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Introduzione

INTRODUZIONE

Nessuna civiltà, prima della nostra, aveva mai avuto accesso a una scelta così vasta di pratiche spirituali provenienti da ogni parte del mondo. Nelle grandi città cosmopolite è ora possibile partecipare a rituali di svariate tradizioni religiose, imparare a meditare, praticare Yoga o Qi Gong, svolgere pratiche sciamaniche, esplorare gli stati di coscienza mediante l’uso di sostanze psichedeliche (benché questo sia illegale in gran parte del mondo), cantare in coro, prendere parte a preghiere di ogni tipo, apprendere le arti marziali o dedicarsi a uno degli innumerevoli sport disponibili.

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Tutte queste pratiche hanno la capacità di portarci oltre gli stati di coscienza ordinari, quelli che sperimentiamo ogni giorno e che consideriamo normali; possono farci percepire un senso di connessione con una coscienza più-che-umana, una presenza più grande di noi. Simili esperienze vengono spesso definite “spirituali”.

Le esperienze in sé lasciano comunque aperta la questione della natura del regno spirituale. Come vedremo nel corso del libro, le esperienze spirituali possono essere soggette a molte diverse interpretazioni, compresa quella della visione materialista secondo cui tutto accade all’interno del cervello e non esiste alcuna forma di coscienza più-che-umana “là fuori”.

Al tempo stesso, le pratiche spirituali non sono mai state tanto studiate scientificamente come nella nostra epoca. Siamo

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all’inizio di una nuova fase evolutiva sotto il profilo scientifico, filosofico e spirituale.

Dalla fine del xix secolo in poi, le scienze naturali sono state dominate da una filosofia materialista e meccanicistica: l’intera natura funziona come un enorme macchinario, formato da materia priva di coscienza il cui comportamento è determinato da leggi matematiche – incluse le leggi probabilistiche della meccanica quantistica – ed eventi casuali; la natura non ha alcuno scopo, l’evoluzione è priva di senso o direzione. La mente umana è semplicemente l’attività fisiologica del cervello, confinata all’interno della testa. La coscienza è un’illusione, oppure un inutile sottoprodotto dell’attività cerebrale; anche il libero arbitrio è solo un’illusione.1

Questo tipo di scienza ha ottenuto grandi successi nel campo della fisica, della chimica, dell’ingegneria e della tecnologia; ha consentito grossi passi avanti anche per la biologia, soprattutto decifrando i meccanismi molecolari che regolano il patrimonio genetico e il ruolo dei geni nella sintesi delle molecole proteiche, mentre in medicina ci sono stati enormi progressi riguardanti le tecniche chirurgiche e lo sviluppo di numerosissimi farmaci e vaccini.

Di gran lunga meno efficace è stata invece la sua applicazione alla scienza della mente, ovvero la psicologia. Una scienza secondo cui tutto ciò che esiste è fatto di materia non cosciente non possiede gli strumenti necessari per occuparsi della coscienza. Per gran parte del xx secolo, la psicologia accademica nel mondo anglofono è stata dominata dalla scuola comportamentista, che considerava le esperienze soggettive irrilevanti e prive di valore scientifico in quanto non misurabili oggettivamente. I comportamentisti prendevano in considerazione soltanto le misurazioni oggettive di attività fisiologiche o secrezioni ghiandolari.

Verso la fine del xx secolo, il comportamentismo ha iniziato a perdere la sua egemonia nel mondo accademico in favore della

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psicologia cognitiva. Secondo questo nuovo modello dominante la mente umana non è altro che l’attività del cervello, il quale a sua volta funziona come un computer che elabora algoritmi: la mente è il software, il cervello è l’hardware.

Tale visione “informatizzata” del cervello umano è stata radicalmente scardinata a partire dagli anni Novanta, quando lo psicologo Antonio Damasio ha per primo suggerito l’idea che il pensiero sia influenzato dalle emozioni e che queste ultime dipendano dalle reazioni fisiologiche, come l’impulso fight-or-flight (“combatti o scappa”) mediato dall’ormone adrenalina. Nel suo autorevole libro L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Damasio sostiene che siano le emozioni a guidare i comportamenti e le decisioni umane.2 Per la maggior parte delle persone al di fuori del mondo accademico, questa idea non è affatto sconvolgente e neppure originale, ma una semplice questione di buonsenso; nel mondo della psicologia accademica, però, si è trattato di una svolta epocale.

Un’altra innovazione è stata introdotta dalla scuola di psicologia positiva, ufficialmente istituita nel mondo accademico dal 1998, che si pone l’obiettivo di scoprire cosa rende la vita degna di essere vissuta.3 Nelle loro ricerche, gli psicologi positivi hanno riscontrato che esistono numerose attività, anche molto diverse tra loro, in grado di renderci felici: ad esempio concentrarsi nel lavoro che si sta svolgendo, portare avanti una conversazione piacevole, cantare, danzare, fare l’amore o giocare. L’elemento comune è uno stato di totale coinvolgimento, lo “stato di flusso”.4 Quando invece le persone sono separate, disconnesse, estraniate o in conflitto, tendono a essere meno felici. La psicologia positiva ha contribuito alla ricerca sulle pratiche spirituali studiando gli effetti della gratitudine (di cui ho parlato diffusamente nel capitolo 2 del libro Scienza e pratiche spirituali) e l’induzione di stati di flusso attraverso lo sport, il canto e la danza.

Gli anni Novanta hanno visto anche la nascita degli studi sulla coscienza, un nuovo settore che si è spinto molto oltre ri-

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spetto alle prospettive limitate del comportamentismo e della psicologia cognitiva, aprendo campi di ricerca che fino ad allora erano stati ignorati o bollati come non scientifici dalla maggior parte degli studiosi. I ricercatori di questa nuova materia hanno studiato le esperienze di pre-morte, la meditazione, gli effetti del contatto con la natura, le esperienze extracorporee, gli stati di unione mistica, gli effetti della salmodia e del canto corale, le esperienze psichedeliche; tutte queste ricerche hanno portato le scienze anni luce più avanti rispetto al materialismo meccanicistico di vecchio stile.5 Infatti, oggi succede che gli stessi materialisti o atei utilizzino la meditazione o gli psichedelici per esplorare la propria coscienza; un esempio è Sam Harris, esponente dei Nuovi Atei, che pratica e insegna meditazione online.6

Questa convergenza tra scienza e pratiche spirituali, per quanto possa risultare sorprendente dal punto di vista dell’ortodossia materialista in cui si è formata la grande maggioranza degli scienziati contemporanei, è invece perfettamente coerente con il metodo scientifico, che consiste nel formulare ipotesi – congetture su come funziona il mondo – per poi metterle alla prova mediante esperimenti. L’arbitro supremo non è la teoria, ma l’esperienza. Il termine francese expérience significa sia “esperienza” che “esperimento”; in greco, esperienza si dice empeirìa, da cui deriva l’aggettivo “empirico”. L’esplorazione della coscienza attraverso la coscienza stessa è letteralmente empirica, cioè basata sull’esperienza. Le pratiche spirituali ci offrono possibili modalità per esplorare la coscienza empiricamente.7

Questo libro è la prosecuzione delle ricerche iniziate con il precedente volume Scienza e pratiche spirituali, in cui avevo passato in rassegna sette diverse pratiche studiate empiricamente sia da coloro che le svolgevano in prima persona, sia dagli scienziati che ne analizzavano gli effetti.

I sette capitoli dedicati a tali pratiche erano intitolati come segue:

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1. La meditazione e la natura della mente 2. Il flusso della gratitudine 3. Riconnettersi con il mondo più-che-umano 4. Relazionarsi con le piante 5. I rituali e la presenza del passato 6. Il canto, la salmodia e il potere della musica 7. Pellegrinaggi e luoghi sacri

In questo libro scopriremo altre sette pratiche spirituali, a cui sono dedicati altrettanti capitoli:

1. Il lato spirituale dello sport 2. Imparare dagli animali 3. Il digiuno 4. Cannabis, psichedelici e aperture spirituali 5. I poteri della preghiera 6. Festività e celebrazioni 7. Coltivare le buone abitudini, evitare quelle cattive e praticare la gentilezza

Il capitolo finale è dedicato ai motivi per cui queste pratiche funzionano.

I due libri non costituiscono una panoramica esaustiva di tutte le pratiche spirituali esistenti. Ce ne sono molte altre: lo Yoga, il mettersi a servizio degli altri, il Tai Chi, il Qi Gong, il culto devozionale o bhakti, il sesso tantrico, il prendersi cura dei moribondi, lo Yoga del sogno, le varie forme di espressione artistica. Alcune pratiche sono più indicate per determinate persone rispetto ad altre; alcune si addicono più di altre a specifici momenti della vita, e tutte si combinano tra loro in modo diverso nelle varie tradizioni religiose.

Tutte le pratiche di cui parlo in questo libro sono state da me sperimentate in prima persona. In ognuna ci sono moltissimi praticanti più esperti di me; io non sono un guru, ma un esplo-

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ratore. Il mio intento è proseguire il progetto iniziato con Scienza e pratiche spirituali, dimostrando che esiste una gran varietà di modi diversi per entrare in contatto con una realtà cosciente più grande di noi, in qualunque modo la intendiamo, e che gli effetti di tali pratiche possono essere studiati scientificamente. Alla fine di ciascun capitolo, suggerirò due modi in cui il lettore potrà fare esperienza diretta della pratica che è stata presa in esame.

Siamo all’inizio di una nuova era nel campo dell’esplorazione della coscienza, grazie alla nuova popolarità delle pratiche spirituali e anche grazie alle ricerche scientifiche sui loro effetti. Dopo essere state in apparente contrasto per svariate generazioni, scienza e spiritualità stanno ora diventando complementari l’una all’altra; insieme stanno creando una fase completamente nuova dell’evoluzione spirituale dell’umanità, e questa fase è appena cominciata.

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