ALLA SCOPERTA DI BISCEGLIE, il borgo e i casali

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ALLA SCOPERTA DI BISCEGLIE il borgo e i casali


in copertina: dipinto di Leonardo De Mango - Panorama di Bisceglie - 1895 in retrocoperta: incisione di Giambattista Pacichelli - Bisceglie - 1703


gli alunni della classe seconda A della Scuola Secondaria di Primo Grado “Riccardo Monterisi” Bisceglie

ALLA SCOPERTA DI BISCEGLIE il borgo e i casali

a. s. 2012 - 2013


INDICE 5 7 8 9 10 12 13 14 15 20 22 23 24 28

Cattedrale Sant’Adoeno Santa Margherita San Domenico Torre Normanna e Castello Svevo Grotte di Santa Croce Dolmen della Chianca Casali Casale di Giano e Tempio di Giano Casale di Pacciano e Chiesa d’Ognissanti Casale Sagina Casale San Nicola Casale di Zappino Casale di Navarrino


CATTEDRALE

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ondata nel 1073 per volontà del Conte Normanno Pietro II, il quale la dedicò a San Pietro in onore del Santo di cui portava il nome. La sua costruzione, piuttosto lunga, terminò nel 1295 quando il primo maggio dello stesso anno il Vescovo Leone la consacrò con una solenne cerimonia. Costruita in stile romanico-pugliese, risulta oggi senza uno stile architettonico preciso, dovuto ai vari rifacimenti che ogni vescovo apportava per renderla attuale.

Da questa deturpazione sono rimasti illesi l'abside, parte della facciata ed i muretti dei matronei. La facciata presenta un portale decorato con triplice fascia di tralci e foglie ed un piccolo portico sorretto da agili colonnine poggianti su grifi con capitelli di foglie di acanto. Dei due portali laterali, sono rimasti solo gli archivolti sorretti da mensole con testa leonina. Due bifore e quattro monofore completano la facciata insieme ad una finestra barocca che sostituisce l'originario rosone. Sul lato destro si trova un grande portale fra due colonne antiche su cui poggiano le statue dei Santi Pietro e Paolo. La facciata absidale risulta la meno rimaneggiata; questa è decorata da arcate cieche tra due campanili di uguale fattura. L'interno, basilicare a tre navate, ha perso la sua originaria bellezza durante i rimaneggiamenti di epoca barocca.

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La cripta, anch'essa rimaneggiata, poggia su dieci colonne di colore giallastro, ed è la sede ove si conservano le reliquie dei tre Santi Patroni. Tra il '700 e l'800 venne rimaneggiato ulteriormente quello che rimaneva dello stile romanico in pesante barocco; volendo portare la Cattedrale ai fasti delle grandi chiese barocche, vengono aperte delle finestre sulla navata centrale, viene demolito il tetto dei matronei, costruita la cupola centrale e modificato il cornicione ed i capitelli delle colonne. Sembra che anche il pavimento sia stato sopraelevato su quello originale. Il coro venne concesso alla Cattedrale da Giuseppe Bonaparte, dietro insistenza del canonico Massimo Fiori il quale fece capire al re il pericolo che l'opera avrebbe corso se fosse rimasta ancora nella Badia ormai abbandonata in Andria. Per il trasporto il Capitolo della Cattedrale versò una congrua somma alla quale si aggiunse un contributo del comune. Affinché il coro fosse sistemato nel presbiterio, fu necessario ridurne le proporzioni, asportando qualche pezzo. A conferma di ciò si veda la tavola di noce intagliata riportante la figura di San Benedetto conservata in sacrestia. Tra le altre opere lignee conservate in cattedrale, degno di nota è un pulpito in noce del 1770. Stefania Dell'Orco e Fabio Palermo

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SANT’ADOENO

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a CHIESA DI SANT’ADOENO è dedicata ad Adoeno Dado, vescovo francese del VII secolo, e concessa nel 1074 agli abitanti del CASALE DI PACCIANO che si erano trasferiti in città. Sulla facciata di conci scuri che si conclude con una cuspide smussata, si leggono agevolmente i mutamenti apportati in seguito. Si può notare l'innalzamento della navata centrale e lo spostamento del rosone. Furono lasciate al loro posto la piccola statua del Santo e le

altre sculture, ad eccezione dell'aquila che, nella nuova sistemazione, sembra non trovarsi a proprio agio. Nell'anno 1387 SANT’ADOENO divenne sede del vescovo scismatico Nicola Petracino, eletto dall'antipapa. Il portale, tra i più semplici dei portali di stile romantico pugliese, è centinato, a cornice ornata. Degno di nota è il piccolo campanile, con finestre ad arco acuto rilegato da un grande arco circolare. Collocato nei pressi dell'ingresso, vi è un fonte battesimale in pietra, del VII secolo, di forma arcaica, che rileva l'influsso bizantino nei duri e spigolosi altorilievi raffiguranti Cristo benedicente e i simboli evangelici: esso poggia su base quadrangolare a spigoli smussati. Proprietà della chiesa sono tre antifonari miniati, dono degli angioni, attribuiti a un miniatore abruzzese del ‘300, mentre Ia volta, un tempo ricoperta da tre grandi quadri raffiguranti S.Adoeno, la Madonna del Soccorso e San Giovanni Evangelista, venne rifatta a crociera. Gabriella Dell’Orco e Roberto Memeo

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SANTA MARGHERITA

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odello di architettura romanico-pugliese, fu fondata nel 1197 da Falcone, giudice della corte di Enrico VI, discendente della famiglia Falco. Edificata nell’antico “suburbio” (quartiere di periferia della città), nel 1480 per ragioni di sicurezza il borgo fu abbandonato, isolando l’intero complesso, costituito da chiesa, giardino e cimitero. L’edificio è uno dei rari esempi pugliesi di edificio a cupola centrale. La facciata a cuspide è conclusa da archetti rampanti.

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Il portale è a doppio arco falcato. I bracci laterali, anch’essi a cuspide, riprendono i motivi della facciata. L’interno è a navata unica con volta a botte e termina con un’abiside semicircolare. All’interno è custodito un baldacchino con due colonnine che poggiano su due leoni e un fonte battesimale monolitico che nel 1693 fu scambiato con quello della CATTEDRALE. Nel cortile nord, lungo il fianco sinistro della chiesa, si conservano i tre SEPOLCRI MONUMENTALI della nobile famiglia biscegliese Falco, così come testimonia lo stemma nobilare (il falcone sormontato da una stella). L’arca marmorea di Riccardo Falco è stata realizzata da Pietro Facitolo da Bari, le sepolture di Basilio e Mauro e quella dei fanciulli di famiglia vengono attribuite ad Anseramo da Trani (1279). Facevano perte dell’arredo due preziose icone del XIII secolo raffiguranti Santa Margherita e San Nicola ed una tavola duecentesca della Madonna con Bambino benedicente, attualmente conservate presso la Pinacoteca provinciale. Lucia Di Lecce e Marica Sciancalepore


SAN DOMENICO

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a prima pietra di questa chiesa fu posta probabilmente agli inizi dell'anno 1000, con una Cappella adiacente alle mura di ponente, per venerare "Santa Maria degli Angeli". Ma nel XIII secolo la Madonna venne sostituita da un affresco di un’altra Madonna che regge sul braccio destro il Bambino Gesù, il quale tiene stretto nella mano sinistra il rotolo del Vangelo, mentre la Madonna, con la mano sinistra spiegata, indica che Gesù è la via della salvezza: da qui il nome di "Madonna della Via".

Al lato destro del quadro rimane ancora traccia dell'angelo del precedente affresco. Da antichi documenti la Chiesa viene chiamata di "Santa Maria del Muro". Nel 1613 la chiesa verrà incorporata al CONVENTO adiacente (attuale Palazzo di Città) appartenente all'Ordine dei Domenicani su donazione delle famiglie Spalluzia e Cataruneta come si può vedere dall’incisione sull'architrave del portale. Esternamente lo stile della chiesa è cinquecentesco. Il portale ha sobrio ornamento mentre l'arco sovrastante serviva da lucernario o finestra della chiesa iniziale. Si ammira la costruzione a "filaretto" (fatto di pietra naturale a sassi incerti) non con pietre a bugnato, come si usava per le case del popolo. Dietro l'abside è situato a semicerchio un magnifico Coro con 24 posti, tutto in legno di noce. Alice Papagni Povia e Flavio Di Ceglie

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TORRE NORMANNA E CASTELLO SVEVO

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rroneamente chiamata TORRE NORMANNA, essa venne costruita solo in parte dai Normanni. Infatti, nel 1240 lo stile gotico non era ancora presente nell’ Italia meridionale, eppure essa presenta al secondo e al terzo piano la volta a “V” (caratteristica del suddetto stile). La diretta conseguenza di questa constatazione è che i Normanni abbiano costruito solo il primo piano e che successivamente gli Svevi abbiano finito la costruzione. La torre veniva utilizzata in casi estremi come rifugio per la popolazione.

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l CASTELLO molto probabilmente è stato costruito dagli Svevi. La sua struttura originariamente era un quadrilatero con cinque torri, tre delle quali ancora visibili. La torre di Nord-Ovest è andata distrutta, come la torre a Sud-Est demolita nel 1541 per far spazio al puntone anche questo andato perduto. La torre di Nord-Est poggia sulla copertura della CHIESA DI SAN GIOVANNI IN CASTRO, inizialmente isolata ma poi inglobata come cappella del castello in epoca angioina. La torre piccola è stata costruita degli Svevi, mentre il suo “coronamento” fu opera angioina. Sul fianco occidentale di questa torre piccola si apriva l’ingresso al castello costituito da due ponti levatoi, uno pedonale e l’altro carrabile; gli Angioini migliorarono questo passaggio spostandolo sul lato Sud


della torre, ridisponendolo in un sistema a martello. Il CASTELLO fu fatto costruire dall’ imperatore Federico II che lo affiancò alla torre normanna. L’ipotesi più attendibile è che fu fatto costruire attorno al 1200 ma in un documento risalente al 1246 che elenca tutte le proprietà dell’imperatore, il castello non viene citato. L’abitabilità del castello è minima. Esisteva certamente un fossato ed un ponte levatoio oggi andati perduti. Nel corso dei secoli si sono avuti numerosi interventi di manutenzione delle mura e da un esame delle pietre si è dedotto che siano state innalzate e spostate, ed è forse in uno di questi interventi che è stata inglobata la CHIESA DI SAN GIOVANNI IN CASTRO in seguito ai cattivi rapporti con il papato. Nel 1500 il castello fu ritenuto non idoneo secondo i moderni criteri di fortificazione e fu abbandonato. Daniela Dell’ Olio e Luana Mastrapasqua

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GROTTE DI SANTA CROCE

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l complesso delle GROTTE DI SANTA CROCE si apre a 120 metri sul livello del mare, sul versante destro della "lama", in contrada Matina degli Staffi, a 7 Km dal centro urbano di Bisceglie. La lama Santa Croce, la più suggestiva tra quelle che solcano il territorio di Bisceglie, più a valle prende il nome di Lama di Macina e sfocia nel mare Adriatico, in corrispondenza di Cala del Pantano. Si tratta di un complesso di formazione carsica. In particolare, durante il ciclo del carsismo antico (inizio Pleistocene), si sviluppò un deflusso idrico sotterraneo, che incise per lungo tempo la formazione geologica dei calcari detritici, determinando la caratteristica sezione a "foro di serratura". La grotta, infatti, lunga oltre 100 metri, al suo interno è stretta verso l'alto e si allarga progressivamente sino a formare ambienti molto ampi verso il basso. La fine del ciclo carsicoerosivo sotterraneo fu determinata da movimenti tettonici, durante i quali si definì l'escavazione della lama. Il deposito archeologico è ben conservato nella grotta principale e si prolunga all'esterno ove forma un terrazzamento sul percorso della lama. In esso sono stratificate le tracce della presenza dell'uomo e dell'utilizzazione della grotta, protrattasi non senza interruzioni dal Paleolitico Medio all'Età del Bronzo. Diverse furono le indagini effettuate nella grotta, a partire dal 1937, quando F. S. Majellaro darà notizia della GROTTA DI SANTA CROCE, fino al 1998, quando l’équipe del prof. Gambassini dell’Università di Siena effettuò l’ultima campagna di scavi all’interno della grotta con l’intento principale di asportare il cesto di età Neolitica. La grotta restituisce una produzione litica Musteriana (2200 punte, raschiatoi, schegge) e del Paleolitico Superiore (strumenti più piccoli come bulini e grattatoi). Di notevole importanza è il rinvenimento di un femore umano, privo delle epifisi, attribuito ad un individuo adulto e riferibile all'Homo Sapiens Neanderthalensis. Alessia Di Pinto

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DOLMEN DELLA CHIANCA

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l DOLMEN DELLA CHIANCA è il più integro e il più noto tra i monumenti preistorici d'Italia e il più interessante dolmen d'Europa. Fu scoperto nell'agosto del 1909 da Gervaso, Mosso e Samarelli nella zona della Chianca nell’agro biscegliese. Lo si raggiunge percorrendo la via per Corato; al 4° Km si imbocca sulla sinistra una strada rurale, che si percorre per oltre 1 Km, quindi si svolta a destra raggiungendo dopo circa 200 m la zona dove sorge il dolmen. Esso consta di una cella quadrangolare, alta al centro 1,80 m, formato da tre lastroni verticali, due per le pareti laterali, una per quella di fondo; su di essi poggia orrizontalmente un quarto lastrone più grande che forma il tetto, lungo 3,85 m, largo 2,40 m. I lastroni verticali poggiano sulla roccia viva ed uno di essi, quello di sinistra, lascia in alto due piccole aperture, tipiche dei dolmen, praticate per far colare all'interno il sangue delle vittime sacrificate; secondo altri, esse hanno un significato mistico, collegandosi alla credenza che nel sepolcro dovesse lasciarsi un passaggio, attraverso il quale lo spirito del morto potesse raggiungere il corpo esamine. La cella continua in un corridoio scoperto (dromos) di 7,60 m, cinto da piccole lastre di pietra poste verticalmente. Il dolmen misura, tra corridoio e cella, 9,60 m. Nella cella si rinvennero ossa d'animali in parte bruciate, che sono avanzi di banchetti funebri, e frammenti di piccoli vasi, alcuni coltelli di pietra, scheletri di adulti e di ragazzi alla rinfusa e due scheletri in posizione rannicchiata. Nel dromos si trovarono stoviglie nerastre, una brocca e un pendaglio di bronzo. Il monumento è orientato a Est, secondo la tipica collocazione dei dolmen. Dal maggio 2011 il DOLMEN DELLA CHIANCA è entrato a far parte del novero internazionale dei “Monumenti Messaggeri e Testimoni di una Cultura di Pace”. Oleg Ivashkiv, Giulio Papagni e Giovanni Todisco

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I CASALI

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urante l'impero romano cominciarono a formarsi sul territorio, ed in concomitanza ai centri urbani, piccoli insediamenti, simili a villaggi, i cosiddetti CASALI, costituiti da una grande casa fortificata e cinta di mura, da uno o più cortili in cui si svolgeva la vita quotidiana, ed in seguito, con l'avvento del cristianesimo, da una cappella e dal cimitero annesso. L’agro di Bisceglie è disseminato di CASALI; ad essi è legata l’origine della città di Bisceglie, sorta dopo l’anno Mille (1042), quando cadde in potere di Roberto il Guiscardo che la donò al conte di Trani, Pietro. Questi la fortificò nel 1060. Costruiti in epoche diverse, furono facile preda dei saccheggi dei Saraceni. Nella seconda metà dell'XI secolo, quando mutarono le condizioni politiche ed economiche della regione, si formarono lungo la costa, degli agglomerati urbani e piccole Diocesi per impulso dei Bizantini e dei Normanni. Pertanto, gli abitanti dei CASALI abbandonarono le proprie case per trasferirsi nelle sicure mura cittadine e dedicarsi a più redditizi mestieri. Nove furono secondo la tradizione i CASALI della zona: GIANO, PACCIANO, SAGINA, ZAPPINO, GIRIGNANO, SALANDRO, S. STEFANO, S. ANDREA, S. NICOLA. Antonella Mastrodonato

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CASALE DI GIANO E TEMPIO DI GIANO

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l CASALE DI GIANO è legato ad un’antica memoria del dio Giano. Il dio Giano è la più antica delle divinità romano-italiche, il cui culto non viene mutuato dal mondo greco o dall’Oriente ma affonda le radici nella più remota antichità della nostra penisola. Giano è il dio di tutto ciò che significa inizio e cambiamento, legato alla crescita delle messi e al ciclo inarrestabile della natura. L’iconografia di Giano è connotata dal celebre volto bifronte, rivolto nel contempo al passato e al futuro. Il calendario romano dedicò a Giano il mese successivo al solstizio d’inverno, che, con l’introduzione del calendario giuliano nel 46 a.C., diviene il primo mese dell’anno, da cui ovviamente il nostro mese di gennaio. La diffusione del culto di Giano fu talmente sentita e capillare sul suolo italico, tanto che fiumi, città e paesi portano nel nome e nello stemma riferimenti alla divinità, anche senza un effettivo riscontro archeologico circa la presenza di un luogo di culto pagano. Il CASALE DI GIANO è una struttura che risale al primo Medioevo ed è costituito da una cinta muraria che racchiude una chiesetta, un pozzo e un magazzino disposti intorno ad una corte. E' ubicato al confine del territorio di Bisceglie con Trani, lungo la stessa strada che porta al casale di Pacciano, a circa 3 Km. da questo e a 4 Km. dal centro urbano. Il riferimento al CASALE DI GIANO compare per la prima volta in un documento, datato al 965 e contenuto nel Codex diplomaticus cavensis. Qui il CASALE DI GIANO è riportato come pertinenza di Trani (pertinentis tranensis civitatis). Dell'antico casale resta ben poco: è possibile ammirarne solo il tempietto ad architettura romanica, a pianta rettangolare con abside semicircolare e cupola centrale, e con abbozzo di transetto costituito da due nicchie. La costruzione in pietra locale lavorata quasi senza malta poggia sulle rovine di un tempietto pagano. Con l'avvento del cristianesimo , venne soppresso il culto pagano e divenne protettrice del casale SANTA MARIA DI GIANO . All'interno vi sono affreschi raffiguranti la morte di Maria, San Nicola Pellegrino e San Giacomo. Vi si trova anche un altare detto di San Lorenzo sotto cui vennero trovate delle monete bizantine e dove nel 1182 venne deposto il braccio di Santo Stefano che si conservava nel monastero di Colonna a Trani, oggi conservato in Cattedrale. Nel 1727 la chiesetta fu restaurata e fino a non molto tempo fa i biscegliesi vi si recavano in pellegrinaggio tra la Pasqua e la Pentecoste, per fare suppliche in tempo di siccità.

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l CASALE DI GIANO oggi conserva due importanti testimonianze dell’arte cristiana: la CHIESA DI SANTA MARIA DI GIANO e la cappella chiamata ancora oggi TEMPIO DI GIANO, che confermano senza ombra di dubbio la preesistenza del culto pagano, sostenuta anche da tracce archeologiche come le monete romane e un’iscrizione del periodo di Giuliano l’Apostata. Della CHIESA S. MARIA DI GIANO si riconoscono alcuni elementi sicuramente del vecchio casale e si presenta oggi con un’architettura frutto della ristrutturazione settecentesca, che lascia tuttavia emergere, anche a causa della stato di semi abbandono in cui versa, le precedenti fasi costruttive fino al periodo medievale. La CHIESA DI SANTA MARIA DI GIANO esteriormente ha un aspetto settecentesco: è ad unica navata con volta a botte lunettata, con pilastri addossati sulle pareti laterali e collegati da archi ciechi; il fronte presenta una finestra quadrata alta e un portale con timpano. La chiesa conserva non molti, anche se evidenti, resti di un precedente impianto. All'esterno sono visibili i resti di un arco falcato, mentre all'interno la stonacatura della parete di fondo tra le nicchie, ha messo in evidenza una muratura molto antica, copiosamente affrescata alla quale, in seguito alla rovina della precedente copertura (probabilmente a tetto, a giudicare dallo spessore dei muri in funzione della luce), fu addossata la struttura interna a pilastri, archi e volta a botte lunettata.

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Ed è proprio il ricco corredo iconografico l'elemento più interessante di questa chiesa. L'autore è un ignoto frescante, probabilmente un seguace di Giovanni di Francia, che opera nella zona nella seconda metà del XIII sec. e che presenta spiccate analogie con le due grandi tavole di legno raffiguranti le storie di Santa Margherita e le storie di San Nicola, un tempo conservate nella chiesa di Santa Margherita e attualmente esposte nella Pinacoteca provinciale di Bari. Presenti anche dei cicli pittorici dedicati a San Nicola Pellegrino e a San Giacomo, che attesta il culto templare sulla via del pellegrinaggio lungo la via Traiana. Questi ultimi in particolare si distinguono per vivacità e immediatezza comunicativa. Al centro vi è il Santo, bizantineggiante e ieratico, a destra il racconto delizioso di due giovani innamorati: il giovane è povero, la ragazza invece proviene da una famiglia ricca. Per impedirne il matrimonio, il giovane viene condannato all'impiccagione, ma i genitori dello sventurato invocano San Giacomo, che interviene sollevandolo in modo che il nodo scorsoio non lo soffochi. Nella scena successiva, San Giacomo piega la torre affinchè la ragazza, lì rinchiusa, possa


liberarsi. Infine i due giovani raffigurati con San Giacomo, possono coronare il loro sogno d'amore. La datazione degli affreschi (seconda metà del XIII sec.) ed i rifacimenti settecenteschi della chiesa dimostrano che il casale non è stato abbandonato dopo l'inurbamento dei casalini. Ancora oggi nella chiesa di proprietà della parrocchia di S. Domenico, una volta l'anno, la seconda Domenica dopo Pasqua, vi si officia una messa. A circa 250 m. ad Ovest della chiesa di S. Maria di Giano, vi è un'altra chiesa, più piccola, detta TEMPIO DI GIANO, straordinariamente simile a S. Angelo di Pacciano, sia come posizione planimetrica (un po' staccata dal "centro" del casale) sia soprattutto per tipologia e forme. È un piccolo edificio a pianta centrale, pressoché cubico all’esterno, con un’abside circolare che sorge sul lato opposto all’ingresso principale, l’interno si presenta invece a croce greca absidata. L’affascinante chiesa risale al XII secolo; sotto la pavimentazione sono stati rinvenuti degli assi romani (monete), conservati nel Museo Kircheriano di Roma, e qui doveva trovarsi la preesistente ara pagana dedicata a Giano. Si tratta di un ulteriore esempio di chiesetta ad aula unica con cupola centrale, su piccola volta a botte (ridotta a due arconi, prima e dopo la cupola) e con transetto costituito da due nicchie ricavate nelle murature laterali, coperte da arconi con uguale imposta ; all'esterno è evidenziata un’abside semicircolare; La struttura è coperta da una particolare cupola a sviluppo piramidale su base quadrata sull'aula centrale e conica sull'abside, realizzata con "chiancarelle” e a tholos all’interno. La costruzione è in pietra ben lavorata, a filari regolari, quasi senza malta, di una perfezione che lascia sbalorditi, senza intonaci e con stilatura dei comenti solo all'esterno.

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La cupola è un perfetto emisfero, a corsi concentri. Anche questa chiesetta, come quella di S. Angelo di Pacciano, presenta le piccole nicchie con archetti nella zona absidale, nonchè cornici all'imposta degli arconi, una monofora nell'abside, due "occhi" sulle facciate laterali. Gli accessi sono due: quello frontale, con timpano monoblocco in pietra, e quello laterale a nord, con capitelli molto più ricchi all'imposta. Interessanti, all'interno, le nicchie, sulle murature laterali, che mettevano in vista (e ne consentivano la manutenzione) i pluviali ad elementi in cotto posti all'interno delle murature stesse ed oggi fuori uso. Manca del tutto la pavimentazione, e al centro vi è un foro che evidenzia un vuoto sottostante. Le dimensioni sono poco più grandi, in pianta, di S. Angelo di Pacciano, ma in altezza è notevolmente più slanciata. Le forme e la perfezione nella tecnica costruttiva fanno datare l'opera intorno al XII sec. Antonella Mastrodonato e Leonardo Lamanuzzi

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tratto da rilievi dell’ing. G. La Notte

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CASALE DI PACCIANO E CHIESA D’OGNISSANTI

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ituato sulla via per Corato, originariamente era in territorio di Trani. Il più antico documento riguardante il CASALE DI PACCIANO è l’atto di concessione al monastero di Santa Sofia nel 789 d.c.. Protettore del casale era S. Giovanni Evangelista il cui culto venne trasferito nella CHIESA DI SANT’ADOENO. All’interno del cortile sono visibili la torre d’avvistamento, dei vani ad uso abitativo, un locale per il ricovero degli animali, un vano interrato forse adibito a magazzino per derrate alimentari ed un gioiello architettonico: La CHIESETTA D’OGNISSANTI. Quest’ultima è un esempio eccellente di architettura protoromanica pugliese. E’ costituita da navata unica con volte a botte e cupola centrale. Sulle pareti si aprono delle nicchie a fondo piano su cui scarica la volta a botte, con funzione di ampliamento dello spazio interno. Il suo particolare impianto, a croce greca contratta, trova affinità nella cultura coeva del bacino orientale del Mediterraneo.

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A poca distanza sorge un’altra chiesetta denominata SANT’ANGELO, datata approssimativamente XI secolo. L’estensione di Pacciano doveva essere molto più ampia per il fatto che c’erano due chiese, Ognissanti e Sant’Angelo. La torre, elemento di vitale importanza per i casali, a pianta rettangolare, presenta più livelli: il piano terra ed il primo piano hanno copertura a botte e si presuppone l’esistenza di un altro piano data la presenza sulla volta del primo piano di un’apertura utilizzata come botola. La chiesa, con la fronte rivolta verso Ovest, presenta attualmente una porta d’accesso piccola e con architrave rettilineo, chiaramente successivo all’edificio, mentre un arco superiore fa intravedere quella originaria. La parte superiore a timpano triangolare porta al centro della parete alta una monofora. Doveva esserci anche un campanile a vela. Le facciate laterali presentano una monofora ciascuna, al centro in alto, e quella a sud anche una seconda porta. Il pavimento è completamente mancante, ma, dalle tracce ancora presenti alla base delle murature, si può dedurre la quota altimetrica. Sia all’intero che all’esterno compaiono tracce di un intonaco molto rustico e fori serviti sicuramente per la costruzione stessa dell’edificio. Sono in genere di forma rettangolare allungata, mentre diventano perfettamente circolari all’interno della cupola e disposti in file verticali secondo i due assi della chiesa. Giorgia Cortese e Bruna Lorusso

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CASALE DI SAGINA

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l termine deriva da sagina, pianta per il foraggio di cui la zona era molto ricca. Qui San Mauro e i cavalieri romani Sergio e Pantaleone subirono il martirio. San Sergio fu scarnificato con uncini di ferro; San Pantaleone fu affisso in croce; San Mauro vescovo ebbe troncato il capo (anno 117-170 dell'impero di Traiano). I tre corpi furono seppelliti in una chiesetta intitolata a San Sergio. Nell'840 per incursione dei Saraceni, la chiesetta fu diroccata e "la memoria dei martiri si disperse sino al tempo della loro invenzione". Sul luogo del sacro ritrovamento, fu innalzato dalla pietĂ dei fedeli il tempietto di S. Giovanni Evangelista. La storia narra che, nel 1167, come emerge dalla cronaca di Amando (vescovo di Bisceglie), tra i ruderi di villa Tecla, furono rinvenute le spoglie dei santi Mauro, Sergio e Pantaleone, diventati poi protettori di Bisceglie. Su quei ruderi nel 1708 il vescovo Sarnelli fece edificare una chiesa dedicata ai tre santi, come ricorda un'altra antica epigrafe posta sulla facciata esterna. Nei pressi della chiesetta si eleva una torre simbolo del casale e ad esso appartenuta. Sulla strada che da Sagina porta a Bisceglie incontriamo una cappella votiva, costruita nel 1933 su un sasso recante l'orma

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dello zoccolo di un bue. La leggenda vuole che durante il trasporto delle venerabili reliquie dei Tre Santi in Bisceglie uno dei buoi che tiravano il carro scivolando a causa della pioggia lasciò l'impronta dello zoccolo sul sasso. Detto luogo è ora chiamato la Pedata dei Santi. L'antico CASALE DI SAGINA era ubicato lungo una strada trasversale alla costa, divenuta poi la BisceglieCorato. Di esso resta oggi solo una torre, su tre livelli (piano terra, primo e secondo piano) con scala interna. Le dimensioni, le proporzioni e il campanile a vela sovrastante (di epoca recente, XVIII sec. forse) la mettono in diretta relazione con la torre del CASALE DI ZAPPINO. Carlo Cavaliere e Mauro Logoluso


CASALE SAN NICOLA

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ituato in vicinanza della costa, in prossimità della strada interna per Molfetta, si presenta con delimitazioni precise e risulta il meglio conservato tra i casali. È costituito da un cortile a pianta rettangolare cinto da murature fortificate su due lati contigui e da due lunghi ambienti coperti con volta a botte sugli altri due lati, da due torri poste su due angoli diametralmente opposti, e da una chiesetta romanica attigua ad una delle torri. Questa costruzione doveva essere il centro dell’intero casale, oltre che luogo di preghiera e di riunione nelle ore di riposo; era forse adibito a magazzino per i prodotti della terra ed a stalle per il bestiame. Il portale che si apre nella cinta muraria in direzione della città, presenta tracce di architettura araba con capitelli lavorati ad arco a sesto acuto. Data la lavorazione dei conci finemente lavorati, con i quali è

costruito, risulta essere di epoca diversa da quella del restante muro in cui è inserito. La CHIESETTA a pianta rettangolare con volte a botte, presenta un accenno di abside semicircolare non visibile dall’esterno perchè è contenuto nello spessore del muro. In essa si accede attraverso una porta aperta sul lato esterno su cui sono presenti due monofore con archetto a tutto sesto. L’ingresso originario era dall’ interno del cortile attraverso un vano ancora oggi visibile. Altro elemento caratteristico del CASALE SAN NICOLA, è la torre situata a circa 300 metri ad est chiamata LONGA. A pianta circolare all’esterno si presenta con due livelli e con scala interna contenuta nello spessore della muratura; il livello a piano terra è a pianta circolare anche all’interno, mentre il secondo livello è a pianta ottagonale; entrambi hanno copertura a cupola. Il CASALE da poco restaurato, è ora adibito a sala ricevimenti mentre la TORRE LONGA versa in stato di semi abbandono. Sonia Cosmai e Francesco Mastrapasqua

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CASALE DI ZAPPINO

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ituato sulla via per Ruvo, presenta numerose analogie con il CASALE DI GIANO. Anche qui la chiesa presenta pilastri laterali addossati alle mura perimetrali su cui scarica la volta a botte. La CHIESA DI S MARIA DI ZAPPINO costruita intorno all’anno 1000 è stata rimaneggiata nel corso degli anni, infatti sulla facciata si legge la vecchia altezza ed il campanile a vela è stato inglobato nella muratura e il portale ad est di stile neoclassico è stato inserito successivamente. Nella parte absidale sono visibili resti di affreschi i quali probabilmente dovevano coprire tutte le pareti della chiesetta come era usanza del tempo per i santuari più importanti ma che l’incuria degli uomini ha cancellato per sempre. Ciò che rimane dell’affresco ci presenta una “Regina del Mare e della Terra” (simbolo

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dell'acqua), mentre salva una barca e i suoi marinai. L'affresco devozionale, narra di un miracolo dove perÏ un uomo pio, forse il comandante dell'imbarcazione, rappresentato dal vestito bianco sopra una tunica rossa, che si eleva in cielo dal mare per giungere in Paradiso. Il Paradiso è rappresentato da GesÚ Cristo in mandorla. Il volto della figura aerea dorata che appare tra il Cristo e la Madonna, rappresentata dal mantello rosa, potrebbe essere il committente dell'affresco devozionale o il volto dell'annegato. La torre a pianta quadrata su piÚ livelli era adibita in parte a ricovero per animali ed in parte utilizzata come abitazione vista la presenza dei caminetti. A circa 300 metri si trova una seconda torre sempre a pianta quadrata, ma di dubbia epoca,

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perché non si è certi se coeva e facente parte del casale o postuma e facente parte delle numerose torri isolate sparse per l’agro. Si presenta ricca di finestre, nicchie ed altri elementi decorativi, sulle facciate, tra cui un elemento sporgente a sezione circolare poggiante su rudimentali mensole. In cima alla torre vi è un campanile a vela simile a quello inglobato nella muratura della chiesa. Protettrice di Zappino era una Madonna nera con poteri miracolosi per la pioggia. Ancora oggi si festeggia la fiera di Zappino nella domenica in albis (dall’antico uso dei fedeli battezzati nella veglia pasquale di portare la veste bianca per otto giorni), ed è una occasione per rivivere l’atmosfera di vita comunitaria del casale. Ilaria Capurso e Maria Leuci

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CASALE DI NAVARRINO

I

l CASALE DI NAVARRINO (o Navario) è stato edificato dalla famiglia Gadaleta ed è compreso tra quelli che la tradizione indica come casali di Bisceglie, ma è fuori, se pur per pochi metri, dal territorio biscegliese (ricade in territorio di Molfetta lungo la vecchia strada Bisceglie-Terlizzi) ed appare come una masseria fortificata del XVIII secolo. Una lapide infissa sul portale ricorda l'episodio avvenuto nel 1749. In questo luogo l'abate Giulio, membro della famiglia Gadaleta, in una notte tempestosa ospitò tre

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pellegrini (che in realtà erano briganti) i quali lo assalirono e derubarono. L'abate, individuatili, segnalò l'accaduto al re Carlo III che per giustizia e ammonimento stabilì che fossero impiccati sul posto. La struttura è costituita da due corpi di fabbrica, disposti ad “L” voltati a botte, a sesto acuto, e con una torre nell'angolo. La struttura di maggiore dimensione è costituita da un piano seminterrato in cui risulta poi costruita la masseria. Il fabbricato principale, alto 10 metri su due livelli, presenta a piano terra quattro vani, l'accesso ai sotterranei, un focolare e un pozzo. L'interrato circondato dalle fabbriche è di tipo alluvionale. Sullo stesso lato c'è un rettangolo di suolo recintato con “parieti” di enormi spessori, non coltivato. Il complesso presenta oltre la masseria, la CHIESETTA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA del 1763, ormai priva del campanile a vela. Di fronte al casale si trova il vecchio PALMENTO (luogo in cui avveniva la pigiatura dell'uva) a tre archi. La fabbrica è costituita da un porticato, con tre fornìci paralleli, ad arco, intersecati trasversalmente da altri vani ad arco. Ancora più dietro un fabbricato in pietra con unico vano a piano


terra e due singolari torri sovrastanti, con accesso direttamente dal primo piano. Le due torri a cupola con pinnacoli, a base quadrata, alte 10 metri e a tre piani, destinate alla vigilanza dell'agro circostante, sono collegate da una singolare colombaia (struttura architettonica, utilizzata per l'allevamento dei colombi). Completa l'opera un alto recinto in pietra che custodiva un probabile giardino. Dai particolari architettonici (porte, architravi, cornice di gronda), si deduce comunque un'etĂ abbastanza giovane di quest'ultima fabbrica (XVIII-XIX secolo) e di destinazione “misteriosaâ€? (le torri non sembrano affatto adatte per avvistamento e difesa, essendo cieche sui tre lati). Giorgia Cortese e Bruna Lorusso

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Scuola Secondaria di Primo Grado “Riccardo Monterisi” - Bisceglie

www.scuolamediamonterisi.com


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