendo il rischio dell’anacronismo, inteso come premessa pedagogica per ripensare il significato della libertà, del cambiamento personale e comunitario reale, riscoprendo il tempo della non omologazione per la generazione della forma umana inedita. Parole chiave: datificazione, sorveglianza, cambiamento, educazione, libertà The article first critically considers the monitoring of everyday’s life, in particular throught the Web and the social networks, and the consequent “datification” and “digitalization” of the human being, including its relations, dispositions and choices. The digital body is an objectified body, watched, controlled, that actively and often unaware participates in its electronic production and reproduction. Education has to consider seriousely those new forms of mass disciplination, questioniong the main stream justifying approaches, and assuming the risk of the anachronism, conceived as the condition to rethink the meaning of the personal freedom, of the personal and social real change, discovering again the time of non-homologation for an “inedited” human flourishing. Key-words: datification, surveillance, change, education, freedom

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


La supervisione pedagogica nel lavoro educativo

di Francesca Oggionni

Abstract La supervisione pedagogica è uno strumento metariflessivo che attiva processi di analisi delle pratiche educative dal punto di vista dell’intenzionalità e della progettualità. È una risorsa irrinunciabile nel lavoro educativo per le équipe, la tenuta dei servizi e la continua riprogettazione degli interventi. È uno strumento che stimola pensiero critico su identità, ruolo e professionalità dell’educatore, permettendogli di concettualizzare saperi acquisiti sul campo e di interconnettere teorie e strategie d’intervento. Parole chiave: supervisione, supervisione pedagogica, professionalità educativa, riflessività, équipe Pedagogical supervision is a meta-reflective tool that activates analytical processes on educational practices by focusing on intentionality and planning. It is an indispensable supportive resource in educational work for teams, for the maintenance of services and the continuous re-planning of interventions. It is a tool that stimulates critical thinking on educator’s identity, role and professionalism, enabling him/her to conceptualize knowledge acquired on the field and to interconnect theories and strategies of intervention. Key words: supervision, pedagogical supervision, educational professionalism, reflection, working team

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


La “Carta della Terra”: implicazioni etiche e prospettive pedagogiche

di Gabriella Calvano

Abstract I cambiamenti sociali, economici e ambientali in atto chiedono alla pedagogia di porsi nella prospettiva della sostenibilità e di diventare essa stessa sostenibile. Vi è ancora, tuttavia, una certa difficoltà nell’individuare una definizione univoca di sostenibilità, con la conseguente difficoltà da parte del mondo educativo a costruire percorsi adeguati ed efficaci. La ‘Carta della Terra’, analizzata in questo studio, esplicita, attraverso principi chiari e sintetici non solo cosa si intenda per sostenibilità e quali siano gli aspetti che la caratterizzano, ma anche quali debbano essere gli elementi propri di un nuovo modo di intendere la riflessione e l’azione pedagogica se si vuole cominciare a costruire (nell’ambito formale, non formale e informale dell’educazione) percorsi capaci di futuro. Parole chiave: sostenibilità, educazione ambientale, Carta della Terra, etica Social, economic and environmental changes taking place charge to pedagogy to have sustainability point of view and to become sustainable itself. However, there is still a problem to identify an univocal definition of sustainability and it originates the consequence that educational world doesn’t build appropriate and effective educational paths. The ‘Earth Charter’, analyzed in this study, puts in evidence what is sustainability and which are the elements that characterize it. It also underlines elements of a new pedagogical reflection and action, if we want to build paths that are able to future. Key words: sustainability, environmental education, Earth Charter, ethics

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Educatori e rapporti intergenerazionali giovani-anziani

di Alessandra Gregianin

Abstract Il presente contributo, prendendo a riferimento gli orientamenti internazionali in tema di promozione della cultura dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, sofferma la sua attenzione sui progetti intergenerazionali di ambito italiano che nello specifico favoriscono la reciproca conoscenza e la condivisione tra giovani e anziani. In merito si avanza una proposta progettuale che evidenzia in quali termini l’educatore, avvalendosi della partecipazione attiva e della collaborazione della generazione giovanile e di quella anziana, possa contribuire alla promozione umana e sociale del senescente in condizione di fragilità relazionale e alla sua integrazione nella comunità di appartenenza. Parole chiave: invecchiamento attivo, solidarietà intergenerazionale, educatore, anziani, giovani Taking as its reference point international efforts to promote “active aging” projects and intergenerational solidarity, this work focalizes on those that are being carried out within the Italian society which specifically foster reciprocal knowledge and exchange across generations. Exploiting an intergenerational approach, the project proposed here intends to assist educators who can contribute to the human promotion of elderly persons living in fragile social conditions by helping them to attain integration in the community at large. Key words: Active aging, intergenerational solidarity, elderly, young people

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Semantiche personali e processi riflessivi negli educatori. Analisi di una storia di formazione

di Chiara Bove, Piera Braga, Silvia Cescato

Abstract Il rapporto tra esperienza e riflessione è una specie di filo rosso nel dibattito pedagogico sulla formazione degli educatori che pone la riflessività tra i capisaldi della competenza professionale. È ormai assunto condiviso l’idea che l’esperienza da sola non basta, non si impara facendo se non si ragiona-riflette (secondo la nota logica dell’indagine deweyana) su quello che si fa. Eppure non è cosi immediato collegare i due ambiti; l’elaborazione intelligente sulla pratica necessita di sostegno: contesti, metodi, strumenti. Nell’articolo apriremo una riflessione sui metodi per la formazione illustrando una storia di formazione, riletta e discussa a partire dall’analisi delle semantiche personali che emergono dall’analisi testuale del processo di pensiero sull’esperienza della protagonista. Parole chiave: formazione, infanzia, riflessività, schema-analysis, videoricerca The relationship between experience and reflection is a kind of continuous thread in the pedagogical debate regarding teacher training, where reflection is among the tenets of professional competence. Widely-shared ideas hold that the experience alone is not enough, and “learning by doing” requires reasoning and reflection (according to Deweyian logic) on what is being done.Yet the link between the two areas is not so obvious; the intelligent processing of practice needs support: contexts, methods, tools. In this article we consider teacher training methods using a teacher’s story as an example, reconsidered and discussed in light of the analysis of the personal semantics that emerge from the subjects’ thinking processes regarding her experiences. Key Words: training, childhood, reflexivity, schema-analysis, video-research

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Il “Museo dell’Educazione” dell’Università di Padova: 1993-2013. Due decenni di ricerca e formazione

di Emanuela Toffano Martini Abstract Il Museo dell’Educazione dell’Università di Padova ha raggiunto, nel 2013, i vent’anni di vita. Quest’arco temporale suggerisce di tracciare una sintesi su quanto realizzato lungo varie e complementari dimensioni di impegno: raccolta e conservazione del patrimonio storico-educativo soprattutto dell’Ottocento e del Novecento; fonte e sostegno per la ricerca in diversi ambiti disciplinari; insieme composito di iniziative in campo educativo e formativo; divulgazione scientifica presso il vasto pubblico. Ne emerge un quadro di articolata complessità sull’educazione, come processo globale e trasversale a contesti formali e non formali, di proficua relazionalità, attraverso contatti dal piano locale a quello internazionale, di creativa vitalità, per un approccio via via più adeguato allo spirito educativo di ambiti di vita coesistiti e succedutisi nel tempo. A nome del Centro di Pedagogia dell’Infanzia della medesima Università, legato al Museo dalla sua fondazione, lo scritto intende esprimere profondo apprezzamento per una realtà che ha saputo custodire e coltivare la memoria aprendosi al nuovo.

The Museum of Education at the University of Padua celebrated its 20th anniversary in 2013. This achievement is a good occasion to trace a summary of what has been realised through various and complementary commitments: collection and preservation of historical-educational heritage mainly of the 19th and 20th Centuries; source and support for research in several fields of learning; heterogeneous combination of educational and formative initiatives; scientific divulgation among the vast public. There emerges a framework of articulate complexity on education, intended as a global process, crossing formal and informal contexts, a framework characterised by fruitful relationality through contacts at local and international level and by creative vitality, aimed at an approach more and more appropriate to the educational spirit of life contexts, coexisted and occurred in the past. On behalf of the University’s Centre of Childhood Pedagogy, tied with the Museum since its foundation, the essay is aimed at expressing deep appreciation for a reality, that has been able to conserve and cultivate memory, while opening to the new. Key words: preservation of historical-educational heritage, education and formation, scientific research, scientific divulgation

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014

dossier

Parole chiave: conservazione del patrimonio storico-educativo, educazione e formazione, ricerca scientifica, divulgazione scientifica


Dagli “Orientamenti” del 1991 ad oggi. Ventidue anni di storia della scuola dell’infanzia

di Sira Serenella Macchietti Abstract L’articolo presenta una dettagliata lettura dei Documenti Ministeriali che hanno orientato la stagione di riforme della scuola dell’infanzia dal 1991 ai giorni nostri. Se gli Orientamenti del 1991 riconoscevano alla scuola dell’infanzia la piena autonomia pedagogica, le Indicazioni del 2002 testimoniavano l’antropologia personalista che le ispirava, prevedendo i “piani personalizzati” e prendendo le distanze dalle impostazioni scolasticistiche e disciplinaristiche. Il Documento Indicativo del 2007 aggiungeva tra le priorità lo sviluppo della cittadinanza, chiedendo alla scuola di proporsi come ambiente di relazioni, cura e apprendimento. Le Indicazioni Nazionali del 2012 a loro volta hanno proposto l’immagine del bambino competente. Ma per far crescere la “cultura dell’educazione” è imprescindibile che gli insegnanti posseggano sensibilità educativa e intelligenza pedagogica, non risolvendosi il loro compito nella mera adozione di strategie didattiche ma chiedendo, al contrario, chiarezza di idee sul significato e sul senso dell’educare e dell’aiutare i bambini a coltivare la loro umanità e quindi a diventare “persone”.

The article presents a detailed reading of the National Recommendations and Orientations concerning the infant school from 1991 until now.The 1991 Orientations allowed to schools a full educational authonomy, and the 2002 Recommendations showed their personalistic inspiration through the “personalized plannings”, hanging down any scholasticism and narrow disciplinaristic approach. In 2007 the reform process added between the priority the citizenship development, asking to schools to act as relations, care and learning environments. In 2012 emerged the image of the “competent child”. But the growth of a real “educational culture” at school is striclty linked to the teacher’s educational sensitiveness and understanding.Their rule can’be reduced to the mere implementation of learning strategies. On the contrary it must be conceived by putting at the center clear ideas about the meaning and the sense of education that consists to help children in cultivating their humanity and thus to become persons. Key Words: infant school, teachers, educational culture, person

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014

dossier

Parole chiave: scuola dell’infanzia, insegnanti, cultura dell’educazione, persona


Progetto educativo

di Sara Serbati, Paola Milani

Il progetto educativo (p. e.) richiama l’atto del tirar fuori (dal latino: [e] fuori e [duco] condurre) verso ciò che viene gettato in avanti (dal latino: [pro] avanti [jacere] gettare). Riguarda dunque un’azione verso la realizzazione di quell’esser-ci che è proiettato avanti, in un futuro che realizza le potenzialità e le risorse della persona. Il rimando etimologico inscrive il p. e. all’interno della riflessione che riguarda l’educabilità umana, sul cui significato appare dunque prioritario soffermarsi. Diega Orlando (1997, pp. 30-31) scriveva: «l’educazione è [...] un ambito che riguarda le risorse di ciascuno, anzitutto la sua diversità come risorsa, che [...] è la sua educabilità come conquista, come apertura alle possibilità di orientarsi verso la propria meta. È il cosiddetto “uomo inedito” (homo ineditus o absconditus), quel livello che rappresenta tutta la gamma di possibilità non ancora attuate o scelte, in rapporto dialettico con l’“uomo edito”». Qui Diega Orlando lascia riecheggiare i grandi classici della Pedagogia e non solo: dalla maieutica di Socrate all’educazione universale di Comenio, dalla promessa di Ricoeur alla decisione di Heidegger. Aristotele nell’Etica Nicomachea traduceva la realizzazione dell’essere uomo con la felicità e per essere felici, secondo il filosofo, è necessario vivere e agire bene, cioè “vivere secondo virtù”, che concerne la conquista delle «ragioni per agire in un modo piuttosto che in un altro, per essere capace di valutare tali ragioni, di rivederle o di abbandonarle, per sostituirle con altre» (MacIntyre, 2001, p. 12). Ed è nella ricerca di questa vita buona che la persona diviene autrice e protagonista, “modello a se stesso” direbbe Froebel (1960). Dunque, il p. per essere e., non parte da “criteri di razionalità assoluta”, ma si realizza in un continuo dialogo che avviene all’interno della relazione educativa, tra gli attori implicati, dove l’educatore è chiamato ad aprire al-

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Le “pagelle” OCSE: risultati in chiaroscuro

L’Ocse ha recentemente pubblicato i risultati delle indagini PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) e PISA (Programm for International Student Assessment). La prima è stata realizzata in 24 nazioni su un campione di 157.000 persone di età compresa tra i 16 e i 65 anni, con l’obiettivo di misurare i livelli di competenze funzionali a un proficuo rapporto con il mondo del lavoro, in un contesto che vede macroscopiche trasformazioni provocate dalla rivoluzione tecnologica. In questo caso la “pagella” del nostro Paese è allarmante, soprattutto per quanto riguarda le competenze linguistiche e matematiche: all’interno di una scala 0-500, il nostro punteggio medio è pari a 250 per le competenze alfabetiche e a 247 per quelle matematiche, mentre la media Ocse è rispettivamente di 273 e 269. Come sempre, un nostro punto debole è la capacità di lettura (241, contro i 273 Ocse): una conferma di quanto sostiene Tullio De Mauro, per il quale un quarto degli italiani sono “analfabeti funzionali”, incapaci di “leggere” e di interpretare adeguatamente un articolo di giornale o la pagina di un libro. Notizie più incoraggianti ci arrivano invece dall’indagine PISA, realizzata in 65 Paesi, che ha esaminato le competenze in matematica, scienze e lettura di oltre mezzo milione di studenti quindicenni (oltre 38.000 in Italia). È vero che ci collochiamo ancora al di sotto della media Ocse (tra la 30esima e la 35esima posizione in matematica, tra la 26esima e la 34esima in lettura, tra la 28esima e la 35esima in scienze), tuttavia rispetto alle rilevazioni del 2003 risultano piccoli passi in avanti nella comprensione di un testo scritto e netti miglioramenti in scienze (18 punti in più) e in matematica (20 punti). Proprio in matematica l’Italia registra i progressi più rapidi rispetto ai Paesi partecipanti, avvicinandosi notevolmente alla media Ocse. Non vanno trascurate le varie disparità “di genere” (i maschi superano

© Pensa Multimedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014

115


116

le femmine di 18 punti in matematica, un gap che rimane stabile dal 2003 e che risulta assai più ampio rispetto a quello della media Ocse) e “di luogo” (forti differenze nel nostro paese tra Nord e Sud), che evidenziano la necessità di specifiche iniziative per superare tali anomalie. Ai dati delle suddette indagini potremmo aggiungere quelli della ricerca Ocse “Education at a glance” sugli abbandoni scolastici dei 1519enni, che da noi si attestano intorno al 18%. In quest’ambito, una specifica emergenza è quella rappresentata dai giovani NEET (Not in Education, Employement or Training: 16-29enni che non lavorano, non studiano, non affrontano nessun tipo di formazione professionale), le cui competenze globali risultano ancora più basse di quelle dei loro coetanei impegnati a scuola o nel lavoro. È chiaro, di fronte alla problematica complessiva che stiamo considerando non sono ammessi atteggiamenti consolatori, giustificati dalla costatazione che in alcuni ambiti appaiono miglioramenti che fanno ben sperare. Bisogna invece rimboccarci le maniche, sapendo che le risorse economiche per la scuola e la cultura, leggermente accresciute in quest’ultimo periodo, sono certamente utili ma non sufficienti. Sicuramente va posto l’accento su una formazione-insegnanti che riguardi la competenza nella didattica delle discipline ma, ancor prima e soprattutto, le competenze relazionali, interpersonali e sociali. Sono queste, infatti, che creano negli studenti la motivazione, la spinta a imparare e a impegnarsi. Sono queste che sollecitano gli insegnanti stessi a collaborare insieme, a mettere in atto una didattica interdisciplinare e cooperativa, a superare la frequente dicotomia scuola-vita (che gli studenti soffrono), a promuovere il senso dell’impegno e della responsabilità, valori che non si insegnano a parole ma con la testimonianza viva e con l’evidente intenzionalità a migliorare, a partire proprio da se stessi. Serve poi un recupero di protagonismo creativo, da parte delle varie istituzioni ma anche dei singoli cittadini, in un contesto culturale troppo spesso anestetizzato dall’onnipotenza dei modelli esteriore-materialistico e tecnologico-massmediale, che in molti casi inibiscono il mondo “interiore”, placano la curiosità e innalzano anche a scuola il tasso di noia, di depressione, di fallimento. Un’ultima considerazione o, meglio, un dubbio: queste indagini studiano, in particolare, le competenze “essenziali per una piena partecipazione alla società moderna” e “funzionali” al mondo del lavoro. Viene da chiedersi: non si corre il rischio di trascurare – o di non dare la dovuta importanza – a certe dimensioni, forse meno “funzionali”, che riguardano il mondo dei valori, dei sentimenti, dell’arte? Sono aspetti difficilmente “misurabili”, che sfuggono facilmente alla possibilità di essere oggetto di ricerca e valutazione secondo i parametri prevalenti. Anche questi, tuttavia, costituiscono la base culturale di una nazione.


“Ottobre: mese dell’anziano”, un’iniziativa della Provincia di Rovigo

di Emma Gasperi

Il primo ottobre si celebra la giornata internazionale dell’anziano, istituita dall’Onu nel 1990 con una serie di intenti che l’anno successivo hanno trovato sistemazione nella risoluzione numero 46:“Principi delle Nazioni Unite per le Persone Anziane” (The United Nations Principles for Older People). In tale documento sono stati fissati gli aspetti fondamentali su cui sensibilizzare l’opinione pubblica in questa ricorrenza; si tratta di diciotto principi raggruppati intorno a cinque parole chiave – indipendenza, partecipazione, cura, realizzazione personale e dignità degli anziani – che i governi sono stati invitati a includere nei loro programmi nazionali. Collocandosi in questa prospettiva, dal 2009 la Provincia di Rovigo ha stipulato un protocollo di collaborazione con molti comuni, associazioni e aziende, per fare del primo ottobre un’occasione di riflessione e confronto intorno a una fascia della popolazione che in questo territorio oggi rappresenta circa il 24% di quella complessiva, ma che fra non molti anni, nel 2050, è destinata a raggiungere il 35%. Il suo impegno, però, non si è fermato qui. L’anno dopo l’Assessorato Provinciale alle Politiche Sociali e Famiglia ha dato vita a un’iniziativa unica nel suo genere in Italia, istituendo Ottobre: mese dell’anziano, un ricco calendario di incontri (convegni, seminari, conferenze, tavole rotonde, spettacoli) volti ad aumentare il coinvolgimento della terza età nella vita sociale, a diffondere sani stili di vita fra le persone attempate, a migliorare la loro autonomia, ad accrescerne l’autostima, a mantenerle il più a lungo possibile nelle loro case e da ultimo, ma non meno importante, a promuovere la solidarietà tra le generazioni. Da allora l’assessore Marinella Mantovani, manifestando una particolare sensibilità nei confronti di questa fascia d’età, si va prodigando per ampliare sempre più un lavoro di rete cui partecipano i comuni, alcune fondazioni che si occupano di soggetti in età avanzata, i sindacati dei lavoratori in pensione, il volontariato di settore, le aziende socio-sanitarie, le case di riposo, svariati attori sociali che gravitano attorno al “pianeta anziani” e, dal 2012, anche il Consorzio Universitario di Rovigo e il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Padova, che nell’ambito della terza edizione dell’iniziativa in questione hanno organizzato un riuscitissimo convegno sulla formazione dell’educatore nella promozione dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, cui hanno partecipato più di quattrocento persone e del quale sono stati presentati gli atti (L’educatore, l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni, Lecce – Brescia: Pensa MultiMedia) nell’edizione del 2013. In quest’ultimo frangente si sono succeduti più di quaranta eventi: oltre ai consueti numerosi appuntamenti sull’invecchiamento attivo e sull’assistenza, e ai tradizionali momenti riservati all’educazione permanente e all’animazione, si sono tenuti degli incontri su Gli anziani e il rapporto con il gioco d’azzardo ed è stata accordata un’attenzione speciale alla tematica dell’Alzheimer, cui sono stati dedicati un convegno e parecchi seminari – che hanno spaziato dalle problematiche dei caregivers alle buone pratiche di alcuni centri specializzati – e a conclusione il recital Io madre di mia madre, in cui Daniela Poggi, basandosi sul proprio vissuto nonché su Mia madre. La mia bambina di Tahar Ben Jelloun e Una morte dolcissima di Simone de Beauvoir, ha dato corpo e voce all’esperienza diretta del rapporto con le persone affette da questa devastante patologia.

Emma Gasepri


Convegno di studi “Il Positivismo a Padova tra egemonia e contaminazioni (1880-1940)” Padova 28 - 29 ottobre 2013 di Carla Callegari

Nelle giornate del 28 e 29 ottobre 2013 si è tenuto presso la sala dell’Archivio Antico dell’Università di Padova il Convegno di studi Il Positivismo a Padova tra egemonia e contaminazioni (1880-1940) che ha indagato, in prospettiva interdisciplinare, il Positivismo patavino nei suoi rapporti locali e internazionali. Alcuni interventi (Del Negro, Rippa Bonati e Zampieri) hanno tracciato un quadro generale all’interno delle discipline scientifiche, altri (Minelli, Canadelli, Martinelli) sono stati dedicati a personalità significative nell’ambito dell’antropologia. Nel delineare il positivismo scientifico si è parlato di Giovanni Canestrini che ha avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione e nella diffusione delle teorie di Darwin in Italia, traducendo le opere dello studioso inglese e diffondendo il suo pensiero. La seconda parte del Convegno ha visto invece i relatori impegnati in una lettura plurale del Positivismo patavino all’interno delle scienze umane: Frigo ha svolto una relazione sull’interpretazione data da Roberto Ardigò (filosofo fondatore della scuola positivista patavina) della psicologia sperimentale di Wilhelm Wundt e ha messo in luce come Ardigò abbia inteso comparare le sue dottrine a quelle del filosofo tedesco in una visione non priva di un elemento patriottico. Mecacci ha delineato la nascita, alla fine dell’Ottocento, della psicologia e la sua diffusione attraverso la costruzione di laboratori di psicologia sperimentale e la circolazione di riviste specialistiche, sottolineando come autori italiani, da Benussi a Musatti, allo stesso Ardigò, pur originali, siano rimasti piuttosto isolati dal contesto europeo, forse anche perché condizionati dallo scontro con filosofi come Croce, Gentile e Gemelli. Quaranta ha poi fornito una panoramica precisa e puntuale sulle interpretazioni date da alcuni autori – Tarozzi, Troilo, Marchesini, Limentani – della scuola positivista fondata da Ardigò durante la sua permanenza a Padova: alcuni si sono mantenuti fedeli alle teorie del Maestro, altri, più o meno esplicitamente, hanno elaborato propri orientamenti che li hanno progressivamente allontanati da quelle teorie. In tutti sembra prevalere, per quanto riguarda la dimensione etica, una significativa finezza di argomentazioni.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


Zago ha delineato il pensiero di Giovanni Marchesini, uno dei più autorevoli allievi di Ardigò, evidenziando come il problema pedagogico sia stato al centro del suo pensiero e come, attraverso un progressivo distanziamento dal Maestro e l’elaborazione della teoria filosofica e pedagogica del “come se”, sia approdato a esiti di ricerca personali. Zago ha concluso il suo intervento sottolineando come il pensiero di Marchesini abbia rappresentato il tentativo di superare la crisi positivista – crisi etica e pedagogica – attraverso un Positivismo “critico” o “idealistico”. Questa teoria è stata un compromesso senz’altro scomodo, ma non privo di significativi e importanti approfondimenti culturali. Valsecchi ha delineato poi le caratteristiche della scuola giuridica padovana tra Positivismo e Idealismo. Nel pomeriggio, dopo gli interventi di Peron e di Moretti, si è svolta un’interessante tavola rotonda (partecipanti Piaia, Bottazzini, Marhaba, Pancaldi, Poggi), dalla quale sono emersi spunti di analisi per comprendere meglio il Positivismo in tutti i suoi aspetti.

Carla Callegari


IX Convegno internazionale sulla Qualità dell’integrazione scolastica e sociale Rimini 8 - 10 novembre 2013 di Rinalda Montani

Da venerdì 8 a domenica 10 novembre, presso il Palacongressi di Rimini, si è tenuto il IX Convegno internazionale sulla Qualità dell’integrazione scolastica e sociale, organizzato dal Centro Studi Erickson con la direzione scientifica di Andrea Canevaro (Università di Bologna), Dario Ianes (Libera Università di Bolzano) e Roberta Caldin (Università di Bologna). Il quadro culturale e scientifico del Convegno ha posto al centro del dibattito la costruzione di didattiche inclusive e intrecci nel territorio. Come da tradizione, i tremila partecipanti sono stati coinvolti in un crogiuolo di tematiche aventi come filo conduttore la didattica e l’inclusione sociale. Si è percepita la comunità professionale di docenti, dirigenti, educatori, psicologi, logopedisti, operatori socio-sanitari e associazioni, attenta alle questioni emergenti dei BES, dei DSA e del ruolo degli insegnanti di sostegno e non, nella scuola. Le innovazioni e le buone prassi hanno trovato visibilità e concretezza negli 82 workshop distribuiti tra le seguenti aree tematiche: Bisogni Educativi Speciali; Disturbi Specifici dell’Apprendimento; Disturbi di attenzione/iperattività; Disturbi dello Spettro Autistico; Metodologie Didattiche; Disabilità; Nuove Tecnologie per la Didattica; Logopedia; Psicologia e Educazione. Nelle tre plenarie, studiosi nazionali e internazionali hanno fatto il punto sugli sviluppi della ricerca in merito agli ambiti sopra citati. La componente narrativa ha fatto da sfondo integratore di tutte le giornate, comprese le tre gradevoli proiezioni video di Fabio Bocci e Gianmarco Bonavolontà: Integrazione è …, Il mio Paese …Un dialogo tra Pasolini e Saviano sul nostro tempo e, in chiusura, Sei nell’anima …la figura dell’insegnante tra rappresentazione cinematografica e realtà. Gli interventi degli esperti sono stati intercalati dalla presentazione di opere, autobiografiche, come “Una notte ho sognato che parlavi”, di Gianluca Nicoletti, e “Gatta ci cova? Ve lo spiega un Asperger”, di Giorgio Gazzolo. Grande interesse ha suscitato il nuovo libro di Canevaro dal titolo molto esplicito per chi vuole ben intendere: “Scuola inclusiva e mondo più giusto”. Per cogliere le istanze del mondo della scuola, dopo le direttive ministe-

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (print) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


riali, si è tenuta una tavola rotonda monotematica dedicata ai Bisogni Educativi Speciali (BES). Tra i numerosi partecipanti, si è aperto un acceso dibattito che ha trovato un fermo interlocutore nel rappresentante del MIUR presente al Convegno. Ne è scaturito uno scambio dialettico tra le diverse parti in causa che ha offerto la possibilità di esprimere i diversi punti di vista su questa spinosa questione.Tra divergenze e convergenze è emersa la convinzione che in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo “non serve il lamento”, ma la ricerca di un pensiero condiviso. Roberta Caldin alla conclusione dei lavori ha proposto la lettura dei BES su tre piani: epistemologico, comparativo, operativo. Interessa imparare a leggere bene la situazione a partire dai Documenti Unesco 2000. La dimensione inclusiva richiede interventi di sistema e la via intrapresa dall’Italia si basa proprio sulla ricerca-azione e sulla riflessione pedagogica. Caldin ha ribadito con forza che chi fa ricerca scientifica ha il compito di fermarsi per riflettere e leggere bene le variabili: avere un numero adeguato di alunni per classe; avere due ore settimanali per programmare; essere vigilanti su quella che è la formazione degli insegnanti specializzati e non. Integrare per includere significa avere insegnanti professionisti e non esecutori, riconosciuti nel proprio ruolo di comunità professionale come auspicato dalle Indicazioni nazionali 2012. La Mozione finale, letta da Dario Ianes e Raffaele Iosa, e consegnata ai rappresentanti del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, ha sintetizzato nei seguenti sei punti i nodi problematici, le sfide attuali e future: 1) Dare fiducia alla scuola 2) Rispettare la normalità dell’autonomia 3) Dal conflitto alla mediazione 4) Per una valutazione inclusiva 5) La questione dei BES: per una inclusione vera 6) Per nuove risorse. Cosa ci siamo portati via dal Convegno di Rimini? Un ritrovarsi per ripartire con lo sguardo in avanti verso la X edizione del 2015, uniti dalla passione e dall’impegno di sempre, nonostante tutto … e ricordando a tutti che i nostri alunni disabili sono una parte della scuola e non una scuola a parte.

Rinalda Montani


Marco Milella De-vittimizzare. Dalle trappole della persuasione alla formazione Perugia, Anteo, 2012, pp. 181

Questo testo si propone di riportare all’interno degli ambiti formativi la questione dell’ingiustizia e della sua non sempre facile percezione. Un tale proposito prevede un percorso arduo e articolato: le ingiustizie provocano sempre vittime e la vittimizzazione arriva persino a generare una colpevolizzazione proprio nei confronti di chi ha subìto ingiustizia.Tale colpevolizzazione è il segno più macroscopico, ma anche il più difficile da individuare e da estirpare, di un’ingiustizia. Che ci siano vittime nei processi formativi o che tali processi possano essere coinvolti nei contesti relazionali che fanno da base alla violenza evoca scenari da capogiro. Non si tratta di vittime che sono diventate tali dopo una “lotta” che le ha viste soccombere a forze soverchianti e verso le quali, comunque, rimane il rispetto per essere state sconfitte lealmente. Si tratta, al contrario, di vittime deprezzate e disprezzate, che sembrano già avere tutte le caratteristiche per poter far dire a chiunque che si sono meritate di essere biasimate. La vittima appare colpevole di quello che essa stessa subisce. Anche le parole che si usano per descriverla al massimo la compatiscono, ma non riconoscono la sua innocenza. Da qui partono le “indagini” per scoprire perché, invece, la devittimizzazione ha un significato intrinsecamente formativo: ristabilire di

chi è la colpa che viene attribuita alla vittima. In astratto la risposta può sembrare facile: la colpa è del carnefice; concretamente, però, le cose non sono così semplici. I contesti che condizionano e permettono, allo stesso tempo, sia i processi relazionali predisposti alla violenza sia quelli formativi possono – purtroppo – essere orientati a giustificare chi pratica l’ingiustizia, facendola passare per giustizia. Il carnefice, insomma, non si presenta con la maschera del torturatore, ma, molto più spesso, con il sorriso di colui che ha il consenso, persuaso, della “normalità”, dell’ovvietà e la complicità – anche indiretta – di chi non si schiera. Fare formazione, allora, vuol dire comprendere che alla vittima è stata attribuita proprio quella colpa che il carnefice ha commesso e che ha nascosto, incolpandone chi l’ha subita, rendendolo un capro espiatorio. Ecco perché l’Autore propone di adottare il punto di vista della vittima per percepire la realtà, in generale, e per concepire la progettualità formativa, in particolare. Il punto di vista della vittima, infatti, non serve solo a disvelare la sua innocenza, ma può liberare anche chi infligge la violenza dall’auto-inganno che tale violenza sia l’unica e la più sicura modalità per “aver ragione”. Certamente può sembrare un’idea quasi insolita, dal sapore acerbo, persino

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 1722-8395 (in press) / ISSN 2035-844X (on line) Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014


sgradevole: che ci sia una violenza – per lo meno relazionale – anche nei contesti formativi e che, per di più, tale violenza sia data per scontata. Scontata significa anche che essa è presente soprattutto dove non se ne parla, per esempio all’interno delle stesse parole con le quali si fa formazione o persuasione. La violenza, indubbiamente, ha una forza ed è tale forza che corrompe la percezione dell’ingiustizia. Infatti le paure che la violenza incute diventano uno strumento di nefasta persuasione e danno al violento

l’illusione di poter vincere e con-vincere in qualsiasi confronto. A ben vedere, tale illusione coincide con la distruzione di qualsiasi dialogo e di qualsiasi fruizione, in chiave autenticamente formativa, delle capacità retoriche. Proprio a queste il testo fa riferimento, anche analizzando una favola, quella del lupo e dell’agnello, che, a uno sguardo attento, riserva qualche sorpresa circa il dare per scontata la forza della violenza. [di Emma Gasperi]

Andrea Porcarelli Educazione e politica. Paradigmi pedagogici a confronto Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 234

“Osservando gli uomini che allora si dedicavano alla vita politica, e le leggi e i costumi, quanto più li esaminavo ed avanzavo nell’età, tanto più mi sembrava che fosse difficile partecipare all’amministrazione dello Stato, restando onesto”. Il celebre passo della platonica Lettera VII dava voce, più di due millenni fa, a quello che oggi sembra il “comune sentire” rispetto alla sfera del “politico”: Platone stesso evidenzia, nell’intero corpus dei suoi scritti, la stretta connessione tra politica e educazione, tentando di pensarne il fondamento e la praticabilità e originando un “sentiero perenne” di interrogazione, sempre attuale, nel cui solco possiamo idealmente collocare il bel lavoro di Andrea Porcarelli. La serrata riflessione sul tema dell’educazione politica ivi proposta sorge da una fondamentale intuizione: per parlare di “educazione politica” o “civica” è necessario stabilire a monte cosa significhi “educare”; ciò esige a sua volta l’esplicitazione dell’orizzonte antropologico, valoriale e metafisico sul quale riposa ogni costruzione normativa.

Questa intuizione è tradotta in ipotesi di lavoro e verificata attraverso un percorso ragionato, le cui tappe corrispondono ad alcuni “grandi” della pedagogia italiana del Novecento. Intense pagine dedicate ai “laici” Banfi, Bertin e Bertolini (preceduti da Dewey) e ai cattolici Nosengo, Agazzi, Corallo (idealmente introdotti da Maritain) cercano di favorire un incontro, il più possibile diretto, tra costoro e il lettore. Colpisce la ricorrenza di tematiche/ sottolineature (pur nella varietà di appartenenze ideali), ma colpisce ancor più il palesarsi, pagina dopo pagina, di un fondamento ultimo su cui poggiano le costruzioni politico-educative proposte; e proprio la messa a tema dei rapporti intercorrenti tra antropologia, pedagogia e visione socio-politica nelle rispettive costruzioni teoretiche costituisce uno dei punti di forza del saggio. Anche quando non apertamente dichiarata, ciascuno dei testimoni chiamati in causa mostra di possedere una convinzione chiara rispetto a cosa sia il vivere associato o a “chi” sia l’uomo: convinzione talvolta idealizzata come “punto di arrivo”, e non meno “at-

Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014 • recensioni


tiva” e “operante” solo perché implicita. Porcarelli mostra che lo stato di “allarme” in cui educazione e politica versano (e con esse la scuola, punto istituzionale di confluenza tra i due ambiti) è specchio/conseguenza di una più radicale crisi. Nello scenario culturale contemporaneo assurge a valore l’opzione per la “liquidità” rispetto alla definizione di posizioni antropologiche/ontologiche chiare; ma l’assenza di una visione condivisa di “chi” sia l’uomo e “cosa” sia il bene (e il bene comune) genera in campo edu-

cativo soluzioni estemporanee, o, viceversa, tentativi di progettazione “scientifica”, sotto la cui presunta “oggettività” si celano paradigmi teoretici e precomprensioni valoriali. Recuperare con lealtà la lezione dei grandi testimoni, allora, non è assecondare un pur legittimo interesse storico, ma apre a una riappropriazione consapevole del nostro tempo e dell’affascinante sfida offerta, oggi come ieri, dall’educazione nel suo legame col vivere associato. [di Giorgia Pinelli]

Marco Catarci L’integrazione dei rifugiati. Formazione e inclusione nelle rappresentazioni degli operatori Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 158

«Noi abbiamo scoperto che un ragazzo […] era un fine ebanista: però questa cosa prima non era uscita. Lui non lo diceva perché pensava che in questa società questo genere di competenza non fosse utile e invece ora lavora in una falegnameria» (p. 117). Chi sono i rifugiati? Cosa sappiamo realmente di loro, delle realtà da cui fuggono, di ciò che immaginano essere le terre in cui giungono? E come operatori sociali, nei confronti di queste persone, come e per che cosa lavoriamo? Nel suo agile ed efficace lavoro, Marco Catarci risponde a queste e ad altre domande riguardanti il mondo, spesso in ombra, dei rifugiati che giungono nel nostro Paese. Oltre a chiarire con puntualità le terminologie e locuzioni con le quali solitamente li identifichiamo (rifugiati, richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale, migranti forzati e altre), l’Autore presenta una preziosa riflessione critica sull’integrazione sociale, dimensione cruciale sulla quale si giocano le idee di accoglienza e di diritto d’asilo. Anche attraverso il ricorso a un’ottica comparativa (esaminando cosa

al riguardo viene fatto in ambito europeo), vengono messe in luce l’ambiguità e la complessità della nozione di integrazione sociale, la molteplicità dei fattori e degli elementi in cui è implicata (sia di ordine socio-culturale sia di tipo economico-occupazionale) e, infine, la dimensione di reciprocità che in essa deve essere riconosciuta e promossa, non mancando di sottolineare come tale promozione sia decisivamente legata alla qualità dei servizi socio-educativi proposti e, quindi, dei loro operatori. Il cuore del volume è costituito dalla restituzione di un’indagine empirica svolta proprio con gli operatori dei servizi per rifugiati e volta a indagare le loro rappresentazioni della nozione di integrazione sociale. Il confronto con le visioni, le riflessioni e le pratiche della “minoranza etica” (Fofi 2009) costituita dagli operatori è particolarmente istruttivo: l’analisi dei focus group della ricerca evidenzia alcune dimensioni portanti del concetto di integrazione, quali «il ruolo di un contesto pluralista e inclusivo, l’articolazione diacronica in passi progettuali

Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014 • recensioni


[e] l’imprescindibile individualizzazione […], il peso delle competenze di rifugiati e autoctoni […], l’indispensabile ottica di “interdipendenza” connessa alla questione dell’integrazione sociale» (pp. 141142). Tale analisi dischiude alcune importanti linee di indirizzo per i servizi di accoglienza, di ordine finalistico e tecnico-operativo, senza mai dimenticare che l’accoglienza di queste persone non è un fatto derogabile o accessorio: essa rappresenta la tutela di un diritto costituzionale sul quale si misura il valore del-

la società quale comunità umana. «È questo il motivo per il quale i “luoghi dell’integrazione” […] rappresentano oggi un presidio cruciale nella società, a difesa di una democrazia pluralista, solidale e inclusiva» (p. 148). Riconosciamo così che, debitamente accolti, i rifugiati sono la forma di un diritto umano prima che giuridico, sono bambini e adulti, sofferenza e speranza, cittadini e falegnami.

Studium Educationis • anno XV - n. 1 - febbraio 2014 • recensioni

[di Luca Agostinetto]


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.