Taras

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SOMMARIO 7

ALLE ORIGINI DELLA PITTURA FUNERARIA APULA: TIPOLOGIE DECORATIVE E CONTESTI

G. GADALETA

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INCORONATA DI METAPONTO

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TOMBE DIPINTE DI MANDURIA

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LA COLLEZIONE TARENTINA

Nuove considerazioni A. LISENO

Dati archeologici e analisi petrografiche A. ALESSIO - M. T. GIANNOTTA - G. QUARTA

del Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste: storia della formazione N. Poli

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L’APPRODO DI TORRE S. SABINA

Tutela, valorizzazione e prospettive per la ricerca A. ZACCARIA NOTE

A PROPOSITO DE «LA TOMBA DELLE DANZATRICI DI RUVO DI PUGLIA» P. PALMENTOLA

CODIFICA DEI DATI NELLE DISCIPLINE ARCHEOLOGICHE Dall’analisi quantitativa al Semantic Web V. LOMIENTO


fatto un museo in un paese vicino a Trieste. Dal momento che non sono note altre raccolte pubbliche di materiali tarantini nel Friuli Venezia Giulia, non si può escludere che in realtà il museo cui si allude sia quello di Trieste, oppure, meno verosimilmente, che le terrecotte siano andate a costituire una o più collezioni private. Nel primo caso resta la discrepanza cronologica tra il periodo in cui si è formata la collezione triestina e quello in cui sarebbe avvenuto il ritrovamento, successivo di circa un trentennio. Per quest’ultimo dato, tuttavia, si può avanzare qualche dubbio, visto il carattere dell’informazione. Il ritrovamento potrebbe risalire, in realtà, ad un’epoca precedente a quella indicata dall’informatore anonimo, anche se il cenno all’automobile posseduta dall’antiquario non consente di arretrare troppo nel tempo. Nel complesso resta dunque difficile stabilire l’attendibilità della notizia e l’esistenza di un rapporto effettivo con la collezione di Trieste, forse citata fuori luogo, per sovrapposizione – da parte della fonte – di fatti accaduti in tempi diversi. Pur nella sua elusività, questo documento sembra però confermare che almeno una parte dei fittili di Trieste proviene dall’area compresa tra la chiesa di San Francesco e il fondo Giovinazzi. Non diversamente da tutte le collezioni di stampo antiquario, anche in questo caso la ricostruzione del contesto originario degli oggetti è ormai impossibile, nonostante questi limiti, la raccolta triestina offre comunque numerosi motivi di interesse per la ricchezza e la varietà dei materiali, costituendo uno dei casi più eclatanti dell’interesse che l’archeologia tarantina suscitò e ancora oggi continua a suscitare nella cultura europea.

APPENDICE

Gli esemplari che seguono sono rappresentativi solamente di una minima parte del repertorio tipologico-iconografico della coroplastica della Collezione 45. Per le figure femminili stanti e in trono, per il recumbente e probabilmente per la protome – tutti databili tra gli ultimi decenni del VI sec. a.C. e la prima metà di quello successivo – è certa la provenienza da contesti votivi; come è noto, l’uso di deporre terrecotte nelle sepolture è attestato a Taranto a partire dall’ultimo quarto del IV sec. a.C.46 A questa pratica sono invece riconducibili le ultime due terrecotte, il giovane che scrive su un rotolo di papiro e il tintinnabulum in forma di bambino nella culla; esemplari direttamente confrontabili con questi conservati a Trieste facevano parte del corredo di una sepoltura tarantina, datata nella seconda metà del I sec. a.C.

1) Figura femminile stante (fig. 1) Inv. n. 2400 (T 904) Si conserva il busto. Tracce di impronte digitali sul polos. Altezza 13,3 cm. Argilla di colore giallo pallido, arancio pallido sui lati, con mica. Datazione: ultimi decenni del VI sec. a.C. Bibl. WINTER 1903, I, p. 103, n. 2. Cfr. F.G. LO PORTO in “Atti Taranto” 1973, tav. LXXVI fig. 1; I D . 1976, tav. XCVIII, fig. 1; OLBRICH 1979, tav. 30, A 124; SIMON 1982, p. 193, n. 125. Il frammento è riconducibile a una figura stante, la cui parte inferiore di forma tubolare era lavorata al tornio e poi saldata al busto, appositamente provvisto di un tenone per l’innesto 47. Gli avambracci flessi in avanti erano applicati a mano. Indossa una veste aderente con scollo rotondo a rilievo e un alto polos svasato. I capelli sono dispo-

Tutte le terrecotte sono realizzate a matrice nella parte anteriore; se non altrimenti specificato, è sottointeso che la parte posteriore non presenta alcuna lavorazione. Sotto la voce “Cfr.” sono indicati gli esemplari editi confrontabili in modo diretto con le terrecotte schedate, ovvero quelli che discendono da un prototipo molto simile o, in alcuni casi, possibilmente dallo stesso, intendendo con “prototipo” l’oggetto modellato a mano dal quale è stata ricavata la prima matrice. Anche il termine “tipo” è inteso in un’accezione concreta, per indicare tutte le evidenze materiali (positivi e matrici) che sono in relazione meccanica con un determinato prototipo. Per gli aspetti terminologici e metodologici connessi allo studio dei materiali prodotti a matrice, sui quali non è opportuno soffermarsi in questa sede, vd. recentemente A. MULLER, Description et analyse des productions moulées. Proposition de lexique multilingue, suggestions de méthode, in A. MULLER (éd.), Le moulage en terre cuite dans l’Antiquité. Création et production dérivée, fabrication et diffusion, Actes du XVIIIe Colloque du CRA – Lille 3, (Lille déc. 1995), Lille 1997, pp. 437-463. 46 ABRUZZESE CALABRESE 1996, p. 194; per la coroplastica di uso funerario, vd. GRAEPLER 1996; ID. 1997. 47 Per alcuni esemplari integri da Taranto, cfr. E. DE JULIIS – D. LOIACONO, Taranto. Il Museo Archeologico, Taranto 1985, p. 339, fig. 406; I Greci in Occidente. Arte e artigianato, Napoli 1996, p. 198, n. 130. 45

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sti sulla fronte in una serie di rigide ciocche verticali, più corte al centro; ai lati scendono sulle spalle in quattro lunghe trecce perlinate. Il volto è allungato e magro, la bocca leggermente sorridente, gli occhi ovali sono obliqui, con palpebre a rilievo. Terrecotte simili, sia nello schema generale sia nel volto, sono diffuse non solo a Taranto, in particolare nei depositi del Pizzone e di Saturo, ma anche a Metaponto, a Sibari, a Crotone, a Siris e a Poseidonia 48. Sebbene i modelli di riferimento possano considerarsi sostanzialmente i medesimi, tuttavia la documentazione finora disponibile sembra suggerire una situazione ricca di sfumature, nella quale è lasciato spazio ad adattamenti ed elaborazioni locali. Ciò è visibile in particolare nei volti, che raramente sembrano riprodurre un medesimo tipo. Questo di Trieste è forse lo stesso documentato a Saturo (LO PORTO 1973), mentre gli altri confronti sono meno diretti.

2) Protome femminile (fig. 2) Inv. n. 4295 (T 849) Lacunosa ai lati. Resti di colore bianco su tutta la superficie e tracce di colore rosso sui capelli e sulle labbra. Foro moderno di affissione sulla parte superiore. Altezza 13,4 cm. Argilla di colore beigecrema, con mica. Datazione: fine del VI sec a.C. Cfr. D. ADAMESTEANU in “Atti Taranto” 1973, tav. LXXX, 1; F. CROISSANT, Les protomés féminines archaïques, BEFAR 250, Paris 1983, p. 176, tav. 62, n. 105; I D . in “Atti Taranto” 1999, tav. XXIV, n. 3; F.G. LO PORTO, Satyrion (Taranto). Scavi e ricerche nel luogo del più antico insediamento laconico in Puglia, in «NSc» LXXXIX, 1964, p. 249, fig. 65, n. 5; J.P. MOREL, Garaguso:

traditions indigènes et influences grecques, in «CRAI» 1974, p. 387, fig. 12; SIMON 1982, p. 199, n. 133 (dalla Sicilia).

L’ovale del volto è pieno e carnoso, il mento arrotondato, con sottomento, il naso dritto con l’estremità leggermente arrotondata, entrambi proiettati in avanti. Le labbra decisamente sorridenti, ben modellate s’inarcano con due curve simmetriche, che formano ai lati due fossette profonde. Gli occhi, che in questo esemplare non conservano l’indicazione plastica delle palpebre, sono allungati e stretti, mentre le arcate sopraccigliari sono basse e quasi orizzontali. La fronte è bassa, essendo delimitata dai capelli, costituiti da una banda con tre ordini di ondulazioni piuttosto strette, più larga in corrispondenza delle tempie. Il velo cinge la testa lasciando scoperte le orecchie, che negli esemplari meglio conservati sono ornati da orecchini a disco.

Le protomi femminili arcaiche non sono comuni a Taranto. Oltre ai pochi esemplari dispersi nelle collezioni museali 49, sono noti due esemplari inediti provenienti da sepolture 50, mentre in ambito votivo esse risultano documentate al Pizzone e a Saturo, sebbene in numero molto contenuto rispetto agli altri soggetti 51. In particolare, entrambi i contesti hanno restituito rispettivamente uno e almeno due esemplari di questo tipo, già noto a Taranto attraverso una protome conservata a Budapest e inserita da F. Croissant nel gruppo “clazomenio” della sua classificazione (CROISSANT 1983). Questo tipo creato in Ionia sembra conoscere una certa fortuna nell’Italia meridionale, essendo riprodotto localmente anche a Sibari (CROISSANT 1999), a Garaguso (MOREL 1974) e a Metaponto (ADAMESTEANU 1973).

Per Metaponto, OLBRICH 1979; per Sibari, F. CROISSANT, Sybaris: la production artistique, in «Atti Taranto» 1992, pp. 539-559; per Crotone, C. SABBIONE, L’artigianato artistico, in «Atti Taranto» 1983, pp. 245-301; per Siris, G. OLBRICH, Verwandtes und Benachbartes zu den archaischen Terrakotten aus dem Demeter-Heiligtum von Herakleia, in B. OTTO ed., Herakleia in Lukanien und das Quellheilgtum der Demeter, Inssbruck 1996, pp. 181-190; per Poseidonia, M. SESTIERI BERTARELLI, Statuette femminili arcaiche e del primo classicismo nelle stipi votive di Poseidonia, in «RIA‚ 1989, pp. 5-47 e M. CIPRIANI, Poseidonia tra VI e IV sec. a.C., in Arte e artigianato, pp. 207-216. Vd. inoltre, G. OLBRICH, Sybaritica, in «PP», pp. 183-224. Sulla diffusione di questi modelli è tornato recentemente F. CROISSANT, La diffusione dei modelli stilistici greco-orientali nella coroplastica arcaica della Grecia d’Occidente, in «Atti Taranto» 1999, pp. 427-455, in part. pp. 449-451; ID., Crotone et Sybaris: esquisse d’une analyse historique de la koinè culturelle acheénne, in Gli Achei e l’identità degli achei d’Occidente. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Paestum, 23-25 febbr. 2001) a cura di E. GRECO, Salerno 2002, pp. 397-423, in part. pp. 407-408. 49 Al museo di Trieste sono conservati altri 7 esemplari, uno è al museo di Karlsruhe (SCHÜRMANN 1989, tav. 25, n. 118). 50 GRAEPLER 1996, p. 230, nota 39. 51 Da Saturo: F.G. LO PORTO 1976, tav. XCVIII, fig. 1. Dal Pizzone potrebbe provenire anche un esemplare al museo di Karlsruhe, acquisito nel 1884 (vd. nota 49). 48

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3) Figura femminile stante (fig. 3) Inv. n. 4347 (T 228) Si conserva sino alle ginocchia. Retro stondato. Altezza 13,2 cm. Argilla di colore beige. Datazione: fine del VI sec. a.C. Bibl. WINTER 1903, I, n. 1. Cfr. A R T E E ARTIGIANATO , p. 201, n. 143; IACOBONE 1988, tav. 4, a, b; PALUMBO 1986, tav. XLI, n. 18.

Indossa un chitone, che si increspa sulla gamba sinistra, dove è trattenuto dalla mano corrispondente; l’himation copre la testa e si dispone obliquamente sul petto, formando numerose pieghe sovrapposte. Nella mano destra, portata contro il petto, regge un frutto, probabilmente una melagrana. L’ovale del volto è pieno, le superfici sono morbide, il naso prominente e la bocca sorridente. La fronte è incorniciata dai capelli, divisi al centro in due bande lisce.

Terrecotte che riproducono lo schema della kore, sul modello della grande statuaria, sono molto comuni tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. in tutto il mondo greco. Il confronto più diretto è, nel campo dell’edito, con un frammento proveniente dal santuario di Monte Papalucio, a Oria, che ha restituito diverse terrecotte appartenenti a tipi tarantini (PALUMBO 1986) 52. Al di fuori della coroplastica, ma sempre in ambito tarantino, questo tipo trova un confronto, per la foggia dell’abito, con una statua in marmo, opera forse locale di influsso microasiatico, datata nell’ultimo quarto del VI sec. a.C. 53 4) Figura femminile in trono (fig. 4) Inv. n. 1572 (acquistato il 18.4.1902 dalla famiglia di G. Barzilai) Integra, con qualche scheggiatura. Tracce di colore bianco. Altezza 24 cm. Argilla beige chiaro, con mica. Datazione: ultimo quarto del VI sec a.C. Cfr. A R T E E ARTIGIANATO , p. 199, n. 136; B E S Q U E S 1954, tav. XLI, B 389; I Greci in Occidente. La Magna Grecia nelle collezioni del

Museo Archeologico di Napoli, Napoli 1996, p. 99, n. 9.61; HIGGINS 1954, tav. 170, n. 1235. IACOBONE 1988, tav. 32 b, c; LIPPOLIS 1995, tav. XVI, n. 3; SCHÜRMANN 1989, tav. 24, n. 115.

La figura siede su un trono di cui si distinguono i lati e lo schienale, tenendo le mani poggiate sulle ginocchia e i piedi su un basso suppedaneo. Indossa una veste liscia – i cui dettagli dovevano essere originariamente resi con il colore – e un polos squadrato, dal quale escono i capelli, resi semplicemente da una fascia liscia semicircolare. Il volto tondeggiante, con zigomi in evidenza e bocca appena sorridente, manifesta, come quello dell’esemplare n. 3, una dipendenza da modelli ionici. Tipi analoghi sono molto comuni in Magna Grecia e in Sicilia, dove la produzione è legata alla diffusione della piccola plastica ionica a partire dalla metà del VI sec. a.C. La posizione assisa e l’impostazione ieratica consentono di identificare la figura con una divinità, come nel caso dell’esemplare seguente.

5) Figura femminile in trono (fig. 5) Inv. n. 2337 (T s.n.) Integra. Spalliera s. del trono scheggiata, qualche abrasione, tracce di colore bianco e rosso. Altezza 22,5 cm. Argilla di colore beige chiarissimo. Datazione: verso la metà del V sec. a.C. Cfr. HIGGINS 1954, tav. 172, n. 1253; IACOBONE 1988, tav. 35, c; WINTER 1903, I, p. 122, n. 6.

Rigidamente seduta su un trono con spalliere ad aletta la figura indossa un peplos che forma sul busto una piega centrale ed altre più piccole che scendono diagonalmente, mentre nella parte inferiore del corpo è articolato in fitte pieghe verticali. Le mani poggiano sulle cosce; quella sinistra regge un oggetto tondo, probabilmente un frutto. I piedi poggiano su un basso suppedaneo aggettante, che aveva anche la funzione di fornire stabilità alla terracotta. Sulla testa porta un polos e un velo; il volto è mas-

Vd. in Archeologia dei Messapi (Catalogo della mostra), a cura di F. D’Andria, Bari 1990, pp. 239-252. R. BELLI PASQUA, Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto, IV, 1. Taranto. La scultura in marmo e in pietra, Taranto 1995, pp. 14-19. 52 53

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siccio, i capelli sono disposti schematicamente formando una sorta di gradino e lasciano la fronte libera.

6) Figura maschile su kline (fig. 6) Inv. n. 4472 (T 810) Si conservano il corpo e parte della kline. Retro piatto. Gambe posteriori della kline applicate a mano. Tracce di colore bianco sul corpo, di colore rosso sulla testa. Foro di affissione moderno sulla testa. Altezza 14,5 cm. Argilla di colore arancio rosato, con mica e piccoli inclusi. Datazione: ultimo quarto del VI sec. a.C. Cfr. BESQUES 1954, tav. XLII, B 403; HIGGINS 1954, tav. 170, n. 1241; QUEYREL-BOTTINEAU 1988, p. 3, fig. 3; SCHÜRMANN 1989, tav. 24, n. 112 ; tav. 36, n. 203.

Il busto ampio, dal modellato morbido, è sproporzionato rispetto alla parte inferiore del corpo, dove le gambe abbassate sono coperte dall’himation. La mano sinistra tiene in basso una coppa, poco visibile, la mano destra poggia sulle gambe. Il volto è ovale e, sebbene i tratti siano poco distinguibili, ha il naso prominente e le guance piene. La testa è probabilmente coperta dall’himation, da cui escono sulla fronte le ciocche a linguette. La kline, molto semplice, si reggeva su quattro gambe. Estremamente varie sotto il profilo iconografico, pur nel rispetto dello stesso schema generale, le figure di recumbenti sono le più diffuse a Taranto. Sugli aspetti interpretativi esiste un’ampia bibliografia, dalla quale emerge la difficoltà di assegnare a questi fittili un significato univoco. Lo stesso problema interessa, del resto, anche altri soggetti, laddove l’iconografia nel complesso – e non singoli elementi di essa – non deponga inequivocabilmente a favore dell’identificazione con una divinità. 7) Giovane che scrive su papiro (fig. 7) Inv. 4835 (T 210). Integra. Retro modellato a mano, interno cavo, avambraccio destro modellato a mano e sovrappli54 55

cato. Altezza 12,6 cm. Argilla beige-giallo pallido con mica. Tracce di colore rosso alla base. Datazione: seconda metà del I sec. a.C. Cfr. F. C OLIVICCHI , Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto, III, 2, Alabastra tardo-ellenistici e romani dalla necropoli di Taranto. Materiali e contesti, Taranto 2001, p. 200, n. 38.30; E. DE JULIIS- D. LOIACONO, Taranto. Il Museo Archeologico, Taranto 1985, p. 355; GRAEPLER 1996, p. 234; GRAEPLER 1997, p. 140, fig. 155, p. 142, figg. 163-164.

Figura giovanile seduta su un sedile cubico, con la testa abbassata, nell’atto di scrivere su un rotolo di papiro poggiato sulle gambe. Indossa una tunica e una toga disposta sulle spalle; al collo porta una bulla. I capelli sono corti e quasi indistinti, solo sulla fronte si distinguono spesse ciocche verticali.

Questo soggetto, presente a Trieste con un altro esemplare, appare a Taranto in corredi funerari databili negli ultimi decenni del I sec. a.C., probabilmente pertinenti a sepolture di fanciulli (GRAEPLER 1997). Esso appartiene all’ultima fase della produzione coroplastica tarantina, che si distingue da quelle precedenti sia nel repertorio tematico sia negli aspetti tecnici 54. Ad esempio, il colore, di cui si conservano poche tracce, è steso direttamente sulla superficie argillosa e non sulla preparazione bianca, che in questo periodo non è più applicata. Accanto alla rappresentazione della figura che scrive è nota anche quella del giovane intento alla lettura, con la guancia poggiata contro la mano destra, ugualmente aggiunta dopo aver estratto il positivo dalla matrice (DE JULIIS – LOIACONO 1985). Sulla parte posteriore di questa e di alcune altre terrecotte – ma non su quelle di Trieste – che discendono probabilmente dal medesimo prototipo è presente un’iscrizione (M KOPN-ATIOC), riferibile a una persona coinvolta nella produzione. La formula onomastica, scritta in caratteri greci, riassume la situazione culturale della città nelle sue componenti greca e romana 55.

Vd. GRAEPLER 1996; ID. 1997. GRAEPLER 1997, p. 142.

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8) Bambino nella culla. Tintinnabulum (fig. 8) Inv. 4090 (T 303). Integra. Retro modellato a mano con piccolo foro di sfiato, interno cavo. Tracce di colore rosa. Lunghezza 11,1 cm. Argilla di colore beige-giallo pallido, con mica. Datazione: seconda metà del I sec. a.C. Bibl. WINTER 1903, II, p. 271, n. 3 B. Cfr. BESQUES 1986, tav. 56, D 3646; GRAEPLER 1997, p. 140, fig. 155. HIGGINS 1954, tav. 30, 155157 (da Rodi); tav. 173 n. 1268 (da Taranto?); A. LEVI, Le terrecotte figurate del Museo Nazionale di Napoli, Firenze 1926, p. 89, fig. 72 (da Egnathia); PALUMBO 1986, tav. XXX, n. 592 ( da Rudiae).

Il neonato, completamente nudo, è adagiato sulla schiena nella culla, con la testa poggiata su un cuscino; gli arti sono distesi, ad eccezione della gamba destra, leggermente piegata.

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Il soggetto risulta documentato a Rodi già nel V sec. a.C. (HIGGINS 1954); in Italia meridionale la sua diffusione è collocata in età ellenistica (BESQUES 1986), anche con tipi nei quali il neonato è sostituito da un piccolo erote (L EVI 1926). L’esemplare del British Museum, con il neonato avvolto in fasce, inserito fra i materiali tarantini e datato ancora nel V sec. a.C., è in realtà di provenienza incerta (HIGGINS 1954). La datazione nel III sec. a.C., proposta da S. Besques per un esemplare tarantino appartenente a un tipo leggermente diverso da questo, poggia esclusivamente su base tipologico-iconografica. Noto è invece il contesto di provenienza di un altro esemplare tarantino, rinvenuto in una sepoltura databile nella seconda metà del I sec. a.C., dove la sua presenza può essere messa in relazione con la giovane età del defunto (GRAEPLER 1997).


Fig. 1. Figura femminile stante. Inv. n. 2400 (T 904).

Fig. 2. Protome femminile. Inv. n. 4295 (T 849).

Fig. 3. Figura femminile stante. Veduta frontale e di tre quarti. Inv. n. 4347 (T 228).

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Fig. 4. Figura femminile in trono. Veduta frontale e di tre quarti. Inv. n. 1572.

Fig. 5. Figura femminile in trono. Veduta frontale e di tre quarti. Inv. n. 2337 (T s.n.).

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Fig. 6. Figura maschile su kline. Inv. n. 4472 (T 810).

Fig. 7. Giovane che scrive su papiro. Inv. 4835 (T 210).

Fig. 8. Bambino nella culla. Tintinnabulum. Inv. 4090 (T 303).

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Fig. 3. Pianta e sezione del relitto (rilievo di F. Zongoli).

Fig. 4. Particolare del relitto (rilievo di F. Zongoli).

tracce di bruciatura. Gli scavi sistematici, condotti fino al 1976, hanno portato alla luce una cospicua quantità di materiali ceramici, estremamente eterogenei per tipologia, provenienza e cronologia (dall’età arcaica all’età imperiale ed oltre). J. Parker riteneva che i resti lignei potessero essere congruenti con i reperti ceramici di un presunto relitto tardorepubblicano (o augusteo”), mentre Lamboglia già aveva manifestato cautela in tal senso, in considerazione dell’attività di discarica portuale svolta nel tempo nella baia. A seguito di successive prospezioni condotte nel 1978, a circa 20 metri più a nord, in prossimità dell’imboccatura della baia, vennero alla luce ulteriori reperti lignei bruciati, elementi di una lamina in piombo e di chiodatura in bronzo e in ferro, insieme ad un gruppo di contenitori fittili attribuiti ad un periodo tra la seconda metà e la fine del II sec. a.C.8 Anche un altro consistente nucleo di materiali, costituito da ceramiche megaresi decorate a rilievo, di provenienza greca e microasiatica, rinvenute in tutta l’insenatura, ma soprattutto concentrate nell’area degli scavi 1972-1976, in prossimità di una serie di blocchi squadrati e di alcuni embrici, fu attribuito al carico di età tardo repubblicana. 9 Un presumibile secondo relitto (ora denominato Torre S. Sabina 1), perfettamente conservato nelle parti lignee strutturali, giacente ad una profondità di 3-4 metri lungo la sponda meridionale del-

l’insenatura, individuato dal Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina circa vent’anni fa, è tornato alla luce a seguito dell’apertura di un canale nel banco roccioso, costruito per consentire il deflusso delle acque. La struttura, ben conservata per una lunghezza di circa m. 14,50 e m. 5,5, di larghezza, con madieri documentati con sezione rettangolare (12 x 10 cm. circa) collocati a distanza pressocchè regolare (ogni 20 cm. circa); le tavole del fasciame (largh. circa cm. 12) appaiono assemblate a paro con mortase e tenoni, alcuni dei quali ancora visibili. La chiglia presenta sezione trapezoidale con base di cm. 28; la sezione del paramezzale, almeno nella parte terminale, sembrerebbe rettangolare. La scassa ha piano del fondo inclinato con un piccolo incasso, a circa 40 cm. di distanza. A poca distanza sotto la sabbia, si è riscontrata la presenza di una cima di circa 4 cm. di diametro. Né all’epoca della segnalazione, né in occasione della ricopertura del 1992 furono rinvenuti resti significativi del carico, ma non è da escludere che siano ancora conservati sotto la sabbia. I resti dello scafo, trovandosi a bassa profondità (circa 3 m.) sono soggetti ai violenti e continui moti ondosi che si abbattono sulla costa e sono in posizione agevolmente raggiungibile dalla spiaggia per i bagnanti: tali fattori hanno comportato nel tempo la distruzione e la continua manomissione

8 LAMBOGLIA 1972, p.431; 1973-1974, p.53; 1974, p.436; LO PORTO 1963, p.372; SCIARRA 1978; 1982; 1985, pp.143-145; PARKER 1974, p. 147; 1992, p.429, n.1162; Rassegna 1978, p.15; GIANFROTTA 1996, p.123; MARINAZZO 1995, p.140 (con bibl. prec.); AURIEMMA 2004, pp. 10-12 (con bibl. precedente) definisce tali rinvenimenti riferibili ad un presunto Relitto Torre S. Sabina 2. 9 KAPITAN 1969; SIEBERT 1977, pp.111-150; 1978.

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Fig. 5. Particolare della prua (rilievo di F. Zongoli).

della struttura lignea (figg. 3, 4, 5). Pertanto nel dicembre 1992 la Soprintendenza Archeologica della Puglia ne predispose la copertura delle parti a vista (eseguita dal Gruppo Ricerche Archeologiche Sottomarine di Brindisi) in attesa di adeguati finanziamenti per la programmazione di scavi sistematici. Da allora però la copertura ha subito ulteriori manomissioni e atti vandalici da parte di bagnanti e subacquei occasionali, con asportazione e danneggiamento della gran parte dei sacchetti, cosicchè alcune parti lignee sono state scoperte, danneggiate o addirittura divelte (figg. 6, 7). Si è valutata quindi l’opportunità di procedere alla realizzazione di una struttura che potesse garantire, nel tempo, maggiore stabilità nei confronti degli agenti atmosferici e umani ma nello stesso

tempo risultasse rimovibile, in parte o del tutto, per consentire ulteriori indagini ed anche interventi di restauro parziale o totale degli elementi lignei. Tale copertura è costituita da 43 lastroni rettangolari di cemento vibrato, di dimensioni m. 1,20 x 1,50 x 1,20 ciascuno, posizionati e collegati tra loro a coppie con catene di acciaio temperato cementato, antitaglio, con circa 30 cm di spazio tra l’uno e l’altro, in modo da realizzare una superficie a maglie snodabili delle dimensioni complessive di metri 10 x 15. I pannelli, una volta scaricati a mare da una gru e posati con l’ausilio di palloni di sollevamento idrostatico, furono allocati al di sopra di una copertura di sacchetti di sabbia. Le catene sono munite di pani di zinco anodizzati per preservarle dalle correnti galvaniche, che ne avrebbero compromesso la tenuta (figg. 8, 9).10 Il peso di ogni singolo lastrone

10 La copertura è stata progettata e realizzata dalla Società MARE TERRA di Napoli, sotto la direzione tecnica dell’arch. Antonio Di Stefano, che ha eseguito l’intervento, sotto la direzione scientifica della dott.ssa A. Cocchiaro, con la collaborazione della scrivente. Cfr. COCCHIARO 1999, p. 121.

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Fig. 6. Copertura di sacchetti del 1992.

Fig. 7. Resti lignei in evidenza.

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Fig. 8. Pianta e sezioni della copertura.

Fig. 9. Assonometria della copertura, i lastroni.

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Figg. 10-11. Posa in opera dei lastroni.

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Figg. 12-13. Posa in opera dei lastroni.

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Fig. 14. Frammenti lignei.

Fig. 15. Planimetria della baia, con ubicazione delle evidenze sommerse (riel. da rilievo F. Zongolo).

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Fig. 16. Ancora di pietra in situ (foto a. Zaccaria).

(in acqua kg. 405) e quello complessivo della struttura sono stati calcolati in modo da poter resistere agli spostamenti causati dal moto ondoso, preservando nel contempo la struttura lignea ed il deposito archeologico dallo schiacciamento (figg. 4, 5, 6, 7).11 In tale occasione si è effettuata la prospezione sistematica non solo dell’area interessata al giacimento ma anche di tutta una fascia circostante, all’interno della baia, nel corso della quale sono stati individuati ulteriori reperti lignei e manufatti di interesse archeologico precedentemente non evidenziati o, comunque, non documentati, all’interno della baia stessa. Il relitto è risultato ruotato rispetto alla planimetria elaborata nel 1992 e orientato a NO-SE, con un ingombro di circa m.18 di lunghezza e di circa m. 8 di larghezza. In primo luogo è emersa la cospicua presenza,

in vari punti intorno all’ area ricoperta, e principalmente in linea con la prua, di svariati frammenti lignei in giacitura originaria e pertinenti la stessa l’imbarcazione. Se si considera che al momento della copertura del 1992 non furono eseguiti saggi di scavo, in quanto la struttura della nave era apparsa compatta e ben conservata, è verosimile che l’azione continua del mare, negli ultimi anni, abbia messo in luce altre parti dell’ ossatura della nave, all’epoca non visibili (fig. 14). Pertanto l’area delle indagini è stata estesa di circa 20 m. lungo le fasce laterali e di circa 10 m. lungo quelle longitudinali, creando così un reticolato rettangolare, all’interno del quale sono stati effettuati saggi di scavo nei punti ritenuti di maggiore interesse. All’interno del reticolo così ampliato, i punti “d’interesse” sono stati numerati, evidenziati con gavitelli galleggianti, fotografati, rilevati e localizzati topograficamente; per ciascuno di essi

11 Considerate le particolari condizioni di giacitura, si è scartata la possibilità di un sistema di copertura formata da pannelli modulari metallici zincati di vetroresina, della misura di m.2x 2, utilizzato, nello stesso periodo in modo sperimentale per il relitto di Montalto di Castro (VT), a circa 38 m. di profondità. Cfr. PETRIAGGI 1997, p.341-344.

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