Doppio livello

Page 1


Prima edizione

Copyright © 2012 by Angelo R. Todaro Cover design by Angelo R. Todaro Book design by AT digital publishing

All rights reserved. No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means including information storage and retrieval systems, without permission in writing from the author. The only exception is by a reviewer, who may quote short excerpts in a review.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in ogni sua parte sia in forma elettronica sia cartacea, senza l’approvazione scritta da parte dell’Autore. Sola eccezione per i recensionisti, che possono citare brevi estratti presi in esame.

ISBN 9788897894056


Prefazione

Prendete due foto con dimensioni identiche. In una si vede, per esempio, un bel notturno con luna e cielo stellato; nell’altra un paesaggio assolato, con spiaggia, mare, ombrelloni. Ora sovrapponete esattamente la seconda alla prima: si vedrà solo il bel paesaggio marino e il notturno sarà nascosto. Quindi, con un coltellino cominciate a grattare in un punto la foto superiore, ?ino a creare pian piano un bel buco: dal foro si vedrà il cielo nero, e le stelle e la luna della foto sottostante. E se anche le ere geologiche che si sono succedute sulla Terra in milioni di anni fossero come foto sovrapposte, e un evento traumatico creasse all’improvviso uno squarcio nella foto superiore lasciando intravedere parte della sottostante? Potrebbe emergere un sereno notturno di stelle, ma anche un orrore senza ?ine e tornerebbero a vivere i mostri del passato. Questo è quello che accade alla nave da crociera Silver Star che naviga nei mari della Cina. Una incredibile quanto sconcertante avventura che catturerà completamente i suoi occupanti, dal gruppo degli uf?iciali comandati da Capitan Jim, agli ignari passeggeri, ?ino all’ultimo degli uomini d’equipaggio.


Personaggi principali

James Ferguson (Captain Jim), comandante della Silver Star Alessandro Guagliardo (Al the Eaglet), comandante in seconda Charles Morphy, primo uf?iciale Edward Shore, primo medico e direttore del servizio sanitario della nave Helen Mirren, capo commissario di bordo Carmen Arenas, direttore di crociera Bob Brozman, timoniere George Phillips, primo operatore alle comunicazioni Bohai Asoi, capo cuoco Chiao Chuang, geologo dell’Istituto di geo?isica di Taiwan Thomas Chapman, paleontologo dell’università del Maryland Katsuo Arakida, marinaio della chimichiera Daigo Maru Juro Fukuda, marinaio della chimichiera Daigo Maru


Capitolo 1

La tremenda notizia

Era una notte di luglio sul mar cinese orientale, poco illuminata dalla luna poiché, sebbene fosse al suo ultimo quarto, era già vicina al tramonto. Su quel mare nero ma tranquillo scivolava una nave completamente illuminata nei suoi sei ponti superiori, quindi ben visibile da notevole distanza. Era la Silver Star, una cruise ship, una nave da crociera battente bandiera statunitense. Non era una grande nave, non una di quelle mastodontiche e altissime sul mare che portano anche 4000 turisti, oltre all’equipaggio, bensì una più piccola, ma non per questo meno accogliente delle altre o dotata di minori comodità e attrazioni che potessero allietare i passeggeri, specialmente quando la nave navigava su un tratto di percorso lungo più di un giorno, senza toccare alcun porto. Le sue caratteristiche generali dicevano che la Silver Star stazzava più di 30mila tonnellate, era lunga 180 metri, poteva portare 700 passeggeri e 400 membri d’equipaggio, tra uomini e donne. La nave aveva da poco lasciato Keelung Harbor, il porto internazionale di Taipei a nord dell’isola di Taiwan, che un tempo era chiamata Formosa. Taipei ha anche un altro porto più piccolo a sud dell’estuario del ?iume Tamshui, rivolto verso ovest sullo stretto di Taiwan. Invece il porto di Keelung si trova a 34 miglia nautiche ad est, e da Taipei ci si può arrivare via terra in circa 35 minuti, in condizioni di traf?ico normale. È qui, a Keelung Harbor, che ormeggiano le grandi navi, comprese le navi da crociera. Due giorni prima la Silver Star era salpata da Hong Kong per raggiungere, come tappa ?inale, Osaka in Giappone. Il suo viaggio era giustamente lento, perché una nave da crociera non deve avere alcuna fretta; le tappe e le soste sono ben programmate da un piano di viaggio dettagliato, chiamato in gergo passage planning o voyage planning. Il piano di viaggio della Silver Star prevedeva, dopo la tappa a Taiwan, l’arrivo a Shanghai, poi a Cheju, o Jeju-­‐do, la bella isola vulcanica posta a sud della penisola coreana, con una bellissima costa e alte scogliere a picco dalle quali cadono spettacolari cascate; il viaggio sarebbe poi proseguito per Pusan, la città portuale più grande della Corea del Sud, quindi, con un percorso più lungo, avrebbe raggiunto la città di Osaka in


Giappone, per poi tornare a Hong Kong dopo aver fatto una doverosa sosta a Wakayama, la quale, come assicurano i tour operator, è una città che sprigiona un'atmosfera di eterno romanticismo. Questo era il bel viaggio che si accingevano a fare i 684 turisti imbarcati; ora, poiché era notte inoltrata, molti di loro erano nelle loro cabine a riposare, alcuni terminavano di consumare lo spuntino di mezzanotte sul ponte principale, altri passeggiavano o chiacchieravano su altri ponti riservati ai passeggeri, però questi apparivano molto assonnati e quindi in procinto di ritirarsi. Invece nella plancia di comando sistemata al ponte 8 tutti gli uf?iciali erano ben svegli e vigili. C’era il comandante in seconda, il primo uf?iciale, il timoniere, un osservatore e persino Captain Jim, come veniva chiamato James Ferguson, il capitano della nave, che non sempre era in plancia, avendo anche altri compiti a bordo, compreso il dover compilare un numero straordinario di pratiche burocratiche attinenti al viaggio, tenendole sempre aggiornate, e quello, non sempre piacevole, di dover cenare con i passeggeri o intrattenerne alcuni. Anziché essere in cabina a riposare, quella notte Captain Jim era seduto al suo posto, su una comoda poltroncina di pelle nera. La plancia era una sala lunga, aveva a proravia una lunga vetrata che consentiva grande visibilità sulla prua della nave; l’inclinazione in avanti della vetrata permetteva una buona visione in perpendicolare sul davanti e sulle ?iancate nel momento dell’ormeggio, ma uscendo sulle estensioni laterali era possibile vedere completamente i ?ianchi della nave ?ino a poppa. Al centro della plancia, a circa cinque metri dalla paratia con la vetrata, si elevava l’isola di comando, una lunga struttura a forma di U allargata, alta un metro circa; in corrispondenza di questa, dal sof?itto, scendeva una seconda struttura più bassa ma lineare. Nella lunga sezione ad U, e in quella che calava dall’alto, erano alloggiati gli strumenti tipici di bordo, con lucette e vari pulsanti, bussola magnetica e girobussola, slide e joystick che somigliavano a quelle dei videogiochi; sull’isola c’erano anche apparecchiature e diversi monitor di varie dimensioni, tra i quali quelli dell’ecoscandaglio e del radar e altri schermi che mostravano l’orogra?ia e la morfologia delle coste e dei fondali attraverso carte nautiche digitali e, in particolare, il display del navigatore satellitare. In avanti sporgeva anche un timone simile a quelli delle navi a vela, ma questo era molto più piccolo, non più largo di un avambraccio, e comunque il timoniere Bob Brozman non lo stava adoperando poiché la navigazione era af?idata al pilota automatico che stava seguendo la rotta prevista dal passage planning, gestita dal navigatore satellitare che inglobava l’itinerario, i vari approdi futuri, gli stretti passaggi e i cambiamenti di rotta previsti durante tutto il viaggio.


Una pacchia, si direbbe, guidare quella nave. Però la presenza della tecnologia satellitare non escludeva affatto l’uso della tradizionale navigazione astronomica, cioè quella effettuata con l’ausilio degli astri visibili: stelle, pianeti, sole e luna; gli uf?iciali di bordo, perciò, dovevano essere ben preparati anche a quest’antica tecnica di navigazione e infatti di tanto in tanto ci ricorrevano, come per avere una conferma a quello che visualizzava lo schermo del satellitare. Anzi, la navigazione astronomica rappresenta ancora il metodo più af?idabile tra quelli in uso dai naviganti, nonostante la metodologia satellitare. Fidarsi è bene, però… meglio controllare. Quindi, la navigazione astronomica è un’ottima metodologia alternativa, quando si è lontani dalla costa e mancano i riferimenti ottici, quali fari, fanali, segnali e punti cospicui di terra, cioè i punti facilmente riconoscibili; nella vicinanza della costa, poi, solitamente le navi navigano “a vista”. Ovviamente il capitano di una nave, in caso di eventuali circostanze particolari che possano insorgere, può rivedere o modi?icare la rotta a suo piacimento, come anche le sosta della nave; però è costretto a comunicarne il motivo alla sua compagnia armatrice la quale, proprio grazie al satellite, tiene continuamente sotto controllo la posizione delle sue navi. Però sulla Silver Star questa necessità non esisteva e il timoniere si preoccupava soltanto di tenere sott’occhio gli strumenti davanti a lui. Soltanto le partenze e l’arrivo della nave avrebbero richiesto maggiori attenzioni, ma in tal caso la nave si avvaleva del contributo di un pilota esperto del porto, che saliva a bordo al momento opportuno. Questo perché solo un pilota locale ha la possibilità di conoscere in tempo reale la situazione all'interno delle acque portuali, in merito al movimento navi o di particolari condizioni, come la temporanea avaria di un segnalamento luminoso marittimo e cose simili. Tuttavia, anche quando si utilizza un pilota del porto, che sale sulla nave come consulente sia durante l’arrivo sia durante la partenza, la responsabilità della nave rimane sempre del suo comandante e dei suoi uf?iciali. Alla struttura ad U c’erano due sole poltrone, quella del capitano e l’altra del timoniere, cosicché gli altri uf?iciali stavano in piedi e vicini alla vetrata. Alle loro spalle, su un mobile a parete con basse estensioni laterali, si vedevano altri pannelli elettronici, dove alloggiavano i comandi delle eliche, delle ancore, l’intercomunicante e l’impianto radio intercomunicante, il pannello di allarme e il dispositivo di riconoscimento di allarmi, il sistema anti incendio, quello della sicurezza degli ascensori e altro ancora. In plancia, dietro la parete ma rivolta a poppavia, era sistemata la console radio gestita da due uf?iciali radiotelegra?isti. Essa era dotata di un radio-­‐ telefono MF/HF SSB, un apparecchio di comunicazione satellitare, un telex via radio HF, computer e stampanti. Grazie alle comunicazioni satellitari, il


sistema GMDSS (Global Maritime Distress and Safety System), e-­‐mail e altre tecnologie moderne la romantica ?igura del marconista con le cuf?ie, che tentava disperatamente di collegarsi con una stazione a terra, non esisteva più da moltissimi anni. Uno dei due uf?iciali seduto alla console era il primo operatore alle comunicazioni George Phillips, che vantava una buona esperienza fatta su navi cargo e di crociera. La saletta riservata, così sembrava, in realtà comunicava direttamente e facilmente con la parte a proravia della plancia, dove si trovava il capitano e/o il suo vice; bastava aggirare il mobile-­‐ parete divisorio da uno dei due lati; ed anche a voce ci si poteva comunicare facilmente. Tutti quegli uomini in plancia indossavano la loro bella uniforme bianca. Era la stessa per tutti: pantaloni lunghi o corti e camicia con colletto aperto e manica corta; unica differenza era il numero di galloni, le strisce dorate che si vedevano sulle mostrine nere cucite sulle spalle, a cominciare dai quattro del capitano a meno per gli altri. Captain Jim era visibilmente preoccupato. Era un bell’uomo di quasi cinquant’anni, con i capelli corti ancora neri e un leggero biancore alle tempie, leggermente stempiato, ?isico asciutto e prestante, alto più un metro e ottanta. Preferiva indossare sempre i pantaloni lunghi perché ciò gli conferiva una maggiore eleganza, utile a chi aveva spesso contatto con i passeggeri. Captain Jim aveva iniziato la sua carriera marittima a bordo di navi cargo, giungendo per la prima volta a bordo di una nave passeggeri col grado di secondo uf?iciale. Ma grazie alle sue competenze, a soli 30 anni, aveva ricevuto il comando di una nave da trasporto, con la quale aveva navigato per una decina di anni, ?inché ebbe l’incarico di comandare una nave da crociera. Al momento era al suo 12° imbarco a bordo della Silver Star, ognuno della durata di 6-­‐8 mesi e due di riposo. Quindi, lui aveva tanti anni di navigazione sulle spalle, quasi tutti passati nel Paci?ico e nei mari asiatici. Tantissimi anni, che gli avevano sempre impedito di prender moglie, di farsi una famiglia. «Come si fa ad avere una famiglia quando si è sempre in mare?», lui pensava. Cosicché le sue erano sempre state avventure passeggere, occasionali, tra un imbarco e l’altro… e non sempre gli capitava. Questo era il suo rapporto col gentil sesso. Il comandante in seconda Alessandro Guagliardo, invece, preferiva usare i pantaloni corti. Era più giovane di Captain Jim di qualche anno, ed era italo-­‐ americano; anche lui magro, portava dei baffetti sottili sotto un naso leggermente aquilino che gli aveva procurato il nomignolo scherzoso di Al the Eaglet, Al l’Aquilotto, intendendo dire che lui cercava di volare ma non riusciva mai. In realtà il nomignolo aveva anche un’altra motivazione: Alessandro ci


provava con molte, a bordo, con donne dell’equipaggio e con passeggere, ma sembrava che riuscisse a combinare poco … Così sembrava, però. Era un tipo simpatico che stava agli scherzi, ma diveniva severo all’occorrenza. Anche lui era celibe, per un altro motivo: amava troppo le donne, in generale, per poterne sposare solo una! Una non gli sarebbe bastata, lui diceva a tutti. In realtà, quante ne aveva Alessandro, di donne? Aveva, invece, un’esperienza marittima simile a quella del capitano: tanti anni passati su navi cargo come secondo uf?iciale, però aveva navigato sull’Atlantico, sulle rotte per l’Europa e l’Africa; poi aveva fatto qualche imbarco come primo uf?iciale su una nave da crociera che navigava nei Caraibi, ?inché gli giunse l’incarico di comandante in seconda sulla Silver Star. Al momento era al suo 7° imbarco, aveva ormai un’ottima conoscenza della nave e dell’equipaggio (la maggior parte di esso era sempre lo stesso da anni) e poteva de?inirsi amico di Captain Jim. Alessandro si avvicinò a Captain Jim. — Jim, perché non vai a dormire? — gli chiese — Mi sembri molto stanco; e poi ci sono io a controllare la situazione… — No, Alessandro. Non dormirei… dopo quella notizia che mi ha dato Chiao Chuang… mi ha messo in apprensione. — Ma potrebbe anche non accadere nulla, lo sai… — ribatté Alessandro. — E tutta la tua tensione sarebbe ingiusti?icata…. Perciò, cosa dovresti fare? Non dormire mai per tutta la crociera? — Ci sono stati altri allarmi simili — aggiunse il primo uf?iciale Charles Morphy, inserendosi nel colloquio — ma poi non è accaduto nulla… Charles Morphy era più giovane dei due, ma meno magro. Aveva iniziato la carriera marittima addirittura da mozzo. Una carriera velocissima, perché a ventun anni gli arrivò la promozione a secondo uf?iciale di coperta su una nave da carico panamense. Qualche anno dopo, arrivò a bordo della Silver Star come primo uf?iciale di coperta. — Ma questa volta Chiao ne è convinto, vedrete che accadrà — riprese a dire Captain Jim — gliel’ho letto in faccia e potrebbe aver ragione. Il dottor Chiao Chuang, un geologo dell’Istituto di geo?isica di Taiwan che lavorava al Seismological Observation Center di Taipei, il centro ricerche sismologiche, aveva incontrato il capitano James Ferguson proprio la sera precedente. Egli era nato a Taiwan, aveva 57 anni, piccolo di statura, faccia tondeggiante e simpatica, occhi a mandorla, capelli grigi e portava gli occhiali. Si era laureato in patria in Ingegneria geologica nel 1978, perfezionandosi poi in Scienze geologiche all’Università di Londra. Lui e Captain Jim erano ormai buoni amici, poiché si conoscevano e si stimavano da anni; si vedevano spesso, non sempre a Taiwan, poiché avevano partecipato insieme a convegni, cene e


ricevimenti in diverse città asiatiche: Singapore, Kuala Lumpur, Jakarta, Tutong, Hong Kong e altre ancora. In quel momento, come in un ?lashback, Captain Jim rivide l’incontro con l’amico Chiao, avvenuto in un ristorante di Taipei qualche ora prima della partenza della Silver Star. — Jim — gli aveva detto Chiao in un certo momento della cena, davanti ad una grande portata di grossi granchi saltati nel pepe, piatto preferito dal capitano che ne era ghiotto — te l’avrei detto comunque… sono preoccupato. — Lo vedo bene — gli rispose Captain Jim — hai una faccia, stasera, che invece di gialla mi sembra nera. — E per una buona ragione! Ormai ho deciso di avvertire tutte le navi che navigano in questa zona. Meglio correre il rischio di lanciare un allarme inutile che far ?inta di nulla. — Perché? Qual è il problema? — Un terremoto, Jim… Un terremoto devastante che potrebbe accadere molto presto nel mar delle Filippine, qui vicino a noi! — Un terremoto?! Ma ne sei sicuro? — Nessuno può esserne certo. Però gli indizi ci sono tutti. Tu sai che monitoriamo costantemente la situazione sismica di questi mari, che sono sempre a rischio. E non ci siamo solo noi di Taipei a tenerli sotto controllo. Ci sono tanti altri centri sismologici con i quali noi scambiamo informazioni. — Certamente… Ma cosa ti porta a dire questo? — Beh, sai… una scossa principale è preceduta sempre da una serie di scosse minori per energia, ma sempre più frequenti man a mano che si avvicina il momento della botta grossa. — Ok, e allora?… — Ebbene, è quello che stiamo rilevando ora. Scosse sempre più frequenti, di poca entità, di cui pochi si accorgono, ma che i sismogra?i registrano benissimo. Però esse sono in aumento, più frequenti, e con una magnitudo che a volte si eleva, sia pure di poco, altre volte si abbassa. — Beh, ma questo è suf?iciente per sospettare un grande terremoto? Piccole scosse nella crosta terrestre avvengono sempre, mi pare… — aggiunse Captain Jim. — Sì, è così… Ma oltre che nel mar delle Filippine, noi abbiamo registrato una situazione simile, cioè scosse di poca energia ma sempre più frequenti, anche nel sud-­‐est della Cina… nel continente, intendo dire… Situazioni simili, in due luoghi non molto lontani tra di loro, sono sicuramente in relazione. — Perbacco! — Vedi, Jim, analizzando ciò che è accaduto in questi ultimi anni, sembra che la Terra si sia svegliata da un sonno profondo; oggi essa è scossa da


tremori che rimbalzano da un luogo all’altro del pianeta. Cosicché un terremoto in una zona potrebbe in alcuni casi far aumentare il rischio che un altro sisma avvenga in una zona adiacente, come anche in un luogo lontano. Prima non si pensava che ciò potesse accadere; si diceva che ogni terremoto era un avvenimento a se stante, che non poteva assolutamente in?luenzare altre aree del pianeta, invece oggi si crede diversamente. Infatti, alcune faglie possono mettersi in movimento se sono colpite anche da pressioni di poca entità e coinvolgere altre faglie a poca o lunga distanza. — È proprio così? Davvero? — Scorriamo gli ultimi avvenimenti, Jim… — riprese a dire Chiao Chuang. — A settembre 2009 un terremoto di magnitudo 8.1 scosse le isole Samoa, nell’oceano Paci?ico, causando decine di vittime e generando un violento tsunami che ha attraversato tutto l’oceano. Sedici ore più tardi, un altro violento terremoto di magnitudo 7.6 colpì la zona meridionale di Sumatra, provocando centinaia di morti. — Sì, è vero… — Qual è la distanza tra i due luoghi? Quasi diecimila chilometri… Ma prima che a Samoa, se ricordi, tra Sumatra e le isole Andamane era accaduto un altro tremendo terremoto nel dicembre 2004, di magnitudo 9 della scala Ritcher… — Sì, ricordo bene quel fatto. In quel periodo ero in Malesia. — Ebbene, erano quarant’anni che nel mondo non si registrava un terremoto di magnitudo uguale o superiore a 8,5. Quel terremoto al largo di Sumatra avvenne a una profondità di 30 km sotto il livello del mare e generò un maremoto che sviluppò una serie di onde che colpirono ampie zone costiere dell’area asiatica sotto forma di giganteschi tsunami… Furono sei, le ondate, che si manifestarono ?ino a dieci ore successive al terremoto; la più potente fu la terza, alta venti metri. — Che devastazione, fu quella… Molte nazioni furono coinvolte: Indonesia, Sri Lanka, India, Tailandia, Malesia, Birmania, Bangladesh… ed anche le più lontane Maldive, Somalia, Kenya… — Infatti, quel maremoto raggiunse luoghi distanti oltre 4500 chilometri dall’epicentro… — aggiunse Chiao. — Quindi, la sequenza dei terremoti fu: Sumatra–Samoa–Sumatra. Poi, dopo un attimo di ri?lessione, il geologo riprese a parlare. — Sempre nella zona di Sumatra, in successione, avvenne un terremoto a marzo del 2005 di magnitudo 8,6 e a settembre 2007 un sisma di magnitudo 8,5… Beh, a dire il vero nella zona di Sumatra, dal 2009 al 2010, si sono succeduti ben quattro terremoti di magnitudo oltre 7 della Richter. — Così tanti? — chiese Captain Jim, un po’ sorpreso.


— Abbastanza simile ai terremoti di Sumatra è stato quello di dicembre 2010 alle isole Vanuatu, a duemila km da Samoa, colpite da un sisma di magnitudo 7.3… che, guarda caso, si trovano nella stessa direzione di Sumatra. — Quindi non è stata una coincidenza… — No. Poi l’11 marzo 2011 scoppiò un terremoto devastante, un’interminabile scossa durata sei minuti che terrorizzò il Giappone; raggiunse magnitudo 9,0 e avvenne al largo della costa della regione Tōhoku, nel Giappone settentrionale. — Beh, chi non ricorda quel terremoto? Generò uno tsunami con onde alte oltre 10 metri che coinvolsero molti paesi del Paci?ico… Alcune coste giapponesi furono colpite da un'onda che raggiunse la straordinaria altezza di oltre 40 metri… e il sisma provocò lo spegnimento automatico di undici centrali nucleari da parte dei sistemi di emergenza. È impossibile dimenticare il grandissimo disastro della centrale nucleare di Fukushima Dai-­‐Chi… — Ehm già… Ci vollero almeno settantadue ore perché le onde si riducessero al livello delle oscillazioni osservabili durante le tempeste locali. — Insomma, Chiao, tu vorresti dirmi che i grandi terremoti stanno succedendo sempre e soltanto nel sud dell’Asia? — No di certo, Jim. Non è questo che voglio dirti. Infatti, in agosto 2008 un sisma avvenne in Siberia, ed era di magnitudo 9,0; un altro avvenne in Cile, a febbraio 2010, di magnitudo 8,8… — Allora che intendi dire? — Allora intendo dirti che almeno sei grandi terremoti sono avvenuti in soli sette anni, ma dopo quarant’anni di sostanziale assenza di fenomeni analoghi. Cosa ci dice tutto ciò? C’è una qualche correlazione? — E lo domandi a me? Sei tu il geologo… io sono soltanto un povero capitano di nave da crociera — disse Captain Jim sorridendo. — Proprio perché comandi una nave da crociera ti sto dicendo tutto questo… Una nave che naviga in queste acque… Ascolta, anche negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso si veri?icò una concentrazione di grandi eventi sismici, così come sta avvenendo ora: nel 1950 accadde in Tibet, magnitudo 8,6; nel 1952 a Kamcatka in Russia, magnitudo 9,0; nel 1957 ci fu un terremoto in Alaska di magnitudo 8,6; nel 1960 in Cile di 9,5; nel 1963 nelle isole Curili di magnitudo 8,5; nel 1964 in Alaska di 9,2 e ancora in Alaska nel 1965 di magnitudo 8,7… — Beh, si vede che in quel periodo la Terra ce l’aveva col nord del pianeta… — disse Captain Jim, riuscendo persino a scherzarci. — Anche questa serie di eventi — continuò senza sosta Chiao — era avvenuta dopo un lungo periodo in cui, di grandi terremoti di magnitudo superiori a 8, se ne erano veri?icati proprio pochi. Insomma, Jim, io sono


convinto che il primo grande sisma in Indonesia del 2004 abbia determinato un incremento dell’attività sismica, in particolar modo nel sud dell’Asia, e che anche i grandi terremoti, avvenuti dopo il primo, potrebbero essere in qualche modo collegati ad un unico e potente grilletto. Così avvenne negli anni ’50, quando il primo grilletto a scattare fu quello di Assam, in Tibet. Da quel giorno il periodo dei grandi terremoti durò circa 15 anni. — Perciò temi che la stessa cosa sia avvenendo qui nella nostra zona. — Sì. La prova è l’evento sismico avvenuto a Sumatra lo scorso 11 aprile 2012, che abbiamo registrato di magnitudo 8,6. È stato un evento unico del suo genere per molte ragioni. Un terremoto di quel tipo, dovuto allo scorrimento di placche continentali sottomarine, non avrebbe dovuto avere una magnitudine di 8,6! Perché, allora, abbiamo registrato questo dato? — Già… perché? — si chiese Jim. — Quello è stato un terremoto piuttosto complesso, con numerose linee di rottura quasi ad angolo retto rispetto alle altre. L’ipocentro della scossa l’abbiamo registrato a 33 km di profondità, sotto l’Oceano Indiano… Non so se tu lo sai, ma l’ipocentro, cioè il fuoco del terremoto, è quel luogo che per comodità noi intendiamo come il punto in cui è avvenuta la rottura, da dove sono partite le prime onde sismiche. In realtà la frattura avviene sempre lungo un piano più o meno vasto, a volte anche di qualche centinaio di chilometri, per cui dire ipocentro, così come dire epicentro, cioè il punto della super?icie terrestre o della super?icie marina posto esattamente sulla verticale dell’ipocentro, è come indicare un punto molto approssimativo. — Che invece potrebbe estendersi per molti chilometri… — Proprio così. Però è accaduto un altro fatto: due ore dopo la prima scossa di aprile, il sismografo ha registrato un'altra scossa tellurica di 8,2 gradi un po' più a nord della prima. — Capperi! Due terremoti così forti e vicini a due ore di distanza! — Infatti; sono avvenuti, a quanto pare, lungo la subduzione della placca indo-­‐australiana sotto quella asiatica. Nell’isola di Simeulue, in Indonesia, il mare è arretrato di circa 10 metri, e sai che solitamente questo è il segnale di un imminente tsunami. Invece al largo è stata riscontrata soltanto una differenza verticale di 35 centimetri dalla cima dell’onda. — Non un grosso problema, per una grande nave… — Sulle coste interessate dal possibile tsunami, la gente, memore delle devastanti onde del 2004, è stata presa dal panico e si è rifugiata sui luoghi elevati; ma fortunatamente questa volta le onde distruttrici non si sono veri?icate. — Non si è sempre così fortunati… Quindi tu pensi che debba accadere un altro terremoto qui da noi?


— Sì, ne sono convinto. Avverrà presto, nel mare delle Filippine o, in corrispondenza, nel sud-­‐est della Cina. Forse ci sarà tra qualche giorno… o tra qualche ora… Chi lo sa? — Addirittura! — Se avvenisse in mare, come suppongo, la tua nave potrebbe essere investita dall’onda. Se sarai ancora al largo, l’altezza modesta dell’onda lunga, che potrebbe essere di 30, 50… fosse anche di 80 centimetri, non ti darà molti problemi, a parte trascinarti un po’ fuori rotta, ma se in quel momento tu dovessi trovarti vicino alla costa… — L’onda lunga, ingrossandosi e alzandosi, potrebbe spingermi ?in sugli scogli. Lo so, è quello il pericolo che posso correre. Però, lo abbiamo visto in altre occasioni, non è detto che un terremoto in mare porti onde devastanti sulla costa. — È così… ma chi può dirlo? E comunque l’onda avrebbe la forza di una robusta marea, ma molto più veloce, sarebbe come un grande ?iume in piena, devastante, che trascina tutto ciò che trova sul suo percorso. — Beh, non posso annullare una crociera solo per un sospetto, lo sai… L’armatore non me lo permetterebbe, sarebbe un bel danno per la compagnia. E se poi non dovesse avvenire nulla, o ci fosse soltanto una piccola scossa?… — Certamente… ma io dovevo dirtelo. Può accadere anche presto. Stai attento, ti terrò informato costantemente. Intanto ?inisci i tuoi granchi, che ormai saranno freddi.


Capitolo 2

La scomparsa

Certo, non è detto che un terremoto accada davvero, pensava Captain Jim mentre era seduto sulla sua comoda poltroncina nera, in plancia. Ma come si fa a stare tranquilli sapendo che da un momento all’altro potrebbe arrivarti addosso un’onda che, trovandoti vicino ad una costa, potrebbe trascinarti e mandarti sugli scogli? E la Silver Star non stava viaggiando lontano dalla costa frastagliata della Cina. Il passage planning indicava che il percorso Taipei-­‐Shanghai era lungo 369 miglia nautiche, distanza che la Silver Star avrebbe percorso in 21 ore; in realtà il tempo del viaggio era maggiore poiché alle 21 ore occorreva aggiungere il tempo occorrente per uscire dal porto di Taipei e poi quello per entrare nel porto di Shanghai e attraccare alla banchina, entrambe manovre piuttosto lente. In totale occorreva più di una giornata di viaggio, della quale 21 ore da trascorrere in mare aperto. Egoisticamente pensando Captain Jim si sarebbe sentito al sicuro dall’esposizione al mare aperto delle Filippine soltanto dopo aver raggiunto Shanghai, che era parzialmente riparata dalle isole Okinawa. Meglio ancora sarebbe stato raggiungere l’isola Cheju. Si sarebbe riparato dietro di essa. Infatti, la nave avrebbe ormeggiato a Jeju, che è nel nord dell’isola, città al riparo da un’eventuale tsunami. Da lì, poi, il tragitto che la nave doveva fare l’avrebbe portata sopra al Giappone per raggiungere Busan in Corea; là si poteva stare ancor più tranquilli, come anche nel viaggio ?ino ad Osaka. Però… se poi il terremoto accadeva durante il percorso di ritorno, che prevedeva la rotta a sud del Giappone? Gli altri uf?iciali in plancia sembravano più tranquilli. Però loro non avevano parlato con Chiao, non erano stati eccitati dal susseguirsi degli aventi che lui narrava. In realtà gli altri uf?iciali apparivano sì più tranquilli, ma dentro di loro il timore era ben presente. Il pericolo non era da sottovalutare. — Volete un po’ di caffè? Tutti guardarono alle loro spalle, da dove proveniva la voce. Era entrata in plancia un’avvenente donna sulla quarantina, giunonica, come si direbbe in tal


caso, con qualche chilo in più ma distribuito nei posti giusti. Anche il suo seno era bene in evidenza, tanto che la camicia bianca con mostrine nere faceva fatica a contenerlo, e la gonna, anch’essa bianca, comprimeva con dif?icoltà il resto. Per questa ragione la donna preferiva indossare la gonna, piuttosto che i pantaloni anche previsti dall’uniforme di bordo, per “colpa” di quel qualche chilo di troppo, come diceva a volte, che non riusciva ad eliminare. I suoi colleghi maschi, invece, non erano dello stesso parere; erano tutti convinti che Helen Mirren avrebbe potuto portare i pantaloni benissimo, anzi avrebbero giovato ai suoi ?ianchi statuari. Fortunatamente la donna era alta quasi un metro e ottanta, senza i tacchi, e quelle rotondità eccedenti non guastavano. I capelli biondi le incorniciavano il bel viso tondo. Gli altri uf?iciali avevano cercato di capire se i suoi capelli fossero davvero di un biondo naturale oppure no, e ci avevano pure scommesso sopra. Aveva partecipato alla scommessa anche il capo cuoco di bordo Bohai Asoi, che era un cinese-­‐ americano piuttosto rotondo, e persino il direttore di crociera Carmen Arenas, responsabile di tutti i divertimenti, trattenimenti e degli annunci vari a bordo, la quale, essendo donna, avrebbe dovuto saperlo. Ma Helen rideva e lasciava dire, e anche quando aveva saputo della scommessa in atto aveva riso di gusto, anzi continuò ad alimentare il dubbio di proposito, perché la faccenda la divertiva. A dire il vero, le sue frequenti e lunghe sedute dal parrucchiere facevano sospettare il contrario, cioè che non fosse una bionda naturale e si facesse tingere i capelli. Ma anche le parrucchieri della nave tacevano, di proposito. Sarebbe piaciuto a tanti maschietti poterlo scoprire in altro modo, specialmente al comandante Guagliardo, che si riteneva il più donnaiolo di tutti, ma Helen Mirren, pur mostrandosi amica e cordiale anche con lui, non aveva mai accettato la sua corte, né quella di qualcun’altro della nave. Ed era ancora nubile. Forse aveva un debole per Captain Jim… forse. A volte lei sembrava dimostrare ciò altre volte no. — Ah, signorina Helen… — disse Captain Jim — credevo che tu fossi il commissario di bordo, non una cameriera… Helen Mirren portava sulle mani un vassoio con sopra un bricco e alcune tazze di ceramica. — Perché, oltre che del settore logistico non devo forse occuparmi anche di quello alberghiero? — rispose prontamente la donna. — E in tale veste ho pensato che manca il caffè al mio capitano, che ha intenzione di passare tutta la notte qui, a quanto pare… Ed anche ai miei cari colleghi uf?iciali — aggiunse correggendosi. — Un caffè è sempre ben accetto — rispose Captain Jim. — Buona idea davvero! — aggiunse Guagliardo.


Cosicché la Silver Star proseguiva tranquillamente la sua navigazione nel mare della Cina, viaggiando verso quella zona dove si sarebbe potuta trovare parzialmente coperta, rispetto al grande mare delle Filippine, dalla presenza delle isole Okinawa. A qualche miglio di distanza, più avanti, navigava un’altra nave. Sembrava facesse la stessa rotta, ed infatti anch’essa era partita da Keelung Harbor, dove s’era fermata per una decina d’ore, e per molte miglia ancora l’avrebbe effettivamente percorsa; poi, mentre la Silver Star avrebbe deviato a nord per Shanghai, quest’altra nave avrebbe proseguito ad est per raggiungere la città di Kagoshima, soprannominata la «Napoli del Giappone», somiglianza evidentemente evidenziata dalla presenza nella sua baia del vulcano Sakurajima e per il suo clima mite. Per questo motivo Kagoshima si era gemellata proprio con la città di Napoli, nel lontano 3 maggio 1960. Ancora oggi, per mantenere vivo il gemellaggio, la città partenopea ?inanzia la maggior parte del viaggio a Napoli per dieci cittadini di Kagoshima, invito naturalmente ricambiato dai giapponesi. La Daigo Maru, quindi, doveva navigare ?ino a Kagoshima per 617 miglia nautiche, che essa avrebbe percorso in 48 ore, in due giorni. Dopo Kagoshima la nave doveva raggiungere Sakaide, Kagawa, e, dopo una breve sosta, avrebbe ripreso la navigazione ?ino a Tokyo, dove si sarebbe fermata. Era una nave cargo, trasportava prodotti chimici e batteva bandiera nipponica. Era lunga una sessantina di metri, e la sua stazza lorda era quasi di 1300 tonnellate. Era una di quelle navi che a vederle passare appaiono strane; hanno la prora slanciata e munita di un piccolo cassero, ma poi sono lunghe e sottili ?in quasi alla poppa, dove si eleva un castello piuttosto alto. Questa è l’unica costruzione che si vede in verticale, una sorta di torretta, dove il ponte di comando si riconosce per essere più lungo del castello ed avere una lunga vetrata. Là nella torretta si svolgono tutte le principali attività dell’equipaggio: sotto il ponte di comando ci sono gli alloggi e gli uf?ici degli uf?iciali, le cucine, le mense, la sala ricreativa e gli alloggi dell’equipaggio; ancora più in basso è alloggiata la sala macchine, dove si trovano i motori che muovono la nave e i generatori di tutta l’energia elettrica che serve a bordo, sia quando la nave è ormeggiata alla banchina sia quando è in navigazione. È tutto là dentro, nella torretta, perché, nella maggior parte del suo doppio scafo, la chimichiera (così viene chiamata una simile nave) contiene una serie di cisterne di carico distinte, che sono rivestite con acciaio inossidabile e con so?isticati sistemi di pittura. Per questo motivo, queste, sono navi di costo elevato.


La Daigo Maru era notevolmente più piccola di altri tipi di nave cisterna per via del carattere specializzato del suo carico e per le minori dimensioni dei terminali, dove essa andava a caricare e scaricare. Viaggiava ad una velocità di 13 nodi, mentre la velocità di crociera della Silver Star era di 18-­‐19 nodi. Era evidente, quindi, che presto la Silver Star avrebbe raggiunto la Daigo Maru e pure superata. Affacciato alla murata del ponte che dava alla sala ricreazione, il marinaio Katsuo Arakida guardava il mare. Lui s’avvide dell’arrivo della nave da crociera; non poteva essere altro, quella nave, per via di tutte quelle luci che illuminavano i suoi tanti ponti, quasi fosse un albero di natale. La vide avvicinarsi lentamente su una rotta parallela a quella della Daigo Maru e in quel frangente pensò che gli sarebbe piaciuto essere là a bordo, piuttosto che sulla sua nave che trasportava prodotti chimici. Sicuramente era meno piacevole stare su un ponte limitato della Daigo Maru che su uno di quella nave, a vedere le belle ragazze in bikini mentre facevano il bagno in piscina. E poi, gli sarebbe piaciuto potersi anche sdraiare al sole, e sorseggiare una bibita ghiacciata. E poi… e poi… Cosicché la mente del giovane Katsuo cominciò a fantasticare. Quasi sognante, continuava a ?issare la nave da crociera che gli passava davanti, in lontananza, ma non tanto da non poter distinguere bene tutti i suoi ponti. Si dispiacque quasi, quando la nave cominciò ad allontanarsi. Improvvisamente il suo viso si trasformò, i suoi occhi a mandorla si sgranarono mentre il suo volto per un attimo s’illuminò. Oltre la nave da crociera, quindi sulla terraferma cinese, aveva visto nell'atmosfera un improvviso bagliore, poi era seguito un tuono, quindi un’altra luce abbagliante aveva percorso il cielo, che però era terso e senza una nuvola che potesse minacciare pioggia. Subito il mare cominciò ad incresparsi, ma disordinatamente, quindi la nave ebbe un violento rollio e Katsuo si trovò per un attimo a guardare il mare sotto di lui, anziché la nave illuminata. Subito dopo accadde un altro lampo accecante, ma più vicino, e un evento che lo fece restare a bocca aperta: la nave da crociera, con le sue belle luci, non c’era più. Non si vedeva… Dov’era ?inita? Dalla sala ricreazione uscì trafelato un altro marinaio, meravigliato anche lui dei lampi e del rollio improvviso. — Cos’è stato? — chiese. — Juro, hai visto anche tu? — domandò l’allarmato Katsuo al compagno. — Visto cosa, i lampi? — Quelli erano lampi strani, Juro, e anche il rollio era strano. Non ho visto alcuna onda passare sotto di noi, però il mare per un po’ s’è increspato bizzarramente… Ma è successo un altro fatto strano. C’era una nave da


crociera là!… L’hai vista anche tu? — chiese Katsuo tutto tremante, indicando un tratto di mare che ora era tranquillo. — Io ho avvertito i lampi — rispose Juro — e pure il rollio. — Là c’era una nave da crociera, ti dico. È scomparsa di colpo! — Ma come può sparire una nave. È forse affondata? — chiese Juro sorpreso. — Ma che affondata! L’avrei visto bene, se fosse affondata! — Allora gli si sono spente tutte le sue luci e tu hai creduto che era sparita. — No, non mi convinci… Ti dico che è scomparsa! — continuò a insistere Katsuo, anche se pure lui stentava a credere alle sue parole. — Hai visto forse un disco volante? Che con un raggio traente verde ha tirato su la nave? — chiese ancora Juro sorridendo, mentre faceva roteare un dito vicino alla sua tempia. — Non scherzare, Juro… È una faccenda seria. — Va bene, andiamo a parlare con Shidousya. Lui sicuramente saprà dirci qualcosa. Il comandante Hamacho, o Shidousya, come lo chiamavano gli altri marinai, cioè “capo” “comandante”, in quel momento era in plancia di comando; anche lui aveva visto i lampi e udito il rombo del tuono. Erano stati dei lampi strani, come se si fossero generati nella terra, e poi nel mare, anziché nel cielo. Ovviamente aveva pure sentito lo strano rollio, e ben forte, essendo la plancia in alto, avvenuto però senza che un’onda visibile l’avesse causato. Il comandante, ora, era chino sul timoniere, che insieme al suo aiutante stava frettolosamente controllando alcuni strumenti davanti a lui. Katsuo e Juro entrarono nella sala; Katsuo era visibilmente tremante. — Shidousya … — disse Katsuo, indeciso se continuare a parlare. — Non allarmatevi, ragazzi — rispose subito capitan Hamacho. — Stiamo veri?icando il perché dello strano rollio e dei lampi a ciel sereno… — No, volevo dire… — continuò Katsuo — eravamo af?iancati da una nave da crociera. — Lo so bene — rispose capitan Hamacho — è la Silver Star… l’ho vista e l’abbiamo pure seguita sul radar. — La stavo guardando da molti minuti. Era laggiù, tutta piena di luci — riprese a raccontare Katsuo, agitato. — L’ho vista passare ?in quando ha cominciato ad allontanarsi… Poi, di colpo, è sparita! — Che cosa vuoi dire con “è sparita”! — chiese capitan Hamacho. — È sparita! Di colpo non c’era più! — ripeté Katsuo. Intervenne prontamente il timoniere.


— Shidousya… è strano, ma… la Silver Star non compare più sul radar! — Forse il radar non funziona bene? — chiese capitan Hamacho volgendosi a guardare lo schermo. — No, Shidousya. Il radar è a posto. È la Silver Star che è sparita. Non ho più la sua traccia. — E sul sistema di tracciamento a corto raggio? — Niente nave pure là! — Controlla anche il satellitare — chiese ancora capitan Hamacho, spostando il suo sguardo su un altro schermo. — Anche il satellitare non rileva più la nave — rispose il timoniere allarmato. — Bakabakashii! È assurdo! — urlò capitan Hamacho. — Com’è potuta sparire! — disse ancora grattandosi la nuca. — Katsuo, l’hai forse vista affondare? — Niente affatto, Shidousya, la nave è sparita tutt’a un tratto, davanti ai miei occhi! Ad affondare ci vuole tempo. E poi, vi è arrivato forse un SOS? — Questo è vero… Non abbiamo ricevuto niente — disse capitan Hamacho. Poi, rivolgendosi all’operatore alle telecomunicazioni… — Serizawa, contatta subito Tokyo — ordinò. — Vediamo se loro confermano questa storia. Mentre l’operatore Serizawa si metteva in contatto la Guardia costiera di Tokyo, Katsuo dava una gomitata all’amico Juro. — Hai visto che io avevo ragione, Juro? Quella nave è proprio scomparsa. — Ma è incredibile! — Shidousya — urlò l’operatore Serizawa — Tokyo conferma. Anche loro hanno perso la nave, e pure Hong Kong, da dove era partita per la crociera. Mi hanno detto che anche l’armatore ha chiamato Hong Kong, dicendo che sulla loro strumentazione satellitare la nave non compare più e ha chiesto di indagare che ?ine abbia fatto. — Beh, ragazzi — disse capitan Hamacho rivolgendosi a Katsuo e Juro — siamo vicini al tratto di mare dove navigava la nave e andremo subito a perlustrare. Se essa è affondata potremmo trovare dei superstiti, qualche traccia… Il comandante si rivolse nuovamente all’operatore. — Serizawa, informa Tokyo che ci stiamo recando al punto di ultimo avvistamento della Silver Star… Nel frattempo, mentre il timoniere cambiava rotta, Serizawa stava leggendo qualcosa sullo schermo della telescrivente, che era in azione; dopo aver letto, egli sgranò gli occhi e scattò in piedi. — Il terremoto! — urlò di colpo.


— Che stai dicendo? — chiese capitan Hamacho. — Shidousya… è scoppiato un terremoto… anzi… due terremoti! Nella plancia tutti restarono impietriti. — Due terremoti? — chiese incredulo capitan Hamacho — Dove? — Ecco… ci hanno mandato le coordinate… invio il testo alla stampante. Capitan Hamacho afferrò subito il foglio. — Chikushou!… maledizione! I due terremoti sono stati d’intensità shindo 6-­‐superiore! — Due grandi terremoti! — commentarono Katsuo e Juro. — Forse quei lampi sono stati causati dai due terremoti, Shidousya Hamacho? — E chi lo sa, ragazzi? Può darsi… come anche quello strano rollio… Il comandante consegnò il foglio al timoniere. — Controlla le coordinate sul satellitare, Ryouichi! — Subito, Shidousya — rispose il timoniere, che immediatamente cominciò a digitare su una tastiera; sul display per la visualizzazione delle coordinate comparve un punto luminoso. — Ecco, è qui — disse il timoniere. — Il primo epicentro è a nord-­‐est di Fuzhou, nella provincia di Jiangxi, a est di Nanchang. — Nel sud della Cina! — Invece il secondo… — continuò Ryouichi. Effettuò un’altra immissione di dati. — … il secondo epicentro… — disse ancora il timoniere — è in mare, in questo punto… a circa 150 miglia a sud-­‐est dell’isola di Okinawa. — Chikushou!! È qui vicino! Avremo presto l’onda addosso. — Guardate la mappa! — esclamò il timoniere indicando lo schermo — l’onda colpirà prima le isole Okinawa, poi le isole Mikado… poi arriverà su di noi e su Taiwan. Tutti osservavano lo schermo con apprensione, mentre il comandante comunicava con l’interfono la novità all’equipaggio e di tenersi pronti per l’onda. — Povere isole! Sicuramente le avranno allertate. Serizawa, stai in guardia! Avvertimi quando arriverà la notizia che l’onda ha colpito le Mikado. Non ci vorrà molto tempo, dopo, per arrivare su di noi. Intanto dirigiamoci velocemente dov’era la Silver Star… Se gli eventuali superstiti fossero investiti dall’onda sarebbe la loro ?ine sicura. La Daigo Maru navigava a tutta forza verso la zona stabilita, mentre l’operatore Serizawa era in attesa di una comunicazione radio che lo avvertisse della rilevazione dell’onda. — Avremo addosso anche le onde di rimbalzo… — commentò amaramente capitan Hamacho.


La chimichiera stava per raggiungere l’obiettivo, quando Serizawa comunicò che la prima onda aveva raggiunto Okinawa e aveva devastato la sua costa. La popolazione era stata avvertita ma c’era stato poco tempo per mettersi al riparo; molti, però, si erano rifugiati nei palazzi più alti. Mentre la nave perlustrava il tratto di mare con i fari accesi, senza trovare qualche traccia, Serizawa urlò che l’onda aveva raggiunto le isole Mikado, con lo stesso risultato. — Attenzione, tra poco ci arriverà addosso! — urlò capitan Hamacho — Ryouichi, prua all’onda! Prua all’onda! Chikushou! La gigantesca quantità d'acqua spostata dalla liberazione della fortissima energia scatenata dal terremoto sottomarino raggiunse la Daigo Maru. L’onda in super?icie non era alta, sulla cresta misurava un’ottantina di centimetri, però era lunga, molto lunga. Sollevò la nave e la trascinò con sé, nonostante che le eliche girassero a pieno regime per cercare di contrastarne il movimento. Chikushou! — urlò Hamacho. — Evidentemente qui il fondale è meno profondo e l’onda acquista forza! I minuti passavano interminabili e la nave era ancora tenuta dall’onda, che la sballottolava e la trascinava nella direzione della costa cinese; il comandante continuava ad imprecare «Chikushou! Chikushou!», il timoniere, urlando spesso «Kutabacchimae!… kutabacchimae!…» cioè «fanculo!», era al controllo manuale del timone e cercava di mantenere la prua nella direzione dell’onda, per evitare che prendesse la nave di ?ianco. Ma era un’impresa ardua. Dopo otto lunghissimi minuti, che sembrarono in?initi, l’onda passò e mollò la nave, la quale rimase a dondolare, ruotando pure su se stessa come una boa in un mare agitato. — Via di qua, Ryouichi! Allontaniamoci a tutta birra prima che arrivi la seconda onda — sbraitò capitan Hamacho. — Serizawa, comunica che non abbiamo trovato niente, che abbandoniamo le ricerche! Se qualcosa c’era, ora sarà in fondo al mare… oppure sugli scogli della Cina… Chikushou!


Capitolo 3

La strana isola

La nave da crociera Silver Star continuava a navigare verso la tappa seguente: Shanghai. In plancia di comando al ponte 8 tutti gli uf?iciali, compresa l’ultima arrivata, l’hotel director Helen Mirren, attendevano il veri?icarsi di un evento che poteva non accadere. Qualcuno stava ancora sorseggiando il caffè dalla tazza, mentre guardava fuori dalla vetrata in attesa di un chissà quale segnale che annunciasse l’arrivo del terremoto. Erano tutti in piedi, eccetto il capitano James Ferguson e il timoniere Bob Brozman che stavano ancora seduti nelle comode poltroncine nere. Captain Jim si era quasi appisolato. Gli uf?iciali osservavano il cielo notturno, che era terso e mostrava moltissime stelle; anzi, sembrava che quella notte le stelle si potessero toccare con mano, come non mai, tanto erano luminose, e alcune pure molto grandi. Anche loro avevano visto i due lampi sulla Cina e udito il tuono. Subito dopo, la nave aveva subito un fremito e un tentativo di rollio che però, grazie alla doppia coppia di pinne stabilizzatrici di cui era dotato lo scafo, non s’era molto avvertito. Immediatamente dopo, un forte bagliore aveva illuminato a giorno la nave, generatosi proprio sulla sua verticale. Poi tutto si era tranquillizzato. Prima l’arrivo della bella Helen col caffè, poi il trascorrere dei minuti avevano allentato la tensione; anche il timoniere s’era rilassato, teneva la schiena appoggiata allo schienale e guardava distrattamente gli strumenti davanti a sé; alla navigazione ci pensava il pilota automatico; dopotutto si stava navigando in un tratto di mare ben conosciuto e percorso tante altre volte. Improvvisamente Bob notò che lo schermo a colori del radar segnalava qualcosa… che lui non s’aspettava. Si sollevò subito dallo schienale e cominciò a smanettare alacremente sulle manopole. — Capitano… — chiamò sussurrando. — Capitano! — ripeté con più voce. — Cosa c’è? — domandò Captain Jim riprendendosi dal torpore.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.