Pasticherivista, n° 14 - dicembre 2012 )

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12/2012

n.14

scegli l’arte e la poesia

PASTICHE versicontroversi mensile gratuito

L’allegra brigata del male - Renato Florindi


Pastiche PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista. Grafica e impaginazione a cura di

Moodif www.facebook.com/pasticherivista

Noi siamo il

mondo

che vogliamo.

( da “ Io sono un Black Bloc “, DeriveApprodi ed. ) L’ennesimo insipido natale è arrivato, ma Pastiche ha un modo tutto suo di festeggiarlo. In poche parole facciamo come se non esistesse, e continuiamo a vivere la nostra vita così come abbiamo sempre fatto. Tra l’altro c’è poco da festeggiare quando decine di persone vengono manganellate dalla Polizia e 100 morti al giorno sono il regalo per i bambini di Gaza. L’unica cosa che possiamo fare è dire la nostra nell’unico modo che conosciamo: la Poesia e l’Arte. Pastiche da un calcio in culo al nostro caro vecchio babbo natale.

http://issuu.com/pasticherivista

Collaboratori:

Chiara Fornesi, Fara Peluso. Per ricevere a casa Pastiche in abbonamento ( costo 10 euro ) scriveteci a: pasticherivista@gmail.com, indicando nome e recapito. Per inviare il vostro materiale ( poesie, racconti – lunghezza da concordare -, disegni, racconti per immagini, fotografie b/n, stencil e quant’altro ) scrivete a: pasticherivista@gmail.com oppure all’indirizzo: Paolo Battista, via F. Laparelli n. 63 int.1 00176 Roma

Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta chiaramente agli autori.

Renato Florindi Pierangelo Consoli Luca Fedele

Claudia D’Aliasi Luca Galvani Francesco di Marcantonio Ilaria Palomba Marilena Laiola a


Pastiche

morte

a

e

Dylan

Marlais.

C’era mai stato niente da bere, il fiato era una locomotiva, anche quando smise per qualche tempo potevi sentire ciò che aveva amato e usato per scorrere. Solo le poesie lunghe sono fatte per restare, le poesie intense, le poesie che sanno di morte e di dolore. Le poesie che ci mostrano ciò che non avremo mai il coraggio di essere. C’era un contatto con la natura, e basta con la storia che era ancora un bambino, che aveva il volto come un angelo deforme, gonfio del dolore del mondo. Nella sua vita ciò che era Caitlin, era solo Caitlin, e tutto l’amore e la gelosia, la molla verso la pazzia. Le notti e gli alberghi, la voglia di non svegliarsi mai se non per continuare a bere, allontanare le ragazze che si offrivano al rosso drago, lasciar entrare l’amico Lowry, con un vascello in bottiglia stretto tra le mani, l’amico Lowry che poteva capire, che scoprì solo dopo averlo così tanto desiderato e avuto che non sarebbe mai dovuto diventare famoso. Non si trattava solo di essere amici, in quelle notti in cui gli alberghi diventavano il covo degli incubi, si trattava di riuscire a capire o soltanto di saper tacere. Dopo

di Pier Angelo

Consoli

b


Pastiche certe quantità si beve insieme come insieme si va al cinema, le luci si spengono e ognuno è da solo con quello che vede e riesce a capire. C’era stata anche la guerra, Londra distrutta dai bombardamenti, La Cerimonia e soprattutto quel bambino, il corpo orbato e la cenere nel piccolo cranio. Dopo la prima morte non ne esiste un’altra. Ma nella mia testa risuona soltanto La forza che attraverso la verde miccia sospinge il fiore… E io sono muto per dire alla rosa contorta Come la mia giovinezza è piegata da identica febbre invernale… Forse perché i piccoli drammi e non le grandi guerre io ho sempre cercato nella poesia, forse perché parlare d’amore per me è stato sempre l’unico modo per parlare d’altro e d’altro fingevo di parlare tutte le volte che le parlai d’amore. Non posso non pensare a quella fiamma di cherosene che l’avvolse, che lo portò al reparto per ustionati, l’uomo che aveva ingurgitato diciotto whisky in una sera, e pinte e pinte di birra per accompagnare, che si era ucciso affogando da dentro, continuando seppur a fatica a respirare. Nessuno sapeva cosa fare di quel corpo innocuo che si contorceva nel delirio, mentre invocava Caitlin e i suoi figli, e tutto ciò che stava per lasciare, era il 1953, “lo scrittore rivoltante da tre aggettivi per un penny” che rotolava la lingua nel silvestre linguaggio e in ciò che si riusciva a vedere nel tuffo panico, se sei nato e cresciuto nel Galles profondo ciò che diventi abituato a fare è ascoltare le foglie, bere dalle colline e capire quando un fiore contorcendosi ti assomiglia. Amore e morte Dylan Marlais, tuoi figli, tuoi figli mancati, arrancano nel mio tempo cercando di assomigliarti almeno un poco, fumando troppo, bevendo

senza riuscire ad esagerare, senza più riuscire ad esagerare in niente, che per provarci sarebbe il caso di rotolarsi nel ridicolo, sentire un senso di colpa che infinitamente ti avvicina all’uomo e al suo claudicante abisso, essere amico dell’esagerato, il disperato che abbindola la morte con le parole allo zolfo, con le frasi pirotecniche e i gesti teatrali, varrebbe la pena farsi qualche nemico qualche volta per diventare la negazione di ciò che sarebbe stato giusto, affinché, per essere stati retti e corretti, non ci si perda le avventure migliori. Passammo il maggio intero in veglie funebri, per le madri cadute troppo in fretta, stroncate da destini che non ci riusciva di capire, coi ceri consenzienti, le lucciole che si ammassavano intorno alle nostre anime talvolta per pochi attimi visibili mentre ti tenevo in grembo per fare l’amore, non sei mai stata innocente e mai sei stata colpevole, venti anni abbiamo dovuto attendere che fossi abbastanza grande da trovarti adorabile fino alla bestemmia. Forse ci riuscirà un giorno con il giusto carico, di scrivere qualcosa che ti assomigli almeno un poco. c


Pastiche

Giacomo 219

:

Questa vita per i tuoi occhi. Tutto quello che ho coltivato appassisca per quell’ azzurro lapislazzuli che colora cieli e mare e che s’addormenta tra le tue palpebre. In fondo non ho da perdere che la precarietà, cinque o dieci anni di grafite e sicumere. Ho già comprato da e-bay del GHB, del nettare insapore e incolore che culla il presente come una dolce nenia e ne ho centellinato gocce in birre e vino. Amore mio avrò i tuoi occhi. Sto curando le mie unghie che siano forti e affilate, la mia carne morta stringerà la vita riflessa della tua anima. Andremo al casale , lì è tutto molto intimo ho steso tappeti lungo tutta la casa, mangeremo a terra e berremo ascoltando le note dal grammofono di mia nonna e disinibiti sotto un cielo colpevole scoperemo, ma ho della benzina agricola dietro la stalla; lei purificherà i nostri peccati. Dio ne sarà testimone: “ lodate servi del Signore. ” Dio tu mi sarai testimone. Tra poco non avrò il tuo sangue , ma il tuo corpo. Tu sarai, in me, quando danzerò col ribelle e le fiamme della redenzione riluceranno. Dio io finalmente sentirò. Finalmente sentirò, in me, la tua voce. Il verbo oggi ha un tono così chiaro lungo le navate della chiesa, l’oro dell’ altare è così vivo e il marmo bianco, bianco mentre i tuoi occhi guardano quel timido sole. Amore mio questa mattina è così bella. Ieri ti ho sentito urlare in macchina mentre amavi

d


Pastiche quell’uomo, quegli urli come di gabbiani. Quel sasso che ha infranto il parabrezza l’ho lanciato io, l’ho visto scendere dall’auto e ho sparato in aria, l’ho fatto per te. Cingi il tuo male col cilicio, Amore mio. Dio oggi perdonami, rinuncerò alla vita. IO, restituirò un’angelo rilucente al cielo. Il demone l’ha marchiata, io l’ho visto nel suo sorriso alla cassa dell’ Auchan, ne ho riconosciuto la dannazione. Le tenebre erano dietro di lei e il cielo dei suoi occhi s’indorava come quello di una civetta. Io te la restituirò e con lei la mia anima ricondurrò a te, ma stanotte il Demone s’impossesserà di me. Le mostrerò il peccato, lascerò a Satana il gioco. Tu lascia le mie unghie pure, loro lasceranno sgorgare il suo sangue poi il fuoco, il fuoco. Amore mio, ti mostrerò tutta l’infelicità della tua vita, ne gemerai, ne godrai e la renderò leggera, si leggera. Sentirai anche tu la luce. All’uscita del lavoro verrai da me e berremo, poi ti guiderò al casale. È così bello lì, gli alberi sono così alti e sembra che il vento sussurri la parola di Dio, per questo non v’è collera nelle mie azioni, non v’è offesa che vi si arrechi. Io guido ancora la lotta che ora rigonfia il silenzio e la magnificenza della chiesa: “ Non contro il sangue e la carne, ma contro le potenze e i principati, contro i dominatori delle tenebre di questo mondo, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti.” Io redimerò. Amore mio se il cielo dei tuoi occhi si stendesse sul candore di quest’ostia come potresti non pentirti. È un brivido così dolce quello che mi percorre la schiena guardandola, un fremito più intenso di quegli orgasmi che elemosini in piazza. Quello è il corpo di Cristo amore mio e Lui sarà in me stanotte per scuoiarci dal male. Oh queste bianche signore che sono sulle panche intorno a me e se vedessi Don Guitmondo , è un santo. Sono così superiori agli uomini gli uomini di Dio. Ma i tuoi occhi, i tuoi occhi si stringono ai riflessi delle immagini sacre; il tuo male gocciola in questo luogo sacro. Eppure quante ore ho atteso in macchina tua, nascosto , per un bacio di cloroformio e sperare che al risveglio quel livido nei tuoi

occhi scomparisse, quanta acqua benedetta , sale esorcizzato e quella scheggia della sacra croce che ti ho infilato poco sopra al cuore, ma mai niente. Poi Dio mi ha mostrato tutto il suo dolore, mio Padre, mio Fratello e ho urlato alla visione delle tre lingue infuocate dello Spirito, il fuoco, il fuoco. Ma tremo , mi tremano le mani Dio, cos’è? Sei tu ? E’ il demonio? Cos’è? La mia mano destra non è più mia e la sinistra rumoreggia contro la panchina. “ I demoni credono e tremano”, tutte queste bianche signore si voltano verso di me, le mie mani tramano così tanto, le giungo e oscillano che mi battono il petto. Dio sei tu? M’inginocchio ma non riesco a star fermo. Gli occhi mi si spillano addosso. Che sia un’estasi Signore? Vuoi tu illuminarmi della tua gloria? Ma ho perso il controllo, Dio mio ho perso il controllo. Le mie mani s’aprono sul mio volto. Il mio viso e nei miei palmi, tremo e le mie unghie strappano lembi di pelle, scivolano lungo la fronte. Satana? Liberacidalmale liberacidalmale. “ I demoni credono e tremano.” Liberaci dal male. Le mie unghie mi si conficcano negli occhi, mi strappo i bulbi oculari, li stringo nei miei palmi spremendoli come aranci maturi. Una delle signore bianche sta urlando, il prete si zittisce. Sento il sangue colarmi. Tremo. Voci e ancora voci e sempre voci, dov’è la tua, dov’è? S’allontanano e s’avvicinano, s’allontano e s’avvicinano. C’è un’ eco lo sento, lo sento un’eco di sirene. Il mondo è così buio Dio, dio?

di e

Luca Fedele


Pastiche

S aradiso orco

Eva di un paradiso perduto che non ha nome né gerarchia, affamata del frutto proibito della conoscenza mi incammino nuda lungo percorsi impervi bagnata di sudore febbrile in cerca di un Dio che sia più forte della paziente accettazione di mediocrità. Frugo pezzi rotti dal vivere sul bancone consumato dei bar di periferie perse nel vento e nella polvere di una solitudine sbagliata segni e ferite di un passato senza tempo vene arrugginite che pompano sangue rappreso.

Bacio lo spettro di ciò che credo tu sia bevo parole dalle tue lacrime spente non mi sveglierò mai da questo brivido: l’infedeltà è un peccato apparente sorella di tempi ultraterreni Ognuno ha la sua droga illusione nei momenti tristi e consapevoli Ognuno ha la sua puttana di riserva quando la morte sembra afferrarci per la gola e noi non vorremmo altro che sentirci vivi. Chiude la porta e spegne la luce.

di +

Croci nel

buio

Occhi fatti di notte Lucidi di folle scintilla E’ nei silenzi Che ti scopro belva Chino la testa Sotto il peso di una mano impietosa Che ruba la sete Alla mia lingua arsa Il tuo gelido respiro Sulla mia pelle livida Sa di fosse profonde Scavate nel cimitero dell’anima Nessuna pietra a ricordare Ciò che fu Che si chiami infanzia O speranza Adesso non ha più importanza

Claudia d’Aliasi f


Pastiche

g


Pastiche Luca Galvani - Chewing Gum parte 7 e 8

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e

Pastiche

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e no d Tiro occhiatacce per il Pigneto pensando alle brutture dell’amore

e ho come l’impressione che tutti stiano guardando proprio me

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di Paolo Battista

e vado in apprensione cerco un cesso per pisciare pensando alle g fratture dell’amore

d

con la mia faccia desolata e il mio passo strascicato

e ho come l’impressione di soffrire più del dovuto

e c’è inferno intorno l’inferno di tutti i giorni

con il mio sguardo in pena e la mia fronte sudata

inferno di contorno inferno e forno inferno porno inferno nel soggiorno

e va all’inferno amore l’inferno di tutti i giorni

c w a

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i

inferno inferno inferno inferno

che ritorna con le corna che ci sforma tutti i giorni

inferno che sforna inferno di contorno.

p


Pastiche

Francesco di Marcantonio

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Ro Pastiche

Ilaria Palomba

Ci fu un periodo in cui fui felice, non è facile a dirsi ma una linea rossa può cambiare il corso degli eventi. Dopo il primo inter-rail decisi che avrei trascorso l’intero anno in attesa di quello successivo. Eravamo io, Scheggia e Ringhio. Pezzetti d’incondizionato lanciati nel mondo alla velocità dei bolidi da corsa. Il treno era la nostra casa e ovunque andassimo ciò che vedevamo erano stazioni, stazioni, stazioni su stazioni, palazzi, case, un paio di cattedrali, odore di hashish e oppio, un castello romanico, gotico o barocco e parchetti da tossici. I momenti più belli erano quando ci mettevamo a cucinare su fornelli elettrici, sbevacchiando pessimo vino, nel bel mezzo della Rambla e c’era Ringhio che tentava di abbordare le bamboline ispaniche tutto-dare offrendo loro pezzi di fusilli alla bolognese appena cucinati in strada come zingari. Una volta una ci stava pure e ce la portammo con noi in spiaggia. Scheggia mi amava, non faceva che flirtare con me e Ringhio si buttò sulla spagnolita. A un certo punto lei, infrangendo le traiettorie di un bieco determinismo misogino, si mise a provarci con me. Tu mui bela, diceva, e si metteva ad accarezzarmi i capelli. Tu vieni con me in hotel, diceva. Credo di aver davvero abbandonato i miei amici per seguire la spagnolita in un improbabile hotel scalcagnato di

prostitute e cocainomani. Credo che Scheggia mi abbia assassinata ottantotto volte con gli occhi. Credo che abbia giocato quarantacinque volte con i dread prima di dire a Ringhio: andiamo a farci una stagnola. Credo che mi abbiano maledetta milleduecentosettanta volte prima di collassare dietro il parco di Gaudì. Fu bello stare tra le sue cosce, come una pantera. Fu bello sentire il tanfo dei miliardi di odori dei miliardi di sessi consumati su quel letto-divano di velluto rosso. Fu bello uscire dal palazzo a specchi e baciare le sue labbra lampone sapendo di non doverla rivedere mai più. Fu bello quasi quanto lo svenimento improvviso sul sedile della metro che mi fece ritrovare assalita da avvoltoi e grondante sudore verde, con l’idea che sarei diventata pappina per fruitori sgangherati d i ospizi dell’ultima spiaggia. Fu bello svegliarmi con dieci mani addosso. Fu bello non ritrovare i miei amici sulla Rambla. Fu bello cercare un albergo per dormire e non trovare nulla nel raggio di cinque chilometri di camminata con zaino sparapesi e paranoie. Fu bello spendere gli ultimi risparmi per una guida di ostelli barcellonesi e arrivare in piena notte in piena campagna in un posto dove l’unico rumore che si sentiva era quello dei grilli. La mia coscien-

m


Pastiche za? ritorno e mi svegliai all’alba e mi trovai la faccia rossa lentigginosa di Scheggia davanti. Il brutto fu quando mi guardò come un medico che vuole avvisare il consorte di un paziente con metastasi interne che il paziente non ce la farà. Il brutto fu quando mi chiese: ma ti sono venute le mestruazioni questo mese? Per un attimo vidi l’alba come una sfera incandescente che schiaccia la placenta delle ovvietà. No, dissi, perché? Scheggia si mise a giocherellare con i dread sempre più nervosamente, fece circa ventottomila giri di dread tra le dita e poi eruppe così: andiamo in farmacia.

Il brutto non arrivò quando dovetti salire s’un sentiero di montagna completamente sola con i rumori dei grilli e le grida silenziose del vento. Non arrivò neanche quando incontrai due ebrei, di quelli con barbetta e cappellino, proprio come nelle foto delle guide turistiche ebraiche, chiesi loro la strada per l’ostello e mi risposero che stavano cercando la stessa cosa senza tuttavia aspettarmi lungo il sentiero. Non arrivò neanche quando, nuovamente sola, non ressi i l peso spaccaschiena dello zaino interreiloso e capitolai con tutto lo zaino giù per il sentiero. Non arrivò neanche quando riprendendo la strada ebbi un bruciaingorgo di stomaco e vo m i t a i bile al vino rosso. E non arrivò neanche quand o avendo finalmente raggiunto l’ostello mi misero in una camerata da ventiquattro letti, che manco al militare, e mi dissero che non potevo pagare col postepay ma potevo pagare domani, lasciando un documento, e tornando a Barcellona per prelevare. No, non è questa la parte spiacevole della storia ma quella in cui dormo: finalmente mi addormento nel mio letto al quarto piano di un enorme letto a stracastello, dormo felice e beata e all’improvviso qualcuno bussa alla porta. Ed è Scheggia tutto preso male, dice che mi hanno cercata tutta la notte. Che razza di fine hai fatto, Fiamma, ma sei impazzita, non si possono fare viaggi con te, come cazzo ti salta in mente di sparire così senza avvisare nessuno. E mi butta giù dal letto. Andiamo, dice. Non possiamo andare, dico, devo pagare. Ma Scheggia ha già pagato o almeno è quello che dice e mi sembra sia vero dal momento che è un raro caso, questo, in cui nessuno ci corre dietro per furti o altre piccole stracazzate. Mi girava la testa tanto che sembrava che la stagnola fossi stata io a farmela, forse nel mondo in cui ero entrata senza saperlo funzionava così: due si drogano e il terzo ha gli effetti. Il brutto arrivò quando svenni un’altra volta sul sentiero del

Aspettammo dalle sei alle nove davanti alla saracinesca di una farmacia, Scheggia si addormentò sulla mia spalla e potei aspirare tutta la fragranza di un mese in giro per l’Europa senza lavarci, lui, perché almeno io in ostello una doccia me l’ero fatta. Ora il problema non furono le cose che disse Ringhio o quella brutta, brutta, allucinatoria, esperienza narcotica a gambe aperte sotto i ferri, con cinquanta dosi di anestesia perché non mi pigliava e i medici che dicono parole che mai e poi mai avrei potuto comprendere. Il brutto non furono i dolori dei giorni seguenti, né la fine della mia storia d’amore con Scheggia. Non furono neanche le brutte parole che mi disse Ringhio vedendo arrivare me e Scheggia dopo l’operazione, con lui che mi portava lo zaino. Viziataapprofittatricefigliadipapà, disse. Il brutto fu entrare in quel cesso pubblico con quel pezzetto di verità bianco in mano mentre Scheggia e Ringhio aspettavano fuori dalla porta come le lancette di un orologio a coucou. Il brutto fu farsi venire da pisciare con l’adrenalina a palla e i pensieri che volgono alle più alte sfere della metafisica per non rendersi conto di quanto stesse accadendo. Il brutto fu quando quella pisciata arrivò e quella lineetta diventò rossa. Il brutto fu guardarsi allo specchio e ammettere che quella fosse la fine della mia adolescenza. E come diceva qualcuno: del doman non v’è certezza.

n


Pastiche

So lo

Solo, sempre solo. Nella testa monologhi senza fine, ricordi che si confondono con fantasie sempre più dolorose. Se vi penso, se continuo ad immaginarvi, vuol dire che sono ancora vivo, che non siete solo un sogno ma ancora la mia realtà a cui tento di tornare da quattro anni. Conto i giorni e le settimane, quelle trascorse e quelle che devono ancora venire .Rabbrividisco.La vostra vita scorre veloce fuori di qui, spero serena e lucente. Ogni notte, quando ho paura e l’ansia mi serra la gola, mi rannicchio in questo letto freddo, dove le lenzuola mi graffiano la pelle e volo via di qui. I miei bambini e tu, unico amore . Sono invecchiato, il mio corpo ha difficoltà a gestire tutta questa sofferenza e sento già dentro di me qualcosa che cresce, un dolore al petto, un buco nero che mi sta mangiando . Spero di uscire prima di sparirci dentro. Aspetto fremente i giorni dei colloqui, quando si spalancano “ ‘e cancell ” e in questo buio inferno entrate voi. Carne ossa e lacrime, mi stringete, mi rinvigorite e mi sembra di respirare per la prima volta dando un senso alle lunghe settimane passate solo, e in attesa. Ogni volta che mi lasciate, ogni volta che il tempo e la guardia vi portano via, trascinate fuori anche un pezzo di me, libero. Rabbia. Rabbia che monta tutti i giorni, siamo quelli sbagliati, lo scarto di questa ” giusta società ” e ” sti guardie” sono quelle che qui dentro rappresentano l’ onestà, la correttezza ,quelle che ci devono correggere perché noi, al contrario, siamo l‘avariato, il marcio, l ‘intoppo.

o


Pastiche Per questo mi guardano tutti i giorni male sti guardie, per questo non mi fanno parlare, mi spengono tv e sigarette, non mi portano in tribunale, non mi fanno ricevere i pacchi, mi negano l ‘aria e la libertà, mi insultano, mi guardano compiaciuti quando mi strappano mio figlio in lacrime dalle braccia a fine colloquio. Lo sanno bene che li ammazzerei come cani. Vogliono farmi impazzire, togliendomi l’anima e squarciando la mia dignità giorno per giorno. Ma loro non sono delinquenti. Loro rappresentano la giusta società che mi ha punito e io lo devo accettare . Eppure in questa vita sono riuscito a trovare più sincerità dentro, in mezzo agli altri detenuti, che fuori. “Stammaccussì”, uno vicino alla pena dell’altro, chi ha sbagliato e si è pentito, chi si è pentito di essersi pentito, chi è impazzito, chi “chiagne” tutte le sere ,chi prende Lexotan.. Trogetol..Xanax, chi non ce la fa più e “ s ‘accir ”. Ma io non lo posso fare, mi piacerebbe, ma ci siete voi. Ancora ci spero che capiscano, che stavolta non c ‘entro, che devo tornare a casa, devo crescere i miei figli, devo amare lei. I giorni passano pesanti come il piombo, è come guardare una clessidra che non scorre mai, che non si svuota. Mia figlia mi scrive, è in vacanza con le amiche ma mi pensa, vorrebbe farmi sentire il profumo del mare. La immagino bella e piena di vita, ogni notte mi preoccupo per lei che vive lontano, in quattro anni ci siamo visti meno di una volta al mese, per poche ore. Una volta hanno lasciato mia moglie fuori sotto la pioggia, con in braccio mio figlio piccolo, perché non era ancora ora di entrare, eppure avevano fatto un lungo viaggio. Ho sputato in faccia alla guardia e quello mi ha messo in isolamento per due settimane. Niente tv, niente radio, nessun libro. Metto la testa tra le sbarre della finestra, anche qui si vede un pezzo di cielo azzurro, qualche uccello..tanto silenzio. Quanta malinconia mi mangia le ossa, occhi scavati dal pianto, vorrei tornare bambino e abbracciare mia madre. Scriverò a mia figlia dicendole che sto bene, che l ‘ avvocato mi ha dato ottime speranze, che sto lavorando in cucina. Niente lacrime, nessuna disperazione. Naddasuffrichiuppeme. Abbraccio le foto, chiudo gli occhi e sono a casa. Ogni notte ritorno per poche ore l’uomo

Marilena

Laiola Di

libero che sento ancora dentro di me, e mi consola il pensiero che solo il corpo è il vero prigioniero, che c è una parte di me che non hanno rinchiuso e quella in qualche modo se ne andrà via da qui. Arriva un po’ di musica lontana, penso al mare, alla mia gioventù tra pistole, corse in macchina, sangue e sogni sbagliati, quando invece di cantare strillavo e osservavo un vulcano immobile immaginando la lava violenta all’ interno, avevo dentro di me la stessa violenza e nessuna voglia di accettare il mondo così com’ era. Ma adesso sono innocente e stanco, ho quasi 50 anni e ascolto musica che si sussurra, le mura si stringono su di me, sti cancell me sent dint l’ oss. Di questo posto rifiuto tutto, perfino il cibo, perfino l’ aria. Mentre dimagrisco, mentre mi scavo giorno per giorno, la mia pelle diventa sottile ed io trasparente, sto provando a sparire. Mi entro dentro cercando il fuori..la via la luce la mia famiglia e la mia libertà.


Medusa - Renato Florindi


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