Nuova Messapia

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Editoriale

La Grecìa Salentina un marchio, un ente, una chimera… Che cosa veramente si cela dietro questo nome che ai più rievoca calde notti d’estate passate al suono incessante del tamburello? Leggendo lo statuto, per chi ne ha voglia, si possono scoprire alcuni lati nascosti, ma non meno interessanti e importanti per la vita economica, sociale e civile di tutti i cittadini della Grecìa Salentina. Dalla ricerca di chiarimento su alcuni punti dello Statuto dell’Unione si sviluppa l’inchiesta “Grecìa Salentina. Quell’oscuro oggetto del desiderio” a cura di Alfredo Melissano. Come nel precedente numero si è voluto dare voce, ed informazione, sull’acceso dibattito sviluppatosi intorno al progetto di realizzazione di nuove centrali a biomasse nel Salento. Anche la Grecìa Salentina, ed esattamente Calimera, non sembrano immuni da questa febbre energetica. Accanto alla realtà locale si è voluto affiancare il parere autorevole di un tecnico quale il dott. Paolo Carnemolla, presidente nazionale di FederBio (Federazione Nazionale dei produttori biologici e biodinamici) incontrato in veste di relatore durante la conferenza promossa dalla Regione Puglia sulle nuove tecnologie energetiche svolta nell’ambito della 72° Fiera del Levante. Articolo importante, con argomenti sicuramente da approfondire, è quello proposto dal prof. Maurizio Pallante, presidente nazionale del Movimento per la Decrescita Felice. Invitato da Nuova Messapia già a luglio di quest’anno in occasione della due giorni promossa dalla Consulta Infanzia, Adolescenza, Sport e Cultura del CSVSalento, durante la quale ha tenuto una stimolante conferenza sulla Decrescita Felice e le sue applicazioni nel mondo delle Organizzazioni di Volontariato. Il prof. Pallante nel suo articolo ci spiega cosa si intende per ‘Decrescita’, perché deve essere ‘Felice’ e immediatamente praticata da ciascuno di noi. Sul fronte della ricerca storica presentiamo due interessanti scoperte: quella di G.V. Filieri sulla possibile origine del nome della porta ‘Filia’ di Sternatia e quella di Francesco Manni in cui ci informa sulla possibile ubicazione della ‘Specchia Murica’ nel feudo di Corigliano d’Otranto. Nota a parte merita la notizia legata alla lingua grika. Riportiamo con immenso piacere un riconoscimento ufficiale storico da parte della Curia di Otranto di una bella poesia/preghiera dedicata alla Madonna, scritta in lingua grika dal prof. Salvatore Tommasi che, con l’approvazione della Curia, può essere recitata dai fedeli durante i riti liturgici. I soci e la redazione tutta dedicano questo numero di Nuova Messapia a due amici che da poco non sono più con noi, sperando che anche con questo piccolo gesto il loro ricordo ci sia sempre più come guida ed incoraggiamento. Ciao Luigi, ciao Alessandro. La redazione

Periodico iscritto al Tribunale di Lecce al n° 867 del registro della stampa dal 27 sett. 2004. Ottobre - Dicembre 2008. Amministrazione Francesco Manni, Alfredo Melissano Direttore responsabile Gino L. Di Mitri Comitato di redazione Alfredo Melissano, Demis Russo, Francesco Manni, Francesco Giannachi, Giorgio V. Filieri, Orlando D’Urso, Sandra Abbate, Silvano Palamà, Vito Luceri Hanno collaborato Angelo Mingiano, Cosimo Mangione, Emanuela Mangione, Marco Maraca, Maurizio Pallante Si ringraziano Alessandro Spiliotopulos, Antonio Dragone, Gianni Palma, Paolo Carnemolla, Salvatore Rossetti, Salvatore Tommasi, Simone Russo Si ringraziano le associazioni Altracalimera.org (Calimera), Carpiniana eis ten polin (Carpignano), Cicloamici (Mesagne), Ghetonia (Calimera), Grecia-GR (Ass.Italo-Ellenica) (Martano), Kaliglossa (Calimera), Salento Griko (Martignano) Pubblicazione patrocinata da:

Indice

Grecìa Salentina. Quell’oscuro oggetto del desiderio di Alfredo Melissano

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di Maurizio Pallante

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di Alfredo Melissano

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di Angelo Miggiano

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di Giorgio V.zo Filieri

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di Francesco Manni

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di Silvano Palamà

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di Silvano Palamà

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di Alfredo Melissano

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di Emanuela Mangione

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di Cosimo Mangione

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La decrescita paradigma culturale per un Rinascimento possibile Biomasse ed energia - Intervista al dott. Paolo Carnemolla Calimera biomasse autoritarie I Porta tu ’F’ Ilìa

La “Specchia Murica” e il megalitismo nella Grecìa salentina Le pietre forate dalla Grecìa al Giappone

Redazione ed amministrazione Ass. Socio-culturale “Nuova Messapia - ONLUS” c/o palazzo Le Castelle, via R. Elena, 12 73010 Soleto (LE) Tel. 333.84.51.218 / 340.68.67.745 (iscr.n°1692 reg. ass. Lecce) E-mail: info@nuovamessapia.it nuovamessapia@virgilio.it Sito: www.nuovamessapia.it Impaginazione e Grafica Alfredo Melissano, Francesco Manni Stampa Grafiche Panico - Galatina (LE) La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. La redazione si riserva di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo e qualsiasi inserzione.

Aja Mana

Lingua Grika: ciak si parla! Eco-turismo - Il futuro della tradizione Il velo e lo sguardo. Per Carmine Zizzari

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Quell’oscuro ogge o del desiderio

Grecìa Salentina

di Alfredo Melissano L’Ente ‘Grecìa Salentina’ prende forma nella prima metà degli anni ’90 partendo, dapprima come associazione di comuni, poi trasformatasi in consorzio, sino alla forma politico-amministrativa attuale di Unione di Comuni. Non avendo ben chiaro, sia come addetti ai lavori, che come cittadini dell’Unione la sua organizzazione e le sue modalità di amministrazione ci siamo rivolti direttamente al presidente dell’Unione prof. Luigino Sergio e a vari amministratori della Grecìa. Tra quelli contattati, l’unico a dimostrarsi disponibile a chiarirci le idee di questo oscuro Ente è stato l’assessore Gianni Palma del Comune di Calimera.

a disposizione una sede moderna, ampia, ben strutturata con tutte le infrastrutture necessarie. Il non avere una struttura che accorpi sede dell’Unione e uffici, ricade in maniera negativa sull’organizzazione stessa dell’Unione. Mentre l’Unione si riunisce da un punto di vista politico e amministrativo, come Consiglio e come organo di Giunta a Calimera, nel contempo utilizza l’ufficio tecnico del Comune di Calimera per realizzare i progetti dell’Unione valutati e approvati da organi politici superiori, gli uffici del Comune di Sterantia per la segreteria, il

L’ENTE E LE SUE SEDI

Dove ha sede e come è organizzata l’amministrazione dell’Unione dei comuni?

L’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina, da questo punto di vista, è un’architettura realizzata solo a metà. Difatti all’interno dell’Unione si è subito stabilito che la sede dovesse essere ubicata a Calimera. Alla luce di questa prospettiva l’allora Amministrazione di Martano si mostrava titubante se aderire, o meno, all’interno dell’Unione. Questa momento di incertezza, alla fine dei conti, è stato superato, e, a tutt’oggi, Martano partecipa, per quanto riguarda il lavoro amministrativo o d’intervento, come tutti quanti gli altri Comuni. Circa l’organizzazione amministrativa dell’ente siamo molto lontani da un’organizzazione che possa ritenersi congrua e “efficiente”. L’Unione è nata con gli uffici presso il comune di Sternatia, avendo avuto l’allora sindaco di Sternatia come primo presidente dell’Unione, quindi gli uffici (segreteria e protocollo - ndr) sono rimasti a Sternatia. Il processo di accentramento di sede ed uffici non si è a tutt’oggi ancora avviato. Dovrebbe realizzarsi, ma è pura teoria e non siamo ancora nella fase attuativa. Il Comune di Calimera sta sollecitando affinché ciò possa avvenire, ha messo

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Grecìa Salentina

(Foto: Melissano)

Comune di Melpignano per l’ufficio ragioneria e il Comune di Soleto come ufficio tecnico urbanistico. Questo decentramento di uffici non mira, di certo, al buon funzionamento dell’Ente. Da parte dell’Unione c’è una presa d’atto di questa anomalia?

Non c’è una presa d’atto. L’Unione fa fatica a muoversi in modo lineare, perché ogni decisione deve essere discussa tra gli 11 rappresentanti dei Comuni aderenti. Essendo tanti amministratori all’interno dell’Unione, come si può intuire, non è facile arrivare ad una soluzione unitaria. Anzi, fino ad ora, è stata una coincidenza

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che un accordo, o una decisione, sia quasi sempre passata all’unanimità. Questo è possibile grazie all’accantonamento di ogni matrice ideologica dei singoli amministratori, assieme a controversie, scontri e quant’altro. Fermo restando che si deve ancora intraprendere una strada concreta di unificazione amministrativa. LE CARICHE

Come vengono formate le cariche di presidente e dei consiglieri nella Grecìa salentina?

Non è facile rispondere a questa domanda, perché in realtà la carica di presidente della Grecìa Salentina è una carica che viene determinata da un equilibrio interno che dovrebbe poi condurre ad una gestione accettata, o armonicamente condivisa un po’ da tutti. All’inizio era comune l’idea di creare una certa rotazione, poiché, da statuto, la carica sarebbe durata per solo un anno. In realtà noi, in seno all’Unione, non abbiamo mai partecipato al rinnovo di carica e si è operato ignorando totalmente lo statuto. Ciò significa che l’attuale presidente, dopo il primo anno, ha fatto un secondo anno senza che nessun organo avesse mai deliberato il rinnovo, o il perdurare della sua carica. Quindi, questo sta a indicare che l’applicazione sistematica dello statuto è stata disattesa. Lo statuto e le sue disposizioni vengono, di tanto in tanto, evocati, ma in realtà si va avanti indipendentemente dagli obiettivi e dalle prerogative che lo statuto indica.

I consigli di giunta vengono convocati con una cadenza regolare?

Le giunte, con l’insediamento del presidente Luigino Sergio, e durante il primo anno di presidenza, si susseguivano con una certa cadenza e regolarità, la giunta si riuniva quasi ogni settimana. Questo è stato il periodo dove la giunta ha prodotto il maggior numero di progetti, dai quali si è avuto, a tutt’oggi, il maggior numero di ritorni e benefici.


zato azioni utili, in quel momento eravamo, forse casualmente, efficienti. Oggi non lo siamo più.

Calimera - municipio

(Foto Maraca)

Ma da circa un anno, nel momento in cui il presidente ha avuto prima dei problemi di salute e poi ha assunto ulteriori impegni amministrativi, la giunta ora mai si riunisce molto di rado, soltanto una volta ogni due mesi. Si è passati dalla regolarità di due, tre giunte al mese ad avere anche una riunione di giunta in due mesi. L’AZIONE AMMINISTRATIVA

Lo statuto fa riferimento ai parametri qualitativi di efficienza ed efficacia della gestione e amministrazione dell’Unione, e si indica anche un organo di controllo per la corretta applicazione di tali parametri. L’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina applica questo modus operandi correttamente?

Diciamo che i parametri relativi all’efficienza e all’efficacia previsti da Statuto e lo stesso Organo di Controllo dell’attività dell’Unione ancora non esistono. Quindi sono pura teoria. Questi parametri sono esplicitamente richiesti dalla legge sulle Unioni dei Comuni …

Sì, nonostante la legge faccia riferimento a parametri di efficienza e efficacia circa gli enti pubblici e prevede degli organi di controllo non è detto che vengano realmente istituiti e resi operativi. Noi siamo stati efficienti come giunta finché abbiamo lavorato e individuato alcuni percorsi e su quei percorsi abbiamo progettato e realiz-

Sempre rimanendo sul buon funzionamento dell’attività amministrativa dell’Unione dei Comuni della Grecìa salentina, e semplificando un po’ la questione: il sindaco e la sua giunta hanno come diretti referenti i cittadini del Comune, per l’Unione dei Comune qual è il rapporto tra amministratori e elettorato?

Non c’è un’elezione diretta dell’organo di giunta e del presidente nell’Unione. Funziona come per il nostro parlamento. Gli amministratori dell’Unione della Grecìa Salentina sono i rappresentanti politici votati nei rispettivi comuni attraverso le elezioni comunali, che si prestano a rappresentare i singoli comuni in seno all’Unione dimostrando, almeno finora, intenzioni positive verso gli obiettivi perseguiti da questo ente. Nello statuto dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina tra gli obiettivi vi è la riduzione delle spese dei singoli Comuni, accorpando singoli servizi comunali in servizi gestiti e erogati dall’Unione dei Comuni quali: la polizia municipale, il servizio biblioteche, servizi di raccolta dei rifiuti e così via … Si è mai perseguito questo obiettivo in seno all’Unione?

No! Non si è mai arrivati, per difficoltà di diversa natura, ad accorpare nell’ambito dell’Unione i diversi servizi offerti dai Comuni. Le proposte ci sono state. Due anni fa quando sono stato nominato assessore alla Grecìa Salentina nel Comune di Calimera, sulla spinta di un certo entusiasmo che mi trovavo, ho formulato una lista di richieste per la messa in comune di alcuni servizi, selezionandone quelli facili da unificare, e che in qualche modo potessero essere accolti con favore dagli amministratori dell’intera Unione. Cominciando dall’unificare servizi semplici, sarebbe stato un buon banco di prova, prima di arrivare ad

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utilizzi più complessi. Servizi progettati, ma mai posti in opera. Uno dei primi progetti su cui si è arenato questo percorso fu proprio quello di unificare le polizie municipali dei comuni della Grecìa. Progetto bloccato per evidenti e forti contrasti di interessi di Comuni più grandi che avrebbero dovuto cedere parte del personale ai Comuni più piccoli che ne avrebbero beneficiato per il loro organico. Da questo segnale è sembrato subito evidente una miopia amministrativa per certe questioni. E per tanto non sembra cosa facile rispettare gli obiettivi predisposti dal Testo Unico che ha come scopo la razionalizzazione e l’ottimizzazione della gestione amministrativa tramite le Unioni di Comuni.

E pure nello statuto sono elencati in maniera chiara un lungo elenco di servizi da unificare: difesa civica, ufficio controlli interni, ufficio per la gestione del contenzioso del lavoro, ufficio per invalidi civili, polizia locale, servizi catastali, protezione civile …

Non si è realizzato nulla. Anche questo è rimasto pura teoria, e non sembra esserci la benchè minima intenzione neppure a parlarne.

Luigino Sergio

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(Foto Melissano)


L’Unione dei Comuni ha centrato i suoi obiettivi?

L’obiettivo del Testo Unico è creare delle entità intermedie tra comuni e province, alfine di ottimizzare i servizi offerti al cittadino e ridurre sensibilmente l’impiego di denaro pubblico dei singoli comuni per gli stessi servizi. A dire di molti, e a dimostrazione dei fatti, proprio questo obiettivo politico-amministrativo è stato disatteso dall’Ente Grecìa Salentina che ha concentrato i suoi sforzi solo sulla realizzazione di singoli progetti scollegati, alcuni di dubbia utilità, su finanziamenti della Comunità Europea e del Governo Italiano. L’UNIONE E LA LINGUA GRIKA

Leggendo lo statuto dell’Unione dei comuni della Grecìa Salentina non si può fare a meno di notare che la peculiarità su cui si fonda l’esistenza stessa dell’Unione, ovvero la lingua grika, non viene per nulla menzionata, e viene del tutto tralasciato ogni riferimento sulla tutela, la valorizzazione, e la promozione del patrimonio linguistico. Come si spiega ciò?

Questo, dal mio punto di vista, è un argomento dolente. Io considero l’Unione della Grecìa Salentina un organo amministrativo che opera e persegue determinati obiettivi e benefìci, che, poi, hanno ricaduta sui singoli comuni. Questo, però, è uno scopo strettamente politico-amministrativo e, in subordine, economico. In realtà, io considero la Grecìa Salentina anche come entità fisica e demografica, ovvero un’entità pulsante costituita da 9 comunità, che giungono a 11 comunità se vogliamo includere anche Carpignano Salentino e Cutrofiano. Purtroppo, a onor del vero, i comuni di Carpignano e Cutrofiano hanno sì una lontana origine ellenofona, ma di certo questi comuni da lunghissimo tempo hanno perso la loro peculiarità linguistica. È innegabile che oramai la totalità dei cittadini della Grecìa parla correntemente la lingua italiana, ma vi è anche una co-esistenza, per alcune fasce della popolazione, con la parlata grika. Ebbene io identifico

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Notte della Taranta 2008

come ‘Grecìa Salentina’ questa area geografica dove la caratteristica linguistica, o bi-linguistica, è ancora oggi udibile e evidente. La Grecìa Salentina è distinguibile e identificabile, rispetto al resto del territorio salentino, anche per caratteristiche storiche, culturali e delle tradizioni. Questa, a mio parere, è la Grecìa Salentina. L’Unione dei Comuni, ahimè, sembra che abbia poco a cuore questi aspetti dell’entità grika e di ciò me ne rammarico. Con mio enorme stupore mi sono ritrovato assolutamente solo, sia nel consesso di giunta che nei rapporti continui di natura esecutiva e amministrativa con altri sindaci e assessori dell’Unione. Questo aspetto è del tutto ignorato.

Unire comuni così diversi, circa l’uso e il disuso della lingua Grika, nell’Unione dei Comuni e legarli ad un obiettivo di ripristino della stessa lingua, non può essere scambiata da alcuni amministratori e cittadini come vaga corrente a carattere autonomista?

No! Assolutamente no. Su questo siamo lontani da una prospettiva del genere. Al contrario, (sul punto di vista culturale n.d.r.), noi corriamo il rischio di perdere completamente quel minimo di matrice culturale, che fino ad oggi ci ha caratterizzati, e che ha fatto sì che almeno il nome Grecìa Salentina fosse quello. Nel momento in cui dovessero passare un po’ di decenni e ci ritrovassimo con le persone che riescono a parlare e a ricordare la lingua grika, divenute come delle mosche bianche, allora sarà veramente

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(Foto Maraca)

un peccato. In quel momento non ci sarà più nulla di ciò che caratterizza oggi la Grecìa Salentina, e saremo passibili come una delle tante Unioni di comuni del Salento. In questa prospettiva ad esempio Calimera potrebbe dire, sì, il mio nome è di origine greca … … diventa pura letteratura …

… sì, diviene storia ,e basta. Quindi non c’è più quel fenomeno straordinario come quello che ci caratterizza oggi: il fatto di poter essere nel terzo millennio a contatto con una realtà di comunicazione globale, in contesto europeo, e nel contempo noi parliamo ancora una lingua che assomiglia tantissimo al greco. La cosa straordinaria è vedere la lingua grika come un ponte ideale, linguistico e di cultura, tra noi, la Grecia e il resto del Mediterraneo. LE RISORSE ECONOMICHE

Come vengono finanziati i singoli progetti dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina?

Qui bisogna fare una precisazione. La Grecìa Salentina non è un ente dotato di una propria capacità impositiva e quindi di una redditualità. I trasferimenti che lo Stato concede alla Grecìa Salentina sono sempre minori e, ad oggi, possiamo dire pressoché inesistenti. Le uniche risorse che in qualche modo arrivano in maniera istituzionale alla Grecìa Salentina sono quelle legate alla legge 482 del ‘99, la legge sulla tutela delle minoranze linguistiche. Il resto delle risorse finanziarie che arrivano, sono vincolate


RAPPORTI CON LE ASSOCIAZIONI

Il rapporto dell’Unione con le associazioni, in quanto parte attiva e operante sul territorio, ha qualche forma di incontro?

Grecìa Salentina: Stanza della memoria

ai singoli interventi. Quindi se la Grecìa Salentina si è aggiudicata la misura di Intereg II, o III, o P.O.R., riceve somme solo per quello specifico progetto presentato. Non esistendo una contribuzione diretta, o un’esazione, non si può disporre di cassa a cui fare riferimento. E questo è un problema. La cassa della Grecìa Salentina dovrebbe essere costituita dalle quote versate dai singoli Comuni dell’Unione, ma queste quote sono molto limitate, come entità. I Comuni, finora, hanno stanziato a testa 5.000 € l’anno. Ora, per far fronte all’assunzione di alcuni mutui da parte della Grecìa per la costruzione di piste ciclabili, si sta arrivando ad ottenere, sempre in relazione a dei finanziamenti, una quota maggiore di intervento da parte dei Comuni, e si passerà dagli attuali 5.000 € ai 7.000 €. Di fatto questa forma di autofinanziamento non raggiunge nessun risultato poiché tutti i Comuni sono in arretrato con le loro quote. La penuria di risorse proprie per l’Unione è un problema mai risolto e finché sarà così la Grecìa Salentina sarà come una auto dalla bella carrozzeria ma senza carburante. La mancanza di volontà delle singole Amministrazioni di dotare l’Unione dei Comuni di risorse proprie, e l’assenza di un’organizzazione interna alla stessa Grecìa in grado di recuperare queste somme in maniera puntuale, fanno sì che la Grecìa Salentina non sarà mai in grado di operare serenamente con mezzi propri. Contributi da utilizzare al fine di sviluppare attività tramite servizi che ritornino in modo distributivo anche ai tutti i Comuni e ai singoli cittadini. Questo è un problema prettamente ‘politico’. ‘Politico’ perché l’organo di presidenza fino a questo momento non è stato in grado di affrontare e di risol-

(Foto Melissano)

vere e concretizzare nulla, a parte qualche timido tentativo fatto in passato.

L’Unione attraverso il finanziamento di singoli progetti riesce a mettere in moto le economie dei singoli Comuni dell’area dell’Unione. L’esempio che salta agli occhi è il successo riscontrato con il Festival della ‘Notte della Taranta’ e i ‘Canti di Passione’. Questi eventi mettono in moto l’economia locale facendo beneficiare con dei ritorni economici anche le casse dei singoli Comuni. Questo non è sufficiente a convincere e incoraggiare le amministrazioni comunali per sostenere maggiormente l’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina?

I benefici è innegabile che ci sono. Non siamo capaci di stabilire l’entità e la tipologia del ritorno e soprattutto chi ne usufruisce. L’Unione ha avuto questo successo di immagine, che produce ricadute economiche non indirizzate all’intera collettività, ma solo su pochi operatori e addetti ai lavori in eventi limitati nel tempo. Di certo c’è stato, e c’è, un grosso ritorno di immagine e di folklore che, questo sì, coinvolge tutti i cittadini della Grecìa, basti pensare alla kermesse “La Notte della Taranta”. L’Unione, nonostante tutti i suoi problemi, all’esterno appare molto attiva, molto capace, e fortemente caratterizzata. Forse, proprio per la sua caratterizzazione è ammirata e invidiata. Ma se fosse anche strutturata e organizzata meglio dal punto di vista amministrativo, sviluppando una migliore capacità progettuale e di gestione degli eventi pensiamo un po’ a cosa si potrebbe ambire.

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Sarebbe auspicabile questo, ma finora non si è visto nulla. L’Unione della Grecìa Salentina opera prevalentemente come organo di Giunta, poiché il Consiglio si riunisce pochissimo (una o due volte l’anno), ed ha uno scarso impatto operativo. Il Consiglio è un organo politico quasi per necessità. Si riunisce solo quando bisogna approvare degli atti previsti dalla legge, infatti il Consiglio non ha mai assunto una funzione specifica, e si può dire che l’Unione dei Comuni operi al 99% solo come giunta. La giunta fino ad oggi ha tenuto conto poco delle varie espressioni sociali della comunità e tra questa scarsa attenzione ricadono tutte le associazioni. Nonostante tante associazioni organizzate si pongano e sollecitino nei riguardi dell’Unione chiedendo un maggiore confronto, finora non hanno avuto la benché minima attenzione. La giunta dell’Unione ha agito in modo del tutto autoreferenziale. Eppure nello Statuto si fa riferimento all’ascolto e alla collaborazione con la società civile rappresentata anche dalle associazioni. Evidentemente anche su questo punto lo Statuto è stato disatteso.

Il confronto con le associazioni sembrerebbe importante proprio nell’ottimizzazione e trasparenza delle scelte progettuali della Grecìa.

Questo confronto sarebbe auspicabile da parte dell’ente ed ideale per la buona e corretta gestione dell’Unione. Un azione sinergica tra le associazioni, che operano costantemente con il territorio a diretto contatto con i cittadini, potrebbe indubbiamente aiutare e stimolare l’azione amministrativa per meglio esprimersi sulle scelte da assumere e che vedono come ultimo referente i cittadino stesso.

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La decrescita

Paradigma culturale per un Rinascimento possibile

di Maurizio Pallante Maurizio Pallante, saggista ed esperto di efficienza energetica, è stato nel 1988 tra i fondatori assieme Tullio Regge e Mario Palazzetti del Comitato per l’Uso Razionale dell’Energia (CURE). Già consulente per il Ministero dell’Ambiente sul risparmio energetico e le tecnologie per l’ambiente, collabora con Caterpillar (Radio 2) per la festa della Decrescita Felice di cui è ispiratore. È membro del comitato scientifico di “M’illumino di meno”. E’stato gradito ospite su invito di Nuova Messapia durante l’iniziativa promossa dal CSVSalento “Il mondo che vorrei – Le città rinnov-Abili” realizzata a Roca Nuova nel mese di luglio in cui ha tenuto una conferenza sulla decrescita felice.

L’imperativo della crescita è la superideologia che accomuna tutte le correnti di pensiero e tutti i raggrup- pamenti politici nelle società industriali avanzate. Per questa ideologia, il senso stesso delle attività economiche e produttive non è la produzione di beni e servizi per migliorare la vita degli esseri umani, ma la crescita del p.i.l. (Prodotto Interno Lordo - ndr). Il lavoro umano è una funzione della crescita economica. La parola decrescita è stata esorcizzata anche verbalmente. Quando il p.i.l. non cresce si dice che l’economia attraversa una fase di “crescita negativa”. Come se di un novantenne si dicesse che ha una gioventù negativa. Tuttavia negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di alcune correnti di pensiero che sostengono la necessità di una decrescita. Spesso questo concetto viene confuso con la sobrietà, con la riduzione del consumismo per ragioni fondamentalmente etiche:

collettivi Tutte queste critiche non vanno alla radice del problema. Per capire bene cosa significa il concetto di decrescita e possa costituire il quadro di riferimento di un paradigma culturale diverso da quello che informa le società industriali, occorre prima definire bene il concetto di ‘crescita’. Generalmente si ritiene che la crescita del p.i.l. misuri la quantità dei beni e dei servizi che un sistema economico e produttivo mette a disposizione di una popolazione nel corso di un anno. In realtà il p.i.l. non misura i beni, ma le merci, ovvero gli oggetti e i servizi che vengono scambiati con denaro. Il concetto di ‘bene’ e il concetto di ‘merce’ non solo non con coincidono, ma spesso confliggono. Ci sono merci che non sono beni e beni che non sono merci. La confusione è voluta. Un’opera di disvelamento è fondamentale. Esempi di merci che non sono beni: il carburante in più consumato in una coda automobilistica, o il combustibile in più consumato nel riscaldamento di un edificio che disperde calore. Se si ritiene che il p.i.l. misuri il benessere ogni volta che si sta in coda sulle strade bisognerebbe essere felici. Esempi di beni che non sono merci: l’autoproduzione di un orto familiare (in relazione alla crescita è un’operazione

asociale), i servizi alla persona scambiati per amore all’interno di una famiglia. Ridurre il consumo di merci che non sono beni fa decrescere l’economia e migliora la qualità della vita e degli ambienti. In una casa ben coibentata, che consuma meno energia si sta meglio, perché il corpo umano scambia il calore al 70 per cento per irraggiamento con le pareti e al 30 per cento con l’aria della stanza; quindi una casa ben coibentata, che non disperde calore, ha le pareti più calde di una casa che lo disperde. Inoltre le emissioni di CO2 a parità di benessere sono minori, ma sono minori anche i costi, per cui si può lavorare di meno e si può dedicare più tempo alle relazioni interpersonali. La riduzione della produzione e del consumo di una merce che non è un bene è una decrescita felice. Ugualmente, l’aumento della produzione e del consumo di beni che non sono merci fa decrescere l’economia e migliora la qualità della vita e degli ambienti. I pomodori autoprodotti in un orto familiare fanno diminuire la do manda della merce pomodori, sono migliori qualitativamente, si produconoutilizzando tecniche naturali e non danneggiano la terra, non consumano carburante nei trasporti, non producono rifiuti. Anche in questo caso una decrescita felice. Naturalmente non ci si può autopro-

- l’ineguale distribuzione delle risorse a livello mondiale; - l’impatto ambientale della crescita sia dal punto di vista dell’input di risorse, sia dal punto di vista dell’output di rifiuti; - la necessità di non appiattire gli esseri umani sulla dimensione materialistica;

- l’opportunità di sostituire alcuni beni e servizi individuali con beni e servizi

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Maurizio Pallante a Roca Nuova

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(Foto Melissano)


durre tutto. Ma non tutto ciò che non si può autoprodurre si può solo comprare. Per usare un’immagine: la decrescita è come un tirassegno composto da tre cerchi concentrici. Al centro c’è la rivalutazione dell’autoproduzione di beni (più di quanti non immaginiamo) e la fornitura diretta di servizi alla persona. Nella prima corona circolare si collocano gli scambi non mercantili fondati sul dono e la reciprocità. La parola comunità è composta dall’unione di due parole latine: la preposizione cum, che significa con e indica il legame, e il nome munus, che significa dono. Le comunità sono gruppi umani legati da forme di scambio non mercantili, basate sul dono e la reciprocità. Tutto ciò che si dona sostituisce qualcosa che si compra e fa decrescere il p.i.l., e crea legami sociali e solidarietà. Migliora la qualità della vita. Questi legami vengono riproposti ora dalle ‘banche del tempo’. Nella seconda corona circolare si collocano gli scambi mercantili. Tutto ciò che non si può autoprodurre, o non si può scambiare sotto forma di dono, non può che essere comprato. Tuttavia, anche in questi scambi, che fanno crescere il p.i.l., è possibili reincorporare una dimensione relazionale, mediante contatti diretti tra produttori e acquirenti. È ciò che fanno i Gruppi di Acquisto Solidali (G.A.S.). L’economia della crescita allarga la terza sfera rosicchiando continuamente lo spazio delle altre due. L’economia della decrescita amplia lo spazio dei due cerchi interni riducendo il terzo alla sua dimensione fisiologica. La decrescita non comporta dunque rinunce, o sacrifici. Non è una prospettiva

francescana. Rivaluta la sobrietà in senso positivo. Intesa in questo modo diventa un potente strumento per sottoporre a critica e revisione il paradigma culturale della crescita e per delineare un paradigma culturale diverso. Per esempio, il concetto di povertà e ricchezza si misura col denaro solo in un’economia fondata sulla crescita del p.i.l., perché se tutto è merce, chi ha più denaro può comprarne di più. Se invece si riscopre l’importanza dei beni, nel calcolo della povertà e della ricchezza il denaro non è tutto. Per esempio: il concetto di lavoro diventa più ampio del solo concetto di occupazione, che indica solo i lavori svolti per produrre merci in cambio di denaro con cui acquistare merci. Nei calcoli dell’Istat le persone che col loro lavoro producono beni e non ricevono denaro in cambio, fanno parte delle ‘non forze di lavoro’. I contadini che producono per la propria famiglia e vendono solo le eccedenze, per l’Istat non lavorano. E così anche le casalinghe. Non è una vergogna? Per esempio le innovazioni tecnologiche, che nella società della crescita hanno lo scopo di aumentare la produttività (con le conseguenze devastanti di: esaurire le risorse, aumentare l’inquinamento e i rifiuti) vengono finalizzate a ridurre gli sprechi di energia e di materie prime, la quantità dei rifiuti. Ma se si spreca meno energia per produrre ciò che è necessario, se si consumano meno materie prime, se diminuiscono i rifiuti e si riciclano le materie prime che contengono, si fa decrescere il p.i.l. e si sta meglio. La decrescita è come uno sgabello a 3 zampe. Se ne manca una lo sgabello non sta in piedi. Le tre zampe sono: gli stili di vita; la tecnologia; la politica. Occorre intervenire su tutti e tre. Gli stili di vita della decrescita si basano, come si è detto sulla valorizzazione della sobrietà, dell’autoproduzione, degli scambi non mercantili. Le tecnologie sulla riduzione, per ogni unità di prodotto, o di servizio fornito, di energia, materie prime e rifiuti. In politica occorre agire nella stessa direzione, favorendo l’adozione, specialmente a livello locale di delibere ispirate alla

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decrescita: regolamenti edilizi che non consentono di costruire edifici se consumano più di 7 litri di gasolio o 7 metri cubi di metano al metro quadrato all’anno; blocco dell’espansione edilizia sui terreni agricoli e concentrazione delle attività edili sulla ristrutturazione energetica degli edifici esistenti; recupero delle materie prime contenute nei rifiuti; potenziamento del trasporto pubblico. La decrescita non è un’opzione. La decrescita ci sarà perché la crescita si scontrerà con i limiti della natura. L’andamento crescente delle emissioni di CO2 ha già messo in moto dei cambiamenti climatici. Se accadrà questo, come molto probabile, la decrescita sarà disastrosa. Se sarà scelta e avrà l’andamento di una recessione ben temperata (Elémire Zolla), potrà essere felice; gli esseri umani non saranno più al servizio della crescita economica e l’economia tornerà ad essere il mezzo per migliorare le condizioni di vita degli esseri umani, ma non a scapito degli altri viventi. Questa alternativa è ancora, per poco tempo, possibile.

SITOLOGIA:

Movimento per la decrescita felice http://www.decrescitafelice.it/ Casa clima http://www.agenziacasaclima.it/inde x.php?id=3&L=1 Rete GAS http://www.retegas.org/

DePILiamoci http://www.benessereinternolordo.net/

Logo Movimento per la Decrescita Felice

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Biomasse ed energia

a cura di Alfredo Melissano

Intervista al do . Paolo Carnemolla

Paolo Carnemolla è il nuovo presidente di Federbio, la Federazione italiana per la tutela e lo sviluppo dell'agricoltura biologica e biodinamica. FederBio è l’organismo nazionale di rappresentanza dell'intero movimento biologico e biodinamico italiano, ne coordina le iniziative alfine di migliorare la qualità e la diffusione dei prodotti biologici, e rappresenta, sia in sede nazionale che regionale, le istanze di tutto il settore. Che cosa sono le biomasse?

Le biomasse sono materiale organico che viene utilizzato per produrre energia. Si tratta principalmente di scarti e materiale di origine forestale, zootecnica e agroindustriale ma anche di vere e proprie coltivazioni dedicate e prodotti da esse ricavati, come nel caso degli oli vegetali. Recentemente si è iniziato a parlare anche di alghe, in particolare per la produzione di biocombustibili.

Su quali condizioni si basa un utilizzo ottimale delle biomasse per produrre energia e calore?

getali, scarti legnosi e pannelli vegetali provenienti dall’estero, anche da altri continenti. In questo caso le biomasse raggiungono i grandi porti e da qui le centrali, non di rado collocate in prossimità. In pochi casi le centrali sono localizzate in prossimità di comprensori di produzione di biomassa, in particolare di origine forestale, dunque la filiera è la medesima della produzione del legno. Nel caso di piccoli impianti a dimensione locale, invece, solitamente l’approvvigionamento di biomassa avviene nell’ambito del territorio limitrofo attraverso contratti di fornitura con gli operatori interessati a collocare per uso energetico scarti o prodotti appositi. Esistono fattori di rischi per il territorio e l’ambiente? E se si quali sono?

I rischi sono principalmente legati alle centrali a combustione, dato che anche in questi casi si può avere del particolato e la produzione di sostanze pericolose se la biomassa che viene bruciata è a sua volta contaminata da sostanze chimiche, come può avvenire nel caso di

E’ anzitutto ottimale l’utilizzo di scarti o reflui, che altrimenti dovrebbero essere smaltiti come rifiuti. E’ poi importante che le biomasse provengano il più vicino possibile dall’impianto di produzione di energia, sia per ottimizzare i costi che per ridurre le emissioni di CO2 e il disagio per la viabilità e le popolazioni locali. Una produzione di biomasse da manutenzione dei boschi e del verde pubblico, da reflui di allevamento o industrie alimentari e da colture energetiche inserite in maniera ottimale all’interno delle rotazioni agrarie è il mix ideale per alimentare impianti che forniscono energia al territorio da cui la biomassa proviene.

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legno di risulta da altri impieghi o nel caso di residui di potatura o altro materiale proveniente da piante trattate con pesticidi. Le grandi centrali a biomasse oltre all’impatto sul territorio legato alla logistica necessaria per l’approvvigionamento possono inoltre provocare una richiesta eccessiva di biomassa di origine locale, alterando in questo modo gli ordinamenti colturali, il paesaggio e le condizioni agro-ecologiche se non addirittura favorire l’introduzione di colture OGM e a maggior richiesta di input chimici e acqua. Possibili vantaggi e svantaggi in una filiera a biomasse nel Salento?

Date le caratteristiche del territorio salentino e della sua agricoltura non mi pare vi siano le condizioni per la creazione e la gestione in economia di grandi centrali a biomasse alimentate dal territorio. Molto più utile appare invece la diffusione di impianti aziendali alimentate da sottoprodotti dell’attività agricola e la creazione di impianti consortili presso i distretti agroindustriali più importanti, dove la disponibilità di biomassa derivante dagli scarti delle lavorazioni (vinacce, sanse, bucce di pomodoro, etc) raggiunge quantità interessanti. Esistono reali vantaggi per gli agricoltori in una filiera per l’energia da biomasse?

Come è strutturata una filiera per la produzione di energia e calore da biomasse? Attualmente le grandi centrali a biomasse utilizzano principalmente oli ve-

Presidente FederBio (Bologna)

Centrale a biomasse

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Al momento questi vantaggi appaiono non ancora ben definiti, sia per le condizioni di estrema variabilità dei prezzi delle materie prime agricole e dell’energia che per l’aumentare dei costi di produzione. Inoltre i contributi ad ettaro per le colture energetiche nell’ambito dei piani di sviluppo rurale sono ancora ridotti e contingentati, dunque più adatti alle aziende di grandi estensioni che a quelle presenti nella realtà salentina. Per questi motivi non è ancora chiaro se l’obbligo di miscelazione di biodiesel e bioetanolo a gasolio e benzina, in vigore dal 2008, così come la nuova normativa sul conto energia e sui certificati verdi, ancora non del tutto attuate, potranno davvero creare un mercato interessante per le produzioni energetiche.


pare che i costi ambientali e sociali dei grandi insediamenti energetici presenti in Puglia siano mai stati adeguatamente compensati dai territori verso cui l’energia è stata esportata.

C’è differenza tra centrali industriali a biomasse e piccoli cogeneratori domestici? Il girasole: una delle materie prime delle centrali a biomasse

Facendo una previsione le biomasse in che percentuale potrebbero essere determinanti in un’economia energetica del prossimo futuro?

Per quanto riguarda i biocarburanti la previsione dell’Unione Europea è quella di una miscelazione obbligatoria ai carburanti a base di petrolio del 5.75% entro il 2010. Ammesso che tale previsione venga rispettata e che si diffonda sempre più l’uso di tali combustibili almeno nel trasporto pubblico e nell’ambito agricolo e della pesca è comunque difficile immaginare che nel prossimo decennio nell’Unione Europea si superi la soglia del 10%. Per quanto riguarda l’energia elettrica esiste anche in questo caso un obbligo di immissione in rete di energia da fonte rinnovabile ma la situazione in Italia delle centrali e degli impianti a biomasse è ancora agli inizi e talmente piena di incognite che al momento è difficile azzardare previsioni per il futuro. In che misura la politica delle biomasse è incentivata dal denaro pubblico?

Per quanto riguarda i biocarburanti esiste la defiscalizzazione all’80% per quantità di biodiesel e bioetanolo che però sono rispettivamente un terzo e un quarto di quelle necessarie al solo rispetto dell’obbligo di miscelazione con gasoli e benzine. Per la produzione di energia elettrica e termica da biomasse esistono poi il conto energia e i certificati verdi, ovvero tariffe elettriche agevolate e contributi che sono più elevati se le biomasse prodotte sono autopro-

dotto o di origine locale in filiera. Alcune colture energetiche possono inoltre godere di contributi ad ettaro nell’ambito delle risorse comunitarie e nazionali messe a disposizione dai piani regionali di sviluppo rurale 2007-2013. Per quanto riguarda invece la costruzione delle centrali ingenti risorse pubbliche sono state messe a disposizione per la riconversione degli zuccherifici mentre per la costruzione di impianti a biogas e caldaie a biomassa sono previsti incentivi sia dalla legge finanziaria 2008 che dai piani regionali di sviluppo rurale.

La Puglia a quanto detto dal vice presidente della Regione Puglia Frisullo e dall’assessore regionale all’ecologia LoSappio produce circa l’88,8% in più del suo reale fabbisogno energetico. Questa super produzione è destinata all’esportazione. Sapendo che l’energia elettrica più va lontano dal luogo di produzione e più si perde per strada, non è controproducente?

Questo fatto è conseguenza di un modello di sviluppo industriale e energetico che non è mai stato pianificato adeguatamente a scala nazionale e che ha privilegiato i grandi insediamenti industriali e le mega centrali alimentate da materie prime provenienti via mare o da reti che ci mettono in relazione con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e dell’Asia. L’efficienza del trasporto dell’energia attraverso le tradizionali reti elettriche non è mai stato un fattore adeguatamente considerato nell’ambito di questo modello energetico, figlio di un’epoca diversa, così come non mi

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A parte le evidenti differenze tecnologiche e dimensionali esiste una sostanziale differenza fra i modelli energetici che queste due tipologie di impianti rappresentano. Nel primo caso si ripropone il modello già sviluppato con i combustibili a base di petrolio e gas, ovvero grandi centrali dipendenti da approvvigionamenti anche molto lontani e con impatti rilevanti sul territorio. Nel secondo caso si tratta di un modello che punta all’autosufficienza energetica diffusa, sul recupero e sulla valorizzazione di biomassa locale e meglio si integra con politiche serie di risparmio ed efficienza energetica in ambito urbano e con la produzione di energia anche da altre fonti rinnovabili. SITOLOGIA:

FederBio www.federbio.it

Piano energetico regionale http://www.regione.puglia.it/index.php? page=documenti&id=40&opz=getdoc

Cogeneratore domestico

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Calimera

Biomasse autoritarie

di Angelo Mingiano A Calimera è ormai scontro aperto tra amministratori e buona parte della popolazione. Oggetto del contendere: l’installazione di un inceneritore a biomasse alimentato da legno vergine con potenza pari a 1MW. Impianto che dovrebbe sorgere a ridosso delle case, circa 300 metri dall’abitato. Inceneritore voluto dalla società FIUSIS srl di Galatone, il cui responsabile legale, sotto altra società, aveva già proposto nello stesso territorio calimerese un altro inceneritore ad oli vegetali, per una potenza di circa 15 MW. Ma almeno per questo sembrerebbe esserci stata una retromarcia. Ma procediamo con ordine. Prima dell’estate, al chiuso degli uffici comunali, gli amministratori danno via libera alla FIUSIS srl a poter avviare tutte quelle procedure burocratiche per installare l’inceneritore a biomasse legnose. L’intento è di procedere in fretta, magari senza intralci e quindi, evitando di aprire una fase di dialogo e confronto con i cittadini. La volontà è chiara. L’inceneritore proposto è da fare. Tanto che ancor prima di stipulare una convenzione con la società proponente, già sono pronte le carte per il contratto di locazione riguardante i terreni comunali sui quali sorgerà la centrale. Tuttavia qualcosa sfugge di mano, la notizia trapela in paese e, in piena estate, si costituisce un comitato cittadino chiamato “Salute e Ambiente per Calimera”. Suoi propositi sono: informare la popolazione sui rischi per la salute e l’ambiente causati da siffatte centrali e stimolare un confronto tra cittadini e istituzioni, sino ad allora del tutto assente. Da subito vengono affissi manifesti informativi e in poche settimane, tra luglio e agosto, vengono raccolte centinaia di adesioni per il comitato. Nonostante la calura estiva la mobilitazione è fortissima. Nelle case, in paese o al mare, si parla di inceneritori a biomasse. Gli interrogativi sono tanti. Si discute su centrali a biomasse grandi e piccole, sulle diverse tipologie e i rischi ad ognuna di esse connessi. Si parla soprattutto dell’inceneritore a biomasse legnose. Sebbene tutti siano d’accordo nel sostenere che si tratti di un impianto di dimensioni ridotte (1 MW) e quindi molto meno peggio di tanti altri inceneritori, sorgono forti dubbi sul reale contenimento dell’inquinamento che produrrà, sulla sua reale necessità e sugli esigui vantaggi per il paese: meno di 7 euro per cittadino (45.000 euro in tutto), a fronte dei potenziali profitti milionari per la società proponente. Il crescente numero delle adesioni al comitato, i dubbi e gli interrogativi avanzati tra i cittadini

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hanno l’effetto di rompere le uova nel paniere. E perciò la risposta lassù nel comune non si fa attendere: alla richiesta del comitato di tenere in piazza alcuni banchetti di raccolta adesioni, il sindaco risponde con un diniego che tanto sembra avere il sapore autoritario. Motivazioni di quest’atto: diffusione di notizie false e tendenziose, necessità di evitare il diffondersi di allarmismo sociale tra la popolazione. Con questo gesto i nervi diventano sempre più tesi; ai primi di settembre le adesioni quasi raddoppiano (circa 700) e forse tra gli stessi amministratori qualcuno comincia a storcere il naso e ad appoggiare almeno la richiesta del comitato di aprirsi al confronto con i cittadini. In un contesto del genere si arriva quindi, lo scorso 19 settembre, ad un convegno tardivo organizzato dall’amministrazione. I membri del comitato, dati anche gli ultimi infelici avvenimenti causati dal sindaco, per poter partecipare chiedono pubblicamente, ed ottengono, che al convegno siano presenti propri referenti scientifici e soprattutto che sia prevista una fase di dibattito aperto a tutti. La sera del convegno l’atmosfera è tesissima, la partecipazione popolare è fortissima e molti, sia critici che favorevoli all’inceneritore, respirano un’aria nervosa e con difficoltà riescono a sedare i propri animi. Tra gli invitati dell’amministrazione ci sono: Murrone, Presidente CIA; Scognamillo, Ass.re provinciale all'ambiente; Federico, Prof. Oncologo da Modena (referente scientifico ass.ne Angela Serra); De Risi, Prof. dell'Università di Lecce ed esperto in energie rinnovabili. Convocati dal comitato invece: Dott. Serravezza, Presidente LILT di Lecce e Ing. De Giorgi. Ogni intervento suscita forte interesse ma, anziché dirimere dubbi sugli inceneritori a biomasse e su quello specifico per Calimera, aumentano gli

Centrale a biomasse

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interrogativi tra il pubblico. Un momento appassionato è nello “scontro” tra il Dott. Federico e il Dott. Serravezza. Il primo, critico sul proprio interlocutore citando però fonti giornalistiche incerte, sembra sostenere la non pericolosità di qualsiasi tipo di inceneritore. Il secondo, d’altro canto, preoccupato dei fattori di rischio che anche queste centrali comportano, mette in guardia tutti dall’aggiungere l’ennesimo impianto in una terra, quale quella salentina, già fortemente inquinata e con un alto tasso di tumori. Dalle loro dichiarazioni sembra così emergere una spaccatura nello stesso mondo scientifico; spaccatura i cui confini tra le posizioni sembrano delineabili tra chi pone attenzione verso il mondo della cura e chi, invece, mira a promuovere opportune pratiche nel mondo della prevenzione. Spaccatura che, assieme ai dubbi dei tanti cittadini che prendono la parola, dà sostanza soprattutto ad un interrogativo al quale nessuno riesce a rispondere: se anche non fosse certo che un inceneritore del genere faccia male, così come non è provato, al contrario, che non sia dannoso, allora per quale necessità farlo? Nel semplice dubbio, perché farlo? A ciò né sindaco, né assessore all’ambiente, né i loro stessi referenti rispondono. O meglio, evitano di rispondere, arrovellandosi a sostenere che comunque una centrale del genere non faccia male. Sorvolano altresì su quanto esposto da alcuni cittadini in merito a polveri sottili come le nano particelle. Assecondano il problema della produzione di diossine e dell’emissione senza sosta di fumi per 11 mesi l’anno e a pochi passi dall’abitato. Sostengono che tale inceneritore funzionerebbe con una filiera corta ma lunga 70 km, senza però considerare l’inquinamento prodotto dal via vai di camion che trasporteranno il combustibile. Arrivano a sostenere la bontà del progetto senza neppure considerare il contesto salentino, ricco di simili proposte in tantissimi comuni, senza offrire opportune garanzie a che in futuro lo stesso inceneritore a biomasse non venga trasformato in bruciatore di qualcos’altro, senza neppure vagliare altre alternative a simile impianto. Nonostante tutto questo, d’altra parte, comitato e cittadini avanzano una semplice richiesta: nel dubbio sulla pericolosità o meno della centrale, perché non indire almeno un referendum consultivo? Perché non lasciare alla democrazia partecipativa una decisione così importante? Purtroppo, anche a questo la risposta da parte del sindaco è fulminea: assoluto no.


I Porta tu ’F’ Ilìa

Niente pace, né amicizia: l’antica porta del borgo antico di Sternatia è dedicata a sant’Elia Notizie inedite riguardanti le porte, le mura, la torre, i trappeti e alcune popolazioni di Greci, Valloni e Albanesi, venute a Sternatia nel 1396. Da diversi anni, in privato o in articoli e didascalie di foto pubblicate su qualche periodico salentino, ho sempre cercato di sottolineare che il nome completo della porta di accesso al centro antico di Sternatia non è Filìa bensì tu Filìa. La presenza di questo tu è stata negligentemente sottovalutata dalla maggior parte di coloro che si sono interessati di scrivere qualcosa su questo monumento, tanto da essere volutamente omessa per la sua difficile interpretazione; solo da pochissimi è stata segnalata con la dovuta accortezza anche se con traduzioni non del tutto corrette. Per comprendere bene che cosa sia successo cerchiamo di spiegare con ordine. Chi ha cercato di dare una traduzione alla dicitura Porta tu Filìa ha semplicemente fatto questo ragionamento: che cosa significa filìa? La soluzione sembra semplice, visto che filìa in greco salentino significa “pace”, come ci possono confermare i grecofoni dei Chorìa Grika; questa traduzione però, che non coincide con quella trovata sui vocabolari di greco classico o moderno, dove alla voce filiv a (filìa) più che il traducente “pace”, corrispondente a eij rhv nh, compare quello di “amicizia”, “concordia”, “alleanza”, ha indotto tutti a tradurre dando più significati, e cioè: “Porta della Pace, dell’Amicizia, della

La Porta di S. Elia

(Foto G.V. Fileri)

Concordia, dell’Alleanza, dell’Amore”. Comprendere che questo ragionamento sia privo di basi storiche, linguistiche e filologiche non è difficile, per i seguenti motivi: in primo luogo la storia locale non ci ha lasciato alcuna testimonianza di “pace”, “alleanze” o “amori” avvenuti in questo luogo che abbiano potuto dare il nome alla Porta, anzi, stando alle ultime scoperte fatte proprio in questi giorni durante i lavori di scavo intorno e sotto questa Porta per il rifacimento del basolato, potremmo affermare (per assurdo) che più che “della Pace” questa potrebbe essere definita la “Porta della Guerra”, visto il ritrovamento di alcune palle in pietra per bombarde, lanciate probabilmente dai Turchi nel 1480 per conquistare Sternatia. In secondo luogo, la stessa presenza del tu (tou), cioè di un articolo maschile singolare in caso genitivo, che non concorda affatto con la parola filiv a (filìa) di genere femminile, intesa come “amicizia”, e ancora il fatto che non sono conosciuti altri casi analoghi per poter affermare che si tratti di un errore linguistico, ci fa capire che qui la pace c’entra poco. Per poter tradurre “La Porta della Pace” (o dell’Amicizia) dovremmo avere in greco i Porta tis Filìa(s) (h Pov rta th" Filiv a" ), oppure, secondo le regole del greco sternatese, i Porta a’tti’ Filìa, con l’articolo femminile tis e non con tu che invece è maschile. Non si comprende poi perché chi ha voluto omettere l’articolo tu, chiamandola soltanto Porta Filìa, abbia tradotto “Porta della Pace” e non semplicemente “Porta Pace”. Che il nome Filìa sia di genere maschile è testimoniato dalla gente più anziana di Sternatia che per dire per esempio “ti aspetto vicino la Porta …” dice in greco se meno ambrò si’ Porta tu Filìa e in dialetto romanzo te spettu annanti alla Porta de lu Filìa, e non de la Filìa, sottolineando così il genere maschile della parola Filìa. La presenza dell’articolo maschile è inoltre confermata da un rogito dell’Ottocento, dove gli allora due trappeti ipogei, che ancora oggi si trovano accanto alla Porta, erano denominati dello Filìa1. Dall’indagine fatta sul significato di tu Filìa tra gli anziani del paese sono emerse diverse interpretazioni: ’en itsèro «non so», ’en itsèro tis ìsane o Filìa «non so chi fosse Filìa», o Filìa

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di Giorgio V.zo Filieri ìsane cino pu ànigghe ce ìklinne ti’ porta «Filìa era quello che apriva e chiudeva la porta», ma nessuno ha risposto “pace” né tantomeno “amicizia”, “concordia”, ecc.; ciò che comunque sia emerge dalle risposte è che sicuramente si tratta di un nome legato a una persona o un personaggio la cui memoria si perde nel tempo. Da quanto mi ha riferito un anziano signore di Martano, sembra che Filìa dovesse essere anche un soprannome o patronimico di Sternatia: l’ultraottantenne mi riferì di essere parente di un certo Jorgi tu Filìa; ciò significa che questo Jorgi (Giorgio) poteva essere discendente di uno che si chiamava Filìa, oppure aveva acquisito un tale soprannome perché abitava accanto o nei pressi della Porta. Tutte le testimonianze apportate sin ora, anche se non ci delucidano sul vero significato del nome tu Filìa, ci fanno però chiaramente capire una cosa: in questo caso, cioè in riferimento alla Porta, Filìa è un nome maschile e non significa affatto “pace”. A questo punto, prima di giungere a una nostra conclusione, è bene consultare le interpretazioni date da chi ha scritto prima di noi. L’Arditi nel 1879 afferma che «un ultimo avanzo dell’antica munita cinta rappresentato dalle due Porte, ancor in piedi, dette di Lecce e Filia, traverso le quali sfila diritta e larga una bella strada da settentrione a mezzogiorno»2, senza darci particolari spiegazioni sul significato del termine Filìa. Il Lambrinos3 riporta l’esempio del poeta contadino Cesare De Santis che nelle sue poesie, pur chiamandola porta tu filìa, la traduce come “porta dell’amicizia”4. Nel Lessico di Sternatia è riportata come Porta Filìa ed è tradotta come “Porta della Pace”5. Luigi Manni, curatore della Guida di Sternatia, pur avendo pubblicato l’inedito documento citato sopra in cui i trappeti venivano chiamati dello filìa, la riporta come Porta Filìa interpretando Filiv a come «pace, alleanza»6.

Fondamenta torre quadrata

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(Foto G.V. Fileri)


Giorgio Filieri Scordari, sul sito ufficiale di Sternatia, omettendo il tu, la chiama semplicemente Porta Filìa, dicendo che il nome Filìa significa in greco «Amore», «Pace», «Amicizia». Naturalmente mi sembra inutile elencare i nomi di tanti altri che hanno semplicemente citato acriticamente il nome della Porta; mi sembra però doveroso citare il parere di chi, pur non riuscendo a dare la giusta interpretazione, ha voluto almeno con onestà scientifica riportare il nome completo della Porta ed ha cercato di dare una spiegazione all’articolo tu. Paolo Stomeo nel glossario dei Racconti greci inediti di Sternatia scrive che a «Sternatia esiste una porta delle antiche mura detta Porta Filìa ( pov rta filiv a" ) = porta della pace». Poi aggiunge «Altri vogliono dire che si chiami “Porta tu Filìa” in tal caso “filìa” sarebbe il cognome del costruttore”»7. Segnalo anche l’interpretazione di Giuseppe Indino che dice «… il trappeto ipogeo sito nei pressi della Porta Filìa (lett. pace od amicizia), forse sostantivo derivato dal genitivo patronimico “toù Filìas”». Quando diversi anni fa proposi agli amici appassionati di storia locale la mia interpretazione del nome della Porta dicendo che quella doveva essere la “Porta di Sant’Elia”, fui subito contraddetto in quanto chi aveva già acquisito la convinzione che quella era la “Porta della Pace” faceva grande fatica ad abbandonare la propria opinione. La mia idea era supportata, oltre che dalla vicinanza del nome greco Ilìas a Filìa, anche dal fatto che nella visita pastorale del 1691, tra i Beneficij extra moenia era citata la «chiesa diruta del beneficio di S. Elia»8, che secondo me poteva trovarsi proprio nella zona antistante la Porta; inoltre i nomi di porte dedicate a santi non sono una novità, basti pensare alle quattro porte di Soleto, alla Porta San Biagio a Lecce , ecc. L’ipotesi che la Porta fosse dedicata a sant’Elia, profeta biblico9, mi è stata confermata di recente dal tecnico comunale, architetto Giorgio Pellegrino, al quale va un doveroso ringraziamento per la disponibilità e l’opportunità datami di consultare la trascrizione di un volume

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Base di appoggio del telaio porta

manoscritto di atti giudiziari e vecchi documenti che abbracciano un arco di tempo che va da XIV al XIX secolo10. Questi documenti forniscono una serie di notizie del tutto inedite e di fondamentale importanza per la ricostruzione della storia di Sternatia riguardanti soprattutto la disputa tra i monaci domenicani che volevano costruire un trappeto per molire le proprie olive, e il marchese Granafei che, rivendicando il diritto su tutti i trappeti, ne voleva impedire la costruzione. Diamo ora uno sguardo alle righe di alcuni documenti dove si fa riferimento ai trappeti, alle porte e alle mura che circondavano Sternatia. Nel 1581 il duca di Nardò Giovanni Bernardino di Acquaviva d’Aragona possedeva dieci trappeti di cui ne cedette nove all’Università della Terra di Sternatia, pretendendo una tassa annua di ducati cento divisi in tre rate (Natale, Pasqua e agosto). Dei trappeti abbiamo sia il nome sia l’esatta ubicazione: Lo Tarpito nominato li praiti dentro lo fosso di essa terra, due si dice la Croce verso l’occidente appresso la grotta dicto Arcidiacono di Sternatia, e lo seguente tarpito de li Porcelli, lo Tarpito delli Pozzielli nel medesimo luogo vicino lo Tarpito nominato li preiti e lo seguente detto Lo Mancone, lo Tarpito detto dalle Manzone nel medesimo luogo vicino lo sopradetto Tarpito delli Porcièlli; lo tarpito nuovo ancora imperfetto dentro lo fosso, e la porta di S. Elia lo tarpeto detto S. Rocco quale confine collo Tarpito detto lo grande del Castello in luogo detto fuori la porta falza dello Castello, lo Trappeto nominato lo nuovo dello Castello quale tocca sopradetto nominato lo grande dello Castello, nelli sopradetti trapeti si entra nello principio per uno medesimo luogo e lo trapeto […] quale confina colli confini colla Curte di Giobeccio, e collo giardino delli Eredi di Evangelista Capore, li quali 9 trappeti sono dentro li fossi ed a torno le

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(Foto G.V. Fileri)

Palla di bombarda

mura di detta terra11. Nella interessantissima lista di questi frantoi vi è uno nominato lo tarpito nuovo ancora imperfetto dentro lo fosso e la porta di S. Elia12. Più avanti viene specificato che: Dominis Dux sibi serervavit et reservat decimum tarpetum existans ultra novem ut supra cocessa nominatum alla porta di S. Elia iuxtum tarpetum novum ad hunc imperfectum ex dictis novem ut supra concessa dictum portamo per dictae Terrae nominatum S. Elia, et …13. Negli anni 1596-1599 Geronimo Personè, barone delle Terre di Sternatia e Pulsano, possiede la terza parte del trappeto situato in loco dicto alla porta di santo Lia14. Di fronte a tali documenti penso che la questione del nome della Porta debba considerarsi chiusa. La dizione “Porta di sant’Elia” presuppone in greco h Pov rta tou Agiv ou Hliv a (i Pòrta tou Aghìou Ilìa) o meglio visto che i greci sono soliti chiamare questo santo Profhv th" Hliv a" (Profìtis Ilìas), h Pov rta tou Profhv th Hliv a (i Pòrta tou Profìti Ilìa). Si può ipotizzare che da (Pro)f(hv th) Hliv a sia nato poi F’Ilìa, reinterpretato successivamente come Filìa.

Torre quadrata

(Foto G.V. Fileri)


Torre Tripelle

Mappa di Sternatia

* * * La “Porta di sant’Elia”, che si trova in posizione Sud-Est (con l’entrata rivolta ad Est) era collegata alla Porta di NordOvest detta “Porta di Lecce” (I Porta apù Luppìu?) attraverso la strada larga, ossia la via Platea. La terza Porta, cioè quella di SudOvest, era chiamata “Portarone”, e infatti dai documenti consultati risulta che nel XVIII sec. nel suburbio ci sono due grotte nel luogo detto Portarone per uso di calce e propriamente nel fosso di detta terra dalla parte di scirocco e via pubblica16. Il “Portaggio dell’Apano”, segnalato dal Manni, invece, potrebbe riferirsi a un’antica costruzione di via Apano, distrutta 30-35 anni fa per fare spazio a un giardino, alla quale si accedeva attraverso un grande portone e il cui cortile interno era circondato da diversi archi; e poi in verità questa terza Porta più che con via Apano era collegata con via S. Stefano e via Candelora. Il termine Portarone (o Portarùna in greco salentino) era già noto dai racconti degli anziani, anche se non era del tutto chiara la sua collocazione; ora abbiamo la conferma che si tratta della Porta a Sud-Ovest, quella cioè che si affacciava sull’attuale Piazza Alighieri, meglio conosciuta come Calvario. Per quanto riguarda la quarta Porta, situata a Nord-Est, sempre dai documenti consultati risulta che il trappeto detto lo grande del castello si trovava in luogo detto la porta falza del castello. Il termine falza, ci lascia un po’ nel dubbio in quanto può significare che con molta probabilità nelle vicinanze di questa “falsa” ce ne dovesse essere una, per così dire “vera”, dalla quale si accedeva al paese o allo stesso castello. Per ora, in attesa di ulteriori chiarimenti, chiameremo questa quarta porta “La Porta del Castello” (I Porta tu Kastèddhi?). Da una cronaca galatinese del Cinquecento sappiamo che le mure prime che si fecero in Santo Pietro (scil. Galatina), furo fatte nell’anno 1334 et nel medesimo anno si murò Galatona, So-

Particolare

lito et Sternatia17; queste mura di Sternatia erano ben visibili ancora alla fine del Settecento, quando il marchese Granafei per costruire i suoi giardini non solo usurpò buona parte delle mura ma anche l’antica “Torre di Tripèlle” , di cui si conserva ancora una parte ben visibile da via E. Perrone (un’altra torre, oggi mimetizzata dalla calce bianca e usata come abitazione, si trova proprio attaccata alla Porta di sant’Elia). Il Comune di Sternatia in una causa contro i Granafei nel 1808 così si esprime: si sono usurpati dalle famiglie Granafei attuale posseditrice di Sternatia i muri della Università in canne trenta, ed un dipresso una torre che dicasi Tripelle, e molte fogge destinate a riporre il grano e le vettovaglie de cittadini, e tutto con violenza si è denunciato, e per conformati edificio e giardino per ingrandire l’antico palazzo Baronale, e a circa 10 anni dal demanio universale usurpò circa mezza tumulata, di terreno formandone un giardino attaccato a detto Palazzo Baronale19. La famiglia Granafei si difende dicendo: l’imputazione che riguarda il muro, che si è asserito dalla Università, resta svanito dalla semplice considerazione del vero fatto. Questo pezzo di muro era una torre antica annessa al castello Baronale, la di cui superficie non eccedeva un quarto di stoppello e sulla quale esiste ora un giardino pensile. Che questa Torre non fosse stata della comune si rileva dalla vendita fatta dal re Ferdinando I, che espressamente nominò il Castello ed i suoi Fortilizi. La maggior parte di questi sono stati usurpati dai cittadini, che sono arrivati a fabbricarvi, ed il Comparente mentre avrebbe avuto esso il diritto di vendicare questi Cenzi, ha dovuto ora esser facciato per questo soggetto medesimo. Espressamente si riserba poi il Principale del Comparente di dimostrare in altro luogo, che i cittadini di Sternatia derivano da una colonia Albanese20, e che in conseguenza destituiti si trovano di tutte quelle ragioni che appoggiano gl’Intigeni di questo regno21.

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A proposito di colonie, diamo ora un’altra importantissima notizia inedita, che il procuratore dei Granafei trova in un documento del 1396 dal quale si rileva, che la nascente colonia di Greci, Valloni ed albanesi, notandosene ancora qualcuno venuto da Jannina, componenti appena la popolazinne di 200 persone, furono dal principe impiegati per coloni nei suoi stessi terreni feudali22. Ma l’arrivo di questi coloni a Sternatia potrà essere l’argomento di un prossimo articolo. NOTE:

1 Cfr. L. Manni, Sternatia: da Porta Filìa a Palazzo Granafei, in AA.VV. Guida di Sternatia, 1993, p. 14. 2 Cfr. G. Arditi, La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, 1879, p. 573. 3 Cfr. S. Lambrinos, Il dialetto greco salentino nelle poesie locali, 2001, p. 182. 4 Vedi C. De Santis, Col tempo e con la paglia, storie rimate e no di un poeta e di un paese, 1983, p. 48. 5 Cfr. Carmine Greco – Georgiv a Lamprogiwv rgou , Lessico di Sternatia, 2001, pp. 217 e 365. 6 Cfr. L. Manni, op. cit., p. 10. 7 Cfr. P. Stomeo, Racconti Greci Inediti di Sternatia, 1980, pp. 386-387; vedi anche: P. Stomeo, Vocabolario Greco – Salentino, 1992, dove però non viene data alcuna interpretazione. 8 Cfr. L. Manni, Chiese confraternite, clero e benefici a Sternatia nell’anno 1691, pp.114-115 in op. cit, Appendice 2. 8 Il profeta Elia lottò contro il sincretismo religioso del re Acab e della regina Gezabele nel regno del Nord. Sterminò i profetici Baal; fu rapito in cielo su un carro di fuoco. Cfr. Ml 3,24; Mt 17,3.10; Lc 1,17; 9,30. 9 La notizia del ritrovamento di questi documenti era già stata pubblicata su un giornale locale nel 1988, dove veniva avanzata la proposta di collaborazione tra Comune di Sternatia e Università di Lecce per la traduzione in lingua corrente dell’intero manoscritto. Cfr.A. Reale, Giacimenti culturali e turismo: Zucclà e antico manoscritto, in «Ritagli», anno I, n° 1, aprile-maggio, 1988, p. 7. 11 Trascr. man. c. 104 r. 12 Trascr. man. c. 103 r. 13 Trascr. man. c. 107 r. 14 Trascr. man. c. 78 r. e c. 80 v. 15 Cfr. I. A. Ferrari, Apologia Paradossica della Città di Lecce, (a cura di A. La Porta), 1977, p. 522; G. Arditi, op. cit., p. 573. 16 Trascr. man. c. 133 r.; c 135 r.; c.139 r.; c 141 – 2. 17 Cfr. L. Manni, op. cit., p. 10. 18 Detta anche di “Tripalle” e di “Pripelle”. 19 Trascr. man. c. 189 r.; vedi anche c. 163 r.; c. 212 r. 20 Si riferisce a una coloniaAlbanese venuta nel 1466, vedi Trascr. man. c. 222 r. 21 Trascr. man. c. 226 r. 22 Trascr. Man. c.220 r.

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La “Specchia Murica”

e il megalitismo nella Grecìa salentina

di Francesco Manni I primi studi di una certa rilevanza del megalitismo (dal greco “grandi pietre”) nel Salento sono da far risalire alla fine del XIX sec. con la pubblicazione di alcune opere pionieristiche realizzate dal Maggiulli (Monografia di Muro Leccese del 1871) e da Cosimo De Giorgi (I monumenti megalitici di Muro Leccese, Miervino e Giuggianello in Terra d’Otranto del 1879) seguite a pochi anni di distanza dall’importante lavoro di Dryden (Menhirs and dolmens in the district of Otranto) e della viggiatrice inglese Janet Ross (Italian sketches). Da allora per tutto il XX sec. gli scritti su questo argomento si sono moltiplicati e hanno, via, via, rilevato un fenomeno di grande consistenza che ha portato alla scoperta di un centinaio di megaliti in tutta la provincia di Lecce. Lo stesso Cosimo de Giorgi ci descrive una specchia presente nella zona interna della penisola salentina che denomina “Specchia Murica o Murga” che definisce “una delle più belle del territorio salentino” e più avanti ci riferisce che “è posta su una collina e comunicante con le specchie di Supersano e Ruffano” e ancora “dalla sommità della specchia si può ammirare il paesaggio circostante e i paesi di Soleto, Galatina, Nardò, Galatone, Zollino, San Donato”. Che io sappia, in tutti gli studi (anche concernenti il tema in oggetto) e le relative pubblicazioni realizzate negli ultimi anni sul territorio greco-salentino, tale specchia non è mai stata menzionata. Quindi potremmo in qualche modo affermare che nel corso del ‘900 si è obliata la sua esistenza e la sua ubicazione. Da questa descrizione possiamo, però, cogliere una serie di elementi che ci possono indirizzare sulla sua collocazione. In prima istanza il nome. Il termine “murica”, infatti, ci rimanda ad un luogo ben noto agli abitanti dei paesi di Soleto e Corigliano d’Otranto costituito da un altopiano (specchia) presente tra i feudi dei due paesi grecofoni, territorio, tra l’altro, di antichissima frequentazione umana considerando che sulla sua sommità a circa un chilometro di distanza dal sito in oggetto si è rinvenuta una stazione messapica arcaica. A ciò si deve aggiungere che sullo stesso altopiano è presente la masseria denominata proprio Specchia Murica che, a questo punto, se confermata la sua presenza, potrebbe aver acquisito il nome proprio dal megalite descrittoci dallo studioso di Lizzanello.

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Importante è anche l’elenco dei paesi che il De Giorgi ci dichiara possano essere ammirati dalla sommità della specchia. Soleto, Galatina, Zollino e San Donato, infatti, sono proprio posizionati sulla parte perimetrale della murgia da noi menzionata e ciò va a confermare l’ipotesi che il megalite descrittoci dallo studioso si trovi proprio sul territorio che divide Soleto e Corigliano. Da quanto sopra posiamo porci una domanda. Che fine ha fatto la specchia e, se ancora esistente, come mai nessuno si è mai accorto della sua presenza? Ovviamente è sempre rimasta nella stessa posizione. A mio avviso il motivo per cui se ne è persa la memoria è dovuto al fatto che nel corso dell’ultimo secolo in tutta la zona circostante si sia realizzato un fitto uliveto che ha celato la sua presenza. Alcuni anni orsono, durante le escursioni rurali realizzate dal gruppo di Nuova Messapia, ci è capitato di imbatterci, nella zona in oggetto, in un inconsueto ammasso di pietre che, viste le dimensioni, (altezza circa 4 metri, lunghezza circa 15 metri) la forma e la posizione (si trova a poche decine di metri dalla soglia dell’altopiano che degrada rapidamente verso la località nota come “Li Chiani”) ci aveva fatto supporre che potesse proprio trattarsi di una specchia megalitica. Dalla sommità la visuale è disturbata ,come dicevo in precedenza, proprio dalla presenza di un uliveto realizzato, considerando le dimensione degli alberi, non più di una trentina di anni addietro e che, quindi, nel periodo in cui visse Cosimo De Giorgi non esisteva ancora. L’unico sito visibile dalla sommità è proprio la specchia di Supersano e Ruffano. Tutti questi elementi in comune tra il

Presunta ‘Specchia Murica’

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megalite descrittoci alla fine del 1800 dall’importante autore dei “Bozzetti” e la presunta specchia rinvenuta da noi mi ha fatto ipotizzare che potesse trattarsi dello stesso monumento. Naturalmente bisognerebbe in qualche modo tentare di approfondire il tutto con la realizzazione di studi più mirati e specifici. Nell’area greco-salentina nel corso dell’ultimo secolo è stato censito un gran numero di megaliti e, di seguito, ne fornisco un breve elenco. A mio avviso la mancanza di uno studio specifico riguardante questo argomento nella nostra area ha spesso portato alla realizzazione di pubblicazioni incomplete. Inoltre, la difficoltà che nel tempo si è avuta nella rilevazione di tali monumenti, ha fatto si che siano sorte delle incertezze nella catalogazione di alcuni di loro e, di conseguenza, molto probabilmente anche questa mia lista risulterà mancante in qualche elemento. Nel territorio tra Calimera e Melendugno vi è la presenza di due dolmen: il Placa e il Gurgulante. Vennero scoperti rispettivamente nel 1909 e 1910 dal Palumbo. Il primo è composto da una tavola di tufo di 1.80 x 1.60 m. è sorretto da sette pilastri di cui quattro monolitici. Il secondo, distante un paio di chilometri dal precedente, ha la copertura di metri 2 x 1.50 sostenuta da cinque pilastri monolitici a cui, molto probabilmente in epoca più recente, ne sono stati aggiunti cinque altri per la chiusura della cella. Tra i megaliti dovrebbe anche essere menzionata la Pietra di S. Vito, ubicata nell’omonima cappella sita a poche centinaia di metri dall’abitato. Il monolite presenta al centro un foro ci circa 0,30 metri dal quale nel giorno di pas-

(Foto Melissano)


Sito presunta specchia Murica

quetta le persone passano in segno di buon augurio. E’ abbastanza intuitivo il senso di rinascita che tale rito di passaggio esercita sugli uomini e le donne che lo compiono. A Carpignano Salentino sono presenti i menhir Grassi e Staurotomea (dal greco “Croce grande”). Anche il menhir Grassi fu individuato, come i precedenti, dal Palumbo nel 1910. Del secondo rimane oggi solamente una parte alta circa un metro. Il De Giorgi nel descriverlo nel 1910 ci riporta leggenda: Due sorelle, una nubile e l’altra maritata, verranno un giorno a riposare a piè di questa colonna; questa cadrà e ne accopperà una, la maritata; e l’altra troverà sotto la pietrafitta il tesoro nascosto. Sempre a Carpignano va menzionato il cosiddetto trilite di “Santo Stefano” che secondo alcuni non è però un megalite antico ma il risultato del riutilizzo di alcuni elementi di una chiesa che si trovava nelle vicinanze. Nel territorio di Corigliano d’Otranto esistono tre dolmen quasi sconosciuti: i Caroppo 1 e 2 e il Barrotta. I primi due furono scoperti nel 1993 da O. Caroppo e si trovano a sud del paese. Tra l’altro, il Caroppo 1 è considerato l’unico dolmen a “galleria” del Salento. E’ formato da quattro grosse lastre per la copertura che formano quattro celle sottostanti. Sorretto da un elevato numero di ortostati, alcuni monolitici altri composti da alcune pietre sovrapposte. A poche decine di metri si trova il Caroppo 2 costituito da un’unica grossa lastra di copertura a forma di “L” sostenuta da quattro ortostati. Il Barrotta, a differenza dei precedenti, è un dolmen a piccola specchia megalitica. E’ formato, cioè, da un tumolo di pietre da cui si nota , sul lato Nord, la presenza di un dolmen costituito da una cella rettangolare di 0,80 x 0,60 m. A Martano nel centro abitato in largo S. Lucia troviamo il menhir San Totaro. Scoperto da Cosimo de Giorgi il

29 giugno 1879 è considerato il più alto menhir pugliese (5 metri). A pochi metri della strada provinciale Martano-Caprarica è facilmente individuabile una delle più famose specchie megalitiche del Salento: la Specchia dei Mori. E’ alta circa 5 metri ed è composta da una grande quantità di pietrame calcareo. Ben sei erano i menhir che, fino al secolo XIX, esistevano a Melpignano. Oggi ne sono rimasti quattro: Lama, Candelora, Minonna e Scineo di Tamburino. Rispetto alla descrizione fattaci dal De Giorgi nel 1916, probabilmente, il menhir Lama è stato spostato e raddrizzato. Oggi si trova all’interno di un aiuola di piazzetta asilo (ex Lama) ed è alto 4,20 metri. Il Candelora si trova in periferia nell’omonimo terreno seguendo via Po a ridosso di un edificio industriale. Ha una profilo particolare a punta non dovuta all’intervento umano ma al distacco di una parte per cause naturali. Anche il Minonna si trova nella zona periferica dell’abitato. Corrispondente al menhir n° 4 descritto dal De Giorgi è alto 2,20 metri. A poca distanza dalla masseria Scineo di Tamborino si nota l’omonimo menhir. Viste le piccole dimensioni, (1,90 metri) probabilmente, in passato è stato troncato nella parte superiore per inserirvi una croce. Il 2 gennaio 1978 Luigi Corsini individuò in località Sidero il dolmen Specchia. La lastra superiore, lunga fino a 2,50 m. e larga 1,60 m. è di forma quasi circolare e sorretta da tre appoggi di cui due monolitici. I menhir della Stazione e S. Anna si elevano nel territorio di Zollino. Il primo è posizionato in un quadrivio a circa 300 m. dalla stazione ferroviaria. Alto 4,30 m. e orientato, come la maggior parte delle pietrefitte, nella direzione Est-Ovest. Fra l’altro, alcuni studi hanno dimostrato come questo megalite si trovi su un tracciato della

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centuriazione romana appartenente al vicino abitato messapico di Soleto. Il S. Anna prende il nome da una chiesa che si trova nella periferia del paese. Secondo una leggenda, a poca distanza dal menhir, era insediata una tribù guidata da un potente capo. Quando questi morì, a ricordo e per la stima che i suoi sudditi nutrivano nei suoi confronti, fu eretto un monolite a futura memoria. Oltre ai megaliti sin qui citati esistono degli altri che, a causa delle difficoltà interpretative che pongono, non fanno parte degli elenchi ufficiali redatti negli anni. Ad esempio a Zollino qualche anno fa è stata individuata una potenziale Tomba a Tholos che, se confermata la notizia, sarebbe l’unico esempio nel Salento oltre alla ben nota Tholos “Quattro macine” di Giuggianello. Sempre a Zollino, nelle vicinanze della cappella della Madonna di Loreto, in località Mandafori si trova un possibile “Furnieddhu” arcaico nelle cui vicinanze si è rinvenuta una lastra di pietra con inciso il gioco del Tris. (Nuova Messapia n° 15. I segni della storia dell'uomo nella Grecìa salentina di Francesco Chiga. Luglio 2005). Tra Zollino e Martano vi sono poi una serie di interessanti cumuli di pietre, alcuni dei quali sono considerati delle possibili specchie megalitiche. Da quanto detto sin’ora si può facilmente comprendere quanto il fenomeno del megalitismo nel Salento sia complesso e di delicata interpretazione. A tal motivo questo breve articolo vuole rappresentare solo un piccolo contributo nel tentativo di fare sempre maggiore luce in questo difficile ma affascinante “mondo”. BIBLIOGRAFIA:

Luigi Corsini. Salento Megalitico. Erreci Edizioni. Maglie 1996.

P. Malagrinò. Dolmen e Menhir di Puglia. Schena Editore. Fasano 1978.

Giuseppe Maria Antonucci. Salento Preistorico. Capone Editore. Cavallino 2005.

Thierry Van Compernolle. Primo contributo alla carta archeologica di Soleto in “Studi di antichità 7”. Congedo Editore. Lecce 1994. Barbara e Elisa Vetrugno. A Melpignano i simboli di una storia antica in Nuova Messapia n° 15 pg 7. Soleto Luglio 2005.

Francesco Chiga. I segni della storia dell'uomo nella Grecìa salentina in Nuova Messapia n° 15. Soleto Luglio 2005

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Le pietre forate

dalla Grecìa al Giappone

di Silvano Palamà Nella chiesetta dedicata a San Vito, a circa mezzo chilometro da Calimera, una particolare pietra fa bella mostra di sé al centro del piccolo tempio a navata unica. E’ la famosa “pietra forata”, un menan-tol, riferimento per riti propiziatori già molto tempo prima della venuta del Cristianesimo. Erano riti propiziatori di fertilità, di benessere, ma anche riti di iniziazione che segnavano il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il Cristianesimo ha poi assimilato, cooptato il rito, fingendo di ignorarlo ma, di fatto, conservandone e quasi esaltandone la funzione. Non è una caso che, oggi, il rito del passaggio attraverso il foro avvenga durante le festività della Pasqua, tempo di “rinascita” per i cristiani. Il rito dell’attraversamento del foro nella pietra non è però una caratteristica esclusiva del monumento megalitico presente a Calimera. Dall’Irlanda al Caucaso, dalla Norvegia al Giappone, dall’isola di Pasqua all’America dei nativi pellerossa, sono tanti gli esempi di riti analoghi abbinati alle pietre forate, ma anche ad alberi, cerchi di pietre, grotte, fenditure nelle montagne, ecc.. Men-an-tol e menhir, monumenti megalitici, sono parole di origine bretone ed indicano la “pietra col buco” e la “pietra lunga”, che richiamano schematicamente il sesso femminile ed il sesso maschile e che erano visti come tramite di comunicazione con l’ente indistinto che dava e governava la vita. Recentemente ho ritrovato in Giappone due situazioni rituali analoghe a quella esistente a Calimera. Nella antichissima città di Nara, già capitale del Giappone, vi sono molti tempi buddisti e scintoisti, costruiti in legno. Il più imponente di essi è costruito con pilastri in tronchi d’albero del diametro di 80-100 cm. Al suo interno, il tempio buddista ospita una statua di Budda alta ben 26 metri e la sua dimensione offre un’idea della imponenza della costruzione. Uno dei pilastri centrali mostra alla base un foro rettangolare della sezione di circa 25 cm x 40 cm; all’ingresso del foro, una lunga fila di bambini faceva pazientemente la coda per attraversarlo. Ho

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chiesto ai monaci presenti nel tempio informazioni sul rito del passaggio, ma mi hanno risposto che era un rito che ricordavano da sempre ma non ne conoscono origini e motivazioni, anche perché non è menzionato in nessuna delle tante pubblicazioni che si occupano del tempio. Anche in questo caso la religione ufficiale ignora il rito di origine pagana, come avviene per la pietra di San Vito, mai nominata ad esem- Pietra forata Kyoto (Foto Palamà) pio nelle Sante Visite effettuate dai Vescovi. In entrambi i casi, che si spera di portare con sé nella vita inoltre, si registra un atteggiamento non che ricomincia. Con il foglietto in mano solo passivo, ma attivo: a Calimera con si passa quindi attraverso il foro, poi lo la scelta del giorno della festa e con la si attraversa in senso inverso tornando realizzazione, nel tempo, di affreschi al punto di partenza. Una volta usciti, il sovrapposti, come fanno supporre i tre foglietto viene fissato su quelli già apdistinti strati di intonaco presenti sulla pesi alla pietra che quindi da lontano parete della pietra forata (sull’ultimo sembra tutta bianca per le centinaia di strato realizzato in ordine di tempo è an- biglietti che la ricoprono. E’ il rito procora visibile l’effigie di San Vito Mar- piziatorio della rinascita, che anche in tire). A Nara, la presenza attiva si è questo caso è ignorato formalmente concretizzata nell’apertura del foro alla dalla religione ufficiale, ma molto sebase del pilastro di legno, foro che non guito dagli stessi fedeli. può essere ovviamente preesistente al ______________ pilastro. E’ possibile che sia stato recuperato e perpetrato un rito preesistente, Nota dell’autore magari in forme analoghe. Il secondo dei riti propiziatori che ho ri- Le notizie riportate in questo articolo intetrovato nel Paese del Sol Levante esiste grano quelle contenute nel I° Quaderno in un santuario scintoista di Kyoto, ca- della Casa-museo nel quale, circa due anni pitale del Giappone prima che essa or sono, era stata indagata la diffusione nel fosse spostata a Tokyo. Nel cortile del mondo di riti analoghi all’attraversamento santuario esiste una pietra forata e la del foro nel monolite presente nella Capgente attraversa il foro due volte, se- pella di San Vito a Calimera. guendo una procedura particolare. Prima di passare attraverso il foro, che anche qui è a quota terreno, si prende da un tavolino, posto vicino alla pietra, un foglietto bianco dove al centro è stampata, dall’alto in basso, un’iscrizione in giapponese. Ai lati della scritta vi sono due bande bianche. Nella banda a sinistra del testo stampato occorre indicare gli aspetti non soddisfacenti della vita che si spera di cam(Foto Palamà) biare. A destra si annota ciò Colonna forata Nara

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Aja Mana

La prima preghiera in griko accolta dalla Curia

di Silvano Palamà

Ne è passato di tempo, da quando alla fine del Cinquecento l’Arcudi raccolse per il Papa le preghiere in greco nel Neon Antologhion. Dopo di allora scomparve pian piano il rito greco e con esso la liturgia, le preghiere, secondo una strategia morbida della Chiesa di Roma che, in applicazione dei dettami della Controriforma, cancellava segni di culto specifici, come quelli dei greci del Salento, a favore della omologazione più completa. Di acqua è passata sotto i ponti. Da una parte il popolo ha conservato tutta una serie di preghiere in griko (al Bambinello, a S. Pantaleo, il Pater Nostrum,), la Passione, ecc.; dall’altra, la Chiesa ufficiale ha scelto di ignorare tali fenomeni. Per conto proprio, alcuni religiosi e poeti ellenofoni hanno di tanto in tanto provato a riprendere o a comporre preghiere in greco, fino addirittura all’intera Santa Messa, ma il tutto era tacitamente sopportato, non ufficializzato né tantomeno promosso dalla Chiesa ufficiale. Ci ha provato Don Mauro Cassoni con Pracàliso min glòssa-su (prega colla tua lingua), E Aia Luturghìa (La santa Messa), con preghiere alla Madonna di Roca, a S. Brizio. Domenicano Tondi ha trascritto in griko la Liturgia in Ta Pràmata Teù (Le cose di Dio), recentemente pubblicata, ma comunque la Chiesa stava sempre a guardare, quasi “sopportando” la cosa, ma sostanzialmente ignorandola. Oggi è avvenuto qualcosa di nuovo. A settembre, la Curia Arcivesovile di Otranto, ad opera di Don Quintino Gianfreda, ha dato l’approvazione ecclesiastica ad una bella preghiera alla Madonna scritta in griko da Salvatore Tommasi. Aja Mana (Santa Madre) è composta di tredici quartine che seguono nella impostazione l’aspetto teologico ufficiale della Chiesa. Certo, il Concilio Vaticano II, la valenza preminentemente culturale del griko, i tempi maturi dell’interculturalità, la voglia diffusa di identità, la correttezza dei contenuti del canto, sono tutti fattori che hanno favorito e spiegano la decisione della Curia Otrantina, ma comunque l’avvenimento riveste grandissima importanza per la comunità grecosalentina e non solo. La Chiesa si riappropria ufficialmente della funzione formativa espressa nella lingua del popolo, ed usando il griko, assieme all’italiano ed al latino, offre un aiuto notevole alla conservazione e alla valorizzazione di lingua e cultura grika.

Aja Mana

Aja Mana, esù vloimmeni ise panta atto Teò: emì stèome oli nomeni ‘ttù sta pòddiasun ambrò.

Sa pedàcia su milume, a guaitàma esù na masi, ce st’ammàissu kanonume, ce sta chili, a’ ma jelasi.

Kanononta sti’ zoì ka diaike esù, noà kundu pu ènna vastattì passon ena pus emà.

Dopu jènnise, itti nitta, mes ti’ tzichra, mes to chioni, ce tze chari e’ citti spitta ‘sù cherùmeni kanoni,

Fèonta cino atto nerò osson ègguale krasì - kundu ide is tôste ambrò ce ius oli sosa’ pi.

Puru emì ittin visia ènna dòkome os adddhò, sto tikami, sti fatia, kundu p’èkame o Kristò.

Santa Madre

Santa Madre, benedetta tu da Dio sei sempre stata: e noi stiamo qui riuniti a pregare ai piedi tuoi.

Come i piccoli parliamo, raccontando i nostri guai, al tuo occhio poi chiediamo e alle labbra tue un sorriso.

a techùddhia atta koràfia pirte o asteri na fonasi, ce u’ Re Magu m’a krusàfia, i’ charassu na merasi.

Osservando la tua vita e le azioni che hai compiuto, dagli esempi tuoi impariamo e così ci comportiamo.

Ei stannù depoi, aja Mana, dopu pirte mo Pedì sto korasi ecì sti’ Kana ce esù tûpe: “En ei krasì”?

andò allora per i campi a chiamare i pastorelli, quella stella, ed i Re Magi, per dividere la gioia.

Ce iu puru pus emà esù teli: ‘s pa’ cerò na meràsome i’ charà ce o tzomì mon attechò.

Così pure tu da noi vuoi che sempre dividiamo ogni gioia con chi soffre e a chi ha fame il pane diamo.

Santa Madre, ti ricordi quando andasti con tuo Figlio alle nozze, in quel di Cana, e dicesti: “Non c’è vino”?

Lui dall’acqua fece il vino - e il miracolo ben vide chi gli stava più vicino e la festa continuò.

E così lo stesso aiuto a chi è in difficoltà anche noi dobbiamo dare come fece lì Gesù. Salvatore Tommasi

Partoristi quella notte con il freddo e con la neve, e felice poi ammirasti della grazia la scintilla:

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Approvazione ecclesiastica

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Lingua Grika: ciak si parla!

di Alfredo Melissano Pochi mesi fa con un articolo sulla nostra rivista il prof. Tommasi lamentava l’assenza di progetti audiovisivi capaci di documentare in modo adeguato una lingua importante e mai abbastanza difesa qual è il griko. Bene, a distanza di pochi mesi, siamo felici di annunciare che un importante progetto audiovisivo sulla minoranza grika salentina e greco-calabra, sviluppato da un giovane e affermato regista e sceneggiatore italogreco, Alessandro Spiliotopulos, c’è, e non è solo un semplice lavoro di documentazione, ma molto di più. Con questa intervista abbiamo voluto conoscere meglio l’autore e il suo progetto.

l’importanza di raccontare attraverso un occhio esterno, e nel contempo intimamente coinvolto, le attuali vicende di questa lingua. Ed in fine fare qualche accenno alla corrente culturale della “Grecità”, che è presente non solo in queste realtà, ma anche negli usi e costumi di tutto il meridione, pur in modo latente. Tutto questo progetto di certo può sembrare “audace”, sia per ampiezza che per complessità di adempimento degli obiettivi, ma, fortunatamente, ancora oggi si può trovare gente ricca di sogni e di voglia di realizzarli. E questo vale anche per gli ellenofoni.

tion sulla cultura greco-salentina e greco-calabra?

Grecìa salentina e tra i greco-calabri?

Appunto, volevo chiederle, che clima

Come nasce l’idea di una docu-fic- di collaborazione ha trovato nella L’idea iniziale, come spesso accade in questo campo, parte da delle ricerche e da inquietudini personali. Essendo italo-greco, vivendo tra questi due bellissimi Paesi e culture, ed avendo da sempre delle domande dentro di me che cercavano una risposta, era solo una questione di tempo scoprire ed innamorarmi delle due isole linguistiche di origine ellenica in Italia - cosa che avvenne diversi anni fa. Il successivo mio legame verso il mondo del cinema non poteva che far sbocciare in me, in modo spontaneo e graduale, un desiderio di unire queste due passioni. Lo stimolo iniziale è nato da un forte desiderio di fare qualcosa per la salvaguardia di questa lingua, e del suo bellissimo ed inestimabile patrimonio di tradizioni e cultura che, a quanto pareva, era “moribondo”. Entrando successivamente in contatto con le realtà ellenofone attraverso la conoscenza di persone fantastiche ed approfondendo la loro cultura nei vari aspetti, ho scoperto tanti altri motivi per i quali è necessario fare un film.

A livello individuale, sia nel Salento che in Calabria, il clima che ho trovato è, a dir poco, incoraggiante. La grande disponibilità mostratami da parte delle tante persone che ho incontrato in questi due luoghi è stata per me la conferma dell’importanza di questo progetto. Il loro entusiasmo è un incentivo a portarlo avanti, nonostante le immancabili difficoltà. Sotto il profilo delle istituzioni bisogna ancora lavorare parecchio per riuscire a “svegliare il gigante che dorme”. Ma, ormai, è risaputo giustamente che deve essere il cittadino ad attivare e migliorare i meccanismi istituzionali, e di certo non il contrario. Ma cos’è una docu-fiction ? Si è già cimentato in precedenza in un pro-

Che obiettivi si pone questo progetto?

Direi che sono molteplici e su vari fronti. Citandone solo alcuni: la documentazione della parlata grika e grecanica, registrare importanti testimonianze di queste genti, cercare di raccontare in un modo più informale, da quello che fin’ora è stato fatto in questo settore, la storia di queste due isole linguistiche, senza tralasciare

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Jhon Bishop e Alan Lomax

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getto del genere?

Il termine caratterizza un genere molto vasto pieno di tante sfumature. In poche parole, direi che si tratta di un film che sta in bilico tra la finzione ed il documentario. La docufiction utilizza tecniche narrative ed espressive proprie di entrambi i generi, a seconda delle scena e del messaggio che si vuol passare allo spettatore. Quindi per la vastità e la natura dei temi precedentemente accennati, credo che la docufiction sia un contenitore ideale. In passato ho avuto esperienze fiction e documentaristiche, e questo è il primo progetto di questo genere che vado a realizzare. Credo comunque che tutti i film, che siano essi documentari o di finzione, non appartengono mai rigorosamente ad una delle due categorie. Per questo la sfida sta nel saper miscelare elementi di realtà con una giusta dose di finzione e nel poter sposare in modo ottimale le informazioni con le emozioni, per dare allo spettatore gli stimoli giusti. Questo modo innovativo di divulgazione culturale può servire ad accrescere la conoscenza verso lingue che altrimenti sarebbero destinate a scomparire?

Prima di tutto bisognerebbe vedere su quali presupposti si basa la scomparsa di una lingua. Per il Griko ed il Grecanico è da tanto tempo che si canta la fine, ma sembra che trovino sempre il modo di sfuggire al ‘estremo traghettatore’ delle lingue viventi! A parte la battuta, sì, credo che una docufiction sia un ottimo veicolo sia per la sua modalità di fruizione immediata e l’universalità del suo linguaggio che per le possibilità, offerte dalle nuove tecnologie, di rivolgersi ad un pubblico di gran lunga più numeroso. Questo perché un film, come la poesia per il Foscolo, riesce a sconfiggere, anche se per due ore soltanto, uno dei più acerrimi nemici degli idiomi e delle loro culture: il Silenzio. Il non parlare e non sentire una lingua, il non trovarsi quotidianamente immersi in queste realtà culturali, rappresenta la vera condanna di ogni minoranza. Negli ultimi 4 decenni “boccate d’aria” al Grecanico e al Griko sono state date dalla musica, dalla poesia e dalla letteratura. È tempo che ora anche i film facciano la loro parte!


Eco-turismo

Il futuro della tradizione Con la venuta meno delle tradizionali frontiere e con lo sviluppo dei mercati globali, si è approdati alla globalizzazone (ovvero a quel fenomeno di progress), concetto che, sebbene avesse lasciato sperare a ben più alti scopi, ha finito con necessitare di un passo indietro (o in avanti che dir si voglia) là dove minacciava di destabilizzare le economie locali fino al cuore del più intimo tessuto culturale. Questo infausto destino dello “spazio globale”, è quello di uno spazio che si è dilatato a dismisura, tanto da non poterne intravvedere più i confini: illimitato e quindi a-nomico. Ora, fermo restando che la vita di ciascuno, non si concretizza solo su base temporale, ma anche su quella spaziale, l’uomo non può pensare di prescindere da un rapporto particolare con l’ambiente circostante. Se anticamente ogni popolo era intimamente e indistricabilmente legato alla sua terra, dalla quale traeva sostentamento e dalla quale ne riceveva. Oggi, a ben vedere, le cose non stanno più così. Quella legge non scritta dell’appartenenza - che richiamava l’odore primitivo della terra, che evocava l’istinto primordiale al possesso della zolla - si è poi convertita in legge scritta, ovvero nel ‘farsi’ sociale e civico, nella norma e nel diritto. Ma se è dunque nell’ originario rapporto di reciproca e viscerale collaborazione dell’uomo con la terra, che si collocano le radici del vivere civile, com’è possibile giustificare oggi questa al- terazione per la quale l’uomo sembri dimentico della sua radice territoriale? L’arida incapacità di concepire oggi la terra, come madre, come il bene primo e “nostro”, ha finito non solo con il rendere ciechi davanti alla nostra fonte di vita, quanto a tradurla piuttosto in bene sì, ma prettamente valoriale, ovvero intendibile come utile in termini strettamente economici. Ora, é sufficiente oggi la sola volontà per ingaggiare un cammino a ritroso

Cicloamici a Melpignano

(Foto Cicloamici)

alla riscoperta del più intimo dei nostri beni, o dobbiamo continuare a spacciare per modernità la debolezza ideologica che non permette di optare per linee di condotta costruttive, sacrificando i ciechi guadagni? A ben vedere, l’era monodimensionale dell’homo economicus, che già doveva dirsi sul far del tramonto a vantaggio di una maggiore complessità, perdura ancora in un reite-

Lago di bauxite - Otranto

di Emanuela Mangione rato contesto di globalizzazione, in un tempo che sembra essersi cristallizzato senza possibilità di svolta alcuna a causa di persistenti tentativi di arricchimento coatto e di politiche maldestramente speculative. Nessuno oggi è contro la modernità in quanto tale, né contro le tecnologia, a meno di non essere folli. Quello su cui piuttosto si intende discutere è se sia possibile solo dar vita a delle politiche che non dimentichino che i nostri beni sono sì dei valori, ma anche, e soprattutto, dei valori in senso trascendentale, umano, sentimentale, e non solo esclusivamente in senso materiale e ed economico. In questi ultimi anni dell’ambiente si è fatto un gran parlare, anche per quanto riguarda gli impatti turistici in termini di inquinamento, dando rilievo in molti casi all’urgenza di pianificare progetti e condotte più incentrati sulla salvaguardia e ottimizzazione delle risorse, attraverso una nuova forma di turismo consapevole, di turismo sostenibile, o che dir si voglia ecoturismo, in grado di porre maggiore attenzione e rispetto per le comunità locali e volto al recupero delle proprie tradizioni sto-

(Foto Cicloamici)

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riche. Sempre più frequentemente si verifica che, sia tra i mediatori turistici che tra i turisti, ci siano taluni che, senza rendersene conto, adottano prassi ecoturistiche, ed altri, che si proclamano dediti a questa “filosofia turistica”, promuovano solo qualche aspetto. L’ecoturismo, secondo una delle più rispettabili associazioni turistiche al mondo, l’Australia Ecotourism Association 1 è un “ turismo ecologicamente sostenibile che mette l’accento sulle esperienze nelle aree naturalistiche favorendo preservazione, apprezzamento e comprensione sia ambientale che culturale”. Ebbene è evidente che quando si parla di “turismo responsabile” si intende una vacanza nella quale si vivono le ricchezze ambientali e culturali di quel luogo, ma senza che esista una vera consapevolezza dell’effetto che il turismo possa avere in queste zone. Se turismo sostenibile ed ecoturismo appaiono quasi sinonimi, nella prima si delinea la figura del “turista responsabile”, ovvero del turista conscio dell’impatto che in termini economici il turismo può avere sulla popolazione locale.Nella definizione dell’ l’Australia Ecotourism Association, per “comprensione ambientale - culturale”, si fa riferimento a quel momento dell’incontro e dello scambio culturale tra l’ospite e l’ospitante la struttura deve garantire e può farlo per esempio attraverso escursioni organizzate con guide locali, o appositamente segnalate, e con mezzi poco impattanti per i luoghi (a piedi o in bici, ad esempio), garantendo la possibilità dell’acquisto di prodotti artigianali e gastronomici locali, del contatto e conoscenza delle usanze del luogo e della comunità ospitante. È in Europa che di fatto lo sviluppo sostenibile ha trovato terreno fertile per un’ampia diffusione. L’Europa turistica é ricchissima di offerte per i simpatizzanti di questa forma turistica, e le alternative in cui esso può declinarsi paiono numerosissime: dallo “Slow Food ”2 che intende pro-

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Cesine - Pista ciclabile chiusa e inutilizzata

muovere e valorizzare il cibo locale. Divenuta una vera e propria filosofia alimentare basata sul presupposto che la rieducazione ai sapori orienti al consumo di cibi più sani pone particolare attenzione alle modalità e alle scelte produttive degli stessi (in quanto la produzione locale permette di fornire quante più informazioni possibili sulle modalità di allevamento o di cultura, sull’uso di pesticidi o meno, sulla tipologia di mangimi utilizzati in allevamento ecc..) alla rete di piccole città nel sud-est del Regno Unito, le “Transition Towns” 3 , che stanno riconvertendo le modalità usuali di produzione e consumo in altre, che permettano, ad esempio, di non ricorrere all’uso di combustibili fossili. Strutture all’insegna di turismo eco-sostenibile si trovano anche in Italia che operando nel loro piccolo fanno scelte importanti come il risparmio energetico utilizzando lampadine ed elettrodomestici a basso consumo elettrico, consigliano ai clienti un utilizzo consapevole dell’acqua per evitare sprechi, si adoperano nella riduzione dei rifiuti e nella loro raccolta differenziata e Salento in bici

(Foto Cicloamici)

propongono ai clienti soluzioni alternative ai mezzi di trasporto privato per le visite di piacere, registrando un altissimo grado di apprezzamento da parte clienti (customer soddisfation). Tuttavia, sebbene la coscienza sociale abbia fatto grandi passi avanti relativamente alle tematiche legate al turismo, il nostro ordinamento manca ancora di strumenti di supporto adeguati, ed in particolare nel nostro Salento. Sebbene si registri una sempre crescente attenzione da parte degli operatori turistici e degli enti locali, circa la tutela e valorizzazione dei prodotti tipici e di tradizione che costituiscono i veri tesori dell’economia locale. A dispetto di quanto spesso si crede, questa nuova tipologia di turismo può contribuire alla conoscenza e alla tutela persino del patrimonio architettonico contadino e rurale. È proprio attraverso la creazione di attività volte al rispetto dei luoghi e delle tradizioni che possiamo conciliare e riscattare l’esigenza di uno sviluppo di un’economia più giusta e attenta alla saggezza antica altrimenti destinata a scomparire.

______________ NOTE

Per maggiori approfondimenti visitare il sito: www.ecoturismoitalia.it 2 www.slowfood.it 3 www.transitiontowns.org __________________ 1

SITOLOGIA http://www.cicloamici.it/ http://www.fiab-onlus.it/

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Il velo e lo sguardo

Per Carmine Zizzari

Uno degli ultimi lavori di Carmine Zizzari. Un autoritratto. Il luogo della riflessione sul senso e sui limiti della propria “identità”. Identità? Andiamo con calma. I tratti con cui il corpo e il volto sono “rappresentati” colpiscono immediatamente l’”osservatore”. Egli è affascinato, quasi stordito direi, da un orizzonte in cui si distende il silenzio dolcissimo di una pace infinita. Non si avverte la pesantezza con cui le cose affondano nello spazio. Il loro cadere nello spazio. C’e’ solo una luce. Finalmente la luce. Il corpo risplende. E’ trasceso dalla sua stessa profondità. La luce del corpo. Del proprio corpo. Una luce che sfugge alla forza di gravità dell’inconscio, alla sua terribile voracità. E’ tutto quello che si riesce a vedere. La cosa che più colpisce intendo. Ma di quale luce vuole parlarci Carmine? Guido Aristarco ha scritto una volta che “ogni arte è un gioco con il caos”. Carmine direbbe che è un gioco con la luce. Credo che egli cerchi in questo dipinto di “documentare” la sua riflessione sul sé o meglio la storia di questo percorso alla ricerca del senso del sé. Significa “identità” essere “identici-a-sestessi” o forse essa è solo un abisso dove l’ uomo raccoglie l’ eco delle sue grida? E’ forse un autoritratto il modo più “ragionevole” per chiarire l’ equivalenza tra ciò che il pittore “ e’ ’” e quello che gli altri pensano che lui “sia”? E’ la luce che vediamo solo un “riflesso”? E se non “è” un riflesso, da dove nasce? E’ forse qualcosa che il corpo naturalmente “possiede”? Tutte queste domande riposano negli anfratti silenziosi di questo lavoro. Non ho nessuna voglia di provare a trovare delle risposte. Anche perché queste domande non sono rivolte a chi guarda, ma a chi si ostina a pensare mentre guarda. Se lasciamo stare per un istante il turbine frivolo di pensieri che ci assale mentre “vediamo la luce”, allora “riusciremo veramente a vedere”. Ma vedere

“cosa”? Potrei continuare a lungo, però non credo riuscirei a chiarire appieno il senso di ciò che in realtà Carmine vuole rivelarci. Egli ci sta parlando della “bellezza” o della “bellezza delle bellezze”, come direbbe un altro esploratore dell’anima umana, un altro soletano. Spesso mi è capitato d’incontrare Carmine di notte, mentre tornavo a piedi dal lavoro. Una volta lo vidi seduto su una panchina. Ricordo la risposta che diede alle mie insistenti domande circa la ragione del suo starsene lì a quell’ora così tarda: “Non riescu dormu”. Ecco, lo sguardo che accompagnava queste parole è lo sguardo che poi ho ritrovato nel suo autoritratto. E’ lo sguardo dell’insonne Emil Cioran mentre passeggia di notte nelle strade di Montmartre a Parigi, di Giovanni Drogo ne “Il Deserto dei Tartari” di Buzzati, de “ I sette impiccati” nello straordinario racconto di L. N. Andreev, del cavaliere Antonius Block nel “Settimo Sigillo” di Ingmar Bergman e di mille visionari e mille visioni che punteggiano l(a)’ (insonne) storia segreta del mondo. Poi non dicemmo più nulla. Però lo sguardo lo ricordo ancora. Esso non mi “guardava”, ma “si” guardava. Era un velo che annunciava il desiderio dis-velarsi, senza mai farlo. Ma non è forse proprio questo il

Carmine Zizzari - Autoritratto

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di Cosimo Mangione segreto del bello, il segreto stesso della vita, il segreto del linguaggio? E’ proprio vero quello che affermava Walter Benjamin quando scriveva che nel “disvelamento il velato si trasforma” e “che esso rimarrà uguale a se stesso solo sotto l’involucro.” Il “sé” che si rivela nell’autoritratto di Carmine è il sé stesso velato proprio nell’atto del suo manifestarsi. E la luce di cui parlavo all’inizio? E’ essa un velo? O forse è solo la stoffa di cui è fatto il velo? Vedete. Lo scrivevo già prima. Non si possono trovare risposte a queste domande. La luce esiste solo nello sguardo autentico. Nella conoscenza da “cuore a cuore” come direbbero i buddisti, nell’attesa senza attese. Lì la luce ci raggiunge e ci accorgiamo di essere - spero ora di non ferire alcuni sensibili lettori - ci accorgiamo dicevo, d’essere felici. In quel momento scopriamo di aver compreso qualcosa d’essenziale. Guardando ancora una volta l’autoritratto di Carmine notiamo come il suo volto accenni un “fugace” sorriso. Una luce. O forse solo il rumore di un velo che cade ai nostri piedi. Penso al sermone del fiore. Buddha mostra all’assemblea dei monaci riuniti per ascoltarlo un fiore e rimane in silenzio. Solo Mahakashyapa sorride. E’ l’unico ad aver capito. Grazie Carmine.

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Dati Arpa Puglia

Campagna di monitoraggio qualità dell’aria nel comune di Soleto Dall’ 11/04/2008 per 42 giorni l’ARPA Puglia ha condotto, su richiesta dell’Amministrazione comunale di Soleto, una campagna di monitoraggio sulla qualità dell’aria. Nel mese di settembre l’ARPA Puglia ha pubblicato il rapporto finale. Ne diamo una breve sintesi circa i punti salienti. Su valutazioni dei tecnici ARPA il laboratorio mobile è stato posizionato in via Napoli poiché presentava ‘caratteristiche analoghe a quelle di una stazione di monitoraggio suburbana’e, recita il rapporto, ‘nel Comune di Soleto non sono presenti insediamenti produttivi tali da generare pressioni rilevanti sull’atmosfera. Allo stesso modo, per le limitate dimensioni del comune, l’impatto delle attività civili o del trasporto è da considerarsi limitato. Nel limitrofo comune di Galatina, al contrario, è presente un impianto per la produzione di cemento della ditta COLACEM S.p.A. Questa tipologia di impianti utilizza nel processo svariate tipologie di combustibili e può dar luogo a rilevanti emissioni inquinanti le cui ricadute al suolo, in funzione delle condizioni meteorologiche, possono interessare aree più o meno distanti dal punto di emissione.’ Inquinanti monitorati

Il laboratorio mobile è dotato di analizzatori automatici per il campionamento e la misura in continuo degli inquinanti chimici individuati dalla normativa vigente in materia, ovvero: monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), biossido di zolfo (SO2), ozono (O3), benzene, toluene, o-xilene (BTX), PM10. Parametri meteorologici rilevati

Il laboratorio mobile permette inoltre la misurazione dei seguenti parametri meteorologici: temperatura (°C), Direzione Vento Prevalente (DVP), Velocità Vento prevalente (VV, m/s), Umidità relativa (%), Pressione atmosferica (mbar), Radiazione solare globale (W/m2), Pioggia (mm). Riferimenti normativi

Si fa riferimento al D. M. 60/02 per PM10, CO, NO2 e Benzene e al D. Lgs. 183/04 per l’ozono. CONCLUSIONI

Gli unici superamenti misurati durante la campagna di monitoraggio sono quelli relativi all’ozono e al PM10. Per l’ozono è stato superato 9 volte il valore limite per la protezione della salute umana, fissato dal D. Lgs. 183/04. È da sottolineare che valori di ozono elevati sono frequenti nei territori caratterizzati da forte irraggiamento solare, quale è la nostra regione. L’ozono nella parte bassa dell’atmosfera si forma infatti per reazioni tra altre sostanze, dette precursori. Queste reazioni sono catalizzate dalla radiazione solare e, pertanto, nelle regioni geografiche caratterizzate da forte irraggiamento solare valori alti di ozono, soprattutto nella stagione estiva, sono attesi. I 5 superamenti di PM10, invece, si sono avuti nei giorni 11, 12, 19, 20 e 21 aprile 2008, giornate caratterizzate da fenomeni di trasporto di masse dal Sahara (Saharan dust) su tutto il territorio regionale. ARPA ha infatti registrato superamenti in tutte le stazioni fisse che gestisce (cfr. www.arpa.puglia.it), per cui il fenomeno rilevato è in linea con quanto è accaduto nelle altre stazioni collocate nel Salento e non risulta localizzato. A tal proposito è utile ricordare che l’andamento delle concentrazioni di PM10 in atmosfera è regolata da variabili di carattere meteorologico, tanto che in siti di monitoraggio distanti tra loro ma appartenenti alla stessa regione geografica si riscontrano valori di concentrazione paragonabili. A partire dal 22 aprile, infine, i valori registrati sono sempre stati bassi. In conclusione è possibile asserire che, limitatamente alla durata della campagna di monitoraggio, non sono state rilevate situazioni di criticità. NOTA DI REDAZIONE

I rilevamenti effettuati dall’ARPA PUGLIA non prevedono monitoraggi su inquinanti costituiti da nanoparticelle, difatti la legge in vigore non prevede nessun controllo e nessun limite alla produzione e alla concentrazione in atmosfera del particolato ultrafine. Il PM10, rispetto alle nanoparticelle, è cento/mille volte più grande. Le nanoparticelle sono polveri ultrasottili (milionesima/miliardesima parte di metro) prodotte da ogni tipo di combustione fatta ad alta temperatura (dai 1000°C in su) e praticata da inceneritori, centrali a carbone, centrali a olio combustibile, cementifici, acciaierie, motori a scoppio delle automobili. Svariate ricerche a livello internazionale (vedi http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) effettuate negli ultimi anni hanno evidenziato la stretta relazione tra tali sostanze e l’insorgenza di neoplasie.

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Mappa sito rilevamento


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