Antologia Socialista

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ANTOLOGIA SOCIALISTA 1857 - 1982 Antologia Socialista è la versione digitale dell’opera realizzata dal PSI intitolata ”Partito socialista: antologia” (digitalizzazione a cura di Michele Ragone – editing by Luca Guglielminetti)

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SOMMARIO: DAL TESTAMENTO POLITICO DI CARLO PISACANE APPELLO ALLE OPERAIE D'ITALIA ANDREA COSTA: LETTERA AI MIEI AMICI DI ROMAGNA PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALISTA RIVOLUZIONARIO DI ROMAGNA DECALOGO DEI CONTADINI SOCIALISTI MANTOVANI COME NACQUE L'INNO DEI LAVORATORI. LE PAROLE DELL’INNO DEI LAVORATORI SCRITTE DA FILIPPO TURATI

Antologia3 PREFETTURA DI MILANO: INFORMATIVA RISERVATA SU FILIPPO TURATI IL PROGRAMMA MINIMO APPROVATO AL VI CONGRESSO SOCIALISTA FILIPPO TURATI: LA VIA DEL RIFORMISMO ARGENTINA ALTOBELLI: IL PRIMO CONGRESSO DELLA FEDERTERRA GAETANO SALVEMINI: LE DUE ANIME DEL SOCIALISMO IN OGNI COMUNE UNA CASA DEL POPOLO GIUSEPPE MODIGLIANI: GIÀ GERMOGLIA IL SOCIALISMO

ANTONIO LABRIOLA: L'AIUTO CHE CHIEDIAMO AI SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI

PER LA LAICITÀ DELLA SCUOLA

APPELLO PER IL PRIMO MAGGIO AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE D'ITALIA

ANTONIO VERGNANINI: IL RUOLO DELLE COOPERATIVE

FILIPPO TURATI: DA “CUORE E CRITICA” ALLA “CRITICA SOCIALE” ANNA KULISCIOFF: IL PROBLEMA DEL LAVORO FEMMINILE

ANNA KULISCIOFF: PROLETARIATO FEMMINILE E PARTITO SOCIALISTA

IL PATTO DIUNITÀ D'AZIONE TRA PSI E PCI CARLO ROSSELLI: OGGI IN SPAGNA DOMANI IN ITALIA PIETRO NENNI: COSE VISTE IN SPAGNA Antologia6 SANDRO PERTINI: OGNI GIORNO CI GIOCAVAMO LA VITA

EUGENIO COLORNI: I SOCIALISTI E LA FEDERAZIONE EUROPEA

15 APRILE 1919: I FASCISTI INCENDIANO L’AVANTI!

I FASCI SICILIANI E LA REAZIONE CRISPINA

FILIPPO TURATI: RIFARE L’ITALIA

L'ESPULSIONE DEGLI ANARCHICI DALLA SECONDA INTERNAZIONALE

PIETRO NENNI: DIECI ANNI DI ESILIO

IL MANIFESTO DI ZIMMERWALD

Antologia2

EDMONDO DE AMICIS: SIGNIFICATO DELLA PAROLA "COMPAGNO"

GIACOMO MATTEOTTI DIECI ANNI DOPO

IL NUOVO PATTO DI UNITÀ D'AZIONE TRA IL PSI E PCI

APPELLO ALLA RESISTENZA DOPO CAPORETTO

LA NASCITA DELL’ "AVANTI!": LEONIDA BISSOLATI: DI QUI SI PASSA

SANDRO PERTINI: DI LUI PARLERÀ UN GIORNO LA STORIA

APPELLO DEL PSI CONTRO LA GUERRA

GENOVA 1892: PROGRAMMA E STATUTO DEL PARTITO DEI LAVORATORI ITALIANI

IL PROGRAMMA MINIMO DEL 1895: RIFORME POLITICHE ECONOMICHE AMMINISTRATIVE

PIETRO NENNI: NE' DITTATURA FASCISTA, NE’ BUROCRAZIA COMUNISTA

DICHIARAZIONE POLITICA DEL PSIUP

IL PROGRAMMA SOCIALISTA PER IL DOPOGUERRA

BILANCIO SOCIALISTA PER IL 1895

LA CARTA DELL’UNITÀ SOCIALISTA

Antologia4

DAL PROGRAMMA DELLA LEGA SOCIALISTA MILANESE

DECRETO DI SCIOGLIMENTO DEL PARTITO DOPO I FASCI SICILIANI

COMPITI DELLA CONCENTRAZIONE ANTIFASCISTA

L’IMPEGNO DELLE DONNE SOCIALISTE NEGLI SCIOPERI DEL DOPOGUERRA FILIPPO TURATI: VOI COMUNISTI UN GIORNO PERCORRERETE LA NOSTRA VIA.. PIETRO NENNI: CONTRO LA LIQUIDAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA L'AGONIA DELLE COOPERATIVE SOTTO IL FASCISMO GIACOMO MATTEOTTI: IL NEMICO E UNO SOLO IL FASCISMO

DISEGNO DI LEGGE SUI CONSIGLI DI GESTIONE RODOLFO MORANDI: LETTERA APERTA Al COMPAGNI COMUNISTI PIETRO NENNI: VENTO DEL NORD PROGRAMMA DELL’ISTITUTO DI STUDI SOCIALISTI RODOLFO MORANDI: PER L'AVVENIRE DEL MEZZOGIORNO PIETRO NENNI: UN CALCOLO SBAGLIATO DI TOGLIATTI RODOLFO MORANDI: PER L'UNITÀ DEL PARTITO PIETRO NENNI ASSURDITÀ DI UNA SCISSIONE LA CARTA COSTITUENTE DEL FRONTE POPOLARE PIETRO NENNI: MEDITAZIONI SU UNA BATTAGLIA PERDUTA

EMILIO CALDARA: IMPRESSIONI DI UN SINDACO DI GUERRA

Antologia7

COOPERAZIONE E SOCIALISMO

RIVENDICHIAMO LA DIGNITÀ DEL POPOLO

RICCARDO LOMBARDI: PROSPETTIVA 1949

CAMILLO PRAMPOLINI LA PREDICA DI NATALE

CARLO ROSSELLI: AUTOCRITICA, NON DELAZIONE

LE RAGIONI DELL’AUTONOMIA SOCIALISTA

L'AZIONE DEI SOCIALISTI NEI PICCOLI COMUNI

Antologia5

RODOLFO MORANDI: UN PARTITO SERIO OLTRE CHE FORTE

CLAUDIO TREVES: RITRATTO DI GIOLITTI

SANDRO PERTINI: LA FUGA IN FRANCIA DI FILIPPO TURATI VERA MODIGLIANI: VITA DI ESILIO

PIETRO NENNI: I PRIMI PASSI DELLA DISTENSIONE PIETRO NENNI: I RAPPORTI CON LA DC


RODOLFO MORANDI: IL DIALOGO COI CATTOLICI

FRANCESCO DE MARTINO: I PROBLEMI DELLA UNIFICAZIONE

IL PARTITO E LA QUESTIONE FEMMINILE

APPELLO DEL PSI AL PAESE

PIETRO NENNI: IL SEGNO DELLA PRESENZA SOCIALISTA

CLAUDIO SIGNORILE: LE CONDIZIONI PER UN PROFONDO CAMBIAMENTO

PIETRO NENNI: LA CORRENTE PURA E LA SPORCA SCHIUMA RODOLFO MORANDI: A VOI COMPAGNI MI RIVOLGO FIDUCIOSO...

FRANCESCO DE MARTINO. PORTIAMO CON NOI UNA GRANDE EREDITÀ

I VALORI DELLA INTERNAZIONALE SOCIALISTA

IL FILO ROTTO A BUDAPEST

GIACOMO BRODOLINI: DA UNA PARTE SOLA, DALLA PARTE DEI LAVORATORI

BETTINO CRAXI: UNA CHIARA POSIZIONE NELL’AMBITO DELLA SINISTRA

DALLA RISOLUZIONE FINALE DEL CONGRESSO DI VENEZIA

FRANCESCO DE MARTINO: EQUILIBRI PIU' AVANZATI

BETTINO CRAXI: I SOCIALISTI E IL CASO MORO

FERNANDO SANTI. I SOCIALISTI E L'EMIGRAZIONE

GIACOMO MANCINI: GLI INSEGNAMENTI DEL CENTRO SINISTRA

BETTINO CRAXI: OTTAVA LEGISLATURA

PIETRO NENNI: I DOVERI VERSO LA DEMOCRAZIA

Antologia9

PIETRO NENNI: L'ALTERNATIVA DI RINNOVARSI O DI PERIRE

PROPOSTE PER UN PROGRAMMA PER LE DONNE

GIACOMO MANCINI: IL RUOLO DETERMINANTE DEI SOCIALISTI

BETTINO CRAXI: L'INSEGNAMENTO DI PIETRO NENNI

Antologia8

FRANCESCO DE MARTINO: NECESSITÀ DI CAMBIARE I RAPPORTI DI FORZA

GIORGIO BENVENUTO: IL NUOVO RUOLO DEL SINDACATO

RICCARDO LOMBARDI: L’INTERVENTO PUBBLICO IN ECONOMIA PIETRO NENNI: L'ITALIA HA BISOGNO DEI SOCIALISTI FRANCESCO DE MARTINO: I COMPITI DEL CENTRO SINISTRA RICCARDO LOMBARDI: CENTRO SINISTRA E RIFORME DI STRUTTURA

RINO FORMICA: RINNOVARE IL PARTITO GIACOMO MANCINI: PER UN PARTITO APERTO AL NUOVO PER IL RILANCIO DELL’ALTERNATIVA SOCIALISTA RICCARDO LOMBARDI: RIFORME E CONSENSO

ANTONIO GIOLITTI: LA CRISI DELLE IDEOLOGIE

LA CONCEZIONE SOCIALISTA DEL PARTITO

LA CARTA DELLA UNIFICAZIONE SOCIALISTA

BETTINO CRAXI: IL VANGELO SOCIALISTA

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UN PARTITO LAICO E PRAGMATICO AGOSTINO MARIANETTI: PROGRAMMAZIONE E STRATEGIA SINDACALE VALDO SPINI: OFFRIRE PROSPETTIVE AL NEGOZIATO CLAUDIO MARTELLI: ALLA RADICE DEL FENOMENO TERRORISMO L’ISTITUTO SOCIALISTA DI STUDI STORICI


mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro Paese e del mondo intiero...

DAL TESTAMENTO POLITICO DI CARLO PISACANE

Carlo Pisacane (pubblicato su "L'Italia del Popolo" di Genova il 2 agosto 1857)

Pur non potendo essere considerato fra i precursori del pensiero socialista, il nome di Carlo Pisacane occupa un ruolo particolare nella tradizione storica del Partito. Ne fa fede questo giudizio di Nenni a commento del testamento politico che Pisacane scrisse prima di imbarcarsi per la spedizione di Sapri: "Pisacane è stato il primo socialista italiano. In un periodo in cui le idee sociali erano diffuse in Francia e il marxismo si apriva la strada in Germania, ma nel quale le élites italiane non si appassionavano che al problema nazionale, Pisacane, associava già i problemi politici ai problemi sociali". (da Pietro Nenni, "Garibaldi", Milano 1961).

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APPELLO ALLE OPERAIE D'ITALIA "Vogliamo che la nostra vita non sia più alla mercè del caso e dei capricci degli uomini, ma possiamo vivere invece libere e uguali": potrebbe essere un appello al l'emancipazione femminile compilato al giorni nostri, per la modernità della visione e delle richieste che contiene. E' comparso invece nel 1876 su "La Plebe" ed è firmato dall'Associazione femminile di Firenze. Già da allora le donne dimostravano di avere individuato il nodo centrale della questione femminile: il doppio sfruttamento che la società opera nei loro confronti. Il primo nelle fabbriche, il secondo dentro casa.

Nel momento d'avventurarmi in una intrapresa risicata, voglio manifestare al Paese la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire i vinti. I miei principi politici sono sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo, ma ad un socialismo diverso dai sistemi francesi, tutti più o meno fonda i sull'idea monarchica e dispotica, che prevale nella nazione: esso è l'avvenire inevitabile e prossimo dell'Italia e fors'anche dell'Europa intiera. Il socialismo, di cui parlo, può definirsi in queste due parole: libertà e associazione... lo sono convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i migliora. menti dell'industria, tutto ciò finalmente che sviluppa e facilita il commercio, è da una legge fatale destinato ad impoverire le masse fino a che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti, ma li accumulano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non esser altro che decadenza. lo sono convinto che l'Italia sarà grande per la libertà o sarà schiava... Per mio avviso la dominazione della casa Savoia e la dominazione della casa d'Austria sono precisamente la stessa cosa. lo credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all'Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando Il. lo credo fermamente che se il Piemonte fosse stato governato nello stesso modo che lo furono gli altri Stati italiani, la rivoluzione d'Italia sarebbe a quest'ora compiuta... Le cospirazioni, i complotti, i tentativi di insurrezione sono, secondo me, la serie dei fatti per mezzo dei quali l'Italia s'incammina verso il suo scopo, l'unità. L'intervento della baionetta di Milano ha prodotto una propaganda molto più efficace che

Compagne, vittime, come noi, dei privilegi e dei pregiudizi; mantenute, come noi, nell'ignoranza e dannate ad un lavoro che ci sfinisce e non ci sfama, voi vorrete, crediamo, prestar orecchio amichevole alle nostre parole; e, seguendo il nostro esempio, unirvi e associarvi, perché la causa degli oppressi è dappertutto la medesima; i loro diritti sono gli stessi dappertutto; e, per farli efficacemente valere, dobbiamo dappertutto adoperarci. Che cosa vogliamo noi? Null'altro, se non quanto dobbiamo avere; quanto la natura ci diede e la società ci nega. Vogliamo che i nostri diritti di esseri umani siano riconosciuti; la nostra dignità rispettata; il nostro affetto e il nostro ufficio di donne dovutamente apprezzati; la libertà e la vita nostra assicurate mediante il nostro lavoro. Ma non è pertanto l'emancipazione borghese della donna quella che desideriamo; ma l'emancipazione umana: la stessa per la quale gli operai di tutto il mondo si associano oggi per combattere domani. Vogliamo che - i frutti del nostro lavoro essendoci assicurati - la nostra vita non sia più alla mercé del caso e dei capricci degli uomini; ma possiamo vivere invece libere ed eguali. Vogliamo amare: essere compagne affettuose degli uomini, cui la nostra inclinazione ci spinge; essere loro alleate nelle lotte che avranno a sostenere contro ai privilegi; ma non esserne schiave. Sappiamo che uomini e donne di cuore si adoprano perché i regolamenti sulla prostituzione siano tolti e perché la prostituzione sparisca, quasiché a togliere una istituzione viziosa bastasse il desiderarlo.

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Ammiriamo i loro sforzi ma non crediamo nella loro efficacia. La prostituzione, avendo ragione d'essere nell'attuale organamento della società e della famiglia, a questa è talmente legata che la soluzione della Questione Sociale soltanto, in cui quella della prostituzione si comprende, ce ne può sbarazzare. Nell'emancipazione del lavoro sta la soluzione della Questione Sociale. La emancipazione, adunque, del lavoro: ecco quanto dobbiamo proporci. E perché l'Associazione Internazionale si adopera a quest'oggetto, ci siamo dichiarate dell'internazionale; e invitiamo le operaie d'Italia a fare altrettanto. Compagne, unitevi a noi. La società del presente ci ha detto: o soffri la fame o venditi. La società dell'avvenire ci dirà: Vivi, lavora ed ama.

oggi a noi stessi le medesime accuse che facevamo ai Mazziniani nel '71 e nel '72. Quando non si va avanti, si va necessariamente indietro: io credo che noi vogliamo tutti andare avanti... Ma i tentativi di rivoluzione falliti avendoci privati per anni interi della libertà, o avendoci condannati all'esilio, noi ci racchiudemmo troppo in noi stessi e ci preoccupammo assai più della logica delle nostre idee e della composizione di un programma rivoluzionario che ci sforzammo di attuare senza indugio, anziché dello studio, delle condizioni economiche e morali del popolo e de' suoi bisogni sentiti ed immediati. Noi trascurammo così fatalmente molte manifestazioni della vita, noi non ci mescolammo abbastanza al popolo... Noi dobbiamo fare assai più di quel che facemmo sino ad ora; ma in sostanza dobbiamo restare quel che fummo: un partito di azione. Ingenuo chi crede che le classi privilegiate vogliano cedere d'amore e d'accordo i loro privilegi! Ogni diritto ed ogni libertà umana fu pagata sempre e si pagherà, chissà per quanto tempo ancora, a prezzo di sangue; e la questione fra la borghesia e il proletariato, non per avidità di sangue nostro o per amore di stragi e di saccheggi, che non vagheggiamo mai, ma per fatalità storica si risolverà violentemente. La borghesia stessa, non dubitatene, prepara la rivoluzione. Ma essere un partito d'azione non significa voler l'azione ad ogni costo e ad ogni momento. La rivoluzione è una cosa seria. Se vi sono fra noi uomini, che per il loro carattere e le loro convinzioni particolari sono sopra tutto dediti all'azione, tanto meglio: essi saranno le nostre sentinelle perdute e ci impediranno d'ammollirci; ma il programma ristretto di alcuni non potrebbe essere il programma di tutti. Un partito deve comporsi di elementi diversi che si compiano a vicenda. Ed un partito come il nostro che si propone di affrettare la trasformazione inevitabile delle condizioni sociali e dell'uomo - che s'inspira alla scienza - che non vede limiti al suo svolgimento - che non si occupa solo degli interessi economici del popolo, ma vuole soddisfare tutte le sue facoltà intellettuali e morali, oltre al proletariato - uomini e donne - deve necessariamente comporsi della gioventù, dei pensatori e delle donne della borghesia a cui l'attuale stato di cose riesce odioso e che desiderano maggiore giustizia nei rapporti sociali: esso deve infondere nell'uomo uno spirito nuovo e - per quanto lo permettono le tristi condizioni sociali in cui viviamo e la cattiva educazione che abbiamo tutti ricevuta - dare À suoi membri quella forza e quella vita morale che li renderà un esempio vivente di vita nuova.

(Da "La Plebe", 15 ottobre 1876) §§§

ANDREA COSTA: LETTERA AI MIEI AMICI DI ROMAGNA Questo documento testimonia la svolta compiuta da Andrea Costa nel 1879, che ha aperto una fase nuova nel movimento operaio italiano. Riconosciuto capo degli internazionalisti italiani, Costa era stato, dal congresso di Rimini in poi, nelle file dell'internazionale anarchica; la sua opera di propaganda e di diffusione di tipo cospirativo gli aveva procurato oltre a vari arresti e processi anche una grande fama e un indiscusso prestigio. Con questa lettera, Costa critica l'azione anarchica svolta fino ad allora, non rinnegando il passato, ma ponendo l'esigenza di un rinnovamento per superare il settarismo cospirativo e l'insurrezionismo e arrivare all'enunciazione di un programma pratico di intervento. "Mescolarsi di più al popolo" studiarne più da vicino i bisogni e le condizioni, questa è secondo Costa, la prima strada da percorrere. Miei cari amici! Noi ci troviamo, alla vigilia di un rinnovamento. Noi sentiamo quasi tutti che ciò che abbiam fatto fino ad ora non basta più a soddisfare né la nostra attività, né quel bisogno di movimento senza cui un partito non esiste: noi sentiamo insomma che dobbiamo rinnovarci o che i frutti del lavoro che abbiam fatto fin qui saran raccolti da altri. lo sono ben lungi dal negare il passato. Ciò che facemmo ebbe la sua ragion d'essere; ma se noi non ci svolgessimo, se non offrissimo maggior spazio alla nostra attività, se non tenessimo conto delle lezioni che l'esperienza di sette od otto anni ci ha date, noi ci fossilizzeremmo: noi potremmo fare

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Non pensiamo che basti gettare al popolo il grido del "pane" per sollevarlo. Il popolo è di natura sua idealista e non si solleverà se non quando le idee socialistiche abbiano per lui il prestigio e la forza di attrazione che ebbe un tempo la fede religiosa... La rivoluzione è inevitabile; ma l'esperienza ci ha, credo, dimostrato che non è affare né di un giorno né di un anno. Perciò, aspettando e provocando il suo avvenimento fatale, cerchiamo quale è il programma generale intorno a cui si raccolgono tutte le forze vive e progressive della generazione nostra. Coraggio adunque! Pensate quanti tentativi falliti prima che l'indipendenza d'Italia si compisse; e non isgomentiamoci se fino ad ora non ottenemmo tutto quello che avremmo voluto. Prepariamoci ad ottenere maggiormente. Grande compito è il nostro, o amici; e il momento di attendervi è propizio. Il movimento di pacificazione fra le diverse fazioni di socialisti, incominciato al Congresso di Gand, si va operando, grazie soprattutto alle persecuzioni internazionali dei governi. I vari partiti socialisti desistono dalle loro pretensioni assolute e, in luogo di cercare la divisione, si cerca dappertutto il contatto fraterno perché si sente che s'avvicina un tempo in cui dovremmo disporre di tutte le forze nostre. Gli uomini, conosciutisi meglio, cominciano a stimarsi; e, se non vanno compiutamente d'accordo, non ricominceranno giammai le polemiche dolorose degli anni passati. Le idee e il sentimento umano che si svolge ogni giorno di più in noi ci animano alla lotta. All'opera dunque! All'opera! Mi farete cosa grata se mi direte il vostro parere su quel che ho esposto; e, nella speranza di rivedervi presto, vi stringo fraternamente le mani. Il vostro Andrea Costa

importanza nella storia dello sviluppo delle Idee socialiste in Italia. Il programma oltre a mettere particolarmente in luce i caratteri etici del Socialismo, abbandona la consueta formula dell'enunciazione delle aspirazioni e si sforza soprattutto di evidenziare i campi dove più intenso dovrà essere il lavoro dei socialisti: in economia con l'acquisizione della proprietà collettiva della terra e dei mezzi di lavoro, in politica con il riconoscimento dei diritti civili e politici, in campo intellettuale e politico per l'emancipazione delle nuove generazioni. ... Avendo constatata, la molteplice soggezione della classe lavoratrice, noi constatiamo, altresì, che, per porvi un termine, occorrono: l. Economicamente: La Proprietà collettiva (o sociale) della terra, delle miniere, degli strumenti da lavoro, delle vie di comunicazione, degli edifizi, di tutto ciò, insomma, che è capitale sociale o mezzo di lavoro. La proprietà collettiva dei mezzi di lavoro (terra, capitali ed altro) metterà il lavoratore in grado di impiegare le sue forze senza dipendere da un padrone, che gli tolga la maggior parte di quello che produce. Il lavoratore, avendo, così, ampiamente assicurata, per mezzo del lavoro, la sua esistenza materiale e la sua indipendenza economica, sarà in grado di fruire di tutti i benefizi e di tutte le libertà sociali: l'emancipazione economica essendo la condizione essenziale di ogni libertà e di ogni svolgimento umano. La proprietà collettiva, l'organamento del lavoro e la distribuzione dei prodotti del lavoro medesimo assumeranno quella forma, che sarà suggerita dalle condizioni generali delle popolazioni, presso cui s'instituiranno. Noi pensiamo, frattanto che il collettivismo, cioè la proprietà collettiva (corporativa, comunale, nazionale, internazionale) dei soli mezzi di lavoro, ovvero anche delle cose di maggior necessità, sarà la prima forma, in cui si verrà incarnando la evoluzione economica: fino a che, aumentata indefìnitivamente la produzione e resa capace di bastare ampiamente a tutti, possa stabilirsi anche la proprietà collettiva dei prodotti del lavoro collettivo, cioè il comunesimo. 2. Politicamente: Riconoscimento dei diritti civili e politici in ogni essere umano, uomo o donna. Avendo, cosi, ognuno il voto nella cosa pubblica, potendo votare con indipendenza per l'ottenuta emancipazione economica e con coscienza di causa, poiché si tratterà generalmente di decidere questioni relative all'organamento del lavoro: la rivoluzione, altresì, avendo abolite di fatto le differenze di classe e d'interessi, sarà possibile ottenere ciò che non ottennero giammai le istituzioni politiche attuali,

(Da "La Plebe" del 3 agosto 1879) §§§

PROGRAMMA DEL PARTITO SOCIALISTA RIVOLUZIONARIO DI ROMAGNA Nell'agosto del 1881 si svolse a Rimini il primo Congresso del Partito socialista rivoluzionario di Romagna al quale parteciparono una quarantina di circoli e sezioni romagnole più una rappresentanza di socialisti marchigiani. Nel corso del Congresso, sicuramente ad opera di Costa, viene redatto un progetto di programma e di regolamento del nuovo partito che rimane ancora oggi un documento di fondamentale

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DECALOGO DEI CONTADINI SOCIALISTI MANTOVANI

cioè un ordinamento sociale, che sia la espressione sincera della volontà del popolo. Senonché, questo stato di cose non sarà, alla fine, anch'esso, che transitorio. Il suffragio universale, che scioglierà, tosto dopo la rivoluzione, la maggior parte delle questioni, che non si sciolsero rivoluzionariamente, perderà a poco a poco della sua importanza; fino a che, trovato il miglior modo di ordinamento sociale del lavoro e della distribuzione dei prodotti, questo stato transitorio cederà il luogo ad un organamento sociale, ove ogni individuo consumerà e produrrà non per legge, ma perché così vuole la natura stessa delle cose: condizione indispensabile, tanto della vita individuale quanto della vita sociale, essendo il consumare ed il produrre. Noi giungeremo così all'Anarchia nei rapporti politici, come si giunge al comunesimo nei rapporti economici. Il Comunesimo anarchico o libero, è, infatti, l'ideale del Socialismo rivoluzionario moderno; ma nessuno può dirci se lo svolgimento delle idee e dei fatti sociali ci darà un ideale ancor più vasto e luminoso di questo. Noi siamo, in ogni caso, per lo svolgimento progressivo e infinito dell'umana personalità. 3. Intellettualmente e moralmente: Impartizione, per parte della Società, ad ogni fanciullo, maschio o femmina, di un'educazione umana, in armonia collo stato della scienza, e col progresso generale, e di un'istruzione integrale (professionale e intellettiva), che rendano possibile lo svolgimento armonico di tutte le facoltà umane: fisiche, intellettuali e morali. Per questo mezzo, ottenuta già l'emancipazione economica e politica, sarà ottenuta la piena emancipazione intellettuale e morale di ogni essere umano, e si prepareranno le nuove generazioni all'attuazione di quel Comunesimo anarchico, di cui abbiamo discorso. Perciò: tanto la proprietà collettiva della terra e degli strumenti di lavoro, quanto l'universalità dei diritti civili e politici e l'educazione e l'istruzione integrale non sono, secondo noi, il fine ultimo del Socialismo rivoluzionario moderno, ma costituiscono le condizioni necessarie allo svolgimento normale e progressivo del genere umano e al compimento del Programma ideale del Socialismo stesso.

Ai dieci comandamenti della religione cattolica fanno riscontro questi dieci comandamenti per il buon socialista dettati al contadini mantovani che fra il 1884 e il 1885 furono impegnati al grido di 'la boje' in una serie di agitazioni contro i proprietari terrieri, restii ad ogni concessione e ad ogni più piccolo miglioramento. In questo documento sono riscontrabili numerosi tratti dell'etica socialista: il rispetto per il lavoro, quello per gli anziani, l'opposizione ad ogni guerra e ad ogni forma di sfruttamento. Da darsi a mano 1° (lo sono il Dio tuo). Il socialismo espressione più pura e sincera del vero e del bene, è il Dio degli oppressi. 2' (Non avrai altro 'Dio avanti di me). Senza il socialismo continuerai la tua vita di dolori e di patimenti perché è in questo mondo che esiste il paradiso e l'inferno; vi è paradiso pel ricco che non fa nulla e se la gode, vi è l'inferno per chi lavora e patisce la fame; ed il socialismo, che è il vero Dio degli oppressi, non potrà venire se l'ozio non sarà condannato ed il lavoro rimunerato. 3' (Santifica le feste). Lavorerai sei giorni alla settimana e nel settimo santificherai la festa coll'istruirti la mente; coll'educarti il cuore, perché il popolo istruito è sempre potente e rispettato, l'uomo educato è sempre onesto e morale. 4 (Onora il padre e la madre). A coloro che ti diedero la vita assicura l'esistenza nella vecchiaia; stabilisci delle cassepensioni (intendiamo quando non sarà più defraudata la mercede dell'operaio) pei vecchi e per gli inabili, perché tu pure diventerai vecchio ed impotente al lavoro. 5' (Non ammazzare). Le guerre fra popolo e popolo sono sempre infami perché conducono al macello degli innocenti e dei fratelli, cerca quindi di ottenere l'abolizione degli eserciti permanenti che ti strappano dal seno il figliuolo vigoroso che ti sostenta per farne un cieco strumento, e sia pace fra gli uomini perché nella pace sta l'amore ed il benessere. 6 (Non fornicare). Non permettere che altri si valga della tua opera per arricchire, del tuo lavoro per fare l'ozioso; pensa che tu hai una famiglia da mantenere e che se altri vogliono vivere abbiano anch'essi a lavorare come tu fai. 7* (Non rubare). Non rubare e non lasciare che ti si rubi; imperocché è da minchione lasciarsi portar via il frutto dei propri sudori da colui che nulla produce, e che se la spassa e si diverte l'intero

Dal Programma del Partito Socialista rivoluzionarlo di Romagna (Rimini, agosto 1881) §§§

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giorno senza mai pigliare in mano né la zappa, né il martello, né la penna. 8' (Non dire il falso testimonio). Non credere ai preti, perché essi sono i falsi testimoni che predicano il digiuno e i patimenti ed ingrassano alle tue spalle; non amare i despoti, perché essi sono i falsi testimoni della volontà popolare, ed il popolo per migliorare e progredire verso il bene deve essere libero e padrone di se stesso. 9' (Non desiderare la roba d'altri). Non lasciare che altri desideri la tua roba e i tuoi diritti; cura quindi l'abolizione dei privilegi di qualunque sorta essi siano, e cerca di ottenere la tua uguaglianza basata sul lavoro. 10 (Non abusare della debolezza altrui). Rispetta la donna e i deboli; perché la donna ti dà l'amore ed i figliuoli, e perché i deboli sono disgraziati che bisogna sostenere e risanare. Alla mattina quando ti alzi, alla sera quando ti riposi, recita e fa recitare dalla tua famiglia i comandamenti del Socialismo; e quando essi saranno da tutti conosciuti e messi in pratica, allora l'onestà sarà premiata, la cattiveria punita; allora otterrai il pane per te e per i tuoi e vivrai' quieto e tranquillo sopra questa terra. E ricordati anche soprattutto delle virtù del popolo che sono: libertà, uguaglianza, fratellanza; con esse farai il vero segno della santa Croce e così sia! Lavoratori, organizzatevi, moralizzatevi e a suo tempo insorgerete!

persecuzioni e le violenze, acquista il diritto di cittadinanza in tutta Italia". "Eravamo nei primi mesi del 1886. Volevamo inaugurare lo stendardo della "Lega dei figli del lavoro" di Milano e per rendere più attraente la cerimonia avevamo deciso di far cantare da un coro un inno che fosse la sintesi dei propositi e delle aspirazioni del Partito operaio. Avevamo tentato fra di noi, nella povera sede di via S. Vittore al Teatro n. 3, di combinare qualche strofa adatta, ma non eravamo poeti... Visto che i nostri strampalati tentativi non riuscivano, decidemmo di ricorrere al poeta della compagnia, Filippo Turati. lo che avevo con lui maggiore dimestichezza di rapporti fraterni, fui incaricato di domandargli la fabbricazione di un inno semplice, gagliardo, di cui ogni strofa fosse l'espressione di un pensiero e il cui metro si prestasse all'accompagnamento della marcia. Accettò. Passai e ripassai dal poeta e finalmente un giorno mi presentò un gran foglio sul quale aveva scritto le otto strofe dell'inno. Lo trovava volgare, sciatto, pedestre; lo massacrò coi suoi inesauribili sarcasmi; mi promise di rifarlo; ma io che ne avevo sentito tutta la semplice ed efficace forza suggestiva e non mi fidavo della promessa, presi il foglio e me lo portai via. I compagni Dante e Fantuzzi si incaricarono di farlo musicare: chi fosse stato il maestro non riuscimmo mai a sapere bene; figurò il maestro Ziglioli, ma pare che vi avesse collaborato anche il maestro Andreoli. Una notte del febbraio 1886, in una sala degli uffici del "Secolo" il maestro ci fece sentire la musica e il canto relativo. Ci guardavamo in faccia commossi e trasecolati: qualcuno di noi aveva agli occhi delle lagrime di gioia: era quello che ci voleva. Di contrabbando la calcografia dello stabilimento (musicale Sonzogno) fece la riproduzione musicale; a mezzo di amici musicanti si fecero le parti e il 28 marzo durante l'inaugurazione dello stendardo nei locali del Consolato operaio, un nostro piccolo coro di uomini e di donne fece sentire per la prima volta le strofe e i ritornelli del nostro inno. I compagni e le compagne che affollavano il salone ci ascoltavano a bocca aperta, ma ben presto il ritornello trascinò tutti e l'inno tanto desiderato venne al mondo. Andato a Londra nel 1888 al Congresso internazionale delle "Trades unions" in una serata di ricevimento, lo cantai in mezzo a quei ruvidi lavoratori - vi era anche John Bums - e ne andarono in visibilio. Insomma era diventato il nostro distintivo, l'espressione della nostra ardente vitalità".

(Manifestino stampato a Padova il 20 aprile 1885) §§§

COME NACQUE L'INNO DEI LAVORATORI. L'inno dei lavoratori viene eseguito per la prima volta a Milano il 28 marzo 1886 nella festa proletaria del Partito Operaio, organizzata per l'inaugurazione della bandiera della "Lega mista dei figli del lavoro" della città. Da tempo si sentiva l'esigenza di un canto che esprimesse le comuni speranze dei lavoratori riuniti nel POI: il rispetto per la personalità dell'uomo, la tutela del lavoratore, la giustizia e la libertà di espressione. Il canto venne commissionato a Filippo Turati, all'epoca giovane avvocato e letterato ancora quasi sconosciuto. L'inno che all'epoca della sua nascita subì anche numerose persecuzioni, "presto uscì all'aperto, sulle piazze e nelle campagne. Proibito dalle autorità politiche, condannato dai giudici, sotto le

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ANTONIO LABRIOLA: L'AIUTO CHE CHIEDIAMO AI SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI

LE PAROLE DELL'INNO DEI LAVORATORI SCRITTE DA FILIPPO TURATI Su fratelli su compagne su venite in fitta schiera sulla libera bandiera splende il sol dell'avvenir Nelle pene e nell'insulto ci stringeremo in mutuo patto la gran causa del riscatto niun di noi dovrà tradir Il riscatto del lavoro de' suoi figli opra sarà o vivremo del lavoro o pugnando si morrà La risaia e la miniera ci han fiaccati ad ogni stento come i bruti d'un armento siam sfruttati dai signor I signor per cui pugnammo ci han rubato il nostro pane ci han promessa una dimane la dimane ci aspetta ancor Il riscatto del lavoro... L'esecrato capitale nelle macchine ci schiaccia l'altrui solco queste braccia son dannate a fecondar Lo strumento del lavoro nelle mani dei redenti spenga gli odii e fra le genti chiami il diritto a trionfar Il riscatto del lavoro... Se divisi siam canaglia stretti in fascio siam potenti sono il nerbo delle genti quei che han braccio e che han cor Ogni cosa è sudor nostro noi disfar rifar possiamo la consegna sia: sorgiamo troppo lungo fu il dolor Il riscatto del lavoro... Maledetto chi gavazza nell'ebrezza e nei festini fin che i giorni un uom trascini senza pane e senza amor Maledetto chi non geme dello scempio dei fratelli chi di pace ne favelli sotto il pié dell'oppressor Il riscatto del lavoro... I confini scellerati cancelliam dagli emisferi i nemici gli stranieri non son lungi ma son qui Guerra al regno della guerra morte al regno della morte contro il diritto del più forte forza amici è giunto il dì Il riscatto del lavoro... 0 sorella di fatica o consorti negli affanni che ai negrieri che ai tiranni deste il sangue e la beltà Agli imbelli ai proni al giogo mai non splenda il vostro riso un esercito diviso la vittoria non corrà Il riscatto del lavoro... Se uguaglianza non è frode fratellanza un'ironia se pugnar non fu follia per la santa libertà Su fratelli su compagne tutti i poveri son servi cogli ignavi e coi protervi il transigere è viltà il riscatto del lavoro...

Antonio Labriola è l'autore, d'accordo con Turati, del messaggio di saluto della Lega socialista milanese al Congresso della socialdemocrazia tedesca tenuto ad Halle nell'ottobre 1890. Con questo testo Labriola, uno dei massimi teorici del marxismo in Italia, analizza la situazione del Socialismo italiano a pochi mesi dalla nascita della Il Internazionale e ribadisce i profondi legami di fratellanza e di collaborazione col socialismo tedesco che, al contrario di quello italiano, aveva già trovato la sua via e riscuoteva in quegli anni i primi successi elettorali. La lega socialista di Milano, e il Comitato centrale del Partito operaio italiano (questo in suo proprio nome, ed anche in nome delle varie sezioni che rappresenta), raccolte le adesioni dei socialisti d'altre parti d'Italia, che son riferite in fine di questo indirizzo, mandano a voi, riuniti per la prima volta in pubblico congresso dopo la dodicenne persecuzione, il saluto della fratellanza e l'attestazione viva della solidarietà che li stringe alla Democrazia Sociale di Germania, antesignana del proletario universale, e preparatrice consapevole della rivoluzione sociale. Ma la Lega, il Comitato, gli aderenti, inviandovi questo saluto, sanno bene d'interpretare il sentimento di tutti i compagni d'Italia; i quali furono sempre unanimi nell'ammirare la costanza Vostra e il Vostro coraggio nella lotta sostenuta contro il regime di eccezione, e sono ancora concordi nel ravvisare nella vostra potente organizzazione e nei vostri successi la prova sicura, che di qui innanzi il proletario non indietreggerà mai più sulla via, che presegnata già dalla Internazionale di gloriosa memoria, apparisce chiara, precisa e definita per l'esempio vostro. Evviva la Democrazia Sociale di Germania, iniziatrice ed educatrice della nuova storia! Il Proletario militante procederà sicuro sulla via che mena diritto alla socializzazione dei mezzi di produzione ed all'abolizione del presente sistema di salariato, fidando solo nei suoi propri mezzi e nelle sue proprie forze, e fermo in questa convinzione, che non gli è data speranza di progresso intellettuale e morale, ne di garanzie di libertà e di costituzione democratica, se non è prima cambiato nei fondamenti l'assetto economico della convivenza sociale. Nel cessare della legge di eccezione, -indimenticabile obbrobrio della tirannia borghese, - i vostri compagni di qua delle Alpi non ravvisano la

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momentanea conseguenza delle futili combinazioni parlamentari, e nemmeno una concessione o un'insidia dall'alto; - anzi in questo fatto essi vedono la prova efficace della vostra forza, che è dovuto al coraggio misurato dal l'accorgimento. Né essi hanno prestato fede alle voci corse di discordia che fosse sorta nel vostro campo, perché vi sanno interamente consapevoli della missione che siete chiamati a compiere, e pieni del sentimento della responsabilità che viene a voi dall'essere l'avanguardia del proletariato militante. I vostri compagni di qua dalle Alpi, stretti a voi dal naturale impulso delle comuni idee e dal presentimento delle future lotte, non vi chiedono materiali aiuti, o parola d'ordine, come usa nelle consorterie politiche, o nelle società segrete; ma si aspettano da voi il più valido degli appoggi e il migliore dei consigli, la forza educativa e la maestà dell'esempio.

consumatori. Consumo aumentato vuoi dire aumentata la domanda dei prodotti e conseguentemente aumentata la richiesta di operai che lavorano e producono. Colla giornata di 8 ore di lavoro, aumentata la richiesta di operai, i salari aumenteranno essi pure. Colla giornata di 8 ore di lavoro avremo 8 ore pel riposo e 8 ore per istruzione, educazione e ricreazione. Colla giornata di 8 ore di lavoro la nostra salute sarà meglio garantita e la nostra vita sarà prolungata. Colla giornata di 8 ore di lavoro le nostre menti e i nostri affetti si svilupperanno accrescendo in noi i più squisiti elementi della dignità umana e i più elevati fattori di civiltà. Colla giornata di 8 ore di lavoro la famiglia dell'operaio funzionerà secondo le leggi naturali degli affetti e secondo i fini che la famiglia deve avere nel mondo. Colla giornata di 8 ore di lavoro i nostri figli troveranno nell'amore della propria madre e negli insegnamenti della scuola la sicura preparazione di un avvenire degno dell'uomo. Colla giornata di 8 ore di lavoro le nostre associazioni, le nostre organizzazioni, le nostre arti e mestieri prenderanno quel rigoglioso sviluppo, che è richiesto da una civiltà migliore dell'attuale. Colla giornata di 8 ore di lavoro gli operai cesseranno di essere strumenti in completa balia d'altrui e cominceranno veramente a sentirsi uomini e a valere come tali. Compagni e Compagne! La rivendicazione delle 8 ore di lavoro, conquistata colla nostra intelligenza, colla nostra costanza, colle nostre forze e virtù, sarà la prova più grande e indiscutibile che siamo degni di quella completa emancipazione, che è la meta di tutti i nostri desideri. Evviva la solidarietà operaia universale! Il Comitato Centrale del Partito Operaio Italiano: Scoffone Ernesto, barbiere; Griggi Vincenzo, orefice; Sacco Paolo, orologiaio; Demicheli Filippo, meccanico.

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APPELLO PER IL PRIMO MAGGIO AGLI OPERAI E ALLE OPERAIE D'ITALIA Primo maggio 1890: su "Il Fascio Operaio" compare un appello agli operai e operaie d'Italia che richiede la partecipazione di tutti i lavoratori ad una rivendicazione che sarà poi centrale a tutto il movimento operaio: le otto ore di lavoro giornaliero. C'è da sottolineare, oltre al fatto politico, anche quello organizzativo: la rivendicazione viene infatti portata avanti in forme unitarie in tutto il Paese, in modo coordinato ed uniforme. Compagni e Compagne! Oggi, 1° maggio 1890, la classe lavoratrice afferma, per la prima volta, con manifestazioni, varie secondo i luoghi, ma che, in complesso, sono un grandioso, imponente plebiscito in tutto il mondo civilizzato, afferma, diciamo, la giustizia e l'urgenza di una grande rivendicazione operaia di carattere economico, morale, universale. La riduzione della giornata di lavoro a 8 ore: ecco lo scopo di questa solenne manifestazione della volontà e della forza del proletariato militante per la sua completa emancipazione. Compagni e Compagne! Colla giornata di 8 ore di lavoro aumenterà il bisogno di lavoratori, e molti, che oggi sono condannati alla disoccupazione, troveranno il desiderato lavoro. Colla giornata di 8 ore di lavoro, aumentati i lavoratori, sarà aumentato il numero dei

(Pubblicato su "Il Fascio Operaio" il 1° Maggio 1890). §§§

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FILIPPO TURATI: DA "CUORE E CRITICA" ALLA "CRITICA SOCIALE"

Così il giornale, in mano mia, sarebbe più tuo di quel che non ora. Naturalmente in mie mani, la nota sociale, che è già viva nel giornale, s'accentuerebbe anche più, sia per articoli miei e di altri, sia per alcuni opuscoli socialisti che stamperei prima nel giornale in tutto o in parte: ma non così da snaturarlo. Perché non vorrei affatto farne una vera rivista socialista, come quelle già tentate dal Costa e dal Lanzoni. Il loro insuccesso non mi incoraggia; forse in Italia non è ancora il momento, opportuno. D'altronde non voglio romperla colla tradizione del giornale, tanto più che, come rivista socialista esclusiva, dovrei contare troppo su di me, e non potrei più contare su altri preziosissimi, come te, Rosa e simili. La nota radicale e sociale dovrà continuare ad essere spiccata il più possibile...

Nel dicembre del 1890 Filippo Turati assume la direzione della rivista "Cuore e Critica" quindicinale fondato nel 1887 da Arcangelo Ghisieri, e ne porta la sede da Bergamo a Milano. Oltre a ciò Turati muta anche la testata della rivista, intitolandola, "Critica Sociale". Da allora, e per circa un trentennio, la "Critica" sarà la tribuna del Socialismo italiano: sulle sue pagine verranno affrontati di volta in volta i temi più importanti della politica italiana, con una particolare attenzione al dibattito sulle esperienze socialiste negli altri Paesi europei. 1)... Cuore e Critica verrebbe a star di casa a Milano col nuovo anno 1891 il primo numero uscirebbe ai primi di gennaio. 2) Tenuti fermi i prezzi d'abbonamento e la quantità della materia il giornale ridiventerebbe mensile. In un mese sono certo di trovare una settimana per preoccuparmene: in una quindicina non sono affatto Sicuro di trovare due giorni. E in quella settimana al mese potrò trovare due o quattro giorni per occuparmi esclusivamente di lui, il che si risolve in un lavoro assai più proficuo e meno seccante. D'altronde, dati i precedenti del giornale, e la poca possibilità che hai tu ora di occupartene, poco gli nuocerà essere addirittura mensile. Si spezzeranno un po' meno gli articoli e sarà meglio. 3) Muterei il titolo. Sai che a me Cuore e Critica non piacque mai. Lo intitolerei quindi La Critica Sociale o altro di simile. L'indirizzo del giornale però non dovrebb'essere mutato, e si farebbe rilevare chiaramente nell'articolo che annuncerà la trasformazione. Perché ci terrei a non perdere la clientela, i collaboratori, la larghezza di indirizzo attuale. D'altro lato è innegabile che per un giornale di sociologia radicale (e lo diventerebbe tanto più compilato da me) il titolo ch'io propongo, o altro somigliante, è più adatto. 4) Mi riservo di mutare alquanto anche il formato. Non che l'attuale mi spiaccia, tutt'altro; anzi è caratteristico e, potendo, lo lascerei tale quale. Ma penserei di coordinare il giornale alla mia vagheggiata Biblioteca socialista, e mi pare che il formato attuale mai si presti a levarne degli estratti in opuscolo o in libro... 5) Tu dovresti prenderti l'impegno -condizione sine qua non - l'impegno davanti a me e davanti al pubblico - alleggerito come saresti dalle noie della compilazione - di mandarmi un articolo al mese, un vero articolo con almeno sei delle attuali colonne.

Filippo Turati (da una lettera ad Arcangelo Ghisleri del 12 novembre 1890) §§§

ANNA KULISCIOFF: IL PROBLEMA DEL LAVORO FEMMINILE I problemi legati alla condizione femminile hanno interessato i socialisti italiani fin dai tempi della costituzione del Partito. Una delle interpreti principali di questa delicata ed importante tematica e Anna Kuliscioff, l'esule russa che ha esercitato una profonda influenza sul movimento socialista italiano. In questo scritto la Kuliscioff affronta il problema del lavoro femminile e della necessità della sua equiparazione salariale con quello dell'uomo, con continui riferimenti alla tutela della salute e dei diritti della donna. Tutti i diseredati, tutti i paria della Società cominciano a muoversi, a chiedere anch'essi un po' di luce, di aria ed una vita conforme alla dignità umana; ed è quindi naturalissimo che, giusto nel secolo nostro, si sia accentuato un movimento serio e vasto fra gli ultimi e più numerosi dei paria, che formano mezza umanità, cioè fra le donne... Non farò, tuttavia, una requisitoria. Non è una condanna ad ogni costo dell'altro sesso che le donne domandano; esse aspirano anzi ad ottenere la cooperazione cosciente ed attiva degli uomini migliori, di quanti essendosi emancipati, almeno in parte, dai sentimenti basati sulla consuetudine, sui pregiudizi e soprattutto sull'egoismo maschile, sono già disposti a riconoscere i giusti motivi che le donne hanno di occupare nella vita un posto degno per averne conquistato il diritto...

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DAL PROGRAMMA DELLA LEGA SOCIALISTA MILANESE

Chi osserva spassionatamente i fenomeni sociali moderni deve riconoscere che la condizione sociale della donna, questo elemento così importante della civiltà, è uno dei fenomeni più tristi in mezzo alle istituzioni moderne, è un residuo di un mondo intellettuale e morale che va scomparendo dovunque... Qualunque fosse l'origine dell'inferiorità sociale della donna, origine fisiologica, economica, etica, o fosse puramente un prodotto del prevalere brutale della forza, il fatto sta che ora si tratta di una questione di dominio, si tratta del privilegio di tutto il sesso maschile, privilegio e dominio che sono un vero anacronismo in un'epoca in cui la donna ha progredito sotto tutti i rapporti e morali e intellettuali... Mi pare che solo col lavoro equamente retribuito, o retribuito almeno al pari dell'uomo, la donna farà il primo passo avanti ed il più importante, perché soltanto col diventare economicamente indipendente, essa si sottrarrà al parassitismo morale, e potrà conquistare la sua libertà, la sua dignità ed il vero rispetto dell'altro sesso. Credo che soltanto allora le donne avranno la forza morale di non subire più le pressioni del padre, del marito, del fratello, e potranno creare anch'esse, in mezzo al loro sesso, quell'arma potente delle lotte sociali moderne, ch'è l'associazione, per conquistare poi con quest'arma i diritti civili e politici, che sono loro negati come agli uomini interdetti, per imbecillità, per pazzia o per delinquenza... La maternità sarebbe uno dei compiti più elevati della donna nella vita sociale, dei più soddisfacenti le sue tendenze psichiche e dei più confacenti allo sviluppo del suo organismo. Ma l'educazione e l'istruzione che si danno generalmente alle donne sono forse dirette a prepararla ad adempiere il più grande dei suoi doveri? La ragazza, in tutte le classi della Società, ignora tutto, ed è guidata dall'ignoranza e dai pregiudizi delle antenate e delle comari. Che cosa sanno le ragazze del come nasce, del come cresce e si sviluppa un bambino? Quale nozione di fisiologia e d'igiene ricevono esse per avere un concetto qualunque del come un bambino si alleva fisicamente e moralmente sano? La madre dunque, per l'ignoranza in cui si tiene la donna, perde ben presto ogni autorità morale sul figlio...

Le origini del movimento socialista in Italia sono legate geograficamente, oltre alla Romagna e alla Valle Padana, soprattutto a Milano, dove intorno a Turati e alla Kuliscioff si era costituita la Lega Socialista Milanese. Nel programma della Lega, pubblicato sulla "Critica Sociale" nel 1891, sono esposte le idee del gruppo circa i caratteri specifici del Socialismo: la meta finale è la socializzazione dei mezzi di produzione e può essere raggiunta solo con la conquista dei pubblici poteri; il mezzo per giungervi è la lotta organizzata. La Lega Socialista Milanese, accetta e propugna i principi fondamentali del Socialismo moderno e li formula nei seguenti paragrafi: 1. Economia Il sistema economico della proprietà individuale del capitale, per mezzo dei moderni sistemi di produzione, divide sempre più la società umana in due classi, aventi interessi opposti fra di loro: i capitalisti, proprietari della ricchezza sociale, quindi di ogni mezzo di dominio e di sfruttamento; e i salariati, produttori di quella ricchezza, condannati senza speranza alle fatiche ed agli stenti... L'economia socialista si propone principalmente di sostituire a tale sistema quello della proprietà collettiva delle ricchezze naturali e degli strumenti del lavoro, colla produzione organizzata sulla base dell'interesse generale che esercitata da tutti gli uomini lavoratori, associati secondo le tendenze e le capacità naturali, emancipati dalla servitù del salario e godenti l'integrale equivalente dei frutti del loro lavoro; per riuscire infine a quel sistema di società ancor più perfezionato, in cui tutti gli uomini produrranno secondo le loro facoltà e consumeranno secondo i loro bisogni... 2. Politica Ed è pur necessario che il proletariato si organizzi e si addestri come partito distinto, anche per impadronirsi delle forze del potere politico e giovarsene per l'abolizione dello Stato borghese e per la soppressione delle differenze e degli antagonismi di classe... Pel Socialismo scientifico la rivoluzione sociale non si consuma in una determinata ora del tempo, ma riempie di sé tutta un'epoca, e attrae a sé tutte le attività dell'evoluzione, rispecchiandosi nei fatti e nel pensiero e giovandosi anche delle forze più ostili, che diventano a loro volta sue ajutatrici... Perciò l'azione dei socialisti, pur avendo per precipuo scopo l'organizzazione del proletariato per le sue rivendicazioni economiche, non deve trascurare di mescolarsi a tutte quante le

Anna Kuliscioff (dall'opuscolo di propaganda "Il monopolio dell'uomo" del 1890) §§§

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manifestazioni della vita pubblica, non escluse le agitazioni elettorali e l'accesso alle pubbliche funzioni, portandovi la sua protesta e la sua critica e gettandovi i semi delle nuove idee...

1° della lotta di mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia (orari, salari, regolamenti di fabbrica, ecc.) lotta devoluta alle Camere del Lavoro ed alle altre Associazioni di arti e mestieri; 2° di una lotta più ampia e intesa a conquistare i poteri pubblici (Stato, Comuni, Amministrazioni pubbliche, ecc.) per trasformarli, da strumento che oggi sono di oppressione e di sfruttamento, in uno strumento per l'espropriazione economica e politica della classe dominante; i lavoratori italiani, che si propongono la emancipazione della propria classe, deliberano: di costituirsi in Partito, informato ai principi suesposti e retto dal seguente Statuto Costituzione del Partito Art. 1 - Tutte le Federazioni, Consociazioni, Consolati di Società e Società indipendenti, che fanno adesione al sopraesposto programma, sono costituite in Partito dei lavoratori italiani allo scopo, di difendere i salariati nella lotta per la loro emancipazione, sviluppando in essi la coscienza dei loro diritti, e organizzandoli preferibilmente arte per arte nei centri ove le condizioni del lavoro lo consentono. Art. 2 - Tutte le Associazioni operaie di città o di campagna tendenti al miglioramento economicosociale ed organizzate: col mutuo soccorso per malattia, disoccupazione, vecchiaia, inabilità al lavoro; colla cooperazione senza intenti di speculazione capitalista; colla difesa del lavoro mediante la resistenza, ecc. ecc., che vogliono far parte del Partito, devono essere composte di puri e semplici lavoratori d'ambo i sessi, di città o di campagna salariati, e alla dipendenza di padroni, intraprenditori, commercianti od amministrazioni qualsiasi. Sarà cura del Comitato di curare l'aggregazione dei lavoratori indipendenti, a seconda della loro arte o mestiere, a quella fra le Società che ne rappresenta e difende gli interessi speciali. Sono pure ammesse le Associazioni operaie ed agricole amministrate o dirette da non lavoratori, purché per speciali condizioni locali, secondo il parere del Comitato centrale del Partito (riservata l'approvazione definitiva al successivo Congresso) conservino sempre il carattere di Associazione nell'interesse dei lavoratori. Art. 3 - L'adesione delle Società al Partito implica l'impegno di procedere di comune accordo in tutto quanto riguarda l'applicazione del programma comune, i cui metodi saranno determinati nei Congressi. Sarà salva l'autonomia delle singole Società o Federazioni in tutto ciò che non sia contrario all'interesse dell'organizzazione generale.

(Pubblicato in "Critica sociale" nel 1891) §§§

GENOVA 1892: PROGRAMMA E STATUTO DEL PARTITO DEI LAVORATORI ITALIANI Al Congresso di Genova, riunito nella Sala Sivori tra il 14 e il 15 agosto 1892, e al quale parteciparono circa trecento società operaie di molte regioni d'Italia, nasce il Partito dei lavoratori italiani, divenuto un anno dopo Partito socialista dei lavoratori italiani. è questo senza dubbio un fatto nuovo per la storia del nostro Paese: con la sua fondazione, e in più con l'enunciazione di un programma politico, nasce così un Partito autonomo della classe operaia, dopo anni di lotte e di discussioni. Nel Partito trovano posto le molte e disparate organizzazioni del movimento operaio e contadino, che erano state segnate fino ad allora da una grande varietà di tradizioni politiche e sindacali. Programma Considerando che nel presente ordinamento della società umana gli uomini sono costretti a vivere in due classi: da un lato i lavoratori sfruttati, dall'altro i capitalisti detentori e monopolizzatori delle ricchezze sociali; che i salariati d'ambo i sessi, d'ogni arte e condizione, formano per la loro dipendenza economica il proletariato, costretto ad uno stato di miseria, d'inferiorità e di oppressione; che tutti gli uomini, purché concorrano secondo le loro forze a creare e a mantenere i benefici della vita sociale, hanno lo stesso diritto a fruire di cotesti benefici, primo dei quali la sicurezza sociale dell'esistenza; riconoscendo che gli attuali organismi economicosociali, difesi dall'odierno sistema politico, rappresentano il predominio dei monopolizzatori delle ricchezze sociali e naturali sulla classe lavoratrice; che i lavoratori non potranno conseguire la loro emancipazione se non mercé la socializzazione dei mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.) e la gestione sociale della produzione; ritenuto che tale scopo finale non può raggiungersi che mediante l'azione del proletariato organizzato in partito di classe, indipendente da tutti gli altri partiti, esplicantesi sotto il doppio aspetto:

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Art. 4 - In quelle regioni ove non esistono raggruppamenti di Società in Federazioni o Consolati sarà cura del Comitato centrale di organizzare le Società sparse in Federazioni locali del Partito dei lavoratori, senza intaccarne l'autonomia amministrativa. Inoltre si adotterà ogni mezzo per far sì che le Società composte di diverse arti o mestieri, senza offenderne la compagine complessiva, adottino la ripartizione in diverse Sezioni professionali. Art. 5 - L'adesione al Partito dei lavoratori italiani, come rispetta l'autonomia amministrativa delle Società aderenti, così non implica nessun cambiamento delle loro singole denominazioni. Ciò non ostante il Comitato centrale curerà la propaganda affinché le nascenti Società s'ispirino nella loro costituzione ai principi e alle forme del programma del Partito, e che le Società già esistenti abbandonino le viete consuetudini di nomine onorarie e di amministratori a vita.

Avrete già probabilmente seguito nei giornali gli ultimi avvenimenti che, ogni giorno che passa, s'ingrossano e forse fra pochi giorni o settimane avremo lo Stato d'Assedio non solo in Sicilia e Massa Carrara, ma in tutta Italia. Del resto non v'ha gran passo da fare: oramai lo Stato d'Assedio non ufficiale ci domina anche nell'Alta Italia. I nostri giornali sono sequestrati uno dopo l'altro; ieri fu sequestrata la "Critica sociale" sotto l'imputazione della provocazione di guerra civile che, se fanno il processo al Turati, gli spetterà la bagatella di 10, 12 o 13 anni di carcere. Le leggi eccezionali sono imminenti. I contadini si sollevano in Sicilia, nelle Calabrie, bande armate in Massa Carrara, fermenti ed agitazioni isolate qua e là dei contadini nel Veneto e nel Mantovano. Aggiungete le finanze dello Stato in fallimento, le tasse esorbitanti e l'inevitabile nuovo aggravio di tasse per 150 milioni, il richiamo dell'esercito che per la sola Sicilia viene a costare quasi 10 milioni al mese e non saremmo troppo utopisti o visionari se vedessimo in tutti gli avvenimenti una prossima fine della monarchia. Quanto ai partiti politici siamo in piena decadenza... Il Partito socialista è appena nato e non si potrebbe certo parlare d'una rivoluzione socialista in un paese per 213 medioevale, dove i contadini si trovano in condizioni analoghe alla Francia prima dell'89. La situazione politica attuale si può paragonare in metà d'Italia (parte del centro e del meridione) a quella della Francia prima dell'89 e dell'Italia Settentrionale prima del '48. Ci manca però la borghesia colta ed ardita che sappia mettersi alla testa del periodo rivoluzionario che attraversiamo. In queste contingenze quale deve e può essere l'atteggiamento del Partito socialista?. Qui abbiamo due correnti: una che parla della necessità del lavoro metodico, organizzatore, magari anche tranquillo finché infierisce la reazione, perché non è il caso di cavare le castagne dal fuoco pei repubblicani. Altri invece affermano che in un periodo rivoluzionario non sono applicabili le leggi della fisiologia normale dell'azione del Partito e che del resto, anche colla convinzione di non approdare che ad una repubblica, dobbiamo profittare del fermento dovunque esso sorga fra contadini, disoccupati, affamati, bottegai, che falliscono per causa delle tasse, e fra i contribuenti in genere rovinati per l'arresto degli affari, che si liquidano e falliscono colla liquidazione e col fallimento delle banche più forti in Italia. Se questa massa incosciente, esasperata e numerosa esce in piazza, il Partito socialista dovrà starsene in casa ad aspettare tempi migliori?

(Genova, agosto 1892) §§§ Antologia2

I FASCI SICILIANI E LA REAZIONE CRISPINA Lo scoppio del movimento siciliano dei "Fasci" e la conseguente reazione governativa impongono al Partito socialista di affrontare e risolvere due problemi strettamente intrecciati tra loro: da un lato la funzione del Partito nel confronti di un grande movimento di massa e ' dall'altro, il compito dei socialisti nella lotta politica per la democrazia. Le lettere che qui riproduciamo mettono bene in luce entrambi questi problemi; la prima scritta dalla Kuliscioff contiene una nitida esposizione della situazione italiana. Per la Kuliscioff in Italia non c'è ancora una borghesia "colta e ardita" capace di mettersi alla testa di un movimento rivoluzionario: di qui il quesito rivolto al "maestro del Socialismo" su quale doveva essere la tattica del Partito. Nella sua risposta, Engels ribadisce il concetto secondo il quale la borghesia italiana non ha compiuto ancora la sua rivoluzione e non ha dato vita ad un regime capitalistico moderno. Di conseguenza egli considera necessario che il proletariato partecipi d'ora in poi al movimento alleandosi coi democratici borghesi e passando, in un secondo momento, all'opposizione. Carissimo Maestro, Permetteteci di rubarvi un po' del vostro prezioso tempo per chiedervi consiglio e suggerimenti nella situazione difficile in cui il Partito socialista italiano, appena nato, si trova ora in Italia.

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Ovvero dovrà, molti o pochi che siano, mettersi alla testa della massa ribelle collo scopo preciso di muovere alla presa del Comune ed inalberarvi la bandiera socialista o ad ogni modo partecipare a questi moti (dato poi che se scoppiasse una guerra, potrebbero diventare un sollevamento generale), che non sono artificiali come quegli anarchici, ma sono il prodotto organico d'un periodo storico che sta per chiudersi? E su questo punto che vi domandiamo consiglio e suggerimento... Anna Kuiiscioff (Da una lettera a F. Engels del 19 gennaio 1894)

le loro cospirazioni dovranno menomamente toccarci. Se noi siamo tenuti a sostenere ogni movimento popolare reale, siamo tenuti ugualmente a non sacrificare indarno il nucleo appena formato del nostro Partito proletario, e a non lasciar decimare il proletariato in sterili sommosse locali. Se al contrario il movimento è davvero nazionale, i nostri uomini non staranno nascosti, non vi sarà neppur bisogno di lanciar loro una parola di ordine... Ma allora dovrà ben essere inteso, e noi dovremmo proclamarlo altamente, che noi partecipiamo come partito indipendente, alleato pel momento ai radicali e repubblicani, ma interamente distinto da essi...

Londra, 26 gennaio 1894 Caro Turati, La situazione in Italia, a mio parere, è questa. La borghesia, giunta al potere durante e dopo l'emancipazione nazionale, non seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutti i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il Paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa glie ne impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili bindolerie bancarie, quel che restava di rispettabilità e di credito. Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, retaggio non solo de' tempi feudali, ma benanche dell'antichità (mezzadria, latifundia del mezzogiorno, ove il bestiame surroga l'uomo); dall'altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato... La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che renderci più forti e collocarci in un ambiente più favorevole. Commetteremmo il più grande degli errori se, di fronte ad esso, vorremo astenerci, se nel nostro contegno rispetto ai partiti "affini" vorremmo limitarci a una critica puramente negativa. Potrà arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo positivo. Quale sarà questo momento? Evidentemente non è a noi che spetta di preparare direttamente un movimento che non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo. Se i repubblicani e i radicali credono scoccata l'ora di muoversi, diano essi libero sfogo alle impetuosità. Quanto a noi, fummo troppo spesso ingannati dalle grandi promesse di questi signori, per lasciarvisi prendere un'altra volta. Né le loro proclamazioni né

Federico Engels (da una lettera a Filippo Turati del 26 gennaio 1894) §§§

DECRETO DI SCIOGLIMENTO DEL PARTITO DOPO I FASCI SICILIANI La fase di accesa lotta politica che caratterizza la prima metà degli anni '90 (Fasci Siciliani e sommosse anarchiche in Lunigiana) coincide con l'offensiva antisocialista di Crispi, che porta nell'ottobre del 1894 allo scioglimento del Partito socialista. Le accuse mosse ai socialisti nella relazione del prefetto di Milano per lo scioglimento del PSI sono: sovvertimento degli ordini sociali, "propaganda dell'odio" fra le classi sociali e ricorso a mezzi violenti per raggiungere i propri fini. Il Prefetto della Provincia di Milano. Veduto il Programma, Statuto e tattica del Partito socialista dei lavoratori italiani, considerando che chiaramente si rivela l'esistenza di due elementi, vale a dire il fine di sovvertire gli ordinamenti sociali, e l'adozione delle vie di fatto come mezzo. Il sovvertimento degli ordini sociali è chiaramente indicato come fine della organizzazione che si propone la abolizione della proprietà privata, la demolizione di ogni organismo giuridico sociale stabilito e garantito dalla attuale legislazione, per sostituirvi la socializzazione delle terre, delle miniere, delle fabbriche, e di ogni elemento e strumento di lavoro, la gestione sociale di tutti i prodotti naturali ed industriali. L'adozione delle vie di fatto è chiaramente indicata come mezzo dell'essersi il Partito dichiarato apertamente rivoluzionario e dall'avere proclamata la lotta di classe e la propaganda dell'odio fra le classi sociali. Considerando che questa azione, sovvertitrice nei fini, violenta nei mezzi è di natura tale da incitare

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IL PROGRAMMA MINIMO DEL 1895: RIFORME POLITICHE ECONOMICHE AMMINISTRATIVE

all'odio tra le classi sociali. Decreta: Sono sciolte le seguenti organizzazioni: 1) Il Partito socialista dei lavoratori italiani. Sarà proceduto al sequestro degli atti, registri, emblemi e dei fondi sociali appartenenti a dette Associazioni, trasmettendo tutto all'autorità giudiziaria, i locali saranno chiusi e vi sarà interdetta ogni riunione, e sarà rimosso ogni segno esterno dell'Associazione. Il Prefetto di Milano (Riportato in "Lotta di Classe", 27 ottobre 1894)

Il terzo Congresso del Partito che si tiene clandestinamente a Parma nel 1895, segna la ripresa del movimento socialista dopo la soppressione in seguito ai "Fasci Siciliani". Viene in questa sede introdotto il sistema dell'adesione personale al Partito e non più per associazioni, e viene adottata l'odierna denominazione di PSI. Ciò che è più importante, è però la presentazione di un programma politico e amministrativo definito "minimo" per distinguerlo da quello più vasto e generale approvato a Genova nel 1892. Nella prospettiva di una trasformazione totale della società, i socialisti italiani pensano sia utile impegnarsi in una larga opera di penetrazione in vari campi non escluso quello delle amministrazioni locali. Fra le rivendicazioni più importanti, quella dell'allargamento del suffragio universale, della parità tra uomo e donna, della maggiore diffusione dell'istruzione e dell'autonomia ai comuni.

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BILANCIO SOCIALISTA PER IL 1895 "Noi possiamo dire - con ben altra sincerità da quella con cui il ministro Sonnino annunciava il pareggio del bilancio italiano - che il nostro bilancio del 1895 non solo si chiude in pareggio, ma presenta un forte avanzo. Noi siamo orgogliosi -metafore a parte- di constatare che alle compressioni e alle arti sistematicamente adoperate quest'anno contro il Partito, esso ha risposto spiegando tali e tante energie da non lasciare alcun dubbio sull'esito finale della lotta. Dopo l'assalto furioso che ci fu dato cogli stati d'assedio, coi tribunali militari, con lo scioglimento generale del Partito, il Governo si accinse a quell'opera assidua e quotidiana di molteplice persecuzione con cui fidava di tagliare i nervi ad ogni velleità di riscossa, e cancellare il nome, distruggere l'idea del Socialismo. I socialisti, sul principio dell'anno, fra lo scrosciare delle condanne e delle denunce, si riunivano tranquillamente a Parma in Congresso. La nuova organizzazione del Partito e il metodo da seguire nelle prossime elezioni erano i tempi più urgenti che si imponevano all'adunanza. Fu deciso di abbandonare l'organizzazione per società di mestieri e di sostituirla con una organizzazione a base di adesione individuale. Il l' maggio il Partito era in piedi agitando la bandiera "voto e libertà". Nel numero unico - diffuso per l'Italia a centinaia di migliaia di copie - questo Partito, fulminato e perseguitato come sovversivo, difendeva il sistema rappresentativo contro i sofismi e le congiure della borghesia. Tornata vana ogni arte per disarmarci, il Governo si decise infine alla prova elettorale. Il Partito socialista ebbe, nella battaglia delle urne, la vittoria morale. Gli stessi avversari confessarono che i veri vincitori furono i socialisti che dai 26.000 voti del 1892 balzarono ai 79.000".

Programma politico Riforme politiche 1. Suffragio universale politico ed amministrativo. Indennità ai deputati. 2. Abolizione di ogni legge restrittiva della libertà di stampa, riunione ed associazione. 3. Sostituzione della nazione armata all'esercito permanente. 4. Referendum politico ed amministrativo e diritto d'iniziativa popolare. 5. Eguaglianza giuridica e politica dei due sessi. 6. Autonomia comunale e indennità a tutte le cariche elettive. Riforme economiche Igiene ed istruzione 1. Riforma dei patti colonici a vantaggio dei lavoratori. 2. Divieto di sostituire la forza pubblica agli operai scioperanti. 3. Riscatto ed esercizio - da parte dello Stato - della ferrovie, miniere, mezzi di navigazione, ecc. 4. Espropriazione delle terre incolte per affidarne la coltivazione ad associazioni di lavoratori. 5. Concessione dei lavori pubblici ad associazioni cooperative di lavoratori. 6. Revisione della legge sui probiviri e sua estensione a tutti i contratti di lavoro industriali ed agricoli. 7. Riforma tributaria, cioè: tassa unica progressiva, sui redditi e sulle successioni; - redditi minimi esenti da ogni imposta; - abolizione del dazio consumo e di qualunque altra imposta diretta. 8. Riduzione degli interessi del debito pubblico.

(Dall'Almanacco Socialista del 1896) §§§

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9. Abolizione delle spese dei culti. 10. Fondazione, per cura dello Stato, di una Cassa pensione per vecchi, invalidi, inabili al lavoro, amministrata da lavoratori. 11. Giornata normale di lavoro non superiore alle otto ore; minimum di salario e riposo settimanale di almeno 36 ore consecutive. 12. Limitazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, in riguardo anche all'età, alle condizioni fisiologiche, ecc. 13. Proibizione del lavoro notturno, salvo pei casi di pubblica utilità. 14. Ispettori per l'igiene e per la pulizia delle fabbriche, scelti dalla classe lavoratrice. 15. Istruzione laica obbligatoria fino alla quinta classe; insegnamento professionale; miglioramento delle condizioni dei maestri.

LA NASCITA DELL' "AVANTI!": LEONIDA BISSOLATI: DI QUI SI PASSA

Programma amministrativo 1. Passaggio al Comune dei servizi pubblici (gas, acqua potabile, tramvie, luce elettrica, ecc.). 2. Riforma delle imposte che in special modo pesano sulla classe lavoratrice e abolizione del dazio consumo, nei Comuni chiusi od aperti, sui generi alimentari di prima necessità. 3. Applicazione, in materia d'imposte comunali, del criterio della progressività, coll'esenzione dei redditi minimi. 4. Aggiudicazione dei lavori pubblici a -le cooperative di lavoro; - istituzione di Camere di lavoro agricole e industriali; - sussidii efficaci alle stesse. 5. Giornata normale di lavoro limitata ad otto ore pei lavoratori dipendenti dal Comune; minimum di salario; - riposo settimanale di almeno 36 ore consecutive. 6. Partecipazione efficace della classe lavoratrice all'amministrazione delle Opere pie. 7. Trasformazione della pubblica beneficenza, rendendola più rispondente alla solidarietà e dignità umana. 8. Fondazione di Società professionali maschili e femminili a carico del Comune. 9. Obbligo al Comune di provvedere di vestimenta e di cibi i bambini più poveri che frequentano le scuole elementari. 10. Facilitazione di proseguire gli studi agli scolari poveri che ne siano giudicati meritevoli. Dal Programma Minimo del 1895 (Pubblicato sul numero 8 di "Critica sociale" nel 1895)

Mentre lo Starabba, a legittimare i delitti commessi dal suo Governo in danno della libertà, e le violenze nuove che meditava contro gli operai e i socialisti, ci intimava per la seconda volta: "di qui non si passa" noi attendevamo tranquillamente a preparare l'uscita del nostro giornale... Eravamo, or son pochi anni un pugno di persone compassionate come vittime di un'allucinazione di cui non era il caso di occuparsi con serietà, soggetto di ameni discorsi e di allegra canzonatura; poi, quando le parole nostre cominciarono a trovar eco fra il popolo che lavora, fummo trattati da malfattori; ma la persecuzione ci rese più forti di numero e di coscienza così da costringere lo stesso persecutore nostro d'oggi, lo Starabba, a confessare che contro di noi, contro l'idea nostra, l'uso della forza era, nonché assurdo, dannoso... Così dopo avere proclamato solennemente in Parlamento essere follia sperar di sopprimere il socialismo perché tanto varrebbe tentar di opprimere il pensiero; dopo aver riconosciuto che ogni attentato violento al socialismo e al pensiero costituisce un attentato contro la moderna civiltà, lo Starabba si accinge precisamente all'impresa di sopprimere la civiltà, di soffocare il pensiero. à per questo appunto, on. Starabba, che noi passiamo, malgrado i vostri divieti. Noi passiamo a esercitare quella influenza che ci spetta nelle lotte pubbliche, nella vita economica, nello sviluppo morale; passiamo in onta a voi, come passammo in onta a Crispi; e abbiamo la forza di passare, vincendo le vostre resistenze, perché arrestare il socialismo non è possibile senza arrestare quel moto immenso di trasformazione che si opera nella società e che si ripercuote nelle coscienze. Il socialismo, on. Starabba, non è una chimera di illusi che vogliono rimodellare il mondo secondo il

Per i socialisti italiani la fondazione dell'"Avanti!" rappresenta una vera e grande vittoria: dopo aver creato, negli anni precedenti, le proprie organizzazioni e aver eletto propri deputati, il Partito ha finalmente un suo quotidiano, elemento unificante per tutto il movimento socialista fin nelle più sperdute sezioni. Il giornale del Partito si chiamò Avanti! per rispettare una tradizione del giornalismo operaio ed internazionale che aveva visto un Avanti! nel 1881 di Costa che ricordava il "Vorwárts!" tedesco. L'articolo di fondo del primo numero, scritto dal direttore Leonida Bissolati, è caratterizzato dal tono di sfida verso il presidente del consiglio, Antonio Starabba di Rudiní.

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EDMONDO DE AMICIS: SIGNIFICATO DELLA PAROLA "COMPAGNO"

loro sogno, ma è la coscienza netta e precisa delle necessità imperiose che urgono, nella pratica della vita, la maggioranza degli uomini. Avete voi la facoltà d'impedire l'accentrarsi delle ricchezze in poche mani, di porre un serio ostacolo alla espropriazione dei piccoli proprietari, di opporvi alla rovina degli artigiani e al loro passaggio nelle officine capitaliste o tra le file dei disoccupati, di eliminare la lotta tra gli stessi capitalisti, di vietare che questa lotta metta capo al monopolio dei pochi e dei pochissimi, - avete, insomma, la forza di impedire il fatto che si verifica nella vostra società, e che la caratterizza, di un aumento ognora più accelerato di progresso industriale, accompagnato dall'estendersi sempre più spaventoso della miseria delle masse lavoratrici, della loro incertezza economica, della loro dipendenza politica, della loro compressione morale? No, una tal forza voi non l'avete. E dunque, come credete di impedire che queste masse sofferenti comincino a pensare che questa forza possono trovarla soltanto in se stesse; e che il mutamento della loro sorte può dipendere soltanto dalla loro iniziativa, diretta contro le cause dei loro mali? Ebbene: il socialismo non è che il riflesso e la formula di questo pensiero, che l'esperienza dei dolori e delle lotte d'ogni giorno educa nelle masse lavoratrici. Or voi potete bensì mandare i vostri poliziotti nei luoghi dove questo pensiero si elabora, mandarli a sciogliere le organizzazioni operaie e i circoli socialisti; potete, commettendo reati previsti dal vostro codice penale, sopprimere per gli operai e pei socialisti i diritti elementari di riunione, di parola, di associazione promessi dal vostro Statuto; potete elevare di nuovo a reato il diritto di sciopero, potete scapricciarvi a mandare tratto tratto qualche socialista in galera o alle isole; potete meditare, voi rappresentante di una classe andata al potere coi plebisciti, quanti attentati vi piaccia contro il suffragio popolare; voi potete far tutto questo e anche più, ma non potete fare che questi atti di brutale reazione non dimostrino che la causa della emancipazione operaia e la causa del socialismo sono tutt'uno colla causa delle libertà di pensiero e del progresso civile...

Edmondo De Amicis fa parte, insieme a molti altri, di quella schiera di intellettuali e di borghesi che alla fine dell'ottocento aderirono al socialismo e che dettero un loro personale contributo, a volte retorico e ricco di influssi populistici, alla diffusione delle idee socialiste. De Amicis fu collaboratore per molti anni del giornale socialista torinese Il grido del popolo" e su quelle colonne scrisse numerosi articoli sul problemi e le tribolazioni del mondo dei poveri, e collaborò agli Almanacchi socialisti. Il primo articolo, scritto negli ultimi anni del secolo scorso e ripubblicato sulI'Almanacco Socialista" del 1923, è tutto dedicato al significato morale e sentimentale della parola "compagno" un vocabolo che esprimeva ed esprime un modo di essere e di pensare che non ha confini geografici, mentre nel secondo, l'autore spiega il suo modo di intendere il socialismo. Solo l'operaio che s'ode chiamar "compagno" dallo studente, il "signore" che si sente dar quel nome dal povero, il dotto a cui lo dice l'uomo incolto, il giovinetto a cui lo dice il vecchio; solo il propagandista appassionato che se lo sente dire per la prima volta dall'amico per un lungo tempo restio, il quale adotta la paro a come segno e come prova della sua conversione desiderata; solo il prigioniero che in fondo ad un pezzetto di carta, fattogli pervenire con mille stenti, trova scritto i "compagni" sotto la consolante promessa che a sua moglie e ai suoi figli non mancherà il pane; solo l'oratore che lancia quella parola "compagni" a una folla di cinquemila uditori di ogni classe, che l'accolgono tutti con lo stesso fremito di compiacenza altera; solo colui che giunto in una città sconosciuta, si ode chiamar "compagno" da cento giovani' non mai veduti, ai quali per l'effetto di quell'apostrofe, si sente legato a un tratto da mille vincoli di affetto e di pensiero o come ad amici d'infanzia ritrovati; questi soltanto, noi soli, possiamo sentire e comprendere la poesia e la forza, il suono delle voci innumerevoli, il soffio possente di gioventù e di vittoria che questa parola racchiude. Come nei giorni della fanciullezza, alla scuola, in luogo della parola "amico", che non s'usa ancora, s'usa quella di "compagno" e si rivolge a tutti, signori e poveri, col sentimento stesso non turbato ancora da alcun concetto di diversità di classe sociale; così a noi con l'uso di quel nome si ridesta nell'anima il senso istintivo di fraternità e d'uguaglianza di quell'età più bella, che era rimasto sepolto per molti anni sotto un cumulo, sovrapposto a poco a poco, di false idee, d'orgogli

Leonida Bissolati (Dall'editoriale del primo numero delI'"Avanti!", 25 dicembre 1896) §§§

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miseri e d'interesse di classe diventati egoismo pauroso e incosciente; e in questo ringiovanimento di cuore e di linguaggio sentiamo come un presagio e un avviamento a quel ritorno degli uomini illuminati dalla scienza e dalla esperienza - in certe condizioni e forme di vita della fanciullezza dell'umanità, che è la definizione poetica e incompiuta del Socialismo. Sì, questa parola "compagno" che ha acquistato un senso nuovo in tutte le lingue europee, che si scambia familiarmente da Parigi a Berlino, da Milano a Madrid, da Nuova York a Londra, fra uomini che non si vedranno mai; questa parola al cui suono grave ed amorevole, quando lo diciamo al più umile lavoratore della nostra famiglia, tace in noi, come per virtù d'una parola magica, ogni sentimento d'orgoglio vano, o se un momento persiste, è soffocato dopo quel momento da un senso di vergogna e di rimorso violento come una rivolta del sangue; questa parola che a vederla scritta in capo a una lettera diretta a noi ci par tanto più bella e solenne quanto più rozza ed inetta si rivela la mano che l'ha tracciata a fatica; questa parola è per noi un alto e prossimo argomento di conforto e di gioia. Quando pure la vecchiaia o l'infermità o l'oscurarsi dell'intelligenza o un rovescio di fortuna ci condannasse nei nostri ultimi anni ad essere soldati disarmati e inoperosi dell'idea che ci splende alla mente, quella parola ci rimarrebbe sempre nell'anima come l'espressione del più alto stato a cui la nostra coscienza e la nostra vita d'uomini e di cittadini si siano sollevate. E all'ultima nostra ora, dopo che avremo detto addio alle creature strette a noi più caramente dal legame di sangue, il nostro sguardo cercherà un amico, uno almeno al quale possiamo dire ancora una volta "compagno" come nei nostri bei giorni di lavoro o di battaglia. E la più ambita, la sola gloria postuma desiderata da quelli fra noi che avranno degnamente operato per la grande causa, sarà d'essere accompagnato là, dove siamo tutti attesi, da un drappello di coloro a cui demmo quel nome e che sia il più povero di loro quello che dandoci l'ultimo addio, ci saluti una volta ancora con quella parola che ci fu così dolce e onorevole, e ci dica compagno riposa; noi proseguiamo il cammino. Edmondo De Amicis (Dall'Almanacco Socialista 1923)

eccessivo, e quindi non abbrutisca e non torturi alcuno, e dia al lavoratore il tempo di ristorar le forze, di curar la famiglia e di coltivar lo spirito; vuole che cessi questa necessità fatale che, per alimentare l'officina strappa le madri ai figlioli e i figlioli alla casa e alla scuola, estenuando e corrompendo donne e fanciulli, perpetuando l'ignoranza nella moltitudine e seminando la morte fra i deboli; vuole che cessi questa concorrenza sfrenata che è causa di tante basse passioni, angosce e rovine, questa furia di acquistare, questo terrore di perdere, questa mischia feroce degli uomini che si disputano a morsi il palmo della terra e il boccon di pane; vuole che cessi tutto questo per dar luogo a una società non più divisa da orgogli e da odi di classe, non più irritata da uno spettacolo di ineguaglianze, di ingiustizie e di miserie immeritate, che rattrista e scoraggia ogni coscienza onesta; vuole, insomma, che gli uomini si accordino e si compongano, per quanto è possibile, come una grande famiglia operosa, in cui, se non sono soppressi l'egoismo, i dolori, le ineguaglianze della natura, l'egoismo è contenuto, i dolori sono consolati, le ineguaglianze sono attenuate dall'affetto reciproco e dal sentimento dell'interesse comune, e non sono possibili la fame e la disperazione accanto all'abbondanza e alla festa. Edmondo De Amicis (Dall'Almanacco Socialista 1896) §§§

L'ESPULSIONE DEGLI ANARCHICI DALLA SECONDA INTERNAZIONALE Il problema dell'espulsione della corrente anarchica viene risolto dal movimento socialista italiano nel Congresso costitutivo del Partito che si tiene a Genova nel 1892 e che sancisce la definitiva espulsione degli anarchici. Questa stessa tematica era all'attenzione anche della Il Internazionale, l'organismo di direzione del movimento operaio internazionale nato nel 1889 che estenderà la sua influenza sui singoli partiti socialisti europei fino alla prima guerra mondiale. La rottura definitiva con gli anarchici in seno alla Il Internazionale avviene però soltanto nel Congresso di Londra del 1896. ... Per azione politica il Congresso intende la lotta organizzata, sotto qualsiasi forma, per la conquista del potere politico e la partecipazione della classe lavoratrice ai corpi legislativi ed amministrativi dello Stato e del Comune per giovarsene allo scopo della propria emancipazione.

Il socialismo vuole una società i n cui non si possa arricchire sul lavoro altrui, né vivere senza lavorare, in cui chi lavora abbia diritto a vivere, in cui, lavorando tutti, il lavoro non sia per alcuno

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2) Il Congresso dichiara che la conquista del potere politico è, pei lavoratori, il mezzo più potente di arrivare alla foro emancipazione come uomini e come cittadini e di istituire la repubblica socialista internazionale. Esso invita i lavoratori di tutti i paesi ad unirsi in partito indipendente da tutti i partiti borghesi e rivendicare: a) il suffragio universale ed uguale per tutti gli adulti; b) lo scrutinio di ballottaggio; c) il diritto di iniziativa e il referendum, nel Comune e nello Stato... L'Ufficio di presidenza ha mandato di redigere l'invito al Congresso futuro, facendo appello esclusivamente: 1) Ai rappresentanti dei gruppi che mirano alla sostituzione della proprietà e della produzione socialista alla proprietà e produzione capitalistica, e che stimano l'azione legislativa e parlamentare mezzo necessario allo scopo; 2) A tutte le organizzazioni operaie che, sebbene come tali non partecipino alla lotta politica, riconoscono la necessità dell'azione politica e parlamentare. Per conseguenza sono esclusi gli anarchici.

giornale quotidiano, "Le peuple"; impianta e mantiene la sezione di vendita del carbone, della biancheria e abiti, della drogheria oltre al servizio medico e farmaceutico, assicurato ai soci colla sola contribuzione di 25 centesimi per settimana. Dall'altra parte ogni socio riceve un utile di 2 centesimi ogni chilo di pane comprato e alla fine di ogni semestre realizza la somma di questi utili, non in moneta corrente, ma in moneta cooperativa, in un "buono", che gli serve per acquistare abiti o biancheria nella sezione della cooperativa. Ed è tutto qui. Ma è meravigliosamente pratico, efficace, umano. E per quest'anima socialista che le cooperative nel Belgio hanno, prime nel mondo, costruito le "Case del popolo", dove i socialisti sono in casa foro e tengono le loro adunanze e assemblee, ed hanno, nel caffè un luogo di ritrovo giornaliero". Enrico Ferri (Dall'Almanacco Socialista del 1896) §§§

CAMILLO PRAMPOLINI LA PREDICA DI NATALE

Dalla Risoluzione del Congresso di Londra della Il Internazionale (Da "Critica Sociale", ottobre 1896)

Camillo Prampolini occupa un posto a sé all'interno del Partito socialista Italiano: è giustamente considerato il maggiore organizzatore del movimento socialista reggiano perché la sua costante attenzione fu rivolta all'organizzazione delle Leghe fra contadini, delle Cooperative, della Società di Mutuo Soccorso. Prampolini si rivolge al suo pubblico con un linguaggio semplice e accessibile, ricco di esempi e di paragoni. Ne è esempio calzante questa "predica" Che, come è scritto nel sottotitolo, è dedicata alle "donne cattoliche": qui Prampolini si confronta con i sentimenti religiosi diffusi largamente tra la popolazione e cerca di farvi fronte tramite I richiami alla condanna cristiana dello sfruttamento del ricco sul povero.

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COOPERAZIONE E SOCIALISMO "Per cooperazione si intende l'organizzazione particolare, di un numero limitato di lavoratori, che nella produzione manifatturiera o nel lavoro manuale o intellettuale oppure nel consumo, si associano per eliminare gli intermediari e per realizzare degli utili, che si lasciano poi nel fondo sociale o si ripartiscono periodicamente tra i soci. Le società cooperative sono quindi un esperimento embrionale dell'ordinamento socialista. Mi pare opportuno accennare qui alla convinzione che mi sono fatto in proposito visitando e studiando il meraviglioso sviluppo del Partito socialista belga. La base sta nel 'Torno cooperativo". A Bruxelles ove la società conta 10-12 mila famiglie (circa 50.000 soci) si fabbricano ogni settimana 130.000 chili di pane ottimo, salubre, e che si vende a centesimi 22 i I chilo. Da questa enorme produzione (cui sono assegnate 3 squadre di lavoratori per te 24 ore quotidiane), la società ritrae degli utili di qualche centinaio di migliaia di lire ogni anno, di cui, per dirne una sola, 50.000 lire vanno ogni anno nella cassa per la propaganda socialista. E la società, con gli utili, dà vita in Bruxelles ad un

"Lavoratori! Ancora una volta voi avete festeggiata nelle vostre case e nella vostra chiesa la nascita di Gesù Cristo. Ma interrogate la vostra coscienza: siete ben sicuri di meritare il nome di cristiani? siete ben sicuri di seguire i principii santi predicati da Cristo e pei quali egli morì? Badate! Voi vi dite cristiani, perché recitate le preghiere che v'insegnarono i vostri parenti; perché andate alla messa e alla benedizione; perché infine vi confessate, vi comunicate e osservate tutte le altre pratiche del culto cattolico. Ma credete voi che questo basti per chiamarsi cristiani? Voi non potete crederlo, o amici lavoratori. Non potete crederlo, perché diversamente - se si dovesse

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ammettere che il cristianesimo consista nelle sole pratiche del culto cattolico - si dovrebbe arrivare alla strana, assurda, ridicola conclusione che i primi e più devoti seguaci di Cristo e lo stesso Cristo in persona... non furono cristiani... In che consiste dunque veramente la dottrina di Cristo? Quali erano i principi che egli predicava e che suscitarono tanto rumore e tanta guerra intorno a lui e i suoi seguaci? Eccoli qui, o lavoratori, i principii essenziali del cristianesimo, i principii che bisogna seguire se si vuole davvero essere cristiani. Gesù era profondamente convinto che gli uomini fossero tutti figli di uno stesso padre celeste: Dio; e Dio egli lo concepiva come un essere infinitamente giusto e buono. Ora, come mai - egli si domandava -come mai esistono nel mondo tante ingiustizìe? Come mai gli uomini sono divisi in ricchi e poveri, in padroni e schiavi? Come mai vi sono gli Epulei viventi nel lusso e i Lazzari tormentati dalla più crudele miseria? È mai possibile che Dio, il padre infinitamente giusto e buono - voglia queste inique disuguaglianze tra i figli suoi? - No - egli pensava - evidentemente queste disiguaglianze derivano solo dall'ignoranza, dalla malvagità degli uomini. Dio non Può volerle. Certamente, Dio le condanna. Certamente Dio vuole che gli uomini vivano come fratelli distribuendosi in pace e giustizia la ricchezza comune - e non già vivano come lupi in lotta l'uno contro l'altro, godendo gli uni della miseria degli altri. - Ebbene - diceva Gesù ai suoi compagni - noi dobbiamo dunque far guerra a questo doloroso e brutto regno dell'ingiustizia in cui siamo nati: noi dobbiamo volere, fortemente volere il "regno di Dio" - cioè il regno della giustizia, dell'uguaglianza, della fratellanza umana; noi dobbiamo persuadere i nostri fratelli che esso è possibile e non è un sogno. Dobbiamo trasfondere in loro la nostra fede, e il "regno di Dio" si avvererà.. Questo, o lavoratori, questo era il pensiero e la predicazione di Cristo. Un odio profondo per tutte le ingiustizie per tutte le iniquità, un desiderio ardente di uguaglianza, di fratellanza, di pace e di benessere fra gli uomini; un bisogno irresistibile di lottare, di combattere per realizzare questo desiderio - ecco l'anima, l'essenza, la parte vera, santa ed immortale del cristianesimo. Ed ora ditemi: siete voi cristiani? lo sentite voi questo benefico odio pel male? lo sentite voi questo divino desiderio del bene? Voi che cosa fate per combattere il male? che cosa fate per realizzare il bene?

Perché - badate, amici miei - voi potete andare in chiesa ogni giorno; voi potete ogni giorno confessarvi e comunicarvi; voi potete recitare quante preghiere volete; ma se assistete indifferenti alle miserie e alle ingiustizie che vi circondano, se nulla fate perché esse debbano scomparire, voi non avete nulla di comune con Cristo e i suoi seguaci, voi non avete capito nulla delle loro dottrine, voi non avete il diritto di chiamarvi cristiani... Ebbene, in questo giorno di Natale, mentre voi festeggiatela nascita del Nazareno, io che appartengo al Partito socialista, sono qui a dirvi: siate cristiani, o lavoratori, ma siatelo nel vero ed alto senso della parola! Cristo non fu ascoltato Il "regno di Dio" voluto da Gesù non fu ancora attuato. Passati i pericoli dei primi anni del cristianesimo, molti vollero dirsi cristiani, ma quasi nessuno si ricordò dei principii veri di Cristo. Ed ora - voi lo vedete - le disuguaglianze e le miserie che egli ha combattute sono più vive che mai. Mentre pochi godono nel lusso tutti i comodi e i piaceri della vita e mentre - se la società fosse meglio ordinata - ci sarebbe il modo di star bene tutti quanti, vi sono invece milioni d'uomini che mancano di pane, d'istruzione, d'educazione, che sono sfiniti dalle eccessive fatiche o mancano di lavoro, che lottano quotidianamente col bisogno e con la fame... E fra questi milioni d'uomini più o meno miserabili e che non hanno ciò che loro spetta, ci siete anche voi, o lavoratori dei campi. E appunto per ciò io dico a voi, uomini e donne: siate cristiani - cioè combattete questa grande ingiustizia che colpisce voi e i vostri fratelli di lavoro e che dissemina sulla terra la tristezza e il dolore! Questa ingiustizia può essere tolta. Voi dovete intenderlo, voi dovete crederlo. È venuto il tempo in cui il sogno di Cristo può essere finalmente realizzato. Basta che i lavoratori lo vogliano. Lavoratori associatevi! Se i lavoratori dei campi e delle città si daranno la mano; se essi avranno fede nella giustizia; se essi comprenderanno che gli uomini sono uguali e che per conseguenza nessuno ha diritto di dirsi padrone di un altro e di vivere a spese altrui, ma tutti hanno l'obbligo di prendere parte al lavoro comune, necessario alla vita; se per vivere umanamente - cioè per diventare liberi, per non aver padroni e godere l'intero frutto delle proprie fatiche - i lavoratori, invece di vivere isolati e di farsi la concorrenza, metteranno in pratica il precetto di Cristo: Amatevi gli uni cogli altri siccome fratelli, e formeranno dovunque le loro associazioni; allora, davanti alla crescente unione dei lavoratori, le ingiustizie sociali

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L'AZIONE DEI SOCIALISTI NEI PICCOLI COMUNI

scompariranno come si dileguano le tenebre dinanzi al sole che nasce. E sorgerà così i I mondo buono e lieto agognato da Cristo, il "regno di Dio". Lavorate a farlo sorgere, o lavoratori! Se non per voi, fatelo pei vostri figli; i quali - poiché li generaste - hanno bene il diritto che voi vi adoperiate in ogni modo a migliorare la condizione della vostra classe, affinché non siano essi pure costretti a vivere la vita misera e serva che da secoli voi vivete. Unitevi, associatevi! per voi, per le vostre donne, pei vostri bambini; per la difesa dei vostri più vitali interessi; per la conquista dei vostri più indiscutibili diritti; per la redenzione doverosa della vostra classe! Per voi e per tutti, o lavoratori, abbiate fede nel bene, sappiate volerlo - sorge. te, lottate perché la giustizia sia! Amate la giustizia! Solo in questo modo voi potrete dirvi veramente seguaci di Cristo e raggiungerete la meta ch'egli intravvide e per la quale egli e mille martiri generosamente si sacrificarono. Lo disse Gesù istesso nel famoso "discorso sul monte". "Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perciocché saranno saziati! "Beati coloro che son vituperati e perseguitati per cagion di giustizia!" Prendete a guida della vostra vita queste parole, o amici lavoratori, e sarete... socialisti. Si, voi sarete con noi, voi lotterete tutti al nostro fianco, perché noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo. Siamo noi "gli assetati di giustizia". Siamo noi che, in nome dell'uguaglianza umana, leviamo alta un'altra volta la bandiera dei poveri, dei diseredati, dei piccoli, degli umili, degli oppressi, degli avviliti, dei calpestati! Siamo noi che -innalzando un inno al lavoro produttore d'ogni ricchezza - annunziamo ai ricchi padroni del mondo il trionfo immancabile e il regno dei lavoratori; noi che ci sforziamo ad affrettare questo regno; noi i derisi, i "vituperati e perseguitati per cagion di giustizia"...

"Promuovere l'organizzazione di tutti i lavoratori della terra in cooperative, in modo da poter aver pronta, al momento necessario, tutta la macchina lavoratrice; diffondere l'istruzione affinché i lavoratori siano meglio in grado di comprendere i vantaggi del nuovo sistema; acquistare per conto del Comune le proprietà che di giorno in giorno sono espropriate per debiti o per ragioni fiscali, e farle lavorare da cooperative di contadini; istituire delle scuole agrarie sperimentali. I piccoli comuni socialisti potrebbero sin da ora preparare la società futura municipalizzando il servizio farmaceutico, la compera e la panificazione del grano, istituendo la refezione scolastica, aiutando e promuovendo cooperative di tutti i generi, reprimendo la ingordigia e la prepotenza degli appaltatori e dei capitalisti, istituendo scuole per i proletari, ecc. Tutte queste belle riforme dovrebbero domandare i gruppi socialisti dei più piccoli comuni e saliti al potere dovrebbero attuare". (Dall'Almanacco Socialista 1899) §§§

CLAUDIO TREVES: RITRATTO DI GIOLITTI Questo articolo, scritto da Treves a commento di un'intervista che Giovanni Giolitti aveva concesso alla "Gazzetta del Popolo" di Torino, mette bene in luce quale fosse la posizione del gruppo turatiano nei confronti delle forze democraticoborghesi. Dopo la reazione Crispina e le leggi repressive del Governo Pelloux, Giolitti appare ai riformisti come l'uomo giusto che può garantire loro la libertà di associazione e può realizzare un programma di governo vicino alle loro aspettative. C'è dall'altra riva un uomo che ci ha capito. L'uomo può essere simpatico od antipatico, inspirare fiducia o diffidenza, può essere un furbo o un ingenuo; il movimento di ricomposizione dei partiti può averlo favorevole o contrario, alla testa od alla coda: tutte queste sono singolarità accidentali: l'importante è che l'uomo abbia capito. Egli sa che esiste in quasi tutte le parti d'Italia un malcontento grave e pericoloso. A questo Paese - dice - non si è data né gloria, né prosperità. L'uomo dice: noi siamo il Paese più indebitato del mondo in paragone delle nostre risorse, ed in cosi tristi condizioni

Camillo Prampolini (Pubblicato la prima volta su "La Giustizia", periodico socialista di Reggio Emilia, il 24 dicembre 1897) §§§

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economiche abbiamo gettato in Africa cinquecento milioni per trovarvi una sconfitta. I succedanei del pane e della carne possono essere rappresentati, tanto dall'ambrosia pagana, quanto dall'incenso cristiano; ma da noi, si è tolto il sentimento religioso senza dare né istruzione, né educazione; da noi hanno fatto egualmente fiasco i clericali ed i liberali, i preti e i massoni - gli uni e gli altri perché si sono sempre occupati solo di se stessi e non han volto mai la minima attenzione a quelli che stavano sotto. Nell'esultanza del godere parve sola preoccupazione degna quella di conservarsi i mezzi del godimento; perciò si è creato il più mostruoso sistema tributario, per il quale la maggior parte dei pubblici pesi cade sui consumi di prima necessità e il complesso delle imposte è progressivo a rovescio; ed abbiamo il corso forzoso! L'uomo ha capito tutto ciò ed ha anche tenuto esatto conto degli sforzi che il paese ha fatto sotto l'impulso delle idee e dei capitali importati per uscire da cotanto marasma. A questi sforzi l'uomo non sa o non può aggiungere nulla -ma nitidamente intende il dovere dell'uomo di Stato di non soffocarli sotto le violenze civili, di lasciare che i nuovi germi sociali si fecondino e si sviluppino liberamente. Egli perciò grida: E a un Paese in simili condizioni si minaccia ancora di togliere la libertà? Questa è insipienza e pericolosa provocazione. Infatti egli aggiunge: Le leggi restrittive diminuiscono le esteriori manifestazioni del malcontento, ma lo aggravano e lo rendono più pericoloso, poiché costringono i partiti sovversivi ad organizzarsi; quanto più gravi sarebbero stati i fatti di maggio 1898 se vi fosse stata una segreta organizzazione ed i disordini fossero scoppiati dappertutto contemporaneamente!... Perché ciò non succeda, egli domanda libertà, mentre noi domandiamo libertà, perché riteniamo ogni intervento poliziesco, ogni costrizione politica da parte dello Stato, come fatali allo sviluppo normale degli embrioni della vita nuova, faticosamente disseminati tra questo popolo in questa dolorante gestazione di secolo! Ma, comunque, egli domanda libertà -e sia pure soltanto per spirito stretto di funzionario che non vede oltre la tranquillità pubblica - ei non impedirà che, forse malgrado suo, l'integrale diritto di riunione e di associazione dia alle masse coscienza della propria forza e ne educhi per tal via l'animo ai sentimenti di solidarietà e di moralità civile che il fiacco senso religioso e la mancata istruzione ed educazione della scuola facevano dubitare al trepido uomo fossero per sempre perduti.

La conclusione di tutto ciò è che l'uomo, per quello che ha capito, non sarà mai nostro, ma ci dovrà sempre trovare fra lui e gli altri, gli irreducibili, quei che nulla vogliono capire mai. Di mezzo alla selva reazionaria, che minaccia di soffoca re lui come noi, se ci chiederà di dare in giro buoni colpi d'accetta per poter pigliare respiro, non dovremo essergli scarsi di aiuto... Ah! se quest'uomo, pur dal suo angusto punto di vista di montanaro avido e astuto, attraverso la libertà volendo arrivare all'ordine pubblico ed alla sconfitta del malcontento, incappasse per via nella ristorazione economica del Paese, nella fondazione di un regime aperto e largamente produttore, e rinvigorisse le industrie, dando sicurezza ai capitali, e salvasse i piccoli tassando di più i più grossi, e creasse il Proletariato creando alla fine la Borghesia, e formasse il nocciolo di un grande Paese sinceramente e capitalisticamente moderno; quanta gloria per lui e quanta riconoscenza! Claudio Treves (Da "Critica Sociale", gennaio 1899) §§§ Antologia3

PREFETTURA DI MILANO: INFORMATIVA RISERVATA SU FILIPPO TURATI Questa biografia "riservata" della Prefettura di Milano su Filippo Turati, tra le tante compilate in quegli anni sui socialisti e sugli "agitatori", è singolare, sia per la sua accuratezza, sia per il rispetto con il quale il dirigente socialista è trattato - tenendo conto che le sue idee e le sue attività - dal punto di vista dell'estensore della nota, sono illecite. Prefettura di Milano - Riservata Turati Filippo del fu Pietro e di Giovanni Adele, nato il 26 novembre 1857 -possidente - avvocato celibe - domiciliato a Milano. Socialista. Connotati: Statura: alta - Corporatura: snella -Capelli: neri Fronte: alta - Naso: grosso - Occhi: neri - Bocca: media - Mento: ovale - Viso: largo - Colorito: bruno - Barba: castana dalle guance in giù - Portamento: ordinario - Espressione fisionomica: intelligente Abbigliamento abituale: poco accurato - Segni speciali: zigomi sporgenti capelli piuttosto lunghi. Riscuote nell'opinione pubblica la fama di chi, fra l'adorazione dei proseliti e le esagerazioni degli avversari è creduto dagli uni un semidio dagli altri un cattivo genio. Anche attorno al Turati che, nella fantasia delle masse riassume le loro speranze e

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l'avvenire, si è formata quindi l'aureola del tribuno che gode incondizionato il favore popolare. Ha carattere vivace, discreta educazione, intelligenza svegliatissima, molta coltura. Ha compiuti gli studi legali ed è fornito di laurea in legge. Non esercita la professione, tutto consacrato al trionfo del Socialismo ed alla causa del Partito. Trae i mezzi di sostentamento dall'eredità paterna e dalla Critica Sociale. Frequenta i compagni del Partito, e affini. Coabita con la madre Adele, vedova e pensionata. Il padre di lui fu già prefetto del Regno. Consigliere provinciale alla fine del 1889 e poi deputato al Parlamento dal giugno 1896, ha portato in queste pubbliche cariche tutto il suo spirito battagliero ed indomito, e tutta la sua attività ha messo a beneficio del Partito che rappresenta... Prima non ha appartenuto ad altra parte politica. à l'anima e la mente del Partito socialista in Milano, e la di lui azione, mentre oltrepassa la cerchia della città e della nazione, ha in Milano stessa la massima intensità... La sua attività si esplica tutti i giorni nelle piccole e nelle grandi cose, ed a lui è dovuta l'organizzazione e la disciplina del Partito, a lui l'indirizzo dato allo stesso, specialmente a Milano, indirizzo di lotta che trascende, nel fatto, in odio alla classe. La sua influenza nelle masse è illimitata, e si può con certezza affermare che fu in gran parte opera sua quello stato di eccitamento, di tensione popolare, quello spirito di rivolta che condusse per fatale conseguenza al moto insurrezionale del maggio 1898. Gode di una certa influenza anche all'Estero ed è in relazione con i capi del Partito socialista di Francia, Germania, Belgio, Spagna, Svizzera. Collaborò alla Rivista Italiana del socialismo edita in Lugo, ed alla redazione del giornale Cuore e Critica che cessò dalle sue pubblicazioni per dar luogo al nuovo periodico socialista La Critica Sociale di cui è direttore. È anche autore di varie pubblicazioni, sempre d'indole economico-sociale, nelle quali in forma piana e semplice si diffonde nelle masse il verbo socialista. A lui si devono, fra le tante, le seguenti pubblicazioni: 1)L'Inno dei lavoratori, 2) La Critica Sociale, 3) Il dovere della resistenza, opuscolo, 4) Le otto ore di lavoro, 5) I sobillatori. Fa attivissima propaganda, specie nelle classi operaie e con molto profitto. Ha la parola brillante e facile, la frase incisiva e smagliante, la voce squillante e sonora, il gesto semplice e dignitoso, tutte qualità che lo rendono uno dei migliori oratori popolari. Le conferenze che ha tenute non si contano, ed è noto quanto abbiano giovato al partito... Ha preso parte, e non secondaria, a tutte quelle manifestazioni del Partito che conferissero ad esso

carattere di vera e propria espressione della volontà popolare, a mezzo della stampa, firmando manifesti e programmi ed in occasione di anniversari, commemorazioni, riunioni' ed altre pubbliche manifestazioni... Infine in tutta la sua vita operosa e combattente come dirigente e militante, validamente aiutato dalla nota Anna Kuliscioff, della quale è sempre l'intimo compagno, egli rivela l'indole sua battagliera, ed appare come un focoso destriero che non conosce ostacoli, ciò che imprime ai suoi atti un carattere di violenza e d'insofferenza, una fretta di arrivare, di vedere attuare le sue concezioni politico-sociali in una forma di Stato che non è certo quella presente, dalle attuali istituzioni facendo derivare tutto il malessere della patria, nel campo etico ed in quello economico, nella politica interna ed estera delle classi dirigenti del suo paese. Il 26 settembre 1894 proposto al domicilio coatto, in forza dell'art. 3, legge 19 luglio 1894, n. 316, ma non assegnato. Il 12 giugno 1899 sottoposto alla vigilanza speciale per la durata di anni tre, ma con declaratoria 3 gennaio 1900 della Corte di Appello dichiarata cessata la vigilanza. Con sentenza 8 novembre 1894 condannato dal locale Tribunale a tre mesi di detenzione ed alla multa di L. 50 per l'opuscolo I sobillatori incriminato a senso dell'art. 247 del cod. pen.: esclusa l'incriminazione in appello. Con sentenza 31 dicembre 1894 condannato da! medesimo Tribunale a mesi cinque di confino, da scontare ad Udine, quale capo della Lega socialista milanese, disciolta con decreto prefettizio del 16 ottobre 1894, pena che non espiò, essendo cessati gli effetti delle leggi eccezionali 19 luglio 1894. Denunciato per la pubblicazione dell'Almanacco socialista del 1895 ai sensi dell'art. 247 cod. pen. e legge 19 luglio 1894, n. 315, venne dal locale Tribunale con sentenza 8 gennaio 1896, assolto perché estinta l'azione penale in virtù dell'art. 1° R. decreto d'amnistia, 14 marzo 1895, n. 95. Con sentenza del 1° agosto 1898 condannato dal Tribunale di guerra ad anni 12 di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici ed all'interdizione legale pel reato contemplato dall'art. 252 del codice penale. In virtù del Sovrano indulto 4 giugno 1899, dimesso dal reclusorio di Pallanza. Il Prefetto di Milano, Milano 18 luglio 1900 §§§

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IL PROGRAMMA MINIMO APPROVATO AL VI CONGRESSO SOCIALISTA

organizzare ed educare economicamente, politicamente ed amministrativamente il proletario a preparare, assumere e mantenere la gestione della società collettivizzata. E quindi deve accogliere: l' tutte le riforme e tutte le istituzioni che giovano ad infondere nel proletariato il senso e la coscienza di classe e ad abituarlo alla libera ed efficace espressione politica de' suoi interessi; 2' tutte le riforme e tutte le istituzioni che ponendo un argine allo sfruttamento capitalistico, elevano le condizioni economiche e morali del proletariato e lo iniziano all'amministrazione ed al governo della cosa pubblica, secondo leggi che siano emanazione della sua classe; 3' tutti i provvedimenti, infine, che, anche per altre vie, innalzano il valore e le condizioni del proletariato come classe, nei rapporti della capacità intellettuale e del vigore morale e fisico, o che provvedono i mezzi finanziari, necessari alle riforme che più direttamente lo interessano. Così noi designiamo tre ordini di trasformazioni sociali ad abbracciare tutte le riforme e le istituzioni di un Programma Minimo veramente organico, ossia veramente socialista, perché in rapporto indefettibile con la conquista dello Stato da parte del proletariato ai fini della socializzazione dei mezzi di produzione. Trasformazioni politiche Stato democratico, dove il proletariato si senta realmente uguale - politicamente e giuridicamente al capitalista; e quindi: 1. Suffragio universale, semplice, diretto e segreto, per tutti i maggiorenti d'ambo i sessi. - Elettorato passivo illimitato, salvo interdizione per infermità. Rappresentanza proporzionale. - Referendum. 2. Tutte le cariche, senza eccezione, eleggibili, revocabili, responsabili, retribuite. (Abolizione del Senato. - Giudice elettivo. - Indennità ai deputati ecc.). 3. Libertà di tutte le opinioni e di tutte le manifestazioni: parola, stampa, riunione, associazione. - Guarentigie dell'esistenza e dello sviluppo di tutte le organizzazioni economiche: Cooperative, Leghe, Sindacati, Camere di lavoro. Responsabilità effettiva dello Stato e dei funzionari. (Habeas corous e indennità alle vittime per errori giudiziari e di abusi di polizia. - Abolizione degli articoli 3 Legge di P.S. e 247, 251 Codice Penale. Riconosciuta libertà di opinioni e di manifestazioni, in materia religiosa, politica, sociale, ai maestri, agli impiegati, ecc. - Deferimento alla giuria di tutti i reati d'indole politica e sociale ecc.). 4. Neutralità assoluta dello Stato nei conflitti fra capitale e lavoro. - Libertà effettiva di coalizione e di

Dall'8 al 10 dicembre 1900 si svolge a Roma il VI Congresso nazionale del Partito, particolarmente importante perché in esso, per la prima volta, la linea di Turati e dei riformisti risulta nettamente vincente. Un documento molto significativo di questo Congresso è costituito dal testo del Programma minimo che qui viene riprodotto. Su questo Programma si svilupperà l'opera dei socialisti fino alla prima guerra mondiale. L'opera riformatrice dei socialisti italiani, secondo il programma minimo del 1900, doveva abbracciare tutti i campi portando a trasformazioni politiche economiche e amministrative profondamente democratiche. Il Programma Minimo del Partito socialista sta al suo Programma Massimo nei rapporti di mezzo a fine; in ciò consiste la sua distinzione qualitativa da tutti i programmi riformistici borghesi, per i quali le riforme sono fine a se stesse, ossia soddisfano volta per volta, ai bisogni del sentimento, eccitato dalla visione singola di questa o di quella maggiore o più evidente ingiustizia o malattia sociale, senza assalire le ragioni del male consistenti nel l'organizzazione economica e politica della società umana. Perciò il Programma Minimo socialista quale noi lo concepiamo anziché essere una elencazione di riforme necessariamente incompleta perché essenzialmente mutabile col mutarsi delle condizioni esteriori dell'organismo sociale, economico e politico, preferisce quelle larghe correnti di trasformazione che sono da introdursi nel corpo della vita sociale d'Italia e le singole riforme vengono indicate quasi a mero titolo di esemplificazione che non ha nulla di tassativo, e lascia libero il lavoro di elaborazione scientifica di ogni proposta, in coerenza col fine generale del nucleo di trasformazione cui essa appartiene. Infine, il Programma Minimo socialista che si distingue essenzialmente, per il fine e lo spirito che lo anima, da qualsiasi piattaforma occasionale di agitazione in cui il nostro Partito possa trovare alleati, astrae dal criterio dell'attuabilità di ogni singola riforma nel congegno attuale e nel presente momento dello Stato italiano: suppone anzi che la richiesta, anche di riforme incompatibili con gli interessi organizzati dello Stato attualmente prevalenti, spingerà lo Stato stesso a trasformarsi in senso progressivo verso la libertà e la giustizia sociale. Per tutte queste ragioni il Programma Minimo socialista deve contenere tutto ciò che serve ad

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sciopero. -(Divieto di sostituire la forza pubblica ai lavoratori in isciopero. - Riconoscimento del diritto delle maggioranze negli scioperi. - Abolizione degli articoli 165 e 167 Codice Penale. - Legge che tuteii la lìbertà delle Leghe e delle coalizioni di resistenza fra i lavoratori ecc.). 5. Eguaglianza giuridica e politica dei due sessi. 6. Nazione armata. - Diritto di pace, di guerra e di stipulare trattati, affidato alla rappresentanza elettiva della nazione. -Abbandono di ogni politica coloniale a base di conquista militare. 7. Stato laico. (Abolizione del bilancio dei culti. Tutte le organizzazioni religiose considerate alla medesima stregua e assoggettate ugualmente al diritto comune). 8. Decentramento politico ed amministrativo. Comune autonomo. - Referendum comunale sostituito alla tutela della giunta provinciale amministrativa. - La polizia dei grandi comuni affidata ai municipi. - Modificazione dell'attuale legislazione nel senso di favorire la municipalizzazione dei pubblici servizi. 9. Accresciute guarentigie dei cittadini di fronte alla giustizia e alla polizia. -Riforma del gratuito patrocinio civile e penale, trasformato in ufficio pubblico elettivo, retribuito dallo Stato. - Istruttoria penale pubblica con assistenza di avvocato. Riforma penítenziaria. (Abolizione della segregazione e degli inasprimenti di pena che demoliscono la personalità morale del condannato, e delle pene detentive per gli adolescenti. - Sviluppo della libertà condizionale e della condanna di prova. - Lavoro carcerario regolato in guisa da evitare lo sfruttamento dei reclusi e la concorrenza al lavoro libero ecc..). Trasformazioni economiche Difesa sociale del salariato; leggi eliminanti la concorrenza nell'interno della classe proletaria; e quindi: 10. Limitazione e tutela del lavoro delle donne. Riforma ed ampliamento della legge sul lavoro dei fanciulli. - Giornata normale di lavoro e riposo settimanale di almeno 36 ore consecutive. Proibizione del lavoro notturno, salvo casi di pubblica necessità. - Abolizione dei trucksystem. Ispettori ed ispettrici per l'applicazione delle leggi operaie, eletti dalla classe lavoratrice e stipendiati dallo Stato. 11. Miglioramento della legge sugli infortuni del lavoro. - Ispettori tecnici sopra l'igiene e la sicurezza nelle fabbriche. - Riforma della cassa di previdenza per i vecchi, invalidi, inabili al lavoro, in senso più vantaggioso ai lavoratori, chiamati a far parte dell'amministrazione. - Assicurazione obbligatoria operaia per le malattie del puerperio.

12. Sviluppo del sistema dell'arbitraggio con l'estensione del probivirato alle campagne. Giurisdizione degli arbitri sui regolamenti di fabbrica. 13. Concessione dei lavori pubblici, a parità di condizioni, alle associazioni cooperative di lavoratori. 14. Riforma dei patti colonici a vantaggio dei lavoratori. 15. Libertà e difesa dell'emigrazione proletaria. 16. Nazionalizzazione delle industrie dei trasporti, delle cave, miniere, ecc. e loro esercizio di Stato quando non sia possibile l'esercizio cooperativistico dei lavoratori. 17. Ufficio ministero del lavoro, assistiti da rappresentanze elettive di lavoratori organizzati. Trasformazioni amministrative e tributarie Riforme e istituzioni che, all'infuori dei campi contempla ti nei due gruppi precedenti elevano il valore del proletariato come uomo e come cittadino, ne migliorano le condizioni come consumatore e provvedono ai mezzi finanziari indispensabili ad altre riforme già indicate; e quindi: 18. Istruzione obbligatoria, laica, gratuita fino alla 5a classe elementare. -Istruzione complementare, parimenti obbligatoria e gratuita, per almeno quattro anni, e, con essa, istruzione professionale tecnica o agraria. - Sovvenzioni, agli scolari poveri, di vitto, vesti, mezzi di studio. - Università popolari (estensione universitaria). - Autonomia universitaria. - Miglioramento ed eguaglianza delle condizioni dei maestri e delle maestre. 19. Sviluppo dell'igiene pubblica. - Redenzione delle terre incolte. - Lotta contro le malattie professionali. 20. Trasformazione delle opere pie. 21. Riforma tributaria: Abolizione dei dazi di frontiera sul grano e suglì altri generi dì consumo popolare. - Abolizione del dazio consumo e di ogni imposta indiretta. - Imposta unica progressiva e globale sui redditi e sulle successioni. - Tassazione intesa ad elidere gli arricchimenti dovuti allo sviluppo della società e indipendenti dall'industria del proprietario. - Soppressione o riduzione delle spese improduttive (esercito, pensioni, burocrazia, ecc.). - Massimo e minimo di stipendio per gli impiegati dello Stato. - Riduzione degli interessi del debito pubblico. Dal Programma Minimo del 1900 (Pubblicato su "Critica Sociale", 16 settembre 1900) §§§

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FILIPPO TURATI: LA VIA DEL RIFORMISMO

I due punti saldi sono stati fissati come schemi, sopra i quali ogni azione del Partito si svolge: da un lato, l'organizzazione economica del proletariato, ordita specialmente sulla trama della resistenza, effettiva o virtuale; dall'altro, l'azione politica e legislativa, conducente alle riforme e alla graduale conquista dei pubblici poteri; conquista che non si opera col personale insediarsi di alcuni socialisti in cariche determinate, ma colla crescente pressione degli interessi proletari sulla politica generale dello Stato... Le caratteristiche più sopra riassunte del Partito socialista sono quelle che essenzialmente lo differenziano da tutti gli altri partiti. La finalità collettivista lo distingue da tutti i partiti borghesi, nel senso più lato della parola, comprensivi i cooperativisti, gli associazionisti, ecc., che immaginano la rivoluzione possibile senza l'espropriazione del capitalismo. Il materialismo economico ed il concetto della lotta di classe lo distinguono da ogni sorta di utopie filosofiche, filantropiche e sentimentali. Il concetto positivo della gradualità e della conquista perenne da parte della massa che si eleva, e i metodi d'azione che ne sono la conseguenza, lo distinguono innanzi tutto dagli anarchici, i quali rimangono depositari dell'utopia catastrofica e del culto per la ribellione e l'insurrezione; poi dai repubblicani, i quali isolano uno solo e non certo il maggiore dei privilegi sociali e lo additano come il caposaldo e come il più funesto di tutti; dai corporativisti, che presumono di trovare una soluzione sociale nella semplice organizzazione operaia, non animata da spirito politico, né preordinata a fini di trasformazione sociale; dai riformisti, opportunisti, possibilisti, ecc., pei quali le riforme sono fini a se stesse e si ottengono direttamente, con azione isolata, e per lo più colla semplice persuasione... Il problema politico dell'ora presente in Italia consta di due termini, ripiegati a dilemma. Nell'uno è lo sforzo rabbioso, domato appena, non vinto, di tutto il superstite medioevo economico e morale, delle vecchie e nuove baronie, che tentò fino a ieri, e ritenta, di traversare il cammino al procedere solenne della rivoluzione borghese. Nell'altro è il programma di una borghesia vera e propria, giovane, intraprendente, moderna, la quale, pur curando il proprio interesse di classe - anzi per attendervi meglio - riconosce il diritto di tutte le classi operose, della classe proletaria con esse, alla lor parte di sole. E questo secondo è il termine nel quale - a malgrado di deviazioni e di deficienze inevitabili - si concreta l'indirizzo del governo liberale: il quale ha ancora - né può avere - per l'origine recente, per le

Questo scritto di Turati può considerarsi quasi come il manifesto dei riformisti che guidarono il Partito durante l'età giolittiana. L'avvento al potere di Giolitti viene visto molto positivamente come l'inizio di una fase liberale e progressista che avrebbe permesso condizioni più favorevoli per lo sviluppo del movimento operaio. Il concetto fondamentale della politica riformista stabilisce infatti che l'evoluzione generale della società, e quindi anche del movimento operalo, deve procedere per gradì, senza rotture rivoluziona. rie e attraverso una fitta opera di riforme politiche e sociali. I principi fondamentali della dottrina, onde li Partito socialista s'ispira, si possono, all'ingrosso, formulare così: 1) In primo luogo, il Partito socialista pensa che si debba agevolare la naturale evoluzione la quale porta la società a sostituire la proprietà e la gestione collettiva alla proprietà e alla gestione privata dei mezzi di produzione; e questo è il collettivismo. 2) In secondo luogo, esso pensa - conforme alla concezione del materialismo economico - che quest'opera di progressiva espropriazione e socializzazione non possa prepararsi né compiersi se non dalla classe più direttamente interessata - il proletariato - contro la resistenza più o meno viva delle altre classi sociali; e questo si risolve nel riconoscimento e nel metodo della lotta di classe. 3) In terzo luogo, è pensiero comune del Partito socialista che la trasformazione sociale detta dì sopra non possa farsi nè per decreti dall'alto, né per impeti subitanei dal basso, ma presupponga tutta una lenta e graduale trasformazione, anzitutto dell'ossatura industriale (e questa è in via di farsi da sé, e poco o nulla vi può l'azione individuale e dei partiti), poi, e coerentemente, una trasformazione e un elevamento, non meno lenti e graduali, del pensiero, delle abitudini, delle capacità delle stesse masse proletarie. Questo elevamento non avviene per rivelazione mistica o per trasfusione precettuale; bensì coll'esercizio, che crea le forze, e colle riforme, che o rende no l'esercizio possibile, o ne fissano i risultati e le conquiste in istituti legali... Ed è questo il campo dell'azione quotidiana del Partito,- indicato, più o meno esattamente e completamente, dal programma minimo: il quale però non è qualcosa di per sé stante, avulso dalle supreme finalità del Partito, ma costituisce con queste un solo programma, e sta ad esse come la via sta alla meta.

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ARGENTINA ALTOBELLI: IL PRIMO CONGRESSO DELLA FEDERTERRA

forze che gli insidiano il passo, tutte le timidezze di uno sperimento. Ma se lo sperimento riesce, se varca quello che chiamai il periodo del consolidamento, disarmando le baldanze della grande proprietà e i timori delle classi mezzane, indebolendo, a mano a mano, il dominio, formidabile ancora, della spada e della stola, lasciando crearsi una coscienza nazionale più elevata, più diffusa e più vigile, è certo che ad esso seguirà, pel proletariato, il periodo della conquista: conquista, oltreché di libertà più ampie e più sicure e dei conseguenti immediati benefici economici, anche di talune fra quelle riforme legislative che il programma minimo addita come più essenziali... Lo sviluppo graduale della classe proletaria, il livello del tenore di vita elevato, la possibilità di elevarlo sempre più nell'ambito legale, di conquistare ogni giorno, colla vita meno cieca e meno tribolata, le ragioni del vivere, infine il riaprirsi ai nati in terra italiana una patria anche dentro il confine; tutto ciò chiude l'era delle convulsioni periodiche del nostro Paese e assicura al moto proletario una interrotta ed accelerata ascensione... Il Partito socialista deve perciò far argine, innanzitutto, intorno al governo, per proteggerlo da61i attacchi e dalle insidie della reazione cospirante; vigilarlo perché tenga fede al programma; sospingerlo sulla via delle riforme; e, riaffermando in ogni occasione il programma proprio, intensificare la propria azione nelle masse, azione educativa ed organizzatrice... Il contegno cauto e misurato del gruppo e del Partito socialista, affrettando il consolidamento della libertà e del rispetto della legge, preparava meravigliosamente il compito nostro del domani; che è di estendere l'organizzazione del proletariato in quante è più possibile regioni d'Italia: creare, dove manca, rafforzare, dove esiste, la coscienza socialista delle masse; agevolare le riforme tributarie e militari tanto attese dal Paese; preparare una seria ed efficace legislazione protettiva del lavoro industriale ed agricolo: tornare infine risolutamente a quell'opera specifica di parte nostra, che dev'essere, come accennavo da principio, l'azione nostra quotidiana, e dalla quale la difesa necessaria della libertà, sotto i governi reazionari, ci ha per tanto tempo sviati.

In questo brano scritto dopo la prima guerra mondiale Argentina Altobelli traccia un bilancio di quella che fu una delle maggiori e più combattive organizzazioni sindacali socialiste: la Federterra, di cui la Altobelli fu segretaria e instancabile organizzatrice per oltre venti anni. La Federazione nazionale del lavoratori della terra era stata infatti costituita nel 1901 e contava nel suo primo congresso circa 150.000 !scritti. All'inizio degli anni '20 il movimento associativo nelle campagne si diffonderà con sempre maggiore estensione In tutta Italia fino a raggiungere gli 850.000 !scritti. Della Federterra facevano parte le leghe dei braccianti e i salariati agricoli In genere, le leghe dei mezzadri e quelle dei fittavoli e dei piccoli proprietari purché, questi ultimi, direttamente impegnati nella coltivazione della terra. Questo primo congresso segna veramente una data storica che commosse i proletari d'Italia e sbalordì la classe borghese inconscia del risveglio e del movimento di organizzazione dei lavoratori sfruttati delle campagne ignari fino allora del diritto di cittadini. Al congresso, presieduto da Andrea Costa, erano rappresentate 704 leghe con un numero complessivo di 152.022 contadini di quasi tutte le regioni d'Italia. La iniziativa del congresso, che rispondeva al bisogno di raccogliere e coordinare tutte le forze sparse dei lavoratori della terra, si deve alle organizzazioni di Mantova e di Reggio Emilia. Al congresso furono discussi i problemi più importanti dei lavoratori agricoli quali: emigrazione interna, tariffe, patti di lavoro e legislazione agraria. La discussione si accese vivacissima sulla socializzazione della terra e il voto in favore di essa sollevò le proteste di parecchie leghe repubblicane, quasi esclusivamente di coloni, che si distaccavano perciò dalla Federazione nazionale. Traverso questo primo atto, che si può dire il battesimo spirituale del movimento dei contadini che allora era l'espressione soltanto di un sogno, si delinea l'orientamento sicuro che la Federazione non ha mai abbandonato. Il voto aveva allora una pura significazione di idealismo quasi ingenuo. Si discuteva della ammissione o meno alla Federazione dei piccoli proprietari che popolano numerose piaghe d'Italia. Il congresso era dibattuto da due preoccupazioni: voleva vincolare i piccoli proprietari e nello stesso tempo ne temeva lo spirito egoistico. Fu l'on. Enrico Ferri che credette di risolvere il quesito

Filippo Turati (Da "Critica Sociale", 16 luglio 1901 §§§

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proponendone l'ammissione purché essi accettassero la socializzazione della terra come fine della organizzazione. Il vincolo era, come tale, di nessuna consistenza. Ma rappresentava una di quelle soluzioni che pongono la coscienza delle masse a tu per tu con grandi principi ideali, che incidono un principio e segnano una linea ideale destinata a materializzarsi nel futuro. Oggi, mentre il problema della socializzazione è sul terreno delle questioni concrete, non si può pensare a quel voto del 1901 senza considerare il profondo senso di chiaroveggenza che vive pur tra i moti più ideali delle grandi masse. Il congresso finì trionfalmente con la costituzione della Federazione nazionale. Le forze sparse avevano un nucleo. Cominciava la storia di un movimento organico.

maggioranza; ovunque, repressione spietata di ogni rinnovamento proletario, salvo che il deputato ministeriale non isperi di incanalare il movimento a proprio vantaggio. Un uomo del Nord non ha la minima idea di quel che questi fatti significhino, perché il più forcaiuolo e camorristico Governo di questo mondo non si permetterebbe mai nel Nord neanche la millesima parte di ciò che si può concedere il Governo più liberale e onesto nel Sud. Se in una grande città come Palermo, dove esiste una stampa quotidiana e un rudimento di pubblica opinione, la prefettura arriva ad allearsi pubblicamente con la mafia ciò che gli agenti del Governo fanno nelle piccole città meridionali, per le quali non esiste alcun sindacato della pubblica opinione, supera le forze di ogni più macabra fantasia... La presente legge elettorale, escludendo dal voto gli analfabeti e riducendo nel Mezzodì a proporzioni minime il numero degli elettori, fa sì che lo spostamento di cento o duecento voti determini con sicurezza la vittoria; e basta che il regio commissario e il delegato di pubblica sicurezza siano due pezzi di galera - ed è sempre questo il caso - perché la vittoria del Partito governativo sia matematicamente sicura. Né è un artificio polemico o una iperbole, come son portati a credere i nordici, quando un meridionale afferma che Pelloux e Giolitti si equivalgono: dal punto di vista delle condizioni meridionali quest'affermazione non è che troppo dolorosamente vera. Ma un'altra ragione anche più profonda esiste, perché i socialisti meridionali debbano esser antiministeriali. Quand'anche il Governo lasciasse alle organizzazioni proletarie del Sud la libertà di cui godono quelle del Nord, i socialisti del Sud non potrebbero questa libertà che adoperarla contro il Governo stesso per strappare riforme politiche, laddove i socialisti del Nord, appena conquistata la libertà, devono per necessità di cose adoperarla, non per le riforme politiche, ma per le conquiste economiche e per le leggi sociali. Nel Nord, ricco e fiorente, lo Stato, specie dopo i recenti progressi industriali e commerciali, è diventato molto meno oppressivo che non fosse fra il 1860 e il 1890... Il Partito socialista del Sud, al contrario, non potendo fare agitazione economica, salvo che non voglia spinger i contadini affamati ad assalire i proprietari più affamati ancora, deve sempre fare azione politica. Ed è naturale che sia avverso al ministero Zanardelli, il quale in due anni non ha compiuto nulla in questo senso. Com'è naturale che i socialisti del Nord siano ministeriali, avendo avuto sotto il ministero Zanardelli quella

Argentina Altobelli (Memoria per il Congresso Internazionale dei lavoratori della terra, Amsterdam, agosto 1920) §§§

GAETANO SALVEMINI: LE DUE ANIME DEL SOCIALISMO In uno scritto pubblicato sulla "Critica Sociale" del 1902, Gaetano Salvemini parla di quelle che erano, a suo parere, le due anime del Socialismo: quella progressista del Nord e quella rurale del Sud. Con uno stile vivace, Salvemini traccia il ritratto della desolazione del Sud, dei brogli elettorati che si ripetevano sotto Giolitti come sotto Pelloux, delle violenze contro le organizzazioni popolari e dell'arretratezza culturale dei lavoratori meridionali. Egli giudica che solo con l'introduzione del suffragio universale possano essere risolti i maggiori problemi del Sud e a sostegno di questa campagna chiede l'aiuto dei socialisti del Nord. Il ministero Giolitti-Zanardelli se in molti paesi dell'Italia del Nord ha lasciato respirare le organizzazioni proletarie ed ha portato metodi di governo fino ad un certo punto nuovi e moderni, nell'Italia meridionale non ha cambiato in nulla i vecchi metodi di tutti i governi bisognosi di manipolarsi pur che sia una maggioranza parlamentare. Nei collegi dei deputati ministeriali, difesa energica e sfacciata delle camorre amministrative ministeriali; nei collegi dei deputati risolutamente antiministeriali, alleanza colle camorre amministrative opposte, travestite da partito liberale; nei collegi dei deputati incerti - e sono i più minacce per obbligarli a imbarcarsi nella

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libertà politica che basta da sé sola alla lotta economica... Queste sono le due sole, le due vere tendenze del Socialismo italiano: la tendenza prevalentemente economica nel Nord, la tendenza prevalentemente politica nel Sud. Esse si confonderanno nei periodi di reazione, quando il Nord sarà respinto indietro sulla via del progresso civile e andrà a ritrovare il Sud nella mancanza di libertà politica e nella impossibilità di lotta economica. Noi siamo convinti che il Partito socialista meridionale, per crear solide basi a un moto rinnovatore, debba raccoglier tutte le sue forze per conquistare il suffragio universale almeno amministrativo. Perché nel Sud, dove le scuole sono recenti, si trovano condannati all'analfabetismo, e non per colpa loro, quasi tutti i proletari più vecchi di trent'anni, ai quali non si può certo imporre, nelle loro condizioni disagiate, che vadano ora alla scuola degli elettori... Il suffragio universale amministrativo, pertanto, varrebbe ad epurare lentamente la vita meridionale molto più che la cura governativa - impossibile e utopistica - invocata da quasi tutti i democratici e socialisti. Esso introdurrebbe nella vita comunale il proletariato, che a poco a poco farebbe esperienza, comprenderebbe i suoi interessi e offrirebbe le condizioni necessarie a un movimento legale davvero democratico, staccando dalla classe latifondista la piccola borghesia; renderebbe più difficile, se non altro perché più costosa, la corruzione, dovendo essa su una massa grande di elettori assumere proporzioni troppo vaste per impostare la maggioranza; ridurrebbe di molto, per le medesime ragioni, la influenza politica dei prefetti e degli altri agenti dello Stato... Per il Nord le cose vanno ben diversamente: qui l'istruzione è molto diffusa, e le scuole sono antiche, e bisogna esser davvero testoni e debosciati per non aver fatto le prime elementari. Perciò la proclamazione del suffragio universale sarebbe non solo inutile, ma fors'anche dannosa, perché darebbe l'arma del voto ai rifiuti della scuola, su cui ha tanto potere il partito clericale organizzato; prima istruitevi, poiché ne avete i mezzi, e poi sarete cittadini... Solo il suffragio universale ci permetterà di introdurre nella vita politica e amministrativa la grande massa dei contadini', che non può aspirare agl'impieghi come l'avvocato, il medico, il professore, che vive del proprio lavoro, giorno per giorno, e che diventando una forza politica, darà a noi il punto d'appoggio per lavorare. Fino a che non avremo il suffragio universale, tutti i nostri sforzi

per rinnovare i nostri passi saranno assolutamente vani... Questo vi spiega perché per noi la questione del suffragio universale è fondamentale. Il suffragio universale poteva essere un sogno teorico dieci anni fa; oggi è una necessità; e se non risolviamo questo problema, siamo sicuri che tutto il lavoro fatto finora andrà in isfacelo. è questo il solo aiuto che noi vi chiediamo. Non ve ne chiediamo altri. Vi chiediamo una solidarietà che avete il dovere di darci, che vi costerà qualche sacrificio, che vi obbligherà, lo riconosciamo, ad andar dai vostri operai a dir loro: abbiate pazienza, aspettate, non è questo il momento per chiedere la soddisfazione dei vostri bisogni immediati. Ma questo sacrificio avete il dovere di farlo; perché siete socialisti; perché per voi non deve esistere solo la parte del proletariato più evoluta e più potente; deve esistere anche la parte più arretrata, quella che ha più bisogno del vostro aiuto! Questa solidarietà voi potete darcela, voi dovete darcela. Ed è i I solo aiuto degno di uomini liberi: aiutateci a diventar liberi; il resto lo faremo noi! Gaetano Salvemini (Pubblicato in "Critica Sociale", 16 dicembre 1,902) §§§

IN OGNI COMUNE UNA CASA DEL POPOLO Nel primi anni del secolo, sull'esempio di esperienze maturate all'estero e specialmente in Belgio con la "Maison du People", nascono anche in Italia le prime Case del Popolo, che avranno un ruolo importante sia sul piano sociale, sia su quello politico. Nel locali della casa del popolo, costruiti per lo più direttamente dal lavoratori nel giorni festivi, erano riuniti spesso il circolo, la cooperativa, l'organizzazione sindacale e lo spaccio per gli alimentari. Gli operai vi si potevano riunire per discutere di politica, per frequentare corsi di istruzione, per lo svago e il divertimento. In questo scritto del 1902, il socialista cremonese Giuseppe Garibotti illustra la nascita delle Case del Popolo nelle campagne e il ruolo da esse svolto per l'educazione del proletariato e per la propaganda socialista. La "sirena cooperativista" scosse specialmente i lavoratori di campagna. Furono i lavoratori di campagna che crearono le magre cooperative che in alcune località poterono resistere alle raffiche reazionarie e tener viva la fede nel Partito nostro; sono i lavoratori di campagna che, perseguitati nei loro circoli politici, privati della possibilità di essere iscritti nelle liste elettorali perché mancanti del

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certificato scolastico e senza alcuna speranza di ottenerlo per gli ostacoli burocratici delle interessate autorità, tracciano le prime linee delle Case del Popolo campagnolo, dove insieme al luogo di convegno dei compagni disputanti su questioni di Partito, ed alla sede della Lega della resistenza, è possibile trovare depositi di generi alimentari buoni e a buon mercato e nello stesso tempo imparare a leggere e scrivere e prepararsi a superare l'esame indispensabile per ottenere il tanto sospirato certificato di istruzione sufficiente per diventare elettore. La cooperazione non è pericolosa, non intralcia il libero manifestarsi del nuovo socialismo, non può paralizzare l'azione politica del nostro partito, essa è una delle armi che il Partito socialista può e deve adoperare giudiziosamente per giungere alla emancipazione del proletariato. Il giorno che il Partito socialista potrà disporre in ogni città, in ogni comune di una "casa" dove i lavoratori possano liberamente riunirsi, discutere dei loro interessi, ritirare le merci necessarie per i bisogni quotidiani delle loro famiglie, ammaestrarsi nella gestione di aziende di produzione e consumo, il giorno che il Partito socialista avrà edificato le "case del popolo" in tutti i Comuni d'Italia, potremo salutare un grande trionfo.

compagni ciclisti da me trovati alla stazione (erano 170!) quanto la constatazione della forza reale di pensiero e di opere che le bandiere simboleggiavano effettivamente. Ieri, andando a Cavriago, avevo visto subito giù dalla parte fuori della Porta una prima cooperativa, brulicante di vita e di allegria. Lungo la strada - quasi a saggiare, provocandolo, il pensiero dell'ignoto personaggio che transitava in carrozza - partiva da ogni casolare, da ogni gruppo, l'evviva al socialismo e al Primo Maggio. A Cavriago poi, un entusiasmo schietto e sincero; ma non di fanatizzanti, si invece di gente che ha battagliato e battaglia, ha fatto e fa, ed appunto perciò ha l'anima fremente di fede operosa ed attività fiduciosa. E stamani le "botteghe" delle cooperative, la notizia della loro opera feconda e lucrosa, la corsa attraverso gli uffici municipali rammodernati, la visita alla farmacia municipale che non è piena di barattoli rancidi, ma è tutta aria, e semplice eleganza fatta di luce, senza draghi e motti latini - stamani come ieri, queste notizie e queste impressioni, così come quelle altre, mi si erano integrate in questa impressione più generale e profonda. - Alla buon'ora! questi "vandeani" di Reggio hanno lavorato davvero. Qui la "penetrazione" socialista è una concreta realtà veramente rivoluzionatrice e che legittima la nostra fede nell'opera che non è frase, nella riforma che è rivoluzione. Ed ora qui alla "Giustizia" le notizie della riunione di ieri, dei cortei entusiasti, delle conferenze applaudite, delle folle attente, danno il profumo della intellettualità e del sentimento a quella mia impressione concreta e mi rende chiara ad un tratto e completamente la potenza della manifestazione reggiana di ieri. Noi non abbiamo assistito, noi non abbiamo partecipato ad una delle solite "feste" che l'entusiasmo e la fede fanno pullulare ovunque, ad ogni momento. Qui a Reggio c'era una nota nuova: la sensazione della propria forza, la gioia dell'opera congiunta, la fiducia piena di essere sulla dritta via, verso la meta sicura. Qui a Reggio abbiamo assistito non tanto alla festa della fede, quanto alla gioia della conquista feconda. Ed ora parto colla sensazione che, se ovunque ormai il socialismo è stato seminato, qui già germoglia.

Giuseppe Garibotti (Da un opuscolo di propaganda sulle Case del Popolo, Cremona 1902) §§§

GIUSEPPE MODIGLIANI: GIÀ GERMOGLIA IL SOCIALISMO Le celebrazioni per il 1° Maggio, festa dei lavoratori, hanno sempre rivestito una grandissima importanza, politica e morale, per il movimento operaio internazionale. Fin dalla sua prima manifestazione nel 1890, in seguito ai deliberati dei Congressi dell'internazionale di Parigi del 1889, il proletariato italiano risponde con entusiasmo all'appello, scendendo nelle piazze a manifestare la riduzione della giornata lavorativa a otto ore e per l'applicazione delle altre misure protettive del lavoro. La manifestazione (il "capodanno operaio") veniva preparata dal socialisti italiani con grande cura. Questo brano, scritto da Modigliani sulla "Giustizia" di Reggio Ernifia, ben sottolinea il clima di festa popolare e di mobilitazione politica che la giornata del 1° Maggio rivestiva.

Giuseppe Emanuele Modigliani (Da "La Giustizia", periodico socialista di Reggio Emilia, 3 maggio 1904) §§§

Qui alla "Giustizia" l'impressione avuta ieri e stamani mi si precisa e rafforza. Ieri e stamani non mi avevano tanto colpito le notizie del corteo sterminato e la "compagnia d'onore" di

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PER LA LAICITÀ DELLA SCUOLA

lavoratrice come un'arma per la propria emancipazione economica, inserita come parte integrante della battaglia socialista per il suffragio universale.

L'impegno socialista verso la scuola si muove in diverse direzioni: nel brano che riportiamo, pubblicato dall'Avanti! nel gennaio 1907, sono indicati tutti i vantaggi della laicità della scuola per lo sviluppo della personalità degli alunni. Anche i problemi della scuola primaria, dell'avocazione delle scuole elementari allo Stato, della refezione scolastica, degli asili e quelli del personale insegnante furono sempre presenti all'attenzione dei socialisti.

... Nel campo proletario, nella lotta quotidiana dei diseredati contro ío sfruttamento economico, nella lotta di classe per la conquista di un tenore superiore di vita, che faciliti loro il cammino ascensionale verso la completa emancipazione, la questione della donna non ha più il carattere di una riaffermazione di quei "diritti dell'uomo", proclamati da oltre un secolo e dal cui esercizio, di fatto, le donne rimasero sempre escluse, ma si affaccia al proscenio della storia come una delle facce della grande rivoluzione economica, politica, sociale, iniziatasi col sorgere della civiltà industriale... I Partiti socialisti di tutti i Paesi, non tutti alla medesima ora - perché i momenti propizi ad iniziare un dato movimento non coincidono dappertutto e non si improvvisano ad arbitrio - ma ciascuno a una data ora, furono costretti, e da ragioni economiche e da motivi politici, in relazione al movimento femminista borghese, a scendere dalle sfere idealistiche di una emancipazione femminile generica, relegata in un lontano avvenire, per riconoscere - vincendo, anche in se stessi, pregiudizi millenari - la necessità, l'urgenza, il dovere di associare in una stessa azione il lavoratore sfruttato e la lavoratrice doppiamente sfruttata... Come in tutti i movimenti sociali, anche in questo movimento - fra i coefficienti molteplici, anche d'indole morale, come le ragioni di equità e di giustizia, che concorsero a determinarlo, spingendo i partiti socialisti a scuotere l'apatia, la passività e l'incoscienza delle lavoratrici - i motivi prettamente economici, per loro natura i più tirannici, prevalgono di gran lunga.

... La scuola laica è la scuola indipendente da tutti i preti, neri, verdi, rossi, di tutti i colori; è la scuola che chiami a sé i migliori uomini che siano disponibili sul mercato, che la misura degli stipendi permette di attirare, senza preoccuparsi delle idee politiche o religiose o scientifiche di ciascuno, senza badare se vestano la tonaca nera o se portino la cravatta rossa, affinché essi insegnino agli alunni non quello che essi o il governo credono che sia verità ma in che modo, con la forza della ragione, con animo libero da pregiudizi o da preconcetti, ognuno debba cercare la verità; una scuola che non pretenda per sé nessun privilegio, e si esponga alla libera concorrenza di tutte le altre scuole, una scuola i cui insegnanti siano assolutamente liberi nell'esercizio della loro missione e che debbano rendere conto non ad autorità politiche ma ad autorità tecniche; una scuola insomma che il partito clericale debba odiare a morte, perché educatrice di libere e forti coscienze, avversa a tutte le tirannie, senza che sia possibile rinfacciarle nessuna di quelle colpe, per cui la scuola, asservita al sillabo clericale, è odiosa a noi. (Dall'Avanti! del 29 gennaio 1907) §§§

La vertiginosa "femminizzazione" di tutte, pochissime escluse, le categorie della produzione, la ripercussione, sulla retribuzione, sulla durata e sulle condizioni generali del lavoro, delle condizioni speciali fatte a un esercito di salariate, deboli, non organizzate, sottomesse, sono i coefficienti più forti, che inducono il proletariato militante ad associare la donna, che con esso divide tutte le fatiche e tutti i dolori, alla sua opera di difesa di classe nei Sindacati di mestiere... Così la questione del salario femminile, a parte l'iniquità di cui soffrono le lavoratrici, diventa parte essenziale del problema generale dei salari e della lotta di classe del proletariato tutto quanto. Ma, finché le donne rimangono isolate, lontane dalle organizzazioni di resistenza e impotenti, in generale, a servirsi dell'arma

ANNA KULISCIOFF: PROLETARIATO FEMMINILE E PARTITO SOCIALISTA La questione del salario femminile e quella del voto alle donne sono i due argomenti principali trattati dalla Kuliscioff in questo suo articolo, apparso sulla "Critica Sociale" nel 1910. La dirigente socialista, durante tutta la vita, si è sempre occupata dei problemi femminili e ha condotto fin dagli inizi del secolo una lunga battaglia per i miglioramenti delle condizioni di lavoro per donne e bambini. L'adeguamento dei salari femminili a quelli maschili, dice la Kuliscioff, deve essere affrontato nel più generale problema dei salari e della lotta di classe del proletariato intero. Così pure la conquista del suffragio politico viene vista per la donna

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formidabile dello sciopero, tutti gli sforzi pel miglioramento delle loro mercedi saranno coronati da ben meschini successi. Ma, per aumentare - nell'interesse della lotta generale del proletariato contro lo sfruttamento capitalistico - il valore economico del lavoro delle salariate, sarà assolutamente necessario, accanto all'azione intensificata per l'organizzazione femminile, disciplinare, coi mezzi più solleciti, le condizioni del lavoro a domicilio, che è una delle cause più importanti della depressione delle mercedi sul mercato del lavoro femminile. Quante, ad esempio, nei circa sei milioni di donne, che il censimento del 1901 qualifica come "casalinghe", aggiungono, soprattutto nei grandi centri, al lavoro della casa, dell'altro lavoro salariato? C perciò dovere del nostro Partito mettersi d'accordo colla Confederazione del lavoro, per ottenere, nel più breve termine possibile, un'inchiesta, a mezzo dell'Ufficio del lavoro, sul lavoro a domicilio e sulle condizioni delle donne salariate. Di più, per il lavoro a domicilio, e per quelle industrie in cui i salari sommati di un uomo e di una donna stanno al disotto del salario medio di un tipografo o di un meccanico, si dovrà richiedere la fissazione di un minimo legale di salario. Ma la coscienza politica di classe, la lotta per la conquista dei diritti politici, la viva partecipazione del proletariato alla vita politica, queste necessità storiche, che scaturiscono dalle necessità della lotta di classe economica, non conosco. no differenze di sesso, e s'impongono, per parità di ragione, a tutto il proletariato, agli uomini come alle donne. Perciò i partiti socialisti di tutti i Paesi, fin dal loro inizio, non già in ossequio a formule astratte o per un platonico omaggio a un'eguaglianza di là da venire, ma per le immediate necessità della loro battaglia, iscrissero nei loro programmi i diritti politici delle donne, e, fra le masse operaie, nei Congressi, nei Parlamenti, nei periodi elettorali si fecero tenaci propugnatori del suffragio universale esteso a entrambi i sessi. Il movimento socialista è il solo, dopo il cristianesimo, che abbia saputo trarre la donna dal suo isolamento. Il nostro proletariato socialista, deve finalmente convincersi che, sul terreno della lotta di classe poiché le donne non possono più venir ricacciate al fuso e alla cucina, come ai bei tempi patriarcali senza l'attiva solidarietà del proletariato femminile organizzato, esso non potrà aspirare a un miglioramento veramente serio delle sue condizioni economiche...

Per un partito di classe come il nostro, la questione del voto alle donne non può essere posta che in questi termini: - In che senso intende il Partito socialista la rivendicazione dei diritti politici alle donne? La intende esso come rivendicazione di sesso, o non piuttosto come rivendicazione di classe. Può esso accedere alla vecchia ideologia romantica, per cui la esclusione delle donne dai diritti politici, e in parte anche dai diritti civili, che le accomuna ai minorenni, agli interdetti, agli idioti, ai delinquenti, deve creare in esse una solidarietà di sesso, superiore a tutte le divisioni di classe e di partiti? è perciò, in una eventuale concessione del voto, limitata a certe categorie di censite e di diplomate, vedrebbe esso un'applicazione della legge di gradualità, un primo colpo per la demolizione della rocca d'iniquità, eretta dall'egoismo e dalla prepotenza maschile, o non piuttosto un tradimento alla causa proletaria, un attentato contro il voto dello stesso proletario maschile? Ora, pur riconoscendo che tutte le donne hanno un uguale diritto alla rivendicazione dell'arme politica, il proletariato femminile, dato il prevalente antagonismo degli interessi di classe, che vale per le donne come per gli uomini, non può schierarsi col femminismo delle donne borghesi, che considerano il voto politico fine a se stesso o semplice mezzo di difesa nelle loro competizioni coll'uomo. Pur lasciando, in disparte le dame della haute, per le quali, salvo qualche eccezione, la rivendicazione dei diritti politici è una specie di sport o un ornamento da salotto, per le donne della piccola e media borghesia, per lo stesso proletariato intellettuale femminile, i diritti politici sarebbero soprattutto un mezzo di difesa dei loro interessi di fronte all'uomo, per allargare il loro campo professionale, per conquistare posizioni contrastate loro dal privilegio maschile, per ottenere quelle riforme civili e giuridiche, che le tolgano alla tutela e alla dipendenza dall'uomo. Questa emancipazione di sesso non scuote, e può piuttosto rafforzare, i cardini della presente società economica: proprietà privata e sfruttamento di classe. Ma per la donna proletaria, il suffragio politico non è né fine a se stesso, né strumento di difesa contro il maschio della sua classe, al quale è legata dalla solidarietà nello sfruttamento comune; è bensì un'arma per la propria emancipazione economica, la quale, come quella e insieme a quella del proletariato maschile, presuppone l'abolizione del capitalismo e dello sfruttamento dell'uomo ad opera e a vantaggio dell'uomo... Convinte, noi donne socialiste, che l'emancipazione proletaria non si otterrà senza lo sforzo combinato di entrambi i sessi; al Partito, in cui siamo militi, non

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chiediamo soltanto una benevola quanto platonica presa in considerazione delle verità, che speriamo avergli dimostrato. Gli chiediamo un'opera effettiva di propaganda, sul terreno economico e politico, uguale per gli uomini come per le donne del lavoro. Gli chiediamo di considerare l'agitazione pel voto alle donne, non come un lusso o un perditempo, ma come una necessità imprescindibile, utilitaria e idealistica insieme, della vita e dello sviluppo del Partito. Perciò esso deve considerarla come parte integrante e inseparabile dell'agitazione che ha indetta per il suffragio universale.

della resistenza e del Socialismo, all'epoca in cui l'industrialismo incominciava la sua corsa trionfale travolgendo i vecchi diritti consacrati nelle leggi e nelle consuetudini a favore delle vecchie organizzazioni operaie e scavando tra la classe industriale capitalistica e le masse lavoratrici il baratro profondo della lotta di classe. Le Cooperative di produzione e lavoro che furono la prima forma di organizzazione a cui si ricorse per sottrarre l'operaio dallo sfruttamento capitalistico, sembrerebbero dunque rispondere perfettamente ai fini della resistenza e del marxismo. Infatti esse tendono a mettere in pratica, in modo anche più diretto ed immediato, il principio della soppressione del profitto. Costituendo in società la mano d'opera produttrice ed eliminando il padrone, l'industriale, il capitalista, la Cooperativa di lavoro impedisce che il profitto vada a rafforzare il capitale e, sotto forma di percentuale sugli utili in proporzione del lavoro eseguito, lo restituisce ai propri soci i quali vengono cosi a ricuperare la parte di lavoro non pagato, secondo la teoria marxista, e ad ottenere per tal modo il pagamento del valore integrale del loro rispettivo lavoro. La parte di lavoro non pagato, che era andata a costituire il profitto e che in un'azienda padronale sarebbe passata ad arricchire il capitalista, a rafforzare la sua condizione di privilegiato, a dargli nelle mani nuovi mezzi di sfruttamento, nella azienda cooperativa viene rimborsata al produttore operaio. Resta ora da considerare il movimento della cooperazione di consumo, il quale, pur partendo dallo stesso proposito dell'abolizione del profitto capitalistico, da cui muove il Partito socialista e l'organizzazione sindacale, si prefigge il raggiungimento di questo fine in base ad una concezione economica apparentemente contraria a quella marxista. Il socialismo a mezzo dell'organizzazione proletaria lotta per mettere in valore la mano d'opera; come la cooperazione di lavoro egli vuole emancipare l'operaio, conquistandogli intero il prezzo del suo lavoro. La cooperazione di consumo invece mira a mettere in valore non già il produttore, ma il consumatore. Ora la differenza, ripetiamo, non è che apparente. Dato il regime cooperativo che vuole abolito il profitto e quindi la ragione della speculazione capitalistica, ne consegue che l'ordinamento cooperativista sarà costituito di soli elementi attivi, costretti per vivere a dare alla società il contributo del proprio lavoro manuale, professionale, artistico, intellettuale. C quindi evidente che, essendo tutti lavoratori, la parte di profitto che si realizza in qualsiasi azienda cooperativa ritorna sempre al

Anna Kuliscioff (Da "Critica Sociale", 1° ottobre 1910) §§§

ANTONIO VERGNANINI: IL RUOLO DELLE COOPERATIVE Uno dei cardini del riformismo socialista è costituito dal movimento cooperativo che raggiunge, in questi anni, una grande diffusione specie al Nord e nel Centro Italia. L'importanza politica e sociale della cooperazione viene ribadita in questo scritto di Antonio Vergnanini, socialista reggiano e futuro segretario della Lega Nazionale delle cooperative. Sono ancora numerosi coloro che -tanto nel campo dell'economia liberale borghese come in quello socialista -negano alla cooperazione un qualsiasi principio speciale economico che la distingua dalle altre imprese e un qualsiasi valore sociale. Non ci sembra quindi inutile insistere su questo importante argomento per corroborare con considerazioni e constatazioni di fatto la tesi da noi sostenuta, che cioè la cooperazione è fenomeno strettamente legato al progresso sociale e che in essa si prospetta la trasformazione dell'attuale ordinamento economico. Noi sosteniamo - ed in questa asserzione abbiamo con noi l'autorità di numerosissimi e notissimi militanti del Partito socialista - che la cooperazione ripete la sua ragion d'essere dalle stesse cause che hanno dato vita al movimento proletario e socialista e che essa ha in comune col movimento socialista e colla organizzazione sindacale il fine: l'abolizione dello sfruttamento capitalistico, e l'organizzazione della società basata sul l'amministrazione della produzione e della distribuzione delle ricchezze sociali per conto e nell'interesse di tutti i cittadini consumatori che concorrono alla produzione. Va intanto ricordato come i primi accenni al l'organizzazione cooperativa risalgano, come quelli

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lavoratore, poco importa se sotto forma di rimborso di salario non pagato, o come rimborso di spesa fatta in più pei prodotti consumati. Infatti, dato che in una azienda cooperativa di consumo - che gestisse, s'intende, anche la produzione - i generi prodotti siano venduti al puro prezzo di costo, è evidente che sparirebbe ogni profitto e non si potrebbe più dire che agli operai, che concorsero a produrre quegli articoli, venne pagato un salario inferiore al valore reale del loro lavoro. Antonio Vergnanini (Da un opuscolo della Lega Nazionale delle Cooperative, Milano 1914)

conferenze, di agitazioni continue, per l'opera delle sue sezioni unanimi, per l'attività della sua Direzione e del proprio Gruppo Parlamentare; mediante l'intesa colle associazioni economiche, a dispetto della contraria congiura della stampa e della ostilità decisa dei governanti, esso restò fra mezzo al popolo a segnare sempre più profonda la demarcazione fra la politica internazionale del proletariato per la fratellanza e la solidarietà fra i popoli, e quello della classi dirigenti, di tutti i Paesi, cospiranti a perpetuare fra gli uomini le ire e gli odi di nazionalità. Il Partito Socialista Italiano ha avuto proteste e sdegni per tutte la infamie che in questa immane guerra si sono compiute ai danni dei deboli. Ha dolorato insieme agli oppressi. Ha levato il fervido augurio che una pace equa ritorni ai liberi focolari gli esuli delle patrie infrante, risparmi nuovi lutti e nuove angosce. Ma si è rifiutato di vedere in questa immensa conflagrazione un insanabile, fatale, conflitto di nazionalità, un inevitabile scontro di genti diverse che una civiltà superiore non possa affratellare. Esso ha considerato la presente disastrosa situazione internazionale come dovuta alle competizioni capitalistiche ed affaristiche dei vari Stati borghesi, non illuminate da alcun raggio di idealità. Lavoratori! Il Partito Socialista Italiano si rifiuta quindi di dare in qualsiasi modo la propria adesione alla guerra, pienamente persuaso che l'Italia avrebbe potuto e dovuto servire veramente alla causa della pace facendosi equa e disinteressata mediatrice fra le potenze in lotta. Non il patteggiamento mercantile delle varie frazioni borghesi auguravano e volevano i socialisti, ma una azione di disinteressato, altruistico intervento morale che valesse a levare in aiuto fra le genti il nome italiano ridonando all'Europa travagliata la pace. Ma poiché la sua voce non è stata intesa e la sua protesta venne spenta, il Partito Socialista Italiano, separa anche oggi la propria responsabilità da quella delle classi dirigenti. Gli avversari nostri, i nemici del proletariato, potranno dire di averci travolti e vinti, ma non di averci costretti ad accogliere le loro ingannevoli ideologie, di averci indotti a collaborare in verun modo nell'opera di sangue che hanno intrapresa. Il nostro compito non è finito. Mentre essi daranno ire e rancori alla guerra, noi presteremo le fedi e gli entusiasmi a preparare la pace, riannodando le fila, stringendoci attorno alle istituzioni nostre, che la follia guerresca avrà risparmiate, vegliando a serbare le posizioni conquistate, provvedendo in prima linea

§§§ Antologia4

APPELLO DEL PSI CONTRO LA GUERRA Quando l'entrata in guerra dell'Italia era ormai certa, il 16 maggio 1915, durante un incontro a Bologna tra il Gruppo parlamentare, la Direzione del Partito e la Confederazione generale del lavoro, viene deciso di approvare la formula "Né aderire né sabotare,, che caratterizzerà la linea del Partito per tutto il conflitto. Questo manifesto è l'ultimo pubblicato sull'Avanti! del periodo di pace: in esso sono riassunti i principi di netta opposizione alla guerra, di completo distacco del Partito dalle decisioni prese dal Governo che è indicato come unico responsabile della entrata in guerra dell'Italia. Il documento si conclude con l'esortazione a riprendere, a conflitto finito, l'azione in favore del Socialismo. Proletari d'Italia! L'intervento della nazione italiana nell'immane conflitto internazionale è deciso. La guerra si inizia con un'opera violenta di soppressione di ogni libertà. Tutto un ambiente di irritazione, di esasperazione e di prepotenza si è andato man mano creando. La guerra è l'opera di questo stato morboso contro i veri interessi nazionali, e contro i voti e le aspirazioni della massa proletaria. Lavoratori italiani! Il Partito socialista, che è stato sempre l'interprete sincero di questa massa proletaria, deve riaffermare in questo tragico momento con maggior decisione le alte ragioni ideali che dal primo giorno della conflagrazione hanno ispirato e diretto la sua azione. Durante dieci mesi questo Partito ha affrontato, da solo, l'azione fatta di inganno e di violenza dei partigiani della guerra. In migliaia di comizi, di

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- soldati di civiltà - con tutte le forze nostre a rendere meno tristi le conseguenze del tremendo conflitto. Proletari italiani! Se il radioso sogno di realizzare l'unità delle nazioni attraverso l'internazionale operaia, senza sacrificio di vite, e di sostanze, svanisce in quest'ora terribile di stragi e di lutti, se oggi, mentre parla il cannone, è soffocata la voce del diritto e ogni ragione ed ogni senso di umanità si ottenebra e si spegne, noi non disperiamo per questo. Passerà questa guerra, terribile propagatrice di odio contro il sistema che l'ha permessa e voluta. Torneranno dai campi insanguinati i figli del lavoro, che la morte avrà risparmiati, con negli occhi e nell'animo la visione orrenda di tante barbarie compiute. E le conseguenze morali, politiche ed economiche di questo flagello in tutti i paesi - nei vinti come nei vincitori -saranno nuovo e più forte incentivo alla lotta di classe. Per quei giorni noi prepareremo gli animi. Il proletariato socialista non disarma, attende. Abbasso la guerra! Viva il Socialismo!

selvaggia trionfa oggi su tutto quanto costituiva l'orgoglio dell'umanità. Qualunque sia la verità sulle responsabilità immediate della guerra, questa è il prodotto dell'imperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche di ciascuna nazione per soddisfare la loro avidità di guadagni con l'accaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero. In tale modo, le nazioni economicamente arretrate o politicamente deboli, cadono sotto il giogo delle grandi Potenze, le quali mirano in questa guerra a rimaneggiare, col ferro e col sangue, la carta mondiale nel loro interesse di sfruttamento. Ne risulta che popolazioni intiere, come quelle del Belgio, della Polonia, degli Stati balcanici, dell'Armenia, sono minacciate di servire al gioco della politica di compenso e di essere spezzate ed annesse. I motivi di questa guerra, a mano a mano che si sviluppa, appariscono in tutta la loro ignominia. I veli che fin qui agli occhi dei popoli hanno nascosto il carattere di questa catastrofe mondiale, si lacerano gli uni dopo gli altri. I capitalisti, che dal sangue versato dal proletariato traggono i più grossi profitti, affermano, in ogni paese, che la guerra serve alla difesa della patria, della democrazia, alla liberazione dei popoli oppressi. Essi mentono. Questa guerra, infatti, semina la rovina e la devastazione, e distrugge, al tempo stesso, le nostre libertà e la indipendenza dei popoli. Nuove catene, nuovi pesi ne saranno la conseguenza, ed è il proletariato di tutti i Paesi, vincitori e vinti, che li sopporterà. Invece dell'aumento di benessere, promesso al principio della guerra, noi vediamo un accrescimento della miseria per la disoccupazione, il rincaro dei viveri, le privazioni, le malattie, le epidemie. Le spese della guerra, assorbendo le risorse del Paese, impediscono ogni progresso nella vita delle riforme sociali e mettono in pericolo quelle conquistate fin qui. Barbarie, crisi economica, reazione politica: ecco i risultati tangibili di questa guerra crudele... In questa situazione intollerabile, noi rappresentanti dei Partiti socialisti, dei sindacati, e delle loro minoranze, noi, tedeschi, francesi, italiani, russi, polacchi, lettoni, rumeni, bulgari, svedesi, norvegesi, olandesi, svizzeri, noi che non ci collochiamo sul terreno della solidarietà nazionale colla classe degli sfruttatori, noi, che siamo rimasti fedeli alla solidarietà internazionale fra i proletariati dei diversi Paesi, noi ci siamo adunati per richiamare la classe operaia ai suoi doveri verso se stessa e per indurla alla lotta perla Pace.

Appello della Direzione del PSI contro la guerra (Dall'"Avanti!" del 22 maggio 1915) §§§

IL MANIFESTO DI ZIMMERWALD Fin dall'inizio della guerra, il PSI si impegna con tenacia nel tentativo di ricostituire l'internazionale e per richiamare il proletariato europeo ad un'azione comune per la pace. A testimonianza di questo costante impegno sta la partecipazione dei delegati socialisti italiani alla Conferenza internazionale dei Partiti socialisti a Zimmerwald, il 5 settembre 1915. Erano presenti circa quaranta delegati, rappresentate organizzazioni politiche e sindacali di tredici nazioni. Per il PSI c'erano Serrati, Modigliani e Morgari. Il manifesto di Zimmerwald si apre con una attenta descrizione delle disgrazie della guerra e dopo aver escluso che la guerra, definita imperialista, possa divenire "un mezzo per la lotta di classe" esorta il proletariato a battersi per la ricostruzione dell'internazionale. Proletari d'Europa! La guerra continua da più di un anno. Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini sono rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. L'Europa è diventata un gigantesco macello di uomini. Tutta la civiltà che era il prodotto del lavoro di parecchie generazioni, è distrutta. La barbarie più

(Zimmerwald, 5 settembre 1915) §§§

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IL PROGRAMMA SOCIALISTA PER IL DOPOGUERRA

allontanare tutte le cause dei conflitti armati fra i popoli - la forza, la capacità e la volontà ben decisa di dare ad essi vita effettiva e di imporne la osservanza. Di qui, nell'ambito della politica interna di ciascuno Stato - in attesa ed a preparazione della completa emancipazione economica delle classi lavoratrici, che si confonde con l'abolizione di ogni dominio di classe, e cioè con la attuazione integrale della idealità socialista -l'urgenza di una serie di riforme istituzionali, politiche, amministrative, economiche, che si riassumono, a larghi tratti, nei postulati seguenti: l. Forma di Governo repubblicana, a base di sovranità popolare, resa effettiva col diritto alla Camera elettiva di convocarsi da se stessa e di regolare da sola i propri lavori. Abolizione del Senato. Suffragio universale eguale e diretto, a tutti i cittadini senza distinzione di sesso. Scrutinio di lista a larga base e Rappresentanza proporzionale. Diritto al popolo di Iniziativa, di Referendum e di Veto. Libertà illimitata di riunione, di organizzazione, di sciopero e di propaganda. Abolizione della polizia politica. 2. Politica estera sottratta all'arbitrio del potere esecutivo e affidata esclusivamente alle deliberazioni dei Parlamenti. Con ciò cadono automaticamente l'intrigo delle diplomazie, la illegittima coazione dei fatti compiuti, la possibilità e la validità di intese clandestine fra i Governi e di trattati segreti; è restituita, colla pubblicità, la probità elementare dei rapporti internazionali. Anche è paralizzata la possibilità, onde oggi gode la stampa cosiddetta politica, asservita a grossi interessi industriali e commerciali parassitari, di pervertire con ogni sorta di frottole tendenziose, in materia internazionale, la pubblica opinione e il sentimento delle folle. 3. Sviluppo delle autonomie comunali e regionali; decentramento regionale delle attribuzioni amministrative e relativi controlli, oggi ingombranti e depravanti l'azione parlamentare. Riforma della burocrazia, divenuta fine a se stessa e Stato nello Stato, che vuoi essere ricondotta a strumento esecutivo agile e largamente redditizio, con la estensione del principio elettivo alle cariche maggiori, con la responsabilità personale e diretta dei funzionari, e con una organizzazione, nei rami esecutivi, semplificata a tipo industriale. Giustizia gratuita e giudice elettivo. 4. Politica di lavoro, intesa a mettere in valore le forze e le ricchezze latenti del Paese; a riparare prontamente l'immiserimento e la devastazione, conseguenze della guerra; a scemare, senza coercizione di sorta, quella emorragia migratoria di masse, che è l'effetto forzato della disperata miseria;

La Direzione del Partito, Il gruppo parlamentare e la Confederazione generale del lavoro approvano nel maggio 1917 un documento che affronta il grave problema di fronte a cui la Nazione e il Partito si sarebbero venuti a trovare dopo la fine della guerra. Il programma socialista sottolinea l'impegno del Partito sul piano istituzionale con richieste di mutamento radicale, come per esempio il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, e l'abolizione del Sonato, l'estensione a tutti, uomini e donne, del suffragio universale, la richiesta di libertà illimitata di sciopero e di riunione. Inoltre, il piano dei socialisti per il dopoguerra punta sullo sviluppo delle autonomie locali, sulla riforme della burocrazia ma soprattutto sulla promozione di una politica del lavoro che ripari le devastazioni provocate dalla guerra e metta in moto le forze produttive della società. Di fronte alla prossima pace, il Partito Socialista Italiano non può che richiamarsi a quelli che sono i suoi costanti principi fondamentali in tema di politica internazionale, principi riaffermati vigorosamente, nel mezzo della guerra scatenata e a dispetto di essa, nello storico Convegno di Zimmerwald. Perciò esso proclama la necessità di una pace, non pure senza annessioni forzate, ma rispettosa di tutte le autonomie, che affidi alla libera volontà dei popoli la scelta e le modalità dei loro rispettivi aggruppamenti, e la quale, con la internazionalizzazione degli stretti e dei punti più disputati di confluenza delle stirpi, e con la più assoluta libertà dei mari, allontani le cause più immediate di altri futuri conflitti. Constatando inoltre come l'esistenza dei vari militarismi, gli opposti protezionismi doganali e la mancanza di ogni stabile organizzazione nei rapporti fra le nazioni - oltre immiserire le grandi masse a favore di caste privilegiate e di artificiali e rovinosi parassitismi - concorrono poderosamente a separare i popoli, ad inacerbirne i contrasti e a impedirne le ragionevoli composizioni, esso propugna: a) il disarmo immediato e contemporaneo degli Stati; b) l'abbattimento delle barriere doganali; c) la istituzione di rapporti giuridici confederali fra tutti gli Stati civili. Ma cotesti obiettivi, senza dei quali non può concepirsi alcuna pace reale, durevole e giusta, non sarebbero a loro volta raggiungibili o, formalmente raggiunti, sarebbero bentosto sovvertiti e delusi, ove mancasse al proletariato di ogni nazione - la sola classe veramente e profondamente interessata ad

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bonifiche, nazionalizzazione e sapiente utilizzazione delle forze idriche e delle ricchezze del sottosuolo, da affidarsene preferibilmente lo sfruttamento agli Enti pubblici locali; trasformazione agricola e industriale, la mercè di Consorzi obbligatori, col contributo dello Stato, dei proprietari e degli Enti locali interessati, affidando le opere ad associazioni di lavoratori. 5. Politica intesa alla difesa dei consumatori, coordinata, in quanto è possibile, alla politica della produzione e mirante a rendere stabili ed a sviluppare, con nuovo spirito e a fini sempre più largamente sociali, quelle istituzioni che sono sorte spesso tumultuarie e (nell'intenzione degli iniziatori borghesi) transitoriamente - sotto l'assillo della crisi della guerra, contro la speculazione privata. 6. Riconoscimento effettivo, a tutti i lavoratori, del diritto a una esistenza dignitosa ed umana. Di conseguenza, instaurazione di un sistema generale di assicurazioni (disoccupazione, infortuni, malattia, vecchiaia), trasformazione della beneficenza in assistenza e previdenza sociale, diffusione intensa della scuola obbligatoria, popolare e professionale, sino ai diciotto anni di età, e di tutti i presidii scolastici complementari; agevolazioni all'industria ed all'agricoltura cooperative; ispezione del lavoro rinvigorita; leggi sul contratto di lavoro individuale e collettivo; regolamentazione degli orari anche per i maschi adulti e massimo legale di otto ore; minimi legali di salario in rapporto alle necessità fondamentali della esistenza; parificazione, ad eguale lavoro, delle mercedi femminili colle maschili; largo riconoscimento dell'azione e dell'intervento delle organizzazioni proletarie in tutto ciò che riguarda la tutela del lavoro ed il contratto di lavoro. 7. Soluzione del problema agrario coi seguenti criteri: Per la terra: Avviamento alla socializzazione della terra, con la formazione di un vasto demanio collettivo, il cui primo nucleo sia dato dalle proprietà degli Enti pubblici ed Opere pie, dalla espropriazione delle terre incolte o mai coltivate; Per l'agricoltura e la produzione agricola: Le terre date o lasciate esclusivamente a chi direttamente le coltiva. Associazione fra i coltivatori obbligatoria. Disciplinamento e direzione tecnica della produzione agricola per la maggior possibile produzione al minimo costo. 8. Sistema tributario fondato essenzialmente sulla imposta diretta e progressiva, con accertamento integrale ed esatto; riduzione degli interessi del debito pubblico, con indennizzo agli Enti morali; estensione dei monopoli di Stato, sia a scopo di sfruttamento industriale nell'interesse collettivo, sia come mezzo di controllo dei grandi servizi di

trasporto, comunicazioni ed approvvigionamento; energica tassazione dei beni ereditari e limitazione dei gradi successori; prestito nazionale obbligatorio per le opere redditizie della pace, nella stessa misura adottata per quelle devastatrici della guerra. L'applicazione di tali misure, con le modificazioni e i complementi che siano suggeriti dalle condizioni particolari di ogni Nazione, non può avvenire essenzialmente che per lo sforzo cosciente dei vari proletariati nel quadro di ogni singolo Stato; ma essa sarà agevolata ed avvalorata dall'intesa internazionale delle classi lavoratrici. Anche perciò il Partito Socialista Italiano si propone, come scopo principalissimo della sua azione, la più pronta ed efficace ricostituzione della Internazionale dei lavoratori, e il suo funzionamento, cosi fortemente organizzato, da rendere impossibili nell'avvenire le delusioni che contrassegnarono l'ultimo periodo della sua vita e da costituire la energia più decisiva nell'atteggiamento dei rapporti reciproci fra le nazioni, nella formazione e nell'indirizzo della nuova istoria del mondo. La Direzione del Partito Socialista Italiano, Il Gruppo Parlamentare Socialista, La Confederazione Generale del lavoro (Pubblicato sull'"Avanti!" il 16 maggio 1917) §§§

APPELLO ALLA DOPO CAPORETTO

RESISTENZA

Questo "appello alla resistenza" di Turati e di Treves di fronte a Caporetto e all'invasione di una parte del territorio nazionale, non dove essere interpretato come un atto di resa alla propaganda In favore della guerra e neppure come un cedimento sentimentale. L'articolo, Infatti, comparso sulla "Critica Sociale" nel dicembre 1917, permette di inquadrare l'appello alla resistenza da parte del proletariato nell'ambito più vasto della politica riformista nei confronti della guerra. Fin dall'inizio del conflitto, i riformisti si impegnano in un'opera costante e paziente di soccorso e di aiuto alle popolazioni come nel caso dei "Comuni rossi" di Milano e di Bologna. La politica riformista, inoltre, non accetta contrasto, ma presuppone l'armonia tra gli interessi del proletariato e quelli della Nazione. ... In quest'ora men fausta di prova suprema il debito non fa che precisarsi ancora, per i soldati al fronte, per i cittadini nel Paese: stringere la compagine necessaria alla suprema resistenza, aiutandola con ogni disciplina, con ogni sacrifizio.

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15 APRILE 1919: I FASCISTI INCENDIANO L'AVANTI!

Né altro è il pensiero del Gruppo Socialista in Parlamento allorché professa la solidarietà umana col Paese percosso e rafferma i propositi più alacri di assistenza alle nuove vittime, ai profughi doloranti, e per tal via tende a rassodare la calma nel popolo. Gli stessi estremisti della pace pensano che quando la libera patria è invasa e cadono sotto i colpi del nemico tutti i suoi istituti, precipita la stessa tribuna parlamentare da cui il Socialismo parlava al nostro Governo ed a tutti i Governi, dicendo le aspettazioni, le supplicazioni di tutti i popoli che soffrono ugualmente della guerra! L'invasione, se si compie, soffoca anche quella voce sotto l'unico strepito trionfante delle armi, soggiogatrici feroci. Dove siete, infatti, o dispersi nella silente rovina, o socialisti rimasti nella patria belga, a tutelare la povera piccola gente che non ha i mezzi per fuggire davanti all'invasore? Nessuna tribuna rivendica più il vostro pensiero distinto, mentre la solidarietà degli Alleati appena può offrire un'ospitalità al vostri Governi. Ah! queste stesse proletarie libertà che difendemmo a brani di fronte ai Governi ed alle maggioranze parlamentari, contendendole alle pretese dittatorie della guerra, con tanto più accanimento debbono essere difese dalla minacciante rapina del nemico trionfante e barbaro, come tutti i vincitori! Questo è il peculiare motivo del proletariato ad urgere alla resistenza, che si inquadra rudemente in tutti i suoi istinti ed interessi di classe, onde resta in ogni modo ben distinto da tutti gli altri ceti che affermano, per altre vedute ed altri interessi, la stessa necessità di secondare la difesa suprema. Ed i suoi modi di azione politica restano, ancor essi, distinti, scrupolosi sceveratori di tutte le responsabilità di ieri, di oggi e di domani. Ma nel dolore cocente della patria invasa il proletariato soffre per ragioni proprie. Ed ecco perché in tutte le grandi ore della storia esso si solleva e tende le nerborute braccia al grande cimento. Esso squassa la piccola rete delle coerenze formali per attingere la grande coerenza sostanziale della vita e dell'amore: non rinnega se stesso e salva la patria! Claudio Treves, Filippo Turati Sociale", 15 novembre 19 17)

L'attacco del fascismo alle organizzazioni dei lavoratori e alle strutture del Partito socialista non risparmia neppure l'organo del Partito, l'Avanti! che fu incendiato per ben due volte dalle squadre mussoliniane. Sull'Almanacco Socialista del 1920 viene pubblicato il racconto del primo attacco fascista alla sede del giornale. La sera del 15 aprile 1919 mentre i socialisti milanesi sono riuniti per assistere ad un comizio di commemorazione di un operaio ucciso due giorni prima in uno scontro con la polizia, una pattuglia di "arditi" mussoliniani invade e incendia, con una azione di sorpresa, la sede delI'Avanti!' a quell'ora quasi deserta: vengono così distrutti quasi interamente i locali della tipografia e della biblioteca. Sarà solo tramite una sottoscrizione straordinaria, così come lo era stato nel 1896 all'epoca della sua fondazione, che il giornale potrà rinascere in breve tempo con una nuova sede e con nuovi impianti. Al giornale Avanti! a quell'ora non v'erano che due o tre redattori ed un vecchio fattorino. Nessuno in amministrazione, nessuno in libreria, perché giornata di sciopero generale. I tipografi, gli stampatori, dovevano venire soltanto alla sera, come al solito... Potevano essere un poco più delle ore 18, quando arriva di corsa un giovane, tutto trafelato, ed avverte il vecchio fattorino che una banda di malintenzionati armati viene verso l'Avanti!. Il vecchio fattorino fa appena in tempo a chiudere la porticina che dà sulla strada. Le otto o dieci persone tra redattori ed estranei, che stanno al primo piano, nulla sanno ancora. Improvvisamente si sentono partire dalla strada alcuni colpi di arma da fuoco. Le finestre sono aperte e qualcuno fa per affacciarsi, ma deve ritirarsi immediatamente perché i proiettili fischiano alle orecchie numerosi, andando a conficcarsi nel soffitto e nelle pareti delle stanze. In quell'attimo si potevano scorgere nella strada, appoggiati al parapetto del Naviglio, di fronte alla casa, da cento a duecento persone, parte in abito da ufficiale dell'esercito, parte con la divisa degli arditi, altre in abito civile tutte armate e sparanti. I pochi presenti al giornale si ritirano nelle stanze retrostanti. Intanto dalla strada il fuoco delle rivoltelle e delle mitragliatrici a mano si fa sempre più intenso, crepitando sinistramente. Si odono dei colpi poderosi alla porticina d'entrata, evidentemente assestati con qualche leva o trave, allo scopo di sfondarla. I presenti al giornale pensano alla difesa. Ma non vi sono armi. In tali condizioni di assoluta inferiorità si crede opportuno non rispondere, aspettando che passi la bufera. Ma i briganti assalitori avevano un

(Da "Critica

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piano da eseguire, preparato da tempo e in piena regola, aspettante soltanto la migliore occasione, e si sapevano ben sicuri e protetti. Infatti, passati ben pochi minuti, si sentono ripetute scariche di rivoltella nelle stanze attigue ed un fracasso di vetri infranti ed un vociare di forsennati, i malandrini, arrampicatisi sulle inferriate delle finestre a piano terreno, che possono servire da comoda scala, hanno raggiunto il poggiolo del primo piano, e sono entrati dalla finestra. Essi avanzano sparando. Non vi può essere alcun dubbio sulle loro intenzioni assassine. Non vi è resistenza possibile. Non rimane che allontanarsi. Intanto i briganti, ubriachi ed incaniti, gridando e sparando, distruggono ogni cosa, servendosi, oltre che delle rivoltelle e dei pugnali, anche di ascie e martelli portatisi seco; gettano in strada e nel Naviglio quanto più possono; rubano quanto loro serve; tentano di scassinare la cassaforte; spargono dell'alcool denaturato ed appiccano il fuoco, allontanandosi quindi indisturbati. La cosiddetta forza pubblica in tutto questo frattempo se ne sta inerte e sorridendo ad osservare. Per più giorni fu un devoto pellegrinaggio al giornale, per constatare la violenza del saccheggio, per raccogliere una reliquia, per portare il proprio contributo di opere e di denaro alla ricostruzione. A chi entrava nei locali devastati ed incendiati si stringeva il cuore per il dolore e per l'ira. Molti non potevano trattenere le lacrime. Ed era veramente uno spettacolo desolante e terrificante. Ovunque, ammonticchiati e sparsi, simulacri di mobili, cioè pezzi e frantumi; carte e libri stracciati e bruciacchiati; apparecchi telefonici divelti, macchine da scrivere frantumate; qualche ritratto alle pareti foracchiato da proiettili di rivoltella; porte, finestre, vetrate, ogni cosa abbattuta e spezzata. Le macchine compositrici e stampatrici furono bestialmente fracassate a mazzate nelle loro parti vitali. Ovunque un ingombro di rottami, un acre odor di bruciato, un quadro assai triste...

guerra moralmente ed economicamente. Dopo aver esposto la tragica situazione italiana ed averla messa in raffronto con quella delle altre nazioni europee, Turati elenca una serie di possibili rimedi: dall'unificazione dei ministeri, alla razionalizzazione cooperativistica del pubblico impiego, al controllo sui lavori pubblici e sulla loro reale utilità, alla necessità di colpire la borghesia agraria e parassitaria e all'impegno per il riscatto delle zone meridionali. L'Italia è una nazione povera, più povera di tutte le altre nazioni europee, con cui è e sarà in gara. I coefficienti decisivi per la ricchezza di un Paese, a parte le colonie, sono la terra (vi comprendo il mare), le miniere e la forza intelligente dell'uomo. Per la terra, l'Italia è poverissima; all'infuori della pianura padana, non ha grandi estensioni di terreno profondo, pianeggiante, irrigabile. In fatto di miniere di ferro e di carbone, siamo quasi all'ablativo assoluto, nonostante le amplificazioni speculative e politiche di certi gruppi interessati; per ogni altro materiale, il nostro sottosuolo è anche più povero. Speriamo pure che i rabdomanti che sta preparando l'on. Giolitti, scovino tesori nascosti; per ora siamo in condizione, se si eccettuino alcuni giacimenti speciali - alludo specialmente agli zolfi che, per la nostra inabilità e la abile concorrenza altrui, vanno perdendo, anziché acquistare valore. Le altre nazioni, l'Inghilterra, la Francia, la Germania, l'Austria-Ungheria (ante bellum), la Russia, la Rumenia, il Belgio, l'Olanda, ecc., sono tutte più ricche di terreno coltivabile, in proporzione degli abitanti, assai più dell'Italia, e quasi tutte ricche di giacimenti minerari, tra cui sono fondamentali il ferro ed il carbone. In Italia la popolazione è eccessiva, relativamente alla sua estensione e allo stato delle sue coltivazioni. Se prima della guerra, perciò, il nostro equilibrio era già molto instabile, dopo la guerra le nostre condizioni sono molto peggiorate. Ora la borghesia italiana (e qui presto degli argomenti agli amici massimalisti) è sempre stata ignava, ebbe - salvo poche eccezioni visioni limitate, umili, ciecamente pedisseque dell'estero, con una pronunciata tendenza a farsi parassita dello Stato, ad abbarbicarvisi, anziché cercare nella creazione, nello studio, nel miglioramento progressivo dell'industria e dell'agricoltura, la propria floridezza e quella che sarebbe la sola sua ragion d'essere. La guerra, poi, col pescecanismo, ha fatto il resto. Ha portato a galla gli elementi più sporchi e disonesti della borghesia industriale, sviluppando la corruzione, rendendo possibili quegli assalti alle Banche, di cui sono indice significante le recenti vergognose polemiche.

(Dall'Almanacco socialista, 1920) §§§

FILIPPO TURATI: RIFARE L'ITALIA Questa è una sintesi del testo di un discorso parlamentare di Turati, pubblicato dapprima sulla "Critica Sociale" e poi in seguito in opuscolo col titolo "Rifare l'Italia". L'intervento di Turati ha un preciso significato politico, perché con esso il leader socialista traccia un concreto piano di governo utile per risollevare le sorti del Paese, colpito dalla

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O essa sente in sé la forza di risanarsi, o il proletariato, benché immaturo e impreparato - ma speriamo più onesto - dovrà pure affrettarsi a sostituirla. Certo dobbiamo distinguere fra borghesia e borghesia, e anche nel tassarla. Questo anzi è il punto più delicato del problema finanziario. Tagliare il cancro senza offendere la parte sana della borghesia. Di questa peggiore borghesia, la più procacciante, la più organizzata, la più tenacemente gelosa del proprio egoistico interesse, che ha nella Camera e nel Senato quelle propaggini le quali, se il voto del gruppo socialista ingenuamente le aiuti, possono anche rovesciare e quindi riscattare qualunque Ministero - di cotesta borghesia putrefatta fu sempre complice e prigioniero lo Stato. Il quale non ebbe mai programmi propri, visione indipendente dei problemi e fu sempre alla mercè di tutti gli interessi più insistenti, di tutto il pescecanismo parlamentare, fenomeno che esisteva, del resto, anche assai prima della guerra. Vi è oggi una crisi di produzione spaventosa, dappertutto, ma più in Italia, perché è la Nazione, come già dicemmo, più povera; vi è insieme una crisi di trasporti - terrestri e marittimi - per noi tanto più grave in quanto dobbiamo importare tante materie prime per l'industria e per l'agricoltura, e derrate per l'elementare alimentazione. Perché è di questo che si tratta, onorevole Giolitti. E ormai tempo di invertire il vecchio motto del nostro, veramente massimo, Massimo d'Azeglio. Secondo lui, fatta l'Italia, bisognava cominciare a fare gli italiani. Ora bisogna dire: fatti gli italiani, bisogna fare l'Italia. L'Italia settentrionale fu "fatta" pezzo a pezzo, coi sacrifici, coi miliardi di decine di generazioni. Ma oggi si può fare in dieci anni ciò che in altri tempi esigeva qualche secolo...

Dopo la guerra le donne lavoratrici iniziano ad organizzarsi e la loro presenza negli scioperi, nelle manifestazioni diventa sempre più numerosa e combattiva. La conflagrazione europea ha sorpreso la donna e l'ha trovata impreparata e disorientata: la coscienza politica non era ancora formata, la coscienza di classe andava solo affermandosi qua e là. Si ebbero, in alcune regioni, episodi di rivolta femminile alla guerra. Le donne di Cecina, S. Casciano e di altre località della Toscana si stesero sui binari ferroviari, per impedire la partenza dei loro cari. Ma questi episodi non furono numerosi e non poterono, ricollegati ad altri consimili, costituire un unico importante episodio, tale da dare al Governo la sensazione di una forte opposizione femminile alla guerra. Le donne maggiori, eccettuata Angelica Balabanoff, che avevano sempre operato nell'ambito della concezione riformista, si trovarono estremamente disorientate, e l'attività femminile, che da esse prendeva norme e vita, si paralizzò. Nel periodo bellico, le donne socialiste operarono individualmente seguendo, molte, gli impulsi del proprio sentimento nelle opere di beneficenza; poche, gli impulsi della propria fede internazionalista, affrontando persecuzioni e carcere. Fra queste ricordiamo Maria Giudice ed Abigaille Zanetta. Intanto la donna proletaria si esauriva moralmente e fisicamente nelle officine e nei campi per sostituire gli uomini nelle opere indispensabili. Costruir proiettili, preparar indumenti, far la postina, la tramviera, la spazzina; seminare, mungere, arare.. e cospargere la fatica di lacrime. Questo era il compito che la società borghese le assegnava. Ma da questa dura vita, come da macerie informi e senza storia, uscì il nuovo esercito del lavoro che oggi soltanto s'avanza, agguerrito e compatto, alla ribalta della vita politica italiana. Non vi è città, borgata o villaggio di zone industriali ed agricole dell'Italia settentrionale e centrale, che non abbia il suo gruppo socialista femminile. Commovente è l'abnegazione e la fede di queste modeste e valorose compagne. Impassibili e coraggiose sfidano, non solo il regio piombo, che ha fatto trincea e cimitero ogni piazza ed ogni via d'Italia; ma anche le lente ed esasperanti lotte contro lo sfruttamento larvato, il pregiudizio che le segna a dito quali donne perdute; contro l'autorità padronale alleata al carabiniere che le imprigiona, al prete che le maledice. Basta ricordare lo sciopero tessile del Biellese, durante parecchi mesi. Lo spirito di resistenza era

Filippo Turati §§§

L'IMPEGNO DELLE DONNE SOCIALISTE NEGLI SCIOPERI DEL DOPOGUERRA I gruppi femminili socialisti si sviluppano soprattutto nel dopoguerra e il motivo è spiegato nell'articolo che segue, pubblicato nell'edizione 1920 dell'"Almanacco Socialista". La guerra infatti rappresenta per la maggioranza delle donne un momento di presa di coscienza politica e sociale: trovatesi a dover sostituire gli uomini impegnati al fronte, riuscirono ad assolvere il loro compito.

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dovuto, in gran parte, alla propaganda delle nostre numerose compagne operaie; così nell'ultimo sciopero metallurgico, le donne hanno dimostrata una coscienza di classe mai fino allora sentita: disposte a patir la fame piuttosto che venir meno alla lotta. Cosi nello sciopero agricolo di Piacenza e in quelli che ancor oggi travagliano le province di Bologna, Pavia e Novara. Ogni piaga italiana è in fermento, ma dovunque la lotta di classe impone sacrifici, là, la donna socialista e proletaria si offre audace e coraggiosa, a combattere ed a soffrire. Possiamo dunque affermare essere oggi la donna elemento di forza e di resistenza; essere il domani femminile pieno di promesse per la lotta rivoluzionaria, che gli eventi vanno preparando.

dispotismo tirannico, o è dittatura di maggioranza, ed è un vero non senso, perché la maggioranza non è dittatura, e la volontà del popolo, è la volontà sovrana. E da ultimo, altro segno di distinzione, il proposito della costrizione del pensiero all'interno del Partito, la persecuzione dell'eresia... Questo culto della violenza, che è agli inizi di tutti i Partiti nuovi, è propria del capitalismo e delle minoranze che intendono imporsi e schiacciare le maggioranze, e non può essere il principio delle maggioranze che vogliono e possono, con le armi intellettuali, redimersi ed imporsi. La violenza è li contrapposto della forza, la violenza è anche la paura, la poca fede nell'idea, la paura delle idee altrui, il rinnegamento della propria idea. E rimane tale anche se trionfa per un'ora, seminando dietro di sé la reazione della insopprimibile libertà della coscienza umana, che diventa controrivoluzione, che diventa vittoria, ad un punto dato, dei comuni nemici. Questo avvenne sempre nella storia. Si potrebbe citare il cristianesimo, che fu un'enorme espansione di una idea; una forza che diventò misera, falsa, traditrice, ipocrita, nulla, impotente quando si appoggiò ai troni, alle armi, a tutte le forze della violenza. Ma, soprattutto, questa è verità profonda, che voi riconoscerete un giorno: in regime di suffragio universale, ancora non saputo adoperare, ancora incosciente, che dovremmo rendere cosciente, ma che vuoi dire: "siete i sovrani, i dominatori", potete fare tutto quello che volete, senza versare una stilla di sangue umano, vostro ed altrui, se con la violenza, che desta la reazione, non metterete il mondo intero contro di voi. Ecco il punto del nostro solo, vero dissenso, che fu di ieri, che è di oggi, che è dì sempre, contro il quale sempre insorgemmo. Nella storia del nostro Partito, l'anarchismo fu rintuzzato, il ferrismo, anticipazione del grazideismo fece le capriole che sapete, l'integralismo stesso sparì e rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo, secondo alcuni, il socialismo, secondo noi, il solo vero, immortale, invincibile socialismo, che tesse la sua tela ogni giorno, che non fa sperare miracoli che crea coscienze, Sindacati, Cooperative, conquista leggi sociali utili al proletariato, sviluppa la cultura popolare (senza la quale saremo sempre a questi ferri, e la demagogia sarà sempre in auge), si impossessa dei Comuni, del Parlamento, e che, esso solo, lentamente, ma sicuramente, crea la maturità della classe, la maturità degli animi e delle cose, prepara lo Stato di domani e gli uomini capaci di manovrarne il timone. Sempre social-traditori ad un modo, e sempre vincitori alla fine...

(Dall'Almanacco socialista, 1920) §§§

FILIPPO TURATI: VOI COMUNISTI UN GIORNO PERCORRERETE LA NOSTRA VIA... Nel gennaio del 1921 si svolge a Livorno il XVII Congresso del PSI, che segnerà con la scissione dei "comunisti puri" di Gramsci, Terracini e Bordiga, la nascita del PCdI. L'intervento di Filippo Turati, riletto a distanza di sessanta anni, risulta profetico: rivolgendosi al comunisti, il leader socialista sottolinea l'impraticabilità e i pericoli della scelta della violenza e della dittatura del proletariato, e prevede che la Storia farà giustizia, e la via di quanti nel Psi venivano allora giudicati "socialtraditori" quella del Socialismo riformatore, sarà un giorno anche per i comunisti l'unica praticabile. Ciò che ci distingue non è la generale ideologia socialista, la questione dei fini, e neppure quella dei mezzi, ma una pura e semplice valutazione della maturità delle cose e del proletariato a prendere determinate posizioni in un dato momento; è unicamente la valutazione della convenienza di determinati mezzi episodici della lotta. La violenza, che per noi non è un programma, non può e non deve essere un programma, che alcuni accettano in toto e vogliono organizzare e preparare - i cosiddetti comunisti puri, chiamateli come volete - che altri accettano a mezzo, guadagnando tutte le conseguenze dannose e nessun utile che la violenza potrebbe per avventura, nella mente di quegli altri, contenere in sé, noi, come programma, la rifiutiamo. La dittatura del proletariato, per noi o è dittatura di minoranza, e allora è imprescindibilmente

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PIETRO NENNI: CONTRO LA LIQUIDAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA

La lotta sarà più dura, più tenace e più lunga, ma la vittoria è sicura anche questa volta... Capirete allora, intelligenti come siete, che la forza del bolscevismo russo è nel peculiare nazionalismo che vi sta sotto, nazionalismo che del resto avrà una grande influenza nella storia del mondo, come opposizione ai congiurati imperialismi dell'intesa e dell'America, ma che è pur sempre una forma di imperialismo.... E noi non possiamo seguirlo ciecamente, perché diventeremmo per l'appunto lo strumento di un imperialismo eminentemente orientale, in opposizione al ricostituirsi della Internazionale più civile e più evoluta, l'internazionale di tutti i popoli, l'internazionale definitiva. Tutte queste cose voi capirete fra breve e allora il programma che state faticosamente elaborando e che tuttavia ci vorreste imporre, vi si modificherà fra le mani e non sarà più che il nostro vecchio programma... il nucleo solido, che rimane di tutte queste cose caduche, è l'azione: l'azione, la quale non è l'illusione, il precipizio, il miracolo, la rivoluzione in un dato giorno, ma è l'abilitazione progressiva, libera, per conquiste successive, obiettive e subiettive, della maturità proletaria alla gestione sociale. Sindacati, Cooperative, poteri comunali, lavoro parlamentare, coltura, ecc., tutto ciò è il socialismo che diviene. E, o compagni, non diviene per altre vie. Ancora una volta vi ripeto: ogni scorcione allunga il cammino; la via lunga è anche la più breve... perché è la sola. Ond'è, che quand'anche voi aveste impiantato il partito comunista e organizzati i Soviet in Italia, se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualche cosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto - ma lo farete con convinzione, perché siete onesti - a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei socialtraditori di una volta; e dovrete farlo perché essa è la via del Socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe.

Espulsi i riformisti di Turati al XIX Congresso del PSI a Roma, si fa strada l'ipotesi di una riunificazione con i comunisti dopo la scissione di Livorno del 1921. Il IV Congresso a Mosca dell'internazionale comunista, al quale partecipa Serrati, spinge in questo senso. Nenni, che si oppone alla fusione e si batte per l'autonomia del Partito socialista, espone i motivi del suo dissenso con un articolo pubblicato sull'Avanti! il 3 gennaio 1923. Non è possibile - afferma Nenni - pretendere l'unificazione di due Partiti, quando entrambi i loro Comitati Centrali non la vogliono, e, soprattutto, quando la loro linea politica diverge in maniera tanto evidente. Il XX Congresso del PSI, a Milano gli darà ragione. ... lo penso che se la nostra delegazione a Mosca, la Direzione del Partito che ne ha convalidato l'operato, avessero ricevuto l'incarico di procedere alla liquidazione sotto-costo del Partito socialista, senza nessun beneficio né per l'internazionale, né per il proletariato, non si sarebbero comportate diversamente... Per me non c'è dubbio che la tattica scelta da Mosca è sbagliata. La fusione di due partiti non può essere imposta dall'alto, essa deve maturarsi dal basso. Non può essere improvvisata, ma lentamente preparata. Era l'opinione questa della intera delegazione nostra a Mosca a nome della quale due mesi fa il compagno Serrati scriveva da Riga: "Il deliberato del Congresso di Roma circa la nostra adesione alla Terza Internazionale è tassativo; ma le modalità dell'adesione restano tuttavia da stabilirsi. Dalla scissura di Livorno un grande fossato si è aperto tra i comunisti e noi, fatto più aspro e diruto per le polemiche sempre violente, troppo spesso scioccamente personali. In talune località la violenza comunista è giunta a tanto che ogni rapporto anche cogli elementi più radicali del nostro Partito fu completamente rotto. Pensare a colmare d'un tratto questo profondo fossato è pensare l'impossibile: forse coloro che propugnassero o accettassero una immediata fusione potrebbero essere accusati di poca sincerità. Se il deliberato di Roma è venuto dopo assai lunga preparazione, portato a maturazione più dai fatti che dalle stesse nostre volontà, un secondo deliberato, che stabilisse la fusione socialcomunista, sarebbe una improvvisazione, un artificio. Ciò è nella mente e nella convinzione di tutti noi.

Filippo Turati (Dall'intervento al Congresso di Livorno, gennaio 1921) §§§

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Noi vogliamo trovare - in piena libertà e con grande coscienza - tutti gli elementi naturali e spontanei che rendano possibile e affrettino la fusione in un solo organismo di tutte le forze rivoluzionarie; ma non intendiamo creare nulla di artificiale e di affrettato. Pensiamo anzi che quanto più l'avvenimento sarà spontaneo, tanto maggiormente sarà vitale. Su questo punto l'accordo è completo". Ebbene, è contro l'improvvisazione, è contro l'artificio, che bisogna schierarsi. Si sono mai visti due partiti passare improvvisamente da una fase di aspre polemiche teoriche oltre che tattiche, alla fusione? Si sono mal visti fondersi d'improvviso due partiti le cui maggioranze sono contrarie alla fusione? Che risultati una simile fusione potrebbe avere? Quale coesione esisterebbe nel nuovo Partito unificato? L'internazionale non ne avrebbe giovamento, perché nell'atto stesso in cui la fusione, decisa dall'alto, si opererebbe, la parte forse migliore, dei due partiti si disperderebbe; non ne avrebbe vantaggio il proletariato, perché un equivoco sarebbe alla base del nuovo Partito... La delegazione italiana a Mosca aveva un altro mandato. Non si liquida un partito come un fondaco di mercante. Non si decide la fusione, senza che i due partiti alla prova dei fatti, nel duro combattimento, abbiano via via superato il ricordo delle loro divisioni e dei superati dissensi, senza che fra le masse dell'uno e dell'altro partito sia intervenuto quel cordiale affiatamento dal quale soltanto la fusione poteva derivare. Non basta nemmeno avere stabilito fra due partiti uno stesso programma, è la forma mentis che in definitiva determina la convergenza su una medesima linea di battaglia. Le condizioni di Mosca - condizioni votate da un Congresso, quindi modificabili soltanto da un altro Congresso, non progetto dell'Esecutivo, come si vuoi far credere - non hanno tenuto conto di queste elementari considerazioni. Non si è pensato a Mosca che se il problema fosse stato così semplice, da ridursi alla liquidazione del Partito socialista e al passaggio dei suoi aderenti al Partito comunista, ognuno lo avrebbe da tempo individualmente risolto senza incomodare un Congresso mondiale. Allo stato delle cose che si può fare? La Direzione ha sostanzialmente ratificato i 14 punti di Mosca e autorizzando il Comitato dei sette a funzionare, di fatto ha già subordinato il Partito a una superiore giurisdizione. Non poteva farlo. Non doveva farlo. Non si giochi per carità a chi è più furbo. La posta è troppo grossa. Il Partito deve essere interrogato

subito, sul solo punto che interessa: la fusione immediata. Due o tre settimane al massimo sono sufficienti a questa consultazione che si può fare, com'era nei propositi del segretario del Partito, a mezzo di "referendum". Lasciare il Partito nello stato di marasma cui è piombato in queste ultime settimane, vuoi dire assassinarlo. Se la direzione non va incontro a questa legittima volontà della grande maggioranza del Partito, essa si pone fuori dalle delibere congressuali, essa si ribella al Partito, non il Partito alla necessaria disciplina, se si troverà costretto a prendere iniziative che spetterebbero alla direzione. Gli ultimi avvenimenti hanno dimostrato che il Partito vuole e sa vivere, che esso è sinceramente con le tesi dell'internazionale, che le sente, ne intuisce il valore storico. Esso potrà anche compiere il sacrificio dolorosissimo della sua organizzazione, ma questo quando la fusione si sarà spontaneamente operata sulla linea del difficile combattimento, dove i buoni socialisti e i buoni comunisti con lealtà, con reciproco rispetto potranno stringersi la mano e suggellare un'alleanza che tronchi netto con un nefasto passato di intestine polemiche. Una bandiera non si getta in un canto come cosa inutile. Si può anche ammainare, ma con onore, con dignità, per un processo spontaneo di sentimenti. Pietro Nenni (Dall'Avanti! del 3 gennaio 1923) §§§

L'AGONIA DELLE COOPERATIVE SOTTO IL FASCISMO La cooperazione italiana, che aveva avuto nel 1921 il suo maggiore sviluppo (20.000 cooperative, due milioni di soci, un miliardo di capitale azionario e fondi diversi, tre miliardi d'affari) nei suoi diversi rami (consumo, lavoro, agricolo, credito) è precipitata improvvisamente alla fine del 1920, per un duplice ordine di ragioni - da una parte la crisi economica e dall'altra la violenza fascista - a poche migliaia di organismi che vivono in condizioni oltremodo difficili, abbandonati a sé stessi, non coordinati e non diretti ad un'unica mèta. Oltre alle centinaia e centinaia di cooperative devastate, bruciate, soppresse violentemente o... legalmente, molte altre sono paralizzate nella loro azione dalla atmosfera che il fascismo ha loro creata. Ostilità di tutti i generi si oppongono da parte dei pubblici poteri e della speculazione privata al rifiorire del movimento cooperativo.

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GIACOMO MATTEOTTI: IL NEMICO E UNO SOLO IL FASCISMO

Malgrado i colpi della reazione la Lega delle Cooperative è ancora forte di oltre 2000 cooperative ed è considerata all'estero come la sola organizzazione nazionale che risponde ai principi della vera cooperazione solidarista. Al Consiglio Nazionale della Cooperazione svoltosi a Milano il 17-18 settembre 1923, con l'intervento dei rappresentanti più di mille cooperative, il presidente Vergnanini ha fatto il quadro doloroso delle condizioni create nelle province ai cooperatori. Le Cooperative devono dappertutto curvarsi alle violenze o alle imposizioni dei ras, se vogliono essere tollerati i vecchi dirigenti quasi dappertutto sono stati' sostituiti da nuovi, di marca fascista, privi di ogni competenza e qualità organizzativa. Ciò non ostante il Consiglio ha rilevato come lo spirito delle masse tenda tenacemente e nostalgicamente a mantenersi fedele ai vecchi organismi. La forma di lotta che il fascismo ha adottato contro il movimento cooperativo ha assunto caratteri speciali a seconda delle località e della resistenza offerta: questi metodi di lotta vanno dagli incendi e dalle devastazioni all'asservimento ed alla soffocazione. Tipico il caso di Molinella: il patrimonio di quelle organizzazioni è stato liquidato, ceduto agli agrari del luogo a prezzi d'eccezione sottratto al controllo ed alla amministrazione dei lavoratori. Nel Reggiano, in Romagna, in Carnia, il fascismo si è impadronito degli organismi cooperativi, senza saper fare per altro meglio degli amministratori socialisti. Anche irregimentate coattivamente le Cooperative sotto le bandiere del Fascismo, le sorti della Cooperazione hanno continuato a declinare. Si tratta ormai di una vera e propria agonia. La situazione in complesso può essere cosi riassunta: nonostante i conclamati nuovi orizzonti del Cooperativismo fascista, la Cooperazione che ancora resiste e che uscirà vittoriosa dalla prova è quella nata e cresciuta sotto il controllo della Lega Nazionale delle Cooperative. Nulla di nuovo, ripetiamo, hanno potuto portare a creare i fascisti nel campo della Cooperazione.

Giacomo Matteotti, nel periodo immediatamente precedente la sua morte, durante il quale fu segretario del Partito Socialista Unitario, scrisse alcune significative lettere a Turati sulla particolare situazione di gravità In cui versa il Paese all'indomani dell'ascesa al potere del fascismo. L'ultima, fu scritta a Filippo Turati nel giorni immediatamente precedenti le elezioni politiche del 1924 delle quali poi, Matteotti stesso, denuncerà i brogli nell'ultimo discorso alla Camera pronunciato pochi giorni prima di cadere assassinato. In occasione delle elezioni Matteotti sente più che mai la necessità dell'unità di tutte le forze socialiste per combattere il fascismo e per salvare la libertà. "Caro Turati, Vorrei fermare un pensiero alla tua rivista, affinché non abbia neppure il sospetto di ripercussioni elettorali, e prima delle elezioni affinché non sembri più tardi conseguente a un esito qualsiasi delle medesime. L'esito darà la misura della violenza e del terrore, non del consenso dei singoli partiti. E vorrei fermarlo personalmente, non come segretario del Partito, tanto più che io sono deciso e spero, subito dopo le elezioni, che mi vorrete aiutare a liberarmi da un incarico che doveva essere provvisorio per due mesi e si è prolungato invece per oltre un anno. Anzitutto è necessario prendere, rispetto alla dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fin qui; la nostra resistenza al regime dell'arbitrio deve essere più attiva; non cedere su nessun punto; non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso Codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'italia un regime di legalità e di libertà; tutto ciò che esso ottiene, lo spinge a nuovi arbitri, a nuovi soprusi. E la sua essenza, la sua origine, la sua unica forza; ed è il temperamento stesso che lo dirige. Perciò un partito di classe e di netta opposizione non può raccogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano. Il nemico è attualmente uno solo: il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro. I lavoratori italiani, ammaestrati dalle dure esperienze del dopoguerra,

(Dall'Almanacco socialista, 1924) §§§

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devono riunirsi concordi contro il fascismo che opprime, e contro l'insidiosa discordia comunista; così nel campo dell'azione politica come nella economica. I fatti del resto lo impongono, anche al disopra delle nostre minori antipatie, risentimenti, ecc. Se non possono muoversi i Partiti ufficialmente, i socialisti dell'uno e dell'altro campo devono porre la questione e risolverla. Senza ritardo. Le cose non avvengono da sé; ma ad opera degli uomini. Il ritardo serve soltanto a diffondere un più largo scetticismo nelle masse, e a lasciare quindi penetrare negli spiriti indeboliti i veleni più opposti. Le obiezioni sono facili, e le sento; ma bisogna superarle ad ogni costo, per agire rapidamente.

senso di soddisfazione e, soprattutto, l'incubo ininterrotto di sorprese, di speranze e di delusioni. Ecco per anni e anni, senza la tregua di un giorno, la condizione dell'osservatorio e de I l'osservatore, del Comune e del suo Sindaco... Questo il comune denominatore. Formiamo il numeratore con una città di oltre 700.000 abitanti, la posizione geografica e il nervosismo politico di Milano, una tradizione municipale conservatrice interrotta sostanzialmente per la prima volta, i dubbi e le diffidenze degli uni e la eccessiva aspettazione degli altri, la suggestiva leggenda di Barbarossa rievocato per dipingere ad uso elettorale i nuovi amministratori del Comune... e avremo, tradotta in una formula aritmetica, la situazione non invidiabile dell'osservatore che ora si arroga l'onore di parlarne. Non erano scorsi che venti giorni da quando avevo assunto la parte - il ruolo, come si dice in Teatro - di Barbarossa, quando voci minacciose di guerra si alzarono in Europa. Le primissime ripercussioni della guerra nell'Italia, ancora neutrale, furono - come è noto - il precipitoso e forzato ritorno in patria dei nostri emigrati, specialmente dalla Germania e dalle terre invase di Francia e del Belgio, e un turbamento profondo e preoccupante nel mercato dei generi alimentari. A Milano, mentre Barbarossa si accingeva a comperare del grano (il vecchio, l'autentico Barbarossa, comperava, secondo una incredibile leggenda, il sale per cospargerne le rovine fumanti della Città), migliaia e migliaia di emigrati italiani giungevano alla rinfusa per la ferrovia del Sempione: erano vecchi, donne e fanciulli (gli uomini validi erano stati trattenuti e internati), stanchi, affamati, con poche masserizie sottratte frettolosamente alle case abbandonate o distrutte, strappati ad un vita regolare e per molti agiata e gettati nel turbine di un mondo sconvolto, moltissimi senza parenti in Italia e senza possibilità di ricovero, non pochi ignari ormai della nostra lingua, irritati o inebetiti dalla disperazione, avvolti nel lezzo di una prolungata promiscuità di vita, minacciati dalle malattie, oppressi dall'afa bruciante e fiagellati dal sole di quel triste agosto. Bisognava accoglierli come fratelli, alimentarli, alloggiarli, pulirli: in una parola salvarli. Fu opera rude e penosa; ma riuscimmo a compierla intera. Un vero villaggio provvisorio sorse in pochi giorni nei pressi della stazione. Un vasto caseggiato di proprietà comunale, qualche fabbricato scolastico vicino, vennero in breve ora convertiti in comodi alloggi. L'Umanitaria e la Bonomelli concorsero volentieri con i loro organi già sperimentati nell'assistenza agli emigranti.

Giacomo Matteotti (Da una lettera a Filippo Turati, aprile 1924) §§§

EMILIO CALDARA: IMPRESSIONI DI UN SINDACO DI GUERRA L'impegno dei socialisti In soccorso delle popolazioni colpite dalla guerra fu costante durante tutto Il periodo bellico, specie in quel centri in cui essi detenevano il potere comunale. Uno dei casi più significativi di quest'opera di "croce rossa civile" è rappresentato dal Comune di Milano, conquistato dal PSI, con larga maggioranza di voti, nell'estate del 1914 pochi mesi prima dello scoppio del conflitto. A capo dell'amministrazione milanese era Emilio Caldara, un socialista che aveva fin dagli inizi del secolo condotto una continua battaglia in favore della autonomia comunale e dell'impegno municipale socialista. In queste pagine, scritte nel 1924, Caldara (Barbarossa, così come lo definivano gli avversari) narra alcuni degli interventi principali del Comune di Milano soprattutto in tema di approvvigionamento dei viveri e di assistenza civile. Mai come durante la immane tragedia della guerra mondiale - tragedia, di cui sono parte integrale il prologo tempestoso dell'anteguerra e il tormentoso epilogo del dopoguerra - il Sindaco di un Comune italiano (e oserei dire di un qualsiasi Comune d'Europa, se conoscessi meglio l'organizzazione amministrativa degli altri Paesi) ha potuto e dovuto sentire, in ogni particolare e in ogni sfumatura, gli avvenimenti che si succedevano e sovrapponevano con la stessa rapidità aritmica che la febbre imprime alle vibrazioni del corpo umano: bisogni imprevisti, urgenze terribili e attese accascianti, irritabilità di uomini e di organismi amministrativi, equivoci, dolori, miserie, entusiasmi, penose responsabilità,

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Treni speciali con personale specializzato partirono per raccogliere e smistare lungo il viaggio i ritornanti. La vigilanza igienica compì il miracolo di evitare qualsiasi malattia infettiva. Quella dolorante fiumana passò, come ogni tragedia umana che sia compresa e compianta dagli uomini, lasciando ricordi malinconici e coscienze tranquille. Quanti anelli della solidarietà internazionale erano stati infranti da quei penosi ritorni, ma quanta solidarietà umana era stata seminata a preparare le rivincite di domani! La dolorante fiumana passò; ma rimase l'organizzazione di quei servizi - prima improvvisati e poi a grado a grado migliorati - e rimase la preparazione degli animi. Circa due anni dopo - nel maggio del 1916 - esse addolcirono le pene dei profughi dall'altipiano d'Asiago (da noi accolti in reverente silenzio mentre per le piazze tripudiava l'anniversario dell'entrata in guerra); e più tardi - nel triste indimenticabile domani di Caporetto - furono argine e asilo ai fratelli del Friuli e del Veneto sospinti in ondate di miseria e di dolore dall'invasione nemica. Oh! quell'ora atroce, in cui prima ancora di ogni precisa notizia, ci giungeva un treno carico alla rinfusa di gente atterrita e macilenta, di soldati feriti e di fuggenti, di masserizie scompagnate -quell'ora, in cui ci balenò agli occhi della mente un disastro ancora più grande di quello grandissimo che si era rovesciato sul nostro Paese - quell'ora, che sta nei nostri ricordi più viva di ogni dolore e di ogni lavoro che ne seguì, pur quando erano con noi circa trentamila profughi e l'inverno incalzava a moltiplicare le miserie e le angustie! Non ultima, tra le angustie, quella dell'approvvigionamento. Il problema si era affacciato - dissi - fino dagli inizi della guerra europea. Ma non si era imposto che molto più tardi agli uomini del Governo e alla maggioranza del Paese. È legittima soddisfazione - e non immodestia - ricordare ora le irrisioni e le contumelie, di cui fummo gratificati ai primi acquisti comunali di grano, di patate, di carbone, di altri generi di prima necessità. Ma allora si soffriva perché la malignità era di gran lunga maggiore della incomprensione. Si giunse a parlare di enormi quantità di grano andate a male, e di farine guaste usate per la refezione scolastica dei nostri bambini! Parve subito a noi - e non soltanto a noi, ma anche a molti altri amministratori di grossi e di piccoli Comuni - che, spezzata pel fatto della guerra la bilancia delle importazioni e delle esportazioni e alterate profondamente le proporzioni dei consumi, diventasse per gli Enti pubblici doverosa prudenza assicurarsi a prezzi equi provviste alimentari che

servissero a un tempo da serbatoio e da calmiere contro possibili deficienze e contro il panico e la speculazione. I Comuni sentirono prima dello Stato l'opportunità di queste provvidenze, e furono benemeriti della resistenza del Paese assai più degli imboscati concionanti sul fronte interno. E furono ancora i Comuni che primi avvisarono della necessità di limitare e disciplinare i consumi, mentre su per i giornali si scherzava allegramente intorno alla istituzione tedesca della tessera. Ricordo che le prime avvisaglie di ostilità del Prefetto di Milano contro l'Amministrazione comunale di Monza - ostilità che culminò più tardi nello scioglimento di quel Consiglio - trassero occasione dal proposito del Sindaco di Monza di istituire la tessera per io zucchero! Di qui tutta una attività nuova dei Comuni e dei loro amministratori: un campo sterminato di propositi e di opere, irto di triboli, costellato di insidie, bisognoso di fatiche quotidiane, folto di pericoli. Materia immensa di osservazioni e di esperienze. Emilio Caldara (Da "Impressioni di un sindaco di guerra", Milano 1924) §§§

RIVENDICHIAMO DEL POPOLO

LA

DIGNITÀ

Giacomo Matteotti è aggredito dal fascisti, capeggiati dal fiorentino Amerigo Dumini, la mattina del 10 giugno 1924. E trascorso poco più di un mese dal giorno del suo ultimo discorso alla Camera, durante il quale ha denunciato le violenze e i brogli elettorali verificatisi nel corso delle elezioni dell'aprile 1924, che hanno visto da parte del governo fascista l'applicazione di una nuova legge elettorale (detta "Legge Acerbo") che favorisce la lista che ottiene la maggioranza relativa dei voti. In questo discorso, del quale riportiamo i passi più significativi, Matteotti chiede "l'annullamento in blocco delle elezioni" perché queste si sono svolte in un clima di aperta illegalità. Matteotti. Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza del mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra). Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito... Maraviglia. Hanno votato otto milioni di italiani! Matteotti....se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo

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fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo, che avrebbe annullato il suo voto e i I suo responso. (Rumori e interruzioni a destra). Matteotti. Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma io parlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo, di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato. (Interruzioni e rumori a destra). Voci a destra. E le guardie rosse? Matteotti. Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (Commenti). In aggiunta e in parti colare... (interruzioni), mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre in tutta l'Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero... (Interruzioni - Rumori). Matteotti. L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti, da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori -Interruzioni Apostrofi). Una voce. Non è vero, non fu impedito niente. (Rumori). Matteotti. Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuoi dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori Interruzioni). L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride - Interruzioni). Presidente. Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente. Matteotti. lo chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente! Presidente. Parli, parli. Matteotti. I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori - Interruzioni). Presidente. Facciano silenzio! Lascino parlare! Matteotti. Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura,

perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio Paese ed emigrare all'estero. (Commenti). Matteotti. lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere allargato a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti). Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo. Torre Edoardo. Basta, la finisca! (Rumori Commenti). Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Torre Edoardo. Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti - Rumori). Voci. Vada in Russia! Presidente. Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda. Matteotti. Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto, il più delle volte quasi esclusivamente da coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialisti, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente.

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A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra - Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza. Matteotti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo (interruzioni a destra). Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto; e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra -Vivi rumori).

situazione consente, di impiegare in questa lotta tutte le energie morali della parte migliore del popolo. È nella sventura che si misurano gli uomini. È nella sconfitta che il movimento socialista italiano darà la prova migliore della sua forza e della sua vitalità. Bisogna però che esso si imponga un coraggioso esame di coscienza, che esso ad. divenga alla più spietata delle autocritiche. Perché fummo battuti? Ecco la domanda fondamentale che dobbiamo porci e che esige una chiara risposta. Il sapersi rendere ragione della sconfitta è già un primo passo sulla via della rivincita. Chi nasconde il capo sotto l'ala e si trincera dietro il dadà della "reazione internazionale" o si limita semplicemente a considerare il fascismo come il figlio legittimo e necessario del regime capitalistico, come una tappa fatale lungo il calvario socialista, dà prova di poca forza morale e mostra di non aver nulla appreso dalla lezione di questi anni. Le ragioni della disfatta non vanno infatti tanto cercate negli avvenimenti esteriori delle forze che sfuggono per definizione al nostro controllo, quanto in noi stessi. Siamo noi gli autori e del nostro bene e del nostro male.. Perché fummo dunque battuti? Le cause sono tante e così complesse che vano sarebbe volerne fare l'elenco. Si tratta qui più di porre che di risolvere il problema. à indubbio che alcune di queste cause erano per natura loro incontrollabili e immodificabili, per lo meno in breve giro di anni, e risiedevano e tuttora risiedono nel costume nazionale. Secoli di storia non si cancellano in pochi lustri di predicazione socialista; e l'italiano è ancora troppo figlio del passato per potersi considerare popolo moderno. L'Italia è un Paese capitalisticamente arretrato, povero, disarticolato nelle sue parti, politicamente ineducato, affetto da provincialismo congenito... nel quale ci si illuse di aver elevato nel corso di una generazione quel grandioso edificio socialista che alla prova dei fatti non poteva non rivelarsi terribilmente fragile nelle sue basi... L'Italia è ancor oggi un Paese prevalentemente agricolo che male si presta, specie nel centro e nel meridione, all'affermarsi di un movimento socialista ispirato alla ideologia marxista; la quale, sia detto di sfuggita, si volle sin dai primordi dovunque affermare senza alcuna elasticità e intelligenza, specie nelle zone rurali. L'Italia è un Paese nel quale non si ebbero mai le grandi lotte di religione che costituirono dovunque (sia pure nonostante e contro la volontà delle parti in lotta) il massimo lievito dei regimi liberali e la più sicura garanzia del principio di tolleranza e del rispetto di un minimo comune denominatore di civiltà; è un

(intervento di Giacomo Matteotti alla Camera dei Deputati, 30 aprile 1924) §§§

CARLO ROSSELLI: AUTOCRITICA, NON DELAZIONE L'anno 1926 segna l'inizio della riflessione autocritica sulle ragioni della sconfitto del Socialismo di fronte al dilagare del fascismo. Dopo il delitto Matteotti, dopo il fallimento dell'Aventino, e dopo la soppressione della libertà di stampa, è giunto il momento della riflessione sugli errori del passato per trarne nuova forza per l'avvenire. Questo articolo di Carlo Rosselli, scritto su "Quarto Stato" la rivista che dirigeva insieme a Nenni, esemplifica molto bene questa fase di ripensamento e di riorganizzazione. Una esigenza anima sopra a tutte questo scritto di Rosselli: quella di lottare politicamente con tutti i mezzi che la

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Paese nel quale le libertà politiche conquistate durante il Risorgimento per opera di una ristretta "élite" borghese e patrizia, rimasero sempre patrimonio di pochi. Purtroppo in Italia la conquista di quello che a giusto titolo è considerato il sommo bene dei popoli a civiltà occidentale, non è legato a nessun moto di masse capaci di adempiere ad un ruolo mitico e ammonitore. La massa fu assente nelle battaglie per l'indipendenza e per le libertà politiche. La libertà italiana è figlia di transazioni, di adattamenti e di taciti accomodamenti. Il proletariato non ha conquistato a prezzo di sforzi e di sacrifici personali la "sua" libertà... Ora è qui che si annida uno dei massimi errori del nostro movimento su cui tanto insistettero uomini come Arturo Labriola e Gaetano Salvemini. Il suo compito precipuo doveva essere appunto quello di reagire a tali condizioni ambientali, di adeguare la sua teoria, la sua propaganda e la sua azione al clima storico del nostro Paese, di porre prima salde le basi morali e politiche per un fruttuoso lavoro socialista. Invece il Partito socialista non valutò al suo giusto valore il problema politico, fu travolto dalla strepitosa vittoria del 1900 ottenuta così a buon mercato in una lotta che di fatto interessò solo le aristocrazie operaie del Nord, si illuse che fosse ormai definitivamente acquisito ciò che altrove era stato il frutto di lotte lunghissime e di rivoluzioni sanguinose, e non seppe condurre dopo il '900 la grande battaglia per la libertà e le fondamentali conquiste politiche in nome ed in pro dell'intero proletariato. Si perse da un lato nel rivoluzionarismo verboso ed astratto, dall'altro degenerò troppo spesso nel corporativismo e nel gretto riformismo, barattando inconsapevolmente i valori supremi per il classico piatto di lenticchie abilmente presentato dal Giolitti... Il senso dell'eroico, lo spirito di sacrificio e di abnegazione, la coscienza dei valori universali pei quali il socialismo lottava si andarono cosi sempre più oscurando. Le conseguenze inevitabili non tardarono a manifestarsi. Così che oggi siam quasi tratti a pensare che forse fu necessaria questa tragedia perché il socialismo italiano rimettesse in onore dei valori morali, si riaccostasse alla realtà e prendesse nozione finalmente delle grandi questioni politiche. Si tratta ora di ricominciare da capo, con animo nuovo, ricchi della esperienza del passato, forti di una fede che ha ormai superato tutte le prove. Carlo Rosselli (Da "Quarto Stato", 1° maggio 1926)

Antologia5

SANDRO PERTINI: LA FUGA IN FRANCIA DI FILIPPO TURATI Gli inizi della emigrazione antifascista coincidono con il primo dispiegarsi della offensiva squadrista contro le organizzazioni economiche e politiche del movimento operaio. I primi a partire sono, subito dopo la "marcia su Roma" dirigenti e militanti fatti oggetto di persecuzioni sistematiche; poi, dopo l'introduzione delle leggi restrittive nel 1926, abbandonano l'Italia tutti i massimi esponenti del Socialismo italiano. Sandro Pertini racconta la clamorosa fuga di Filippo Turati verso la Francia nell'autunno del 1926, organizzata insieme a Rosselli, Parri e altri. Pertini ricorda la partenza da Milano, la sosta a Savona, la corsa in motoscafo verso la Corsica ed infine il saluto del "padre del Socialismo" all'Italia, e l'incitamento al giovani per continuare a lottare. Filippo Turati, considerato per la sua statura politica e morale il vero rappresentante dell'antifascismo, doveva evadere dal grande carcere che stava divenendo l'Italia dopo le leggi eccezionali, per andare all'estero e levare dinanzi al mondo intero la protesta degli uomini contro la dittatura fascista. Riuscito a fuggire il 24 novembre 1926 dalla sua casa di Milano, nonostante la rigida sorveglianza poliziesca, si rifugia a Caronno, in quel di Varese, nella casa del giornalista Ettore Albini. Scoperta la fuga di Turati, Mussolini dà ordine di ritrovarlo. Tutte le stazioni dei carabinieri sono mobilitate. L'8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città, Savona. Si era giustamente pensato di dare a Turati un compagno di viaggio. Fui scelto io anche perché la Commissione per il confino di polizia di Savona mi aveva condannato a cinque anni di confino, e per questo ero ricercato. Turati rimase nascosto con me in casa d'un mio caro amico, ltalo Oxilia, a Quigliano, vicino a Savona. Dormivamo nella stessa stanza, Turati soffriva d'insonnia e passava le ore discorrendo con me della triste situazione creata dal fascismo e della necessità della sua partenza, ma anche dello strazio che questa partenza rappresentava per il suo animo. Il 12 dicembre 1926 si decise di partire. Alle ore 8 di sera lasciammo l'ospitale casa di Oxilia e scendemmo a Vado Ligure. Ci nascondemmo in una insenatura vicino al faro di Vado. Parri, Adriano Olivetti ed io perlustrammo la costa in attesa del motoscafo che doveva venire da Savona. Attesa snervante e vana. Da Bove ed Oxilia, i due capitani di mare, nostri compagni, mentre stavano per avvicinarsi con il motoscafo al piccolo molo di Vado, videro una

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guardia di finanza di sentinella al molo e quindi decisero di rientrare a Savona. Ma ormai la partenza non poteva essere più rinviata, se non si voleva cadere nella rete tesa dalla polizia. Perciò si pensò di partire senz'altro dal porto di Savona e precisamente dal molo detto del "lanternino verde". Raggiungiamo con una macchina Savona e scendiamo la stretta scala che allora dalla strada Aurelia portava al molo. Tutto intorno è un grande silenzio. Si sentono solo le onde frangersi contro il molo. I nostri animi sono tesi in un'ansia estrema. Sono le 10 di sera. Si sale sul motoscafo. Si parte. Il cielo è tutto stellato. lo guardo la mia città, ove son cresciuto ed ove ho iniziato la mia lotta di uomo libero. Penso a mia madre. Carlo Rossell i si china su Turati e lo bacia. A bordo abbiamo per fortuna due bravi uomini di mare, Da Bove ed Oxilia. Dico per fortuna, perché al largo veniamo investiti da un furioso vento di libeccio. Ondate su ondate si rovesciano sul motoscafo. Il mare è agitatissimo. Al timone si alternano Oxilia e Da Bove. Il motoscafo è molto lento, ma per compenso è largo di chiglia e quindi tiene ottimamente il mare. Al mattino del 13 dicembre ci appare la Corsica: Capo Corso, poi una cittadina. Non è, però, Bastia bensì Calvi. Giustamente Da Bove ed Oxilia non potendosi più servire della bussola impazzita, regolarono la rotta con le stelle, ma tenendosi più ad ovest per non correre il rischio di finire nelle acque fra l'isola d'Elba e la Corsica. Alle ore 10 entriamo nel porto. Scendemmo a terra inzuppati d'acqua. Fummo dai gendarmi condotti alla Capitaneria. Ci fanno sedere come tanti imputati dinanzi al comandante della Capitaneria, il quale come prima cosa ci chiede chi è il capitano del motoscafo. Ci guardammo l'un l'altro perplessi, nessuno di noi aveva pensato a questa formalità. Ma Turati pronto si alza e dice: "Moi, Filippo Turati". A quel nome i volti dei gendarmi francesi come per incanto si rasserenano. Saputo dalla viva voce di Turati chi eravamo e perché fuggivamo dall'Italia, i francesi si fecero subito premurosi e cordiali con noi. Turati chiese di spedire due telegrammi, uno ad Aristide Briand, l'altro a Painlevé. Chiedeva al governo di Francia asilo politico per sé e per me. La risposta del governo francese non si fece attendere. le autorità di Calvi furono invitate a darci tutta l'assistenza di cui avevamo bisogno. Pernottammo a Calvi. Turati, ricordo, voleva indurre Rosselli a restare con noi, a non far ritorno in Italia. Ma vane furono le nostre insistenze. Così si giunse all'ora del distacco. Carlo Rosselli, Parri, Oxilia, Da Bove, Bojancé, Ameglio, il giovane meccanico del

motoscafo, decisero di ripartire nel pomeriggio del 14 dicembre. Ricordo questa partenza come fosse avvenuta ieri. Ci abbracciammo senza pronunciare parola e cercando di trattenere la commozione che saliva dai nostri animi. Ed io mi rivedo a fianco del maestro, sul molo, e attorno a noi muta sta la gente di Calvi. Il motoscafo si stacca. Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. È l'estremo saluto della patria per Turati ed anche per me. Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni. Turati aveva gli occhi velati dalle lacrime; io gli stavo vicino con il cuore stretto dall'angoscia. E' difficile dire oggi, senza sciupare tutto con povere parole, quello che accadeva in noi in quel momento. Filippo Turati volle poi recarsi sulla "cittadella". "Così, - disse, - potremo ancora vedere i nostri compagni". E infatti giunti su in alto riuscimmo a scorgere il motoscafo, che si allontanava verso l'Italia... Sandro Pertini (Da "Trenta anni di Storia italiana", Torino, 1961) §§§

VERA MODIGLIANI: VITA DI ESILIO L'emigrazione socialista in Francia aveva una tradizione antica, nata dalle repressioni novantottesche e mantenuta in vita negli anni successivi da sporadiche fughe di militanti compromessi in episodi turbolenti nel corso degli scioperi e manifestazioni. Forse per questo motivo, oltre che per la sua vicinanza e le sue tradizioni democratiche, gran parte dei socialisti italiani trovarono rifugio in Francia, specie nella capitale: con Turati c'erano infatti Treves, Modigliani, Baldini, Buozzi, Faravelli insieme al più giovani Nenni, Saragat e Pertini. In un libro di memorie, la moglie di Giuseppe Modigliani, Vera, che lo seguì in esilio, ricorda la vita degli esuli, riportando spesso aneddoti sia sui personaggi maggiori sia su semplici militanti. Con Turati era arrivato Sandro Pertini, giovane avvocato socialista di Genova. Quale lo ricordo allora, doveva avere circa 27 anni. Non era di grande statura; aveva un volto pallido, emaciato; labbra sottili, serrate, nel viso volontario senza violenza che si affinava al mento; un ciuffo di capelli fini castani chiari, sopra la fronte alta e stempiata.

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Quasi subito volle cercare lavoro: non era di quegli intellettuali che si credono menomati se la necessità imponga loro un lavoro manuale. Non volle ricevere aiuti da nessuno. Si piegò a fare il pulitore di automobili. Lavoro di notte, e faticoso, che lo estenuava. Era in lui una impossibilità quasi irosa e romantica ad accomodarsi alla vita incolore dell'esilio, ad essere un "milite ignoto" dell'antifascismo; un bisogno di uscire ad ogni costo dall'anonimato, di eccellere in qualche modo, sia pure col sacrificio di sé. Dimostrerà, più tardi, lo smilzo avvocatino genovese di qual coraggio - fin temerario - sarà capace! Ed arrivò anche Pietro Nenni. Non era nuovo di Parigi: vi era stato dal 1919 al 1921 quando, non ancora iscritto al Partito socialista (veniva dal movimento repubblicano) era stato nominato da Menotti Serrati corrispondente dell'"Avanti!". Era uno di quei profughi che non si sarebbero mai rassegnati a vivere lontano dall'Italia. Ad ogni occasione ha sperato che un'amnistia gli avrebbe consentito il ritorno, non per arrendersi, ma per continuare. Questa profonda malinconia del distacco egli portava in sé, al suo arrivo (era venuto anche lui attraverso la montagna); aveva lasciato in Italia la moglie e le sue quattro figliole... Primo di tutti, la mattina, ad alzarsi -l'insonnia non l'ha mai abbandonato in tutta la sua vita - si lavava (acqua fredda come un giovane) e si vestiva subito di tutto punto appena alzato dal letto: colletto, cravatta, scarpe (oh, quelle sue scarpe d'altri tempi, stivaletti con gli elastici da parte!). Si faceva sulla macchinetta a spirito un caffè potente - così potente che a me pareva imbevibile - lo caricava di zolle di zucchero: - cinque, sei, sette quante mai ne metteva? - e se lo sorbiva con delizia. Poi asciugava tutto: la tazza, il bricco, con quelle sue mani inabili, e si metteva a lavorare. Le prime luci del giorno lo trovavano già a tavolino. Seduto il più vicino possibile alla luce della finestra, o della lampada (aveva un difetto della vista che sfuggiva all'osservatore, ma che gli dette per tutta la vita l'angoscia di diventar cieco) volgeva, di solito le spalle a chi entrava nella stanza. E chi veniva la mattina a dargli il buon giorno ed a fare due chiacchiere, vedeva da prima le sue larghe spalle, quei suo dorso robusto curvo sul tavolo - ambedue le braccia sullo scrittoio nel gesto di chi scrive e la nuca folta di capelli neri, quadrata, che sembrava prolungarsi senza transizione sul collo forte. Quando entravi, e volgeva la testa, ti accoglieva sempre con un sorriso quasi di gratitudine. "Lavoro,

sì, ma non mi disturba mai vedere una faccia amica: sono così solo!". Vera Modigliani (Da "Esilio", pubblicato nel 1946) §§§

COMPITI DELLA CONCENTRAZIONE ANTIFASCISTA Nell'aprile 1927 si costituisce a Parigi il primo organismo unitario dell'emigrazione: la Concentrazione Antifascista. Vi aderiscono i due Partiti socialisti, unitario e massimalista, i repubblicani, la Confederazione Generale del lavoro di Bruno Buozzi, la Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo, rappresentata da Alceste De Ambris. Organo settimanale della Concentrazione è "La Libertà" diretto da Claudio Treves, che in quegli anni aveva raggiunto Turati in esilio. Nella sua prima fase, il nuovo organismo dell'antifascismo, e in esso la rappresentanza socialista che ne costituiva la forza più importante, si prefigge tre obiettivi immediati: assistere gli emigrati politici e creare istituti per la loro tutela, mantenere i contatti con l'Italia, illuminare l'opinione pubblica democratica e socialista d'Europa sulla reale natura del fascismo, come fenomeno internazionale. Interpreti della volontà delle masse italiane oggi accomunate e fuse in una unica aspirazione di lotta aperta e senza restrizioni contro il fascismo, i suoi complici e i suoi ausiliatori, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, il Partito Socialista Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, la Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo e la Confederazione Generale del lavoro d'Italia, hanno deliberato di costituire un'intesa che ha preso il nome di "Concentrazione di azione antifascista" e si propone: a) di promuovere all'estero l'organizzazione delle forze italiane antifasciste giovandosi dei seguenti mezzi: pubblicazione di un giornale quotidiano, costituzione nei centri di emigrazione italiana di sezioni della Concentrazione, fiancheggiamento della propaganda della Confederazione del lavoro d'Italia; b) di tenere il contatto con le masse italiane, guidandole ed aiutandole nei loro movimenti di difesa sociale e di resistenza politica, e spingendole ad organizzarsi nelle forme più proprie e necessarie dopo che le leggi eccezionali fasciste hanno soppresso ogni libertà di stampa, di associazione, di riunione, e fatto di ogni rivendicazione dei diritti del cittadino, dell'autonomia di pensiero e della libertà di organizzazione, un delitto contro la patria;

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c) di coordinare infine l'assistenza morale o materiale delle vittime del fascismo, che si contano a migliaia e migliaia nelle prigioni, nei centri di deportazione, nell'esilio. Costituita sulla base dell'autonomia dei partiti e su di un programma di lavoro positivo, intendendo lasciare ai singoli partiti e alle organizzazioni aderenti la libertà di svolgere la loro particolare attività di propaganda, la Concentrazione dichiara che i vincoli comuni dei suoi membri sono: la lotta a fondo contro il fascismo, contro le forze sociali reazionarie di cui esso è la espressione, contro gli istituti politici che hanno favorito lo sviluppo e lasciato conculcare pubbliche libertà e asservire il Paese, la volontà di proseguire questa lotta fino a quando abbattuta la dittatura, sia reso possibile al popolo italiano di scegliersi le istituzioni politiche e sociali che lo garantiscano dai periodici ritorni reazionari che hanno caratterizzato la storia dello Stato italiano.

politica, pone come suo fine la liberazione dell'umanità della servitù politica d economica del capitalismo. 2. Il PSI assolve questo suo compito attraverso lo sviluppo della lotta di classe, richiamando il proletariato alla coscienza della situazione'oppressiva in cui lo costringe il sistema capitalistico, organizzando i lavoratori sui terreno sindacale e politico e lottando per la conquista dei pubblici poteri, con l'intento di trasformarli da strumenti di oppressione in strumenti di liberazione della classe sfruttata. 3. Il PSI lotta per organizzare un regime di democrazia in cui il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione del libero sviluppo di tutti. Democratico nel fine, esso lo è anche nei mezzi. Il PSI considera l'insurrezione come l'esercizio del diritto inalienabile del proletariato di respingere le violenze delle classi dominanti contro l'autonomia della classe lavoratrice e contro le comuni libertà. 4. Il PSI non riconosce alcuna pregiudiziale tattica e si serve dei mezzi che giudica più efficaci in rapporto con fini immediati e generali della propria azione. Quando accede ad alleanze politiche esso mantiene inalterato il proprio carattere di partito della classe lavoratrice, in opposizione fondamentale alle istituzioni politiche del regime capitalista. 5. Di fronte al regime fascista, che per schiacciare i lavoratori e soffocare la libertà ha coalizzato capitale, monarchia e papato, il PSI fa appello alle masse lavoratrici e a tutti gli spiriti liberi perché trovino nella coscienza del perenne valore della libertà e nella coscienza dei loro interessi generali della nazione, la volontà inflessibile e la forza per abbattere la dittatura e instaurare la repubblica democratica dei lavoratori. 6. Il PSI persegue la soluzione dei problemi nazionali italiani sul piano della politica generale dell'Ios, politica di guerra alla guerra, di arbitrato, di disarmo e di solidarietà tra i popoli uniti in una comune volontà di pace, di redenzione del lavoro e di libertà.

Il Comitato Esecutivo della "Concentrazione Antifascista" (Pubblicato su "La Libertà" del 1° maggio 1927) §§§

LA CARTA DELL'UNITÀ SOCIALISTA Quando tra gli ultimi mesi del 1926 e i primi del 1927 i partiti antifascisti, disciolti in Italia, trasferiscono in Francia i loro organi dirigenti, il socialismo italiano è rappresentato da due partiti, il Partito Socialista Italiano e il Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani, massimalista il primo, riformista il secondo. Tendenze ad un riavvicinamento dei due partiti socialisti si erano già avute in Italia, tra la fine del 1925 e il 1926. In esilio ora le divergenze di metodo, di tattica, e anche di dottrina non hanno più un contenuto reale e il problema della riunificazione si pone con maggiore evidenza: la situazione eccezionale, il comune sentimento antifascista spingono ora i due Partiti a parziali accordi, culminati nell'unificazione avvenuta nel congresso di Parigi del luglio 1930, nel corso del quale viene approvata la "Carta dell'Unità".

(Dalla Carta dell'Unità socialista, approvata al Congresso di Parigi nel luglio 1930) §§§

Il Congresso saluta nella ricostituita unità socialista l'inizio di un nuovo e fecondo periodo di attività del Partito; rivolge un vivo appello ai vecchi militanti e ai giovani perché prendano nel Partito il loro posto di responsabilità e di lotta e concreta nei seguenti punti la carta dell'unità. l. Il PSI, fondandosi sulla dottrina marxista e sull'esperienza di decennali lotte di emancipazione della classe lavoratrice italiana, di cui è l'espressione

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e volitivo, di dare alle masse la coscienza della loro irreducibile antitesi alla dittatura fascista. Il resto verrà dallo sviluppo organico delle idee e degli interessi che sono alla base del nostro movimento e dal precipitare delle contraddizioni interne del regime fascista. C'è un momento nel processo rivoluzionario, un momento che nessuno può esattamente dire quando si produrrà, ma che un rivoluzionario sa essere inevitabile, che sorge quando meno lo si attende e che mette tutto e tutti in movimento, tutto e tutti in causa.

PIETRO NENNI: NE' DITTATURA FASCISTA, NE' BUROCRAZIA COMUNISTA

I pavidi diventano dei coraggiosi, i timidi degli audaci e la massa operaia acquista d'un tratto la coscienza collettiva che è l'ora di osare. Allora crollano le tirannie, si sfaldano le più ciclopiche costruzioni, le armi cadono di mano ai mercenari e si direbbe quasi che i combattenti sorgano dalla terra. Occorre per questo avere molto sofferto e molto meditato. Occorre un concorso di circostanze obbiettive che stanno realizzandosi in Italia. Occorre, anche e soprattutto un Partito che sappia far interpretare la situazione e che sia pronto a tutte le audacie. Questo Partito è il Partito Socialista Italiano che nel Congresso di Parigi ha ritrovato la sua unità e la sua via.

Durante gli anni dell'esilio, l'"Almanacco Socialista" rappresenta per molti compagni un mezzo per seguire la vita e le attività del Partito e per conoscere la sua politica. Nel brano che segue, è riportata la prefazione dell"'Almanacco Socialista" del 1931, scritta da Pietro Nenni. È una pagina di ripensamento sull'attività dell'anno trascorso, centrata in modo particolare sui risultati del Congresso dell'Unità socialista tenutosi a Marsiglia l'anno precedente. "Il congresso dell'Unità socialista resterà nei ricordi dei proscritti come la più grande e la più suggestiva manifestazione dell'emigrazione politica italiana. Nel congresso di Parigi uomini di diverse generazioni, che le vicende politiche di prima della marcia su Roma avevano diviso, si sono ritrovati insieme. Ben altrimenti dannosa è stata l'azione antiunitaria dei comunisti, ricchi di capi e di direttive e animati da un fanatismo capace di grandi e pessime cose, come tutti i fanatismi. I comunisti hanno, naturalmente combattuto il congresso dell'Unità, con tanto maggiore accanimento in quanto essi hanno una esatta coscienza del dinamismo della formula unitaria. Farci apparire come social-fascisti è infatti l'ultima manovra disperata dei comunisti, per i quali il nostro congresso dell'Unità costituirebbe una tappa importante sulla via della nostra fascistizzazione. In verità c'è una sola piattaforma di lotta antifascista ed è quella per la democrazia rivoluzionaria. Porre davanti al Paese l'alternativa fascismo o comunismo, e fare il gioco stesso del fascismo il quale da anni si sforza di rinserrare entro questo dilemma i termini della lotta politica e di classe in Italia. Noi diciamo: né dittatura della borghesia fascista, né dittatura di una burocrazia comunista, ma repubblica democratica dei lavoratori, cioè democrazia operaia". Il nostro compito è innanzi tutto quello di seminare delle idee, di formare i quadri di un partito vigoroso

Pietro Nenni (Dall'Almanacco Socialista, 1931) §§§

SANDRO PERTINI: DI LUI PARLERÀ UN GIORNO LA STORIA Luigi Campolonghi, dirigente politico per l'emigrazione, giornalista, direttore di molte testate socialiste, scrisse il brano che segue per l'"Almanacco Socialista" del 1931 per illustrare la figura di Sandro Pertini - che in quel momento si trovava in carcere in Italia - con estrema sincerità. Anche allora Pertini era amatissimo dal suoi compagni di lotta e, proprio a causa delle sue indiscusse doti, Campolonghi dà a quest'articolo un titolo profetico: "Di lui parlerà la storia". Lo hanno imprigionato perché nessuno parlasse più di lui, e di lui parlerà un giorno la Storia. Volevano far di lui un prigioniero del loro odio, e l'han consegnato all'amore delle moltitudini. Alessandro Pertini langue nelle carceri del fascismo; ma, nello stesso tempo, vive, libero, nel cuore della sua gente, di sua Madre, dei suoi Maestri, dei suoi fratelli di fede.

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Eppure malgrado l'universalità del suo nome, io non so richiamare la sua immagine dolce e fiera dalla cornice familiare, intima, in cui l'ha collocato la mia fedele amicizia. E sempre, quando penso a lui, ricordo il giorno ormai lontano che egli m'irruppe in casa con altri due giovani - Italo Oxilia e Giovanni Pera - onde ogni stanza fu, per parecchie ore, piena di speranze e di sogni e fremente di propositi, e cioè chiara e viva pur nella folta nebbia parigina. Sandro raccontava l'evasione nella quale era stato compagno a Filippo Turati, e dal ricordo di quella impresa ardimentosa sembrava che scendessero a lui doveri superiori e più gravi che ad ogni altro. Si sentiva come in debito verso la fortuna per un onore che, forse, avrebbe potuto sperare, non mai osato sollecitare. Lo conobbi meglio, più tardi, a Nizza, dove si era messo a fare il manovale (e poi fu imbianchino) e mi rivedo con lui davanti a un bar; io lo interrogavo sui suoi progressi nell'arte muraria, ed egli me li descriveva, un po' parlandomi dei suoi compagni di lavoro con commoventi frasi di affetto, un po' guardandosi (egli era tutt'altro che schivo di eleganze) le unghie rose dalla calce, ma quella sua parlantina agile, rapida, secca, a scatti, proprio del Liguori, che non mutava di tono né di calore quando dichiarava ad uno: - Sai che ti voglio bene? od annunciava ad un altro: - Sei un imbecille! -mi parve, dirò così, mansuefatta, la sera in cui, nell'Avenue de la Victoire quasi deserta, lo avvertii ch'egli stava per cader vittima di un losco e grossolano intrigo poliziesco. Senza dubbio, Sandro Pertini sentiva, -e a maggior ragione sentirà oggi - fortemente di sé; ma io non vorrei essere nei panni di coloro che a quei tempi, lo dicevano superbo e vanitoso. Vanitoso e superbo egli sarebbe stato davvero se si fosse ermeticamente chiuso nella rinomanza aureolata che gli derivava dagli atti di audacia e di abnegazione da lui compiuti; ma quegli atti non li aveva compiuti una volta tanto e per fare onore a se stesso, sì col proposito fermo di rinnovarli e con la speranza di vederli imitati; onde i I bisogno di divulgarne la notizia per procurare a sé i consensi che dovevano incoraggiarlo e infondere in altri la volontà di emularlo. Si venne a sapere, più tardi, ch'era caduto, in Italia, in mano degli sbirri fascisti, a cui l'aveva indicato un suo ex collega, un miserabile avvocatucolo di Altare, presso Savona, oggi domiciliato a Firenze. Pochissimi giorni prima dell'arresto, Sandro mi aveva mandato per posta, un mio vecchio libro trovato a Firenze sulla panchina di un libraio ambulante (e me l'aveva mandato da Parma perché quei libro raccontava lo sciopero parmense del

1908) con una dedica in cui era tutto il suo cuore. Ma ancor più che nella dedica, che naturalmente conservo e trasmetterò ai miei figli come una reliquia preziosa, il suo cuore era nel gesto. Partito per l'Italia a studiarvi lo stato d'animo del popolo, per prendere accordi con gli amici rimasti fedeli all'ideale della Libertà e, occorrendo, per agire, il pensiero delle formidabili responsabilità che gli incombevano e del pericolo al quale si esponeva non lo aveva trattenuto dal desiderio imperioso di dire le parole che sapeva sarebbero andate diritte al cuore dell'amico lontano al quale eran rivolte. lo non racconto queste cose per mettere in evidenza l'onore, altissimo, che può derivarne a me, indegno; ma perché esse concorrono a mantenere l'immagine di Sandro Pertini nella cornice di affetto, di cortesia e di bontà in cui l'ho, come ho detto da principio, veduta la prima volta. Quale lo salutai al suo arrivo Alessandro Pertini, tale mi parve nell'attimo tragico del distacco. Buono: soprattutto buono. Buono, lo seppi con i suoi compagni di fatica, che lo adoravano; buono, lo conobbi con la Madre, che era, si può dire, il tema di tutte le lettere dirette agli intimi; buono con tutti gli amici di fede ai quali si credeva inferiore ed era, fra questi, Filippo Turati, per il quale egli aveva un culto quasi mistico (ed anche di ciò le sue lettere potrebbero, se ve ne fosse bisogno, far testimonianza); buono con me e con i miei, nelle ore torbide delle ansie familiari. Eroico, sì, anche, e chi ne dubita? Ma, se non si può e non si deve dire che l'eroismo sia stato nella sua vita una parentesi, si può, senza tema di errore, affermare che, nel suo spirito, l'eroismo fu uno strumento e una tappa per arrivare alla Bontà. Un'ondata di odio ha travolto nel suo nero gorgo il patrimonio sentimentale e morale del nostro Paese, seminando la confusione nei focolari, nelle amicizie, nelle relazioni fra uomo e uomo, fra cittadino e cittadino, invertendo l'ordine e il senso dei valori etici, col porre l'insidia al posto della schiettezza, il tradimento al posto della lealtà, la fellonia al posto dell'onore, il sospetto torbido al posto della serena fiducia e onorando la delazione per umiliare ogni senso di solidarietà umana. Sarà compito delle generazioni future restituire nel loro equilibrio tutti questi valori morali sconvolti, reintegrare il patrimonio sentimentale mutilato. Se si vuole che le lotte, inevitabili pur fra i cittadini di una stessa terra, siano lotte civili, converrà, quando la Giustizia avrà compiuto il suo severo ufficio, contrapporre agli assalti dell'odio le difese della bontà! E allora riaprendosi le porte del carcere ad Alessandro Pertini, nel coro di riconoscenza che s'alzerà verso di lui, le voci che loderanno il suo coraggio indomito e impetuoso di liberatore si

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confonderanno con quelle che canteranno il suo esempio di dolcissimo educatore. Può darsi che a qualcuno questo appello ai sentimenti più nobili che si agitano, malgrado tutto, in fondo alla nostra coscienza, sembri prematuro. Ma l'appello non esce da me: esce dal l'insegnamento di Alessandro Pertini, il quale, come tutti i precursori, non ha fatto studi di tempestività. D'altronde Alessandro Pertini, dal reclusorio, ne ammonisce e ne assicura che ci riuscirà tanto più facile l'esser buoni dopo la vittoria, quanto più saremo stati duri, inflessibili, implacabili, durante il combattimento.

l'ombra di Lui dice questo al popolo: "Sappiate almeno non essere codardi!". Filippo Turati "Matteotti è diventato il simbolo dell'antifascismo e dell'eroismo antifascista. Eppure nessun uomo fu meno 'simbolo', meno 'eroe', nel senso usuale dell'espressione, di Matteotti. L'antifascismo era in Matteotti un fatto istintivo, intimo, di ordine morale prima che politico. Quando Mussolini parlava alla Camera entrando in quello stato di eccitazione morbosa che pare contraddistingua la sua oratoria e possa esercitare un fascino magnetico, Matteotti, pessimo medium, restava impenetrabile e ai passaggi più goffi rideva col suo riso un po' stridulo e nervoso. Quando invece era Matteotti a parlare, Mussolini gettava fiamme dagli occhi. Eppure Matteotti non era eloquente; o per lo meno la sua eloquenza era tutto l'opposto dell'oratoria tradizionale socialista. Ragionava a base di fatti, freddo, preciso, tagliente. Era fatale quindi che morisse l'antifascista-tipo Matteotti, eroe tutto prosa. Come dovevano morire nello stesso periodo Giovanni Amendola e Piero Gobetti. Tutti i caratteri, psicologie, che sono l'opposto del carattere e della sensibilità mussoliniane; Mussolini sente, sa quali sono i suoi autentici avversari. Ha il fiuto dell'oppositore. Imbattibile con uomini del suo stampo è singolarmente impotente con uomini che sfuggono al suo orizzonte mentale. Perciò li sopprime. Uccidendo Matteotti ha indicato all'antifascismo quali devono essere le sue preoccupazioni costanti e supreme: il carattere; l'antiretorica; l'azione". Carlo Rosselli

Luigi Campolonghi (Dall'Almanacco Socialista, 1931) §§§

GIACOMO MATTEOTTI DIECI ANNI DOPO È il 1934 e sono trascorsi dieci anni dall'assassinio di Giacomo Matteotti, ma il ricordo del deputato socialista ucciso dai fascisti è vivo in tutti i militanti. L'Almanacco Socialista del 1934 è in gran parte dedicato proprio alla figura di Matteotti, alle sue lotte e al ricordo del suo impegno. Simbolo dell'antifascismo e di un modo di essere antifascisti, Matteotti è ricordato - negli articoli che seguono - da Turati e Rosselli. Tanti anni sono trascorsi dall'eccidio: da quando il mandante proclamava che quell'assassinio non poteva essere che l'opera del suo più crudele nemico. Solo più tardi, svanita la paura, ne assumeva tutte le responsabilità, una sola eccettuata: quella che conduce alla galera. Quale rivoluzione non fu striata di sangue? Non è i I mondo un immenso cimitero? Parlateci di cose vive, attuali e concrete. Lasciate il culto degli spettri. Non resistete stoltamente alla Storia! Forse questo discorso non è dei soli fascisti... Ebbene mille volte no! Noi ne parliamo ancora. Noi ne parleremo f i no alla morte e più in là. Perché quella di Fratta Polesine non è la tomba di "un uomo". Quell'uomo è sintesi e simbolo. Sono migliaia di assassinati nel corpo, milioni gli assassinati nell'anima. In quelle due spanne di terra è sepolta non solo l'Italia, non solo il presente - ma l'umanità, la civiltà, l'avvenire. Chi lo dimentica, tradisce il domani. Ne parleremo fino al giorno della riscossa, ed anche più in là, perché il monito serva ai figli, ed ai figli dei figli. Finché nell'Italia risorta, nella umanità liberata, sia Egli pure - Matteotti - liberato e risorto. Oggi ancora "chi tace consente"; chi consente è vile. E

(Dall'Almanacco Socialista, 1934) §§§

PIETRO NENNI: DIECI ANNI DI ESILIO "Dieci anni! Sembra ieri e sembra un'eternità...". Sono le prime righe dell'articolo scritto da Pietro Nenni per I"'Almanacco Socialista" del 1936. Un articolo che è anche una brevissima storia dell'emigrazione politica dall'avvento del fascismo in poi, dei rapporti tra socialisti e comunisti fino all'unità di Azione del 1934. Ma è anche una testimonianza sull'organizzazione degli esiliati: si parla infatti della mensa per gli antifascisti organizzata da Nullo Baldini, una mensa che divenne poi un luogo di ritrovo e di discussione per tutti gli italiani rifugiati in Francia.

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"Quando le nebbie di novembre annunceranno l'inverno del 1936 l'emigrazione politica italiana sarà al decimo anniversario dell'esilio. Dieci anni! Sembra ieri e sembra un'eternità, secondo il diverso metro con cui la storia e gli uomini misurano il tempo. Una emigrazione politica esisteva anche prima del novembre 1926 e l'esilio aveva già le sue tombe: quella di Piero Gobetti a Parigi, quella di Giovanni Amendola a Cannes. Ma l'emigrazione politica vera e propria è cominciata col voto delle leggi eccezionali, approvate dal Parlamento fascista il 9 novembre 1926. Tali leggi comportavano lo scioglimento di tutti i partiti, la soppressione in blocco di tutta la stampa di opposizione o neutra, la decadenza dal mandato parlamentare della opposizione. Le leggi di eccezione toglievano dalle mani della opposizione le armi della lotta: cioè il partito, i sindacati, il giornale. Esse ponevano un grande numero di socialisti o di antifascisti davanti all'alternativa: la prigione o l'esilio. A Parigi - dove gli esuli erano quasi tutti diretti serviva da punto di ritrovo la 'popote'(mensa) che Nullo Baldini aveva organizzato al n. 16 delta rue Tour d'Auvegne. Per settimane e mesi quella 'popote' fu un approdo di fortuna che teneva luogo di famiglia e di club dove ci si ritrovava per scambiare delle impressioni, correre dietro a delle illusioni (che sarebbe la vita senza illusioni?), imbastire dei progetti di avvenire. Ho sotto gli occhi un gruppo fotografico della 'popote'. Una venticinquina di commensali. Dal gruppo si stacca la figura giovanile di Pertini, espatriato nel 1927 per fare da guida a Turati nella tempestosa traversata da Savona a Calvi, rientrato di lì a qualche anno in Italia, arrestato, condannato, passato attraverso la dura prova di otto anni di prigione e poi di confino, restando sempre eguale a se stesso: sereno, forte, intrepido e incorruttibile. Poi, le esigenze della vita dispersero la grande famiglia dei proscritti. Alla euforia dei primi Momenti, seguirono lotte intestine di una certa vivacità sulle responsabilità della sconfitta e le vie da battere per la rivincita, lotte a volte dolorose, come quelle che opposero lungamente socialisti e comunisti prima che l'unità d'azione riavvicinasse nel 1934 le due ali del movimento operaio".. Pietro Nenni (Dall'Almanacco Socialista, 1936)

IL PATTO DI UNITÀ D'AZIONE TRA PSI E PCI Fino al 1934 il Partito socialista ebbe rapporti molto tesi con il Partito comunista. Fra i motivi che causarono una tale situazione, alcuni erano da riportare al più generale quadro politico internazionale, altri ancora risalivano alla scissione di Livorno del 1921. Soltanto in seguito le posizioni dei due partiti si avvicinano, soprattutto in conseguenza della avanzata nazista in Germania e della nuova strategia dei "fronti popolari" adottata tra il 1933 e il 1934 dall'internazionale. Il testo del "patto di unità d'azione" siglato dai due partiti nell'agosto 1934 prevede la lotta comune contro il fascismo, quella contro ogni minaccia di guerra, e l'impegno in favore dei prigionieri politici. 1. Le delegazioni del Partito Comunista d'Italia e del Partito Socialista Italiano, riunitesi per discutere i problemi dell'unità d'azione proletaria hanno constatato che sul piano generale dei principi e sul giudizio della situazione internazionale, sussistono fra di loro divergenze fondamentali di dottrina, di metodo, di tattica che si oppongono ad un fronte politico generale e, a maggior ragione, ad una fusione organica. Ma queste divergenze non tolgono che esista una confluenza dei due Partiti su punti precisi, concreti, attuali della lotta proletaria contro il fascismo e contro la guerra. Ubbidendo quindi alle esigenze di sviluppare al massimo la tensione e la concentrazione delle forze popolari cui essi si indirizzano e di assicurare al proletariato - interprete degli interessi generali della società - la direzione della lotta politica, i due Partiti stabiliscono fra di loro un patto di accordo in vista degli obbiettivi seguenti: a) Contro l'intervento in Austria e in genere contro la minaccia di guerra che scaturisce dagli antagonismi degli interessi imperialisti e della politica fascista di provocazione alla guerra. b) Per strappare alle prigioni ed alle isole di deportazione le vittime del Tribunale Speciale e della repressione ed imporre l'amnistia totale ed incondizionata; per la partecipazione attiva alla campagna internazionale per la liberazione di Thálmann, di Seitz e di tutte le vittime del fascismo. c) Per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; contro ogni riduzione dei salari e degli stipendi, per il sussidio a tutti i disoccupati, contro i sequestri, per l'annullamento dei debiti e delle imposte ai contadini poveri, per tutte le rivendicazioni immediate delle masse lavoratrici.

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d) Contro il sistema corporativo, per la libertà sindacale, per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende, per la libertà di organizzazione, di stampa e di sciopero, per l'elezione libera di tutte le cariche sindacali, per la rivendicazione di tutte le libertà popolari. 2. I due Partiti, tenendo presente le possibilità locali, si impegnano a dare alle rispettive organizzazioni di base, ai gruppi e a tutti i militanti le istruzioni necessarie per promuovere e coordinare, nelle forme che risulteranno più adatte alle particolari situazioni, delle azioni comuni per gli obbiettivi fissati nel presente patto. Il Partito Socialista Italiano (Sezione dell'IOS) Il Partito Comunista d'Italia (Sezione dell'IC)

file contiamo a decine i compagni che, a prezzo di mille pericoli, hanno varcato clandestinamente la frontiera. Accanto ai veterani dell'antifascismo lottano i giovanissimi che hanno abbandonato l'università, la fabbrica e perfino la caserma. Hanno disertato la guerra borghese per partecipare alla guerra rivoluzionaria... Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell'antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza fazio sa, che utilizzando tutte le forze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero degli italiani. Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armata dittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le dittature passano e che i popoli restano. La Spagna ce ne fornisce la palpitante riprova. Nessuno parla più di de Rivera. Nessuno parlerà più domani di Mussolini. E come nel Risorgimento, nell'epoca più buia, quando quasi nessuno osava sperare, dall'estero vennero l'esempio e l'incitamento, così oggi noi siamo convinti che da questo sforzo modesto ma virile dei volontari italiani, troverà alimento domani una possente volontà di riscatto. E con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia... L'esperienza in corso in Ispagna è di straordinario interesse per tutti. Qui, non dittatura, non economia da caserma, non rinnegamento dei valori culturali dell'Occidente, ma conciliazione delle più ardite riforme sociali con la libertà. Non un solo partito che, pretendendosi infallibile, sequestra la rivoluzione su un programma concreto e realista: anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani collaborano alla direzione della cosa pubblica, al fronte, nella vita sociale. Quale insegnamento per noi italiani! Fratelli, compagni italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona per recarvi il saluto dei volontari italiani. Sull'altra sponda del Mediterraneo un mondo nuovo sta nascendo. È la riscossa antifascista che si inizia in Occidente. Dalla Spagna guadagnerà l'Europa. Arriverà innanzitutto in Italia, così vicina alla Spagna per lingua, tradizioni, clima, costumi e tiranni. Arriverà perché la storia non si ferma, il progresso continua, le dittature sono delle parentesi nella vita dei popoli, quasi una sferza per imporre loro, dopo un periodo d'inerzia e di abbandono, di riprendere in mano il loro destino. Fratelli italiani che vivete nella prigione fascista, io vorrei che voi poteste, per un attimo almeno, tuffarvi nell'atmosfera inebriante in cui vive da mesi,

(Da "Il nuovo Avanti!", 25 agosto 1934) §§§

CARLO ROSSELLI: OGGI IN SPAGNA DOMANI IN ITALIA Il documento rappresenta uno dei più vivi contributi per comprendere a fondo il senso della partecipazione degli antifascisti italiani e in particolare dei socialisti alla guerra di Spagna e il significato politico che essi attribuivano ad essa. In questo discorso, pronunciato da Carlo Rosselli alla radio di Barcellona il 13 novembre 1936, c'è tutta la partecipazione dei volontari italiani al dramma spagnolo, con l'occhio sempre fisso alla rivoluzione antifascista in Italia. Per Rosselli, che combatte sul fronte di Aragona e che è a capo della prima colonna di volontari italiani, la guerra di Spagna rappresenta infatti un banco di prova per la futura rivoluzione per abbattere il fascismo in Italia e in Europa. Compagni, fratelli italiani, ascoltate. Un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascisti italiani esuli che si battono nelle file dell'armata rivoluzionaria. Una colonna italiana combatte da tre mesi sul fronte di Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei compagni spagnoli: ecco la testimonianza del suo sacrificio. Una seconda colonna italiana, formatasi in questi giorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti si trovano volontari italiani, uomini che avendo perduto la libertà nella propria terra, cominciano col riconquistarla in Ispagna, fucile alla mano. Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Francia, dal Belgio, dalla Svizzera, dalle lontane Americhe. Dovunque sono comunità italiane, si formano comitati per la Spagna proletaria. Anche dall'Italia oppressa partono i volontari. Nelle nostre

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nonostante tutte le difficoltà, questo popolo meraviglioso. Vorrei che poteste andare nelle officine per vedere con quale entusiasmo si produce per i compagni combattenti; vorrei che poteste percorrere le campagne e leggere sul viso dei contadini la fierezza di questa dignità nuova e soprattutto percorrere il fronte e parlare con i militi volontari. Il fascismo, non potendosi fidare dei soldati che passano in blocco alle nostre file, deve ricorrere ai mercenari di tutti i colori. Invece, le caserme proletarie brulicano di una folla di giovani reclamanti le armi. Vale più un mese di questa vita, spesa per degli ideali umani, che dieci anni di vegetazione o di falsi miraggi imperiali nell'Italia mussoliniana... Fratelli, compagni italiani, un volontario italiano vi parla dalla radio di Barcellona, in nome di migliaia di combattenti italiani. Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la libertà e l'emancipazione di tutti i popoli. Aiutate, italiani, la rivoluzione spagnola. Impedite al fascismo di appoggiare i generali faziosi e fascisti. Raccogliete denari. E se, per persecuzioni ripetute o per difficoltà insormontabili, non potete nel vostro centro combattere efficacemente la dittatura, accorrete a rinforzare le colonne dei volontari italiani in Ispagna. Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, tanto più presto sorgerà per il popolo italiano il tempo della riscossa...

Da Pegherinos al campo del battaglione si segue una pista inverosimile. Dico a Fernando De Rosa: "Una buona strada è altrettanto necessaria di un buon battaglione". "Non ci sono strade, non ci sono battaglioni, non c'è niente che rassomigli all'idea che hai della guerra. C'è della gente col fucile, qualche mitragliatrice, qualche cannone; ma impareremo". Proseguiamo per il cammino. Tutti dormono. Non ci sono sentinelle. O se ci sono, dormono, che è poi come se non ci fossero. Il campo è qualcosa di inenarrabile. Un accampamento di zingari. I quadri del battaglione sono discretamente selezionati. Ci sono volontari di tutte le età, molti dei quali sanno appena cos'è un fucile. Armi di diversi calibri. Servizi allo stato rudimentale. Ma che entusiasmo, che fuoco! Verso le nove del mattino due compagnie ricevono l'ordine di spostarsi sulla destra dove si osserva un movimento di truppe nemiche. Le accompagno. Si marcia tutto il giorno, senza mangiare, bevendo ai ruscelli, scivolando sugli aghi di pino. Fa un caldo atroce. Il cielo è di piombo. L'atmosfera di fuoco. Verso le quattro una pattuglia cattura un contadino. È un castigliano piccolo, segaligno, tutto nervi. Lo frugano: ha sul petto un cuore di Gesù. Dice che è scappato da El Espinar. Dà ragguagli sulle truppe che ci si trovano. Guardia civile in maggioranza. Gli hanno detto che se i rossi lo prendevano lo fucilavano. Dice a De Rosa: "Perché vossignoria mi farebbe fucilare? Non sono che un povero contadino". Vuole andare a Chinchon dove ha dei parenti. Ci vada. Continuiamo ad avanzare senza scorgere i fascisti. Sull'imbrunire si fa dietro-front. I tramonti sono bruschi. Il cielo si incendia. Poi il rosso si scolora in rosa, si fa azzurro, si incupisce. Il bosco diviene odoroso e fresco. Non abbiamo niente da mangiare. Non abbiamo coperte. La notte si fa fredda, poi addirittura diaccia. Devono essere le tre del mattino quando finalmente arrivano i muli con le coperte. Ma ce n'è una per cinque uomini. Ordine di Fernando: "Gli ufficiali niente coperte. Faccio fucilare chi non ubbidisce". Naturalmente dà l'esempio e si rannicchia contro un albero. lo faccio come lui. E siccome non posso dormire, penso. Penso che c'è in questi capi improvvisati, c'è in questi volontari la materia umana per fare un magnifico esercito. La disciplina già s'impone spontaneamente. Resta l'organizzazione, il grande problema da cui tutto dipende. Questione di tempo e di pazienza. Ho l'impressione che nella rivoluzione, come in tutto, le vittorie più difficili sono quelle da conseguire su noi stessi, sul nostro individualismo, le nostre abitudini, i nostri pregiudizi".

Cario Rosselli (Radio Barcellona, 13 novembre 1936) §§§

PIETRO NENNI: COSE VISTE IN SPAGNA Per l'antifascismo internazionale, e in particolar modo per quello italiano, la guerra di Spagna costituisce la prima vera occasione di scontro armato con il fascismo, dopo anni dedicati quasi esclusivamente alla propaganda e all'organizzazione. La Spagna diventa per gli italiani un terreno nel quale si scontrano due modi diversi di concepire la realtà e lo sviluppo della società. Il socialismo italiano partecipa con coraggio ed entusiasmo a questa impresa con i suoi uomini migliori e soprattutto con una nuova leva di giovani militanti. Anche Pietro Nenni prende parte alla guerra di Spagna come commissario di divisione dell'esercito repubblicano e si trova spesso in prima linea negli scontri a fuoco: queste pagine, ricche di partecipazione testimoniano, una volta di più, anche le qualità giornalistiche di Nenni per la lucidità e vivacità con cui sono state scritte.

Pietro Nenni (Dall'Almanacco Socialista, 1938) §§§

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nazisti. Se non sapremo farlo, tutte le nostre sofferenze non saranno servite a nulla". Una sera, poi, mi apparve in un corridoio un sacerdote dal volto tumefatto, grondante sangue. Era don Morosini. Usciva da un interrogatorio delle SS. Mi pare ancora di vedere le sue labbra gonfie e sanguinanti muoversi in un saluto di fraterna riconoscenza per me, che non avevo nascosto la mia commozione per lui, così martoriato. Fratelli ci sentimmo, noi due: fratelli che lottavano per la stessa causa, lui sacerdote, io non credente. Come è avvenuto il tuo soggiorno a Bari nel 1944, prima di compiere, nel settembre, una missione partigiana oltre le linee tedesche? Il mio soggiorno a Bari, nel settembre del 1944, avvenne in un momento importante ed è legato ad antecedenti che è giusto ricordare. Ero rientrato dall'Italia settentrionale, e precisamente da Milano, verso la fine di luglio del 1944. Dopo aver partecipato all'insurrezione di Firenze, in agosto raggiunsi Roma per una missione speciale. Si prospettò poco dopo la necessità di riprendere il mio posto a Milano quale segretario del Partito Socialista per l'Italia occupata dai tedeschi e quale rappresentante dello stesso partito del CLNAI. E si pensò che da Bari, con l'aiuto del Comando Militare inglese si potesse trovare meglio il modo di raggiungere il nord. E pertanto nel mese di settembre raggiunsi Bari con il compagno Cerilo Spinelli. Furono giorni di semplice sosta? Anche quei giorni baresi non furono giorni di attesa inerte. Durante la mia permanenza a Bari commemorai al Teatro Piccinni, con l'Onorevole Di Vittorio, il martire socialista Di Vagno. Rammento che nel mio discorso, rispondendo ad un messaggio di Churchill il quale affermava che un popolo che si era lasciato cadere passivamente sotto la dittatura non poteva andare esente dalle responsabilità inerenti alla dittatura stessa, io affermai con vigore che il popolo italiano non si era lasciato sottomettere dal fascismo senza resistere e che quando ChurchilI paragonava Mussolini a Cromwell e diceva che il fascismo rappresentava un elemento d'ordine in Europa, molti italiani cadevano sotto il manganello ed altri riempivano le galere fasciste. In quei discorso notai con vigore che il popolo italiano aveva pagato duramente i delitti e le vergogne del fascismo con i bombardamenti indiscriminati degli alleati sulle nostre città, con il sacrificio di molti italiani e col sangue che stavano versando i patrioti ed i partigiani nell'Italia del nord

Antologia6

SANDRO PERTINI: OGNI GIORNO CI GIOCAVAMO LA VITA Sulla Resistenza ecco una testimonianza di Sandro Pertini; è un'intervista che compare nell'Almanacco Socialista del 1975. C'è in queste pagine il ricordo dei tanti compagni di lotta, la rievocazione delle battaglie partigiane, della prigionia, e le emozioni del giorno della Liberazione. Ci sono i ricordi personali: il modo di vincere la paura fisica, di superare l'idea che il giorno dopo, forse, i nazisti avrebbero eseguito la condanna a morte. E c'è anche una nota ironica: "avevo un mitra, non era un gran che per lottare contro i carri armati". Quando sei entrato nella Resistenza? "A Porta S. Paolo, a Roma, il 9 settembre. C'ero io, Giuliano Vassalli, Peppino Giaceva, Eugenio Colorni. Era una cosa commovente, la gente si armava con i sassi per fronteggiare i tedeschi". Tu eri armato? "Si, avevo un mitra. Capisci bene che non era un gran che per lottare contro i carri armati". Entri dunque nella clandestinità. "Cominciammo a organizzare le file socialiste, 1.500 elementi nel Lazio. lo andai poi nelle Marche, dove organizzai alcune azioni di guerra. E poi venni arrestato e condannato a morte in via amministrativa". Assieme a Saragat. Eravate nella stessa cella ? "No, in celle separate. Da fuori Peppino Giaceva, Giuliano Vassalli, Eugenio Colorni, i coniugi Monaco e altri compagni organizzarono la nostra evasione che ho raccontato nel mio libro. Siamo nel gennaio 1944. Una notte, in via Nicotera, si riuní l'esecutivo del PSI: Nenni, Saragat e io. Decisi di passare al nord, dove diventai segretario per il PSI dell'Italia occupata". I tedeschi ti avevano condannato a morte senza processo. Quale episodio ricordi particolarmente di quei giorni di carcere ? A Regina Coeli era detenuto, tra i politici, Leone Ginzburg, lo studioso e scrittore antifascista. Lo vidi un mattino, al "passeggio": il volto tumefatto dalle percosse, le labbra spaccate. Era stato interrogato dalle SS in via Tasso. "Volevano dei nomi" mi disse, "ma non ho parlato". Ma era un'altra cosa che gli stava a cuore e su cui aveva a lungo meditato: "Guai a noi se domani non sapremo dimenticare le nostre sofferenze, guai se della nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco. Dobbiamo distinguere tra il popolo e i

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e i soldati nella guerra di liberazione. Per queste ragioni il popolo italiano aveva il diritto di rimanere in piedi a fronte alta, padrone del suo destino. Ricordo che a questo punto tutto il Teatro si alzò in piedi in un applauso fragoroso che durò alcuni minuti. Nel palco centrale erano presenti anche numerosi ufficiali inglesi. C'era, in questo tuo lavoro, il problema di vincere la paura fisica? "Se non proprio la paura, sicuramente l'ansia: sapevi che ti giocavi la vita, non era uno scherzo. Il coraggio consiste proprio nel dominare la paura. lo avevo visto la morte non da lontano più volte nella mia vita. I fascisti, a Savona, mi avevano mandato all'ospedale 5 o 6 volte. In guerra c'ero stato anche se io ero contro la guerra. A Regina Coeli, dopo la condanna a morte, aspettavamo l'esecuzione da un momento all'altro. A Milano passai momenti molto difficili". Hai lavorato fianco a fianco con Eugenio Colorni. Un tuo ricordo di lui. "Colorni lo avevo conosciuto a Ventotene. Era un professore di filosofia che si stava addentrando nella matematica, affascinato dalle teorie di Einstein. Era un uomo dal cuore purissimo. Una notte, durante la lotta clandestina, mi confessò che il problema della paura fisica era per lui acutissimo. Ciò che non gli impediva di compiere fino in fondo il suo dovere. Voglio ricordare un episodio. Un giorno, al Colle Oppio, gli consegnai un pacco con della dinamite. Gli dissi di che si trattava e quello che rischiava, Colorni aveva paura, si capiva perfettamente. Prese il pacco, senza un attimo di esitazione, e si allontanò. lo io guardavo e mi rendevo conto che, passo dopo passo, stava lottando e vincendo la sua paura. Ultimò l'azione perfettamente. Se c'è una medaglia d'oro della Resistenza guadagnata duramente è la sua". In morte di Fernando Santi hai ricordato l'episodio di Santi che va a porgere l'estremo omaggio alla salma di un avversario. Ricordi, durante la Resistenza, qualche avversario per il quale hai provato rispetto? "La lotta era molto dura, non parlerei di rispetto. Parlerei di umana comprensione, ciò che per un socialista deve essere irrinunciabile. Pochi giorni dopo il 25 aprile mi fecero sapere che stavano per fucilare Icadio Saroldi, il ras fascista di Savona che mi aveva denunciato e al quale dovevo i 15 anni tra confino e galera. Chiesi di che cosa fosse colpevole. Di avere denunciato te, risposero. E di nient'altro? Di nient'altro, mi dissero. E allora eccovi qui la firma del mandato di scarcerazione, io non cerco le vendette personali. Saroldi venne scarcerato. Morì due anni dopo, di collasso cardiaco, mentre stava

festeggiando a casa sua l'anniversario del 28 ottobre, marcia su Roma. Un altro episodio che deplorai fu la fucilazione del cieco di guerra Bersani, un atto sbagliato e inutile". Il tuo momento più bello, alla Liberazione? "Nella Milano liberata, la notte. Ero stato al comando militare del CLN con Longo, il caro Valiani e altri. Ormai albeggiava e mi avviai verso la casa dove mi attendeva Carla, allora mia compagna, oggi mia moglie. Mi venne in mente tutto quello che avevo vissuto, la lotta iniziata a Savona, la condanna del Tribunale speciale e il mio grido: "Viva il socialismo!", la mia vita di operaio in Francia, la morte di Turati e Treves, l'incontro con Gramsci. Pensai di aver compiuto il mio dovere, di non essere vissuto invano". Hai fatto in quei momento un bilancio della tua vita... L'ho fatto più volte. E sempre sono arrivato alla conclusione che se per un prodigio della sorte mi fosse dato di ricominciare da capo, prenderei la stessa strada che presi, ventenne, nella mia Savona e la percorrerei con la fede, la Volontà e l'animo di allora pur sapendo di doverne pagare il prezzo, lo stesso prezzo che ho pagato. Cosí, giunto al termine della mia giornata, mi volgo a guardare la strada che ho percorso e mi sembra di aver speso bene la mia vita. Sandro Pertini (Dall'Almanacco Socialista 1975) §§§

DICHIARAZIONE POLITICA DEL PSIUP Il 25 agosto del 1943 sull'Avanti!, costretto ancora a circolare clandestinamente, viene pubblicata la Dichiarazione politica del Partito socialista italiano di Unità proletaria. è un documento importante, in quanto testimonia la ritrovata capacità di mobilitazione socialista. Nel documento si dà rilievo appropriato alla "rivoluzione di palazzo del 25 luglio" che aveva destituito Mussolini, ma si dice anche che ciò non basta: la meta di una "Repubblica socialista dei lavoratori" è ancora lontana. Il passo più significativo del documento è senza dubbio l'appello rivolto a tutti i ceti sociali, con un particolare riguardo al "ceti minori della borghesia produttrice ed impiegatilizia" perché nella ricostruzione nazionale possano esplicare il loro "spirito di intraprendenza". Decisamente anticipatore, il finale che allude al contesto europeo.

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nazionale, nel cui quadro le categorie rovinate dalla crisi e destinate ad inarrestabile declino, troveranno, con un degno livello di vita, nuovo modo di esplicare quello spirito di intraprendenza che in regime di capitalismo monopolista, sarebbe sempre più misconosciuto e soffocato. Ai giovani studiosi, ai professionisti ed artisti che antepongono la libertà all'interesse personale, il PSI offre campo libero d'azione, una palestra aperta alla critica e ad ogni dibattito che sia animato da intenti costruttivi o dal disinteresse di chi cerca, prima che il proprio, Vutile ed il vantaggio della comunità. Offre ai soldati ed ai combattenti, nella fraterna comprensione del loro sacrificio, la pace e la ripresa d'una civile vita di lavoro. Il PSI non si riorganizza con una preconcetta ostilità verso altri partiti proletari, e segnatamente verso il Partito comunista italiano con il quale ha una fondamentale comunità di dottrina e di fine. Consapevole della forza irresistibile che la classe lavoratrice terra dalla sua unione, il PSI intende realizzare la fusione dei socialisti e dei comunisti in un unico partito, sulla base di una chiara coscienza delle finalità rivoluzionarie del movimento proletario. Per avviare l'unità verso la sua realizzazione e per coordinare le direttive nel campo politico ed in quello sindacale, il Partito -socialista italiano ha concluso col Partito comunista italiano un patto di unità d'azione.... Il PSI invia al popolo lavoratore un me saggio di fede, di entusiasmo e di cosciente ottimismo. Dure lotte attendono ancora i lavoratori ma da questa guerra la rivoluzione proletaria, il cui ciclo si è aperto 25 anni or sono in condizioni pressocché analoghe al, le attuali, prenderà nuovo slancio e nuovo vigore. La meta è prossima. Uniti noi faremo l'Italia libera e socialista in un'Europa libera socialista pacificata. Il C.C. del Partito socialista italiano di unità proletaria. (Dall'Avanti! del 25 agosto 1943)

1. Dalla rivoluzione di palazzo del 25 luglio alla rivoluzione popolare. La rivoluzione di palazzo del 25 luglio segna l'inizio di una nuova fase della lotta politica. Senza incontrare la minima resistenza essa ha liquidato la dittatura mussoliniana, logorata dalla lunga ed eroica resistenza delle avanguardie antifasciste, e giunta con la più impopolare ed iniqua delle guerre, alla confutazione di sé medesima. Ma la rivoluzione di palazzo del 25 luglio non ha risolto nessuno dei problemi politici economici e sociali posti dal clamoroso fallimento del fascismo. 2. Che cosa è il Partito socialista italiano di Unità proletaria. Da cinquant'anni a questa parte il Partito socialista italiano è all'avanguardia del progresso. Oggi, dalla fusione del vecchio Partito col movimento di Unità proletaria per la Repubblica socialista e coi gruppi di giovani operai e di giovani intellettuali ai quali, nella buia notte della tirannide, il socialismo è apparso come la condizione e la garanzia della libertà, il Partito socialista italiano esce ingagliardito, espressione del movimento operaio e delle esigenze della situazione che fa del Socialismo il problema di oggi e non la vaga aspirazione di un lontano avvenire. 3. Che cosa vuole il Partito socialista italiano. Per vent'anni la lotta socialista ha assunto il carattere di lotta essenzialmente antifascista; ma le ragioni profonde della lotta socialista precedono l'esistenza del fascismo e permangono dopo la sua eliminazione. Al popolo assetato di libertà di eguaglianza e giustizia, il Partito socialista indica quale soluzione positiva e concreta la lotta per la Repubblica socialista dei lavoratori. Il PSI intende sviluppare con tutti mezzi la lotta politica degli oppressi contro gli oppressori e la lotta di classe degli sfruttati contro gli sfruttatori per condurre il proletariato alla conquista del potere... 4. A chi si rivolge il Partito. Il PSI offre agii operai una organizzazione di battaglia che, con spirito aperto a tutte le esperienze, ne vuole sostenere e guidare gli sforzi all'ascesa e al raggiungimento finale delle mete rivoluzionarie: Si presenta ai contadini, ai braccianti, ai piccoli proprietari, agli affittuari e mezzadri, con un programma di radicali riforme economiche imperniate sul potenziamento dell'agricoltura, ed atte a mettere le piccole conduzioni associate in grado di disporre delle risorse necessarie al miglior sfruttamento della terra. Affaccia i ceti minori della borghesia produttrice ed impiegatizia ad una politica di ricostruzione

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IL NUOVO PATTO DI UNITÀ D'AZIONE TRA IL PSI E PCI

con i contadini costituiscono le forze progressive del Paese; 6) di associare i loro sforzi nel campo internazionale contro ogni tentativo diretto a far ricadere sul popolo le responsabilità del regime fascista contro il quale l'avanguardia popolare ha condotto per venti anni una lotta eroica. Nello svolgimento di questa lotta, e nel più vasto campo delle comuni aspirazioni verso una pace che rispetti le condizioni di vita e di sviluppo dei popoli e la foro sovrana auto-decisíone, i due partiti riconoscono nella Unione Sovietica l'avanguardia del movimento operaio e la più sicura alleata dei popoli nella loro lotta contro le forze reazionarie e imperialistiche, per l'indipendenza e la libertà, e fanno sicuro affidamento sulla solidarietà del Labour Party, delle organizzazioni operaie angloamericane e dei partiti comunisti e socialisti del mondo intero, assieme ai quali essi hanno c3ndotto la lotta contro il fascismo ed il nazismo.

Il Patto di unità d'azione, stipulato tra PCI e PSIUP il 28 settembre 1943, e pubblicato dall'Avanti! il 27 ottobre di quell'anno, nasce dal vivo della lotta antifascista. Nato in un preciso momento storico, il documento che sancisce il Patto si proietta però oltre, a quando il fascismo sarà definitivamente battuto e allora si tratterà di ricostruire l'Italia. Nel documento c'è un timido accenno alla possibile "unità organica" che dovrebbe scaturire dall'unità d'azione. Il fatto più singolare è comunque che, pur "riconoscendo nella Unione sovietica l'avanguardia del movimento operaio", i due partiti fanno un esplicito riferimento al Labour Party e alle altre esperienze che coniugano socialismo e democrazia. Il Partito comunista italiano ed il Partito socialista italiano di unità proletaria: fermamente risoluti a realizzare in Italia la unità politica della classe operaia che è la condizione prima perché questa possa assolvere con successo il compito cui è oggi chiamata dalla storia, di costituire l'avanguardia e la guida della nazione, nella lotta per l'indipendenza e la libertà contro gli aggressori nazisti e contro il fascismo, nella creazione di una democrazia popolare che tragga dal popolo forza e autorità, nello sviluppo di questa democrazia sulla via del progresso, verso il socialismo; convinti che la via che conduce all'unità organica è quella dell'unità di azione che mette alla prova le idee, i metodi, gli uomini; al fine di dare una concreta forma organizzativa all'unità d'azione; convengono tra loro: 1) di creare un Comitato permanente di unità d'azione il quale elabori sui problemi politici e sociali che via via si presenteranno alla classe operaia una piattaforma comune di lotta dei socialisti e dei comunisti; 2) di promuovere alla base il lavoro comune dei militanti dei due partiti, nel campo della lotta armata del popolo contro il nemico di fuori - l'hitlerismo - e contro quello di dentro - il fascismo; 3) di affidare ad uno speciale comitato lo studio per la risoluzione di tutti i problemi di ordine sindacale in modo che socialisti e comunisti procedano strettamente uniti nella lotta di classe; 4) di affidare ad altro comitato lo studio dei problemi relativi all'azione da svolgere nelle campagne per saldare in tutte le regioni l'alleanza fra proletariato e contadini; 5) di promuovere tutte quelle iniziative politiche ed organizzative che tendono a raccogliere in un sol fascio tutte le forze popolari (tecnici, intellettuali, operai, ecc.) che in unione con la classe operaia e

Per il PSI: Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni. Per il PCI: Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendota. (28 settembre 1943) §§§

EUGENIO COLORNI: I SOCIALISTI E LA FEDERAZIONE EUROPEA Eugenio Colorni concepisce e scrive nei confino dell'isola di Ventotene, assieme ad Altiero Spinelli e altri, li manifesto federalista europeo. A suo giudizio la Resistenza europea, sviluppatasi spontaneamente senza schemi precostituiti, si configura come una grande occasione per dare l'avvio alla "conquista dal basso" di un'unità europea fondata su assetti sociali avanzati. Protagonisti di questa nuova Europa costruita "con l'attivo concorso delle masse" e indirizzata ad "un profondo, generale rinnovamento sociale del nostro continente" avrebbero dovuto essere soprattutto i partiti socialisti. Per questi motivi egli elabora una dichiarazione di principii, destinata a diventare la piattaforma politica dell'europeismo socialista. "I socialisti italiani vogliono che dalla pace che seguirà la presente guerra siano poste le basi di un solido ordinamento unitario che si concreti in una Federazione dei liberi stati europei. Respingendo ogni progetto di Società delle Nazioni che, lasciando intatta la struttura economica, politica, militare dei vari stati, si presenti come una semplice istanza superstatale in cui i singoli stati

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DISEGNO DI LEGGE SUI CONSIGLI DI GESTIONE

siano rappresentati in quanto tali, con tutto il peso della loro sovranità, e alle cui decisioni uno stato o un gruppo di stati possa essere recalcitrante, quando ne abbia forza sufficiente, ritiene che l'unica premessa per rendere impossibile che ogni conquista politica, economica e sociale venga travolta d'un tratto da una nuova guerra imperialista, è la formazione di un'unica Federazione Europea con istituzioni rappresentative alle quali i cittadini eleggono i loro rappresentanti direttamente e non per il tramite dei vari stati, che provveda l'unità del mercato con un'organizzazione razionale dell'economia che abbia un esercizio proprio, lasciando alla cura dei vari stati solo il mantenimento dell'ordine pubblico, che pur curando la difesa delle autonomie nazionali, culturali, linguistiche provveda quei profondi ed intimi contatti fra i popoli dai quali deve sorgere una rinnovata coscienza europea. "I socialisti italiani ritengono che questa prospettiva che poteva sembrare un lontano ideale ancora pochi anni fa si troverà, nel periodo che ancora seguirà la presente guerra, molto prossima alla sua realizzazione, e sono convinti che tale meta sia strettamente collegata ai fini che essi si propongono in quanto socialisti, giacché la formazione di una unità federale europea sarà evento di tale portata rivoluzionaria da non poter avvenire se non con l'attivo concorso delle masse e nell'ambito di un profondo, generale rinnovamento sociale del nostro continente. Per l'Italia, come per tutti i popoli che usciranno vinti da questa guerra, una tale soluzione costituirebbe, fra l'altro, l'unico modo di evitare la sconfitta, la mutilazione territoriale, l'aggiornamento economico. "Il Partito socialista italiano ritiene che proprio atteggiamento e e masse possa avere una azione decisiva a questo proposito, creando situazioni di fatto di cui i vincitori non potranno non tener conto, provocando interventi e contribuendo a far precipitare la situazione internazionale nel senso dell'Unità Europea".

I Consigli di Gestione, nati spontaneamente per difendere le fabbriche dalla distruzione e dallo sfacelo, erano stati Istituzionalizzati il 24 aprile 1944 con decreto del CLNAI. La loro sistemazione giuridica si esplica dapprima In un "progetto d'Aragona" che viene successivamente assorbito in un più completo "progetto Morandi". Pur essendo stato fatto proprio dal primo Congresso Nazionale dei Consigli di Gestione, tenutosi a Milano nell'ottobre del 1946, il progetto non diverrà mai legge per la netta opposizione del presidente della Confindustria Angelo Costa, la sostanziale ostilità di Da Gasperi, la tiepida accoglienza riservatagli dal PCI, costantemente preoccupato di non suscitare allarme con posizioni troppo Interventiste in politica economica e sociale. Redattore tecnico del progetto è Massimo Severo Giannini. Art. 1. I Consigli di gestione sono istituti ai fini di: a) far partecipare i lavoratori all'indirizzo generale dell'impresa; b) contribuire al miglioramento tecnico ed organizzativo dell'impresa, anche per la trasformazione dei generi e dei tipi di lavorazione, e al miglioramento della vita morale e della sicurezza dei lavoratori; c) creare nelle imprese strumenti idonei per permettere ad esse di partecipare alla ricostruzione industriale ed alta predisposizione delle programmazioni e dei piani di industria che venissero adottati dai componenti organi dello Stato, e per renderne effettuale ed operante l'esecuzione. Art. 2. I Consigli di gestione sono costituiti nelle imprese aventi una media di almeno 250 dipendenti stabiliti nell'ultimo triennio. Per le imprese di trasporto e comunicazione, per le imprese edili e per le imprese tessili il numero dei dipendenti è elevato rispettivamente a 300, 350 e 400. Con decreto del ministro per il Lavoro e per la Previdenza sociale, di concerto con i ministri interessati, può essere disposta la costituzione di Consigli di gestione anche: a) in categorie di imprese aventi un numero di dipendenti inferiore a quello indicato nel precedente comma; b) presso singole imprese aventi un numero di dipendenti inferiore a quello del precedente comma qualora esse, per i beni e per i servizi prodotti condizionino la produzione di imprese nelle quali sia istituito il Consiglio di gestione, ovvero per la natura della loro attività rivestano un carattere di pubblico interesse.

Eugenio Colorni (Dalla Dichiarazione dei principi dei socialisti federalisti) §§§

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Art. 3. I componenti dei Consigli di gestione sono in parte eletti dai dipendenti dell'impresa, in parte nominati dall'imprenditore. Sono eletti dai dipendenti dell'impresa, fino ad un massimo di 8 delegati: 4 delegati e 2 supplenti nelle imprese aventi fino a 500 dipendenti; 1 delegato per il gruppo o frazione di 500 dipendenti oltre i primi 500; 1 delegato per ogni gruppo o frazione di 2000 dipendenti oltre i primi 1000. l consigli di amministrazione nelle società per anziani, i gerenti nella società in accomandita o collettive, i titolari nelle imprese individuali, nominano un numero di componenti, titolari o supplenti, dei Consigli di gestione, pari a quello dei delegati eletti dai dipendenti dell'impresa. La composizione dei Consigli di gestione, istituiti ai sensi del comma terzo dell'art. 2, è stabilita nello stesso provvedimento istitutivo.

che muovono ad una data azione, e dei fini non soltanto immediati che sono da raggiungere... l socialisti sono evidentemente delle menti molto più tarde e grosse. Essi vedono che si è aperta una crisi risolutiva per il capitalismo e ritengono che la classe lavoratrice debba, nel modo che le si offrirà, forzarne il corso, che a questo per l'appunto si deve preparare fin da oggi, che tali prospettive le debbono essere schiarite, perché non si guida una classe con gli stessi criteri con cui si muove un plotone... Rodolfo Morandi (Da "Lettera aperta ai compagni comunisti", in "Politica di classe", settembre 1944) §§§

PIETRO NENNI: VENTO DEL NORD Fra tutti gli slogan di cui Pietro Nenni fu fervido inventore, quello del "Vento del Nord" contiene l'immagine più popolare e suggestiva. Era un vento che odorava di lotte partigiane ("Fischia il vento...") e annunciava altre mete, altre speranze: era "un vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro". Lo storico articolo dal titolo così suggestivo viene pubblicato sull'Avanti! il 27 aprile del '45, due giorni dopo la Liberazione. Era stato un inverno difficile quello appena finito: il periodo più duro della lotta partigiana, con il fronte militare fermo lungo la linea gotica, e il generale Alexander che invitava i partigiani a desistere dalla lotta. Ma l'insurrezione popolare ridà entusiasmo a Pietro Nenni. Il quale parla di "primavera della patria, che consente tutte le speranze"

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RODOLFO MORANDI: LETTERA APERTA Al COMPAGNI COMUNISTI Il Patto di unità d'azione non vuoi dire per i socialisti appiattimento sulle posizioni comuniste. Il PSI rivendica costantemente la continuità con i propri ideali, primo fra tutti la visione laica dello Stato, e una prassi politica che distingua la tattica contingente dagli obiettivi di fondo. Esemplare in questo senso la Lettera aperta ai compagni comunisti di Rodolfo Morandi, pubblicata nel settembre del'44 dal primo numero di "Politica di classe".

Quando parlammo la prima volta di vento del Nord, i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile? era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo? Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazi-fascista, dovevano essere all'avanguardia della riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica sia stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria. Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l'Italia in una posizione di avanguardia. Nelle ultime quarantotto ore le notizie dell'insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da

... La realtà è che i socialisti portano, anche nel fuoco dell'azione, delle esigenze che i comunisti non provano. Essi debbono assegnare un orizzonte agli sforzi che chiedono alla massa lavoratrice, non possono limitare le prospettive a successivi traguardi dì tappa. E questo orizzonte è rappresentato dalle finalità di classe. Secondo la concezione poi che i socialisti hanno del Partito, è la massa che nel partito esprime i suoi interessi e per mezzo del Partito si dirige. Invece nella concezione comunista il partito è strumento per manovrare la massa, conforme alle direttive che ai quadri compete di assegnargli. Tutto questo comporta naturalmente una dinamica diversa. È qualcosa di simile alla differenza che si stabilisce tra gli ordinamenti militari e quelli civili. Per gli uni basta un ordine, per gli altri occorre la motivazione, ossia la consapevolezza delle ragioni

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Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L'insurrezione dalla periferia guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova. Nell'ora in cui scriviamo tutta l'alta Italia al di qua dell'Adige, è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano a Torino e a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada. Sappiamo il prezzo della riscossa. A Bologna ha nome Giuseppe Bentivogli. Quali nomi porterà la testimonianza del sangue a Torino e a Milano? La mano ci trema nel dare un dettaglio della insurrezione milanese. Ieri mattina alle cinque, secondo una segnalazione radiotelegrafica, il posto di lotta e il comando di Alessandro Pertini e dell'Esecutivo del nostro partito era circondato dai tedeschi e in grave pericolo. Nessuna notizia è più giunta in serata per dissipare la nostra inquietudine o per confermarla. Ma sappiamo, ahimé!, che ogni battaglia ha le sue vittime e verso di esse, oscure od illustri, sale la nostra riconoscenza. Perché gli insorti del Nord hanno veramente, nelle ultime quarantotto ore, salvato l'Italia. Mentre a San Francisco, assente il nostro Paese, si affrontano i problemi della pace, essi hanno fatto dell'ottima politica estera, facendo della buona politica interna, mostrando cioè che l'Italia antifascista e democratica non è il vaniloquio di pochi illusi o di pochi credenti, ma una forza reale con alla sua base la volontà, il coraggio. In verità il vento del Nord annuncia altre mete ancora oltre l'insurrezione nazionale contro i nazifascisti. Gli uomini che per diciotto mesi hanno cospirato nella città, che per due lunghi inverni hanno dormito sulle montagne stringendo fra le mani un fucile, che escono dalle prigioni o tornano dai campi di concentramento, questi uomini reclamano, e all'occorrenza sono pronti ad imporre non una rivoluzione di parole, ma di cose. Per essi il culto della libertà non è una dilettantesca esasperazione delI"'io" demiurgico, ma sentimento di giustizia e di uguaglianza per sè e per tutti. Alla democrazia essi tendono non attraverso il diritto formale di vita, ma attraverso il diritto sostanziale dell'autogoverno e del controllo popolare. Non si appagheranno quindi di promesse, né di mezze misure. La rapidità stessa e l'implacabile rigore delle loro rappresaglie sono di per sé solo un indice della loro maturità, perché se la salvezza del Paese è nella riconciliazione dei suoi figli alla riconciliazione si va non attraverso l'indulgenza e la clemenza, ma l'implacabile severità contro i responsabili della dittatura fascista e della guerra.

In codesta primavera della patria che consente tutte le speranze, c'è poi un solo punto oscuro, si tratta di sapere se gli uomini che qui a Roma scotevano sgomenti il capo all'annuncio del vento del Nord, che vedevano sorgere dal passato l'ombra di Marat o quella di Lenin se qualcuno osava parlare di comitato di salute pubblica, che trovavano empio o demagogico il nostro grido: "tutto il potere ai Comitati di Liberazione", si tratta di sapere se questi uomini intenderanno o no la voce del Nord e sapranno adeguarsi ai tempi. Ad essi noi ripetiamo quello che ieri, da queste stesse colonne, dicevamo agli alleati. - Abbiate fiducia nel popolo, secondatene le aspirazioni, scuotete dalle ossa il torpore che vi stagna, rompete col passato, non fatevi trascinare, dirigete. A questa condizione oggi è finalmente possibile risollevare la nazione a dignità di vita nuova, nella concordia del più gran numero di cittadini. Vento del Nord. Vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro. Pietro Nenni (Dall"'Avanti! del 27 aprile 1945) §§§

PROGRAMMA DELL'ISTITUTO DI STUDI SOCIALISTI Appena eletto segretario dopo la crisi della segreteria Pertini, Rodolfo Morandi, uno dei pochi dirigenti socialisti di formazione non umanistica, coglie l'esigenza di colmare il distacco che era sempre esistito tra politica e tecnica. Intende nel contempo fornire al Partito uno strumento per la formazione dei quadri, l'elaborazione di un programma in cui si uniscono la competenza e la sensibilità politica la capillare penetrazione tra i vari strati sociali mediante l'offerta di risposte concrete ai loro problemi. Nasce così, nel novembre 1945, l'istituto di Studi Socialisti. Direttore è lo stesso Morandi sino al 1949, segretario Raniero Panzieri. L'istituto di studi socialisti è sorto per offrire agli iscritti e simpatizzanti del Partito l'opportunità e i mezzi di applicarsi allo studio sistematico dei problemi che interessano la politica e l'azione socialista. Il programma di un partito, che vuole rappresentare le aspirazioni e gli interessi dei più vasti strati della popolazione e inserisce oggi decisamente la sua azione con intenti realizzatori nel processo ricostruttivo della nazione, non può essere che il prodotto di un lavoro collettivo rivolto a perfezionarlo via via nella sua formulazione, a farlo

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quanto più possibile rispondere alla situazione vissuta. Esso deve essere il risultato di un'indagine organizzata che, esercitandosi su dati di fatto e obiettivi concreti, ci deve dare chiara coscienza delle possibilità attuali di una politica socialista e delle condizioni cui essa deve adeguarsi. La definizione quanto più circostanziata e precisa di un piano d'azione sul terreno sociale ed economico, se richiede la conoscenza specifica dei vari problemi e competenza particolare a trettarne, non può per questo concepirsi come puro compito di tecnici e di esperti. Infatti alla base di ogni riforma è una valutazione politica che tende a stabilire in quale misura si possano variare i resupposti sociali di una data situazione; avendo in vista un determinato fine il tecnico deve dirci quali risultati nelle condizioni naturali e storiche che si propongono alla nostra azione si possano a questa stregua conseguire. Importa dunque unire la competenza e la sensibilità politica, il che non tanto costituisce una questione individuale di preparazione, quanto un problema di collaborazione, per la migliore integrazione delle attitudini e inclinazioni dei singoli. Occorre a tal fine creare l'ambiente favorevole all'incontro delle idee, alla critica e al vaglio di esse, alla reciproca illuminazione. Un grande partito, per essere strumento d'azione progressiva nella società moderna, deve, come noi tutti sentiamo, colmare lo iato tra politica e tecnica. Le proporzioni politiche e le soluzioni tecniche restano inoperanti fin che si presentano come termini staccati di un programma e dal loro semplice accostamento non può scaturire mai azione efficace. Dalla fase evasiva e dell'agitazione, il socialismo è decisamente entrato in una nuova fase costruttiva e di realizzazioni. Ora ad appagare e sostenere un moto che ha oggi pervaso pressoché tutti gli strati della società, per la pacifica espansione del lavoro e delle intelligenze in una civiltà liberata dal bisogno, non bastano le deviazioni del domani e i piani avveniristici. Occorre la dimostrazione di saper recare in atto le innovazioni e le riforme con sicura cognizione dei dati sui quali l'azione si esplica. D'altra parte per corrispondere alle esigenze di vita delle masse popolari, quando si assume una responsabilità di governo, non basta prospettare soluzioni razionali se esse non sono attuabili, bisogna scendere all'esame particolare di ogni situazione, cavare dalla rivelazione attenta di essa i motivi e gli elementi di una azione che abbia pieno contatto con la vita e l'ambiente. Le riforme che vengono propugnate, se debbono da un lato dare espressione generale ai bisogni delle

popolazioni, interpretandoli sul piano sociale secondo le esigenze della collettività, debbono dall'altro legare all'azione di partito gli interessi più diretti degli strati cui ci si rivolge, assicurandogliene l'adesione e il seguito, che ne costituiscono la forza viva di attuazione. Per questo occorre che esse siano articolate al massimo e sostanziate da una conoscenza concreta dei fatti. Una organizzazione di partito che si estende alle più varie categorie e si ramifica in tutto il paese dispone in sé, a questi effetti, di grandi risorse. Al fine di una razionale utilizzazione di esse, si dovrebbero creare in ogni regione o zona tipica dei centri d'indagine per lo studio degli aspetti locali che ogni singola questione presenta, coordinandone l'attività in modo da mantenere in atto una inchiesta permanente sullo stato sociale delle popolazioni e le rispondenze politiche che un certo indirizzo d'azione può trovare. Dove si affrontino temi come quelli della riforma agraria, industriale, scolastica o amministrativa, appare subito con quale complessità tali questioni si prospettino in un paese così vario per aspetti naturali, sociali ed economici. Il politico quando ne tratta è facilmente portato a trascorrere nel generico e il tecnico ad esercitazioni razionali o a soluzioni frammentarie. La difficoltà che è insita nel divario delle cose e delle mentalità con le quali ad esse ci si affaccia, si possono superare solo con un lavoro collettivo che si proponga lo studio metodico, secondo un'idea direttrice, delle varie situazioni di ambiente. Questa è in breve sintesi, la concezione che presiede ai lavori dell'istituto e il fine pratico ch'esso ha in vista di raggiungere, mettendo la sua organizzazione a disposizione d'ogni volenteroso che sia in grado di arrecare un contributo all'approfondimento delle varie questioni e dei giovani che intendono di prepararsi con serietà di intenti alla vita politica. (Dal Bollettino dell'istituto di studi socialisti, dicembre 1945, a. 1, n. 1). §§§

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RODOLFO MORANDI: PER L'AVVENIRE DEL MEZZOGIORNO

ambientali, come è quella conserviera. Ma occorre darle quella organicità che le è mancata in passato, e che deve farla capace di espansione propria, infondendole forza di irradiazione nel meridione. Essa è sempre stata priva delle attività, perché è sorta come un trapianto forzato da leggi speciali a scopi autarchici. Bisogna liberarla da quel carattere di grande filiale dell'industria e del capitale settentrionale che le ha impedito di ramificare le proprie radici come industria meridionale, quale invece deve essere, e non ha consentito l'espansione locale della piccola e media industria in funzione integrativa. I mezzi coi quali operare oggi sono: un chiaro programma ricostruttivo dell'IRI, che si informi a tali esigenze; la pronta impostazione ed esecuzione di un piano nazionale, che comporti la integrazione dei grandi complessi con le molteplici attività complementari che fino ad oggi sono mancate, e promuova la dislocazione dal Nord delle sedi di manovra del capitale e della produzione; una vigorosa azione creditizia di sostegno, e una rappresentanza efficace degli interessi del mezzogiorno, e dell'industria napoletana in specie, in tutti gli organismi che sono predisposti alla programmazione della ripresa e ricostruzione industriale.

L'istituto di Studi Socialisti dà i suoi frutti. Nel settembre del '46 il PSI può segnare così una svolta nella politica meridionalista fondata sull'intreccio tra la lotta per la riforma agraria e il rinnovamento dell'agricoltura e un intervento a favore dell'industrializzazione che punti sulla creazione di una serie di incentivi per la crescita dell'imprenditorialità locale. Morandi espone questa linea prendendo le distanze dal "mito" esclusivo della terra al contadini, cavallo di battaglia del PCI, e la rende operativa creando, assieme ai tecnocrati cattolici capeggiati da Pasquale Saraceno, l'Associazione Nazionale per lo Sviluppo del mezzogiorno (SVIMEZ), con sede a Napoli. Sarà la SVIMEZ il centro di propulsione e di elaborazione degli interventi nel Sud negli anni cinquanta, a cominciare dalla Cassa per il Mezzogiorno. ... Un problema di capitale importanza per la nostra economica, quale è quello della riattivazione e dello sviluppo delle energie del mezzogiorno nel quadro della ricostruzione industriale italiana. Da tempo il nostro Partito sostiene che la soluzione del problema meridionale non può ottenersi mediante le sole riforme agrarie, ma deve conseguirsi attraverso profonde trasformazioni della struttura sociale che, per quanto attiene all'economia, devono far leva sull'estensione e lo sviluppo dell'industria nel sud d'Italia. In particolare, io mi sono da tempo convinto che, dovendo concentrare le nostre forze su una serie di obiettivi in successione di tempi, il varco che più prontamente possiamo aprirci alla soluzione di così vasto e complesso problema è proprio la ricostruzione industriale della provincia di Napoli in nuove condizioni favorevoli al suo progresso. Bisogna vedere che cosa sono le maestranze dei grandi stabilimenti di Napoli e Castellammare, che cosa esse hanno saputo in questi due anni realizzare, congiuntamente alla dirigenza tecnica delle imprese, con quale tenacia esse continuano a lottare contro tutte le avversità, l'attaccamento che hanno alle macchine che sono state ricomposte cavandole pezzo per pezzo da sotto le macerie, per capire tutta la stolidità dei luoghi comuni che si ripetono sull'indole dei meridionali e la vacuità di certo preteso rigore economico nell'impostazione dei problemi produttivi entro il quadro della ricostruzione nazionale. Non mi pare dubbio che sia intorno al nucleo della grande industria siderurgica e metalmeccanica, dei cantieri navali, delle raffinerie e di qualche grossa unità tessile che l'industria napoletana debba risorgere, completandosi di tipiche industrie

Rodolfo Morandi (Da una intervista all'Avanti!, novembre 1946) §§§

PIETRO NENNI: UN CALCOLO SBAGLIATO DI TOGLIATTI Il 25 marzo 1947, le posizioni di socialisti e comunisti si divaricano nettamente su un tema scottante: l'inserimento nella Carta costituzionale dei Patti Lateranensi del '29. Togliatti ritiene di allontanare, col voto favorevole del PCI, l'eventuale, uscita dal Governo. Per questi motivi tattici, finisce con l'assecondare il disegno di De Gasperi. Nenni sceglie la via, a lui più congeniale, della battaglia di principio, simile a quella grazie alla quale aveva vinto la battaglia per la Repubblica. Anche stavolta la storia darà ragione a lui. Ne è convinto. E lo annota nel suo diario. 2 marzo 1947 Stamattina alle due la Costituente ha votato l'articolo 7 (ex articolo 5) con trecentocinquanta voti contro centoquarantanove. Hanno votato a favore duecentouno democristiani, novantacinque comunisti e cinquantaquattro fra qualunquisti, liberali e isolati. La grande sorpresa (non per me), è stato il voto favorevole dei comunisti, che Togliatti

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Abbiamo bisogno di rieducare alla democrazia un partito che si è enfiato smisuratamente, dove tanti giovani e tante nuove reclute non hanno assimilato ancora la tradizione del Socialismo e prendono inconsulti atteggiamenti, dove c'è troppa facilità al formarsi di aggregati e di cricche, al prevalere di posizioni personali. Abbiamo bisogno che in una condizione come questa, caratterizzata nell'insieme da una debolezza estrema di organizzazione e ancora da una notevole immaturità politica, operi come fermento nel partito una minoranza illuminata che sia di controllo e sia remora a possibili eccessi. Non è però in minoranze accecate da settarismo e da odi personali che il partito deve rispecchiarsi per trovare solo sfigurato il suo volto ed esaltati i vizi che lo rodono. La funzione di minoranza è la più difficile in un partito. È nel sacrificio che essa compie di una parte di sé, non rinunziando ad essere negli atti coerente con le proprie idee, ma rinunziando nell'interesse superiore del Partito a svolgere opera disgregatrice, che la minoranza acquista la sua dignità, e solo può guadagnare il rispetto. E dando esempio di lealtà e di correttezza ch'essa adempie al suo compito, ch'essa può esercitare la sua suggestione sul partito e una sana influenza moderatrice sulla maggioranza. Non ci può essere buon socialista che non sia disposto a riconoscere questa funzione come salutare e necessaria. Sappiano d'altronde i delegati di maggioranza che debbono dare la prima prova al congresso di essere non più rappresentanti di una frazione, ma una corrente che viene investita di tutti i doveri e le responsabilità che ad essa incombono dal momento che diviene maggioranza, per primo riconoscendo la funzione essenziale della critica e come vitale la differenziazione delle idee in un partito democratico. A noi tutti, singolarmente partecipi dei contrasti e delle lotte che richiedono indifferibilmente di avere il loro sbocco e una soluzione, se non vogliamo far scomparire irrimediabilmente il partito, si chiede lo sforzo di dominare più dall'alto, levandoci sopra la polemica e la passionalità portata in essa, il problema che ci si affaccia.

ha tentato di giustificare in un discorso di una logica formate associato a un'assenza totale di comprensione storica del problema. Prima del suo c'erano stati i due discorsi definiti "sinceri", quello di De Gasperi, in favore, e il mio, contro. Un'altra sorpresa della notte è stato il voto favorevole non solo di Nitti, ma di Orlando, Bonomi e Sforza. Senza l'apporto dei comunisti, i cattolici avrebbero vinto con cinque voti di maggioranza e sarebbe stato meglio così. Sul dibattito hanno pesato due ricatti: quello di De Gasperi, sulla solidità della Repubblica, e quello dell'"Osservatore Romano" sulla pace religiosa e la riapertura della questione romana. Ho risposto sostanzialmente: "Abbiamo capito. Voi volete la lotta su questo terreno, mentre noi la vogliamo sul terreno sociale. Prendiamo appuntamento per più tardi e intanto votiamo contro di voi". Togliatti ha ragionato così: "De Gasperi ci dichiara guerra. Nenni non l'accetta ed è vero che per fare guerra bisogna essere in due. Ma per dichiararla basta uno solo. Per togliervi il pretesto di dichiararci la guerra, votiamo con voi l'articolo 7". È cinismo applicato alla politica. Ma non è il cinismo degli scettici, ma di chi ha un obiettivo e non vede altro. è la svolta di Salerno che continua, applicata questa volta alla chiesa e ai cattolici. Togliatti crede così di salvaguardare dieci, venti anni di collaborazione con la Democrazia Cristiana. Mi sembra un calcolo sbagliato da cima a fondo. Sono lieto di avere votato "no". Pietro Nenni (Da "Tempo di guerra fredda" diari 1943-1956, Edizioni Sugarco) §§§

RODOLFO MORANDI: PER L'UNITÀ DEL PARTITO Dopo il successo elettorale del 2 giugno 1946, i socialisti, invece di indirizzare tutte le energie al consolidamento politico del risultato, disperdono il loro patrimonio in una crescente lotta tra le varie tendenze che erano riuscite a trovare un compromesso nel Congresso di Firenze dell'aprile. Si avviano quindi a tappe forzate verso la rottura di Palazzo Barberini, prima tappa, fondamentale, dì un vero e proprio dramma politico, per il movimento socialista del dopoguerra. Morandi tenta, come altri (Pertini, Nenni e Silone), di bloccare il meccanismo perverso della scissione con un articolo in cui richiama, sia la minoranza autonomista, sia la maggioranza di sinistra, alle rispettive responsabilità che loro spettano in un partito, democratico.

Rodolfo Morandi (Dall'Avanti, 7 gennaio 1947) §§§

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PIETRO NENNI ASSURDITÀ DI UNA SCISSIONE

LA CARTA COSTITUENTE DEL FRONTE POPOLARE

Nel gennaio del '47, con quella che poi fu chiamata "la scissione di Palazzo Barberini", una parte del PSIUP esce dal Partito per fondare il PSLI, diventato poi PSDI. Vari sono i motivi, di fondo e contingenti, di quell'abbandono: il rifiuto dell'unità di azione con i comunisti, le pressioni di Da Gasperi, spinte americane - ma nessuno di essi viene reso esplicito a livello teorico. Rimane soltanto la traccia di un episodio doloroso per certi versi incomprensibile. E quanto si ricava dalla nota che alla scissione dedica Pietro Nenni sul diario: nella nota, con triste lungimiranza, Nenni prende atto della nascita della guerra fredda.

La Carta costituente del Fronte democratico popolare sancisce, subito dopo il comitato centrale socialista del novembre'47, la nascita di una alleanza organica tra socialisti e comunisti. In essa è rivolto un appello anche al partiti laici e progressisti, in quanto sugli obiettivi dichiarati nel documento era impossibile non convenire: riforme, sviluppo democratico, difesa della pace. Ma su di essi, e sull'intera politica del Fronte, grava fin dall'inizio una egemonia comunista di cui i socialisti si accorgono tardi. Il Fronte democratico popolare unisce quanti in Italia anelano alla pace, alla libertà, al lavoro. Esso intende attuare i provvedimenti concreti che valgano a creare nell'ordine, nella legalità repubblicana, nella pace esterna ed interna, della società e delle coscienze, le condizioni necessarie per la ricostruzione e li progresso civile del Paese, recando ad azione costruttiva di governo lo slancio di rinnovamento sociale che anima il popolo italiano. Gli obiettivi che il Fronte democratico popolare propone al Paese sono: 1) Le riforme di struttura, già consacrate nei principi che ispirano la Costituzione repubblicana, le quali debbono dare certezza di vita ai lavoratori di tutte le categorie, ai disoccupati, ai sinistrati, ai reduci; 2) La garanzia dello sviluppo democratico, che traduca nella realtà della vita associata e della pratica amministrativa i principi affermati nella Costituzione repubblicana; 3) La pace, che solo il cieco egoismo di ceti meschinamente preoccupati della difesa del loro privilegio può mettere a repentaglio, e che deve essere difesa con energia vigile e tenace per la salvaguardia della libertà, dei frutti del nostro lavoro, della vita del Paese e dei suoi figli.

11 gennaio 1947 La scissione è fatta. Saragat è venuto stamattina al congresso ad annunciarla. Quanti lo seguiranno è difficile dirlo. Per tutto il giorno e fino a tarda sera il gruppo parlamentare ha moltiplicato gli inutili tentativi di pacificazione. Sandro Pertini è andato al congresso secessionista (per un estremo tentativo unitario) e ne è tornato con un rifiuto... La scissione rivela sul nascere il suo carattere a un tempo assurdo e fatale. Assurdo, perché urtandosi in opposizione alla supposta subordinazione mia e della maggioranza ai comunisti, fa a questi ultimi il grazioso dono di togliere di mezzo il solo partito che contestava la loro tendenza all'egemonia sul movimento operaio. Questo era il fondo delle cose. Il Patto di unità d'azione, da parecchio tempo in qua, era soltanto un accorgimento tattico. Saragat l'aveva firmato, al pari di me. Se ha ragione nel considerarlo caduco e superato, ebbene, allora, tra pochi mesi avrebbe avuto per sé la maggioranza senza timori di secessioni da parte mia e credo neppure da parte di Lelio Basso. Fatale, perché la scissione si inserisce in una nuova spaccatura del mondo della quale il discorso di Churchill a Fulton è stato l'annuncio.

Dalla Carta costituente del Fronte popolare (Roma, novembre 1947)

Pietro Nenni (Dal "Tempo di guerra fredda" I diari, 1943-1956, edizioni Sugarco)

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PIETRO NENNI: MEDITAZIONI SU UNA BATTAGLIA PERDUTA

Oppure tutto ciò è per essi senza importanza purché ci sia un forte Partito comunista, saldamente legato alle esperienze dell'Oriente e in grado di tenere finché si produca una situazione favorevole? Pietro Nenni (Dai "Tempo di guerra fredda", diari, 1943-1956 edizioni Sugarco)

Il Fronte popolare si presenta alle urne, per le legislative del 1948, sotto l'immagine di Garibaldi. Il 18 aprile avrebbe dovuto segnare la nascita di una nuova Italia; segna invece una pesante sconfitta per l'intera sinistra e in particolar modo per i socialisti. Nenni scrive per l'"Avanti!" Meditazioni su una battaglia perduta, in cui esamina le ragioni della sconfitta. Soprattutto nel diario, non se la prende con il destino, ma con gli errori che sono stati commessi.

Conosco il prezzo delle battaglie perdute e non sono tale da eludere le responsabilità. Il Consiglio Nazionale del Partito e il Congresso avranno l'occasione di giudicare se fu giusta la politica proposta e adeguata la esecuzione. Le decisioni che saranno prese faranno legge. La vita democratica di una organizzazione come la nostra va intesa come un rapporto fiduciario fra base e dirigenti che non si stabilisce una volta per sempre, ma si saggia, si rinnova, si sospende e si revoca alla prova dei fatti. Il fronte si è battuto nelle condizioni più difficili che potessero darsi. La sua -avrebbe detto Claudio Treves- è stata una lotta del razionale contro l'irrazionale e dei programmi contro gli spettri. In ciò bisogna riconoscere che De Gasperi è stato miglior psicologo, allorché al tentativo nostro di discutere le cose, i programmi, le esperienze per ciò che sono, ha opposto una astratta contrapposizione del Bene e del Male, di Cristo e di Mefisto, della Civiltà e della Barbarie. Se può mettersi in dubbio che noi abbiamo sottovalutato l'influenza della Chiesa presso larghi strati della popolazione, come abbiamo sottovalutato lo sfacciato intervento americano, tradottosi nella minaccia di privare l'operaio del lavoro e del pane per punirlo di votare col Fronte. Infirma, tuttavia, la constatazione di questo fatto, il presupposto che, in ogni caso, la battaglia andava data? L'esigenza del Fronte, cioè di una coalizione politica di tutte le sinistre attorno alla classe lavoratrice, si è imposta all'indomani del 2 Giugno e si può ben dire fosse implicita nei risultati contraddittori del referendum istituzionale e delle elezioni per la Costituente. i due milioni di voti dati allora dalla democrazia cristiana alla vittoria repubblicana e gli otto milioni di voti da essa raccolti nelle elezioni per la Costituente, fecero sì che la Repubblica nascesse con una ipoteca moderata che lasciava presagire una rapida involuzione di tipo austriaco o tedesco o spagnolo. Con ciò risultava rafforzata sul terreno del consolidamento dello Stato democratico, l'esigenza di classe di una lotta per il potere che eliminando l'ipoteca moderata ricacciasse indietro l'assalto allo Stato repubblicano degli interessi agrari e capitalistici i quali già avevano tenuto sotto tutela lo Stato fascista.

22 aprile 1948 Arrivano da Brescia i primi dati circa le preferenze. Quattro eletti dal Fronte, quattro comunisti in una circoscrizione dove avevamo quattro deputati socialisti alla Costituente e due comunisti. Temo molto che succeda lo stesso un poco dappertutto e ciò sarà per il Partito ancora meno sopportabile della stessa sconfitta del Fronte. Ho sempre criticato la base degli accordi coi comunisti fondata sul presupposto della vittoria con un minimo di duecentoquaranta deputati. à su questa questione che la direzione scivolerà. Già Romita si agita e i giornali sono pieni di commenti sulla crisi socialista, la fine di Nenni ecc. Stavolta avranno soddisfazione. Se il caso di Brescia si generalizza io sarò rovesciato e rovesciato dall'egoismo dei comunisti, dalla loro sostanziale incapacità di fare una politica unitaria che non sia esclusivamente a profitto loro e della organizzazione. 23 aprile 1948 lo sono eletto a Roma, dove vengo secondo a distanza dopo Togliatti, a Palermo dove sembra che sia secondo dopo il comunista Berti, a Milano dove riusciamo quattro socialisti su quattordici assai distanziati dai comunisti. Lelio, per il quale l'apparato della federazione ha lavorato a fondo, mi distanzia di circa tremila voti. Ciò dimostra che in nessuno dei tre collegi i comunisti hanno votato per me. Ne sono lieto perché è la prova della mia indipendenza. Essi dovrebbero essere umiliati come della prova del loro settarismo. Sacrificare, come io ho fatto, una posizione personale e di partito all'unità della classe operaia, per un socialista è un titolo di onore. Ma posso io rifiutare di prendere atto che sotto bandiera, direzione o ispirazione comunista (apparente o reale poco importa) non si vince in Occidente? Possono Togliatti e gli altri dirigenti comunisti non prendere atto di questa situazione?

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Purtroppo la paura piccolo-borghese del comunismo impedì alle sinistre di prendere coscienza del pericolo moderato. Non vi è dubbio che noi socialisti, esposti più dei comunisti, subiamo un forte contraccolpo per la mancata vittoria. È anche evidente che abbiamo pagato e paghiamo un prezzo assai alto ai rapporti di forza all'interno del Fronte fra compagni di cordata. Ma infinitamente maggiore sarebbe la nostra amarezza - e più pesante la nostra responsabilità in questo Primo Maggio - se ci fossimo per viltà sottratti o se pensassimo a sottrarci, costi quel che costi per dirla con De Gasperi, al dovere di realizzare e mantenere la coesione della classe lavoratrice e delle forze democratiche di avanguardia, unica difesa e garanzia contro l'incombente minaccia reazionaria. Tanto più ciò è vero che nessuna delle istanze da noi poste si trova superata o elusa dalla vittoria elettorale dei clericomoderati. Non quella della lotta per lo Stato popolare e contro lo Stato di polizia. Non quella di una politica estera di neutralità che sventi il tentativo di fare indossare al nostro popolo l'uniforme della legione straniera del capitalismo. Non quella dello Stato e della Scuola laica. Meno che mai quella delle fondamentali riforme di struttura. La vittoria clerico-moderata del 18 aprile, ad appena tre anni dalla liberazione, si inserisce nella tradizione della destra monarchica e borghese sempre volta a risolvere e soffocare in termini di compromesso le iniziative rivoluzionarie fin da quelle mazziniane e garibaldine dell'Ottocento. Se al nuovo tentativo di dare un soggetto moderato alla lotta dell'avanguardia popolare contro la triade fascismo, monarchia capitalismo, risponderanno la nostra intransigenza e la nostra fedeltà di classe, allora nulla è da considerarsi compromesso e l'onda stessa che oggi minaccia di sommergerci ci porterà in cima. Come sempre si tratta di non perdersi d'animo, di non smarrire la via perché un ostacolo imprevisto ne sbarra il tracciato, di non perdere di vista il fine solo perché i mezzi impiegati sono risultati inadeguati o per difetto di impostazione o, più probabilmente, per difetto di esecuzione.

Antologia7

RICCARDO LOMBARDI: PROSPETTIVA 1949 "Prospettiva 1949" è il titolo dell'editoriale di capodanno dell'"Avanti!" firmato dal direttore Riccardo Lombardi. La "guerra fredda" è in pieno svolgimento e la sua logica si impone nella lotta politica che ne è svilita e snaturata. L'editoriale di Lombardi è molto importante perché mostra come, dall'intorno del PSI, si cerchi di non sottostare alla logica del "muro contro muro". Soltanto la pace e la distensione internazionale possono far sì che al primo posto possa collocarsi la prospettiva di una società libera e socialista. Ma la posizione di Lombardi non era condivisa da tutto il Partito: e non c'è da meravigliarsene, dati i tempi. Voci autorevoli - fra cui quella di Morandi si levarono per contestare l'editoriale di Lombardi, preoccupate soprattutto di riconfermare solidarietà all'Unione sovietica. Abbiamo visto, nel corso dell'anno che si chiude, il mondo precipitare nel funesto irrigidimento di massicci blocchi contrapposti su posizioni sempre meno suscettibili di comprensione reciproca o di mediazione: processo di irrigidimento che ha reso talmente fragile l'edificio della pace da fargli sfiorare più volte il limite di rottura nell'urto contro problemi di per sé modesti e comunque sproporzionati all'importanza della posta in gioco. Non è chi non veda la pericolosa deformazione, per non dire la degenerazione, che lo stato di guerra latente impone alla lotta politica, configurando la lotta di classe, anziché in termini di autoliberazione per opera dei lavoratori stessi, come mera preparazione e assecondamento di un'azione politica o militare estranea e superiore, incontrollabile anche se benefica; in definitiva il carattere di rinuncia delle posizioni creative dell'iniziativa popolare a pro di posizioni intrinsecamente paternalistiche. Orbene: se l'attuale situazione di cristallizzazione della lotta politica in termini di guerra latente fra blocchi rivali dovesse a lungo permanere assisteremmo a un sempre più accentuato processo di degradazione e di svilimento della lotta politica. In tutte le condizioni storiche la battaglia per il socialismo che è la battaglia per la integrale liberazione dell'uomo da ogni asservimento materiale e spirituale, va combattuta; noi socialisti italiani combatteremo, in piena solidarietà con la classe oppressa, quali che possano -essere le

Pietro Nenni (Dall'Avanti! del 20 aprile 1948) §§§

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condizioni di lotta: nessuno si sceglie né il tempo in cui è chiamato a vivere né l'ambiente in cui è destinato a operare. Dobbiamo vivere ed operare e tanto basta. Ma il posto, il ruolo e la funzione che un Partito come il nostro può effettivamente assumere in tale lotta è ben diverso secondo che la prospettiva sia l'una o l'altra; secondo cioè che al primo piano di questo dramma appaia l'urto fra le classi o l'urto fra gli Stati, un Partito socialista assumerà una funzione, sempre di integrale partecipazione e responsabilità, ma con maggiore rilievo e capacità di guida nel primo caso, minore nel secondo. Per questo noi puntiamo più risolutamente di chiunque altro sulla prospettiva di pace, sulla prospettiva di scambi di idee, di istituzioni, di esperienze, di uomini fra i due blocchi attualmente in posizione di reciproca impermeabilità; per questo non abbiamo temuto di affrontare l'attuale isolamento internazionale del nostro Partito, prezzo col quale paghiamo la nostra fedeltà al socialismo internazionale e internazionalista: isolamento che sarà nostro vanto aver affrontato senza leggerezza di cuore, il giorno in cui l'Europa e il mondo verranno liberati dall'atmosfera di incubo che ne opprime il respiro e ne mortifica le energie. Con tale persuasione noi continueremo nel nuovo anno la nostra difficile ma necessaria e insostituibile lotta, sapendo di certo solo una cosa: che questa sarà dura, che esigerà sforzo concorde e continuativo, che non ci riserverà soluzioni di facilità di compromesso o di abdicazione. Ma che comunque non sarà certissimamente vana.

di Morandi, basata sulla scelta di una ricostruzione del PSI come Partito legato al PCI. L'intervento di Lombardi al Congresso di Firenze del 49 rappresenta quindi la testimonianza di una impostazione che il PSI recupererà per Intero molti anni dopo. Oggi in Italia esistono due partiti della classe operaia: ed è soltanto dando risposta a questo quesito, sul perché esistono questi due partiti, che possiamo dire se abbiamo il diritto di continuare a operare nel Partito socialista. Solo in questo caso (sono cose che sembrano da poco, ma che hanno una grande importanza) potremo parlare a quei giovani che vengono alla vita politica avendo già fatto la scelta nello schieramento di classe, alle nuove generazioni con le quali dobbiamo pur rinsanguare il movimento operaio, che dobbiamo legare alla classe operaia, e rispondere ad essi che ci dicono: "Noi che vogliamo lottare accanto agli oppressi e ai diseredati, noi che ci sentiamo rivoluzionari perché odiamo questa società oppressiva, in quale partito dobbiamo militare: nel Partito socialista o nel Partito comunista?". Bisogna dare una risposta. E bisogna pur dire ad essi, quando li invitiamo a entrare nel Partito socialista, il perché li invitiamo a entrare nel Partito socialista e non in quello comunista. Ci sono due esigenze nel movimento operaio altrettanto, e vi prego sottolinearlo, altrettanto valide: quella comunista e quella socialista, che rispondono a due bisogni essenziali e a cui nessuno dei due può rinunziare senza limitare e ferire inguaribilmente il movimento operaio mondiale. Il nostro Partito rappresenta una di queste esigenze; il Partito comunista ne rappresenta l'altra. Da ciò la necessità di convivenza e di accordo. La situazione è profondamente mutata nel mondo ed ecco perché noi dobbiamo pensare di articolare la nostra azione, a guidare il nostro proletariato (nella misura in cui possiamo guidarlo ed essere di esempio anche ad altri proletariati di altri Paesi) coerentemente con la nuova disposizione di forze nel mondo. Dobbiamo guidarlo facendo sì che quello che si svolge nel mondo ci sia sempre presente, senza metterci a occhi chiusi come puri e semplici assecondatori di una certa politica. Su questa posizione c'è già un Partito che ha questo compito e lo assolve bene e degnamente: il PCI. Noi abbiamo un'altra funzione, qualche altra cosa di altrettanto indispensabile da fare, ed è quella di creare noi, nei casi dove non esiste l'iniziativa dell'Unione Sovietica, o dove si tratta di suscitare

Riccardo Lombardi (Dall'Avanti! del 10 gennaio 1949) §§§

LE RAGIONI DELL'AUTONOMIA SOCIALISTA Dal luglio 1948 alla primavera del 1949 si compie il tentativo, Ispirato e guidato da Riccardo Lombardi, di risollevare il PSI dalla crisi In cui è caduto dopo la disfatta del 18 aprile. L'ex segretario del Partito d'Azione si sforza di recuperare al PSI un ruolo autonomo nella sinistra, sia per quanto concerne la politica interna, sia per la collocazione internazionale. Prende quindi le distanze dal PCI e da Mosca e rivendica per il PSI la forza della sua tradizione e una funzione specifica fondata proprio sulla non subalternità a Mosca. Ma la spaccatura verticale provocata dal 18 aprile e l'acutizzarsi della guerra fredda non favoriscono il tentativo, avvantaggiando invece la più chiara e determinata posizione

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delle forze, dove il Partito comunista è paralizzato da esigenze diplomatiche e tattiche, di creare noi le condizioni perché il movimento operaio combatta e sia sempre in posizione di lotta. E da questo punto di vista quello che sembra uno slogan, ma non è, cioè che la direzione del movimento operaio non spetti necessariamente al PCI, acquista un suo reale significato. La direzione del movimento operaio può spettare in certe circostanze al PCI, in altre circostanze deve spettare al PSI e noi dobbiamo prepararci a essere degni di questa funzione nei casi in cui, malgrado la sua forza tattica e organizzativa, malgrado il suo dinamismo, i suoi mezzi e la sua esperienza rivoluzionaria, il PCI finisca necessariamente per essere paralizzato da una tecnica e tattica diplomatica. È proprio in quei casi che il PCI deve esigere da noi che noi esistiamo, che ci mettiamo alla testa della classe operaia e assumiamo quella funzione di guida che proprio in quei momento spetta a noi e a nessun altro che a noi. Non si tratta di prestigio o di volgare patriottismo di partito, si tratta di qualcosa di ben più alto e di ben più impegnativo.

che ha sempre accampato sul particolarismo e sulla divisione il suo dominio, attuando l'alleanza del feudo con la grande industria, è la più grande conquista della classe lavoratrice italiana. Le lotte che i lavoratori italiani sostengono si illuminano sotto una nuova luce e si profilano in nuovi tratti. In esse oggi trova espressione lo sforzo solidale e possente di tutto un popolo recato a sicura coscienza della sua unità. L'orizzonte di queste lotte si allarga smisuratamente, poiché esse non hanno attinto una prospettiva nazionale per circoscriversi in essa, ma per esplicarsi in ambito più vasto, come elemento attivo di un moto mondiale che valica le frontiere degli stati e i confini delle nazionalità affratellando i popoli nella costruzione della nuova società socialista. Questi sono i peculiari tratti di una situazione che, rendendo nulla ogni prospettiva di riformismo e di media forza, sospinge in Italia con sempre più celere moto ad unità le forze avanzate del proletariato. Proporsi l'unità, compagni, e vengo con questo alle conclusioni, significa prefiggersi un obiettivo di lotta, poiché altro non vuoi dire che questo: rovesciare sul terreno della lotta i piani del nemico di classe. Non è un partito debole, minato dalla sfiducia in se medesimo, che può osare una azione unitaria conseguente. Solo un partito che abbia eliminato il seme della divisione nel suo interno, un partito capace di stroncare qualsiasi tentativo di riprodurre nel suo seno situazioni degenerative, un partito che abbia sbaragliato i personalismi, le clientele e le cricche e sradicato il mai costume del gioco su due scacchiere dei dirigenti, solo un partito che abbia recuperato capacità di attrazione, un partito che non si consumi in se stesso ma sia in grado di protendersi verso l'esterno, un partito che si accresca di forze e si rinvigorisca vieppiù nelle sue strutture, un partito che elevi incessantemente il grado della sua combattività, può a un tale obiettivo dirigersi! Un tale partito noi vogliamo, un partito serio, oltre che forte.

Riccardo Lombardi (Dall'intervento al XXVIII Congresso del PSI, Firenze 11-16 maggio 1949) §§§

RODOLFO MORANDI: UN PARTITO SERIO OLTRE CHE FORTE Dopo il XXVIII Congresso di Firenze (1949), Morandi dedica tutte le sue energie alla costruzione di un Partito unito, "un Partito serio, oltre che forte". È una costruzione che rivelerà ben presto lacune e fiato corto, in quanto essa non è ancorata nei fatti ad obiettivi di sviluppo autonomo del Partito in direzione di una sua funzione di primo piano, ma ad un suo rafforzamento all'interno della "politica unitaria" guidata dal PCI. Tuttavia, nel presentare ai giovani socialisti la sua linea programmatica, Morandi coglie nel segno quando invita a unire le forze per proiettarle verso l'esterno dopo anni di lotte intestine e di scissioni.

Rodolfo Morandi (Dal discorso ai giovani, 13 aprile 1950) §§§

La separazione della classe dirigente dalla Nazione si fa sempre più netta, diviene un fatto irrevocabile. La frattura che si opera a questo modo nella società assume di per se carattere rivoluzionario. L'unità della Nazione, guadagnata contro le resistenze disperate della classe dirigente italiana,

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PIETRO NENNI: I PRIMI PASSI DELLA DISTENSIONE

PIETRO NENNI: I RAPPORTI CON LA DC

Il "centrismo storico" è finito con la sconfitta, nelle elezioni del 7 giugno, della legge maggioritaria proposta da De Gasperi. Mentre si susseguono i tentativi di governi centristi si discute di "apertura a destra" o "apertura a sinistra". Pietro Nenni che ha sempre presente la crisi del'21-'22 e l'immobilismo che allora caratterizzò l'azione socialista, non vuole lasciare varchi alla destra. Vuole favorire l'"apertura a sinistra" e comincia dalla politica di distensione, dando per la prima volta come scontato il Patto Atlantico e intervenendo invece sulla sua interpretazione.

Un tema che lentamente si fa strada nella prima metà degli anni cinquanta è quello del rapporti con i cattolici. Pietro Nenni lo impone all'attenzione del Partito nell'aprile del 1955, in occasione del Congresso che si svolge a Torino. La prosecuzione, da parte della DC, di una politica centrista equivale alla morte della democrazia. Si impone un'apertura a sinistra, una nuova azione politica per le riforme di cui il Paese ha bisogno. Per il PSI questo vuoi dire la fine di ogni facile anticlericalismo e l'attenzione invece rispetto. sa ai cattolici, in quanto portatori di un proprio legittimo progetto sociale.

Una delle manifestazioni più tipiche di questa nuova volontà di equilibrio e di distensione si è avuta negli ultimi mesi col rovesciamento della politica britannica e la presa di coscienza di quella che io ho chiamato la giovane Europa, una Europa ancora abbandonata a se stessa e priva di capi, eppure in movimento, un'Europa che non vuole vivere esitante e paurosa tra i due colossi, non vuole diventare un campo di battaglia, un deposito di bombe atomiche, ed affida ormai la propria sicurezza non alla alleanza atlantica, non al volume e al peso delle armi, ma alla sua partecipazione attiva alla organizzazione della sicurezza collettiva e alla sua eventuale mediazione per risolvere i motivi di attrito. Questo è il senso della iniziativa britannica alla quale non tarderà molto ad affiancarsi una analoga iniziativa europea, venga essa dalla Francia o venga dall'Italia, come è nei nostri ardenti voti. Orbene, una tale iniziativa comporta una scelta che non si pone più in termini assoluti tra Patto e non Patto Atlantico, ma tra quello che io chiamo l'oltranzismo atlantico e la tendenza ormai rappresentata da Londra a mettere fine alla guerra fredda con una pace senza vincitori e senza vinti, mentre a Washington tuttora prevale la tendenza a prolungare la guerra fredda fino ad una problematica vittoria occidentale.

I rapporti del Partito con la Democrazia Cristiana sono stati di collaborazione dal 1943 al 1947, prima nel CNL poi al Governo; sono divenuti di opposizione e sovente di aspra lotta dal '48 ad ora. Si tratta di uno dei problemi centrali della vita democratica in un Paese compattamente cattolico come il nostro, dove la commistione di politica e religione, partiti e parrocchie, gerarchie laiche e gerarchie ecclesiastiche ha reso sempre difficili, e qualche volta drammatici, i rapporti tra laicismo e confessionalismo, tra Stato e Chiesa. I rapporti del Partito socialista con la Democrazia Cristiana hanno il loro limite politico in questa realtà e il loro limite sociale nel fatto che la Democrazia Cristiana è ormai il partito guida della borghesia italiana e dentro di sé riproduce le due tendenze classiche: la progressista e la reazionaria, la democrazia parlamentare e la fascista (Gronchi e Togni, se si vuoi dare un nome di persona a queste tendenze); con alla base una netta prevalenza qualitativa e quantitativa della sinistra sulla destra, ma con impedimenti d'ordine spirituale e di ordine sociale che De Gasperi, nei dieci anni in cui fu alla direzione della Democrazia Cristiana e negli otto anni in cui ha retto la direzione del Governo, ha tentato prima di superare, poi di rimediare, per infine subirli. Questo conflitto interno della Democrazia Cristiana interessa tutti i partiti, e interessa in sommo grado il Partito socialista, il quale non è indifferente né estraneo al prevalere dell'una forza o dell'altra. Nei due anni trascorsi - e soprattutto dopo il Congresso democristiano di Napoli - il Partito si è posto il problema delle relazioni con la Democrazia Cristiana in modo del tutto realistico, anche se frammentario. Ha sviluppato e approfondito alla base il dialogo coi cattolici; ha lealmente rassicurato la sinistra cattolica

Pietro Nenni (Da un intervento alla Camera, 22 luglio 1953) §§§

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sul carattere programmatico, e non tattico o strumentale, dell'adesione socialista al metodo e ai mezzi democratici, e sul carattere del pari fondamentale del rispetto della religione e della Chiesa. L'eccezionale interesse che ha accompagnato la convocazione di questo nostro Congresso, il fatto che il nostro Partito sia al centro dell'attenzione, la rabbia degli organi di stampa della sottoborghesia di avventura, la imbarazzata perplessità della stampa borghese che suscita speranze maggiori alle possibilità per poter dire domani che non si è fatto nulla di positivo, dimostrano come l'esigenza dell'apertura a sinistra si sia imposta a larghissimi strati dell'opinione pubblica e della stessa classe politica. La posta del gioco è grossa. Essa stringe il Paese come in una morsa. Se dovesse prevalere la destra, le Istituzioni democratiche sono destinate a saltare, se prevarranno le forze di base che classicamente hanno col movimento operaio e popolare identità d'interessi, le istituzioni democratiche faranno un vigoroso balzo innanzi. Storicamente l'alternativa non è tra il prolungarsi della lunga nausea della coalizione centrista e l'apertura a sinistra, ma tra questa e una frattura nello sviluppo democratico delle istituzioni del 2 giugno.

l'intuizione di Nenni, l'approccio di Morandi e il contributo riformista di Lombardi. Quel che dobbiamo riconoscere invece, in sede autocritica, è che troppo settarismo e troppo opportunismo hanno ingombrato e ingombrano ancora i rapporti della nostra base con la base cattolica, sia nei contatti con le organizzazioni democristiane sia nei contatti con le ACLI. Dobbiamo sapere che ogni concessione al settarismo così come ogni deviazione sul terreno dell'opportunismo, vengono a infirmare la validità della nostra azione, e soprattutto a comprometterne la necessaria continuità. Finiscono per originare dubbi sulle intenzioni che ci muovono e la sincerità degli scopi che dichiariamo. è necessario che combattiamo tali errori, dando prova nei -fatti che lungi da noi è la velleità di scalzare le autorità che la massa cattolica e la base democristiana seguono, di sovvertirne le organizzazioni, e tanto meno di insediarne la ideologia e il credo. Dico espressamente le autorità e le organizzazioni. Su quest'altro punto la mia opinione differisce invece dal rigorismo, che mi pare un tantino antistorico, di Basso. La ricerca nostra d'incontro, per una pratica unitaria di azione nei confronti del padronato, non deve essere offuscata da restrizioni di partito, da intolleranze, e neppure, naturalmente, da gratuite rinunzie che valgono solo a originare il sospetto di un raggiro. Deve risultare ricerca franca di accordo, avente per iscopo, e per solo scopo, la elevazione del lavoratore, la sua difesa, la rivendicazione dei diritti sacrosanti, che sono inscritti, prima ancora che nella carta costituzionale dello Stato, nella legge morale e nella storia della civiltà. Va da sé che tutto questo richiede che si rinunzi a combatterci con le armi proibite, che la Chiesa è stata ripetutamente indotta a sfoderare in questi anni per convogliare consensi e suffragi verso la Democrazia Cristiana. Pensiamo che essa abbia tratto il bilancio di queste operazioni, e che non lo possa giudicare per niente affatto positivo. Episodi sintomatici ed estremamente significativi di una azione rivolta a stabilire un dialogo e una colleganza, in ispirito di reciproca comprensione, con la base cattolica democristiana, se ne portano a decine e centinaia in ogni nostro convegno e in tutte le nostre assemblee. Ma si tratta pur sempre, bisogna dirlo, di episodi. La nostra azione non ha assunto ancora l'estensione dovuta, e soprattutto un carattere organico. Nell'insieme risulta tuttora saltuaria, frammentaria, e troppe volte viziata da contraddittorietà. Credo che la fiducia e la confidenza dei lavoratori cattolici debbano

Pietro Nenni (Della relazione al Congresso di Torino, aprile 1955) §§§

RODOLFO MORANDI: IL DIALOGO COI CATTOLICI L'"apertura a sinistra" si concretizza in una proposta politica: il XXXI Congresso (Torino, 31 marzo - 3 aprile 1955), è quello del "dialogo coi cattolici". Nenni ha pazientemente spianato la strada, Morandi lo ha assecondato vincendo con la sua autorità e il suo prestigio la resistenza dei settori più recalcitranti dell'apparato, Lombardi gli ha assicurato un forte sostegno facendo del Piano Vanoni Il punto possibile d'incontro sul terreno concreto con la DC. La situazione interna, col governo quadripartito del poliziotto Scelba Impegnato In una politica di re. pressione a sinistra, sembra fatta apposta per spingere il PSI di nuovo nelle braccia del PCI. Ma i dirigenti socialisti sanno che all'intorno della DC e del mondo cattolico e nel partiti laici di contro le tendenze favorevoli all'apertura a sinistra sono in crescita. E operano in funzione di un loro ulteriore rafforzamento. L'intervento di Morandi pone con realistica concretezza la questione del "dialogo" sul terreno dell'incontro pragmatico, mentre l'Appello al Paese riflette e condensa

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guadagnarsi, spiegando loro per primo, con semplici e piane parole, quanto ci sia costato persistere in questi due anni in una politica aperta, che non ha concesso al massimalismo, e meno che mai all'anticlericalismo di maniera, rifiutandosi alle provocazioni, quando pure sulle nostre organizzazioni si sono abbattuti colpi su colpi. Rodolfo Morandi (Dall'intervento Congresso, Torino 1955)

al

Liberazione e l'Assemblea Costituente, e si è battuto dal 1947 in poi per dare vita effettiva alla Carta costituzionale, mostrando nei fatti come esso intendesse attenersi senza riserve al metodo democratico. La sua coerenza in tale azione ha reso possibile il suo incontro con altre correnti e gruppi democratici, che sono via via venuti liberandosi dalla decomposizione centrista. In questi mesi, forse decisivi per l'avvenire dello Stato democratico, il PSI proseguendo in modo più vigoroso nella sua azione tradizionale vuole porre tutti gli italiani di fronte ai problemi concreti della società nazionale ed agli orientamenti da esso propugnati. Il PSI riafferma che solo la pace può assicurare lo sviluppo del Paese e favorire il processo storico verso il socialismo senza scosse violente. In tale processo la classe operaia raccoglie l'eredità di quei valori spirituali cristiani e liberali che la classe dirigente lascia cadere nella polvere della fatale sua decadenza, Nessuna ragione di guerra esiste tra l'Italia e gli altri popoli. Trascinata in una guerra, l'Italia diverrebbe ancora una volta il campo delle altrui battaglie e delle proprie distruzioni... Sul piano economico e sociale il PSI mira ad attuare quelle essenziali riforme di struttura per le quali la società italiana è matura e in particolare la riforma agraria e il controllo sui monopoli previsti dalla Carta costituzionale. Il PSI considera in modo positivo il recente riconoscimento da parte di uomini della stessa maggioranza che il problema di dare occupazione e certezza di lavoro a tutti i cittadini non si può affrontare senza un serio e organico intervento dello Stato che impieghi razionalmente tutte le risorse nazionali... Il PSI sottolinea l'urgenza di risolvere il problema dei rapporti con le masse cattoliche e quindi con il partito della Democrazia Cristiana sul terreno della collaborazione democratica per attuare la Costituzione. Non è la religione che tiene divisi socialisti e democristiani, ma la politica, ma il fatto che dopo la rottura dell'unità antifascista e più ancora dopo il 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana ha rinunciato alle riforme di struttura, che pure fanno parte del suo programma e delle quali anche il suo Congresso nazionale di Napoli ha sottolineato l'urgenza... La politica del PSI è rivolta a modificare tale stato di cose e quindi a superare le antiche e recenti diffidenze tra movimento socialista e movimento cattolico, a determinare le condizioni possibili perché tale processo possa svilupparsi nel futuro. L'apertura a sinistra patrocinata dal PSI nella battaglia elettorale, e con tanta maggiore forza ed autorità dopo il 7 giugno, si presenta quindi oggi in

XXXI

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APPELLO DEL PSI AL PAESE Dieci anni dopo il crollo del fascismo le istituzioni democratiche sono in grave crisi. Ciò è dipeso dal fatto che la classe dirigente si è allontanata sempre di più dai valori della Resistenza. I precetti della Costituzione, che garantiscono i diritti fondamentali dei cittadini e l'ordinato svolgimento delle funzioni costituzionali, non sono attuati o sono violati. Le strutture della Repubblica sono incompiute. L'adeguamento della legislazione ai nuovi principi non è avvenuto. Le grandi riforme non sono state nemmeno iniziate; i Ministri si pongono addirittura al di sopra della legge; in mancanza della Corte Costituzionale non esiste nemmeno chi possa giudicarli. Intanto si cerca di fare scomparire la democrazia dalla società prima ancora che dalle leggi. La discriminazione politica è in atto ovunque, nelle fabbriche e negli uffici, norma suprema dell'Amministrazione statale, essa impera nelle prefetture che pongono in essere in modo sistematico l'ostruzionismo e le persecuzioni contro le Amministrazioni popolari. La libertà è insidiata e offesa, il terrore fascista, il ricatto, l'intimidazione, fanno il loro ingresso nella fabbrica, nelle campagne non vi è pace per i lavoratori che si battono per la loro emancipazione, i giornalisti sono tradotti davanti ai Tribunali militari con assurde accuse, rozze misure avviliscono la libertà della cultura e dell'arte. L'indirizzo del Governo, dal quale dipendono la validità concreta e l'efficacia della legge nella sua stessa esistenza storica, è oggi in preda a una dinamica di rapida involuzione che mira a restaurare principi e istituti superati e condannati... Il PSI ha piena e responsabile coscienza di questo pericoloso evolversi della situazione italiana e da lungo tempo è intervenuto ottenendo dalla propria organizzazione e dagli elettori prove di alta maturità politica. Esso ha proseguito e sviluppato in questi ultimi anni la politica che appoggiò durante la

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termini che non sono strettamente parlamentari, ma di una esigenza storica che non può esser eliminata. XXXI

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Stato e di potenza dell'Unione Sovietica. Comunque una situazione grave da tutti i punti di vista, anche perché in Ungheria rialzano il capo le forze nazionalistiche e controrivoluzionarie. L'intervento sovietico ha dato loro una bandiera che gli studenti e gli operai in rivolta mantengono salda in pugno senza collusione a destra.

PIETRO NENNI: LA CORRENTE PURA E LA SPORCA SCHIUMA

Pietro Nenni (Da "Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956", Edizioni Sugarco)

Dall'Appello al Paese approvato Congresso (Torino, 3 aprile 1955)

dal

Il movimento operaio non aveva vissuto mai una tragedia paragonabile a quella ungherese, a quella che in forme diverse cova in tutti i Paesi dell'Europa orientale, anche con silenzi i quali non sono meno angosciosi delle esplosioni della collera popolare.

Il rapporto con i Paesi a "socialismo realizzato" è centrale nel dibattito culturale e politico degli anni cinquanta. Due gli episodi significativi: il XX Congresso del PCUS in cui Krusciov presenta un rapporto sullo stalinismo, e l'insurrezione ungherese del 1956 stroncata nel sangue dai carrarmati russi. È il momento, questo, In cui appare netta la divergenza di giudizio tra il PSI che condanna l'invasione e il PCI che la giustifica. Di questo abisso tra socialisti e comunisti nel valutare i fatti del '56, ne parla Nenni nel suoi Diari e nell'articolo "La corrente pura e la sporca schiuma" in cui, il 28 ottobre del '56, sull'"Avanti!", Pietro Nenni renda esplicita la posizione socialista. Ci sarà pure stata, come sostengono i comunisti, una "schiuma" di destra nell'insurrezione ungherese; ma questo non giustifica nulla, poiché a ribellarsi era stata una "limpida corrente". Malgrado Il rapporto Krusclov, l'errore del monolitismo Partito-Stato, della dittatura del Partito sulla Società, continua.

Centinaia di morti, migliaia di feriti versano in Ungheria il loro sangue in un combattimento fratricida, in cui la linea divisoria non passa tra partigiani e nemici del Socialismo, ma ha trovato da una parte operai e studenti, i quali volevano sul serio la liberalizzazione e la democratizzazione degli istituti politici e della vita pubblica (e la purezza delle cui intenzioni non può essere offuscata dalla schiuma fascista che certamente s'è mescolata alla limpida corrente delle rivendicazioni popolari) e dall'altra un vecchio gruppo dirigente comunista che ai suoi errori di direzione politica, ai suoi crimini, ha aggiunto l'appello insensato alle truppe sovietiche. Non era difficile prevedere (e fu da noi previsto) che più ancora che a Mosca, era a Varsavia, a Budapest, a Praga, a Bucarest, a Sofia, a Berlino Est che la caduta del mito di Stalin imponeva la revisione delle degenerazioni del peggiore stalinismo; uno stalinismo di importazione, senza radici nazionali o sociali, senza la spiegazione (non oso dire la giustificazione) dell'assedio imperialista e della guerra. Orbene è proprio in questi Paesi scossi, oggi, dalla indignazione o dalla rivolta popolare, che i vecchi gruppi dirigenti hanno dato l'impressione di non avvertire né la gravità della situazione, né la natura della spinta dal basso, né la necessità di prevenire per non reprimere. La Polonia, aveva per così dire, anticipato il XX Congresso, fino dal 1947, allorché Gomulka e Cyrankiewicz parlavano di "via polacca del Socialismo", intendendo una via diversa da quella sovietica, improntata alle caratteristiche nazionali e sociali del loro Paese. L'Ungheria aveva nel 1953, subito dopo la morte di Stalin, preceduto anch'essa il XX Congresso, col programma del ministro Nagy, improntato alla esigenza del ristabilimento di una vera democrazia socialista. Ma Gomulka era caduto in disgrazia e Nagy pure; il gruppo dirigente staliniano in Polonia aveva alla

La crisi di Budapest è scoppiata violenta e drammatica in forme di aperta insurrezione. Il popolo reclamava Nagy al governo. L'ha avuto. Ma nel contempo Nagy ha chiesto l'intervento delle truppe sovietiche contro l'insurrezione. A Budapest si combatte. A Budapest si muore. E nei combattimenti e nel sangue si spegne un sistema. L'intervento sovietico è un atto di incoscienza e di provocazione. Ricorda l'intervento russo un secolo fa a Budapest in condizioni quasi analoghe. L'internazionalismo diviene colonialismo. E spaventoso. Tullio ha scritto per l'Avanti! un articolo coraggioso. Ma siamo soltanto alle prime battute di una crisi di fondo. L'intervento sovietico in Ungheria scava un abisso tra noi e i comunisti. Ormai la polemica sta per diventare aperta e pubblica. "L'Unità" di oggi, riferendosi al mio odierno articolo sull'"'"Avanti!", paria di un articolo "grave" (e lo è certamente) e mi muove l'appunto di aver fatto mio il punto di vista socialdemocratico. Si fa presto a mettere un'etichetta alle cose che non piacciono. Meglio sarebbe discuterne il fondo. E in fondo c'è sempre l'identificazione dei comunisti con le posizioni di

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RODOLFO MORANDI: A VOI COMPAGNI MI RIVOLGO FIDUCIOSO...

svelta liquidato la via polacca del socìalìsmo; Rakosì a Budapest aveva con eguale facilità e con mezzi identici Iiquidato Nagy e il suo governo. Anche quando nel luglio scorso, Rakosi veniva costretto a prendere la via di Mosca per un viaggio che era un esilio, anche allora non si avvertì come le condizioni di una nuova vita imponessero non soltanto il ricambio degli uomini, ma quello del sistema, dei metodi, del costume. lì prezzo pagato a codesti errori è tale da fare inorridire. Non è tale da distruggere la fiducia che la nuova corrente operaia e popolare riesca a superare il solco degli errori e del sangue. Quanto di meglio noi possiamo fare per i lavoratori ungheresi è aiutarli a risolvere i problemi da essi posti a base dei rinnovamento della vita pubblica nel loro e negli altri Paesi dell'Europa orientale. Aiutarli a spezzare gli schemi della dittatura in forme autentiche di democrazia e di libertà. Aiutarli a dare all'economia socializzata e pianificata lo scopo di liberare l'uomo dalla schiavitù dei bisogno. Aiutarli a risolvere ì foro rapporti con l'Unione Sovietica in termini di autonomia e di indipendenza nazionale. Aiutarli a soddisfare la richiesta del ritiro delle truppe sovietiche che ha per sé in Ungheria il tragico suggello del sangue ed in Polonia quella della volontà popolare. Associandosi a questa richiesta i socialisti italiani non pongono in discussione il diritto delle rivoluzioni a difendersi, ma il principio che la difesa di una rivoluzione proletaria o è affidata ai petti e alle armi dei lavoratori o diviene impossibile. Si tratta per noi di confermare quarant'anni di battaglie contro la minaccia dell'intervento straniero in Unione Sovietica prima, in Cina poi; di confermare il principio che abbiamo con tanto accanimento difeso contro l'intervento inglese in Grecia, contro la dottrina di Truman, contro il tentativo di interpretare il patto atlantico come una garanzia nei confronti dei rischi di rivoluzione interna. Giù quindi le armi! Giù le armi della ribellione. Giù le armi della repressione. Giù le armi dell'intervento straniero. A questo prezzo c'è tempo ancora, malgrado tutto, per ricomporre in unità le forze che non vogliono né la perpetuazione dei recenti errori ed abusi, nè il ritorno a un passato irrevocabilmente condannato.

Quello che segue è il brano conclusivo del discorso tenuto da Rodolfo Morandi al VI Congresso della Gioventù Socialista. In esso Morandi ribadisce la grande fiducia che nutre nei confronti dei giovani, poiché "il domani attende di essere costruzione vostra, noi riusciamo a raffigurarcelo solo attraverso le proiezioni del futuro delle opere che sono messe in atto da voi". Convinzione di Morandi è che è sempre necessario stimolare le forze del Partito, spingere la base ad elevarsi, ed è proprio In questa ottica che si colloca la sua esortazione alle forze giovanili del PSI. Compagni, ho terminato. So bene il giudizio che pende su ogni mio discorso e ogni mio intervento, in quale che sia sede di Partito... So bene quel che si pensa di me: che mi tengo sempre troppo in alto e riesco troppo difficile, che io domando troppo al Partito, e, in particolare, domando troppo ai nostri giovani. Ma, vedete, non so servire il Partito altrimenti che con questa considerazione della dignità e delle illuminate risorse di una collettività organizzata. Mia convinzione è anche che siamo noi stessi troppe volte a deprimere la facoltà del Partito, quando invece è nostro compito di stimolarle, giacché l'aspirazione nutrita dalla base è di elevarsi, ed è con questa volontà che essa ci investe di funzioni dirigenti. Una parola poi mi sia in particolare consentita riguardo la immaturità che si attribuisce ai giovani, e il modo che deve tenere un dirigente di Partito nei loro confronti. Credo che da parte nostra sommo interesse e profondo rispetto debbono nutrirsi per l'ansia che vi possiede del domani, per il bisogno che così vivo sentite di applicarvi con le facoltà vostre alla ricerca e al vaglio delle esperienze delle quali siete partecipi. Questo bisogno, che vi anima in forza creativa, nasce dalla coscienza che il domani attende di essere costruzione vostra. Questo domani, noi riusciamo a raffigurarcelo solo attraverso la proiezione nel futuro delle opere che sono messe in atto da noi. Ma esso sarà pur sempre qualcosa di diverso da quello che crediamo di intravedere, poiché qualcosa di nuovo sarà aggiunto sicuramente a queste opere, qualcosa che non è contenuto nelle esperienze del presente e che non appartiene quindi nell'oggi alle nostre conoscenze. In questa convinzione, provo l'emozione più viva nell'esservi vicino in questo vostro tormentoso

Pietro Nenni (Dall'Avanti! del 28 ottobre 1956) §§§

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scrutare le vie che dovranno essere dischiuse dalla battaglia che vi attende. A voi, compagni, fiducioso mi rivolgo, perché le parole che ho pronunciate, quale che sia la validità dei concetti che ho formulati, risuonino nell'animo vostro come appassionato atto di fede nella gioventù d'Italia e nelle forze giovanili del Partito... Non è un partito debole, minato dalla sfiducia in se stesso che può osare un'azione unitaria conseguente. Solo un Partito che abbia eliminato il seme della divisione al suo interno, un Partito capace di stroncare qualsiasi tentativo di riprodurre nel suo seno situazioni degenerative, un Partito che abbia sbaragliato i personalismi, le clientele e le cricche e sradicato il malcostume, solo un Partito che abbia recuperato capacità di attrazione, un Partito che non si consumi in se stesso, ma sia in grado di protendersi verso l'esterno, un Partito che si accresce di forze e si ringiovanisce nelle sue strutture, un Partito che elevi incessantemente il grado della sua combattività, può a un tale obiettivo dirigersi.

comunismo la propria morte come operaio coincide con la morte di quel comunismo. Il marxismo ha così toccato il fondo. La classe operaia e contadina italiana si è pronunciata politicamente sui fatti d'Ungheria. Si è pronunciata nella mozione generale della CGIL che condannava l'intervento sovietico, nelle molte mozioni sindacali unitarie, nella rinnovata e ampliata fiducia data dalla CGIL in elezioni di commissioni interne di fabbriche che avevano registrato per l'addietro deflessioni sensibili del sindacato maggioritario, nel l'approvazione esplicita data alle posizioni dell'"Avanti!", nella disapprovazione di quelle dell'"Unità", in mille scatti di base, in mille atteggiamenti individuali nelle fabbriche. Anche la massima parte degli intellettuali marxisti si è pronunciata nettamente contro l'intervento sovietico, e così diverse organizzazioni di massa. A nome di chi, dunque, parla questo nucleo di dirigenti che approva l'intervento sovietico in Ungheria? Parlano essi ancora a nome della classe operaia o della classe internazionale dei funzionari della classe operaia? Il loro inguaribile distacco dalle masse li conduce ciecamente a non tener conto delle scelte della base, a causare una forse irreparabile rottura della classe stessa su un punto che poteva vederla finalmente unita, a pregiudicare fortemente la possibilità di una via italiana al socialismo che convogliasse con sé tutta la classe. La via italiana che non può certo tollerare una così evidente dipendenza dall'ultimo cenno del Cremlino ed un così netto distacco dall'espressione delle masse. Il giudizio su questi atteggiamenti è affidato non a noi, ma alla classe operaia. Ma vorremmo che qualcuno la mettesse esplicitamente in guardia verso la sua stessa generosità, verso un impulso troppo precipitato. È inammissibile che nel momento in cui dovrebbe valere il postulato della discussione e della critica, i funzionari facciano appello a serrare le file non già intorno alla ricostruzione del Socialismo e della sua linea politica, ma attorno ad una semplice conferma di fiducia. A chi osa ricordare come sotto l'attuale direzione si sia passati dalla conferma della condanna di Raik alla conferma dell'allontanamento di Gomulka, dalla conferma della condanna di Tito alla conferma della condanna di Poznan, via via clamorosamente smentite dai fatti, e quindi ritiene che perciò è lecito sia sottoporre a critica una direzione che ha dato tali giudizi distorti nei momenti più drammatici del movimento operaio sia temere che anche la condanna dell'Ungheria possa ad un certo traguardo aumentare la collezione degli errori, si risponde

Rodolfo Morandi (Dal discorso al VI Convegno della Gioventù Socialista) §§§

IL FILO ROTTO A BUDAPEST "Ragionamenti" era stata una delle riviste del dissenso socialista nei gelidi inverni dello stalinismo. Nel novembre 1956 Roberto Guiducci scrive per essa un saggio sui fatti d'Ungheria cui aderiscono molti intellettuali dell'area socialista e dissenzienti comunisti. È una disamina lucida, a tratti spietata, ma essa esprime come pochi altri scritti i sentimenti di amarezza, di frustrazione, di profonda delusione di intellettuali e militanti della sinistra che dopo il XX Congresso del PCUS e il Rapporto Kruscev avevano conservato un'esile speranza, pur essendo coscienti sin da allora che le aberrazioni del sistema sovietico non potevano essere tutte addossate alle colpe del solo Stalin. I fatti d'Ungheria ne costituiscono la conferma inequivocabile, che Togliatti si ostina a non vedere, a giustificare, a minimizzare. A Budapest un filo si è rotto irrimediabilmente, un mondo è andato in pezzi, la storia del Socialismo si è spaccata a metà. Chi non accetta questo, non accetta la realtà dell'Ungheria; crede ancora che la storia del Socialismo sia una storia ininterrompibile dello spirito marxista; non vuoi vedere la terrestrità e dell'ideologia e dell'uomo che la pratica; non ha il coraggio morale e politico di capire che per l'operaio comunista ungherese morto in battaglia contro il

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(come sempre si è risposto quando gli altri fatti sollevavano l'indignazione o il sospetto o la richiesta di spiegazioni da parte dei migliori e più coscienti): il Partito attraversa un momento difficile occorre far blocco attorno ad esso con disciplina e rigore. Questi appelli sono molto equivoci: quando il Partito socialista o comunista, interpretando autenticamente le decisioni e le posizioni della sua base, si trova in difficoltà, non sarà la base a negargli l'appoggio. Ma quando un Partito sta commettendo un grave errore, pregiudizievole per i suoi aderenti e per il socialismo intero, non può che essere un errore ancora più grande rinunciare alla critica, rinunciare a prendere la via diritta e decidersi a difendere in comune una comune strada sbagliata. Approvare in certi casi un Partito può essere convalidarne la rovina. Difendere in ogni caso un Partito deve essere in certi casi resistergli e modificarlo. Non ci si distingue dagli avversari denunciando i delitti altrui ed approvando i propri. Ciò fa assomigliare invece agli avversari. Il comunismo non si distingue denunciando le Algerie altrui e giustificando le proprie Jugoslavie, accusando i Suez altrui e accettando le proprie Ungherie. Per questa strada si arriva ad approvare l'assassinio di Raik da parte di Stalin perché il suo passaggio all'imperialismo era provato dagli stessi telegrammi che i "borghesi" avevano inviato per la sua liberazione; per questa strada si arriva a giustificare Eisenhower per l'assassinio del Rosenberg perché il loro tradimento era provato dai nostri telegrammi.

L'assetto raggiunto dal mondo e dall'Europa negli ultimi dieci anni è in piena crisi. I raggruppamenti di interesse, determinati da contingenti fattori internazionali, si vanno sciogliendo. Sorgono esigenze nuove all'interno dei blocchi. Si espande l'influenza dei Paesi neutrali. Si liberano dall'antico servaggio i popoli coloniali. La seconda rivoluzione industriale, la scoperta di nuove fonti di energia, l'esigenza della integrazione europea stanno mutando i termini fondamentali dei rapporti fra gli Stati e i popoli. Queste esigenze di profondo mutamento dell'economia e della politica trovano il nostro Paese impreparato a soddisfarle. L'inserimento del movimento operaio nella direzione della società e dello Stato appare come l'unico mezzo capace di rinnovamento del Paese. Ciò si deve attuare nella legalità costituzionale. Il PSI è convinto che sia giunto il momento per una grande iniziativa socialista che assicuri nel nostro Paese la democrazia politica e attui la democrazia sociale....in questa fase della vita del Paese, l'azione socialista è diretta a creare un'alternativa politica e di governo, e non esclude, anzi ricerca e sollecita, l'intesa con le forze laiche e cattoliche che abbiano comuni obiettivi democratici. Il Congresso ritiene che il dialogo coi cattolici, aperto dal Congresso di Torino deve essere proseguito per assicurare le convergenza di tutte le forze democratiche e del lavoro nello sforzo di avanzamento democratico e sociale. Il Partito lotta per un integrale ed equilibrato sviluppo della produzione, che si traduca in progresso generale dei lavoratori, sottraendo ai monopoli e al libero giuoco degli interessi privati l'incontrollata manovra delle leve economiche e principalmente di quelle degli investimenti...il PSI, fedele alla sua ispirazione neutralista, si batte per il superamento dei blocchi militari, il disarmo progressivo, il rafforzamento e l'universalità dell'ONU... considera favorevolmente iniziative come quella del mercato unico europeo e dell'Euratom, quando ne sia garantito il controllo democratico, quando risultino fermamente tutelati gli interessi dei lavoratori e le esigenze delle zone depresse, e ove venga evitata ogni complicità con la politica coloniale. Il Partito è pronto a concorrere a una politica europeistica che, saldamente appoggiata al movimento socialista e operaio tenda a fare dell'Europa una forza di progresso democratico e sociale, di mediazione e di pace. ... Tanto più vigorosa sarà l'azione su una politica socialista quanto più uniti saranno i socialisti. La via è aperta davanti all'unificazione socialista.

Roberto Guiducci (Da "Ragionamenti", novembre 1956) §§§

DALLA RISOLUZIONE FINALE DEL CONGRESSO DI VENEZIA Il XXXII Congresso del PSI (Venezia, Febbraio 1957) è un momento di sintesi del revisionismo socialista Iniziato timidamente nel 153, continuato a Torino col "dialogo", accelerato oltre ogni aspettativa dello stesso Nenni dal drammatici avvenimenti del 1956. Rappresenta ufficialmente l'uscita "politica" definitiva dal frontismo con un successo personale di Nenni. Ma segna al tempo stesso una grande sconfitta del leader socialista, Il quale, grazie alle abili manovre dei settori dell'apparato rimasti legati alla "politica unitaria" frontista, è messo In minoranza In Comitato Centrale e In Direzione. L'applicazione della linea politica autonomista di Venezia ne risulterà frenata e talvolta bloccata. Ciò nondimeno, Venezia segna uno spartiacque decisivo nella storia politica del PSI dopo il 18 aprile.

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La politica frontista non è né possibile né utile nella nuova prospettiva socialista. Sono in dissolvimento le coalizioni contriste, nelle quali le stesse spinte riformatrici della base socialdemocratica e cattolica sono state sacrificate alla destra economica e clericale. ... Il 32° Congresso del PSI prende decisamente l'iniziativa dell'unificazione socialista. Esso rivolge un appello al prossimo Congresso PSDI perché assuma un analogo impegno per una politica... che... realizzi la prima tappa della riunificazione e cioè l'azione unitaria dei socialisti e dei socialdemocratici...

dall'unità in poi, sono partiti 8-10 milioni di uomini validi. In verità, non è così: se oggi il Mezzogiorno mostra segni di ripresa e di sviluppo economico e sociale è perché - anche e direi soprattutto per la coscienza rivendicativa delle masse lavoratrici - si è iniziata una politica di riforme, di trasformazioni agrarie e di industrializzazione: non per l'emigrazione, nonostante il cosiddetto rivolo d'oro delle rimesse. Ecco perché noi consideriamo sbagliata la concezione di principio che sta alla base della vostra politica emigratoria e che riassunse un giorno l'onorevole De Gasperi nella famosa esortazione: "Italiani, imparate le lingue". Prima di pensare all'emigrazione come sollievo dei nostri mali, pensiamo a migliorare e a riformare il nostro sistema sociale, perché sia posto in grado di dare il pane a tutti i lavoratori italiani. Ma noi siamo abbastanza realisti e ci rendiamo conto che questa non è opera di un giorno e che, finché rimarranno le attuali strutture e gli attuali rapporti sociali, il problema della emigrazione continuerà ad essere posto davanti a noi. In queste condizioni, è nostro dovere fare in modo che l'emigrazione, come fenomeno che non si può evitare, sia difeso, tutelato, controllato e che ad ogni emigrante sia garantito il pieno riconoscimento dei suoi diritti economici e sociali, previdenziali, assistenziali e sindacali. Ricordo sempre quello che mi diceva a questo proposito una volta Bruno Buozzi, il quale aveva avuto una conversazione con un sindacalista australiano, che aveva affermato: "Vi è poca solidarietà nel nostro Paese per gli italiani (parlo dell'immediato periodo dopo la prima guerra mondiale), perché si adattano a tutti i salari e vivono dell'odore della cipolla".

Della Risoluzione finale del XXXII Congresso (Venezia, febbraio 1957) §§§

FERNANDO SANTI. I SOCIALISTI E L'EMIGRAZIONE L'emigrazione: una piaga che l'Italia si porto dietro già da decenni e che Il tempo non ha certo contribuito a far diminuire, anzi che è aumentata nel dopoguerra e causa della disastrosa situazione economica in cui si è trovato il Paese. L'atteggiamento del Governo è favorevole all'emigrazione, anche perché ogni emigrato è, in fondo, un disoccupato in meno. Un atteggiamento estremamente rigido, che forse è emblematicamente rispecchiato nelle parole di Alcide De Gasperi: "Italiani, imparate le lingue". A De Gasperi risponde in questo intervento alla Camera del 12 marzo 1958, Fernando Santi che denuncia l'incuria e il disinteresse dimostrato nel confronti degli emigrati italiani. L'emigrazione di massa non risolve il problema della disoccupazione, che è una disoccupazione strutturale, intimamente legata alle strutture economiche e sociali del nostro Paese, arretrate e talvolta addirittura feudali. Oso anche affermare che, nonostante le rimesse, l'emigrazione è un fenomeno non solo doloroso dal punto di vista umano e antisociale, ma antieconomico. La società spende ingenti mezzi e consuma notevoli energie per preparare e portare l'uomo in età lavorativa. Quando l'uomo è in condizioni di restituire alla famiglia e alla società il costo sociale che esige la sua preparazione, umana e professionale, di uomo valido ed efficiente, noi io mandiamo in giro per il mondo a creare la ricchezza per conto degli altri. Se fosse vero che l'emigrazione è fonte di benessere per il Paese che si priva di quella ricchezza che è rappresentata dalla forza lavoro, ebbene, la regione più florida del nostro Paese dovrebbe essere il Mezzogiorno, dal quale,

Femando Santi (Intervento alla Camera, 12 marzo 1958) §§§

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riferisce alla tutt'altro che impossibile eventualità di una crisi delle relazioni internazionali che ridia esca alle eccitazioni nazionalistiche e un contenuto all'anticomunismo viscerale. Chi dice destra e fascismo, pensa al complesso delle complicità che vedemmo in azione nel luglio scorso e che ci portarono sulla soglia di un conflitto civile di proporzioni e prospettive incalcolabili. Nell'attuale incerto equilibrio delle forze, creare, come si è fatto, nuovi centri di potere democratico nei comuni e nelle province, vuoi dire disorganizzare la destra, privarla di importanti punti di appoggio, rovesciare in alcuni casi i rapporti stessi di forza... La destra lo sa... e fa fuoco e fiamme. Sarebbe un grave ed imperdonabile errore assecondarne i furori e le manovre...

PIETRO NENNI: I DOVERI VERSO LA DEMOCRAZIA Nel luglio 1960 si consuma, con un momento di scontro sociale tra i più acuti del secondo dopoguerra, il più rilevante tentativo di uscire dalla crisi del "centrismo" con una "apertura a destra". Per Nenni non bisogna più frapporre indugi alle resistenze interne al PSI e alla DC per passare all'attuazione dell'"apertura a sinistra". Di fronte al "pericolo di destra" scatta In lui il meccanismo di difesa delle istituzioni democratiche come "dovere" fondamentale dei socialisti per non ripetere gli errori del '22. La relazione con cui apre il XXXIV Congresso del Partito (Milano, marzo 1961) è difatti incentrata sull'esigenza di non lasciare vuoti che possano essere coperti a destra, sollecitando la DC all'incontro basato sulla programmazione e sulle riforme.

Pietro Nenni (Dalla Relazione Congresso, Milano, marzo 1961)

Sui fatti di luglio siamo ormai sufficientemente in chiaro. La provocazione venne rapidamente stroncata dal popolo, senonché c'è un momento in cui il movimento di popolo o riesce a far prevalere una soluzione politica, o si trova a sua volta esposto al rischio di una avventura. Noi abbiamo conosciuto molte di queste situazioni nel 1921-22. Quel momento si presentò dopo lo sciopero generale dell'8 luglio. L'indomani bisognava che il governo della provocazione cadesse... Per farlo cadere fu necessario sollecitare i repubblicani, i socialdemocratici e la sinistra democristiana a cercare una soluzione che tenesse conto delle formule ed attingesse dalle circostanze carattere di aperta sconfessione dell'avventura di destra. Così sorse il ministero Fanfani nei confronti del quale il CC decise l'astensione dei gruppi parlamentari. A posteriori, come nel pieno dell'azione, ritengo che non c'era altro da fare, se non volevamo ricadere nel funesto errore -che pagammo terribilmente quaranta anni or sono - di rendere impossibile ogni soluzione all'infuori della peggiore. I socialisti sono in Parlamento non solo per protestare, non solo per dire di no quando è necessario dire no. Ci sono per utilizzare i loro voti secondo gli interessi dei lavoratori e della democrazia. La battaglia contro la destra e la stessa battaglia contro il fascismo è lungi dall'essere vinta, e chi dice destra e fascismo, da noi, oggi, non già si riferisce a quel tanto di organizzazione fascista monarchica ancora in piedi, sibbene all'ambiente sociale arretrato e antidemocratico, al capitalismo di avventura, alla destra rurale e a quella clericale, alle chiusure politiche e spirituali alimentate dagli anatemi ecclesiastici e che lasciano aperta la sola soluzione di destra. Chi dice destra e fascismo, si

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XXXIV

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PROPOSTE PER UN PROGRAMMA PER LE DONNE In occasione del settantesimo anniversario della fondazione del PSI il Movimento Femminile Socialista tiene a Mantova un Convegno Incentrato sulle "Proposte per un Programma Elettorale per le donne". I brani che seguono sono tratti dalle relazioni tenute in quella sede da Elena Caporaso e Anna Matera. La problematica trattata allora dalle donne socialiste è molto avanzata rispetto al tempi; eliminazione dei pregiudizi nel mondo del lavoro e della scuola, libero inserimento nell'attività lavorativa e presalario per le studentesse meno abbienti. L'apporto del PSI alla politica del centrosinistra se da un lato è destinato a influire sulle strutture economiche ed a elevare di conseguenza il tenore di vita dei lavoratori, dall'altro non può non concretarsi nell'imprimere al tessuto della società italiana quello spirito di libertà, di democrazia sostanziale, di progresso morale di cui l'ideologia nostra è pervasa. Ed è chiaro che di questo rinnovamento di costume, di cui le prime a beneficiare saranno le donne, noi socialiste - che giustamente abbiamo dato posto di rilievo alle battaglie del costume - siamo chiamate oggi ad essere le prime artefici nella prospettiva politica immediata che si presenta dinanzi a noi. Noi abbiamo una ideologia, un patrimonio di principi che consideriamo irrinunciabili e la cui piena realizzazione è la meta finale e la prospettiva storica della nostra azione. Oggi, dobbiamo operare una prima scelta, vedere che cosa è possibile fare in

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senso immediato tenendo presenti i cinque anni che sono dinanzi a noi e la fase politica che si prospetta. Oggi noi abbiamo il compito limitato ma concreto di inserire alcune brecce nel muro di arretratezza, di pregiudizi, di conformismo che ancora ci circondano in un ambiente economico che disordinatamente, fra contraddizioni e lacerazioni, pure si evolve. Noi sappiamo bene come pesi sulla donna italiana un complesso di fattori ambientali che le impedisce quello sviluppo armonico della personalità, quel l'ampliamento della propria umanità che è uno degli obiettivi base della lotta per il socialismo. Abbiamo più volte posto in luce gli ostacoli che la donna incontra fin dai primi anni di vita, quando si tratta di prepararsi al domani con una adeguata formazione culturale e professionale. Dalla più alta percentuale di donne fra gli analfabeti, ai minor numero di donne con titoli di studio, di ogni ordine e gradi, rispetto agli uomini, alla concentrazione femminile, pur quando la donna riesce ad arrivare a livelli elevati di formazione, in specializzazioni e facoltà di tipo tradizionale, tutto testimonia del minor peso che l'avvenire della donna ha per la famiglia d'origine, spesso per la donna stessa, comunque per la società; dal fatto che la personalità della donna è fin dagli inizi avvilita e mortificata. Il suo inserimento nel lavoro, non è frutto di una libera scelta, condizionato come è dalle più scarse possibilità e dalle più basse condizioni che il mondo produttivo le offre, dai la minore preparazione, da volontà familiari che spesso scelgono per lei (anche se ciò oggi è meno vero di ieri) da idee preconcette, dalla scarsa fiducia che la donna ha in sé stessa, dalla prospettiva di un nuovo compito di lavoro, quello familiare, che essa dovrà affrontare senza alcun aiuto da parte della società.

rispondente alle esigenze della grande battaglia democratica in corso di cui le donne sono sì gran parte. In primo luogo occorrebbe dire che, alla luce delle acquisizioni della moderna pedagogia e psicologia, è molto più giusto chiamare la scuola materna scuola per l'infanzia, per togliere ad essa anche nella definizione quel prevalente carattere di istituto assistenziale e ricreativo che essa ha avuto finora, e accentuarne invece il carattere educativo. Il punto sul quale, a mio avviso, devono accentrarsi le richieste delle donne socialiste è la reale gratuità della scuola da 6 ai 14 anni, gratuità che, per essere rea e, richiede la fornitura gratuita dei testi non solo per le elementari ma anche per la scuola dagli 11 ai 14 anni. È necessario inoltre che la scuola dell'obbligo sia una scuola "integrale", non limitata quindi ai suoi contenuti culturali programmatici, alla stanca prassi delle spiegazioni, delle interrogazioni e degli esami, ma concepita come centro di vita associata, di libera estrinsecazione delle proprie attitudini, di esperienze. Occorre che sia riaffermato con forza, ma non in astratto, per quanto riguarda l'istruzione media di secondo grado e l'istruzione universitaria la necessità dell'istituzione del presalario; molto spesso le donne sono sacrificate, quando la famiglia non possa affrontare le forti spese inerenti, specialmente universitarie. Tale scelta dolorosa che molte famiglie sono costrette a fare rappresenta la non utilizzazione di energie che potrebbero dare un notevole contributo alla società e una discriminazione inaccettabile. Anna Matera, della Commissione nazionale delle donne socialiste. §§§

Elena Caporaso (Segretaria della Commissione nazionale per le donne). Ritengo che molto opportunamente la sezione femminile abbia inserito, nel quadro delle particolari richieste che le donne socialiste presentano al loro Partito perché le inserisca nel programma generale che costituirà la piattaforma della prossima consultazione politica, la scuola. Non perché ci siano aspetti di questo vasto complesso e importante problema che interessino particolarmente le sole donne, ma perché è evidentemente, ai fini dell'emancipazione femminile inserita nel più ampio problema dell'emancipazione di tutti i lavoratori, molto importante che lo strumento scuola sia il più possibile adeguato e

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Antologia8

generale di programmazione degli investimenti, che implica un controllo ed una limitazione del potere dei gruppi monopolistici. 3. Una politica delle partecipazioni statali deve partire da una determinazione degli obiettivi di sviluppo economico che comprenda sia i compiti di investimento del settore pubblico sia quelli del settore privato. Lo sviluppo di una economia a due settori implica infatti una chiara definizione delle sfere ripetitive di espansione e la determinazione di obiettivi comuni, al cui raggiungimento ciascun settore deve concorrere in forza di impegni specificatamente determinati. 4. I piani di investimento del settore pubblico devono essere concepiti e realizzati secondo criteri che garantiscano l'assoluta economicità della gestione delle aziende a partecipazione statale e degli enti di gestione. Le aziende a partecipazione statale devono essere gestite secondo criteri di efficienza, di produttività e di redditività non meno rigorosi e di quelli propri di una sana azienda privata. Per assicurare istituzionalmente la suddetta economicità di gestione delle aziende a partecipazione statale, occorre che esse siano poste a parità di condizioni con le aziende private per quanto riguarda le fonti e le forme di finanziamento (autofinanziamento, ricorso al mercato). Ciò significa che il finanziamento di. retto da parte dello Stato non deve assumere la forma di sovvenzione o integrazione di bilancio, che potrebbe mascherare passività di gestione, ma solo la forma di aumento dei fondi di dotazione degli enti di gestione, o di investimento diretto Integrativo di quelli delle aziende o degli enti di gestione, quando si tratti di coprire il maggior onere finanziario che può derivare da decisioni d'investimento la cui economicità non può essere misurata soltanto secondo criteri di redditività aziendale, ma deve essere vista in una prospettiva di sviluppo economico e sociale. In altri termini, è lo Stato che deve assumersi direttamente i costi "sociali" di determinati investimenti, mentre l'impresa pubblica può essere solo chiamata a realizzarne la esecuzione secondo i propri criteri di economicità aziendale. 5. La politica d'investimenti del settore privato e del settore pubblico reciprocamente integrati trova il suo campo d'applicazione particolarmente nella industrializzazione del mezzogiorno, che deve, finalmente subentrare all'azione di preindustrializzazione, di cui sono ormai universalmente riconosciuti i limiti e la scarsa efficacia. 6. 1 rapporti fra azienda pubblica e i sindacati dei lavoratori non devono essere Improntati ad alcun

RICCARDO LOMBARDI: L'INTERVENTO PUBBLICO IN ECONOMIA Nel maggio del '59 Il contro-sinistra è ancora di là da venire. So ne parla molto, comunque, e Il PSI fin da allora punta sulla programmazione economica. Ne è esempio la relazione Introduttiva al Convegno sulle Partecipazioni Statali tenuta da Riccardo Lombardi. In essa Il discorso politico generale viene messo tra parentesi per mostrare quale sarà Il contributo socialista al futuri governi di collaborazione con la DC: un'attenzione estrema al problemi concreti, da affrontare però con soluzioni non affrettato ma di vasto respiro. Nello specifico la relazione di Lombardi mostra l'importanza che I socialisti attribuiscono all'intervento pubblico nell'economia, purché esso non si sostituisca all'iniziativa privata, ma questa si accompagni con compiti di Indirizzo e programmazione. Schema di relazione introduttiva al Convegno delle Partecipazioni Statali l. Lo sganciamento delle aziende a partecipazione statale IRI, FIM, Cogne dalla Confindustria e la loro organizzazione nell'ambito del ministero delle Partecipazioni Statali è la conclusione vittoriosa della prima fase di una battaglia condotta dal movimento di classe, alla quale i socialisti hanno dato un sostanziale contributo. Ma non si tratta tanto di un punto di arrivo, quanto di un punto di partenza che consente di proseguire la lotta su posizioni di maggiore forza. L'obiettivo fondamentale è quello di fare delle Partecipazioni Statali un potente strumento per una politica di sviluppo economico del Paese. 2. La tendenza attuale delle forze capitalistiche nei Paesi dell'Europa occidentale si manifesta sempre più accentuatamente in senso antidirigistico. Si reclama la più assoluta libertà della iniziativa privata, e cioè il dominio incontrastato e incontrollato dei gruppi monopolistici e si tende a limitare l'azione di politica economica dello Stato entro i confini tradizionali della finanza pubblica. Un simile indirizzo di politica economica ha per corollario il confinamento dell'impresa pubblica in posizione sempre più sussidiaria e subordinata rispetto all'impresa privata. à quindi necessario, in primo luogo impedire. l'accaparramento della impresa pubblica da parte dei privati a fini di profitto o di socializzazione delle perdite. Ma i socialisti non possono limitarsi a rivendicare la difesa ed il potenziamento dell'impresa pubblica nella sua efficienza aziendale e di gruppo: debbono indicarne la funzione nel quadro di un indirizzo

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criterio paternalistico: l'azienda pubblica deve però consentire e agevolare la massima libertà di azione e l'intero adempimento dei compiti dei sindacati, considerando tale azione quale elemento primario di economicità della gestione. 7.Tinserimento delle imprese pubbliche nella struttura democratica dello Stato richiede non solo una precisazione delle funzioni e competenze del ministero delle Partecipazioni Statali, ed un efficiente controllo parlamentare sugli indirizzi di tale ministero, ma anche una partecipazione degli enti locali (regioni, province, comuni) e delle rappresentanze di Interessi (camere di commercio) e corpi scientifici (università) alla elaborazione dei programmi di investimento e di espansione. 8. I problemi della partecipazione dei lavoratori alla gestione si pongono sia rispetto alle aziende a partecipazione statale, sia rispetto alle aziende private, come problema del controllo operaio, ovvero di rappresentanza dei sindacati negli organi direttivi delle aziende o degli enti di gestione.

bilancio; gli obblighi finanziari inerenti ad opere pubbliche o di aziende pubbliche già in corso di esecuzione o programmate; gli obblighi in corso verso le categorie dei dipendenti pubblici. Il centrosinistra deve cioè mettersi in grado di dire al Paese, ai lavoratori, ai nuovi ceti della scuola e della tecnica, agli operatori economici ed ai risparmiatori, come stanno le cose e quali abusi o privilegi saranno colpiti, quali sacrifici, e per quanto tempo saranno richiesti per superare la congiuntura sfavorevole e rilanciare l'economia con criteri che costituiscono per tutti una garanzia di lavoro e di sicurezza, in un primo tempo di benessere nella fase successiva. Portare i lavoratori e tutta la nazione su un piano moderno e democratico di sviluppo: ecco ciò che vogliamo. E mi consenta Il Congresso di concludere con una nota personale. Ho assunto la condirezione dell'Avanti! e sono entrato nella Direzione del Partito esattamente quarant'anni or sono, nell'aprile 1923, e non l'ho da allora quasi mai abbandonata. Sono al momento in cui l'aspirazione di un militante è il riposo, il raccoglimento, le memorie. Se sto ancora nella battaglia è perché considero decisivo questo momento della vita del Partito. Se dovessi in una frase dire che cosa mi ha più colpito nella mia lunga vita di combattente e di militante direi che è il dramma delle possibilità sciupate, delle cose che si potevano fare - in senso rivoluzionarlo e nell'ambito della vita democratica e non si sono fatte per una infinità di ragioni ognuna delle quali era giusta in sé e per sé, ma che finirono sovente per diventare un alibi onde scartare le cose possibili e ad esse sostituire la visione inebriante di cose più belle e più radicali, ma impossibili. Non ripetiamo quell'errore, compagni, facciamo, o cerchiamo di fare, per quanto sia in noi quello che è oggi necessario e possibile. Sarà un contributo dato all'avanzamento democratico del Paese ed alla difesa e all'avanzamento dei lavoratori, sarà una tappa che ci accrediterà presso ceti sempre più vasti del popolo lavoratore per raggiungere la meta della nostra vita: i lavoratori al potere per la costruzione del Socialismo.

Riccardo Lombardi (Della relazione introduttive al Convegno sulle Partecipazioni statali, maggio 1959) §§§

PIETRO NENNI: L'ITALIA HA BISOGNO DEI SOCIALISTI Sul centrosinistra ecco un brano di Pietro Nenni, tratto dalla relazione al 35° Congresso del PSI che si svolge a Roma nell'ottobre del '63 e segna la scelta del centrosinistra organico. È un passo Importante In quanto In esso è delineata la filosofia con cui Il leader socialista va al Governo. L'Italia ha bisogno dei socialisti per risolvere i propri problemi e i socialisti non debbono tirarsi indietro. Non bisogna aspettarsi miracoli, ma qualcosa è possibile fare. Il tono personale e accorato del brano mostra quanto Nenni sia convinto della necessità di assicurare subito la governabilità del Paese. Si può quindi dire che se il centrosinistra e la presenza dei socialisti in esso, rimangono la sola formula politica più rispondente ai rapporti di forza che le elezioni di aprile hanno creato in Parlamento, ciò è vero anche in relazione, alle esigenze di progresso tecnico e scientifico della nazione. E perché tutto sia chiaro fino dal primo momento, noi pensiamo che l'atto iniziale del nuovo governo, contemporaneo all'annuncio delle misure decise per fronteggiare la situazione congiunturale ed all'annuncio del programma di legislatura debba essere un inventarlo della situazione: le riserve dello Stato; l'entità degli impegni di bilancio e fuori

Pietro Nenni (Della relazione al XXXV Congresso, Roma, ottobre 1963) §§§

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FRANCESCO DE MARTINO: I COMPITI DEL CENTRO SINISTRA

Il dato del prodotto nazionale lordo per abitante dei quattro più importanti Paesi dell'Europa occidentale, l'Italia, la Francia, la Germania e l'Inghilterra, nel 1962 era calcolato in migliaia di lire per abitante: Italia 494, Francia 955, Germania 959, Gran Bretagna 918. Ora è l'acquisizione alla coscienza di questi dati e della necessità di intraprendere un corso politico nuovo per il nostro Paese che sta alla base della decisione dei quattro partiti che costituiscono oggi la maggioranza di dar luogo e vita al governo di centro-sinistra. Il quale nasce con la coscienza dell'urgenza di dar risposta a queste esigenze, e in primo luogo al problema dello Stato, che non può esser posto nelle forme direi di carattere tecnico con le quali l'onorevole Malagodi crede debba essere affrontato; questioni tecniche che certamente si pongono, che non sono estranee alla nostra considerazione, compresa la questione dei limiti del potere di autorità dello Stato e di Intervento nell'economia, ma che sono rappresentate in primo luogo dal problema di dare una consistenza ed una sostanza reali agli istituti di libertà, che sono in primo luogo costituiti dal problema di consentire l'ascesa delle classi lavoratrici alla direzione della società e dello Stato dentro gli istituti democratici. E' il tema centrale sul quale si costruisce questa maggioranza, sapendo bene che dovrà affrontare infinite difficoltà, ostacoli, contrasti; sapendo che per conseguire questo scopo occorre affrontare i rischi, anche quelli che ci riguardano come Partito, anche quelli che riguardano il nostro Partito come grande Partito storico dei lavoratori italiani. Siamo coscienti di queste cose, siamo coscienti di quello che rappresenta per noi stessi il ricordo degli anni nei quali fummo su trincee contrapposte. Ma abbiamo anche la convinzione che se non avessimo offerto al Paese questa alternativa politica, nessuno sarebbe in grado di indicare una alternativa democratica più avanzata di quella che oggi, nel rapporto attuale delle forze, è possibile costituire nel nostro Parlamento... Questa convinzione di costituire la sola alternativa democratica, insieme alla convinzione di interpretare le esigenze che scaturiscono da questa profonda trasformazione dei rapporti economicosociali, è stata alla base della nostra contrastata decisione. Non vi è dubbio che il programma che abbiamo sottoscritto sia un programma che incontrerà profonde difficoltà per la sua attuazione. Ma nessuno può contestare che si tratti di un programma sincera. mente democratico che sarebbe stato difficile sperare alcuni anni or sono, e che è possibile oggi, invece, accogliere in un documento programmatico.

In un momento storico importante in cui il Paese manifesta il bisogno di profondi rinnovamenti, De Martino indica nel suo Intervento alla Camera per la fiducia al primo governo organico di centro sinistra i caratteri essenziali del processo di trasformazione in atto nella società Italiane. L'importanza di una profonda rivoluzione tecnica in atto in vari settori dell'industria, l'afflusso di masse imponenti verso la città che genera uno spopolamento delle campagne ed in particolare del Mezzogiorno, l'accentuazione di preoccupanti squilibri tra zone e zone del Paese. Il governo di centro sinistra nasce per offrire significative risposte alle impellenti esigenze di questo particolare momento politico. Il compito dei socialisti è quello di affrontare con responsabilità la situazione, facendo il proprio dovere per trasformare in senso democratico e socialista il Paese. ... Siamo, all'inizio di una fase storica, nuova, della quale forse la classe politica italiana con ritardo ha avvertito l'affacciarsi, poco sensibile al bisogni di rinnovamento espressi dal Paese, mentre una fase rapida e tumultuosa di trasformazioni economiche e sociali si determina negli ultimi anni ponendo problemi ed esigenze nuove che la classe politica raccoglie con ritardo. Non ho bisogno di ricordare quali siano i caratteri essenziali di questa trasformazione: una profonda rivoluzione tecnica in alcuni settori dell'industria; l'afflusso di masse imponenti dalle campagne verso la città; lo spopolamento di una parte della campagna italiana e del mezzogiorno; l'accentuazione degli squilibri fra settore e settore, zona e zona del Paese, e motto spesso delle vecchie ingiustizie sociali. Queste trasformazioni ponevano con urgenza la necessità di un nuovo corso politico già da tempo. Lo affrontiamo con ritardo, quando alcune delle sue premesse sono state già pregiudicate, per colpa della vecchia classe politica dirigente che non fu attenta a cogliere le esigenze politiche nuove sorgenti da queste profonde trasformazioni dell'economia e della società italiana. Noi pensiamo di essere gli interpreti di questa coscienza nuova la quale diventa tanto più incisiva, quanto più vengono superati il vecchio provincialismo ed il vecchio nazionalismo e quanto più noi confrontiamo le condizioni del nostro Paese, non voglio dire con quella di Paesi lontani da noi e con diverso regime politico e sociale, ma di Paesi dell'Europa occidentale con i quali abbiamo affinità di ordinamento economico, sociale e politico.

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Questo programma vuoi dire in primo luogo attuazione dell'ordinamento costituzionale. Abbiamo combattuto lunghe battaglie per ottenere che la Costituzione non fosse soltanto un patto scritto, ma divenisse realtà nella nostra vita sociale e politica di ogni giorno. Dobbiamo salutare con soddisfazione il fatto che un Governo con la presenza dei socialisti si impegni a realizzare la Costituzione in tutti i suoi punti, compreso quello delle Regioni; le quali non sono, come sostiene l'onorevole Malagodi, una specie di cavallo di Troia entro il quale penetrerà il nemico della democrazia, ma che essendo sorta in contrapposto all'accentramento burocratico statale, che fu tipico della monarchia e del fascismo, non poteva non essere una democrazia fondata su ampie autonomie locali e sull'autonomia regionale. Abbiamo concordato in questo programma che tutta la legislazione italiana, a cominciare dalla legge di pubblica sicurezza, che contiene ancora norme del periodo fascista, sia riformata in senso democratico per adeguarla alla Costituzione repubblicana. Tutti riconoscono nella democrazia moderna che il Parlamento non può continuare a vivere come se lo Stato di oggi fosse lo Stato di cinquanta anni fa; tutti riconoscono la necessità di una riforma del regime parlamentare non nel senso di svuotarlo del suo potere, ma nel senso di dare a questo potere l'efficienza necessaria per porlo in grado di assolve. re a queste grandi scelte politiche ed economiche... Il nostro scopo è di rafforzare l'autorità del Parlamento, di porlo in grado di esercitare, con il tempo necessario, le sue funzioni, non quelle di deprimerlo... E se si passa dal tema dello Stato e dell'ordinamento dello Stato a quello della politica estera, per quanto ci riguarda e per quanto riguarda la nostra presenza al governo, l'ispirazione che guida la nostra politica è un'ispirazione di pace e di distensione e di ricerca di tutti i modi possibili per assicurarle. Debbo aggiungere che soltanto il fatto che si sia aperto nel mondo un processo di distensione internazionale, soltanto il fatto che per la prima volta sia stato possibile sperare che quelle grandi parole di pace pronunziate da molte parti incominciassero a divenire una realtà, ha costituito la possibilità per il Partito socialista di prendere in esame l'eventualità di un accordo con i partiti che sulla politica esterna hanno avuto posizioni fortemente diverse da quelle del Partito socialista: soltanto la convinzione che in una fase nuova dei rapporti tra i popoli e tra gli Stati, in una fase non più dominata dallo spettro della guerra fredda, sia possibile per noi partecipare ad un'azione di governo, con l'intento di sospingere

quest'azione verso fini che sono i fini generali della pace, i fini della convivenza pacifica fra i popoli e gli Stati con regimi contrapposti. L'altra parte essenziale del programma riguarda la politica economica, contro la quale naturalmente si accaniscono le opposizioni e le critiche da parte della destra, e molte riserve e dubbi e accuse di equivoci da parte dei comunisti. Ora, io non comprendo come si possa seriamente sostenere che la fase di arresto della nostra bilancia dei pagamenti e gli altri elementi che sono caratteristici dell'attuale momento congiunturale siano una conseguenza del Governo di centrosinistra dell'onorevole Fanfani e non vedano invece ricollegati precisamente alla mancanza di una politica che a lungo raggio regolasse in modo razionale il corso della economia italiana. L'onorevole Malagodi giunge evidentemente all'assurda tesi di individuare in alcuni risultati del Governo Fanfani le cause di mali che sono invece più profondi e sono legati all'insufficienza della nostra struttura economica nonchè alla mancanza di una razionale organizzazione della nostra economia: essendo assurdo che quegli elementi che egli denuncia siano solo la conseguenza di errori di governo e non siano invece, come è, conseguenza di mali più profondi nascenti dalla struttura della nostra economia... Si tratta, dunque, di una programmazione realizzabile, possibile, rispondente agli interessi del Paese; un programma che incontrerà sulla sua strada certo accanite resistenze, incontrerà incomprensioni; anche nel campo della sinistra, come sta avvenendo, incontrerà non solo dubbi, ma avversioni. I fatti diraderanno questi dubbi e queste avversioni. Ma io credo che si assumono una pesante responsabilità verso la democrazia e la classe lavoratrice coloro che, nel campo della sinistra, intendono impedire perfino l'inizio di questo nuovo corso e almeno la sua sperimentazione. Quello che chiediamo è di essere giudicati in base ai fatti, non all'inizio di questi fatti e prima che essi compaiono. Questo lo domandiamo a tutta la sinistra italiana. Lo domandiamo anche a quei compagni del nostro Partito i quali hanno, su questo problema, in linea generale, una opinione tanto diversa dalla nostra. Vogliamo dire che la vera alternativa alla politica che noi stiamo appoggiando non sarebbe in tal caso la sinistra: sarebbe la destra reale, e le prospettive per il Paese sarebbero estremamente oscure, mentre l'Italia ha bisogno di una democrazia stabile, di una democrazia che consenta, nelle libere istituzioni democratiche, l'avanzata dei lavoratori verso il socialismo e che assicuri l'ascesa dei lavoratori nel libero gioco delle istituzioni.

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A questo fine mira la partecipazione di noi socialisti al governo. Il nostro Partito non ha combattuto per decenni contro l'ingiustizia, la tirannia, soltanto per andare a sedere su qualche poltrona ministeriale, senza potere e senza possibilità di azione politica. Il nostro Partito ha condotto lunghe lotte nell'interesse dei lavoratori; non ha abbandonato gli ideali del Socialismo nè l'abbandona; è convinto che oggi il modo più giusto di servire questi ideali è di consentire che correnti importanti del mondo cattolico trovino un incontro con una forza popolare per realizzare la Costituzione, per disciplinare l'economia, per attenuare le punte più accentuate di ingiustizia sociale. Sarebbe delitto da parte nostra se offrendoci questa occasione noi la rifiutassimo costringendo quelle correnti a ritornare ad alleanze dalle quali sarebbe insidiata e minacciata la democrazia italiana la classe lavoratrice. La democrazia si sviluppa in un modo nuovo se questo dialogo può essere positivo, se si possono trovare forme più avanzate per la sua esplicazione all'esterno, se nel mondo cattolico quelle correnti che sono espressione degli interessi dei lavoratori o marxista, se quelle forze si consolidano e si rafforzano. Il fine anche della nostra politica nei prossimi anni è di consentire che queste forze si consolidino, che esse possano, riprendendo la genuina tradizione della socialità cristiana, dar luogo ad una stabile edificazione democratica, ad un sistema economico e sociale più giusto di quello dal quale stiamo per uscire. Il Partito non esaurisce la sua funzione soltanto perché esso partecipa ad una coalizione di governo. La funzione di un Partito non è solo quella di esprimere con la sua partecipazione alle maggioranze parlamentari, con la dialettica normale delle assemblee legislative, il governo di un Paese o l'opposizione se questo sia necessario, ma la funzione di un Partito è sempre una funzione più ampia che va al di là di quest'aula e investe il Paese, si richiama ai suoi scopi propri, ai suoi ideali e ai suoi principi. La funzione del Partito socialista, anche quando è impegnato nella collaborazione con partiti non socialisti, è di agitare nel Paese le idee del Socialismo e di mettere in rapporto le idee del Socialismo e l'avvento democratico al socialismo nella fase presente di pieno sviluppo della Costituzione repubblicana e di attuazione della democrazia. Questo è il nostro posto, questo è stato sempre il nostro posto in mezzo alle lotte per il lavoro e per il socialismo e questo sarà il nostro posto nella storia di domani, il nostro posto di grande partito di lavoratori, di grande partito della classe operaia italiana. E nessuno potrà escluderci da questo posto,

nessuno potrà toglierci quello che è il retaggio della nostra tradizione, dei nostri sentimenti, dei nostri ideali, quello che è il retaggio di tanta storia del popolo italiano e dei lavoratori italiani. I lavoratori ci giudicano, la società di domani ci giudicherà. Credo che questi lavoratori e questa società diranno un giorno che i socialisti non mancarono ai loro compiti e in modo coraggioso affrontarono le loro responsabilità e fecero il loro dovere per il socialismo, la democrazia e la pace del nostro Paese. Francesco Da Martino (Dal discorso pronunciato alla Camera il 16 dicembre 1963) §§§

RICCARDO LOMBARDI: CENTROSINISTRA E RIFORME DI STRUTTURA La realizzazione delle "riforme di struttura" fu il punto d'impegno per i socialisti nei governi di centro-sinistra. Non era facile perché si trattava di riforme che Incidevano profondamente nel Paese. Le opposizioni furono perciò decise fin dall'inizio. So ne ha conferma in questo articolo di Riccardo Lombardi apparso sull'Avanti! Il 12 maggio del '64. E insieme sì vede la volontà di agire, lo spirito pratico che troppo volte però rimasero frustrati. Un'altra convinzione emerge: che In una economia moderna non si può procedere allo sbando, è compito del potere pubblico Indirizzare e coordinare. Una macchina dotata di motore imballato, di freni capaci solo di inchiodarla e di un sistema di guida o inesistente o arrugginito: è con tale macchina che il governo di centro-sinistra deve percorrere una strada accidentata e inoltre provvedere durante la corsa a cambiare o rinnovare gli ingranaggi. Ciò spiega le difficoltà in cui esso si trova e giustifica gli eventuali errori, a condizione che questi servano a modificare la rotta quando occorra e a irrobustire la volontà politica indispensabile per conseguire la finalità essenziale che fu all'origine di questo governo: introdurre una fortissima componente di direzione pubblica nella economia del nostro Paese; fare dello Stato non già il despota ma il protagonista e il responsabile dello sviluppo economico del Paese. Si comprende bene allora il motivo della guerra distruttiva che i vecchi centri di potere conducono contro di esso. Essi comprendono bene che il centro-sinistra o conduce allo spostamento rilevante di potere decisionale dalle loro mani in quelle della collettività, o avrà fallito il suo compito essenziale.

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Essi vogliono preservare l'economia da ogni seria interferenza pubblica che non riescano a rendere subalterna vietando perciò com'essi dicono l'ingresso ai "non addetti ai lavori". Senonché tutti i lavori in una economia moderna e ordinata sono lavori pubblici e pertanto la collettività deve a tutti imprimere una direzione e su tutti esercitare il controllo. Da questo punto di vista la martellante campagna della stampa moderata per l'accantonamento, ciò che vuoi dire la rinuncia delle riforme di struttura, esige una risposta capace di tagliare corto ogni illusione a chi ha ragione di nutrirla, e di dare a chi la merita la fiducia necessaria; non certo il tipo di fiducia che viene sollecitata dalla stampa e dalle forze moderate, ma quella che nasce dal poter inquadrare i propri calcoli economici e imprenditoriali in una prospettiva di certezza. Fino a che, volontariamente o no, a mezzo di riserve, esitazioni, dubbi e trasparenti gradualismi si alimenta la speranza che saranno rinviate o peggio edulcorate le riforme di struttura che sono l'unica ragion d'essere di questo governo, l'offensiva di terrorismo economico, specie sul mercato finanziario, non avrà motivo di desistere da quello che è appunto il suo proposito: impedire le riforme o eliminare il governo. Nulla di più autodistruttivo potrebbe fare un governo quanto l'annunciare dei propositi che come ogni innovazione seria suscitano reazioni, preoccupazioni e squilibri e permettere che questi si cumulino con quelli derivanti dalla incertezza sulla realizzazione concreta di tali propositi.

L'individuazione di problemi specifici che la politica socialista si trova a dover affrontare nella società' industrializzata e nei Paesi europei induce a una grande cautela nel delineare una visione globale del capitalismo e della prospettiva generale di liberazione dell'uomo dalle servitù che esso gli impone. L'analisi marxiana dei rapporti di classe nella società capitalistica e dei potere di sfruttamento che viene esercitato in forza della proprietà privata dei mezzi di produzione non solo ha individuato uno dei fattori che sono all'origine della società industrializzata e dei tipo di consumi e di rapporti tra produzione e consumo che la caratterizza, ma ha illuminato con una visione che ancor oggi risulta penetrante e convincente tutti i nessi fondamentali nei quali si articolano I rapporti tra struttura e soprastruttura, tra privilegi proprietari e dominio di classe, tra organizzazione della produzione e organizzazione dei potere politico, tra capitalismo monopolistico ed espansione imperialistica. Ma quell'analisi e quella visione non sono più sufficienti per penetrare con il pensiero scientifico e intervenire con l'azione politica in tutte le complesse stratificazioni sociali e nei nuovi rapporti tra società e Stato che si sono sviluppati nel mondo capitalistico dei nostri tempi. Questi profondi mutamenti intervenuti nei presupposti stessi dell'ideologia socialista sono tali da determinare quella che ormai si usa considerare come una situazione di crisi. Dopo il crollo dei massimo sistema, proclamato al XX Congresso dei PCUS, dovrebbe essere finita, per il movimento socialista - e anche per la sua componente comunista che, nonostante le degenerazioni e le nefandezze di talune sue esperienze, appartiene pure sempre a quel filone -l'epoca dei sistemi ideologici globali e delle visioni escatologiche totali. D'altra parte, lo schema semplificatorio della divisione in due, per classi, o per schieramenti mondiali (borghesia e proletariato, Imperialismo e lotta per l'indipendenza), poteva avere qualche utilità come canone d'interpretazione storiografica e come guida per l'azione nelle società capitalistiche e nel mondo dei secolo scorso, ma si riduce a una mera mistificazione se lo si vuole ancora applicare alle società capitalistiche contemporanee, con le loro complesse stratificazioni sociali che non si lasciano più incasellare nelle classi tradizionali, e al mondo contemporaneo, con la sua varietà di livelli di sviluppo, di situazioni sociali, di regimi politici, col suo intreccio sempre mobile di contrasti palesi e convergenze occulte o viceversa. Se poi osserviamo le varie Ideologie alle quali, più o meno esplicitamente, si richiamano di fatto I Partiti

Riccardo Lombardi (Dall'"Avantí!" del 12 maggio 1964) §§§

ANTONIO GIOLITTI: LA CRISI DELLE IDEOLOGIE Il saggio "La crisi delle Ideologie" di Antonio Giolitti, che qui si riporta in ampia sintesi, è della metà degli anni sessanta. Esso mostra quale sia il retroterra culturale del centrosinistra. Dietro quella formula di governo non vi è empirismo spicciolo, ma la coscienza che è finita l'epoca delle grandi verità, delle grandi costruzioni teoriche. Dalla crisi, quindi, non si esce "sul terreno franoso dei sistemi Ideologici, bensì mediante un programma di azione riformatrice". A scrivere è un politico, Antonio Giolitti, che più di ogni altro si era battuto perché la politica del centro-sinistra avesse come metodo quello della programmazione.

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italiani di ispirazione socialista esse ci appaiono delle costruzioni sbilenche, risultanti da sovrapposizioni e rifacimenti successivi in stili diversi, con apporti dalle più varie provenienze. La radice marxista, quando sia ancora rintracciabile, è ricoperta dalle sedimentazioni che via via le varie correnti di pensiero, nelle varie epoche, sono andate depositandovi, giacché il movimento operaio è stato così intimamente mescolato a tutta la storia politica, civile, culturale dell'ultimo secolo, che anche le sue componenti più settarie si son trovate di fatto aperte o comunque esposte a tutte le influenze e permeabili a tutte le Infiltrazioni. Oggi, poi, non vi sono più barriere, e anche i filtri sono a maglia molto larga. Le Impalcature ideologiche si sgretolano e si ricompongono continuamente. Gli schemi nei quali si sono Irrigiditi i tentativi di trovare, in un sistema di interpretazione globale della storia, una guida permanente e infallibile all'azione, si sono Infranti non soltanto all'urto con una realtà che quegli schemi non erano in grado di contenere, ma anche per la eterogeneità dei materiali di cui quelle costruzioni erano fatte, Ibride mescolanze di teoria e pratica, di giudizi di valore più o meno consapevoli e di analisi più o meno scientifiche. Dalla crisi delle ideologie però non si esce né con la rassegnazione a un totale agnosticismo né con una proclamazione di disilluso pragmatismo. Nell'un caso e nell'altro, infatti, si resta all'interno di quella crisi. La politica socialista non può fare a meno di una "utopia", cioè di una lunga prospettiva, di una visione dei mondo che vuoi costruire. L'azione socialista non avanza se non è sorretta da un pensiero - non da un dogma - capace di elaborare e organizzare in una sintesi ideologica - non in un sistema - i valori, i fini, i modi e i mezzi del suo operare. Non basta che il Partito e la classe si presentino, nella pratica, per il solo fatto che esistono e agiscono, come "alternativa", come "nuova società". Devono essere anche portatori di un disegno teorico, o meglio, di una cultura. Questa elaborazione teorica dell'alternativa, questa costruzione di una base culturale, devono partire dalla realtà umana e sociale della classe operaia. Ma non si fraintenda: non stiamo qui sostenendo una funzione per così dire autarchica del "pensiero operaio" come portatore esclusivo della "nuova cultura", della "nuova scienza", concezione questa che giudichiamo astratta e antistorica, perché la classe operaia e l'azione socialista non possono escludersi dal contesto culturale della società in cui sono immerse, anzi devono assimilarlo, selezionarlo e rielaborarlo. Intendiamo parlare della necessità,

per il pensiero socialista, di collocarsi del punto di vista operaio, come posizione di classe, e perciò di non perdere mai di vista la condizione operaia come fondamentale termine di riferimento per l'analisi della società capitalistica industrializzata e come forza sociale e politica portatrice dei valori di libertà, di giustizia e di eguaglianza, i quali appunto, solo in quanto incarnati in questa realtà sociale di classe, non restano ornamenti di una retorica democratica e umanitaria ma si traducono in idee-forza, in pilastri di un nuovo edificio sociale. La componente culturale della politica socialista è d'importanza fondamentale in una strategia democratica del Socialismo che opera con le tecniche del consenso e dell'autorità, non della conquista violenta del potere e della dittatura. Le considerazioni sopra accennate intorno alla crisi della Ideologia socialista e alla necessità di non rassegnarvisi nell'agnosticismo o nel pragmatismo ma di superarla con una nuova sintesi inducono a tentare l'opera di ricostruzione non sul terreno franoso dei sistemi ideologici bensì mediante un programma di azione riformatrice, elaborato sulla base dell'esperienza e dell'analisi della realtà storica, dal quale l'utopia socialista possa trarre giustificazione razionale, concretezza, capacità realizzatrice. Antonio Giolitti §§§

LA CARTA DELLA UNIFICAZIONE SOCIALISTA La Carta dell'unificazione socialista viene pubblicata dall'"Avanti!" Il 31 luglio del '66. Il documento sanciscono la nascita del Partito unificato. Dopo la scissione di Palazzo Barberini e i colloqui con Saragat a Pralognan nel '56, la collaborazione nei governi di contro-sinistra aveva segnato un riavvicinamento tra socialisti e socialdemocratici. Tutto lasciava pensare ad una riunificazione. E così fu. Ma il documento di unificazione, seppure ricco di novità - come l'insistenza sulla Inscindibilità tra socialismo, democrazia e libertà - non era privo di ambiguità e soprattutto di genericità. Non fu fatto strano, quindi, se il Partito unificato ebbe vita breve. A nulla erano valso e tal proposito le "cautele" di De Martino, che Insisteva sulle diversità esistenti tra PSI e PSDI, malgrado Il ceppo comune. Nel brano di De Martino, comunque, la preoccupazione maggiore è quella di non lasciare troppo spazio a sinistra, e a disposizione dei comunisti.

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... Il Partito (PSI-PSDI unificati) continua la tradizione del movimento socialista italiano... ne raccoglie, come proprio patrimonio, le esperienze dottrinarie, a cominciare da quella fondamentale del marxismo... Il Partito non richiede ai suoi militanti l'adesione ad un credo filosofico o religioso ed accoglie, con pari diritto di cittadinanza, tutte le correnti di pensiero che accettano i principi etici e i postulati politici e sociali ispirati agli ideali di giustizia, di eguaglianza e di pace... Il Partito ha il fine di creare una società liberata dalle contraddizioni e dalle coercizioni derivanti dalla divisione in classi prodotta dal sistema capitalistico e nella quale il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione del libero sviluppo di tutti.... Il socialismo è Inseparabile dalla democrazia e dalla libertà, da tutte le libertà, politiche, civili e religiose e non può essere realizzato che nella libertà e con la democrazia, così come la democrazia non può essere attuata integralmente se non col socialismo. ... Il Partito conduce la lotta contro il sistema capitalista e le ideologie che esso esprime, per superarle e costruire una società nuova, autenticamente democratica. ... La evoluzione democratica dal capitalismo al socialismo comporta un periodo di transizione che ha il suo naturale quadro istituzionale nella democrazia repubblicana e la sua caratteristica nelle riforme di struttura della società e dello Stato... tali da permettere di conseguire nella libertà nuove forme di vita associata ed individuale modificando a favore dei lavoratori i rapporti di potere tra le classi e realizzando una effettiva partecipazione di tutti alla direzione della Società e dello Stato...

nell'ultimo ventennio, costituiscono pur sempre un pericolo per la democrazia, ogni qualvolta si creano le condizioni di instabilità della direzione democratica del Paese. Per assicurare questo elemento di stabilità il Partito è favorevole alla collaborazione con altre forze politiche democratiche, su un programma che comporti comuni obbiettivi di progresso e di avanzamento dei lavoratori e del Paese. Ma anche quando il Partito accede ad alleanze di maggioranza o di governo con forze non socialiste, esso non rinuncia alla lotta ed alla critica sistematica del capitalismo, né a perseguire in modo autonomo gli obiettivi che gli sono propri. Il centro-sinistra è la forma politica attuale di tale collaborazione. Il centro-sinistra ha reso possibile la realizzazione di importanti riforme... ed è fermamente impegnato nella programmazione economica, che riassume in sé un vasto piano di riforme. Si pone nel nostro Paese più che altrove il problema del comunismo. Nei suoi confronti esiste per i socialisti una frontiera rigorosa ideale e politica, che scaturisce dal principio che non vi è socialismo senza organizzazione democratica del Partito, della società e dello Stato. Il dato sempre emergente nel pensiero e nella azione del gruppo dirigente comunista italiano rimane la identificazione acritica con un modello di esercizio del potere che manca di validità per popoli e Nazioni dove il pluralismo della vita democratica e civile ha radici profonde nella storia e nel costume... In tali condizioni non è possibile una lotta comune per il potere dei socialisti coi comunisti. Perciò, senza escludere la possibilità di azioni occasionalmente parallele o convergenti, il Partito mantiene ferma l'esigenza di un civile confronto critico e polemico sui contenuti rispettivi del Socialismo e del comunismo. Il Partito reca al l'internazionale il contributo delle esperienze di un movimento rimasto fedele ai principi dell'internazionalismo - la consapevolezza dei rischi inerenti ad ogni alterazione unilaterale dell'attuale equilibrio sul quale si regge la pace del mondo, sia pure in modo precario; - la ricerca di sempre maggiori rapporti tra i Paesi dell'Ovest e quelli dell'Est; - l'incoraggiamento ai paesi neutrali e non impegnati nel loro sforzo di rinascita politica ed economica e di mediazione pacifica.

Ma il problema fondamentale che pone il capitalismo contemporaneo non è più quello della anarchia delle forze produttive... e delle crisi cicliche che spingerebbero il sistema verso la catastrofe. Il problema fondamentale è quello delle concentrazioni di potere che dispongono dei nuovi mezzi offerti dalla tecnica e dallo sviluppo delle forze produttive. La soluzione socialista è quella di un nuovo assetto che mediante la programmazione democratica e le riforme di struttura crei le condizioni per un impiego di quei mezzi e per l'esercizio dei poteri che essi consentono, conforme alla scala dei valori propria del Socialismo. ... La politica di sviluppo democratico della vita civile, di programmazione economica, di pieno impiego e di riforme atte a modificare la struttura della società ed i rapporti sociali, comporta una dura lotta contro la destra, l'estrema destra e le pressioni conservatrici che benché ripetutamente battute

Dalla Carta dell'Unificazione (l' Avanti! , 31 luglio 1966) §§§

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FRANCESCO DE MARTINO: I PROBLEMI DELLA UNIFICAZIONE

Partito impegnarsi sulle priorità e sui tempi di esecuzione del programma, fuori dell'adempimento del quale la nostra presenza al governo non avrebbe scopo e non avrebbe senso. In proposito se esistono nella DC incertezze, preoccupazioni, resistenze accresciute nelle ultime settimane dalla unificazione socialista, esiste tuttora una maggioranza la quale sa che non si può tornare indietro, né fermarsi a mezza strada. Ciò è testimoniato dal saluto che la direzione della DC ha inviato al Partito unificato e dall'impegno ribadito di attuare, di qui alle elezioni, la parte più impegnativa e qualificante del programma del 1963. Non è cosa di poco conto avere dal '62 in poi introdotto un fattore di movimento democratico in una situazione stagnante. Non è cosa di poco conto avere superato la crisi monetaria del 1963-64 e la crisi di recessione della produzione del 1964-65 difendendo la condizione di vita dei lavoratori non senza evitare loro dei sacrifici ma non facendone il capro espiatorio esclusivo del risanamento economico e finanziario. Non è cosa di poco conto avere attuato o portato fino al voto del Parlamento riforme dell'ordinamento economico e sociale delle quali si parlava accademicamente da vent'anni. Non è poca cosa essere sulla soglia del dibattere risolutivo della programmazione, della legge ospitaliera, di quella urbanistica. Non è poca cosa se si sono accorciate le distanze tra governo e sindacati operai e tra governo e cittadini. Non è poca cosa, nel campo del costume, un caso come quello di Agrigento, in cui per la prima volta si colpisce immediatamente dove si deve colpire e si prendono i provvedimenti amministrativi che debbono essere presi. Non è poca cosa, sempre nel campo del costume, che corrotti e corruttori della classe politica od amministrativa si sentono esposti a dover pagare di persona. Non è poca cosa avere offerto al cinema e al teatro alcune garanzie sulla libertà della creazione artistica. Orbene, su tutte queste cose, e molte altre, c'è il segno anche della presenza socialista e se il corpo elettorale lo vuole questo segno ci sarà sempre di più ed in maniera sempre più efficace.

Il tema dell'unificazione socialista... deve essere affrontato in modo giusto e realistico, con la coscienza delle diversità tutt'ora esistenti che derivano sia dalla differente esperienza storica sia dalla differenza di composizione sociale dei due Partiti. Considerarlo in modo troppo affrettato vuoi dire condannarlo all'insuccesso. Peggio ancora sarebbe se l'unificazione fosse concepita come il puro e semplice trasferimento nel Partito socialista italiano sul terreno della socialdemocrazia. Questo disperderebbe un patrimonio di idee, di valori ideali, di lotta che sono propri della tradizione socialista, dei quali altri si approprierebbero. Sarebbe altresì compromesso il fine -dell'unificazione e cioè la creazione di un solo e grande Partito socialista... capace di iniziative unitarie verso l'intero movimento dei lavoratori. Il PSI ha proceduto nel corso di quest'ultimo decennio ad una coraggiosa revisione dei suoi indirizzi politici ed ha dimostrato in modo incontestabile la sua autonomia e il suo impegno democratico... La socaldemocrazia, pur superando il centrismo e pur iniziando una più positiva collaborazione con il PSI... non ha proceduto ad una revisione di pari importanza dei suoi orientamenti fondamentali per quanto riguarda le conquiste socialiste... Francesco De Martino §§§

PIETRO NENNI: IL SEGNO DELLA PRESENZA SOCIALISTA Il brano di Pietro Nenni che segue, è del 1966 ed è tratto dalla relazione svolta al XXXVII Congresso, quello dell'unificazione con i socialdemocratici. In esso Nenni traccia una sorta di bilancio del centro-sinistra, mostrando come, ancora una volta il Paese abbia tratto Innegabili benefici dalla partecipazione del PSI al Governo. E Nenni Il elenca uno dopo l'altro, come al solito convinto che un esempio vale più di mille ragionamenti.

Pietro Nenni (Dalla relazione al XXXVII Congresso, Roma, ottobre 1966)

Il giudizio del nostro Partito sulla attuazione della politica di centro-sinistra è stato a più riprese formulato dai congressi e dal Comitato Centrale, perché su di esso occorra ritornare. Si è trattato di un giudizio in larga parte positivo, in parte critico. Ma vale il proverbio contadino che dice: aspetta la sera per giudicare il giorno. La sera, cioè la scadenza della legislatura, si avvicina. Tocca ormai al nuovo

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FRANCESCO DE MARTINO. PORTIAMO CON NOI UNA GRANDE EREDITÀ

metodo, che lascia la libertà di espressione in particolare nel campo della cultura. Perché senza questa libertà tutto si isterilisce, decade e muore: e noi abbiamo bisogno di essere questa forza di iniziativa nel Paese e dare questa sicurezza alle forze avanzate della cultura italiana: che il Partito Socialista sarà Il loro partito, perché sarà il partito del progresso, della giustizia e della libertà, che sono le note fondamentali di una grande cultura... Credo che sarebbe Ipocrisia da parte nostra non dire apertamente che una delle ragioni principali che ci inducono ad unire tutte le forze socialiste del Paese è perché siamo convinti della necessità di creare un equilibrio nuovo nella società Italiana. L'equilibrio che finora ci ha governato è l'equilibrio formatosi dopo il 1946-'47. Ma la situazione italiana di oggi ha bisogno di equilibri nuovi; e Il fatto che noi unifichiamo le forze socialiste vuoi dire potenzialmente una contestazione del primato in doppio senso: nei confronti della Democrazia Cristiana, per quanto concerne la direzione del Paese, nel confronti del Partito Comunista, per quanto concerne la direzione del movimento operaio. Come si potrà poi sviluppare questa potenziale aspirazione e creare per il Partito Socialista condizioni nuove di equilibrio politico, questo naturalmente non spetta a noi di dirlo oggi: questo sarà deciso nell'azione politica del Partito e sottoposto ai congressi del Partito, che si convocheranno a cominciare dal giorno dopo le prossime elezioni politiche. Ma ciascuno sente in Italia che quello che oggi facciamo acquista un senso e un valore se significa la creazione di queste possibilità, affinché Il socialismo riprenda quella funzione che aveva nel 1945-'46 e che permise la vittoria repubblicana; e la riprende in condizioni diverse, nuove, più favorevoli, perché I tempi nei quali viviamo sono tempi nel quali si impone una guida socialista del nostro Paese. Perciò l'alternativa della quale parliamo è un'alternativa che proponiamo come prospettiva della nostra azione politica, sapendo che non si realizzerà domani, ma sapendo che la vita cammina In quella direzione. Noi faremo perciò nella nostra azione politica tutto il necessario perché questo possa essere raggiunto; creando intorno a noi il consenso crescente del Paese e dei lavoratori. Per fare questo dobbiamo creare un Partito forte, vigoroso, che sappia essere profondamente democratico nella realtà delle sue strutture interne, che sappia superare la fredda contrapposizione delle frazioni, che sappia elaborare le soluzioni politiche, raccogliendo quanto vi è di giusto, legittimo e

Francesco De Martino, nella sua relazione al Congresso dell'Unificazione socialista, svoltosi a Roma nell'ottobre del 1966, sottolinea l'importanza della nascita del nuovo Partito unificato per giungere a nuovi equilibri nella società Italiane che possano mettere In discussione Il ruolo egemone della DC nella direzione del Paese e del PCI sul movimento operaio. Per De Martino, quindi, è necessario un Partito socialista forte, democratico nelle suo strutture Interne, capace di ricollegarsi alla sua storia e di percorrere unito Il cammino verso la graduale costruzione del Socialismo nel nostro Paese. A nessuno sfugge, compagni il senso profondo di questo giorno, nel quale, ricollegandoci alle nostre grandi tradizioni del passato e facendole rivivere in mezzo a noi, guardiamo però al futuro e agli anni che verranno, al compiti che si porranno dinanzi a noi, al compito che incombe sulla nostra generazione, quello di imprimere con l'unità dei socialisti, come premessa dell'unità di tutti I lavoratori italiani, un moto profondo di rinnovamento e di trasformazione alla società italiana, per tracciare, non solo nell'elaborazione teorica ma anche nella azione politica, la via democratica verso la conquista del Socialismo... Il nostro Paese si regge con una Costituzione che è tra le più avanzate dell'Europa moderna e noi sappiamo che siamo dentro questo Stato, dentro questa Costituzione, perché sono nostri, perché Il abbiamo creati noi, con Il sacrificio, con la lotta, con la passione di migliaia di militanti e di combattenti. Sappiamo che entro questo Stato possiamo sviluppare la nostra lotta democratica, perché grande e forte è oggi la organizzazione dei lavoratori. Quello che stiamo facendo con la Costituzione socialista è appunto prospettare un modo più appropriato, uno strumento più valido, un'organizzazione più grande e più forte per adempiere a questo scopo... Naturalmente la Carta dell'Unificazione non poteva elaborare Il programma In tutti i suoi dettagli e neanche entrare nel vivo della questione politica o delle prospettive politiche che si presenteranno. E da questo lato molto attendiamo dall'apporto delle energie intellettuali che oggi si stringono attorno al Partito Unificato. A queste energie vogliamo dire che il Partito Unificato non sarà una prigione chiusa e soffocante, ma sarà una causa di libertà, nella quale avranno cittadinanza le varie opinioni, perché siamo convinti dell'immensa superiorità di questo

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positivo in ciascuna posizione che emerga sapendo che nessuno ha per definizione la verità rivelata, che nessuno ha una specie di formula magica per risolvere tutti i problemi della società, sapendo che i nostri compiti sono Immensi e difficili. Ma In questo giorno solenne, che commuove l'anima di tutti I presenti e credo i milioni e milioni di lavoratori Italiani che guardano a questa grande assemblea, credo che sia giusto dire che portiamo con noi una grande eredità. Pensiamo al. la nostra storia, pensiamo a quel braccianti, agli umili operai scacciati, oppressi, che circa un secolo fa trovarono per la prima volta nella parola del Socialismo una guida, una speranza di civiltà, una speranza di avanzamento. Sappiamo che cosa sia costato il livello civile cui è giunto il Paese. Sappiamo a che si deve la nostra democrazia. Sappiamo che cosa è stato fatto nel passato, quando i contadini siciliani si organizzarono nel primi "fasci siciliani"; quando i nostri compagni, forse con le stesse bandiere che abbiamo visto qui ' vecchie e lacerate bandiere del Socialismo, sfidarono la reazione crispina: quando nel 1911 combatterono la guerra In Libia, quando, più tardi, si alzarono in piedi contro il fascismo. Sappiamo tutti che cosa è stato il nostro passato. Noi sappiamo tutto questo e sappiamo, compagni, che il Partito che stiamo creando sarà forte e vincerà, se sarà degno di questa tradizione, se sarà capace di prendere in mano queste vecchie bandiere, portarle più innanzi e affidarle alla gioventù, perché, finalmente, essa crei il socialismo e la democrazia.

occasione - non vuol dire essere sopra le parti. lo sono sempre stato e rimango dalla vostra parte". Miei cari compagni, - ho molto temuto nei giorni scorsi, e fino a ieri, di non riuscire a farvi visita nel corso del vostro congresso, del quale ho seguito a distanza il dibattito estremamente ricco di interesse per i lavoratori e per la democrazia italiana. Questa mattina finalmente ce l'ho fatta, ma sono arrivato, come vedete, appena in tempo per spegnere i lumi. Il vostro congresso si è concluso, concluso mi auguro felicemente ed io non posso che limitarmi a rivolgervi un saluto estremamente affettuoso, estremamente caloroso, insieme ad un ringraziamento che viene dal profondo del cuore per l'accoglienza che avete voluto riservarmi. Voi non potete certo operare oggi il miracolo di rendermi più giovane e avete compiuto quello di rinverdire, di rendere più vivi e profondi i ricordi di vicende e di uomini cui sento legata gran parte della storia della mia vita; una storia, compagni, alla quale ancora oggi cerco di garantire un minimo di continuità attraverso l'esercizio di responsabilità che sono diverse ma nelle quali ho fatto il possibile per cercare di portare, e cercherò ancora di portare, lo stesso animo, lo stesso spirito, la stessa passione, la stessa devozione agli interessi dei lavoratori di un tempo. lo non penso che sarebbe degno né di voi, né di me il farvi oggi delle promesse o l'assumermi degli impegni di carattere specifico. Una cosa che posso dirvi è che se per avventura l'avvenire dovesse riservarmi ancora per qualche tempo la sorte di dover mantenere la carica di Ministro del lavoro, io farei in modo di continuare a fare nello stesso modo quello che ho fatto fino ad oggi, a comportarmi nello stesso modo con il quale mi sono comportato fino ad oggi qualunque siano le proteste e qualunque fossero gli scandali. Nella vita bisogna sapere che scegliendosi degli amici si scelgono anche degli avversari. Ebbene, io ho scelto i miei amici e voi siete, lo sapete, fra i miei amici e i miei compagni più cari. E se, al termine del vostro dibattito e al termine di questo mio breve saluto, un augurio ho da rivolgervi, è quello che la volontà, l'impegno e l'ansia di promuovere l'unità del movimento sindacale italiano che si è manifestata facciano dei concreti, rapidi, incisivi passi in avanti in un momento nel quale molte cose in bene o in male stanno mutando. Nel momento in cui le stesse sorti della democrazia sono aperte a prospettive per certi versi suggestive, ma per altri versi pericolose, credo che il movimento sindacale sia destinato a rappresentare un concreto, deciso punto di riferimento, non solo per il mondo del lavoro ma anche per tutti coloro che credono nei valori della

Francesco De Martino (Della relazione alla Costituente socialista, Roma, ottobre 1966) §§§

GIACOMO BRODOLINI: DA UNA PARTE SOLA, DALLA PARTE DEI LAVORATORI La breve ma intensa azione di governo di Giacomo Brodolini, come Ministro del lavoro, è la testimonianza di come egli abbia saputo tradurre Il suo Impegno politico In realizzazioni - basti pensare alla Statuto dei lavoratori - che rappresentano ormai punti formi nell'avanzamento di tutta la società Italiana. Colpito da una malattia Incurabile, Brodolini rimase fino all'ultimo al suo posto, di ministro. La notte di Capodanno del 1968, la passò con i lavoratori di una fabbrica occupata. l'Essere ministro - disse loro in quella

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democrazia e nei valori della libertà di cui, storicamente, del resto, il mondo del lavoro è sempre stato il portatore... Il movimento sindacale ha compiuto nelle ultime settimane, e altre credo ne compirà nelle prossime, sotto questi punti di vista, degli importanti passi in avanti, che credo vadano salutati come un fatto altamente positivo. Da tempo associandomi a voi io non perdo occasione per predicare l'esigenza e l'urgenza di perseguire con decisione estrema nella vita del Paese l'obbiettivo della unità e della autonomia sindacale. Ebbene verso questo obbiettivo si è venuti camminando, anche se bisognerà spingere ancora. E da parte mia ho il dovere di darvi atto, fin da questo momento, della importanza della vostra sollecitazione e del vostro contributo. Tutti quanti, ora, bisogna però che meditano sul fatto che l'unità sindacale, anche se rappresenta un obbiettivo autonomo del movimento operaio, è destinata ad incidere a fondo anche nella vicenda politica del nostro Paese e ad incidere in modo positivo. C'è chi si scandalizza per cose che sono state dette anche nel vostro congresso; in Italia c'è sempre chi si scandalizza chi ha paura dell'uomo che predica la moderazione o chi invita a non abbandonare le antiche strade. Ecco, io non mi scandalizzo, io penso anzi che ogni contributo ed ogni spinta a realizzare ordinatamente una ristrutturazione che è nell'ordine naturale dell'evoluzione delle stesse formazioni politiche, sia da salutare come un contributo valido e che non abbia niente di comune invece, con i tentativi talvolta artificiosi di coloro che pretendono di sfasciare le forze politiche avanzando delle argomentazioni o delle giustificazioni di carattere meschino. E, concludendo il mio saluto, se penso personalmente ad assumere un impegno dinanzi a voi, è questo: una azione di governo è sempre condizionata da molte difficoltà, un governo ha sempre al suo interno complesse e molteplici componenti, complesse e molteplici sfumature, ma lo penso che valga la pena di rimanerci soltanto se fino a quando sia possibile servire con lealtà e senza deteriori compromessi gli interessi dei lavoratori e concorrere, seppure modestamente, a fare in modo che questi interessi avanzino e che le posizioni di forze dei lavoratori si affermino. Ma io voglio anche dirvi amici che nulla, né un uomo, né un complesso di uomini, né un governo, né una parte di un governo, possono sostituire la spinta che è sempre necessaria ed indispensabile: la spinta rappresentata dalla iniziativa autonoma, dalla forza, dalla

combattività, dalla compattezza e dalla consapevolezza del mondo del lavoro. Ci sono coloro che si scandalizzano delle agitazioni degli scioperi, ebbene, in questi ultimi mesi a me non è mai avvenuto di scandalizzarmi se non per qualche sciopero che ho ritenuto in qualche caso contro natura e contro gli interessi generali dei lavoratori. La lotta operaia infatti deve anche saper trovare in se stessa e nella capacità di autogoverno del movimento sindacale le proprie limitazioni. Ma quando la lotta operaia spinge in avanti verso soluzioni positive e nel campo contrattuale e nel campo generale, essa non è un fastidio, non un ostacolo, anzi un apporto e un aiuto a chi, su altri piani, su qualsiasi terreno dalle amministrazioni comuni al parlamento, al governo, voglia svolgere un'azione collinare con quella del mondo del lavoro. Un deputato da solo non è niente, un ministro da solo non è niente, un consigliere comunale da solo non è niente, ma ognuno di noi onestamente concorre alla evoluzione generale della società, alla crescita della democrazia e al progresso dei lavoratori, nella misura in cui sappia saldarsi al movimento generale delle masse e tragga da esso le sollecitazioni, le spinte e gli stimoli per delle incisive realizzazioni e per delle avanzate conquiste. Giacomo Brodolini (Dall'intervento al Congresso della CGIL, 21 giugno 1969 e dalla sintesi del discorso all'XI Congresso delle Acli, 22 giugno 1969) §§§

FRANCESCO DE MARTINO: EQUILIBRI PIU' AVANZATI L'editoriale con cui alla fine del 1970 Francesco Da Martino dalle colonne dell'"Avanti!" formula gli auguri di capodanno avanza l'esigenza di "equillibri più avanzati" cioè - come è detto nel testo qui riportato - "di una diversa maggioranza che in qualche modo associ tutta la sinistra alle responsabilità del potere". Fu un'espressione molto ricorrente nel dibattito politico di quegli anni anche se rimase lettera morta. In essa Da Martino esprimeva l'insoddisfazione per i risultati del centro-sinistra e insieme l'esigenza che i fermenti espressi dal '68 venissero in qualche modo rappresentati nella compagine governativa. L'accentuarsi delle tensioni sociali, e la diffusa inquietudine che esiste nel Paese, dimostrano l'insufficienza e il ritardo con i quali si vengono affrontando i suoi problemi reali che vanno da quello fondamentale di un ritmo produttivo adeguato alle esigenze delle forze di lavoro, per una

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occupazione sicura e stabile, alle grandi riforme civili, scuole, casa, sanità, trasporti, finanze e così via. Persistono grandi dislivelli storici fra Nord e Sud, e forse si aggravano. Il Mezzogiorno è divenuto ancora una volta la grande riserva dell'emigrazione e la sua povertà offre facile esca alle sommosse e all'estremismo di destra, mentre si accresce la concentrazione industriale in alcune zone del Nord, creando nuovi gravi problemi umani, sociali, amministrativi. In questo quadro occorre considerare le difficoltà dell'azione di governo che non possono ricondursi soltanto alle persistenti polemiche tra i partiti del centrosinistra e tanto meno, come da varie parti si vorrebbe far credere, alla richiesta del Partito socialista di equilibri politici più avanzati, cioè, fuori dagli eufemismi, di una diversa maggioranza che in qualche modo associ tutta la sinistra, comunisti compresi, alle responsabilità del potere. Chi sviluppa contro il nostro Partito questa polemica ignora che noi abbiamo posto questa esigenza assieme all'altra di un rinnovamento profondo dei grandi partiti e delle loro linee tradizionali, abbiamo parlato di processi lenti e contrastati ed abbiamo riconosciuto che prima delle elezioni politiche del 1973 non esistono le condizioni politiche di mutamenti tanto profondi. La posizione del nostro Partito è, dunque, corretta e leale; non è affatto, come sostiene La Malfa, una immatura e frettolosa anticipazione di formule, di schieramento rispetto ai contenuti della politica, ma è precisamente ricerca del confronto sui contenuti per promuovere quel processo di rinnovamento capace di adeguare la democrazia italiana alle impetuose esigenze di progresso della nostra società, ponendo tutti ed in particolare il movimento operaio, partiti e sindacati, davanti alle responsabilità di una scelta coerente. Se questa è la posizione del Partito socialista, non vi è contraddizione tra la ricerca di nuovi equilibri e l'appoggio che diamo al governo di centro-sinistra e che intendiamo mantenere, salvo inadempimenti del programma, per la durata di tutta la legislatura. Siamo convinti che la condizione dell'economia e quella, in genere, del Paese, non riceverebbero alcun vantaggio da catastrofi politiche, da una anticipata consultazione elettorale, da un grave inasprimento dei rapporti fra i partiti ed, in sostanza, da una prova di incapacità della democrazia. Perciò abbiamo combattuto qualsiasi disegno di questo genere e continuiamo a sostenere la necessità di un periodo di stabilità democratica che è indispensabile per la ripresa dell'economia al massimo ritmo di sviluppo

e per attuare le riforme che fanno parte degli impegni di governo. Francesco De Martino dicembre 1970)

(Dall'"Avanti!" del 31

§§§

GIACOMO MANCINI: GLI INSEGNAMENTI DEL CENTRO SINISTRA Sull'Almanacco socialista del 1978 in una intervista Giacomo Mancini faceva un bilancio del centro-sinistra. Era il momento in cui, profilandosi i Governi di solidarietà nazionale, il centro-sinistra era guardato ormai con sufficienza e perfino con sospetto. Giacomo Mancini ne prende invece le difese, sostenendo che con esso si è aperto un nuovo corso nella vita politica italiana e che è stato il centro-sinistra a far sì che si accorciassero le distanze tra lo Stato e i cittadini. Non è giusto dimenticare che con il centro-sinistra abbiamo aperto un nuovo corso nella politica italiana. Lo abbiamo aperto individuando, nel congresso di Torino, l'importanza del problema politico del rapporto con i cattolici. Lo abbiamo aperto con il revisionismo socialista attorno agli anni '60 con acquisizioni di cui ancora oggi si alimenta il dibattito nella sinistra, non solo italiana. Non sarebbe giusto dimenticare tutto questo, non sarebbe giusto assumere una posizione non di critica ma di distruzione di tutto un patrimonio di esperienze politiche. Nel complesso, quel l'esperienza, di cui tutti noi non ci stanchiamo di denunciare limiti ed errori, rappresentò il primo tentativo di affrontare sul terreno politico concreto il problema di un'intesa, di una convergenza, di un raccordo tra le forze politiche popolari più rappresentative. L'esperienza del centro-sinistra ha insegnato che trent'anni di gestione democristiana del potere non si cancellano in un giorno. Influenze e presenze moderate, conservatrici, talvolta decisamente reazionarie, si sono ramificate in una molteplicità di centri di potere economico, politico, statuale. L'esperienza politica del centro-sinistra, sin dal suo sorgere, ha insegnato qualcosa. Il processo di Catanzaro è un forte richiamo per una seria riflessione politica. L'avvicinarsi della sinistra nell'area del potere e del governo provoca reazioni' violente, fenomeni di "rigetto", contraccolpi minacciosi. Lo vediamo anche nell'attuale fase politica.

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L necessario farvi fronte con una ampiezza di raccordi democratici, ma è necessaria anche un'azione nostra, di lunga lena e tenacia, per diffondere la democrazia in ceti sociali e in settori dell'opinione pubblica i quali, specie in questo momento di crisi, guardano con scetticismo, diffidenza, se non con avversione, al sistema democratico (e tanto più all'ipotesi di una sua gestione da parte di uno schieramento di sinistra); nelle forze politiche, nel mondo cattolico e nelle sue organizzazioni in cui persistono posizioni di integralismo, di intolleranza, e di rifiuto della cultura laica; e soprattutto nelle istituzioni, nello Stato, nei suoi corpi e nei suoi apparati. E' una questione di capitale importanza per la democrazia. Certo, non possiamo affrontarla con l'ottocentesco apostolato socialista che, come dicevano i nostri pionieri, trasformava la plebe in popolo, ma la nostra vocazione democratica, la nostra disponibilità al dialogo con l'evidente esclusione di chi predica e pratica la violenza, vanno messe alla prova, con senso di responsabilità e con assoluta fermezza.

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GIACOMO MANCINI: IL RUOLO DETERMINANTE DEI SOCIALISTI Prima del XXXIX Congresso del PSI, che si svolge a Genova dal 9 al 14 novembre del 1972, sono avvenuti molti fatti di rilievo politico: dalla fine dell'esperienza della Unificazione socialista, alla strage di piazza Fontana a Milano, alle elezioni presidenziali del 1971, che vedono Giovanni Leone eletto con i voti determinati della destra fascista. La relazione congressuale di Giacomo Mancini, segretario uscente, li tratta tutti ampiamente e analizza a fondo le cause del fallimento dell'Unificazione e il ruolo svolto dal socialisti nel governi di centro sinistra, le luci e le ombre di questa esperienza determinante per la crescita democratica del Paese. La crisi della unificazione socialista ebbe radice nel suo modo stesso di originarsi come operazione che non creava una situazione unitaria nuova del movimento socialista nel Paese, ma anzi sommava deficienze passate dei due Partiti a deficienze nuove, a nuove carenze e a nuovi errori; che non allargava come aveva preteso l'influenza socialista e democratica tra le masse lavoratrici ed i ceti democratici, ma la restringeva, creando una pericolosa situazione di isolamento della base popolare del Paese. Il congelamento degli organi dirigenti derivante dalla unificazione, il clima di diffidenza interna tra le correnti, le contrapposizioni chiuse e violente erano il sintomo e la conseguenza di una situazione che portava a creare fatalmente una divaricazione di fondo tra le posizioni di chi presumeva di imporre alla vita e all'azione del Partito uno stampo moderato, e la parte socialista che respingeva la pretesa. All'immobilismo interno faceva riscontro la paralisi dell'azione del movimento socialista nel Paese e lo affievolimento della presenza socialista nell'azione del governo... Alle soglie dell'autunno caldo si resero evidenti ed esplosero le contraddizioni dell'unificazione... l socialdemocratici, di fronte alla spinta rinnovatrice delle masse, di fronte alle tensioni sindacali, mostravano già di abbandonare il tiepido riformismo che ne aveva guidato, negli anni sessanta, la marcia dalle posizioni centriste di allora, al centro-sinistra ed alla unificazione, si qualificavano sempre di più come forza refrattaria ad un rapporto politico con l'azione popolare e sindacale. Un dato ulteriore della situazione generale del Paese veniva dalla evoluzione del Partito comunista, dalle

Giacomo Mancini (Dall'Almanacco Socialista 1978) §§§

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sue posizioni nei confronti dell'invasione sovietica in Cecoslovacchia, dalla coscienza in esso emergente dell'esigenza di una nuova collocazione rispetto ai problemi della società italiana e, in particolare, dei diversi rapporti tra i socialisti ed i comunisti, anche rispetto alla nostra esperienza di partecipazione al governo, che portava in campo conseguentemente la questione del cosiddetto superamento della delimitazione della maggioranza, cioè dello spazio politico da offrire per rendere concreto il contributo del PCI allo sviluppo della linea riformatrice, senza che venissero modificati i rapporti tra opposizione e governo, ed i rapporti tra i socialisti al governo ed il PCI all'opposizione... H nostro esame critico ed autocritico non può però annebbiare il nostro giudizio politico su questa fase della vita italiana che ha introdotto elementi positivi nella realtà del nostro Paese; che ha determinato una situazione di movimento nelle forze politiche e tra le forze politiche; che ha scosso condizioni arretrate e congelate a tutti i livelli della società italiana, che, comunque, ha portato allo scoperto nodi risolutivi, antiche e nuove piaghe, problemi accantonati ed irrisolti. Nell'esperienza di centro-sinistra, con la partecipazione al governo, ci siamo cimentati con i problemi reali del Paese, abbiamo affrontato e portato avanti importanti questioni, ad alcune delle quali si è data attuazione concreta, in termini positivi e convenienti per le classi popolari del nostro Paese. Nè va dimenticata, nel giudizio sul centro-sinistra, la svolta nella politica estera del nostro Paese, mercé l'iniziativa che ha portato al riconoscimento d'ella Cina Popolare, grazie all'azione decisiva del compagno Nenni nella sua qualità di ministro degli esteri; all'adesione al progetto di sicurezza europea; alla posizione italiana nei rapporti con il Terzo Mondo. Se non si sottolineano questi elementi positivi, non ci si può dare ragione della reattività conservatrice e fascista, che si è manifestata con la violenta reazione contro la partecipazione socialista al governo, e che ha avuto il suo punto di svolta con le elezioni regionali siciliane ed amministrative del giugno 1971... Nell'esperienza di governo abbiamo incontrato nel corso di tutti questi anni enormi difficoltà nel doveroso tentativo di svolgere una funzione reale di controllo politico su I l'organizzazione e sul funzionamento delle forze armate e delle forze di polizia. Molte cause hanno concorso ad aumentare ed esasperare queste difficoltà: i pregiudizi, i sospetti e le prevenzioni di antica data nei nostri confronti mai dismessi e spesso alimentati ad arte; la complessità obiettiva e la delicatezza dei problemi

connessi alla macchina militare; le deficienze - come già detto - della nostra cultura politica, e non soltanto della nostra, che si è rivelata incredibilmente disarmata e disattenta dinanzi a questo tipo di problemi; anche la tendenza propria dei corpi separati, ma particolarmente acuta in questo settore a sottrarsi a qualsiasi tipo di controllo democratico reale. Non sono problemi nuovi: già ai suoi tempi Turati lamentava, dai banchi dell'opposizione, che i bilanci militari fossero regolarmente accompagnati da relazioni sommarie e mistificatorie, che impedivano al parlamento, anche nei settori della maggioranza, e alla opinione pubblica, di sapere niente, o quasi. È grave riconoscere che, a tanti anni di distanza, e nello stato repubblicano, le cose non sono cambiate di molto: con l'aggravante che la presenza dei socialisti al governo, anche in posizioni di primaria responsabilità, non sia servita a garantire nemmeno certe scelte e certe nomine delicate che riguardano i vertici delle forze armate. Scelte per le quali abbiamo assunto, tuttavia pesanti responsabilità di ordine politico, e non soltanto politico. Lo spirito di collaborazione e di lealtà, il senso dello stato - che ho prima ricordato -con il quale siamo andati al governo per realizzare le riforme sociali ed economiche, che assorbivano tutto il nostro impegno, è stato tradito proprio da quei settori e quei gruppi, che oggi ci rimproverano pretestuosamente di doppiezza e di massimalismo eversivo, ma che sono stati colti in gravi colpa, in episodi anche clamorosi, che hanno dimostrato i guasti, le distorsioni, la strumentalizzazione delle funzioni più delicate dell'apparato statale. Non è facile valutare tutte le conseguenze politiche provocate da questo stato di cose, anche perché ci mancano ancora, nonostante i nostri sforzi, tutta una serie di conoscenze dei dati e delle situazioni relative a questi settori; le reticenze, gli omissis, i non motivati segreti politici e militari sono stati fatti valere non solo in certi processi giudiziari, ma anche nei confronti dei compagni impegnati nelle responsabilità di governo. Ed è assolutamente impensabile una nostra nuova assunzione di responsabilità, o anche solamente la ripresa di un dialogo, senza un pregiudiziale e franco chiarimento su questo terreno e una corretta e democratica soluzione di questi problemi, che nel quadro della svolta moderata in atto rischiano di diventare drammatici. Al governo e all'opposizione, non è ulteriormente consentito - come ho già detto - il silenzio, la disattenzione, l'inerzia, di fronte a problemi di tale importanza. Il nostro spazio, ripeto, si vede bene da quanto abbiamo detto della democrazia cristiana e del

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Partito comunista, dei sindacati, degli organi dello stato, della questione meridionale, della politica delle riforme, dell'economia, della scuola, dell'amministrazione della giustizia. Ovunque noi volgiamo lo sguardo vediamo profondi squilibri sociali, paurosi vuoti di democrazia, carenze democratiche ' impegnativi compiti di lotta per estendere e moltiplicare la partecipazione popolare alla vita dello stato. E questo è il nostro spazio, uno spazio che abbiamo tutte le carte in regola per occupare. Carte in regola di fronte alla nostra tradizione popolare e democratica, di fronte a quell'impetuoso moto di rivolta del Partito che segnò la scissione socialdemocratica e per tutta l'azione politica svolta da allora in poi. Carte in regola per un discorso socialmente avanzato in un quadro di certezza democratica aperto ai ceti medi, ai tecnici, agli intellettuali e per presentare e sostenere una proposta politica seria misurata e responsabile che punti soprattutto alla difesa delle istituzioni repubblicane; e a un impegno immediato e incisivo a sostegno dell'economia e delle regioni meridionali in particolare. Certamente abbiamo commesso errori; certamente abbiamo spesso affrontato compiti superiori alle nostre forze; certamente abbiamo compiuto ritardi nella diagnosi di certe situazioni e nelle conseguenti iniziative. Ma di fronte ai motivi più profondi che portarono i socialisti a respingere l'indirizzo che si voleva imporre nel 1969, cioè di fronte all'esigenza di non spezzare i legami con le masse popolari, noi le carte in regola le abbiamo tutti. Questo è appunto ciò che non ci può chiedere nessuno - ed è quanto è stato giustamente sostenuto in questi mesi di dibattito dai compagni Bertoldi e Manca e che ci trova consenzienti - è di portarci lontano dai problemi vivi e veri dei lavoratori, problemi che cozzano certo con gli interessi dei proprietari; di portarci lontano dal senso di giustizia delle masse che di certo cozza anche con gli "omissis" dei documenti di stato; portarci lontano, far da spettatori nelle lotte sindacali - che certo incidono sulla rendita parassitaria e di speculazione e anche sui problemi della produzione; portarci lontano, recidere i legami che abbiamo con tutte le forze interessate alle riforme. Ecco quello che non ci si può chiedere e che non possiamo fare. Questo vorrebbe dire estraniarsi da noi stessi, proprio questo significherebbe cedere il campo, rinunciare al proprio spazio politico, far scomparire nel nulla la famosa area socialista. Tutte le storie del bipolarismo, perfetto, imperfetto e perfettissimo; tutte le storie sul temuto scavalco della DC da una parte e del PCI dal l'altra, tutte queste sono valutazioni che non reggono alla critica.

Bipolarismo oggi, in Italia, vorrebbe dire i clericofascisti al potere e gli oppositori non certo all'opposizione democratica. Alle supposizioni sull'incontro DC-PCI (un incontro addirittura aereo perché dovrebbe avvenire sopra la nostra testa e sopra tante altre teste ancora) può credere davvero soltanto chi ha smarrito completamente il senso della situazione italiana e anche il senso di ciò che ci fa socialisti. Magari avessimo tanta forza e tanta capacità da poter assolvere a tutti i compiti che la situazione politica, economica e sociale del Paese ci assegna! Ciò che avviene è purtroppo il contrario: troppe volte siamo assenti, troppe volte non riusciamo ad arrivare, troppe volte non riusciamo a risolvere le questioni che pure abbiamo visto. Su queste questioni dovremmo applicarci con più paziente impegno, senza velleitarismi e senza soluzioni di continuo e senza gli alti e bassi tra esaltazione e depressione che sono purtroppo quasi una nostra costante caratteristica. Ma a nostro onore dobbiamo dire che tutti i grandi fatti della vita politica nazionale - dalla repubblica all'ordinamento regionale, dalla svolta a sinistra alla collocazione dell'Italia fra i Paesi più pacifici del mondo, dalla scuola dell'obbligo allo statuto dei lavoratori - tutti i grandi fatti portano la firma e l'impegno dei socialisti. E sappiamo che tutti i fatti nuovi che dovranno venire, o verranno con noi o non verranno, se si tratta di fatti riformatori e democratici. E non è solo perché occupiamo in Parlamento una posizione pressoché determinante per far quadrare i conti delle possibili maggioranze. È perché occupiamo storicamente nel Paese uno spazio che è solo nostro, a patto di non perderlo deliberatamente; perché svolgiamo nel Paese una funzione che nessun altro può svolgere, a meno di non dimenticare noi stessi. Giacomo Mancini (Dalla relazione al Congresso di Genova, novembre 1972) §§§

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necessaria, senza peraltro sottrarsi al dovere di contribuire all'esistenza di governi con la più ampia maggioranza possibile. Dall'altro lato, l'alternativa della sinistra sarebbe nelle condizioni presenti o una velleità o una avventura. Nessuno può nascondersi che un'alternativa della sinistra nelle presenti condizioni sarebbe sotto l'influenza predominante dei comunisti. Questo è un dato politico dal quale non si può prescindere. Anche se il nostro Partito non condivide né accetta preclusioni di ordine ideologico nei confronti del Partito comunista, tuttavia non si devono ignorare i limiti obiettivi derivanti da questa caratteristica. Certo, il Partito comunista ha fatto molti importanti progressi nella via della revisione di principi e metodi tradizionali, e si è qualificato come il più aperto partito dell'Europa occidentale, non solo affermando in modo netto la sua scelta democratica, ma anche rivendicando un notevole grado di autonomia rispetto al movimento comunista internazionale e alla guida sovietica. Ma tutti i nodi storico-politici non sono risolti. Rimane la contraddizione tra la solidarietà con regimi che si ispirano ad una ideologia del potere statale per noi inaccettabile, e la volontà dichiarata di perseguire in Italia una soluzione democratica diversa da quella attuata nei Paesi dell'Est. Se le cose stanno nel senso descritto, non è difficile da parte nostra definire la linea d'azione per il prossimo futuro. Tra conservazione dei vecchi rapporti ed alternativa, appare sempre più valida una posizione che si sta sviluppando in atti concreti, che domanda un mutamento dei rapporti, un rinnovamento della politica e pone in modo più esigente il tema dell'iniziativa e del rafforzamento del Partito socialista. Ci sentiamo obbligati a maggiori responsabilità, alla ricerca di soluzioni idonee ai problemi dell'economia e della società, ad una costante elaborazione politica che si tenga fuori della propaganda e dell'agitazione demagogica e non si abbandoni al massimalismo delle parole.

FRANCESCO DE MARTINO: NECESSITÀ DI CAMBIARE I RAPPORTI DI FORZA Chiusa l'esperienza del centro-sinistra, si apre per il Paese una fase buia. Due partiti - la DC e il PCI - si fronteggiano, parlano di un "compromesso storico" che rischia di schiacciare tutte le altre forze. Dello smarrimento di quegli anni si fa portavoce Francesco De Martino nell'editoriale che apre il numero di gennaio 1975 della rivista "Mondoperaio". La governabilità non è facile, sia che la si voglia garantire con questa DC legata ad interessi conservatori, sia invece con questo PCI, ancora succubo della strategia sovietica. Il problema, allora, che si comincia a porre è quello di un mutamento dei rapporti di forza. Sarebbe un errore credere che il PSI possa appagarsi di semplici mutamenti marginali della politica di centrosinistra, e tutto sommato di una restaurazione della stessa in condizioni analoghe a quelle di prima. Ma sarebbe un errore non meno grave credere possibile ed utile un'alternativa di maggioranza, che escluda la DC e in modo radicale si esprima in una maggioranza di sinistra. Per quanto riguarda la prima ipotesi, essa implicherebbe per il PSI l'accettazione rassegnata di una subordinazione, senza avere rimosso quei limiti della politica di centro-sinistra che l'hanno posta in crisi. L'esperienza di dodici anni di collaborazione con il partito democristiano, in fasi varie, ci ha reso ben coscienti di tali limiti e ha posto in chiaro che quella collaborazione è stata riformatrice fino a quando non si è posta l'esigenza di toccare in profondo i rapporti di classe e anche il modo di essere del potere. Basti pensare alle vicende di talune riforme annunciate più volte e mai realizzate, alle stesse recenti vicende dei processi contro gli indiziati nei complotti neofascisti. E anche il silenzio sulle stragi e sui tentativi di eversione, finiscono con l'essere una dimostrazione indiretta di tali limiti. Si ha l'impressione che si sta sviluppando una vera e propria opera di restaurazione. Del pari resistenze ostinate si sono manifestate e continuano a manifestarsi allorché vengono in gioco i complessi rapporti tra potere politico e mondo economico, anche se sarebbe ingiusto attribuire tutte le responsabilità soltanto alla DC, e non prendere anche la nostra parte. Per queste considerazioni, il nostro Partito ha posto l'esigenza di mutamenti profondi dei rapporti con la DC come condizione per proseguire nella collaborazione diretta di governo e non può che persistere in tale richiesta, con la fermezza

Francesco Da Martino (Da Mondoperaio, gennaio 1975) §§§

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RINO FORMICA: RINNOVARE IL PARTITO

lavoro. Il nostro non è un Partito di agitatori scapigliati, di sottili esperti di questioni formali, di spregiudicati gestori, ma un Partito di militanti e di dirigenti che con passione e sacrificio, sanno riempire i minuti e le giornate di lavoro continuo e discreto. Solo dall'impegno assiduo e serio potrà nascere l'ambizioso progetto che è nelle nostre mani. Non è un compito facile. In questi ultimi trent'anni abbiamo avuto pochi momenti da dedicare alla tranquilla riflessione su noi stessi, presi, come siamo stati, dal vortice di traumatizzanti avvenimenti interni ed internazionali. Se oggi dopo venticinque anni possiamo dare il via alla Seconda Conferenza di organizzazione, il merito è di tutto il Partito che, nella consapevolezza del suo ruolo primario e della sua funzione insostituibile, chiede di occupare nel Paese un'area ridisegnata da un riequilibrio delle forze politiche nazionali. Gli obiettivi della struttura sono quindi da definirsi in relazione all'analisi dell'evoluzione del sistema che la Conferenza dovrà compiere. Per far fronte ad essi dobbiamo ricreare i mezzi possibili, anche in alternativa fra loro, senza rifuggire dalla possibilità di dare vita a sperimentazioni che valgano a verificare la validità di questa o quella nuova struttura. Ma il vero successo lo potremo cogliere se ad ogni riflessione sull'interno corrisponderà un'analisi sull'esterno, se ogni nostro cambiamento sarà finalizzato al mutamento della società. Per essere protagonisti ed artefici, per essere viventi nel movimento, per essere acuti nella elaborazione, per essere forti nell'azione, occorre il concorso, l'entusiasmo, la partecipazione di tutto il Partito. E' ciò che ci auguriamo.

Le premesse per il "nuovo corso" del PSI vengono poste nel '75 dalla Conferenza di organizzazione che si svolge a Firenze. Rino Formica responsabile della Sezione Organizzazione del Partito, nella relazione Introduttiva si chiede se la struttura del Partito sia adeguata ai tempi e avanza quindi la richiesta di un suo rinnovamento. Nel brano che segue, Formica pone le esigenze cui la struttura del Partito dove rispondere ed indica anche un nuovo stile di lavoro: il nostro non è un Partito di agitatori, ma di militanti che lavorano continuamente e con discrezione". Potenziamento e rinnovamento delle strutture portanti della nostra organizzazione sono esigenze primarie, che pretendono da tutti noi attenzioni e cure particolari. Ma esse non esauriscono il nostro compito; non lo esauriscono almeno in ordine al collegamento che vogliamo costruire tra i punti di confronto sociale e politico e l'iniziativa del Partito. Rispetto ad essi occorre verificare il nostro progetto rinnovatore, giacché la costruzione e la gestione di una linea politica di risposta ai punti di confronto interroga decisamente le nostre strutture organizzative. Quali domande essa infatti pone al Partito? Sostanzialmente le seguenti: a) garantire una apertura stabile e certa del Partito alla realtà circostante, facendone l'interlocutore privilegiato e il suscitatore della domanda politica emergente dal conflitto socio-economico; b) assicurare la gestione politica di una componente democratica fondamentale: quella di livello comprensoriale, sede di nuove forme di democrazia diretta; e) operare per la riaggregazione dal basso del potere nel momento in cui la sua settorializzazione, anche istituzionale, sembra raggiungere dimensioni patologiche; d) valorizzare le strutture periferiche del Partito nelle loro capacità di ideazione e di organizzazione del consenso politico. Rispetto a questa domanda il problema preliminare ci sembra quello di verificare se e in quale misura noi siamo preparati a dare ad essa risposte sufficientemente valide ed esaurienti attraverso ]'azione delle strutture "tradizionali" del Partito. Quanto emerge dal confronto con la realtà dei nostri strumenti organizzativi ci sembra solo parzialmente idoneo a fornire una risposta positiva... Dobbiamo costruire una organizzazione in funzione dei punti di confronto politico, sociale e civile, che caratterizzeranno le lotte del nostro Paese per i prossimi anni. Accanto a strutture rinnovate cerchiamo anche di produrre un nuovo stile di

Rino Formica (Dalla relazione alla Conferenza di Organizzazione del PSI, Firenze febbraio 1975) §§§

GIACOMO MANCINI: PER UN PARTITO APERTO AL NUOVO I primi anni settanta vedono un proliferare di movimenti spontanei di massa che sorgono e si sviluppano al di fuori e talvolta in opposizione al partiti. È un fenomeno che segna un distacco tra le istituzioni e la società, e indica il grado di chiusura e di invecchiamento delle strutture partitiche. Rispondendo a una domanda rivoltagli dalla rivista "Mondoperaio" Giacomo Mancini solleva il problema, indicando la soluzione In una maggiore recettività del Partito ai fermenti nuovi della società. Anzitutto va detto che se quei movimenti si sono sviluppati al di fuori dell'iniziativa e della guida dei partiti

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PER IL RILANCIO DELL'ALTERNATIVA SOCIALISTA

è perché questi hanno lasciato scoperte ampie zone di problemi e di esigenze reali che erano nella società. Il rimedio non sta nell'identificarsi con questi movimenti, né di far proprie le loro parole d'ordine, e nemmeno di lasciarsi frastornare da queste parole d'ordine che talvolta possono avere un suono sgradevole o peccare di approssimazione concettuale, politica, culturale. Sono parole d'ordine, del resto, facilmente decifrabili, e in generale esprimono il rifiuto, la rivolta contro le strutture arcaiche, oppressive ed autoritarie. È pacifico che tra i compiti di un Partito come il nostro c'è anche quello di modificare le strutture. Ma in che modo e verso quale direzione? Lo strumento legislativo è importante e insostituibile, per certi versi, ma esso per lo più sanziona, magari in ritardo, situazioni di fatto già determinate dal processo di sviluppo della società. In che direzione? Non certo in quella di marginali aggiustamenti - e non potrebbero essere che marginali di strutture civili entrate in crisi. Se la famiglia, ad esempio, è in crisi, lo è perché sono in crisi un insieme di rapporti economici, produttivi, sociali; e la crisi può derivare da fatti negativi -l'emigrazione per dirne uno - o da fatti di altra natura, come l'affermarsi, nella coscienza individuale e collettiva, di nuovi valori, forse non ancora definiti compiutamente, ma che non trovano più possibilità di espressione nelle istituzioni tradizionali della società italiana. Se è chiaro che dobbiamo comprendere questi fenomeni nuovi (ho parlato prima dell'emigrazione, e si può aggiungere, per specificare, il dramma del mezzogiorno, del sottosviluppo, della disoccupazione), non può essere certo obiettivo del PSI un semplice ammodernamento di quelle strutture di base, economiche e produttive, la cui crisi si intreccia, non con un rapporto meccanico di causa ed effetto ma in un rapporto dialetticamente più complesso, con la crisi di certe istituzioni. Quando sento dire che lo studio è noia e sacrificio, capisco la esigenza del rigore culturale, ma sento anche il timore di accademie rigide e gelide, di istituti di gesuiti, e non credo davvero che per questa via si possa risolvere la crisi della scuola, né che si possa dare ai giovani una prospettiva culturale nuova, aperta, democratica. Penso che il PSI debba lasciare un largo spazio allo sviluppo spontaneo, naturale, della società, non per arrivare dopo per trovare le soluzioni politiche e giuridiche, ma per operare all'interno di questo sviluppo, con una funzione che non chiamerei di governo, ma, più estesamente, di interpretazione, di orientamento, di guida.

Luglio 1976: Il Comitato Centrale del PSI esamina approfonditamente la situazione politica ed economica italiana, le strutture organizzative del Partito, la sua tradizione storica e culturale. Nasce al Midas la volontà di rinnovamento, la riconferma della linea dell'alternativa, l'esigenza di superare l'attuale e stagnante quadro politico. Il PSI che esce dal Midas chiede quindi a tutti I compagni un Impegno rinnovato, una maggiore volontà di lotta per far sì che la linea politica emersa dal dibattito trovi al più presto una attuazione organico e precisa. Il CC ravvisa l'esigenza di una riflessione sistematica che impegni l'intero Partito a conseguire precisa coscienza dei condizionamenti storici e strutturali alla propria presenza nel Paese e lo renda capace di superarli con una costante coerente azione politica. Mutamenti profondi è indispensabile introdurre nella vita interna del Partito per colmare i ritardi e superare le carenze che sono cause non ultime dell'insuccesso elettorale. Segno di questa volontà di mutamenti è il documento votato all'unanimità con il quale il CC ha decretato il superamento dell'attuale regime delle correnti. In particolare si tratta di ricostituire e di potenziare la presenza organizzata del movimento socialista entro le strutture produttive e di partecipazione sociale la cui crescita ha caratterizzato i recenti sviluppi della società italiana. Occorre in modo permanente connettere l'impegno politico del Partito nelle istituzioni a questa riqualificata presenza del PSI ovunque si sviluppi la lotta di classe e l'iniziativa democratica delle masse. Grande è la preoccupazione nel Paese per la salvaguardia dell'ordine democratico che richiede significativi mutamenti negli indirizzi e negli uomini in coerenza con la necessità di un rigoroso comportamento antifascista delle istituzioni e dei pubblici poteri. In rapporto alla grave situazione economica e sociale è urgente un profondo mutamento di indirizzi per organizzare in modo efficace la difesa dei livelli occupazionali, specie quelli giovanili, del tenore di vita delle masse popolari a cominciare dai ceti più poveri e meno protetti, della sostituzione del perverso meccanismo deflattivo con una ripresa selettiva degli investimenti produttivi. La lotta agli sprechi, gli inevitabili sacrifici' che dovranno essere imposti nei consumi privati in rapporto alla necessità di contenere la dilatazione della spesa pubblica richiedono come contropartita immediata l'attuazione di una effettiva giustizia fiscale e meccanismi idonei ad ogni equa ripartizione del

Giacomo Mancini (Da "Mondoperaio", gennaio 1976) §§§

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reddito e ad una somministrazione contrattata e controllata democraticamente delle risorse. Il CC conferma la linea dell'alternativa decisa dal XL Congresso nazionale. Tale linea presuppone la costruzione paziente e tenace di un ampio schieramento alternativo, aperto e pluralistico e non solo una riduttiva sommatoria delle diverse componenti della sinistra. Questo processo di costruzione dell'alternativa di sinistra, che deve essere realizzato attraverso fasi intermedie coerenti con il disegno politico generale, va di volta in volta verificato in rapporto alla maturazione delle condizioni politiche obiettive ed ai rapporti di forza e agli orientamenti che si determinano tra i partiti. Il PSI resta in Italia con il proprio patrimonio di tradizioni e di consensi l'espressione politica più salda e più convincente dell'indissolubilità del nesso tra socialismo e democrazia sul terreno interno come su quello internazionale. Far vivere con autonomia e vigorosa iniziativa questa concezione nel vivo della lotta politica del nostro Paese è l'impegno rinnovato che il CC assume di fronte alle organizzazioni di base, agli iscritti, ai militanti agli elettori.

solo questo: la DC ha manifestamente amministrato male, in modo non soltanto irrazionale, parassitario, ma anche scorretto e molte volte disonesto, quindi, sostituiamo una amministrazione pulita, più razionale, più attenta. Non basta; perché il parassitismo e la cattiva amministrazione non sono un prodotto di malgoverno della DC ma un prodotto del capitalismo, il quale produce del parassitismo per forza di cose. Che in Italia queste cose siano più sentite perché a gestire politicamente il sistema c'è una DC particolarmente corrotta e clientelare, questo è anche vero, ma sbaglieremmo nel giudizio se dicessimo che il problema in Italia si riduce ad amministrare bene, più correttamente, più onestamente. Non è buon governo, è un governo diverso, non è una migliore e più onesta amministrazione, ma è il cambiamento delle strutture; bisogna cambiare le strutture perché la lotta contro il parassitismo, contro le rendite, contro le forme parassitarie, non si farà mai se non a livello marginale: per farla bisogna cambiare il sistema che le produce, che non è la DC, la quale le utilizza e le aggrava. Quello che le produce non è un particolare partito politico; direi che se fossimo noi al governo, socialisti o comunisti con le stesse strutture, con tutta probabilità una certa zona di parassitismo ci sarebbe nella natura delle cose, quindi è il sistema che bisogna cambiare. E quindi il problema si pone in termini reali: io credo che dal punto di vista almeno formale il problema è stato posto nei termini della politica di alternativa di sinistra, per respingere l'egemonia della DC e per creare con un governo della sinistra un periodo di transizione al socialismo. Questa è una delle ragioni per cui io sono profondamente unitario, malgrado le attuali differenze di obiettivi strategici, con il PCI. Il confronto tra la strategia dell'alternativa di sinistra deve essere fatto con la maggiore chiarezza possibile, ma non deve essere fatto come pretesto per accentuare le divisioni, piuttosto come progetto e come piattaforma su cui confrontarsi per giungere a una più profonda unità. Perché c'è poco da dire: sia la strategia comunista del compromesso storico, sia quella socialista dell'alternativa di sinistra si potranno realizzare se saranno presenti, combattendo insieme, socialisti e comunisti. Ma c'è un altro problema: faccio l'ipotesi che si arrivi, attraverso una profonda unità delle forze interessate, a un cambiamento radicale della nostra società, che si arrivi a impostare un governo di sinistra: questo governo di sinistra allora, con tutte le difficoltà di carattere nazionale e internazionale che ne derivano, deve sapere come comportarsi. Questo è un problema politico che non può essere

Dal Documento approvato al Comitato Centrale Midas-Hotel, Roma, 16 luglio 1976) §§§

RICCARDO LOMBARDI: RIFORME E CONSENSO "Guai se coloro che pensano a un governo di sinistra pensassero che tutto sia facile!" dice Riccardo Lombardi in un discorso a Firenze. È il 1977. È il momento in cui in Italia si parla di compromesso storico da una parte e di alternativa dall'altra. Lombardi mette in guardia quanti si lasciano prendere da facili entusiasmi. Sarà difficile incidere sulle strutture della società italiana e sarà ancora più difficile farlo conservandone il consenso. Ma non si può rinunciare alle riforme e non si può fare a meno del consenso. È la quadratura del cerchio che ogni governo rinnovatore deve risolvere. I nostri problemi non possono essere solo quelli di dire: combattiamo per un nuovo modo di governare; certo che bisogna farlo. lo credo però che affrontare il problema di scalzare la democrazia cristiana dal potere - almeno questa è la politica che io mi auguro che la sinistra adotti nel suo complesso - non deve essere un alibi, quasi che il problema sia

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esaminato soltanto nel momento in cui si presenta, è un problema a cui si deve pensare prima. Il problema è di durare; noi constatiamo' che un governo di sinistra in un Paese capitalistico, le rare volte in cui è andato al potere, è stato sempre battuto rapidamente (la Spagna del '36, il fronte popolare in Francia e, più recentemente, il Cile); tenendo conto di questo, ma tenendo anche conto della necessità di cambiamenti radicali, della necessità di impostarli anche sapendo che non possono essere rapidamente compiuti, il problema è quello di far durare un governo di sinistra che conquisti il potere in un ambiente capitalistico. Le riforme che esso fa non sono produttive immediatamente. Ammettiamo pure che i comunisti francesi abbiano ragione nel volere estendere la nazionalizzazione. Non c'è dubbio però che, ammesso che questa nazionalizzazione sia utile, prima che possano cambiare i sistemi di gestione delle imprese, prima addirittura di arrivare alla traduzione in termini amministrativi della nazionalizzazione dell'industria, ci vorrà del tempo. Quindi, il pensare che un governo di sinistra possa, in un primo tempo, fare sentire tutti i benefici e quindi conservare i consensi che lo hanno portato al potere, in base ai benefici che deriveranno dalle riforme che esso farà, è illusorio, perché questi benefici, se ci saranno, saranno successivi e quindi si tratta di aspettare. E come aspettare? Questo è il consenso, il problema di partire da una situazione in cui i partiti di sinistra abbiano un consenso morale, culturale e politico assai al di là del voto elettorale che hanno ricevuto, cioè a dire uno stato di tensione, di fiducia tale che si possa dire: si, sappiamo che oggi non possiamo chiedere molto, ma siamo sicuri dei risultati di un governo che noi sosteniamo, anche quando non ci può dare l'albero di Natale. Questo è essenziale. Il problema del consenso è il problema della forza: è questa una delle ragioni per cui l'unità, almeno dei partiti fondamentali, è importante. Ma non basta neppure, perché noi dobbiamo fare i conti con le classi che si colpiscono o che si avvantaggiano. Perché una politica di riforma, compagni, non è indolore. Produce vantaggi per la maggioranza della popolazione ma anche svantaggi perché revoca dei privilegi, toglie dei superguadagni, e queste cose si devono tenere in conto perché i ceti che si colpiscono, i gruppi a cui si toglie potere economico o potere decisionale reagiscono; e reagendo minacciano di travolgere un governo che non abbia avuto il tempo di produrre - attraverso le sue riforme -quella serie di fenomeni che rafforzino il consenso ricevuto al momento in cui è andato al potere.

Guai se coloro che pensano a un governo di sinistra pensassero che tutto sia facile! No, tutto è difficile perché il modificare le cose è difficile, il cambiare il motore di una macchina in marcia, senza fermarla, è un'operazione difficile. Ma che cosa non è difficile nel nuovo? La fiducia non si acquista soltanto sulle bandiere e sui simboli. Non si può distribuire l'albero di Natale, ma ci sono dei rapporti di potere che si possono trasformare, mediante quella strategia che noi, ancora al tempo in cui circolava la teoria del riformismo rivoluzionario, chiamavamo non la conquista del potere, ma la conquista dei poteri. Riccardo Lombardi (Da un discorso a Firenze, dicembre 1977) §§§

LA CONCEZIONE DEL PARTITO

SOCIALISTA

Quale modello di Partito per il tempo presente? E' una domanda centrale nel nuovo corso socialista. La risposta che si ricava dal Progetto socialista, è univoca. Il PSI deve anzitutto essere laico: non deve ritenere di possedere la verità assoluta, ma deve cercarla costantemente in uno scambio proficuo con la società civile; deve essere pragmatico: la società va cambiata, ma non può essere smontata a piacere, va modificata giorno per giorno; e per far ciò, occorre un Partito aperto non arroccato in se stesso, ma disponibile al nuovo. Il progetto affida al Partito l'esame delle condizioni concrete per l'attuazione di un processo storicopolitico che non può avanzare nella realtà se prima non progredisce nelle idee, non si radica nella cultura, non progredisce secondo i ritmi fissati da una lotta politica consapevole delle gradualità e dei salti qualitativi necessari. In coerenza con queste premesse, la concezione socialista del Partito è agli antipodi di quella leninista. Il Partito leninista si considera portatore di una filosofia globale destinata a permeare l'intera società, depositario di una verità già tutta dispiegata e fissata in un corpo dottrinale definito; il suo gruppo dirigente è inteso come avanguardia della classe, abilitato in quanto tale a rendere operante la verità che detiene e amministra anche contro la resistenza di coloro che pretende di rappresentare il suo rapporto con la società e con i movimenti che si manifestano spontaneamente in essa è un rapporto autoritario, di direzione a senso unico, per cui la stessa acquisizione del consenso, in alternativa alla

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BETTINO CRAXI: IL VANGELO SOCIALISTA

forza, è vista come aggregazione successiva di strati sempre più larghi intorno al partito e alla società. Al partito leninista il socialismo contrappone l'idea del Partito laico, che si rifiuta di cristallizzare la propria verità nel dogma, ma ne fa l'oggetto di una ricerca costante, condotta nel confronto aperto, e nello scambio reciproco con i movimenti e le istanze che si muovono nella società, rispetto ai quali si propone di svolgere un ruolo di rappresentanza e di sintesi, non di direzione autoritaria; un partito, quindi, che non pretende di essere l'agente esclusivo o dominante della trasformazione socialista, ma soltanto una delle componenti del blocco di forze da coinvolgere in questa trasformazione; un partito che deve distinguersi dai partiti borghesi di opinione, non per il suo carattere monopolistico, ma per la sua capacità di darsi una struttura articolata e profondamente ramificata nella società, per il grado di coscienza politica e di classe dei suoi iscritti, per il legame privilegiato che mantiene con la classe operaia, e con le altre forze sociali del lavoro e dei progresso democratico, che partecipano attivamente alla lotta delle classi lavoratrici, e che convergono nella battaglia per il socialismo. Sulla base della sua presenza e del suo impegno nel l'internazionale Socialista, il PSI si propone di realizzare una collaborazione crescente con i partiti socialisti e socialdemocratici europei, e al tempo stesso di promuovere con essi un confronto teorico e politico, inteso alla elaborazione di una strategia comune, nella consapevolezza che in nessun Paese può essere portato avanti un processo di transizione al socialismo senza fare assegnamento sulla solidarietà attiva del movimento operaio e socialista su scala europea. Nello stesso spirito il PSI è interessato a sviluppare, in modo particolare, direttamente e attraverso l'internazionale, i suoi rapporti con i Partiti socialisti del sud-Europa e con movimenti progressisti e di ispirazione socialista del Terzo mondo e, specialmente dell'area mediterranea, allo scopo di gettare le basi di una azione convergente e comune per lo sviluppo della cooperazione, la lotta per la pace e per il progresso, l'incontro di diverse culture ed esperienze, la ricerca di una via per il socialismo corrispondente alle peculiari realtà di ciascun Paese.

L'"Espresso" gli mette un titolo assai curioso: "Il vangelo socialista". Ma il saggio di Bettino Craxi che appare sul settimanale nell'agosto del 1978 è tutt'altro che dogmatico. Si inserisco invece In una polemica ideologica in corso nella sinistra per sostenere che il solo socialismo possibile è quello che riesce a convivere con la libertà. Nel far ciò si schiera polemicamente con Proudhon anziché con Lenin, adottando i due nomi con simboli di diverso concezioni del socialismo. Più che un saggio ideologico è quindi un documento politico, che si riallaccia al Progetto socialista. Leninismo e pluralismo sono termini antitetici: se prevale il primo muore il secondo. E ciò perché l'assenza specifica, il principio animatore del progetto leninista consiste nella istituzionalizzazione. del "comando unico" e della "centralizzazione assoluta": il che, evidentemente, implica la statizzazione integrale della vita umana individuale e collettiva. La democrazia (liberale e socialista) presuppone l'esistenza di una pluralità di centri di poteri (economici, politici, religiosi, ecc.) in concorrenza fra loro, la cui dialettica impedisce il formarsi di un potere assorbente e totalitario. Di qui la possibilità che la società civile abbia una certa autonomia rispetto allo Stato e che gli individui e i gruppi possano fruire di zone protette dall'ingerenza della burocrazia. La società pluralista inoltre è una società laica nel senso che non c'è alcuna filosofia ufficiale di Stato, alcuna verità obbligatoria. Nella società pluralista la legge della concorrenza non opera solo nella sfera dell'economia, ma anche in quella politica e in quella delle idee. Il che presuppone che lo Stato è laico solo nella misura in cui non pretende di esercitare, oltre al monopolio della violenza, anche il monopolio della gestione dell'economia e della produzione scientifica. In breve: l'essenza del pluralismo è l'assenza del monopolio. Tutto il contrario delle tendenze che si sono affermate nel sistema comunista. I veri marxistileninisti non possono tollerare contro-poteri, ideali comunitari diversi da quello coliettivistico. Per questo essi sentono di avere il diritto-dovere di imporre il "socialismo scientifico" ai recalcitranti. Per questo Gramsci aveva teorizzato la figura del moderno Principe come "il solo regolatore" della vita umana. La meta finale è la società senza Stato, ma per giungervi occorre statizzare ogni cosa. Questo, insintesi, è il grande paradosso del leninismo.

Dal Progetto socialista (Approvato al Congresso di Torino, marzo 1978) §§§

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Ma come è mai possibile estrarre la libertà totale dal potere totale? Invece di potenziare la società contro lo Stato, si è reso onnipotente lo Stato, con le conseguenze previste da tutti gli intellettuali della sinistra revisionistica che hanno visto nel monopolio delle risorse materiali e intellettuali la matrice dell'autoritarismo di Stato. Pertanto se vogliamo procedere verso il pluralismo socialista, dobbiamo muoverci in direzione opposta a quella indicata dal leninismo: dobbiamo diffondere il più possibile il potere economico, politico e culturale. Il socialismo non coincide con lo statalismo. Il socialismo, come ha ricordato Norberto Bobbio, è la democrazia pienamente sviluppata, dunque è il superamento storico del pluralismo liberale non già il suo annientamento. È la via per accrescere e non per ridurre il livello di libertà, di benessere e di eguaglianza.

tra maschi e femmine. Alla lotta per l'emancipazione della donna è seguita la lotta per la liberazione dove al termine liberazione sono stati dati tutti i significati relativi all'emergere di una nuova soggettività culturale e politica. Da quando le donne hanno cessato, per esistere politicamente e culturalmente di avere come obiettivo la conquista di uno status maschile, esse hanno cominciato ad essere elemento di disarmonia per un sistema sociale organizzato secondo gli schemi della produzione, del lavoro, del profitto. Possiamo e dobbiamo essere elemento di disarmonia anche con il Partito inteso come coacervo di interessi particolari, possiamo e dobbiamo essere un punto di forza per la riqualificazione del PSI. Al centro della nostra attenzione ed iniziativa deve esserci dunque il problema del Partito, la capacità di un'azione tesa a non chiudere gli spazi e la dialettica interna in schieramenti rigidi e fissi, di svolgere una funzione di condizionamento del comportamento complessivo del Partito e di influenza sul confronto per la elaborazione di una linea strategica.

Bettino Craxi (Dall'Espresso del 27 agosto 1978) §§§

IL PARTITO E LA QUESTIONE FEMMINILE

Dalla relazione introduttiva della responsabile della Sezione femminile Maria Magnani Noya al Convegno delle donne socialiste. (Lavinio, 27 ottobre 1978)

Nel rinnovamento del Partito socialista alle donne spetta un importante ruolo. E' quanto sostiene il documento approvato al Convegno delle donne socialiste del 1978. La "questione femminile" è il termometro più sensibile del rapporto esistente tra Partito e società, tra politica e vita privata. Portando In politica la loro problematica, le donne fanno si che il Partito non sia monolitico, ma aperto.

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CLAUDIO SIGNORILE: LE CONDIZIONI PER UN PROFONDO CAMBIAMENTO

La tematica delle donne diventa un terreno concreto su cui si misura la capacità di un interscambio reale tra partito e società, tra politica e vita privata. Il PSI non può essere, e non lo è più da parecchio tempo, portatore di un progetto catechistico, di una "cultura dell'assoluto", di gabbie ideologiche. Non è concepibile un partito come comunità organizzata e addottrinata dall'alto perché i nostri processi di formazione sono avvenuti e avvengono attraverso le esperienze più diverse, le culture più eterogenee. Vogliamo quindi un partito con una compenetrazione di esperienze che si componga in un patrimonio comune, con il diritto alla diversità e alla liberazione della fantasia. Un partito "bisessuato" per non essere più costrette come nel passato a rifiutare la nostra femminilità e ad impossessarci per contare, di caratteristiche definite virili. Le donne, le compagne oggi hanno scoperto se stesse prendendo coscienza delle irriducibili differenze biologiche, etologiche, culturali esistenti

La rinascita socialista nel Paese avviene in una dimensione nuova della storia Italiana e ne porta gli entusiasmi e le speranze. Una sinistra di governo, secondo Claudio Signorile, vicesegretario del Partito dal Congresso di Torino all'ottobre 1980, deve costruire le condizioni, in Italia e in Europa, per realizzare un profondo cambiamento sociale. Il Partito socialista e la sinistra nel suo complesso, debbono passare da un ruolo di opposizione o di collaborazione subalterna nello sviluppo del Paese, ad una dimensione di classe dirigente capace di esprimere una sintesi nazionale ed un progetto complessivo di crescita della società che parta dagli interessi popolari direttamente rappresentati, ma si estenda sull'intero corpo sociale. Questo processo di riunificazione della società in un nuovo quadro di rapporti e di valori, questa consapevole trasformazione della democrazia, pone alla sinistra

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una scelta fra due strade da percorrere. Una conduce all'ampliamento delle funzioni dello Stato come diretta espressione di quel potere politico al quale si rivolge la domanda sociale; è il discorso sullo stato assistenziale e sulla sua tendenza a diventare Stato burocratico con amplissime competenze e pressoché illimitati poteri. Su questa strada si viene ad effettuare una pratica sovrapposizione del Partito con le istituzioni ed una pericolosa tendenza verso la disgregazione del pluralismo piuttosto in una dialettica di funzioni ed interessi che in confronto di valori. à la strada che ci sembra siano tentati di percorrere i teorici del compromesso storico e della democrazia consociativa, come anche i pratici esecutori di una lenta degradazione delle istituzioni nel segno dell'assistenzialismo e del corporativismo; questa strada il PSI deve respingerla e deve combattere le tendenze che verso essa si dirigono. Vi è una seconda strada, che parte dal primato dei valori sociali e dalla necessità dello Stato come diretto protagonista della politica economica e sociale; ma anche dalla consapevolezza del fatto che una sinistra di governo deve saper garantire il pluralismo dei valori e degli interessi nel, la società, indirizzandoli verso scelte delle quali le forze sociali e gli individui si sentano direttamente protagoniste e partecipi. Il primato di una democrazia socialista nell'occidente, consiste nel sostituire alla fiducia nella spontaneità del meccanismo sociale la fiducia nella capacità che ragione, giustizia, eguaglianza siano espressi dalla democrazia dei lavoratori nella sua attuazione storica: partiti, sindacati, istituzioni. Il Partito socialista deve quindi esprimersi nel movimento, come fattore di continuità e razionalità politica e di unificazione delle divergenti tendenze. Nella società si organizza il consenso non più soltanto intorno ad un'idea forza, che non può da sola ricondurre ad unità le tendenze disgreganti del Paese, ma intorno ad un progetto ed un programma che affonda le sue radici nella realtà della crisi, nel dramma della democrazia, nella disperazione e nella rabbia dei giovani, nella incertezza di tanti settori sociali deboli, nella volontà di rinnovamento e di progresso in gruppi sociali emergenti. In un quadro di valori tradizionale o ispirato ad una logica di aggiustamento e di continuità, questo disegno unificante sarebbe utopia. Ma la convinzione della rottura sostanziale della continuità col passato e dell'esaurimento di una fase della nostra storia, e quindi della necessità di nuovi protagonisti politici e di nuovi rapporti sociali ed ideali, colloca questo disegno nel cuore della politica quale oggi può e deve esser fatta. Se il Partito socialista, se la sinistra, se gli altri partiti, devono

ripensare il proprio ruolo e rifondare i loro rapporti con la società, il quadro democratico che abbiamo conosciuto in questi 35 anni di vita democratica non è più sufficiente; non è pensabile una democrazia che non dia altri sbocchi politici che un complesso e vorticoso ruotare di formule di collaborazione con un partito centrale ed inamovibile nello Stato: la Democrazia cristiana. Una sinistra di governo, che può esistere soltanto costruendo una democrazia dell'alternanza, ha bisogno di un partito che abbia questa più ricca concezione del suo rapporto con la società e le istituzioni: la concezione di un partito aperto quindi, capace di essere momento d'i sintesi politica e di continuità operativa, non di sovrapposizione burocratica o di ossificazione organizzativa; perché da questo nascono le degenerazioni del potere. Claudio Signorile (Dall'Almanacco Socialista 1979) §§§

I VALORI DELLA INTERNAZIONALE SOCIALISTA Un elemento caratterizzante del "nuovo corso" socialista è l'interesse con cui guarda alle esperienze del Socialismo europeo e ciò nella convinzione che è nel contesto dell'Europa che I problemi italiani possono trovare soluzione più adeguato. Ecco perché il PSI ha attribuito tanta importanza alle elezioni per Il Parlamento europeo svoltesi il 10 maggio 1979. Sono concetti, questi, ribaditi nell'Appello rivolto dalla Direzione del Partito agli elettori per questa prima consultazione elettorale per il Parlamento europeo. I socialisti rappresentano una forza di garanzia per elevare il ruolo indipendente dell'Italia nel mondo, accrescerne il prestigio ed arricchirne il patrimonio di relazioni pacifiche con tutti i popoli. I socialisti guardano ad una funzione attiva dell'Italia, nel quadro della alleanza del Nord Atlantico e delle istituzioni comunitarie, diretta ad allargare il dialogo della pace, del disarmo e della cooperazione, ad alimentare la crescita di una Europa unita e indipendente, ad operare una concreta lotta contro le diseguaglianze nel mondo, ad essere terra di libertà e di difesa dei diritti umani, e dei diritti dei popoli, in ogni circostanza ed a favore di tutti. L'internazionalismo socialista raccoglie un insieme di valori della civiltà umana che non si identifica con un sistema di Stati, con una ideologia dominante, non è al servizio e non subisce l'influenza di nessuna potenza né europea né extra-europea. Il PSI sosterrà una politica di sicurezza, di indipendenza, di unità europea e di nuove relazioni

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con il terzo e quarto mondo. In Europa la forza del PSI concorrerà al successo dell'Eurosocialismo, la più grande realtà politica dell'Europa occidentale, espressione del mondo del lavoro organizzato politicamente e sindacalmente, amalgama di prove e di tentativi diversi ma tutti ricorrenti al binomio di socialismo e di libertà, a quella che resta la sintesi più matura e più alta cui sia pervenuta l'umanità. Nell'ambito dell'Eurosocialismo l'impegno dei socialisti italiani è di rendere sempre più efficace l'azione internazionale del Socialismo europeo e di farne il solido fondamento per le lotte ed i progetti di avvenire che nel campo del lavoro, della organizzazione produttiva, dello sviluppo tecnologico, dell'equilibrio sociale, della armonizzazione produttiva, dello sviluppo tecnologico, dell'equilibrio sociale, della armonizzazione delle leggi, nella difesa delle comuni libertà e dell'indipendenza di ciascuno e di tutti, costituiscono Il filo robusto che lega il destino dei popoli dell'umanità europea.

svilupparsi in un contesto diverso tale da garantire un equilibrio più dinamico, rinnovatore, più giusto e più stabile. Se è vero che il progetto di una alternativa globale alla DC non ha superatogli ostacoli che sin dall'inizio ne hanno impedito la realizzazione e quindi oggi non può essere concretamente proposto, non è men vero che una democrazia dell'alternativa resta l'obiettivo di cui si avverte l'esigenza e rappresenta una aspirazione largamente diffusa. Un processo evolutivo in questo senso è bloccato dalla mancanza di uno sviluppo convinto e convincente del revisionismo e della autonomia internazionale del PCI. Manca altresì una adesione strategica tanto da parte del PCI che da parte di altre forze progressiste. La critica ideologica dei socialisti è tesa a stimolare tendenze revisioniste e autonomistiche che si erano manifestate ma che non si sono sviluppate con coerenza anzi, al contrario, hanno dato segno di stagnazione e di riflusso verso posizioni tradizionali che rappresentano ormai un fattore di immobilismo e di debolezza della sinistra italiana. La nostra posizione nell'ambito della sinistra è chiara. E stata fissata da un Congresso che ha reso più nitida l'autonomia del Partito e l'identità storica e ideologica del Socialismo italiano. La nostra linea di movimento, si ispira al principio della unità nella chiarificazione. Siamo allergici ad ogni forma di paternalismo e ad ogni tipo di riflusso sostanzialmente frontista. Non vogliamo e non siamo interessati a scontri nella confusione ma avanziamo una richiesta di equilibrio delle forze nell'ambito della sinistra. La nostra richiesta è legittima, corrisponde agli interessi dei lavoratori e della loro unità, è necessaria per il Paese e. per il socialismo in Italia e in Europa. Bisogna rovesciare la tendenza bipolare che ha visto la concentrazione su due Partiti della stragrande maggioranza dell'elettorato. Nel nostro sistema politico pluripartitico questa tendenza è fortemente negativa. Bisogna riaprire in modo significativo la dialettica democratica tra le forze. Occorre che una diversa distribuzione dei consensi dia flessibilità al sistema. I due maggiori partiti, in alleanza diretta o in contrapposizione aperta, producono situazioni di paralisi e di crisi. Il punto centrale di queste elezioni che essi stessi hanno voluto, per confermare nel tempo questo stato di cose, è il cambiamento del quadro complessivo e dei rapporti di forza. La DC piglia tutto nell'area moderata e il PCI piglia tutto nell'area della sinistra e degli elettori progressisti determinando poi una sostanziale situazione di ingovernabilità. E del resto instabilità e ingovernabilità è quanto traspare dalle impostazioni elettorali che si contrappongono e che si elidono

Appello della Direzione del Partito per le elezioni europee (Roma, 25 aprite 1979) §§§

BETTINO CRAXI: UNA CHIARA POSIZIONE NELL'AMBITO DELLA SINISTRA Il Paese mostra chiari segni di stanchezza nei confronti dell'ormai più che trentennale egemonia democristiana, un'egemonia che il bipolarismo DC-PCI continua a rendere possibile, proprio perché tiene Il governo in una situazione di stallo. La proposta socialista è chiara: riaprire la dialettica tra le forze politiche, rovesciare il bipolarismo, dare vita ad un governo che consenta cinque anni di stabilità, di fiducia, di riforme reali, di rinnovamento e di progresso. La DC si propone di ricostituire le condizioni che le consentano di prolungare la sua egemonia. Ciò contrasta con il bisogno di cambiamenti e di rinnovamento che la società esprime. Ha preso al balzo la falla della rigidità comunista nella speranza di raccogliere il riflusso di scontento, di paura, di disorientamento che si manifesta nel Paese. In realtà nel Paese si manifesta una grande insofferenza per una egemonia ormai trentennale che non ha espresso il rinnovamento promesso e che non appare neppure in grado di mettere ordine nell'esistente, di razionalizzare il sistema. La DC può e deve essere collocata in una posizione diversa. Il suo apporto alla collaborazione democratica può

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nella ricerca di posizioni di egemonia che non debbono più essere loro concesse. Ad una forte affermazione socialista potranno corrispondere cinque anni di stabilità, di rinnovamento e di progresso. A chi ci interroga sul dopo noi rispondiamo che giudichiamo indispensabile assicurare al Paese che continua a vivere una fase difficile di crisi, un periodo certo di stabilità e di governabilità. Verso questi obiettivi si muoverà la nostra ricerca e il nostro impegno. Tutto non dipenderà da noi, ma noi, in diverse condizioni di forza, potremo fare molto per raggiungere questo obiettivo. Da esso dipenderà la possibilità di arrestare il processo degenerativo che ha disarticolato e rese scadenti le strutture pubbliche. Da esso dipenderà la possibilità di riaprire una stagione di riforme e di partecipazione responsabile e costruttiva. La legislatura che nascerà il 3 giugno non avrà così addosso l'ipoteca che ha condotto al fallimento le tre legislature precedenti con un costo democratico che ogni cittadino misura in termini di insicurezza, incertezza, sfiducia e con un logorio delle istituzioni ormai giunto ad una stadio pericoloso. Alle domande che ci vengono poste rispondiamo con chiarezza. Cinque anni di stabilità e di forte impegno democratico sono l'obiettivo al servizio del quale i socialisti porranno la forza che potranno rappresentare. La nostra posizione è diversa da quella dei comunisti quando essi pongono il problema politico nazionale nell'ambito ristretto di una alternativa rigida: o governo o opposizione. Noi possiamo partecipare ad un governo se, nel quadro della nostra politica, si configureranno condizioni da noi considerate accettabili. Noi possiamo negoziare gli obiettivi programmatici di rinnovamento e di riforma assicurando il nostro appoggio parlamentare ad un governo impegnato a realizzarli con verificata coerenza. Noi assumeremo una posizione di opposizione di fronte a disegni involutivi e ad accordi equivoci.

BETTINO CRAXI: I SOCIALISTI E IL CASO MORO 16 marzo - 9 maggio 1978: i cinquantacinque giorni del caso Moro. La vita politica, i partiti, le stesse coscienze ne sono lacerati. Il PSI fin dall'inizio si schiera per la linea "umanitaria", ritenendo che non c'è "ragione di Stato" che tenga, là dove è In ballo una vita umana. Ma Il "fronte della fermezza" fa diga e la sorte di Aldo Moro è segnata. Sono queste le cose che Craxi ricorda un anno dopo Il rapimento In una manifestazione socialista al Palasport di Milano. La polemica divampa ma proprio chi si proclama vicino a Moro, ricorda Craxi, In quei giorni metteva in liquidazione la sua opera politica. Non posso non riandare ai motivi della lotta che il Partito Socialista ingaggiò per impedire alla barbarie dei terroristi un nuovo crimine e che fu costretto a condurre contro la linea della rassegnazione. Non posso non considerare aperta la questione morale che si pone alla coscienza democratica. Non posso non riprendere il filo della riflessione politica che da allora ci porta fino ai giorni nostri. Moro visse il suo calvario lottando la battaglia disperata per la vita. Alle voci che lontano gli giungevano nel carcere e che egli non poteva non accogliere con sbalordimento, quando si sentiva invitare a comportarsi come Socrate, che bevve la cicuta; quando vedeva che venivano pubblicate le lettere dei condannati a morte della Resistenza, con un paragone del tutto improprio rispetto alla sua situazione, quando leggeva autorevoli direttori della stampa democratica che scrivevano: bisogna salvare la Repubblica e sacrificare un uomo; egli rispose con lucidità ed intelligenza. Oppose argomenti politici, giuridici, morali e umani. Di fronte ai suoi carcerieri si è comportato con dignità superiore. Più che la commemorazione, varrebbe la riflessione che può essere fatta rileggendo le sue lettere. Non ha chiesto pietà ma ha sviluppato ragionamenti politici e di principio sul governo che nasceva per merito tuo sulla ragion di Stato e sul senso di giustizia, sulla eccezionale condizione scatenata dal terrorismo e dalla guerriglia, sul comportamento di stati civilissimi in casi analoghi, sulle conseguenze politiche di un diverso atteggiamento. In una lettera al suo Partito scriveva: "Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina se una volta tanto un innocente sopravvive e a compenso altra persona va invece che in prigione in esilio?". Noi ci muovemmo allora nella convinzione che si avvicinava la soluzione cruenta e che per impedirlo bisognasse tentare il possibile e l'impossibile pur mantenendosi nell'ambito della legalità

Bettino Craxi (Dalla relazione del Segretario del Partito al Comitato centrale, 8 maggio 1979) §§§

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repubblicana. La nostra posizione non era come si è detto una posizione puramente umanitaria. La nostra era una posizione costituzionale perché partiva dal principio costituzionale secondo cui lo Stato ha il dovere di salvare la vita dei propri cittadini quando sono in pericolo. La nostra impostazione corrispondeva alla nostra concezione dello Stato, alla nostra visione umana delle istituzioni. Per noi lo Stato è uno strumento di fondamentale importanza ma non un fine di sé. Per noi il destinatario della politica è in primo luogo il cittadino e l'uomo. Il fanatismo per il valore-Stato in astratto non poteva valere la lesione del valore della salvezza della vita umana. Su questa base noi chiedemmo un anno fa che lo Stato unilateralmente complesse un atto di generosità e di umanità per indurre i rapitori dell'on. Moro a liberarlo. Noi continuammo ed insistemmo, resistemmo alle pressioni contrarie, alle intimidazioni, alle accuse ed anche allevio: lenze morali che furono esercitate nei nostri confronti. Cercammo di agire e di persuadere e quando ci parve di essere ormai prossimi al nostro scopo di persuasione e quando cominciò a radicarsi in noi la convinzione che fosse possibile una sorta di scambio improprio, uno contro uno, la tragedia precipitò improvvisamente ed ebbe il suo macabro epilogo in via Caetani. Il caso Moro è aperto non solo perché la verità è in gran parte sconosciuta e perché la giustizia non si è fatta. Ma perché gli interrogativi che ha aperto sono rimasti senza risposta. Il problema è aperto di fronte alla coscienza democratica del Paese e nella interpretazione dei doveri dello Stato e dei diritti dei cittadini. È aperto il caso di fronte alla coscienza cristiana, che sa quanto nella storia il cristianesimo abbia vissuto il dramma originario del conflitto tra lo Stato e la persona e cosa rappresenti nella concezione cristiana della vita e del mondo il valore dell'uomo. A un anno di distanza dal barbaro assassinio la nostra riflessione politica è piena di amarezze. Si commemora Moro mettendo in liquidazione la politica di unità nazionale.

BETTINO CRAXI: OTTAVA LEGISLATURA In "Ottava legislatura", un articolo apparso sull'Avanti! il 27 settembre 1979, per la prima volta Bettino Craxi formula l'idea di una grande riforma, di un attento riesame delle norme costituzionali e legislativo che presiedono al funzionamento della cosa pubblica, per individuare quali di esse siano stato superato dal tempi e bisognose quindi di una revisione. Lo scalpore fu grande anche da parte di chi sottovalutò la proposta per accorgersi poi, adesso, che è stato quello il tema politico predominante degli ultimi due anni di vita repubblicana. Gli anni dell'ottava legislatura repubblicana non possono perciò essere vissuti alla giornata, né, del resto, potrebbero esserlo, cosi come non potranno essere il teatro di nostalgiche involuzioni. Una legislatura già nata sotto cattivi auspici, minata dal pericolo di un vuoto politico puramente distruttivo vivrà invece con successo se diventerà la legislatura di una grande Riforma. Non riforme settoriali, episodiche, e in taluni casi mai calcolate e destinate a risolversi in risultati deludenti, ma una riforma unitaria nella logica, nei suoi principi, nel suoi indirizzi fondamentali. Ciò che occorre è un processo di riforma che abbracci insieme l'ambito istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale. Attorno ad un processo di riforma si dovrebbero mobilitare tutte le energie migliori, utilizzando tutta la ricchezza e la creatività delle intelligenze che nel Paese non mancano e richiamando, in uno sforzo convergente ed organico, la responsabilità e l'impegno di tutte le forze politiche e sociali disponibili, per un'opera di trasformazione istituzionale, sociale e di progresso. Una Riforma che ponga tutti di fronte ad una prospettiva di largo respiro e trovi le sue basi di appoggio, non nella fragile diplomazia delle opportunità contingenti ma partendo da una robusta chiarificazione politica fra le forze rappresentative in campo. Molti segnali significativi, ipotesi progettuali ed impulsi importanti si sono già manifestati ed operano verso una simile direzione. La Riforma su cui impegnare l'ottava legislatura non partirebbe da zero, non nascerebbe in un deserto arido di idee e di propositi. La riforma costituzionale rientra nel poteri del Parlamento e la necessità di un bilancio e di una verifica storica è ormai fortemente sentita. Anche gli edifici più solidi e meglio costruiti, ed il nostro edificio costituzionale ha dimostrato di esserlo, si misurano con il logorio del tempo. Le esperienze fatte e vissute possono

Bottino Craxi (Dal discorso al Palasport di Milano, 18 marzo 1979) §§§

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guidare la mano di una accorta revisione che ponga nelle migliori condizioni di funzionamento i fondamentali poteri dello Stato democratico, consolidi i diritti dei cittadini, favorisca il miglioramento delle relazioni sociali. Vi sono problemi che riguardano l'esercizio del potere legislativo, la stabilità e l'efficacia dell'esecutivo, l'adeguamento di istituti e di strutture amministrative alle nuove realtà ed alle nuove esigenze funzionali. In questa. materia il "presidenzialismo" può essere considerato come una superficiale fuga verso una ipotetica Provvidenza, ma l'immobilismo è ormai diventato dannoso. La Riforma deve investire la Pubblica Amministrazione al centro come alla periferia. Non è chi non veda che la crisi dello Stato è da tempo ormai un fattore di accelerazione della crisi economico-sociale. Il risanamento finanziario e la riorganizzazione dello Stato, una moderna e razionale riforma degli ordinamenti locali, figurano da troppo tempo nella agenda dei buoni propositi senza che ad essi venga dato in modo organico un seguito concreto e risolutivo. Non sono neppure mancati spunti e iniziative di buona volontà, ma di certo e in conclusione hanno sempre finito con il prevalere le resistenze e il sabotaggio delle forze pubbliche e burocratiche della conservazione. E tuttavia, questa rimane la via maestra per mantenere l'Italia in Europa e per aprire all'Italia nuove vie nel mondo. Avvicinarsi, nell'arco di alcuni anni, agli standards europei di efficienza, produttività, ampiezza e qualità dei servizi prestati dalla Pubblica Amministrazione, in una cornice di riqualificazione dell'impegno e della professionalità pubblica, non è una impresa fuori della realtà, anzi, è ad un tempo un dovere e una necessità fondamentale. Anche l'economia e la vita sociale soffrono delle politiche di corto raggio, dei tamponamenti assistenziali, dell'assenza di programmazione, della rincorsa giornaliera di mali che inesorabilmente si aggravano. Le condizioni economiche del Paese sono oggi molto probabilmente migliori di quanto non dicano le statistiche e le opinioni correnti, ma parimenti è assai poco diffusa la consapevolezza di quante e quali incognite gravino sulle prospettive, quanta incertezza pericolosa pesi sul nostro futuro, quante difficoltà si preparano e quali conseguenze negative esse comportano se ci troveremo ad affrontarle a mani alzate senza corrette previsioni e predisposizioni adeguate. Il nostro sistema di economia mista può sembrare a prima vista il prodotto di una intelligente ed armoniosa virtù mediana tra i mali del capitalismo selvaggio e i vizi del capitalismo burocratico. Diviene un sistema

perverso quando rischia di assommare insieme i mali dell'uno ed i vizi dell'altro. Di qui la necessità non di fuoriuscire dal sistema pluralistico di una economia a più settori, ma di allargare da un lato l'arco della responsabilità sociale, la coscienza della solidarietà e dei doveri verso la collettività, dall'altro lato di accrescere l'efficienza e l'attaccamento ai valori del lavoro e della cosa pubblica. Si tratta di aumentare l'influenza dei lavoratori nella vita produttiva per ricevere l'impulso positivo di una partecipazione responsabile e non per aumentare i I peso di controlli paralizzanti. Si tratta di correggere le contraddizioni più vistose che vedono congestionate le aree del nord e i vuoti nelle regioni meridionali. Si tratta di sorreggere ed incoraggiare tutte le forze sane della produzione creando le condizioni migliori per il loro sviluppo interno e per la loro espansione internazionale. Vanno contrastate le tendenze egemoniche dei grandi gruppi economici portati a farsi una legge propria, a ritagliarsi un regno nella Repubblica; affrontata l'area del privilegio corporativo e della speculazione incontrollata, affermate per tutti le regole di una più rigorosa disciplina sociale. Ma vai la pena di ricordare che l'interesse di ciascuno e di tutti si difende e si sviluppa meglio non con impostazioni arcaico-statalistiche, sovente fonte di diseconomie e di corruttela, quanto piuttosto sburocratizzando e socializzando sempre più la vita produttiva. Si sente anche un grande bisogno di tanti cambiamenti nella vita pubblica che in sintesi corrispondono alla esigenza di una riforma morale. Si sente un grande bisogno di ristabilire una nobiltà della politica che abbia le sue fondamenta nella coscienza storica di rappresentare la guida e di rispondere delle sorti e del progresso di un grande vitalissimo Paese. La classe politica democratica deve riconquistare autorevolezza e credito principalmente di fronte alle nuove generazioni, rinnovando uomini e metodi, cultura e linguaggio. Deve essere ristabilito il primato della giustizia e della verità che vicende trascorse e vicende attuali mantengono in uno stato di umiliazione e di offesa. Solo se avanzerà una riforma morale potrà estendersi una più nitida coscienza ed un più vivo attaccamento a tutti i valori che sono consentiti ed espressi dal nostro regime di libertà. Si è scritto giustamente che l'Italia è uno dei Paesi più liberi del mondo, ma troppe immoralità e tanto cattivo uso della libertà stessa fanno velo ad una presa di coscienza collettiva che possa rendere il Paese più unito, più solidale, più impegnato nella costruzione del proprio futuro.

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L'ottava legislatura repubblicana ha di fronte a sé una via aperta. Sta alle forze politiche decidere se percorrerla con coraggio ricercando in modo flessibile, senza pretese di mera continuità egemonica, nelle forme possibili, il terreno su cui dare vita ad una sostanziale "alleanza riformatrice".

obiettiva che il Partito comunista incontrava a farsi riconoscere ed accettare come Partito di governo nell'ambito di una strategia di egemonia e di dittatura di ispirazione staliniana. Ma rimane sempre vero che soltanto una sinistra unita era ed è in grado di vincere la battaglia democratica. Lo si è visto nel decennio degli anni sessanta quando per arrestare l'involuzione della società e delle istituzioni, il PSI ha dovuto assumere da solo, e con forze diminuite, responsabilità di potere con la DC che garantirono una tregua politica pur bloccando la politica della programmazione e della pianificazione. Il decennio degli anni settanta creò problemi ed esigenze non più contenibili nel quadro del centrosinistra. Da ciò uno sfilacciamento nelle prospettive e nell'azione fino alla soglia che stiamo varcando entrando negli anni ottanta. Qual è in sostanza la caratteristica del nuovo anno che si apre? E una politica di emergenza che raccolga le forze necessarie per risolvere i tre problemi aperti nel decennio precedente: instabilità del potere con governi, quello attuale compreso, che non hanno né l'autorità né la forza ideale e politica per mettersi alla testa del popolo; quello della ristrutturazione economica attualmente soffocata dai flagelli dell'inflazione e della mancanza di prospettive e di programmi nel campo del lavoro e dell'occupazione; quello infine di una realtà europea che anche dopo l'elezione del primo Parlamento europeo rimane formale, con una assemblea frenata da fermenti nazionali e a volte addirittura nazionalisti. Ecco l'eredità passiva che il 1979 lascia al 1980 con l'aggiunta di un terrorismo sedicente rosso che è l'eguale del brigantaggio post-risorgimentale, del terrorismo di Stato degli eccidi proletari, del fascismo nella sua caratterizzazione di rivincita agraria. Tutto questo nel bel mezzo di una situazione europea anch'essa instabile e vulnerabile e di una rivincita asiatica che h nella Cina un punto di forza e di equilibrio, mentre nell'Iran e nel risveglio dell'islam segna un ritorno alla nozione della guerra santa. Il Partito socialista può motto in una situazione di questo genere, posto come è tra un PCI che tenta con ritardo e non senza contraddizioni di liberarsi dall'attrazione leninista, se non addirittura stalinista, dell'attacco frontale e una democrazia cristiana incapace di indicare con chiarezza i limiti del suo sociologismo. Ma mentre entriamo negli anni ottanta bisogna che sia chiaro che il tempo non lavora per la sinistra e

Bettino Craxi (Dall'Avanti! del 27 settembre 1979) §§§

PIETRO NENNI: L'ALTERNATIVA DI RINNOVARSI O DI PERIRE Pochi giorni prima di morire, il 1° gennaio 1980, Pietro Nenni aveva scritto il suo ultimo articolo. Vergato a mano con grafia sottile, lo scritto era destinato ad aprire le pagine dell'Almanacco socialista per il 1980. Nella sua nitida prosa di grande giornalista, Nenni traccia un quadro degli incipienti anni ottanta. Non è ottimista: tempi difficili come e più dei primi anni del ritorno alla vita democratica. E conclude con una constatazione drammatica: "Tutto è in questione, tutto è posto di fronte all'alternativa di rinnovarsi o di perire". L'Almanacco socialista registra i fatti salienti che hanno caratterizzato l'anno che se ne va, il 1979, a conclusione di un decennio che è stato il più difficile dall'epoca della liberazione in poi. Altrettanto difficili erano stati infatti i primi anni del ritorno alla vita democratica. Ma soffiava sul Paese il vento della liberazione, il vento che chiamavamo del Nord, e niente appariva impossibile. Veniva cioè dal basso un continuo richiamo alla iniziativa ed al coraggio anche se erano già in azione le forze di conservazione che avevano cercato e in parte erano riuscite a delimitare il raggio d'azione della liberazione ai problemi di forma delle nuove istituzioni a detrimento dei contenuti sociali. Ma in definitiva quello che era il problema principale del post-fascismo, e cioè la diretta partecipazione di settori sempre più vasti del popolo lavoratore alla vita pubblica, era pienamente operante ed aveva in sé, come malgrado tutto ha ancora, le forze e le spinte capaci di reggere il peso della ricostruzione. li primo duro colpo di freno alla linea di sviluppo venne purtroppo con la scissione socialista che giovava a tutti ma non certamente a noi, serviva alla corrente moderata della DC, serviva ai comunisti sia pure soltanto in apparenza. E naturalmente si può parlare all'infinito di errori anche nostri come si può parlare della difficoltà

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che di tempo ne abbiamo tutti poco per evitare la definitiva disgregazione di una società senza principi affidata alle improvvisazioni quotidiane e contraddittorie di una borghesia di Stato priva di spirito di intraprendenza. Da questo punto di vista l'anno '80 in cui entriamo e il decennio che gon esso si apre saranno decisivi. Tutto e in questione, tutto è posto di fronte all'alternativa di rinnovarsi o di perire.

problema storico dell'unità del movimento dei lavoratori e dei suoi filoni fondamentali soleva spesso dire che "il fiume risponde alla sorgente". Per ritrovare le strade dell'unità bisognava perciò risalire alle fonti delle divisioni, per rimuovere gli ostacoli originari, i fattori di fondo che avevano determinato il corso diverso delle forze. Il compagno Nenni lascia ai socialisti italiani un grande patrimonio ideale che non andrà disperso e che non lasceremo isterilire. Noi continueremo. Non ci lascia né una dottrina né un dogma. Ci lascia l'esempio di un grande amore per il popolo e per la patria, di un idealismo superiore marcato dalla fedeltà ad una concezione del socialismo che sempre comunque vuole i suoi conti in regola con la libertà, ci lascia l'esempio di uno spirito critico proteso nella ricerca della verità e della giustizia, non immune da errori che l'esperienza dei fatti e l'onestà intellettuale ha consentito di correggere. Ci ha insegnato il senso del dovere verso la collettività e verso i lavoratori come principio e metodo della responsabilità politica, ci ha insegnato ad assumere a viso aperto le responsabilità che ci toccano di fronte al Partito e di fronte al Paese senza arretrare o rassegnarsi di fronte all'inevitabile scarto -come egli diceva - tra il reale e l'ideale. Pietro Nenni continuerà a vivere nella storia del Socialismo italiano, nella storia della democrazia e della Repubblica. in un suo libro sulla guerra di Spagna egli ricorda la commozione e la gioia che lo prese quando in trincea spagnola un connazionale, che lo aveva riconosciuto, lo aveva salutato con il semplice saluto italiano che gli rivolgiamo noi tutti: "Ciao, Nenni".

Pietro Nenni (Dall'Almanacco Socialista 1980) §§§

BETTINO CRAXI: L'INSEGNAMENTO DI PIETRO NENNI "Ciao, Nenni" è il semplice, commosso saluto che una folla enorme, a Roma il 3 gennaio 1980, rivolge alle spoglie del leader scomparso. A nome di tutti lo formula il segretario del PSI Bettino Craxi in un discorso in cui rievoca brevemente la figura di Nenni. Prima che una lezione politica, quella di Nenni è una lezione umana, l'esempio di una vita. Ecco perché in piazza ci sono tutti, ecco perché anche chi non ha condiviso le idee gli ha sempre voluto bene. È quanto dice Craxi, ed è anche contenuto nel grido che si leva dalla folla: "Ciao, Nenni". Il compagno Nenni diede un contributo fondamentale alla nascita ed alla vita della Repubblica, alle battaglie per l'attuazione della Costituzione, alle lotte sociali e politiche che hanno aperto nuove strade di progresso e di civiltà nel nostro Paese ed hanno fatto avanzare il movimento dei lavoratori. Fu sostenitore accanito delle lotte per la pace in Europa e nel mondo come di tutte le cause dei diritti umani e dei diritti dei popoli. Fu un uomo di governo lungimirante, giusto ed onesto. Con Aldo Moro contribuì a guidare una fase della vita politica della Nazione che la storia giudicherà con metro diverso e più obiettivo di quanto non sia stato fatto nel vivo della polemica politica di questi anni. Il Paese e la democrazia italiana gli debbono molto. Il Partito socialista gli deve assai di più. Egli, che è stato in varie epoche il protagonista principale della vita del Partito, ha vissuto i travagli e lo sviluppo talvolta aspro delle contese e delle lotte di frazione del movimento socialista e del movimento operaio nel suo insieme, sforzandosi sempre di tenere vivo il sentimento e il valore dell'umanità. Parlando del

Bettino Craxi (Dal discorso commemorativo ai funerali di Nenni, 4 gennaio 1980) §§§

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sociale del nostro Paese. Appartengono ad epoche passate. È il complesso dei problemi che abbiamo di fronte che richiede un importante sforzo di rinnovamento anche al nostro interno; certo l'attenzione alle istanze di quanti compongono il sindacato non può non affinarsi e essere sempre più puntuale, più conseguente nella individuazione degli obiettivi. E questo risponde a quel bisogno di rinsaldare i vincoli con i lavoratori in un disegno di costruzione rinnovata del sindacato e di democrazia sindacale liberata da errori, ambiguità e ristrettezze. Ma la nostra credibilità nasce anche dal mantenimento di uno dei caratteri tradizionali della nostra iniziativa, senza il quale il consenso sociale non potrebbe non diminuire nel tempo; esso è contenuto nella stessa espressione di forza sociale che ci contraddistingue, nella capacità cioè di cogliere quanto si muove, è vivo, nella società. Non è solo un problema, pur vivo e attuale, di sostenere e far avanzare la società italiana mettendola al riparo dell'autoritarismo, impedendo l'imbalsamazione del pluralismo e della dialettica. È anche una questione di cogliere le nuove tensioni presenti nel tessuto sociale del Paese, da quelle che evocano grandi problemi come la condizione giovanile o la questione meridionale, a quelle che segnano drammaticamente i nostri tempi, dalla lotta contro la violenza all'arresto di inquietanti fenomeni come quello della droga. Anche su questo potremmo parlare di ritardi e incertezze; eppure vi sono anche potenzialità che vanno sfruttate e rese esplicite. Alcune intuizioni più o meno recenti non devono cadere, non sono sbagliate: il peso e il ruolo dell'iniziativa pubblica; l'impegno per relazioni industriali che s'appoggiano anche a ipotesi di legislazione di sostegno, una riforma del mercato del lavoro, alcune riforme sociali essenziali. Oggi si presentano con urgenza e modalità nuove, proponendoci la necessità di intervenire con progetti forse meno ambiziosi ma in grado di aggredire e risolvere anche gradualmente il problema. È certo che ci batteremo perché il conflitto sociale non sia visto dall'opinione pubblica come ricco di vecchie incrostazioni ideologiche o peggio con poco chiare distinzioni dalla violenza. L'assuefazione alla violenza e quella alla svalutazione della vita sono due elementi contro i quali abbiamo preso e prenderemo con vigore e nettezza le distanze. Per evitare che i tanti pezzi di riforma istituzionale dei rapporti sociali cadano nello scorrere di una crisi che ne può di volta in volta neutralizzare gli effetti, impedire la crescita, è necessario un periodo di stabilità e di migliore capacità laica di far politica. In

GIORGIO BENVENUTO: IL NUOVO RUOLO DEL SINDACATO Per uscire dallo stato di "emergenza" In cui si trova alla fine degli anni settanta, l'Italia ha bisogno anche dell'azione del sindacato. Per Giorgio Benvenuto, segretario generale della UIL il sindacato non può limitarsi ad assolvere soltanto un ruolo legato agli ambiti economici. Dove farsi soggetto di programmazione, ma dove anche rilanciare al proprio interno la democrazia. Il brano di Benvenuto è tratto daII'Almanacco socialista 1980. Il sindacato non può limitarsi a assolvere soltanto un ruolo legato agli ambiti economici; deve continuare a svolgere, certo non da solo ma con determinazione sua propria, un'azione per la tutela del diritti e delle libertà ancora calpestate in molte parti del mondo, a sostenere con convinzione le ragioni della pace e della cooperazione, così come soprattutto nell'area occidentale la classe lavoratrice può farsi portatrice di esigenze e di capacità di reazione all'assuefazione della cultura della crisi, alla soggezione di essa. Il primo obiettivo che sì deve conciliare nel nostro Paese con l'emergere di una nuova strategia riformatrice, è quello di non sottoporre alle carenze della crisi che sfilacciano giorno dopo giorno il tessuto della convivenza civile. Siamo così al problema di fondo della nostra società: quello della governabilità del Paese. Se va superato definitivamente, in particolare nella sinistra, ogni mito residuo di statalizzazione dell'economia, è necessario però evitare che l'assenza di una seria programmazione spiani la via a processi di privatizzazione di scelte e metodi da parte di istituzioni economiche e di organi di governo. Si salderebbe così l'esperienza negativa dell'assistenzialismo e della discrezionalità nell'uso del potere con il ripiegamento miope sui ridotti spazi di intervento oggi offerto dall'economia italiana. Ma se questo è il rischio, il sindacato italiano ha l'obbligo di divenire realmente soggetto attivo di programmazione, che sappia anche affrontare con un serio sforzo di attualizzazione delle proprie linee i temi della produttività e dell'organizzazione del lavoro. E soggetto attivo di programmazione significa anche non tirarsi indietro rispetto alle responsabilità che competono. Come ormai appare fin troppo chiaro il sindacato tradeunionista e quello richiamantesi al modello della cinghia di trasmissione non hanno più possibilità dì riproposizione sulla scena politica e

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esso va collocato un grande sforzo per rilanciare la democrazia e la partecipazione ovunque; anche nel sindacato, ove esiste l'esigenza di fissare regole certe che siano capaci di garantire a tutti il diritto alle scelte, oltre il minoritarismo e le prevaricazioni che a volte allignano, anche usando strumenti come il referendum. Anche se lo sviluppo seguirà strade meno intense ed avrà momenti di caduta e di forte attrito con i bisogni della gente, il sindacato potrà assolvere a un suo ruolo di rinnovamento della società italiana se guarderà con franchezza e spregiudicatezza dentro se stesso. Ma in quel momento, anche per altri, molti alibi non serviranno più.

non altro, questa e non una prospettiva di tipo comunista può essere indicata come via di uscita strategica per gli anni a venire. Tale metodo per noi significa tre cose fondamentali pragmatismo, gradualismo e riformismo. Ci richiamiamo al pragmatismo in quanto ci consideriamo un partito laico, che non confonde il piano della politica con quello della religione, il problema della giustizia don il problema della salvezza. Non abbiamo - né aspiriamo ad avere - una filosofia totalizzante, che pretende di dare una risposta a tutte le domande; e proprio per questo non siamo una chiesa, una istituzione che promette la salvezza collettiva, bensì un Partito aperto a tutti coloro che, quale che sia la loro fede religiosa o la loro metafisica, accettano i valori e si riconoscono negli obiettivi fondamentali della democrazia socialista, intesa come saldatura fra la libertà e l'eguaglianza, l'individualismo e il solidarismo. Noi siamo e intendiamo rimanere un Partito di trasformazione sociale, che aspira a costruire una società centrata sull'eguaglianza e la partecipazione, oltre che sulle libertà individuali e sul pluralismo. Per questo diamo una interpretazione dinamica dei valori e delle istituzioni liberaldemocratiche, anziché rigettarle, come fanno le correnti di pensiero che hanno alimentato miti e utopie rivoluzionarie. Accettiamo il gradualismo perché riteniamo che la società non è una macchina che possa essere smontata a piacere, bensì un organismo complesso regolato dal principio di continuità. Rompere la continuità storica di una società, significa traumatizzarla, sconvolgerla, non assicurare un effettivo salto di qualità nella sua trasformazione e nel suo sviluppo. Il PSI tende a rifiutare la cristallizzazione delle posizioni politiche in formule meramente parlamentari, mira ad agire nel concreto delle situazioni, valutarle con realismo e secondo le fondamentali re gole democratiche, stabilisce le proprie alleanze con forze democratiche diverse sulla base di accordi fondati su programmi definiti e su equilibri che reputa vantaggiosi per la vita e lo sviluppo delle istituzioni democratiche, ma è egualmente interessato ad attivare processi di largo respiro che individuando le tappe e chiarificazioni successive, una nuova impostazione di prospettiva, favoriscano un superamento delle divisioni storiche e attuali che caratterizzano negativamente i rapporti della sinistra italiana.

Giorgio Benvenuto (Dall'Almanacco socialista 1980) §§§

UN PARTITO LAICO E PRAGMATICO "Noi siamo e intendiamo rimanere un Partito di trasformazione sociale": a chi chiedesse alla vigilia del congresso di Palermo un giudizio estremamente sintetico sul PSI, si potrebbe dare questa risposta. Una risposta che è poi specificata nelle "Tesi" presentate al Congresso dal Segretario del Partito. Il PSI è laico, pragmatico, riformista, gradualista, rifiuta le cristallizzazioni della vita politica Italiana, vuole che l'Italia progredisca, collocandosi accanto alle più sviluppate democrazie occidentali. La storia dell'intero movimento socialista evidenzia con estrema chiarezza che fra i tanti metodi adottati l'unico che alla prova dei fatti si sia dimostrato capace di migliorare le condizioni materiali e morali di vita delle classi lavoratrici allargando l'area del benessere e della sicurezza, ma parimenti anche quello della libertà, è stato quello cui si è mantenuto fedele il socialismo occidentale, che ha seguito e continuerà a seguire la strada maestra della democrazia politica e delle riforme. Il nostro Partito si attiene a questo metodo ed ai principi che lo sorreggono per accelerare il processo di costruzione di una democrazia socialista. Altre strategie, ispirate a ideologie estremiste, rivoluzionarie, totalitarie, si sono dimostrate sterili o peggio hanno generato sistemi che contraddicono radicalmente gli ideali di libertà che stanno alla base del Socialismo. Per la società italiana, per la sinistra ed il mondo del nostro Paese, una scelta socialista, riformista, democratica è imposta dalla logica delle cose, oltreché dalle esperienze della storia. Questa e

Dalle Tesi per il 42" Congresso (Palermo, marzo 1981) §§§

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AGOSTINO MARIANETTI: PROGRAMMAZIONE E STRATEGIA SINDACALE

anche in rapporto ai nuovi livelli e strumenti che intendiamo utilizzare e che non possiamo prescindere dal concreto delle esperienze di lotta che abbiamo condotto. Esse hanno messo in mostra sia deficit culturali di preparazione specifica dei quadri, cui non abbiamo fatto fronte con adeguati programmi formativi, sia limiti di direzione e di coordinamento delle strutture confederali. È su queste considerazioni che si muove la proposta di un intervento legislativo che obblighi le imprese di una certa dimensione, o che comunque usufruiscono di benefici pubblici, a presentare un piano poliennale in cui siano contenute informazioni dettagliate riguardo ai nuovi investimenti e relative fonti di approvvigionamento finanziario, alle innovazioni tecnologiche, al livelli occupazionali, agli sbocchi di mercato del prodotto. Sul programma economico dell'impresa si dovrebbe avviare un confronto tra le parti che dovrebbe concludersi con la reciproca assunzione di impegni. Sulla sua attuazione poi dovrebbero essere previsti specifici momenti di confronto periodico. il piano di impresa assolverebbe inoltre alla funzione del necessario raccordo con la programmazione pubblica, sostituendosi agli strumenti di informazione previsti dalla vigente legislazione in materia di Incentivi e finanziamenti, così da creare un meccanismo che non sia piramidale (in cui cioè gli impulsi partono dall'alto per raggiungere la singola impresa), ma In cui avvenga un Incontro tra indirizzi di programmazione generale e programmi di sviluppo delle imprese sul quali si è realizzato un confronto tra le parti. Questo processo riformatore evoca inevitabilmente la necessità di rivedere l'attuale struttura societaria. Il discorso non è affatto nuovo; i tentativi avviati in questa direzione - mi riferisco all'introduzione della certificazione dei bilanci e agii strumenti di controllo della borsa -non hanno però prodotto risultati soddisfacenti. D'altra parte, anche gli sforzi della CEE di portare avanti un discorso di omogeneizzazione della legislazione dei Paesi aderenti in materia di diritto societario segnano Il passo, ad ulteriori dimostrazioni dell'ostilità che essi incontrano tra le forze padronali e conservatrici. Sarà necessario pertanto produrre un grande movimento di lotta e anche una robusta Iniziativa politica e legislativa, in primo luogo da parte del PSI, su una questione che non può essere vista come un semplice aggiustamento tecnico al di fuori della sfera degli interessi dei lavoratori.

L'esigenza di una democrazia industriale è profondamente sentita dal sindacato italiano agli inizi degli anni ottanta. Ma nello stesso tempo Il sindacato avverte i propri ritardi e arretratezza culturali. Nel brano che segue, tratto dalla rivista "Mondoperaio" del marzo 1981, Agostino Marianetti, segretario generale aggiunto della CGIL, ribadisco l'esigenza per Il sindacato di dotarsi di un progetto. Poiché, senza un progetto, Il sindacato non avrebbe la possibilità di arginare le pressioni corporativo e finirebbe per aderire alla frantumazione sociale anziché comporla. Tema fondamentale di una politica di programmazione e di democratizzazione dell'economia è quello della democrazia industriale. Esso costituisce infatti l'anello fondamentale che salda i processi produttivi della programmazione e determina un rapporto di coerenza tra l'azione del sindacato nei luoghi di lavoro e il ruolo complessivo del movimento nei confronti delle istituzioni. Dobbiamo quindi trovare un terreno più consistente e avanzato di confronto tra il sindacato e le direzioni aziendali che superi l'ambito contrattualistico improprio rispetto alle questioni delle scelte strategiche di natura economica e produttiva e che faccia assumere alle parti reciproci Impegni ferma restandone l'autonomia. Siamo di fronte a un problema, quello delle previsioni e del piano di sviluppo dell'impresa, che non è possibile ricondurre all'interno di uno schema, quello contrattuale appunto, in cui si ha invece uno scambio tra quantità certe (schematicamente: salario da una parte, forzalavoro dall'altra). Pensando infatti di voler risolvere tutto all'interno dell'impresa risulta difficile, se non impossibile, addivenire ad accordi vincolati per le parti, in quanto in nessun modo è possibile condizionare le variabili esterne che, modificano il quadro di riferimento, finiscono per giustificare il cambiamento delle strategie che sono state oggetto di confronto tra le parti. Inoltre il rischio è quello che i rapporti tra le parti sociali si riducano all'interno delle compatibilità delle singole imprese, in una logica di razionalizzazione dell'esistente anziché di espansione e di riqualificazione dell'assetto produttivo. I diritti di informazione e di controllo, anche per i suddetti motivi, non hanno portato a risultati apprezzabili, sia perché lo stesso sindacato non è stato completamente al l'altezza del compito, sia perché questa normativa non era in grado di dar luogo a un accordo vincolante fra le parti. Su tutto questo naturalmente deve innestarsi una riflessione autocritica,

Agostino Marianetti (Da Mondoperaio, marzo 1981) §§§

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VALDO SPINI: OFFRIRE PROSPETTIVE AL NEGOZIATO

potuto riscontrare anche la presenza di aree di gruppi esterni al Partito, ma tuttavia consapevoli della necessità di un rafforzamento dell'area socialista. Un discorso che dobbiamo riprendere. Segno che, quando il Partito esce all'esterno, esso è in grado di non farsi rinchiudere in nessun bunker. Non dobbiamo sfuggire alle nostre responsabilità. Dobbiamo esercitare alcune azioni precise negli ambiti in cui ci troviamo, nelle alleanze che abbiamo contratto con lealtà, ma senza spirito di sudditanza come ha precisato nella sua relazione il segretario del Partito. La prima riguarda il negoziato che si apre. Un negoziato che si presenta come luogo e difficile. Le posizioni di partenza sono lontane. Reagan partirà da quella che abbiamo definito l'opzione "zero più", Breznev dalle proposte che ha fatto a Schmidt: moratoria sull'installazione di nuovi missili da dichiarare all'inizio delle trattative e, da parte degli URSS, un gesto unilaterale di buona volontà, consistente nella riduzione del numero degli SS 20, anche se in termini non ancora chiariti. Ma occorre che i Paesi europei interessati, particolarmente quelli in cui larga è l'influenza socialista, si attrezzino a seguire e a premere sul negoziato perché esso sia efficace, dotato della necessaria buona volontà, sollecito nelle sue conclusioni con un'azione coordinata di governi e di opinione pubblica. L'Italia e l'Europa hanno in mano solo armi politiche per premere in questa direzione. Dobbiamo utilizzarle sino in fondo, per non essere vittime del circuito della sfiducia tra le grandi potenze. Sia l'URSS che gli USA dovranno ascoltare questa Europa. L'URSS perché teme effettivamente la prospettiva delle istallazioni degli euromissili, gli USA perché non possono prescindere dall'opinione politica e più in generale dall'opinione pubblica europea. E se qui molti compagni hanno detto (come del resto i socialisti francesi) che l'URSS può essere condotta a trattare da una reale minaccia della installazione degli euromissili, dobbiamo far si che anche gli USA sappiano che si possono trovare di fronte alla minaccia opposta, qualora essa fosse resa necessaria dal decorso del negoziato che fosse privo delle necessarie volontà di decidere. Il problema peraltro non si ferma qui. Esso riguarda l'insieme dei rapporti Nord-Sud, che rischiano di deteriorarsi anch'essi per effetto del deterioramento della distensione tra Est e Ovest. Tutto ciò getta delle ombre minacciose sulla possibilità della emancipazione dei popoli, in America Latina, in Africa australe e, naturalmente, nell'Afghanistan, in Asia e in Medio oriente. Abbiamo trovato

Intervenendo al Comitato Centrale dedicato alla politica estera, Valdo Spini, vicesegretario del Partito, ha rilevato come una ripresa della distensione Est-Ovest sia impossibile e vana se non si sviluppa parallelamente il dialogo tra Nord e Sud del mondo. Alle accresciute tensioni, l'unica risposta possibile è un dialogo reale che apra prospettive meno inquietanti. Le forze del Socialismo europeo sono sottoposte ad una nuova sfida. Negli anni precedenti, l'Europa occidentale si sentiva sostanzialmente al di fuori dei punti di massima tensione sullo scenario internazionale. Mentre le due superpotenze si impegnavano in grandi accordi sul controllo degli armamenti, il Salt I, il Salt Il e così via, per il movimento progressista europeo Il compito sembrava soprattutto quello di cercare di Intervenire su quanto avveniva negli altri continenti del nostro pianeta. Oggi, la crisi del processo di distensione investe direttamente l'Europa e la ripresa della corsa agli armamenti tra i due blocchi riguarda soprattutto gli schieramenti che si fronteggiano sul teatro europeo. Per gli USA e per la NATO il fatto che con gli SS20 l'URSS conquistasse una superiorità nucleare di teatro In Europa (questa superiorità nucleare, dicono gli esperti del nostro IAI, sulla scorta di analisi internazionali, c'è davvero), aveva effetti non solo europei, ma anche più generali perché viene a rendere più determinatamente il ruolo di deterrente dell'armamento nucleare americano, il che non piace agli USA, ma non piace nemmeno a certi governi europei. Occorre sapere sviluppare un'azione politica basata sulla capacità di offrire prospettive di negoziato e di ripresa di controllo della corsa agli armamenti. Ed è su questo terreno che l'Amministrazione USA si è finalmente decisa a scendere con chiarezza, con la proposta di quella che è stata chiamata l'opzione "zero più", cioè l'eliminazione dal teatro europeo non solo degli SS20 ma anche degli SS4 e SS5. Diceva Brandt, il mese scorso nel suo discorso alla Facoltà di Scienze Politiche di Firenze che lo aveva appena laureato dottore honoris causa, "Dalla storia possiamo imparare come e perché nelle crisi e catastrofi la politica abbia fallito e perché qualche volta sia riuscita". Noi socialisti italiani non potevamo restare a guardare, dovevamo entrare anche noi in campo. E così è stato, con la giornata del 15 novembre, che si è dimostrata significativa anche per un altro aspetto: intorno al nostro appello, intorno alle nostre manifestazioni, abbiamo

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CLAUDIO MARTELLI: ALLA RADICE DEL FENOMENO TERRORISMO

preoccupati di tutto ciò anche i nostri ospiti del Pc cinese, che certo non sono teneri verso l'URSS e le sue responsabilità. Spetta particolarmente all'internazionale Socialista creare le condizioni perché essi possano avere nel movimento socialista internazionale un sicuro punto di riferimento. Non è un caso che la tematica Nord-Sud abbia visto come protagonista proprio il presidente dell'internazionale Socialista, Willy Brandt. Non è un caso che i più interessati alla tematica Nord-Sud siano stati proprio i Paesi Europei più direttamente influenzati dalla presenza socialista e i Paesi del "non allineamento" genuino come l'Algeria, la Jugoslavia, ed altri, e che del resto a Cancun abbiamo potuto registrare anche la presenza del primo ministro cinese. Mentre da una parte gli Usa si sono mostrati diffidenti in grazia di una filosofia libero-scambista, dall'altra i Paesi dell'Est Europa si sono addirittura sottratti alla partecipazione e Cuba si è espressa in termini critici. Occorre in particolare che le forze socialiste sviluppino una politica atta a combattere la disoccupazione che si è accresciuta nel continente europeo, contro le politiche deflazionistiche dei governi conservatori. In questa direzione si impone un rilancio ed una accentuazione dell'iniziativa dei partiti socialisti europei e della loro unione, il cui congresso è atteso per il prossimo anno. In altre parole, se sapremo rispondere con l'iniziativa politica alla ripresa di tensione che coinvolge l'Europa avremo realizzato in questa vicenda del passi avanti, realizzando momenti di vera e propria crescita politica del Socialismo europeo e di noi con esso. Il PSI ha dimostrato in Parlamento, nel recente dibattito di politica estera, e prima ancora con il largo consenso venuto al "dieci punti per la pace" proposti dal Segretario del Partito, di essere il punto di massima convegenza tra le forze politiche del Paese. Un Partito, il PSI, che con il suo ruolo determinante nel Parlamento italiano e con la sua collocazione nel movimento socialista internazionale può e deve essere la forza che meglio di ogni altra rappresenta la capacità dell'Italia di svolgere un ruolo influente con la sua politica estera, per una presenza di pace e di cooperazione nel mondo di oggi.

Le condanne retoriche non sono mai servite. Per combattere Il fenomeno del terrorismo occorre andare molto più in là: occorre approfondire l'analisi, cercare di capire quale sia l'ideologia, la cultura, il retroterra sociale e gli eventuali legami internazionali che sono all'origine del fenomeno. Occorre elaborare - ha ricordato il vicesegretario del PSI, Claudio Martelli, nella relazione introduttiva ai lavori della Direzione del Partito tenutisi il 15 gennaio 1982 - un preciso piano di lotta che permetta di stroncare alla base il terrorismo. Una strategia democratica alla quale il PSI darà Il suo pieno sostegno impegnandosi, oggi come in passato, per sconfiggere ogni tentativo di attacco al sistema repubblicano. La durata, l'ampiezza, l'aggressività del terrorismo italiano la sua rinnovata capacità di percuotere e di insanguinare il nostro Stato e la nostra società avrebbe già da tempo dovuto indurre ad una riflessione più rigorosa, più scevra da superficialità e da partigianerie, più costante e più obiettiva. La dimensione internazionale del terrorismo italiano A distanza di un anno la Camera dei Deputati ha di nuovo discusso dei collegamenti internazionali del terrorismo italiano. E ciò vale tanto per il terrorismo rosso quanto per il terrorismo nero. Ma proprio del terrorismo nero, lungo gli anni che vanno da Piazza Fontana alla strage di Bologna, non si è mancato di sottolineare attività, collegamenti, sinergie persino esplicite con gruppi terroristici internazionali. Episodi, concomitanze, sono state rilevate, dubbi e sospetti sul ruolo di settori dei servizi segreti italiani e persino di Paesi alleati sono stati a più riprese sollevati. Ora, non possiamo avere minore attenzione per le affinità, i collegamenti, le sinergie che si riscontrano tra il terrorismo rosso e i gruppi terroristici stranieri. Non possiamo non vedere, se vi sono, e non apprezzare nel loro significato e nelle loro conseguenze i sospetti legami tra gruppi terroristici stranieri e servizi o strutture di Paesi dell'Est europeo o di altri continenti. La dimensione politica interna del terrorismo Alla linea internazionale dell'ala cosiddetta movimentista, corrisponde una concentrazione dell'attacco polemico al PSI accusato di sostenere come un simulacro di unità nazionale la maggioranza e il governo penta-partito che consente la ristrutturazione dell'Italia in termini di Stato imperialista delle multinazionali. Sono dirigenti del Partito e del Sindacato ad essere presi di mira in

Valdo Spini (Dall'intervento al Comitato Centrale, 28 novembre 1981). §§§

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modo diretto, da Craxi a Martelli, da Lagorio a Formica, da De Michelis a Balzamo, da Benvenuto a Mattina a Marianetti che ricatterebbe con minacce scissionistiche l'ala comunista della Cgil, a Giuliano Amato e Giorgio Ruffolo teorici della ristrutturazione istituzionale. Il retroterra culturale Il linguaggio dei documenti nella sua esasperata e artificiosa fraseologia è quello di una koiné marxistaleninista-terzomondista fortemente impregnato di economicismo e di volontarismo. E un linguaggio ad un tempo critico e brutale. Un linguaggio che sembra emergere da un mondo di presunzione e di sofferenza. Le analisi non sono, come spesso si scrive, sempre ovvie e banali. Vi è il tentativo di uno sviluppo logico, di una estrema coerenza e di un aggiornamento del rivoluzionarismo comunista a partire da un universalismo moralistico, riparatore e giustiziere in sintesi vertiginose di aggressività e di vittimismo. Il retroterra sociale del terrorismo: fiancheggiamento e reclutamento I nuclei clandestini del terrorismo, i terroristi veri e propri politicizzati, militarizzati che sono autori e partecipi del progetto comunista rivoluzionario si rivolgono costantemente da oltre un decennio - da prima del '68 a dopo il '77 - attraverso fasi diverse, successi, crisi, diaspore e ristrutturazioni dei vari gruppi a ciò che comunemente essi chiamano "proletariato metropolitano". Si tratta di vaste aree sociali. li che ovviamente non significa affatto che siano tutti e nemmeno in buona parte potenziali fiancheggiatori o reclute dei terroristi. Il terrorismo nelle fabbriche I documenti più recenti delle BR insistono molto negli inviti e negli appelli a distruggere il modo di produzione capitalistico nei suoi punti alti - alla FIAT e nel sistema industriale delle PPSS -. A chi si rivolgono? Soltanto alle loro colonne militari? I principali destinatari di questi messaggi di distruzione, sabotaggio, paralisi, assenteismo sono fondamentalmente nelle fabbriche citate, non fuori di esse. E non a caso bersaglio privilegiato dei documenti citati sono i sindacalisti socialisti che più si sono esposti nella denuncia dell'assonanza tra linguaggio e concetti del terrorismo e linguaggio e concetti, ragionamenti e forme espressive che appartengono al "sinistrese" e al "sindacalese". Il "Carcerario" La lenta ed incalzante opera di ideologizzazione e proselitismo viene perseguita con sempre crescente e maggiore determinazione sino ad arrivare nel '77 alla strategia della fuga, un piano di evasioni a

catena, con relative planimetrie di un numero imprecisabile di carceri. L'ulteriore passaggio nella conquista del carcere si ha quando, ormai stretti legami con la grossa malavita organizzata, terroristi e boss malavitosi assumono -per così dire- la gestione degli Istituti di pena e ne stabiliscono a colpi di violenza quotidiana la regola di vita. La legislazione antiterroristica Il giudizio che si può esprimere sul complesso delle disposizioni legislative vigenti è che esse sono sostanzialmente valide e sufficienti, anche se possono essere ulteriormente migliorate. Ritenuto pertanto che il contesto legislativo sia sufficiente, il problema si sposta sul terreno dell'applicazione della legge e soprattutto su quelli della prevenzione e della repressione del terrorismo e della delinquenza. A questo riguardo vengono presi in considerazione gli strumenti operativi. Le forze dell'ordine nella lotta con il terrorismo Le forze di polizia sono costituite da un complesso di circa 200 mila uomini. Il livello professionale è insufficiente, specie in rapporto ai problemi nati dalla convivenza con detenuti particolari come i politici. In generale vivono in condizioni che, spesso, non differiscono molto da quelle dei reclusi. Il loro "morale" è molto basso, con qualche caso di corruzione. Se non si provvede ad una riforma, rischiamo di vedere aumentare i detenuti, ma di vedere scomparire gli agenti di custodia. È indispensabile e urgente rinnovare e rendere sistematica, costante, efficace una strategia democratica, contro il terrorismo, contro l'eversione, contro la criminalità. Una simile strategia richiede chiarezza nelle idee politiche e fermezza nei propositi pratici. Una strategia democratica richiede volontà e capacità di recupero sociale e culturale, di vincere vecchie e nuove povertà, di sanare le aree dell'emarginazione, di riassorbire il disagio, il malessere, il risentimento che pericolosamente si accumulano in zone consistenti della nostra civiltà democratica. A questa strategia, e ad ogni concreta azione in questo senso del governo italiano, il Psi darà intero il suo sostegno e il suo contributo di idee e di energie in coerenza con i suoi ideali di libertà, di pace, di progresso, con la sua umana, intransigente opposizione ad ogni espressione degenerata di ideali umani. Claudio Martelli (Dalla relazione alla Direzione del PSI, 15 gennaio 1982) §§§

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L'ISTITUTO SOCIALISTA DI STUDI STORICI

Sinistra europea nel secondo dopoguerra, 1943-1949 (a Firenze nel 1980). Oltre ai due convegni storici internazionali sul movimento operaio europeo negli anni '17-'24 e '43-'49, che così elevato interesse hanno suscitato fra gli studiosi e i militanti dell'intera sinistra. L'istituto delineò fin dal 1978 un denso programma di iniziative teso alla ripresa degli studi sul socialismo riformista in un'ottica europea, nella convinzione che esso costituisse un'esperienza fondamentale nella storia del movimento operaio italiano e per la stessa crescita civile e politica del Paese. Le linee di quel programma di iniziative dell'istituto sull'esperienza storica del Socialismo riformista erano imperniate su quattro momenti fondamentali: 1) la campagna e le strutture collaterali di massa del Partito socialista; 2) la fabbrica e le origini del sindacato moderno di ispirazione socialista; 3) il governo locale; 4) i rapporti tra socialismo e democrazia, e tra socialismo italiano e europeo. Il primo obiettivo fu raggiunto con notevole successo a Reggio Emilia nell'ottobre '78 in un convegno su Prampolini e il socialismo riformista (ed. Mondoperaio); il secondo è stato oggetto di un'importante seminario storico internazionale a Torino, in occasione del centenario della nascita di Bruno Buozzi, sul tema Sindacato e classe operaia nell'età della Seconda Intenzionale; il terzo e il quarto tema saranno oggetto di una serie di iniziative nel 1982, di cui il momento culminante sarà rappresentato da un convegno storico di grande respiro internazionale su Filippo Turati programmato nel dicembre del 1982 a Milano. li programma dei convegni sarà integrato da numerose pubblicazioni, tra le quali emergerà per rilievo politicoculturale l'avvio della edizione dell'Opera Omnia di Giacomo Matteotti. Altre importanti iniziative promosse dall'lstituto per il 1982 riguarderanno il tema Gianni Bosio e la cultura socialista nel dopoguerra e Garibaldi e il socialismo. Connessa alla ricerca scientifica è l'intensa attività dell'istituto in campo editoriale. Nel '77 l'istituto aveva promosso la pubblicazione di una collana storica presso le edizioni Mondoperaio-Avanti!, nella quale uscirono la nuova edizione della Storia dell'Avanti! di Gaetano Arfè; gli Atti dei convegni di Parma del 1978 su Trent'anni di politica socialista in Italia, di Perugia su Rivoluzione e reazione in Europa, 1917-1924, di Milano su Anna Kuliscioff,- il saggio di Leser sull'Austromarxismo; e gli Atti del convegno di Reggio Emilia su Camillo Prampolini e il socialismo riformista. In seguito l'istituto ha stipulato un accordo con l'Editore Sansoni per la continuazione della propria collana storica e per la pubblicazione di Annali e di una sezione Grandi Opere. Il primo numero degli Annali, dedicato al tema Il socialismo nell'emigrazione, è già avviato alla stampa; mentre si sta perfezionando il piano di pubblicazione

di Maurizio Degl'Innocenti Lamentando nel 1976 la carenza di iniziative per organizzare la ricerca storica intorno al Socialismo italiano e internazionale, Pietro Nenni individuava nella fondazione dell'istituto Socialista di Studi Storici - che il Partito "considerava come proprio" pur nel rispetto della sua piena autonomia - e nell'avvio della formazione dell'Archivio storico, i "segni che le cose stavano cambiando, anzi che erano cambiate" in maniera decisiva; e ancora sottolineava come l'iniziativa degli studiosi dell'area socialista avesse un respiro tale da avviare un'epoca nuova nei rapporti tra Cultura e Partito. Allora, per la verità, gli studiosi associati all'istituto erano poco più che una cinquantina, e potevano contare su scarsi mezzi organizzativi e finanziari. Ma la previsione di Nenni e dei compagni che avevano dato vita all'istituto si rivelò ben presto corretta. Tra il 1978 e il 1981 l'istituto ha avuto una crescita ininterrotta, che lo ha posto alla pari dei più importanti istituti culturali e di ricerca storica a livello nazionale e internazionale. La sua base sociale si è allargata fino a contare oltre 150 studiosi associati, provenienti da quasi tutte le regioni italiane. Il rafforzamento della presenza dell'istituto sul territorio nazionale è testimoniato anche dalla costituzione di quattro sezioni periferiche o istituti ad esso collegati stabilmente: in Piemonte, nel Lazio, in Sicilia ed anche in Campania. Le sezioni periferiche hanno inoltre svolto un ruolo essenziale nell'aggregazione di forze intellettuali locali, altrimenti destinate all'isolamento, e - in molti casi hanno avviato iniziative di aggiornamento culturale nei confronti della popolazione studentesca e dei lavoratori, o promosso importanti convegni storici: su Umberto Catosso (ad Asti nel '79), i cui atti sono stati editi da Marsilio; su La crisi politica del '47-'48 (nel '79 a Roma) e su Antonio Labriola (a Cassino nel 1980); su Milazzismo (a Messina nel 79); su Tommaso Fiore (a Bari nel '78), i cui atti sono stati pubblicati da De Donato. Particolarmente intenso è stato nel quadriennio 1978-81 il programma di convegni direttamente promossi dall'istituto, alcuni dei quali di rilevanza internazionale, spesso in collaborazione con istituti ed enti europei di area socialdemocratica, come la Ebert Stiftung di Bonn, la inglese Fabian Society e il francese Office Universitaire de Recherche Socialiste. Tra essi ricordiamo il convegno Trent'anni di politica socialista (a Parma nel '77) quello sul tema Rivoluzione e reazione in Europa, 19171924 (a Perugia nel 78); quello su La

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delle opere di Giacomo Matteotti, previsto in cinque volumi. Nella nuova serie della Biblioteca storica dell'istituto sono già stati editi il saggio di Maurizio Punzo, Socialisti e radicali a Milano, 1899-1,904; e gli Atti del convegno di Firenze, La sinistra europea nel secondo dopoguerra, 1943-1949; mentre sono in corso di stampa saggi di Brunello Vigezzi, Valdo Spini, Antonio Varsori. Con la soluzione della questione editoriale, l'istituto potrà potenziare ulteriormente anche il settore della ricerca scientifica, con un più ampio coinvolgimento delle sezioni regionali. In questo ambito è già stata avviata una importante ricerca sul tema Il movimento socialista nella Resistenza e negli anni della ricostruzione. La costituzione dell'Archivio del Socialismo italiano fu tra gli obiettivi più importanti della politica culturale dell'istituto fin dalla sua fondazione, nel 1976. Ma solo nel giugno 1977 l'Archivio assunse una veste ufficiale e concreta, con una sede, un'organizzazione, un gruppo dirigente. In un appello sull'Avanti!, Pietro Nenni ancora sollecitava una riflessione sui compiti e le difficoltà dell'impresa: "non sarà facile - diceva - colmare i ritardi soprattutto per quanto si riferisce al periodo di clandestinità del Partito, molti documenti dell'epoca essendo andati distrutti nel ventennio delle persecuzioni fasciste", ed aggiungeva quanto fosse importante la raccolta sistematica di materiali documentari andati dispersi per queste vicende: giornali, opuscoli, volantini, manifesti, biografie, carteggi, fotografie, resoconti di congressi e manifestazioni, ecc., nell'ambito non solo nazionale ma anche internazionale. Lo stesso Nenni non faceva mancare anche successivamente il suo costante sostegno all'iniziativa, manifestando la volontà di depositarvi le proprie carte, dopo che fosse compiuta una preliminare inventariazione. Il primo nucleo di documenti ad arrivare fu quello relativo alle carte della Direzione del PSI. Contemporaneamente si procedette nel lavoro di reperimento e schedatura secondo quanto auspicato nel '77 ancora da Nenni con una lettera aperta che trovò immediata eco e rispondenza. Nel 1980, lo Stato riconosceva l'Archivio come ente di "interesse nazionale". Il patrimonio acquisito dall'Archivio nel passato quadriennio è ormai imponente. Tra i fondi già pervenuti e inventariati segnaliamo: Fondo Direzione PSI (1974-77); Fondo Segreteria De Martino; Fondo Avanti! (1946-58); Fondo Lombardi (soprattutto 194446); Fondo Mondoperaio (1958); Fondo M.P.L.; Fondo Lelio Porzio (1943 68); Fondo Argentina Altobelli (1892: 1942); Fondo Valentino Pittoni; Fondo Gaetano Pilati (1907-1925); Fondo Ugo Forlani (18991928); Fondo Eugenio Dugoni (11931-1960); Fondo Arfè; Fondo Lotte agrarie nel secondo dopoguerra, etc. Questa dotazione già di grande rilevanza sta per arricchirsi ulteriormente con altre importanti donazioni.

La Biblioteca dell'istituto si è costituita negli ultimi mesi del 1977, intorno al versamento di un cospicuo fondo di volumi di Gaetano Arfè, che venne cosi a rappresentare il primo importante nucleo librario. La Biblioteca si è quindi ampliata grazie a varie donazioni, di privati, di sezioni del Partito, di associazioni varie, di cui è stata data notizia di volta in volta sull'Avanti! L'incremento della Biblioteca dal 1977 è testimoniato dai dati relativi alle unità bibliografiche possedute: appena un migliaio nel 1977 e oltre 18.000 nel 1981. Molto importante è il fondo relativo al movimento socialista europeo, ricco di alcune centinaia di volumi e di collezioni di periodici, spesso rarissimi. Nella Biblioteca ha avuto uno sviluppo del tutto particolare l'Emeroteca, che attualmente raccoglie oltre 1.000 testate. L'Emeroteca si è costituita insieme alla Biblioteca ed all'Archivio dell'istituto intorno ad un primo nucleo rappresentato dalla donazione da parte della redazione dell'Avanti! di varie raccolte di periodici, e della collezione completa dello stesso Avanti! dalla fondazione ai giorni nostri (e in particolare, a partire dal secondo dopoguerra, anche delle edizioni regionali). In occasione delle celebrazioni per il 90' della fondazione del Partito, l'istituto Socialista di Studi Storici fa appello a tutti i compagni, alle strutture periferiche e centrali del Partito, perché si promuova una grande mobilitazione a favore dell'Archivio del Socialismo italiano, che è patrimonio comune di tutti i socialisti e ne rappresenta la memoria storica. Con l'organizzazione dell'Archivio del Socialismo italiano e della Biblioteca specializzata sul movimento operaio italiano e internazionale e con il conseguente consolidamento patrimoniale, l'istituto ha ormai acquisito quei caratteri permanenti e autorevoli che lo stesso Nenni aveva previsto. Se ciò è stato possibile, occorre aggiungere, è anche perché all'interno dell'istituto, intorno al presidente Giorgio Spini e a tutti i compagni del direttivo, si è instaurato uno stile di lavoro severo e concreto, in un rapporto autonomo e dialettico nei confronti del Partito. È questa una scelta difficile, che reclama continue verifiche, non consente pause, implica un costante richiamo a noi stessi e al Partito. Ma proprio per questo occorre che tutto il Partito, dalle istanze di vertice alle strutture di base e ai singoli militanti, senta l'istituto come proprio, si stringa intorno ad esso, lo stimoli e lo sostenga concretamente.

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