Rinaldo e Giovanni da Taranto

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Nello D e Gregorio

RIN ALDO E GIOVAN NI DA TARAN TO

NELL’ARTE ITALIANA

S cor p ion e Edi tr ic e



Il percorso pittorico di Rinaldo

Le Madonne

Nell’ambito di un nutrito gruppo di immagini affrescate di Madonne sparse nei territori di Puglia e Basilicata, ovvero in quello che fu il Principato di Taranto, abbiamo soffermato la nostra attenzione su alcuni modelli che potrebbero essere attribuiti Rinaldo, o quanto meno al suo atelier, o a frescanti che alla sua opera si sono richiamati. Si tratta di dipinti dei quali è abbastanza certa la datazione, ovvero fine XIII secolo inizi XIV. Per alcuni di essi si registra un consenso pressocchè unanime degli studiosi sull’attribuzione al pittore tarantino. È il caso della Madonna della Bruna nel duomo di Matera, della bella Galattotrophousa di Santa Lucia alle Malve e l’hodigitria di Santa Maria della Palomba sempre a Matera, della Madonna delle Grazie di San Marzano. In altri casi come alcuni dipinti di ambito rupestre, alla certezza di opere collocabili all’interno di quel filone pittorico di cui Rinaldo è stato antesignano, non è corrisposta finora certezza nella attribuzione delle singole opere.

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La Madonna della Bruna

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Il gioiello più significativo nel Duomo di Matera, oggi ubicato sull’altare della prima campata della navata sinistra, è la Madonna della Bruna12. Un tempo era posto sulla controfacciata della chiesa. Era in origine una Hodigitria a figura intera poi staccata, in parte, a massello dal muro, nel 1576 e ridotta a dimensione di un’icona e destinata ad essere collocata su un altare. Il fascino ed il valore liturgico di un’icona era certamente più alto di un’immagine murale e dunque anche l’affresco della Madonna della Bruna come altri, pur originariamente affrescato a figura intera venne trasformato a modello iconico13. A Matera un episodio simile si riscontra nella chiesa di Santa Maria della Palomba dove ad un muro residuo di una precedente chiesa rupestre demolita, con affreschi della Vergine col Bambino e Santi venne addossato il nuovo altare maggiore che lascia intravedere, inquadrata da un’edicola solo la Madonna col figlio, ridotta appunto a dimensione d’icona. Il dipinto viene prevalentemente datato attorno all’ultima decade del Duecento e se n’è potuto apprezzare l’alto valore soprattutto dopo il restauro effettuato, nel 1984, dalla Soprintendenza per i beni artistici e storici della Basilicata, che ha inteso recuperare l’immagine antica, alterata da varie dipinture e da micro lacune prodotte dai chiodi infissi sulla superficie dipinta. Il restauro ha portato alla luce l’alta qualità del dipinto, evidenziata anche dalla presenza di tracce di dorature e di azzurrite. Lo caratterizza una correttezza formale, una finezza disegnativa ed una naturalità espressiva. Tipico prodotto di arte “crociata”, frutto dell’incrocio


fra tradizione iconografica greca e modi pittorici occidentali viene accostato all’icona della Madonna di Damasco, nella chiesa maltese della Valletta14. Particolare attenzione meriterebbe, invero, l’accostamento che propongo con la “Madonna del Voto” di Dietisalvi di Speme, la cui storia, peraltro, è abbastanza simile a quella della Bruna, essendo stato anche questo dipinto segato in alcune sue parti per essere collocato entro un taber-

“Madonna della Bruna”, Duomo di Matera.

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“Madonna di Damasco”, Malta.

Dietisalvi di Speme “Madonna del Voto”, Duomo di Siena.

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nacolo marmoreo all’interno di una cappella e con la “Maestà” del Louvre. La “Bruna” può ben definirsi la più prossima alla tradizione cimabuesca. Nella Madonna del Louvre, Cimabue usa ancora ricoprire la testa della sacra protagonista con il mantello che si articola in pieghe concentriche a quella a semicerchio che sta subito sopra la fronte, dando alla profilatura della testa sull’oro un andamento perfettamente circolare, come se gli aggetti e i solchi delle pieghe non ne modificassero la sagoma.


La modalità usata per la Madonna del Louvre era quella della tradizione bizantina15. Analoghe caratteristiche si riscontrano nel dipinto materano, realizzato circa venti anni dopo, che tuttavia in luogo dell’espressione del volto serio e malinconico ritratto dal Cimabue marca una leggera dolcezza accennando quasi un sorriso. Nella Bruna la fedeltà al dato formale ma anche la sua abilità nello smorzare la durezza romanica, già proiettano Rinaldo verso il gotico. Le ricche fregiature dorate che arricchiscono il mantello della Vergine sono l’ulteriore riprova di una personale rielaborazione di un episodio per dirla con P.L. De Castris ”gotico lineal” o “franco maiorchino” e di una datazione del dipinto verso l’ultima decade del Duecento. Personalmente ci sentiamo di proporre una rielaborazione complessa su di un modello orientale come la Madonna di Damasco e gli stilemi cimabueschi della Maestà degli Uffizi e della stessa Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna con la quale il dipinto della Bruna condivide la forte somiglianza del Bambino, sia nei capelli che nell’abito.

“L’Odegitria di Santa Maria della Palomba”, Matera.

L’Odegitria di Santa Maria della Palomba

Recentemente Luisa De Rosa ha associato l’esemplare di questa Odegitria a quello della “Bruna”. La considerazione è assolutamente condivisibile data la forte somiglianza degli stilemi dei due dipinti. L’ipotesi è che sia più tarda, ma non di molto16. 33


Il Giudizio Universale di Rinaldo in Santa Maria del Casale

“Giudizio Universale”, Veduta d’insieme.

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La bella chiesa di Santa Maria del Casale nella campagna brindisina, a due passi dell’aeroporto Papola ospita l’opera più famosa e più grande dell’arte pugliese due-trecentesca, fra le più importanti produzioni artistiche italiane. Sulla controfacciata della chiesa ci appare lo splendido Giudizio Universale firmato da Rinaldo da Taranto (Rinaldus de Tarento). Una rappresentazione che mostra alcune delle pagine più affascinanti del periodo medievale, nel contesto di un ciclo di affreschi dalla lettura intrigante, misteriosa e fiabesca23. L’opera dovrebbe risalire intorno al 1319 e commissionata direttamente dal principe di Taranto Filippo I d’Angiò che in quell’anno beneficiò la cappella con più altari.


Sopra. “Giudizio Universale”, particolare della “Mandorla”. Sotto, particolare “Giudizio Universale”.

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Sopra, particolare “Giudizio Universale” - S. Michele pesa le anime. Sotto, particolare “Giudizio Universale” - il mare restituisce i morti.

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L’affresco occupa l’intera parete nei colori caldi dell’ocre in un fondo blu lapislazzulo per il cielo apocalittico. Il Giudizio Universale si articola in quattro fasce parallele. In alto i dodici apostoli seduti su un’unica panca sovrastano il monumentale affresco, accogliendo nella parte centrale il Cristo giudice dal quale sgorga una lingua di fuoco rossa. Forte è la similitudine a tal proposito con la scena dell’Inferno della cappella degli Scrovegni dove dalla lingua di fuoco principale si dipartono quattro rivoli nonché la simbologia di alcuni personaggi raffigurati nel loro dramma terreno. Nella seconda fascia, al centro troviamo “l’Etimasia, tu thronu” la “Mandorla” in cui è il trono sormontato dalla Croce e sorretto da sei angeli. Accanto i progenitori, Adamo ed Eva in ginocchio che pregano per l’umanità; subito dopo, simmetrici, due Angeli con i libri

Particolare “Giudizio Universale” - Inferno.

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Particolari “Giudizio Universale�: sopra, corteo dei Beati; sotto, veduta lato sinistro.

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Particolari “Giudizio Universale�: sopra, Abramo, Isacco e Giacobbe; sotto, lato sinistro.

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“L’albero della vita” Santa Maria del Casale.

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L’Albero della Vita

Sulla parete nord della chiesa si staglia un monumentale Albero della Vita, affrescato con grande minuziosità di particolari e ornato in alto dagli stemmi angioini che ritornano anche nel vicino, purtroppo non ben conservato, Albero di Jesse (il suo tema si diffuse molto in epoca gotica). Nelle due fasce esterne dell’Albero della Vita sono inseriti sei per parte, dei clipei concatenati dai quali sbucano i dodici apostoli, al centro è affrescato il Cristo crucenimbato. In alto sullo stesso asse, appare il pellicano dal quale sgorga il sangue che va a bagnare i figlioli (simbolo della Resurrezione). Secondo la Calò Mariani, l’affresco è probabilmente frutto della collaborazione tra Rinaldo e Giovanni da


Taranto evidenziando nei colori e nella decorazione il repertorio e il gusto di un miniatore e rinvia ad un modello giottesco, per effetti quali il modellato del perizoma, il flettersi delle gambe, la caduta del capo in linea con il braccio destro, nonostante permangano motivi riconducibili alla tradizionale formula bizantina. Giovanni peraltro aveva già manifestato nella basilica di s. Nicola, come vedremo piÚ avanti, l’influsso giottesco, in particolare nel richiamo al modello del

Santa Maria del Casale, affresco lato nord.

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Santa Maria del Casale, particolare affresco lato nord.

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Crocifisso di Rimini, pur permeando la rigidità e la stilizzazione anatomica di ambito bizantino. D’altro canto non va neanche sottovalutato il richiamo di P. Leone De Castris24 secondo cui il dipinto di s. Maria del Casale potrebbe ricondursi ai rapporti intercorsi fra i due pittori pugliesi e la scuola cavalliniana nel periodo di permanenza di Pietro Cavallini a Napoli. L’affascinante avventura delle crociate pervade del suo lontano ricordo le pareti della chiesa dove cavalieri inginocchiati dinanzi alla Vergine con il Bambino pregano per la salvezza delle loro anime, come Niccolò Marra, signore di Stigliano e Sant’Arcangelo (1338) e Leonardo di Tocco (1362), conte di Cefalonia e signore della baronia di Tocco. Le insegne dei signori di Brindisi ai quali erano affidate importanti spedizioni militari si


Il percorso pittorico di Giovanni

Abbiamo ricostruito la storia di Rinaldo partendo da una firma: Rinaldus de Tarento e via via ricomposto il suo percorso pittorico attraverso le attribuzioni delle sue diverse opere da parte degli studiosi negli ultimi anni. Quella di Giovanni parte da un episodio portato alla luce da Ferdinando Bologna nel suo monumentale “I pittori alla corte angioina di Napoli”. È il 1304, si legge nelle carte angioine allorquando un pittore, Giovanni da Taranto, tornando da Bari dove aveva dipinto nella chiesa di s. Nicola, viene derubato e percosso presso il Casale di Sant’Erasmo. Un pittore quindi di origine tarantina che, sostiene il Bologna:”…si trovava a far la spola tra la Puglia e la Campania…”. Il fatto è tratto da un documento che dice testualmente: “Joanni de Tarento pictori quod eo veniente pridem ad ecclesiam beati Nicolai de baro ad obsequendo et pincendo in illa, et cum esset in casali s. Erasmi fuit disrobatus et percussus, provisio iustitiae” Se sia la località vicino Nola in Campania o Santeramo, come sembrerebbe dalla lettura della didascalia posta nei pressi dell’abside di destra della basilica di s. Nicola a Bari il posto dove viene aggredito e derubato

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Basilica di s. Nicola, Bari.

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il povero Giovanni, poco importa. Importa che Giovanni è un pittore attivo alla corte angioina e che ha dipinto l’affresco più antico presente nella basilica di s. Nicola. Ha dipinto la pala con s. Domenico e le sue storie, probabilmente per la chiesa di s. Pietro martire a Castello, edificata per volontà di Carlo II d’Angiò ed ora conservata nella sala 63 del Museo di Capodimonte. Sua è, come affermato oltre che dal Bologna anche dal Pace25 e da tutti gli studiosi che se ne sono occupati successivamente, la Madonna con Bambino, già nel monastero delle Vergini di Bitonto, proveniente da Palazzo Venezia ed ora nella Pinacoteca provinciale di Bari. Sempre a Giovanni, Maria Pia Di Dario ha attribuito una Madonna, coeva della Madonna del Pilerio nel


Duomo di Cosenza, nel monastero delle Vergini nella stessa cittadina calabra. La presenza a Bari non deve essersi esaurita con i lavori nella basilica di s. Nicola visto che anche negli affreschi della cattedrale di s. Sabino c’è chi vede la mano del pittore tarantino. Pochi dubbi ci sono sull’attribuzione dell’intero ciclo di affreschi iconici nella vecchia chiesa di Sant’Anna a Brindisi e forse anche in altre chiese del centro storico brindisino. La stessa presenza nel materano, da solo o assieme a Rinaldo potrebbe essere confermata soprattutto se Il “Maestro della Croce” di Anna Grelle è lo stesso della Kyriotissa della Sant’Anna e la stessa mano ha ritratto i due monumentali s. Michele nella Sant’Anna e in Santa Lucia alle Malve. P. Leone De Castris definisce Giovanni pittore bizantino-angioino26. Partendo da una cultura di Oriente simile a quella delle icone costiere di Puglia e riscontrabile anche in contesti rupestri come quello di Ugento, legata alla committenza degli ordini ospedalieri di terrasanta, e si ricordi che proprio nel Meridione angioino e per iniziativa di Carlo II la gran parte di questi ordini, dopo i crescenti smacchi militari, andarono appoggiando e riorganizzando la loro attività, Giovanni si dimostra infatti figlio del singolare “milieu” del principato tarantino giusto nella disponibilità ad accostare senza pregiudizi alla formula orientale una lettura aggiornata, oltre che delle primizie centro-italiane, degli stimoli catalano-maiorchini che potevano raccogliersi nell’ambiente della corte napoletana dove incontrerà dopo il 1308 Pietro Cavallini. 85


L’affresco della Crocifissione in s. Nicola

“Crocifissione”, Cappella di s. Martino, Basilica di s. Nicola.

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È la più antica pittura presente in s. Nicola (nell’abside del transetto destro), realizzato nel 1304 secondo un gusto fra il bizantino ed il giottesco. È una delle manifestazioni più evidenti, come sostiene la Calò Mariani27, dell’ecclettismo di un pittore rigorosamente formato sugli schemi bizantini e insieme sensibile all’apporto giottesco, ma anche alle novità già presenti dalla metà del XIII secolo nella pittura serbomacedone e in quella del Cavallini.


“San Martino”, affreschi nella cappella di s. Martino, Basilica di s. Nicola.

“San Martino”, Cappella di s. Martino, Basilica di s. Nicola.

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Cappella di s. Martino, Basilica di s. Nicola, veduta d’insieme.

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Giotto, “Crocifissione”, Rimini.


L’affresco nella cripta della cattedrale di s. Sabino

Recentemente Luisa Derosa ha avanzato l’ipotesi che l’Odegitria affrescata nella cripta della cattedrale di Bari, attribuito ad un “pittore di tradizione bizantina, prossimo alle cerchie attive in terra d’Otranto” potrebbe farsi risalire all’opera di Giovanni. L’opera sarebbe stata realizzata in ogni caso ben prima degli interventi in s. Nicola, sul finire del Duecento e rappresenta la riprova di un’attività intensa di Giovanni nel capoluogo pugliese oltre alla straordinaria comunanza stilistica con le opere materane di Rinaldo e, in particolare con l’affresco di Santa Lucia alle Malve. L’icona della kikkotissa

La tavola proviene dalla chiesa e monastero delle Vergini di Bitonto ed è stata per molti anni nel Museo di palazzo Venezia prima di essere ospitata nella Pinacoteca di Bari, a titolo di deposito della Soprintendenza alle gallerie di Roma. L’icona replica, con alcune varianti, il tipo della Kykkotissa (presente in una tavola donata nel 1082 al Santuario di Kykko, a Cipro), contraddistinta dalla particolare posizione del Bambino che sembra divincolarsi fra le braccia della Madre. In alcune derivazioni si aggrappa con la manina sinistra al suo manto, e, in altre, come nel nostro caso, pone la manina sinistra in

Affreschi nella cripta della cattedrale di s. Sabino, Bari.

“Kikkotissa”, Pinacoteca provinciale di Bari.

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