«Di molte figure adornato»

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39,00 €

l’orlando furioso

www.officinalibraria.com

nei cicli pittorici tra cinque e seicento

Federica Caneparo si è perfezionata in letteratura italiana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (2012), indagando la fortuna figurativa dell’Orlando furioso. Si è poi specializzata in storia dell’arte moderna presso l’Università di Pisa, studiando la committenza farnesiana tra la fine del Cinquecento e il Seicento. Attualmente all’Università di Princeton, si occupa di temi letterari nell’arte del Rinascimento. Ha pubblicato articoli e saggi su edizioni illustrate cinquecentesche e su cicli affrescati ispirati a fonti letterarie antiche e moderne.

federica caneparo

Letto, amato e imparato a memoria da un pubblico vasto e variegato, il capolavoro dell’Ariosto ha influenzato ampiamente le arti figurative, come attestano edizioni illustrate, dipinti, sculture, maioliche e vari oggetti d’arte applicata. Un settore in particolare, però, riserva ancora molte sorprese: gli affreschi ispirati al poema, che sembravano poco numerosi e sono stati poco indagati. Ma è davvero possibile che il best-seller del secolo abbia lasciato così scarsa traccia di sé nelle dimore nobiliari italiane? Questo libro dimostra il contrario. Prendendo le mosse dalle terre estensi, luogo di nascita e di prima diffusione del poema, l’autrice percorre la penisola analizzando affreschi noti e meno noti, in particolare nell’arco alpino, dove la persistenza del gotico cortese apre la via a un’entusiastica ricezione delle storie cavalleresche, adattate alla nuova sensibilità rinascimentale. Spesso ispirati alle xilografie delle edizioni di maggiore successo, i vari cicli pittorici presentano una qualità artistica discontinua, dimostrando così la popolarità delle storie ariostesche, scelte non solo dalle raffinate corti di Parma, Mantova o Firenze, ma anche dalla piccola nobiltà di campagna. Mentre ferve tra i letterati il dibattito critico sullo statuto dell’Orlando furioso, il pubblico ha già decretato il proprio verdetto: il Furioso è destinato a diventare un classico. Alcuni lettori, divenuti committenti, affermano il proprio appassionato parere scegliendo di fare rappresentare storie ariostesche nelle proprie dimore in anni precoci. Le avventure di Ruggiero, Bradamante, Angelica, Orlando o Astolfo non solo evocano il mondo fantastico dell’Ariosto, garantendo all’osservatore un momento di diletto e di evasione, ma vengono spesso reinterpretate alla luce di esigenze specifiche, e ogni personaggio viene chiamato di volta in volta ad incarnare i valori dei committenti, le loro aspirazioni sociali, il loro bisogno di affermazione dinastica e politica.

federica caneparo

«di molte figure adornato» L’orlando Furioso nei cicli pittorici tra cinque e seicento



ÂŤdi molte figure adornatoÂť

a I. e a D.


In copertina Orlando Furioso, Ruggiero salva Angelica, Giolito, Venezia 1542, canto X, collezione Moser

Volume pubblicato con il contributo della Scuola Normale Superiore. This publication is made possible in part from the Barr Ferree Foundation Fund for Publications, Department of Art and Archaeology, Princeton University.

Progetto grafico Paola Gallerani Redazione e impaginazione Francesca Zaccone Fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio, Milano Stampa Monotipia Cremonese, Cremona Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. isbn: 978-88-97737-33-9 © Officina Libraria, Milano, 2015 www.officinalibraria.com Printed in Italy


federica caneparo

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L’orlando Furioso nei cicli pittorici tra cinque e seicento

con 248 illustrazioni



Sommario 9 Introduzione 17 Capitolo I (S)fortuna figur ativa dell’Orlando furioso tr a 1516 e 1542 20 1.1 gli affreschi perduti di jacopo bassano 23 Capitolo 2 Letture estensi 25 2.1 i cicli perduti di ferrara e sassuolo 25 2.1.1 Dosso e Battista Dossi a Ferrara: una committenza estense 36 2.1.2 Nicolò dell’Abate e Jean Boulanger a Sassuolo 51 Capitolo 3 Affreschi all’insegna della Fenice 52 3.1 l’area emiliana 52 3.1.1 Palazzo Torfanini a Bologna 67 3.1.2 La Torre di Baggiovara 79 3.2 il piemonte: due cicli affrescati a chiusa di pesio 91 3.3 la valtellina 93 3.3.1 Palazzo Besta a Teglio 153 3.3.2 Palazzo Valenti a Talamona 156 3.3.3 Castello Masegra a Sondrio 162 3.4 un sorprendente fregio giolitino a como 168 3.5 bergamo 169 3.5.1 «Favole dell’Ariosto» in piazza Mascheroni 182 3.5.2 Palazzo Alessandri 205 3.6 palazzo zorzi a mel 218 3.7 palazzo zugni a feltre 223 3.8 un ciclo eterogeneo: palazzo colonna-barberini a palestrina 231 Capitolo 4 L’onda lunga dell’esplosione giolitina: la seconda metà del Cinquecento 232 4.1 affreschi valgrisiani: il caso di villa gozzini a gorlago


242 4.1.1 Cicli valgrisiani di piccolo formato: i cassoni di Girolamo da Santa Croce 245 4.2 palazzo de rochis a verona 253 4.3 la grotta di alcina a mantova 261 4.4 palazzo del giardino a parma 286 4.5 genova e la spagna 286 4.5.1 Villa Centurione Doria a Pegli 288 4.5.2 Palazzo Spinola Pessagno a Genova 293 4.5.3 Villa Pallavicino delle Peschiere 294 4.5.4 Maestranze Genovesi in Spagna: il Palazzo di Don Álvaro de Bazán 299 4.6 la rocca di spoleto 301 4.7 la retirata di mondragone a monte porzio catone 311 Capitolo 5 Il tr amonto del Cinquecento e l’alba della Gerusalemme liberata 312 5.1 villa besozzi-casati a cologno monzese 320 5.2 il fregio di villa giovannina a san giovanni in persiceto e gli affreschi perduti di palazzo bentivoglio a gualtieri 339 5.3 il casino di lanfranco sui monti di bravetta 348 5.4 firenze e dintorni 348 5.4.1 Villa Medici Corsini a Mezzomonte 355 5.4.2 Villa Il Pozzino a Castello 359 5.4.3 Un’allegoria ariostesca a Palazzo Pitti 367 conclusioni

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377 APPENDICE villa pisani bonetti a bagnolo di lonigo: un originale binomio letterario palazzo vavassori (santa grata inter vites) a bergamo 385 TAVOLE 465 Cronologia dei cicli ariosteschi 470 indice dei nomi


Questo lavoro è nato a Pisa e ha trovato il suo compimento a Princeton, in un percorso spesso inaspettato e denso di sorprese all’interno di quello che sembra davvero un castello di Atlante, pieno di sale affrescate e di accessi segreti, scale e recessi, torri e torrette (naturalmente tutte colombaie); un castello per nulla illusorio però, senza sassi con “caratteri e strani segni” e senza “olle che fuman sempre”, ma vero e tangibile, come reali sono le persone incontrate, alle quali va la mia sincera gratitudine: Vincenzo Farinella, insostituibile guida a partire dalla tesi di laurea, prima avventura ariostesca sfociata in seguito in altre quêtes; Lina Bolzoni, che ha creduto in questo progetto e mi ha dato l’opportunità di svilupparlo in un ambiente stimolante e dinamico come la Scuola Normale; Dennis Looney, che ha creduto in questo lavoro e ha offerto osservazioni stimolanti; Sergio Zatti e Antonio Pinelli, costanti punti di riferimento negli anni; Pietro Frassica, per la sua generosa disponibilità, per la fiducia e i preziosi consigli; Monica Preti e Michel Paoli per il loro incoraggiamento. Ringrazio i proprietari degli affreschi, che mi hanno generosamente accolta nelle loro case e che hanno voluto condividere con me il loro tempo e la storia delle loro famiglie, permettendo a questa ricerca di uscire dal confine, pure gradevolissimo, delle biblioteche, e diventare esperienza viva e condivisa, nonché tutte le persone, enti, istituzioni e associazioni che, a vario titolo, mi hanno permesso di accedere ai cicli figurativi ariosteschi. Un ringraziamento non formale va inoltre al personale delle biblioteche, e in particolare: Scuola Normale Superiore e Università di Pisa, Kunsthistorisches Institut e Biblioteca Nazionale di Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Biblioteca Ariostea di Ferrara, Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, Biblioteca Universitaria di Bologna, Biblioteca Estense di Modena, Museo Storico dell’Università di Pavia, Biblioteca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, Biblioteca Reale di Torino, Warburg Institute London, Bibliothèque Nationale e Institut National d’Histoire de l’Art de Paris, Marquand Library, Firestone Library, Princeton University, Van Pelt Library, University of Pennsylvania e Houghton Library, Harvard University. Un ringraziamento particolare va al Dipartimento di French and Italian, a quello di Art and Archaeology, e al Program in Renaissance and Early Modern Studies dell’Università di Princeton, dove ho avuto modo di discutere questo lavoro in più occasioni, incontrando sempre disponibilità e ricevendo brillanti spunti di riflessione. Numerose sono le persone con le quali ho discusso vari aspetti di questa ricerca in questi anni; a ognuno sono molto riconoscente per il tempo che mi è stato dedicato e per le preziose osservazioni, fermo restando che ogni mancanza va imputata a me soltanto. Grazie alla squadra di Officina Libraria: senza il suo lavoro meticoloso questo testo non sarebbe un libro. Un pensiero particolare va alla mia famiglia, che è sempre con me, da vicino e da lontano. Grazie agli amici tutti, ognuno sa perché. Grazie infine, e soprattutto, a Damiano, che più di tutti sa perché.

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Introduzione

«E se il fine che prepor si deve il buon poeta non è altro che giovare e dilettare, che l’uno e l’altro abbia asseguito l’Ariosto si vede manifestamente; che non è dotto, né artegiano, non è fanciullo, fanciulla, né vecchio, che d’averlo letto più d’una volta si contenti. Non son elleno le stanze il ristoro che ha lo stanco peregrino nella lunga via, il qual il fastidio del caldo e del lungo cammino, cantandole rende minore? Non sentite voi tutto il dì per le strade, per li campi, andarle cantando? Io non credo ch’in tanto spazio di tempo, quant’è corso dopo, che quel dottissimo gentilhuomo, mandò in man de gli uomini il suo Poema, si sian stampati, né venduti tanti Omeri, né Virgili, quanti Furiosi: e, se così è, come veramente non si può negare, non è questo manifestissimo segno della bellezza e bontà dell’opra?». Bernardo Tasso*

L

’enorme successo editoriale dell’Orlando furioso è testimoniato dall’impressionante numero di edizioni pubblicate nel Cinquecento (più di centodieci fra il 1540 e il 1580),1 che lo rendono il testo poetico italiano stampato con maggiore frequenza alla metà del Cinquecento, scalzando il primato del Canzoniere di Petrarca. Altra conferma indiretta di un successo senza precedenti è data dal vasto numero di imitatori e continuatori, proliferati dal 1521 in avanti in Italia e in Europa. Di fatto, il suo ruolo di best seller del secolo è una verità acclarata e condivisa negli studi critici. Ben diverso è il caso della sua fortuna figurativa. Il primo censimento delle opere d’arte ispirate al Furioso venne realizzato negli anni dieci del Novecento da Giuseppina Fumagalli, la quale rilevava, non senza stupore, ben pochi esempi: «Il Furioso non fu scelto a soggetto dagli artisti come la vivezza pittorica della sua arte indurrebbe a credere. La ricerca è difficile, perché trattasi di tele e affreschi sparsi per la maggior parte in ville e palazzi, ma se pur qualcosa alle mie poche notizie si

* Lettera di Bernardo Tasso a Benedetto Varchi, 6 marzo 1559, in B. Tasso, Lettere, ristampa anastatica dell’ed. Giolito 1560, a cura di A. Chemello, ii, Bologna 2002, pp. 540-547, in particolare 543-544. 1. G. Agnelli e G. Ravegnani, Annali delle edizioni ariostee, Bologna 1933, 2 voll.; E. Pace, Aspetti tipografico-editoriali di un «best-seller» del secolo XVI: l’Orlando Furioso, in «Schifanoia», iii, 1987, pp. 103-114; D. Javitch, Ariosto classico. La canonizzazione dell’Orlando Furioso (1991), trad. it. di T. Praloran, Milano 1999, p. 16. 9


introduzione

potrà aggiungere, non varrà certo a distruggere l’asserzione che tra i pittori l’ispirazione diretta del Furioso fu scarsa, poco sentita».2 I passi avanti da allora compiuti hanno notevolmente accresciuto il catalogo delle opere d’arte ariostesche: nel corso del Cinquecento il poema offrì infatti soggetti per dipinti e cicli figurativi le cui testimonianze più note sono riconducibili all’area emiliana, basti pensare alla Lotta fra Orlando e Rodomonte di Battista Dossi, oggi ad Hartford (Connecticut), o alle tanto discusse Melissa (fig. 2) e Fiordiligi / Didone del fratello Dosso, o ancora, per quanto riguarda i cicli affrescati, all’opera di Nicolò dell’Abate e della sua cerchia nel Palazzo Torfanini di Bologna, al fregio di Baggiovara, presso Modena, o alle Storie di Alcina di Gerolamo Mirola nel Palazzo del Giardino di Parma. Meticolosamente indagate e organicamente restituite al loro contesto sono inoltre le opere di committenza fiorentina di primo Seicento ispirate non solo all’Ariosto, ma anche a Tasso e a Guarini; è stata indagata in modo particolare la committenza del cardinale Carlo de’ Medici (1595-1666), di suo fratello don Lorenzo (1599-1648) e del loro nipote Giovan Carlo (1611-1663), i quali richiesero numerosi dipinti di soggetto letterario, e specificamente ariostesco, da destinare alle rispettive residenze: il Casino di San Marco, la Villa Petraia e la Villa di Mezzomonte a Impruneta, la prima e l’ultima delle quali furono inoltre affrescate con storie del Furioso. Gli atti del convegno di Villa I Tatti e il relativo catalogo della mostra, aggiornato da quello della recente mostra di Ajaccio,3 rappresentano un unicum nel panorama degli studi ariosteschi; altre opere d’arte sono state oggetto di singoli studi, ma tuttora manca un censimento generale di quelle ispirate all’Orlando furioso. Allo stato attuale degli studi, la fortuna figurativa dell’Orlando furioso è prevalentemente costituita da dipinti, ai quali talvolta è stato possibile associare i relativi disegni preparatori, ma non solo: numerosi sono gli esempi nella sfera delle arti applicate, dalla maiolica agli oggetti di arredo. Le maioliche offrono un campo di indagine particolarmente interessante, i cui vertici meglio noti sono certamente i piatti realizzati da Francesco Xanto Avelli nei primi anni trenta del Cinquecento, oggetto di recente attenzione critica.4 Le maioliche istoriate, nel loro stretto rapporto con le fonti grafiche,5 offrono 2. G. Fumagalli, La fortuna dell’Orlando furioso in Italia nel secolo XVI, Ferrara 1912, p. 340. 3. L’arme e gli amori. Ariosto, Tasso and Guarini in Late Renaissance Florence. Acts of an International Conference (Firenze, Villa I Tatti, 27 – 29 giugno, 2001), a cura di M. Rossi e F. Gioffredi Superbi, Firenze 2004; L’arme e gli amori. La poesia di Ariosto, Tasso e Guarini nell’arte fiorentina del Seicento, catalogo della mostra (Firenze, 21 giugno – 20 ottobre 2001), a cura di E. Fumagalli, M. Rossi e R. Spinelli, Livorno 2001; Florence au grand siècle entre peinture et littérature, catalogo della mostra (Ajaccio, 1 luglio – 3 ottobre 2011), a cura di E. Fumagalli e M. Rossi, Cinisello Balsamo 2011. 4. T. Wilson, Le illustrazioni dell’Orlando furioso del pittore di maioliche Francesco Xanto Avelli, in L’uno e l’altro Ariosto, in corte e nelle delizie, a cura di G. Venturi, Firenze 2011 pp. 141-151; Id., Xanto, in «The Burlington magazine», cxlix, 2007, pp. 274-275; Xanto: Pottery-Painter, Poet, Man of the Italian Renaissance, atti del convegno (Londra, 23-24 marzo 2007), Faenza 2007. 5. C. Ravanelli Guidotti, Immagini personaggi ed emblemi cavallereschi sulla maiolica italiana, Faenza 1988; Maiolica e incisione: tre secoli di rapporti iconografici, a cura di G. Biscontini Ugolini e J. 10


introduzione

inoltre una vera e propria versione a colori delle illustrazioni a stampa, come dimostrano i piatti realizzati da Giacomo Mancini, detto il Frate, attivo a Deruta intorno alla metà del secolo XVI, che a più riprese trasse ispirazione dalle xilografie pubblicate nel 1542 da Gabriele Giolito de’ Ferrari. E ancora bronzetti, cassoni, fiasche da polvere da sparo attestano la diffusione delle tematiche ariostesche in tutti gli ambiti delle arti figurative e decorative: si tratta di oggetti isolati, ormai separati dal loro contesto, rari testimoni di un patrimonio largamente perduto, capaci tuttavia di aprire uno spiraglio sulle reali proporzioni del fenomeno. Un aspetto in particolare è rimasto tuttavia immeritatamente oscuro: la presenza del poema nei cicli affrescati. La bibliografia sull’argomento è quanto mai esigua e discontinua: gli affreschi ariosteschi più famosi e meglio conosciuti sono certamente quelli realizzati da Nicolò dell’Abate a Palazzo Torfanini a Bologna, tra i primi a suscitare l’attenzione degli studiosi; 6 mentre il caso periferico delle Storie di Angelica nel palazzo dei marchesi di Ceva a Chiusa di Pesio, in provincia di Cuneo, è stato oggetto di studio da parte di Rensselaer Lee, il quale ne ha riconosciuto la fonte grafica nelle illustrazioni che corredano l’edizione giolitina del poema.7 A Marta Ajmar spetta invece il merito di avere offerto una prima panoramica degli affreschi di soggetto ariostesco, mettendo in luce la complessità dell’argomento.8 La studiosa propone infatti la prima sintesi della fortuna figurativa del Furioso negli affreschi cinquecenteschi italiani, menzionando nove casi attualmente esistenti e tre perduti ma citati dalle fonti (uno si è rivelato in seguito non pertinente: gli affreschi di Scandiano non erano infatti ispirati all’Orlando furioso bensì all’Innamorato9), concentrati soprattutto in Emilia Romagna, primo bacino di diffusione del poema ariostesco e, conseguentemente, territorio d’indagine di particolare rilevanza. Ricoprono dunque un ruolo da protagoniste Bologna, Modena e Parma, che ancora oggi conservano testimonianze di questa fortuna, Ferrara, dove simili esempi un tempo esistevano, sebbene ormai ne resti traccia solo nelle fonti scritte, e Sassuolo, dove sono perduti gli affreschi di Nicolò dell’Abate, ma restano quelli di Jean Boulanger. Allontanandosi dal centro propulsore del poema, Marta Petruzzelli Scherer, con la collaborazione di C. Salsi, catalogo della mostra (Milano 29 aprile – 15 settembre 1992), Vicenza 1992; Ead., Ariosto «istoriato» nella maiolica italiana del Cinquecento, in Signore cortese e umanissimo. Viaggio intorno a Ludovico Ariosto, catalogo della mostra (Reggio Emilia, 5 marzo – 8 maggio 1994), a cura di J. Bentini, Venezia 1994, pp. 61-73; Ead., Reminescenze ariostesche. L’ottava d’oro istoriata sulla maiolica del Cinquecento, in «CeramicAntica», iv, 5, 38, 1994, pp. 32-48. 6. E. Langmuir, «L’audaci imprese...». Nicolò dell’Abate’s frescoes from Orlando Furioso, in «Storia dell’Arte», xlii, 1981, pp. 139-150. 7. R. W. Lee, Adventures of Angelica: Early Frescoes Illustrating the Orlando Furioso, in «Art Bulletin», lix, 1977, pp. 39-46. 8. M. Ajmar, Scene dall’Orlando furioso nella tradizione grafica e a fresco: un problema, in «Artes», i, 1993, pp. 42-59. 9. D. Cuoghi, «Ut pictura poësis». Versi cortesi e figure dipinte nella Rocca di Scandiano, in Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella pittura del Cinquecento tra Modena e Fontainebleau, catalogo della mostra (Modena, 20 marzo – 19 giugno 2005), a cura di S. Béguin e F. Piccinini, Milano 2005, pp. 67-75. 11


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Ajmar cita Chiusa di Pesio (dove sono presenti due cicli), Monte Porzio Catone presso Frascati, Teglio, in provincia di Sondrio, Bergamo, e, poco distante, Gorlago. Le considerazioni elaborate da Ajmar sulla base dei documenti raccolti seguono essenzialmente due linee interpretative: da un lato, la condizione di best-seller dell’Orlando furioso e il suo statuto di primo classico moderno non avrebbero determinato un’altrettanto cospicua diffusione delle tematiche ariostesche nel mondo della pittura; 10 dall’altro lato, i cicli pittorici ispirati al poema deriverebbero strettamente dagli apparati illustrativi delle edizioni a stampa.11 L’obiettivo che ci si propone in questo lavoro è di estendere l’indagine, verificando l’esistenza di eventuali ulteriori documenti figurativi, e conseguentemente capire se davvero la traduzione del poema in immagini sia stata così paradossalmente esigua rispetto al suo successo letterario.12 In seconda battuta, si rintraccererà la presenza di modelli grafici per verificare se effettivamente il poema giunga alla parete dipinta attraverso la pagina illustrata, o, più in generale, se esistano e quali siano i modelli alla base dei cicli pittorici. Infine, nell’ottica di restituire i singoli casi esaminati al loro contesto, si cercherà di rendere conto delle intenzioni della committenza e quindi dei meccanismi di ricezione del poema sottesi alla sua trasposizione in figura. Tradurre in immagine una materia ricca, complessa, persino debordante come quella ariostesca significa necessariamente operare una selezione: si cercherà quindi di individuare il punto di vista dell’artista e del committente per comprendere quali fossero gli episodi considerati più interessanti e per quali ragioni. Ci si interrogherà su quali fossero le direzioni interpretative privilegiate (allegoriche, morali, celebrative, dinastiche o politiche), come si sia raccolta questa sfida (con fregi o episodi isolati, medaglioni o affreschi a tutta parete) e dove (saloni di rappresentanza o stanze private, facciate prospicienti la pubblica piazza o torri isolate nella campagna). E ancora, ci si domanderà come la fortuna trasversale dei versi ariosteschi, amati dalle élites più colte e da un pubblico popolare, si rifletta nelle opere d’arte. Restano poche tracce tangibili della ricezione del pubblico più vasto e meno colto, se non negli aneddoti dei contemporanei che la descrissero; tuttavia, le opere commissionate da corti raffinate, nobili di campagna, famiglie recentemente affermatesi in contesti municipali, e stranieri desiderosi di imitare l’arte italiana offrono un panorama ampio e variegato, all’interno del quale sarà possibile osservare un Orlando furioso declinato via via con accenti diversi. 10. «Nell’ambito degli studi relativi alla diffusione dell’Orlando furioso nella cultura decorativa coeva sono state finora condotte solo indagini parziali e raggiunti risultati frammentari» dai quali sembra tuttavia emergere che «l’enorme popolarità del Furioso cui appartiene un ruolo centrale nella storia della cultura, della lingua, nonché dell’editoria italiana non trovi corrispondenze adeguate nell’ambito delle esperienze pittoriche», Ajmar, Scene dall’Orlando furioso cit. nota 8, p. 42. 11. «La fortuna visiva del poema è stata essenzialmente mutuata dalle edizioni illustrate del Furioso, esprimendosi solo in seconda istanza in contesti pittorici», Ibidem. 12. Qualche anticipazione su questo tema è stata presentata in F. Caneparo, Tra palazzi e ville, torri e grotte: cicli pittorici cinquecenteschi, in L’Orlando furioso nello specchio delle immagini, a cura di L. Bolzoni, Roma 2014, pp. 345-394, con riferimento a una decina di cicli pittorici. 12


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La maggiore difficoltà di questa indagine è stata l’impossibilità di individuare e applicare una metodologia univoca e rigorosamente definita nel reperire i cicli pittorici, un problema dovuto sia alla varietà e vastità del territorio preso in esame, sia alla natura stessa degli affreschi, che per la maggior parte si trovano all’interno di ville e palazzi privati, e che spesso non sono censiti o riconosciuti come ariosteschi. Si è scelto dunque di ricorrere a strumenti diversi e complementari, impiegando allo stesso tempo l’analisi letteraria, storica, storico-artistica, genealogica e geografica, nonché l’umano principio per cui due committenti vicini non necessariamente, ma verosimilmente, si influenzano a vicenda, elementare assioma che governa la diffusione dei gusti e delle mode, inclusi il gusto per la lettura dell’Orlando furioso e la moda di farlo rappresentare nella propria dimora. La ricerca di nuovi cicli pittorici è risultata decisamente fruttuosa: ai quindici già noti alla critica ariostesca, essenzialmente grazie allo studio di Marta Ajmar e alle indagini di ambito fiorentino, se ne possono aggiungere ora altri venticinque. Del più precoce, opera di Jacopo Bassano (1510 circa – 1592), resta traccia purtroppo solo a livello documentario; dodici erano noti o parzialmente noti a livello locale ma non inseriti nel più ampio contesto degli studi ariosteschi (a Talamona, Bergamo, Bagnolo di Lonigo, Mel, Cologno Monzese, San Giovanni in Persiceto, Modena, Pegli, due a Genova e uno a El Viso, in Spagna); altri cinque, in ultimo, non erano stati finora riconosciuti: uno individuato a Sondrio nel corso di questa indagine e reso noto nel contesto del Progetto di ricerca di interesse nazionale ariostesco coordinato da Lina Bolzoni,13 tre inediti (a Feltre, Spoleto e Palestrina), e uno, a Como, rapidamente menzionato da Giovanni Agosti in un appunto in calce al recente catalogo sull’arte del Rinascimento ticinese14 e qui mostrato e analizzato estesamente per la prima volta. A questi «nuovi» cicli se ne affiancano poi altri tre – a Verona,15 Mantova,16 e Roma 17 – ognuno oggetto di indagini monografiche non ariostesche e dunque non inseriti finora in uno studio complessivo sull’argomento; a questi si aggiungono i casi particolari della perduta Melissa di Sassuolo, della quale resta un disegno preparatorio finora non riconosciuto come tale, del Palazzo Bentivoglio a Gualtieri (dove le storie ariostesche sono andate perdute mentre sopravvivono quelle tassiane), del medaglione con Angelica e Medoro di Palazzo Leopardi a Recanati, e di Castel Noarna in provincia di Trento, dei quali si è 13. F. Caneparo, Ariosto valtellinese. Entrelacement fra palazzi, ville e castelli, in «Tra mille carte vive ancora». Ricezione del Furioso tra immagini e parole, a cura di L. Bolzoni, S. Pezzini e G. Rizzarelli, Lucca 2011, pp. 395-422. 14. G. Agosti, Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, catalogo della mostra (Rancate, 10 ottobre 2010 – 9 gennaio 2011), a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi, Milano 2010, p. 249. Ringrazio Giovanni Agosti per la preziosa segnalazione. 15. A. Zamperini, Per «commodo» e per gloria, in Nel palagio: affreschi del Cinquecento nei palazzi urbani, a cura di F. Monicelli, Verona 2005, pp. 112-207. 16. U. Bazzotti, Storie di Alcina nella grotta di Palazzo Te, in Gedenkschrift für Richard Harprath, a cura di W. Liebenwein, München 1998, pp. 25-32. 17. F. Gatta e G. Serafinelli, Attorno all’ identificazione del casino di Giovanni Lanfranco con l’attuale Casale Consorti: scoperte e documenti, in «Bollettino d’arte», s. 6, xcii, 2007, pp. 137-148. 13


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avuta notizia solo nella fase di chiusura di questo libro e a cui si farà dunque solo breve cenno, rimandando a successivi approfondimenti. Ogni ciclo verrà analizzato in primo luogo singolarmente, per capire quale ruolo abbiano ricoperto il poema e la sua trasposizione in immagini per i committenti, se e come gli affreschi rispecchiassero ambizioni politiche o vicende familiari; in secondo luogo si considereranno i vari documenti figurativi nel contesto della loro produzione: osservare i numerosi cicli pittorici uno accanto all’altro, come maglie di una stessa rete, per capire quali relazioni intercorrano fra loro, costituisce infatti un passo fondamentale nella comprensione dei cicli stessi e del più ampio fenomeno della ricezione del poema e del suo significato per i contemporanei. I quaranta cicli pittorici individuati saranno esaminati nel corso di cinque capitoli e nell’appendice secondo un ordine cronologico e, dove possibile, geografico; parallelamente, si terrà conto del vivace dibattito letterario di cui il Furioso fu protagonista, dapprima nel processo della sua canonizzazione, e in seguito nel confronto obbligato con la Gerusalemme liberata. Si osserverà così come l’analisi della fortuna figurativa del poema, attraverso i vari stadi della sua evoluzione, offra solidi elementi e nuove chiavi di lettura utili alla comprensione del fenomeno, sia sul piano storico-artistico, sia su quello letterario. Si assisterà a una partenza in sordina delle prime committenze in area estense e in area veneta, luoghi di gestazione e nascita del poema e della sua diffusione a stampa, per osservare, dopo il 1542, una vera esplosione del gusto per gli affreschi ariosteschi, strettamente legata all’ampio successo delle edizioni giolitine, le cui illustrazioni offrirono spunti e modelli agli artisti. Contemporaneamente, ferveva tra i letterati il dibattito sulla liceità della scelte letterarie dell’Ariosto: i precetti espressi da Aristotele nella Poetica, da poco riscoperta grazie alla traduzione latina di Alessandro dei Pazzi, vennero combinati con quelli oraziani, e rapidamente divennero la pietra di paragone per ogni testo letterario in generale, e per il Furioso in particolare. Pubblicata intorno al 1536, la traduzione di Alessandro dei Pazzi non fu la prima, ma fu certamente quella che incontrò maggiore successo e che di fatto determinò l’avvio di una querelle destinata a infiammare e dividere il pubblico dei letterati, protraendosi per decenni e assumendo via via forme diverse, a loro volta riflesse in ambito artistico. Nel frattempo infatti, alcuni lettori, divenuti committenti, resero il Furioso protagonista di una svolta straordinaria: per la prima volta un testo moderno influenzò largamente le arti, eguagliando i classici dell’antichità. Dopo che il Furioso ebbe acquisito il proprio ruolo nell’olimpo letterario, artisti e committenti trassero ispirazione dalle opere contemporanee con maggiore libertà, iniziando a guardare anche all’Orlando innamorato, la cui traduzione in affreschi, va precisato, è attestata solo a partire dal pieno Cinquecento, sulla scia di quella del Furioso.

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introduzione

Nell’ultimo quarto del secolo, mentre andava esaurendosi la questione aristotelica intorno all’Orlando furioso, il poema fu oggetto di approcci più vari, meno legati alle chiavi interpretative fornite dai commentatori e dagli illustratori: gli esiti figurativi si fecero più liberi e le invenzioni degli artisti offrirono risposte più articolate alle esigenze dei committenti, fino ad arrivare, nel Seicento, a uno stadio ulteriore, nel quale l’opera di Ariosto si trovò a convivere con quella di Tasso, con importanti conseguenze sul piano letterario e figurativo. L’interesse per gli affreschi ariosteschi si rinnovò infatti in un’altra stagione che privilegiò il confronto visivo tra Orlando furioso e Gerusalemme liberata e che incluse più tardi, seppure in misura decisamente minore, anche il Pastor Fido. Questa nuova fase fu il risultato da un lato dell’accesa querelle letteraria sulla supremazia del Furioso o della Liberata, e, dall’altro, della disinvoltura maturata da artisti e committenti nel considerare i testi contemporanei come fonti da esplorare in campo visivo, alla pari dei grandi poemi antichità. Nel corso del Seicento, il poema tassiano finì per prevalere e si rese protagonista di una straordinaria fortuna figurativa, che tuttavia sarebbe stata impensabile senza il precedente ariostesco. Gli affreschi si rivelano dunque una chiave di lettura nuova ed efficace per osservare gli esiti del percorso critico dell’Orlando furioso e per comprendere meglio l’impatto che il poema ebbe sui suoi contemporanei, per i quali rappresentò un vero e proprio fenomeno culturale. Il Furioso fu infatti il primo libro capace di catalizzare l’attenzione e l’entusiasmo dei lettori più colti e raffinati e al contempo di un pubblico ampio e popolare, che lo lesse, lo rilesse, e lo ascoltò declamare nelle piazze fino a impararne a memoria lunghi brani. Questo viaggio in compagnia dei cavalieri ariosteschi offre per la prima volta una mappatura dove affreschi inediti o quasi sconosciuti vengono finalmente affiancati a documenti visivi già studiati ma sui quali c’è ancora da dire, e dove si delinea il contesto nel quale questi cicli pittorici furono pensati ed elaborati. La speranza è di contribuire così alla comprensione di una fortuna figurativa rivelatasi molto più consistente di quanto si ritenesse finora, relativa a un poema che ha modificato il corso della letteratura, dell’editoria e della storia del pensiero.

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39,00 €

l’orlando furioso

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nei cicli pittorici tra cinque e seicento

Federica Caneparo si è perfezionata in letteratura italiana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (2012), indagando la fortuna figurativa dell’Orlando furioso. Si è poi specializzata in storia dell’arte moderna presso l’Università di Pisa, studiando la committenza farnesiana tra la fine del Cinquecento e il Seicento. Attualmente all’Università di Princeton, si occupa di temi letterari nell’arte del Rinascimento. Ha pubblicato articoli e saggi su edizioni illustrate cinquecentesche e su cicli affrescati ispirati a fonti letterarie antiche e moderne.

federica caneparo

Letto, amato e imparato a memoria da un pubblico vasto e variegato, il capolavoro dell’Ariosto ha influenzato ampiamente le arti figurative, come attestano edizioni illustrate, dipinti, sculture, maioliche e vari oggetti d’arte applicata. Un settore in particolare, però, riserva ancora molte sorprese: gli affreschi ispirati al poema, che sembravano poco numerosi e sono stati poco indagati. Ma è davvero possibile che il best-seller del secolo abbia lasciato così scarsa traccia di sé nelle dimore nobiliari italiane? Questo libro dimostra il contrario. Prendendo le mosse dalle terre estensi, luogo di nascita e di prima diffusione del poema, l’autrice percorre la penisola analizzando affreschi noti e meno noti, in particolare nell’arco alpino, dove la persistenza del gotico cortese apre la via a un’entusiastica ricezione delle storie cavalleresche, adattate alla nuova sensibilità rinascimentale. Spesso ispirati alle xilografie delle edizioni di maggiore successo, i vari cicli pittorici presentano una qualità artistica discontinua, dimostrando così la popolarità delle storie ariostesche, scelte non solo dalle raffinate corti di Parma, Mantova o Firenze, ma anche dalla piccola nobiltà di campagna. Mentre ferve tra i letterati il dibattito critico sullo statuto dell’Orlando furioso, il pubblico ha già decretato il proprio verdetto: il Furioso è destinato a diventare un classico. Alcuni lettori, divenuti committenti, affermano il proprio appassionato parere scegliendo di fare rappresentare storie ariostesche nelle proprie dimore in anni precoci. Le avventure di Ruggiero, Bradamante, Angelica, Orlando o Astolfo non solo evocano il mondo fantastico dell’Ariosto, garantendo all’osservatore un momento di diletto e di evasione, ma vengono spesso reinterpretate alla luce di esigenze specifiche, e ogni personaggio viene chiamato di volta in volta ad incarnare i valori dei committenti, le loro aspirazioni sociali, il loro bisogno di affermazione dinastica e politica.

federica caneparo

«di molte figure adornato» L’orlando Furioso nei cicli pittorici tra cinque e seicento


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