Il Sogno e la Storia n. 2

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Settimanale ~ E 3,00 N. 2 ~ 13 giugno 2009

SCORPIONE EDITRICE


N. 2 - 13 giugno 2009 © 2009 - Testo e disegni: Angelo R. Todaro – www.angelotodaro.it Collaborazione e consulenza storica-archeologica: Mario Lazzarini Edito da: Scorpione Editrice, via Istria 65d 74100 Taranto – Tel. fax 099 7369548 Email: info@scorpioneeditrice.it Web: www.scorpioneeditrice.it Grafica e impaginazione: Studio Puntolinea, Taranto: 099 7775843 Stampa: Stampasud S.p.A., Mottola (TA) Per i numeri arretrati € 3,00 cadauno. Rivolgersi all’Editore. Con il fascicolo n. 18 si completerà il 1° volume. Con il fascicolo n. 35 si completerà il 2° volume. Coloro che desiderano acquistare la copertina per la rilegatura dei due singoli volumi, oppure i due raccoglitori cartonati devono prenotarli presso l’Editore.

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Settimanale ~ E 3,00 N. 2 ~ 13 giugno 2009

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Settimanale ~E N. 3 ~ 20 giug 3,00 no 2009

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Il prossimo numero

A cena con Orazio


Il Sogno e la Storia Presentazione dell’opera La storia di Taranto, Roma, la Magna Grecia, la Grecia e Cartagine in due grandi volumi 35 fascicoli, ciascuno di 24 pagine a colori, in carta patinata (ma il numero 1 è eccezionalmente doppio), contenenti centinaia di disegni a colori di grande formato, in vendita a cadenza settimanale al prezzo di € 3,00. La parte centrale di ogni fascicolo è estrapolabile e contiene 16 pagine (eccetto i numeri 1-18-35 che ne hanno 32) con numerazione progressiva. A raccolta completata i fascicoli dal n. 1 al n. 18 formeranno il primo volume di 320 pagine. I fascicoli dal n. 19 al n. 35 formeranno il secondo volume di 288 pagine. I lettori che lo desiderano possono già prenotare presso l’Editore la copertina cartonata e risguardi per far rilegare il primo volume, oppure richiedere il contenitore cartonato per conservare i fascicoli così come sono. Il fascicolo n. 18 sarà di 36 pagine e conterrà anche l’indice del primo volume e la Timeline, cioè la cronologia degli eventi narrati nel primo volume, suddivisa per data. Il fascicolo n. 35 sarà di 36 pagine e conterrà l’indice del secondo volume e la Timeline relativa agli eventi narrati nel secondo volume; inoltre conterrà gli indici dei termini greci e latini, dei luoghi e dei nomi dei personaggi presenti nei due volumi, in modo da facilitare la loro ricerca successivamente. In coda ai fascicoli, così come in questo, saranno presenti schede fronte-retro (volutamente in bianco-nero per facilitarne la riproduzione a scopo didattico) che possono essere ritagliate e conservate. Le schede informeranno il lettore dell’architettura, l’abbigliamento, le acconciature, gli oggetti d’uso quotidiano, le armi e tanti altri aspetti del mondo del Greci e dei Romani. In questo primo numero è allegata la scheda sull’ordine architettonico dorico greco; seguiranno l’ordine ionico e l’ordine corinzio.

I fascicoli settimanali Primo volume 1

Dove il miele è più dolce

2

Falanto e gli Spartani

3

A cena con Orazio

4

Il Tirreno conteso

5

Il volo della colomba

6

Molle et imbelle Tarentum

7

Nella grande Roma

8

Atleti e gladiatori

9

Roma-Taranto, vigilia di guerra

10 Le falangi dell'Aquila 11 La pace di Pirro 12 I carri di fuoco 13 Lo sbarco in Sicilia 14 E PIrro se ne andò 15 Sotto il piede di Roma 16 Verso la Sicilia 17 Roma impara a navigare 18 La sconfitta di Regolo Secondo volume 19 Via dalla pazza folla 20 Quadrighe al galoppo 21 Profumo d’Annibale 22 Annibale passa le Alpi 23 Matrimonio alla romana 24 La sposa era bellissima 1 25 La sposa era bellissima 2 26 La carneficina di Canne 27 La tomba di Archimede 28 Annibale a Taranto 1 29 Annibale a Taranto 2 30 Verso Tivoli 31 Il flamen dialis 32 Chi d’inganno ferisce… 33 La fine del sogno 1 34 La fine del sogno 2

Settiman N. 6 ~ 11 ale ~ E 3,00 luglio 200 9

SCORPIO NE EDITR

ICE

35 Il risveglio


L’uomo che sussurrava a Dio di Mario D’Anzi È un invito a riscoprire il senso della creatura che è in noi, riappropriarsi di una interiorità fatta di valori autentici che, istintivamente e coscientemente, ti avvicinano alla ricerca di Dio. Quel Dio di cui è pervasa la nostra esistenza e che è l’alito che dà vita a tutte le cose, che racchiude il mistero fascinoso dell’universo. Alla fine, scopri che il parlare con Lui dischiude la mente e ti arricchisce di intuizioni straordinarie. Così’, tutto acquista un senso: e la vita reale, difficile e dura, levita in una dimensione superiore, inimmaginabile e gratificante.

Pagg. 96 – formato 11 x 17 cm

E 12,00

Strana storia tarantina mijnze a sande galantome e malevijrme di Enzo Risolvo Enzo Risolvo raccoglie tasselli, simboli della tarantinità, quella di un tempo e quella di oggi, tratteggiati sempre con leggerezza di colori tenui e delicati, tipica di questo cantore di Taranto. La sua cultura popolare, che parte dai vicoli del Borgo Antico, vuole scoprire con interessata curiosità ogni angolo nascosto, ma soprattutto vuole cogliere l’essenza di quegli abitanti odorosi di mare, di quel mare che è nel sangue di questi uomini bruciati dal sole e dalla salsedine marina. Quanta storia e quante storie al di là e al di qua del ponte Girevole! Pagg. 340 con foto b/n – formato 17 x 24 cm

E 19,00

Viaggio attraverso la fede e la pietà popolare a Taranto di Antonio Fornaro II nostro sarà un viaggio per ricordare i momenti più importanti e aggreganti delle nostre processioni, per conoscerne lo svolgimento, la storia, la tradizione rappresentata da questo a da quel «personaggio» tipico, dal dolce o dalla pietanza di stampo popolare legata alla festa, brevi cenni sul «luogo del rito» o della chiesa da cui parte la processione, per non dimenticare detti e proverbi legati alla festa. Insomma, forti della «passione e dell’amore» con cui i nostri padri seppero trasmetterci questi riti, vogliamo perpetuarne la memoria in questo nostro semplice lavoro. Pagg. 232 con foto b/n – formato 13 x 20 cm

E 18,00

Libri acquistabili in libreria oppure presso l’editore: Scorpione Editrice, via Istria 65d, Taranto – Tel. fax 099 7369548. È possibile acquistarli anche via Internet sul sito web: www.scorpioneeditrice.it


FÀLANTO E GLI SPARTANI

Orazio si avvolge velocemente attorno al corpo il drappo bianco. «Meglio indossare la toga. Sarà fresco e un po’ umido là dove stiamo andando».

È già sorprendente che io mi sia ritrovato in quest’epoca, al tempo di Ottaviano Augusto, ma lo è ancora di più il fatto che io capisca il latino! Questa lingua, che durante gli anni di scuola mi sembrava ostica e che consideravo morta, ora mi appare dolcissima e piena di vita. Non solo la capisco ma la parlo pure! Le parole di Orazio scorrono armoniose e piene di significato così come quando ascolto un discorso tenuto nella mia madre lingua, e spontaneamente vien fuori dalle mie labbra la risposta, senza alcuna difficoltà. Come mai? — Vedo che hai gradito la mia tunica. È meglio di quell’orribile e sicuramente anche scomodo abito che indossavi ieri, non è vero? — Già. Questa tunica, infatti, è piuttosto comoda. Grazie. Ma… vogliamo parlare di Fàlanto? — aggiungo improvvisamente. — Amico mio, sei impaziente! Vieni, facciamo una passeggiata. Faccio appena in tempo ad afferrare un frutto prima di seguire Orazio che si dirige speditamente verso l’ingresso della casa. Da lì esce un servo che velocemente ci raggiunge; porta due toghe bianche leggere, una la porge ad Orazio, l’altra a me. Poi mi osserva. Ho la toga in mano. È una specie di lenzuolo lungo oltre quattro metri, con uno dei due lati lunghi tagliato a semicerchio. Ma come diavolo s’indossa ‘sto coso? Orazio lo ha fatto così velocemente che non ho avuto modo di capire il procedimento. — Ebbene, cosa aspetti? — chiede Orazio. — Veramente… non so… — dico sollevando la toga. — Ma… non vorrai farmi credere che non sai indossarlo… non usate più la toga a Taranto? — Non proprio questa… — Ma cosa usate? Mantelli?

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CAPITOLO III

— Qualcosa di simile. — Vedi, è semplice — dice Orazio afferrando la toga dalle mie mani. — Bisogna iniziare appoggiando qui il primo lembo… Così dicendo Orazio pone un lembo della toga sulla mia spalla sinistra, in modo che mi scenda fino alla caviglia e mi copra anche una metà del braccio. Poi gira il resto della stoffa dietro la mia schiena, lo fa passare sotto l’ascella destra portandolo sul davanti e lo getta nuovamente sulla spalla sinistra. — Vedi? È facile. Amico mio, hai molto da imparare qui da noi. Dopo di che Orazio infila una mano nella toga all’altezza del mio petto, afferra un lembo del tessuto sottostante, quello che mi arriva alla caviglia, e lo tira all’infuori oltre la stoffa che sta davanti. — Così la parte di stoffa sottostante non ti impaccerà nel camminare… — continua Orazio. — Andiamo, ti mostrerò un luogo incantevole. Mentre lasciamo la villa, camminando lungo un viottolo sterrato, mi viene da pensare alle donne indiane, quelle dell’India, intendo. Ancor oggi esse indossano qualcosa di simile alla toga romana; lo chiamano sari, ed in fondo è anch’esso un unico e lungo lenzuolo drappeggiato attorno al corpo, con la sola differenza che prima viene girato attorno ai fianchi, in modo da formare una gonna, poi lo si fa continuare dietro la schiena, sotto l’ascella destra e terminare sulla spalla sinistra, come ha fatto Orazio con la toga, oppure lo si fa pendere sul braccio sinistro. Cosicché anche le donne indiane hanno il braccio sinistro coperto e il destro scoperto. — Bene, parliamo di Fàlanto … — dice Orazio camminando senza fretta sulla stradina. — Ecco, sì. Com’è che decise di raggiungere le coste ioniche? — chiedo. — Per capire questo dobbiamo risalire un po’ indietro nel tempo … — precisa Orazio — alla città greca di Sparta, quasi 700 anni fa, quand’era formata di capanne con tetto in paglia, come Roma. Gli splendidi edifici in pietra e marmo dovevano ancora arrivare… Calcolo mentalmente: settecento anni fa… quindi Orazio allude alla fine dell’VIII sec. a.C., secondo la nostra datazione. — Devi sapere — continua Orazio — che l’aristocratica Sparta poneva nella guerra la propria pietra di paragone e la disciplina dell’intera città era di tipo militare, tant’è che lo stato era dominato dagli Spartiati, una casta di guerrieri detti anche i “Pari”, che si dedicavano esclusivamente al-

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Tetradracma di Sparta del periodo di re Cleomene (227-222 a.C.). Sul fronte la testa di Cleomene; sul verso la statua di Artemide Orthia che impugna la lancia con una mano e l’arco con l’altra. Ai due lati, quella che sembra una “V” rovesciata è in realtà una Lambda, prima lettera di Lakedaimon (Lacedemone).


FÀLANTO E GLI SPARTANI

«…dobbiamo risalire un po’ indietro nel tempo … — precisa Orazio — alla città greca di Sparta, quasi 700 anni fa, quand’era formata di capanne con tetto in paglia, come Roma. Gli splendidi edifici in pietra e marmo dovevano ancora arrivare… »

l’esercizio delle armi. Erano definiti “Pari” perché assolutamente eguali tra loro, sia nei doveri che nei diritti; infatti ad ognuno dei primogeniti maschi lo Stato assegnava un appezzamento di terreno assolutamente uguale a quello degli altri, totalmente indivisibile e non cedibile. — Beh, questo mi sembra giusto. — Già. Ma il sistema causava problemi, perché gli Spartiati erano “Pari” dinanzi alla legge, ma non sotto l’aspetto economico. Anche a Sparta vi furono presto ricchi e poveri. Poveri erano, ad esempio, i figli non primogeniti, i quali non avevano diritto all’assegnazione del lotto di terra, ma nemmeno era concesso loro di far soldi con la “volgare” professione del commercio o dell’industria. — Bella fregatura, allora, nascere secondi o terzi… — Anche quarti, quinti e così via… Ma guarda che magnifici campi… — Come, quali campi? — dico non avendo compreso subito che Orazio allude al panorama circostante. — Ma andiamo avanti — riprende Orazio. — I terreni dei “Pari” erano coltivati dagli schiavi Iloti, costantemente sorvegliati, mentre l’esercizio del commercio e dell’industria era riser-


CAPITOLO III

vato ai Perieci, persone che non avevano diritti politici ma che dovevano comunque prestare servizio militare nella falange, fianco a fianco con gli Spartiati. Ma solo a questi ultimi spettavano i gradi di ufficiale… Sai cos’era una falange, vero? — Mi pare di sì… una unità di fanteria composta di guerrieri armati di lunghe lance e spade, disposta su uno schieramento molto compatto. — Giusto — conferma Orazio — , come tanti istrici messi insieme: file di scudi tenuti dai guerrieri opliti, dai quali spuntano pericolosamente in avanti le lunghe lance. Un’eccellente unità tattica difficilmente aggredibile. — Finché non si scontrò con le legioni romane. — Infatti. La falange rivelò allora di contenere in sé un difetto, quello di essere poco mobile ed agile. Al contrario, la tattica militare romana puntava sulla rapidità di spostamento, ed ebbe quindi la meglio. Ma questa è un’altra storia. Torniamo a Sparta. — Mmmh, è meglio. — Come ti ho detto, Sparta era una città di guerrieri. Le donne degli Spartiati, poi, erano uniche. Di rara bellezza, poiché destinate a divenire madri di altri guerrieri, praticavano anch’esse duri esercizi fisici, mentre i lavori casalinghi e quelli sedentari erano destinati alle schiave. — Vallo a dire a mia moglie… — Non si adornavano di gioielli, — continua a spegare Orazio che fortunatamente non mi ha sentito — né usavano profumi o cosmetici. Praticamente nessun lusso era concesso a Sparta, nemmeno i piaceri della tavola. Gli Spartiati erano costretti a pranzare nei banchetti pubblici obbligatori, i sissizi, necessari per rinsaldare i vincoli di cameratismo. Ad esempio, dovevano mangiare il famigerato “brodo nero”, un composto di pezzi di lardo salato immersi nel sangue e aceto. — Blah! non li invidio… — Quindi i giovani guerrieri spartani, privi di tutto, avevano piacere solo nella lotta e nell’esercizio ginnico e militare, ma non per conquistare primati, bensì come preparazione alla guerra. — Confesso che non mi sarebbe piaciuto vivere a Sparta… Vabbe’,

«…l’aristocratica Sparta poneva nella guerra la propria pietra di paragone e la disciplina dell’intera città era di tipo militare…».


«Le donne degli Spartiati, poi, erano uniche. Di rara bellezza, poiché destinate a divenire madri di altri guerrieri…».

ma a cosa porta tutto questo? Vorresti dirmi che Fàlanto raggiunse le coste italiche per sfuggire a questo schifo di vita? — No, certamente. Avvenne per altri motivi. Vedo innanzi a me l’inizio di un bosco con alberi piuttosto alti. Orazio s’inoltra tra i grossi fusti, voltandosi verso di me che sono rimasto un po’ arretrato. — Andiamo, che aspetti? Cammina. Raggiungiamo il bosco Haedilia… Lo raggiungo velocemente e mi metto sulla sua scia. — Quel bosco si chiama Haedilia? — Già, così lo chiamano i contadini… Tuttavia — Orazio riprende il suo racconto — , nonostante ciò che ho detto finora Sparta non era una città guerrafondaia e imperialista. Niente affatto. Se non aggredita, essa si limitava a difendere i suoi territori e ad ampliarli conquistando quelli limitrofi per le sole esigenze di alimentazione della sua popolazione. Una di queste guerre di conquista avvenne contro la vicina Messenia. Quando fu presa la decisione di muovere guerra, tutti i guerrieri alzarono in alto la spada per giurare verso la statua di Zeus. Giurarono che mai sarebbero ritornati a casa senza aver prima espugnato la città nemica, Messene. Poi madri, spose e sorelle congedarono i loro uomini nel modo rituale: porgendo loro lo scudo e dicendo: «Torna o con questo o sopra di questo!». Con ciò volevano dire: torna da vincitore, imbracciando lo scudo, oppure su di esso, cioè morto. Cosicché i guerrieri partirono, convinti che sarebbe stata una breve guerra. — Invece? — Eh, a quel tempo le guerre raramente avevano breve durata. I Messeni, infatti, resistevano molto bene all’aggressione dei Lacedemoni e la guerra durava a lungo… Gli Spartani erano ormai sconsolati. Si chiedevano: «Riusciremo mai ad espugnare quelle mura? Tutti gli attacchi si sono rivelati sempre inutili». Così, dopo dieci anni di battaglie… — Capperi! Dieci anni! Come per la guerra contro Troia. — Già. Dopo dieci anni, dicevo, giunse al campo spartano un’ambasceria in

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CAPITOLO III

rappresentanza delle donne di Sparta, a dire: «Mentre voi combattete non nascono più Spartiati e ciò va a vantaggio dei nostri nemici! I Messeni continuano a riprodursi, mentre nessuno potrà sostituire ogni nostro caduto». Le donne avevano ragione. Lo spettro di una fatale crisi demografica incombeva su Sparta. Ci stiamo intanto inoltrando nel bosco che, nonostante i rami frondosi degli alberi e gli alti cespugli, resta però luminoso. — Avevano ragione certamente — commento io — . Visto che gli uomini adulti erano tutti in guerra… da dieci anni, poi… — Situazione non facile da risolvere, perché tutti i guerrieri avevano prestato giuramento di non abbandonare la lotta per tornare a Sparta. Essi avevano giurato: «o la conquista, o la morte». — Che fecero, allora? — I capi dell’esercito dettero ragione alle donne. Ma rompere il voto non si poteva. Sarebbero stati tutti tacciati di vigliaccheria! Tuttavia, dopo tanto discutere una soluzione fu trovata. — Come sempre. Basta parlare, la soluzione si trova. Anzi, la soluzione viene da sé, diceva Andreotti. — Chi? — Uno che conosco. — E aveva ragione? — Mah. Non credo proprio. Credo di essere arrivato alla meta, anche perché Orazio si è fermato. Siamo vicini ad un ruscello largo all’incirca sette-otto metri che si dirige a valle serpeggiando tra gli alberi, i cui rami in alto coprono quasi interamente il suo percorso. — Senti? — chiede Orazio sedendosi su un grosso masso in riva al ruscello. — La musica dei nostri avi. — Musica? Quale musica? — Quella della natura. Non la senti? Improvvisamente mi rendo conto che il bosco non è per nulla silenzioso, come mi sarei aspettato. Tutt’intorno ascolto cinguettii di uccelli di vario tipo, lo stormire delle alte fronde degli alberi mosse dal vento, lo stridere degli insetti, urla e gridolini di animali vari in lontananza, lo scrosciare dell’acqua che scende a valle piuttosto vistosamente… Tutto, però, in un’armonia di suoni che non sembrano casuali, come se provenissero da un’orchestra invisibile. — Sì, la natura… è bella — confermo. È ben diverso questo bosco da quelli in cui sono stato finora, nel mio tempo. È, come dire… più vivo! Mai ho sentito e visto tanti uccelli volare tra i rami, tanti scoiattoli saltare, tanti animaletti rincorrersi sull’erba come bambini. Persino le ranocchie che si tuffano dai sassi in acqua, facendo un piccolo ploff!, il caratteristico rumore del tonfo, mi sembrano differenti. — Invece quei capi trovarono la soluzione — riprende Orazio. — Cosa? — I capi di Sparta. Parlavamo dei capi di Sparta, ricordi?

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Triobolo di Messene. Sul fronte la testa di Zeus; sul verso un tripode, con la scritta ME-S e PO-LU/KL-HS su due linee, tutto all’interno di una corona d’alloro.


FÀLANTO E GLI SPARTANI

«Dopo dieci anni, dicevo, giunse al campo spartano un’ambasceria in rappresentanza delle donne di Sparta, a dire: “Mentre voi combattete non nascono più Spartiati e ciò va a vantaggio dei nostri nemici! I Messeni continuano a riprodursi, mentre nessuno potrà sostituire ogni nostro caduto”».

— Ah, sì… — O meglio, credettero di averla trovata. Devi sapere che quando le truppe erano partite per la guerra, a queste, com’era in uso, si erano aggregati anche numerosi ragazzi non ancora guerrieri e che, data la loro età, non avevano prestato giuramento. Nel frattempo questi giovani erano divenuti uomini, ed erano Spartiati. — Ho capito. Quindi — aggiungo io — non avendo prestato alcun giuramento, questi ex ragazzi sarebbero potuti tornare a casa! — Infatti. Ai fanciulli, divenuti ormai uomini, fu comandato di far ritorno a Sparta con un compito preciso. — Mi immagino quale. — Gli ordini furono: «A voi l’onore di incrementare la nostra razza. Tornate in patria e unitevi con tutte le nostre vergini». — Che onore e che pacchia! — Così fu fatto. Tutti i nati da queste unioni furono detti Parteni, ovvero «figli

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«I Parteni costituivano per Sparta un serissimo problema. Insoddisfatti della loro condizione essi elessero loro capo Fàlanto e cominciarono a cospirare contro lo Stato».

delle vergini». Ma accadde un fatto imprevisto. — Un altro! — Già. Poco dopo, imprevedibilmente, Messene cadeva sotto l’assalto spartano. Cosicché tutti i guerrieri fecero ritorno a Sparta… e alle loro mogli. — Beh, meglio così, no? — No — continua Orazio — . Perché in tal modo nacquero altri bambini… — Non vedo il problema… — Gli Spartani si trovarono, in breve, a dover affrontare una nuova crisi. Prima essi erano in pochi, ora stavano diventando troppi! I capi, pensando ad un futuro ormai prossimo, si resero conto che la terra disponibile non sarebbe stata sufficiente per tutti quei giovani che presto sarebbero divenuti uomini! Con la guerra messenica i lotti di terra disponibili erano molto aumentati, era vero, ma il quantitativo restava insufficiente. — Quindi… un’altra guerra da intraprendere? — I capi ripresero a discutere. Qualcuno pensò di risolvere il problema asserendo: «I Parteni non sono nati da legittime nozze! Non hanno diritto alla terra!». Altri ribadirono: «Ma le loro madri sono Spartane e i loro padri Spartiati! Quindi anch’essi hanno i nostri diritti!». Ma i primi insisterono: «Quali diritti hanno dei “figli di nessuno”?». — Soluzione difficilissima da trovare, quindi. Orazio si leva dal masso e inizia a camminare lungo la riva del torrente, diretto a monte. Non mi resta che

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FÀLANTO E GLI SPARTANI

«Soltanto il dio Apollo, attraverso la sua sacerdotessa, la Pizia, poteva risolvere l’enigma. Fàlanto fu scortato da guerrieri fino all’oracolo di Delfi, il più importante centro religioso della Grecia, al quale si demandava il compito delle gravi decisioni».

imitarlo. — Infatti — conferma Orazio — . I Parteni costituivano per Sparta un serissimo problema. Insoddisfatti della loro condizione essi elessero loro capo Fàlanto e cominciarono a cospirare contro lo Stato. — Eccoci finalmente a Fàlanto! — concludo io tirando un sospiro di sollievo — . Quindi egli era un Partenio, diciamo “un figlio illegittimo”, sia pure spartano. — Per l’appunto… La situazione di Fàlanto e compagni diveniva sempre più difficile. «Ma cosa possiamo fare?» essi si dicevano. «Siamo in pochi. Meglio la morte. Siamo forse degli schiavi?». I Parteni pensarono quindi di divenire più forti alleandosi con gli schiavi Iloti, ma proprio da questi furono traditi.


CAPITOLO III

— Non ti puoi fidare di nessuno — commento. — Pertanto tutti i Parteni rivoltosi furono catturati. E ai capi di Sparta ora si poneva un altro problema. — Visto che ce n’erano già pochi… Orazio afferra un sasso piatto e lo lancia in acqua. Quello saltella più volte sul pelo dell’acqua, poi vi scompare all’interno. Dalle rocce che emergono saltano in acqua piccole ranocchie che non avevo notato: ploff, ploff, ploff… — I capi si chiesero — continua Orazio — : «Cosa possiamo fare? Sono figli di Spartiati. Non possiamo uccidere i nostri parenti!». Insomma, regnava il disaccordo, poiché qualcuno obiettava: «Sono traditori e meritano la morte!», e gli altri replicavano: «Dopotutto siamo stati noi a volere che nascessero». E altri ancora: «Sì, ma la loro presenza turbolenta non può essere tollerata!». Restava quindi una sola soluzione possibile… — Quale? — Ricorrere all’oracolo… Soltanto il dio Apollo, attraverso la sua sacerdotessa, la Pizia, poteva risolvere l’enigma. Fàlanto fu scortato da guerrieri fino all’oracolo di Delfi, il più importante centro religioso della Grecia, al quale si demandava il compito delle gravi decisioni. Dopo il propiziatorio sacrificio della capra davanti al tempio, un sacerdote trasmise a Fàlanto le parole della Pizia che aveva pronunciato il suo oracolo: «Che tutti i rivoltosi siano imbarcati su navi con rotta ad Occidente. Il loro compito sarà quello di espugnare Taras, fare grande quella città e divenire il flagello delle popolazioni locali! Ma sta’ attento, Fàlanto — continuò il sacerdote allertandolo — Taras potrà essere conquistata soltanto quando vedrai piovere a ciel sereno! — Taras? — intervengo io — . Quindi Taranto non è stata fondata dagli Spartani. — È vero. La città di Taras esisteva già. Taranto era allora un piccolo villaggio che aveva il vantaggio di trovarsi in una bellissima e strategica posizione: su un promontorio tra due mari.

Statere di Creta del 350-200 a.C. Sul fronte una testa femminile con orecchini e collana; sul retro il famoso labirinto di re Minosse a Cnosso.

«…mentre Taras e i suoi uomini offrivano un sacrificio al dio Poseidone, dall’alto di una scogliera essi videro nel mare… «… un delfino, forse?» «Proprio un delfino!».


FÀLANTO E GLI SPARTANI

«…questa terra è benedetta dagli dei. Bene, ci fermeremo in questo bellissimo posto e fonderemo una città alla quale daremo il mio nome: Taras!».

«Si dice che anche Fàlanto sia stato un giorno salvato da un delfino. Ma la sua leggenda si sovrappone al mito di Arione… … Un musicista che, gettato in mare dai pirati, con la sua musica celestiale attirò un delfino, e da questo fu portato in salvo».

— Ed io che pensavo che Taranto fosse stata fondata proprio da Fàlanto! — L’origine di Taranto è nella leggenda — continua Orazio — . Lo stesso Taras, il fondatore, è nella leggenda. C’è chi dice che fosse figlio di Apollo, chi figlio di Poseidone e Saturia, la figlia di Minosse, re di Creta, oppure di Poseidone e Satyria, ninfa protettrice delle acque… Comunque sia, Taras partì dall’isola di Creta con alcune navi e approdò presso un fiume al quale dette il suo nome: Tara. Questo avveniva 1266 anni prima della fondazione di Roma, cioè più di 2000 anni fa. Quindi, penso io, era il 2019 avanti Cristo… Capperi! — La leggenda ci dice — riprende Orazio — che un giorno, mentre Taras e i suoi uomini offrivano un sacrificio al dio Poseidone, dall’alto di una scogliera essi videro nel mare… — … un delfino, forse? — Proprio un delfino! «È un segno divino!», dissero. «Sì…», aggiunse Taras, «questa terra è benedetta dagli dei. Bene, ci fermeremo in questo bellissimo posto e fonderemo una città alla quale daremo il mio nome: Taras!». — E questo fu l’inizio della città di Taranto. Sai… mi è capitato di vedere una vecchia moneta di Taranto. C’era inciso un uomo che cavalcava un delfino. Era Taras, quindi? — Taras, Fàlanto… Chi può dirlo? La realtà è immersa nelle nebbie della leggenda. Si dice che anche Fàlanto sia stato un giorno salvato da un delfino. Ma la sua leggenda si sovrappone al mito di Arione… — Arione? Chi era costui? — Un musicista che, gettato in mare dai pirati, con la sua musica celestiale attirò un delfino, e da questo fu portato in salvo. Pertanto potrebbe essere lui l’eroe raffigurato sulla moneta che hai visto. Ma ricordiamoci anche che Apollo giunse a Delfi sotto forma di delfino… là dov’è il suo santuario. Per cui, sulla moneta potrebbe esserci la rappresentazione simbolica di Fàlanto che cavalca il delfino Apollo, colui che con un oracolo lo ha spinto a


CAPITOLO III

conquistare Taras. — Che fantasia! Una situazione ingarbugliata, però. — Ingarbugliata? Gli dei usano vari metodi, a volte anche complessi, per giungere agli uomini ed influenzare il loro destino. Comunque sia, un eroe si confonde con la leggenda di un altro ed è impossibile sapere la verità. — Quindi, da quanto ho capito, i Lacedemoni, cioè gli Spartani, conquistarono Taras che era città cretese. — Non fu così facile come a dirlo… Siamo giunti ad una piccola e rumorosa cascata. Il salto dell’acqua non è più di quattro-cinque metri, ma cadendo sulle rocce sottostanti l’acqua si frantuma in mille spruzzi generando un denso vapore acqueo. Qua e là, nell’acqua, ci sono dei piccoli tronchi che hanno quasi eretto delle dighe, per cui in quei punti il ruscello scorre più velocemente, per poi rallentare la sua corsa una volta superato l’ostacolo. C’è tutt’intorno un intenso odore di muschio bagnato. — L’oracolo di Delfi — continua intanto Orazio — aveva designato Fàlanto ecista, cioè “fondatore di città”, ma lo aveva anche allertato. Ricordi? L’oracolo aveva predetto: «Taras potrà essere conquistata soltanto quando vedrai piovere a ciel sereno!». — Piovere a ciel sereno, com’è possibile? — È quello che si chiese Fàlanto. Comunque, egli partì dall’Ellade con numerose navi che approdarono un po’ più a sud della meta designata, in una piccola verdeggiante rada dove sorgeva un piccolo villaggio.

A destra: una moneta di Taras del 272-235 a.C. Sul fronte compare la ninfa Satyria, che abitava Satyrion (Saturo), luogo dove sarebbero sbarcati Fàlanto e i suoi seguaci prima di raggiungere Taras. Un’altra leggenda racconta che Satyria, amata da Poseidone, dette alla luce Taras, colui che poi avrebbe fondato la città alla quale dette il suo nome. Sul verso della moneta compare un cavaliere e sotto di lui il leggendario delfino.

«Gli Iapigi, indigeni che abitavano quell’insenatura, furono presi alla sprovvista dall’arrivo delle vele spartane…».


FÀLANTO E GLI SPARTANI

«Un giorno, mentre Etra affettuosamente stava togliendo i pidocchi dai capelli del marito, che le teneva la testa posata in grembo, presa da sconforto cominciò a piangere».

Più a sud, pensai. Dovrebbe trattarsi allora dell’insenatura di Saturo. — Gli Iapigi, indigeni che abitavano quell’insenatura, furono presi alla sprovvista dall’arrivo delle vele spartane. Essi gridarono l’un l’altro: «Fuggiamo! Sono greci e vengono per depredare!». Terrorizzati, gli abitanti abbandonarono ogni cosa e si rifugiarono all’interno. Gli Spartani, armi in pugno, raggiunsero solitari il villaggio. — Quindi fu facile, per Fàlanto e i suoi uomini, conquistare quel villaggio. — Inizialmente sì; poi i Parteni dovettero fronteggiare le ostilità degli Iapigi che ritornarono più volte, non intendendo rinunciare alla loro terra. Le lotte durarono per un po’, finché si giunse ad una pacifica convivenza. Oltretutto gli Spartani giunti in terra ionica erano quasi tutti uomini, per cui dovettero scegliere le loro mogli tra le donne indigene. — Quindi noi tarantini discendiamo da uomini spartani accoppiatisi con donne iapige. — Così fu all’inizio. E ciò contribuì a fare in modo che gli Iapigi si ellenizzassero rapidamente. — Ma quand’è, allora, che gli Spartani conquistarono Taras? — Fàlanto era triste, perché sapeva che non era quella la terra a lui destinata, la terra che gli aveva destinato Apollo! Possiamo allora immaginarci Fàlanto e i suoi compagni mentre andavano spesso a spiare la vicina Taras, che appariva ben protetta, in attesa di un “segno” favorevole per poterla espugnare e che invece non giungeva mai. — Qualcuno avrà sicuramente proposto di tentare comunque la sortita. Ma Fàlanto avrà risposto: «No. L’oracolo fu chiaro. Quando vedrò piovere a ciel sereno quello sarà il momento adatto». — Credo di sì — conferma Orazio — . Ma sembrava che là, in quella terra, non dovesse piovere mai, e meno che mai a ciel sereno! — Allora, quand’è che cominciò a piovere? — Niente pioggia. Anche Etra, la moglie di Fàlanto era triste per il marito e spesso lo doveva consolare. Un giorno, mentre Etra affettuosamente stava togliendo i pidocchi dai capelli del marito, che le teneva la testa posata in grembo, presa da sconforto comin-


CAPITOLO III

ciò a piangere. Ora, amico mio, certamente sai che la parola “Etra” in greco vuol dire “ciel sereno”… — Ah, sì, certo… — dissi mentendo. In realtà conosco pochissimo la lingua greca. — E allora? — Beh, allora sulla testa di Fàlanto cominciò a piovere… — Per Bacco! Le lacrime di Etra! Quindi l’oracolo intendeva dire che doveva piovere da “Ciel sereno“, cioè da sua moglie! — Infatti. — Ma via, Orazio! Questa è solo leggenda! — Leggenda… realtà! Che importanza ha?… Quando Fàlanto sentì cadergli sul capo le lacrime della moglie, capì di colpo il significato dell’oracolo e lanciò un urlo: «Yaaaah!! Il segno! Il segno!», disse abbracciando tutto felice la moglie che intanto era rimasta di sasso. Orazio si è alzato in piedi ruotando le braccia verso alto, quasi a voler imitare il gesto di Fàlanto. — Mi immagino già la scena — commentai. — Fàlanto corse all’esterno della casa urlando verso i suoi compagni. «Alle armi! Il momento è giunto!». La mimica di Orazio si è fatta più coinvolgente. Sembra che egli stia vivendo il momento che narra. — Si saranno tutti domandati — aggiungo io — : «ma che gli ha preso a questo. Prima no e poi no, ed ora…» — Infatti è quello che gli chiesero: «Fàlanto, Fàlanto… dov’è il segno?». «In mia moglie!», spiegò Fàlànto. «Le sue lacrime sono cadute su di me. Gocce da “Ciel sereno”, capite?». — Figurati che risata generale. Etra non poteva piangere prima? — Guarda che quella era una situazione seria, altro che ridere! — mi rimprovera Orazio. — Il segno degli dei non si rivela molto facilmente, né tanto presto come si vorrebbe! — Scusa, non intendevo… — Comunque tutti quanti urlarono: «È il segno che attendevamo! Andiamo! Ora Taras sarà nostra!», e corsero ad armarsi. Al grido di «Taras sarà spartana!» i guerrieri marciarono contro la città. — E la presero d’impeto! — Macché! Fu un assalto silenzioso, invece. Gli Spartani riuscirono a penetrare nottetempo nel villaggio e fecero strage degli

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Seguendo la leggenda le monete di Taras (Taranto) hanno spesso riportato sul fronte la figura di Taras-Fàlanto che cavalca un delfino.

«Quando Fàlanto sentì cadergli sul capo le lacrime della moglie, capì di colpo il significato dell’oracolo e lanciò un urlo: “Yaaaah!! Il segno! Il segno!”»


FÀLANTO E GLI SPARTANI

Il villaggio di Taras all’arrivo di Fàlanto.

«I Cretesi non resistettero all’impeto degli Spartani. “Taras è nostra!», gridarono questi. “Sia lode ad Apollo e Zeus!”».

abitanti, salvando le donne, naturalmente… — Naturalmente. Le donne tornano sempre utili. — I Cretesi non resistettero all’impeto degli Spartani. «Taras è nostra!», gridarono questi. «Sia lode ad Apollo e Zeus!». — E poi? — Beh, alla fine, sia gli indigeni che i Cretesi scampati al massacro dovettero accettare l’insediamento dei Parteni nella città ionica… Non si poteva resistere con la forza ai guerrieri spartani. Ma ora vieni, è ora di rientrare… — Sì, abbiamo trascorso una splendida mattinata. Mi dispiace dover lasciare questo magnifico bosco. Mentre ci dirigiamo verso la villa, Orazio mi informa. — Questo pomeriggio abbiamo ospiti a cena. — Chi sono? — Amici, desiderosi di conoscere il Tarentino. — Ah, mi fa piacere. — Sarà piacevole parlare con loro, vedrai. Come anche parlare di Taranto. E così, i servi stanno preparando una cena speciale. Qualche volta lo si può anche fare, non credi? — Certo — approvo io pensando a quanto Orazio sia solitamente restio a partecipare ai pranzi speciali. Adesso ne organizza addirittura uno! Chissà cosa mi aspetta, questo pomeriggio. E chissà cosa si aspettano di trovare in me i suoi amici.

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IV

A cena con Orazio Una cena vivace a casa di Orazio Flacco, con ospiti colti che ricordano l’antica storia di Taranto: Fàlanto e le guerre con i popoli indigeni, tra vittorie e sconfitte, stupri e stragi, oracoli e inganni, devozione ed empietà

S

ono nella vigna di Orazio. Cammino tra i bassi arbusti colmi di foglie verdi e grappoli d’uva che sta maturando. Mi piace, di tanto in tanto, accarezzare la superficie ruvida delle foglie o tirare alcuni acini d’uva e portarmeli in bocca, anche se sono un po’ acerbi. Più avanti, davanti a me, vedo un maestoso albero di fico. Mi avvicino. È veramente grande e carico d’invitanti grossi frutti giallognoli. L’una è passata da un pezzo e il mio stomaco comincia a reclamare. Siamo in attesa del pranzo, anzi della cena, come dicono qui a Roma, che si tiene all’ora nona. Ma non alle nove di sera, come pensereste voi. L’ora nona romana equivale alle tre del pomeriggio. Sì, avete capito bene. I Romani cenano cominciando nel pomeriggio e terminano, nelle occasioni importanti, a sera inoltrata. La colazione e il pranzo? Ci sono anche quelli, ma sono pasti leggeri, anzi leggerissimi, giusto per tenere a freno lo stomaco. Il pasto principale è la cena, che per i poveri consiste comunque in una minestra e qualche frutto, per i ricchi è di più portate o ferculae, come dicono qui. Orazio non si vede. È occupato a far preparare una cena speciale, mi ha detto, in attesa di alcuni ospiti che vengono a conoscere il Tarentino, che sarei io. Cosa cercheranno in me non lo so, probabilmente sono incuriositi. Orazio ha parlato sempre così bene di Taranto, che i suoi amici vorranno sapere da me se quanto asserisce corrisponde al vero. Dopotutto, quanti Romani saranno andati a Taranto? Non era come oggi, che con un’auto si può andare da Roma a Taranto in sei ore e in treno con qualche ora in più. Per i Romani il viaggio durava quindici giorni, se tutto andava bene. Come sarà la cena di Orazio non oso immaginarlo. So bene quanto egli sia restio a

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Grafica di Rodi.


Il tempio greco di ordine dorico


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