Guerra nella mia testa

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6 necessità di offrire al chirurgo una visione chiara ed estremamente dettagliata del campo operatorio; in terzo luogo, la reazione del sistema immunitario del paziente alle nanomacchine. E via discorrendo. Ogni singola questione, va da sé, ne sottintendeva numerose altre. Tuttavia, con infinita pazienza e quell’entusiasmo quasi adolescenziale che caratterizza ogni attività della Brainwave Corporation, le risolvemmo una a una. Sicché oggi, 4 luglio 2010, Giorno dell’Indipendenza della Nazione Americana, mi pregio di annunciare al mondo intero che la Nanochirurgia Cerebrale in Realtà Aumentata è una splendida realtà.” Tutti in piedi a battere le mani! Clarence DeWalt è un pezzo di figliolo nero come l’ebano con le ossa stirate come longarine, amante dei completi Armani color pastello e degli orologi Patek Philippe, completamente flippato per la passera. Lui e Wesley sono cresciuti insieme fino all’adolescenza nel degradato centro di Detroit a due paia d’isolati dal Renaissance Center, l’agglomerato di grattacieli circolari che sono un po’ il simbolo della volubilità di questa metropoli del Midwest negli ultimi cinquant’anni. Chi conosce bene gli Stati Uniti sa che quando l’industria automobilistica tira, a Detroit si balla per le strade: viceversa, quando la congiuntura è sfavorevole come in questo sfigatissimo 2015, si fa la coda per il pane. I genitori di Wesley, una coppia colta e moderatamente agiata rispetto alla media disastrata del vicinato, giustamente preoccupati affinché il loro unico figlio non divenisse un’altra lurida fedina penale negli archivi informatici del Detroit Police Department, lo hanno impacchettato e spedito dritto filato ad Ann Arbor dagli zii paterni non appena ha avuto l’età per frequentare il college. Viceversa Clarence, dopo l’espulsione dalla scuola superiore per possesso di anfetamina e varie altre peripezie, ha infine intrapreso la carriera di, ehm, attore porno sotto l’eloquente pseudonimo di Dirk Tower. Ciò nonostante, lui e Wesley non si sono persi di vista; anzi, molto spesso si danno appuntamento da Gilligan’s, uno dei più decantati ritrovi per single della città, per bere qualcosa insieme. Come stasera. “Sai, Wesley, cocco bello” dice Clarence grattandosi il mento pizzuto “l’altra sera mi sono scaricato dalla rete un film davvero strafico. Roba del 1967 o giù di lì, mica da ridere! Oh, veramente un portento, amico.” “Cos’è, una featurette sconcia dei fratelli Mitchell?” maligna Wesley. “Vaffanculo a te, uomo. Non m’incasellare. Lo sai benissimo che adoro tutto il cinema, senza distinzioni. Sono un cinéphile, io.” “Je le sais, Clarence. E so anche che da piccolo sognavi di diventare come Sidney Poitier. Me l’avrai già detto centomila volte. In ogni modo, come s’intitola questo capolavoro?” Clarence manda giù un bel sorso del suo daiquiri frozen, poi spara: “Viaggio allucinante.” Wesley punta i gomiti sul bancone, sorride di sbieco. “Viaggio allucinante. Non sarà mica un filmetto sperimentale sugli effetti dell’acido lisergico?” “Guarda, mi sta venendo una sincope dalle risate. Dio, come sto male, uomo! Per caso hai una pera di epinefrina a portata di mano?” Quando è in vena Clarence sembra il miglior Eddie Murphy. Ma tutt’a un tratto si fa


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