ITALY

Page 1


Comune di Arzignano Assessorato alla Cultura

ITALY - maestri e promesse dell’Arte moderna

Palazzo Municipale - Piazza LibertĂ - Arzignano (VI) - 26 Febbraio - 20 Marzo 2011

Sindaco Dott. Giorgio Gentilin Assessore alle politiche culturali Pieropan Mattia A cura di Alberto Sgarro Matteo Vanzan Organizzazione Alberto Sgarro Matteo Vanzan Progetti grafici Matteo Vanzan Videoimpaginazione catalogo Matteo Vanzan

In collaborazione con:



Italy rappresenta un viaggio. Un viaggio nel quale vengono toccate alcune personalità piuttosto che altre, presentate attraverso le tecniche più svariate, attraverso, in una storia che rappresenta ciò che è accaduto in Italia dal 1950 fino ai giorni nostri. Il punto di partenza risale dalla metafisica, termine usato da De Chirico durante il suo soggiorno a Parigi tra il 1911 e il 1915, parlando di luoghi, di dipinti propri e delle opere dei grandi maestri del passato, con una pittura caratterizzata da architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche, immerse in un clima magico e misterioso, e dall’assenza di figure umane, esprimendo ciò che esiste oltre l’apparenza sensibile della realtà empirica. Dall’Impressionismo mediterraneo di Cascella e il Realismo sociale di Migneco, Guttuso, Treccani la mostra attraversa le rivoluzioni concettuali di opposizione al Figurativo dell’arte Informale, del Gruppo Forma 1 e della Pittura analitica: Vedova e Afro, la cui gestualità si poneva in forte polemica con tutto ciò che può essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa che astratta; Dorazio,


Perilli e Turcato sostenitori di un’arte strutturata che celebrava invece la forma ed il segno nel loro significato basico ed essenziale (“Ci interessa la forma del limone, non il limone”); Verna e Aricò con una pittura in grado di pensare se stessa nel momento in cui prendeva corpo, quasi fosse animata da riflessioni impresse nei gesti, da meditazioni in punta di pennello. Italy rappresenta un viaggio. Un viaggio il cui punto di rottura avvenne nel 1960, con il gesto concettuale di Mario Schifano: il monocromo ad azzeramento della pittura stessa, non solo della figura, con l’intenzione di “fare tabula rasa” dando l’incipit per un nuovo inizio, per una nuova visione. In quegli anni nasce la Pop Art con Mario Schifano,Tano Festa, Franco Angeli, Piero Gilardi, che “spazzò via la soffocante accademia informale che ancora imperversava l’Europa.” Furono anni di fermento culturale molto intenso, in un susseguirsi di dibattiti, confronti e collaborazioni, che portarono artisti di diverse correnti ad interagire tra loro, avvicinando, ad esempio, Rotella agli artisti


di Piazza del Popolo e, contemporaneamente, al Nouveau Rèalisme di Pierre Restany. Italy rappresenta un viaggio. Un viaggio che continua con le rivoluzioni degli anni Ottanta dove, tra gli altri momenti della storia dell’arte, incontriamo la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, tra cui Sandro Chia e Mimmo Paladino furono protagonisti di un ritorno alla manualità, alla gioia ed ai colori dopo anni di dominazione dell’arte concettuale e dell’arte povera. In quegli stessi anni a Roma, e più precisamente nell’Ex Pastificio Cerere, si andava delineando un nuovo gruppo di artisti, la corrente di Piazza San Lorenzo, tra cui Ceccobelli e Pizzi Cannella il cui contributo originale punta alla ripresa di interesse per la pittura (e la scultura) con opere impegnate ad un recupero di sensibilità per la materia, di ascendenza astratta- informale. Italy rappresenta un viaggio. Un viaggio che ora si chiede, dopo un Novecento così ricco di ricerche ed innovazioni, dove sta guardando oggi l’arte? Nella prima decade del Terzo Millennio, assistiamo alla nascita di una nuova


generazione di artisti. Luca Pignatelli, Federico Guida, Tina Sgrò, Alessandro Rinaldi sono alcuni degli artefici di una nuova rivoluzione dello sguardo che rielaborano, in chiave moderna, proprio i temi tanto criticati dall’arte informale rileggendo figura, forma e paesaggio. Altri artisti, invece, hanno rivolto la propria ricerca a nuovi materiali e nuove tecniche, proprio come avvenne per la Pop Art e per l’arte Povera dove, oltre all’innovazione del soggetto rappresentato, era fondamentale considerare l’utilizzo e la ricerca di nuovi materiali.Affiorano nuove tecnologie usate per la rielaborazione del concetto fotografico ad opera di Carlo Chechi e Francesco di Pasquantonio, dell’arte video di Fabrizio Carotti e della pittura digitale di Manuela Luzi e Fabio Panichi, nella quale la fusione tra pittura e fotografia avviene grazie a texture sovrapposte, campioni di colore e pennelli digitali stesi su file .jpeg o .tiff ad alta risoluzione.

Buon viaggio



“Vi sono degli uomini, dei quali probabilmente anche voi fate parte, che, arrivati a un limite della loro arte, si sono domandati: dove andiamo?�

Giorgio de Chirico


GIORGIO DE CHIRICO Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978

Nasce in Grecia da una agiata famiglia italiana. Giorgio si iscrisse al Politecnico di Atene per intraprendere lo studio della pittura, studio che continuerà all’Accademia di Firenze ed infine dal 1906 all’Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera. In questo periodo conobbe la pittura di Arnold Böcklin e dei simbolisti tedeschi. All’inizio del 1910, si recò a Firenze dove dipinse la sua prima piazza metafisica, “l’Enigma di un pomeriggio d’autunno”, nato dopo una visione che ebbe in Piazza Santa Croce. Nel 1911 de Chirico raggiunge il fratello Alberto a Parigi dove subisce l’influenza di Gauguin da cui prendono forma le prime rappresentazioni delle piazze d’Italia. Tra il 1912 e il 1913 la sua fama si propaga, an-


che se ancora non ottiene un adeguato successo economico. In questo periodo comincia a dipingere i suoi primi manichini. Negli anni parigini, Giorgio dipinge alcune delle opere pittoriche fondamentali per il ventesimo secolo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i fratelli de Chirico si arruolano volontari e vengono inviati a Ferrara. Dopo un primo periodo di disorientamento dovuto al cambiamento di città, Giorgio rinnova la propria pittura, non dipinge più grandi piazze assolate ma nature morte con simboli geometrici, biscotti e pani. Negli anni cinquanta la sua pittura è caratterizzata da autoritratti in costume di tipo barocco e dalle vedute di Venezia. La migliore produzione pittorica di de Chirico è avvenuta tra il 1909 e il 1919, nel periodo dell’invenzione della pittura metafisica: i quadri di questo periodo sono memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini. All’inizio di questo periodo, i suoi soggetti erano ispirati dalla splendente luce diurna delle città mediterranee, ma ha rivolto gradualmente la sua attenzione agli studi di architetture classiche.


“L’arte deve creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l’arte dal comune e dall’accettato, sopprimere completamente l’uomo quale guida o come mezzo per esprimere dei simboli, delle sensazioni, dei pensieri, liberare la pittura una volta per tutte dall’antropomorfismo; vedere ogni cosa, anche l’uomo, nella sua qualità di cosa.



MICHELE CASCELLA Ortona, 7 settembre 1892 – Milano, 31 agosto 1989

Dopo aver svolto le prime attività artistiche sotto la guida del padre Basilio, nel 1907, tiene assieme al fratello Tommaso la sua prima mostra personale nelle sale della Famiglia Artistica di Milano. Nel 1911 organizza una mostra di disegni a pastello nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma. Tra il 1914 ed il 1915 collabora a La Grande Illustrazione pubblicata dal padre Basilio con disegni ed illustrazioni grafiche, esponendo nel 1917 al Salone dell’Associazione della Stampa e nella Galleria Centrale d’arte a Milano. A Roma, nel 1919, tiene una mostra personale alla Galleria Bragaglia e conosce in quella occasione Carlo Carrà che consente poi il trasferimento della mostra a Milano nella Galleria Lidel. Nel 1920 si stabilisce definitivamente a Milano dove fre-


quenta con entusiasmo il poeta Clemente Rebora, da cui confesserà di aver tratto ispirazione per la realizzazione di alcune sue opere. Nel 1938 esegue le scenografie dell’opera “Margherita da Cortona” rappresentata al Teatro alla Scala. Dal 1928 al 1942 è presente a tutte le edizioni della Biennale di Venezia, risiedendo quindi a Portofino dal 1938, fonte d’ispirazione delle sue opere tarde. Dopo la seconda guerra mondiale si fanno più frequenti le sue mostre all’estero: Parigi, ma anche Sudamerica e Stati Uniti. E proprio negli USA, in California, si stabilirà per lunghi periodi di tempo ed in Europa. I soggetti più rappresentati sono fiori, campi di grano e papaveri, i paesaggi abruzzesi e Portofino. Importanti sono state le mostre antologiche di questo periodo. In occasione del centenario della nascita, a Milano, presso il Palazzo della Permanente è stata allestita una grande rassegna di opere realizzate tra il 1907 ed il 1946. Particolare rilievo è da attribuirsi ai suoi ritratti di donne, realizzati con raffinate tecniche prefuturiste. Pare che uno di questi, intitolato “Paola”, sia andato perduto nelle aste di una famiglia nobile decaduta.


“Non mi sembra però che l’atteggiamento di Michele Cascella possa ritenersi un segno di regressione rispetto ai tempi in cui ha vissuto. Al contrario, Cascella ha interpretato l’arte secondo una valenza sociale assolutamente evoluta, rispettosa dei mutamenti materiali ed ideologici avvenuti nel ventesimo secolo. Cascella credeva insomma che nell’era della civiltà di massa, nell’era della civiltà delle immagini, nell’era della civiltà democratica, l’artista avesse l’obbligo di rivolgersi alla “gente”, di offrire ad essa parametri artistici in cui identificarsi”



RENATO GUTTUSO Milano, 26 agosto 1920 – Milano, 27 novembre 2009

Nel 1938 a soli diciotto anni fonda e dirige il periodico “Vita Giovanile”, grazie alla fiducia e ai mezzi messi a disposizione dal padre, fondatore dell’Istituto Treccani che cura la pubblicazione dell’omonima enciclopedia. “Vita Giovanile” diventa presto “Corrente”, uno strumento per organizzare ed esprimere la propria opposizione politica ma anche artistica. Treccani si ritrova improvvisamente ad avere a che fare con personaggi, seppur giovani, di una generazione più matura di lui e di grande rilevanza: Birolli, Migneco, Sassu, Argan, Ungaretti, Saba, De Grada, Quasimodo, Montale e altri ancora che influirono notevolmente sulla crescita sua artistica. Frequentava all’epoca la facoltà di ingegneria e per questo ha avuto modo di entrare in contatto con i movimenti di avanguardia del fascismo. Intorno al


1940 inizia a dipingere e la sua prima personale risale al 1949 presso la Galleria del Milione. Nel 1950, e poi nel 1952 e nel 1956 partecipò alla Biennale di Venezia iniziando inoltre ad esporre le sue opere a Londra e a New York. Con l’inizio della guerra la pubblicazione della sua rivista viene soppressa e come risposta l’artista aderisce al Partito comunista diventandone un attivista. Nel dopoguerra, forte dell’esperienza nel partito e delle nuove conoscenze partigiane, entra nella redazione de “Il ‘45” una rivista su cui scrivono, tra gli altri, Elio Vittorini, Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Successivamente, sempre con personaggi del nuovo establishment si distingue all’interno del gruppo di “Pittura”, cui prendono parte nomi noti come Giuseppe Ajmone, Alfredo Chighine, Franco Francese e Giovanni Testori. Nel frattempo, ormai noto al grande pubblico, entra nel nuovo movimento realista italiano, cui appartengono molti scrittori ex partigiani. Nel 1978, a Milano, ha dato vita alla Fondazione Corrente, con un programma mirante allo studio del periodo storico compreso tra la nascita del movimento di Corrente e gli anni del Realismo, oltre al dibattito di temi dell’attualità culturale.


“Come pittore (e come poeta) Treccani è un frequentatore di quei giardini dell’Eden che sono nell’infanzia e nella memoria di ogni uomo. Il tempo tende, da quei giardini, ad estrometterci; Treccani ha imparato il segreto per non esserne bandito”



ERNESTO TRECCANI Milano, 26 agosto 1920 – Milano, 27 novembre 2009

Nel 1938 a soli diciotto anni fonda e dirige il periodico “Vita Giovanile”, grazie alla fiducia e ai mezzi messi a disposizione dal padre, fondatore dell’Istituto Treccani che cura la pubblicazione dell’omonima enciclopedia. “Vita Giovanile” diventa presto “Corrente”, uno strumento per organizzare ed esprimere la propria opposizione politica ma anche artistica. Treccani si ritrova improvvisamente ad avere a che fare con personaggi, seppur giovani, di una generazione più matura di lui e di grande rilevanza: Birolli, Migneco, Sassu, Argan, Ungaretti, Saba, De Grada, Quasimodo, Montale e altri ancora che influirono notevolmente sulla crescita sua artistica. Frequentava all’epoca la facoltà di ingegneria e per questo ha avuto modo di entrare in contatto con i movimenti di avanguardia del fascismo. Intorno al


1940 inizia a dipingere e la sua prima personale risale al 1949 presso la Galleria del Milione. Nel 1950, e poi nel 1952 e nel 1956 partecipò alla Biennale di Venezia iniziando inoltre ad esporre le sue opere a Londra e a New York. Con l’inizio della guerra la pubblicazione della sua rivista viene soppressa e come risposta l’artista aderisce al Partito comunista diventandone un attivista. Nel dopoguerra, forte dell’esperienza nel partito e delle nuove conoscenze partigiane, entra nella redazione de “Il ‘45” una rivista su cui scrivono, tra gli altri, Elio Vittorini, Mario De Micheli e Raffaele De Grada. Successivamente, sempre con personaggi del nuovo establishment si distingue all’interno del gruppo di “Pittura”, cui prendono parte nomi noti come Giuseppe Ajmone, Alfredo Chighine, Franco Francese e Giovanni Testori. Nel frattempo, ormai noto al grande pubblico, entra nel nuovo movimento realista italiano, cui appartengono molti scrittori ex partigiani. Nel 1978, a Milano, ha dato vita alla Fondazione Corrente, con un programma mirante allo studio del periodo storico compreso tra la nascita del movimento di Corrente e gli anni del Realismo, oltre al dibattito di temi dell’attualità culturale.


“Come pittore (e come poeta) Treccani è un frequentatore di quei giardini dell’Eden che sono nell’infanzia e nella memoria di ogni uomo. Il tempo tende, da quei giardini, ad estrometterci; Treccani ha imparato il segreto per non esserne bandito”



GIUSEPPE MIGNECO Messina, 9 febbraio 1908 – Milano, 28 febbraio 1997

Vive gli anni di un’infanzia felice, in piena libertà a Ponteschiavo. Questo periodo della vita, vissuta fra la campagna ed il mare della Sicilia, resterà nella memoria del pittore come il ricordo di un paradiso perduto che ritrarrà in molti suoi quadri. All’inizio della sua carriera artistica Giuseppe Migneco dipinge quadri di contenuto vagamente autobiografico, realizzati in atmosfere vive nella sua memoria. Nonostante l’impegno e la passione riversata nei dipinti il giovane pittore è sempre alla ricerca di un nuovo modo di esprimersi, fino a che, nel 1934, entra in contatto con il vero mondo dei pittori: Renato Birolli, Raffaele De Grada lo guidano alla scoperta di quel mondo pittorico verso cui, nebulosamente, ma anche irresistibilmente, si era sempre sentito attratto. Nel 1937 è tra i fondatori del movimento “Corrente” che raggruppa artisti provenienti da diversi orizzonti culturali, con il comune intento di aprirsi alla cultura moderna europea, rifiutando


l’isolamento culturale imposto dalla politica fascista. Nel Marzo del 1939 Giuseppe Minieco partecipa alla prima mostra di “Corrente” che si tiene alla Permanente di Milano. In “Corrente” affluiscono, nel tempo, artisti con visioni dell’arte molto diverse, uniti inizialmente per respingere canoni pittorici ormai superati, che prenderanno poi strade diverse, come Badodi, Birolli, Broggini, Cassinari, Guttuso, Manzù, Morlotti, Paganin, Sassu, Valenti e Vedova. Nel 1940 Giuseppe Migneco inaugura la sua prima mostra personale alla Galleria Genova di Cairola e, l’anno dopo, appronta una personale alla “Bottega di Corrente”. Nel 1942 espone a Milano alla Galleria della Spiga e partecipa al premio Bergamo col quadro “Cacciatori di lucertole”. Richiamato alle armi, deve interrompere l’attività artistica per riprenderla, nel 1945, alla fine della guerra, con una mostra alla Galleria San Radegonda di Renzo Bertoni a Milano. Negli anni Cinquanta la fama, ormai consolidata, consacra Giuseppe Migneco fra i maestri dell’arte italiana contemporanea. Espone nelle più prestigiose gallerie nazionali ed estere: Goteborg, Boston, Parigi, Stoccarda, New York, Amsterdam, Amburgo e Zurigo. Nel 1958 partecipa alla XXIX Biennale d’arte di Venezia.


“I suoi colori sempre forti e vivaci ricordano la sua Sicilia dai tratti violenti e netti, i volti duri e coraggiosi rendono le sue tele espressione della lotta esistenziale, nel continuo e profondo confronto con l’umanità e con gli eventi che la assediano, nella coscienza e nella speranza di libertà e di memoria, al di là dell’assurda solitudine dell’esistenza”



RENZO VESPIGNANI Roma, 19 febbraio 1924 – Roma, 26 aprile 2001

Iniziò a dipingere a Roma, durante il periodo di occupazione nazista, cercando di rappresentare la realtà crudele, sporca e patetica attorno a lui: lo squallore del paesaggio urbano di periferia, le rovine e le macerie causate dai bombardamenti, il dramma degli emarginati e la povertà del quotidiano. Importanti punti di riferimento, che influirono sui suoi esordi artistici, furono Alberto Ziveri e Luigi Bartolini mentre, soprattutto nei suoi primi quadri, sembra evidente l’influsso di espressionisti come George Grosz e Otto Dix. Nel 1945 espone la sua prima personale e comincia a collaborare a varie riviste politicoletterarie (Domenica, Folla, Mercurio, La Fiera Letteraria) con scritti, illustrazioni e disegni satirici. Il suo lavoro, tra il ‘44 e il ‘48 cerca di descrivere il volonteroso e maldestro tentativo di resurrezione di un’Italia umiliata, affamata e distrutta dalla guerra. Nel 1956 fonda, con altri intellettuali, la rivista Città Aperta, incentrata sui problemi della


cultura urbana. Tra gli artisti a lui vicini si possono inoltre citare Giuseppe Zigaina (e la cosiddetta Scuola di Portonaccio) e, dopo il ‘63, quelli del gruppo denominato Il pro e il contro, da lui fondato insieme a Ugo Attardi, Fernando Farulli, Ennio Calabria, Piero Guccione e Alberto Gianquinto. Dal 1969, Vespignani lavora a grandi cicli pittorici dedicati alla crisi della società del benessere: Imbarco per Citera (1969), riguardante il ceto intellettuale coinvolto nel ‘68; Album di Famiglia (1971), uno sguardo polemico sulla sua personale quotidianità; Tra due guerre (1973-1975) un’analisi inflessibile sul perbenismo e l’autoritarismo piccolo-borghese in Italia; Come mosche nel miele (1984) dedicato a Pier Paolo Pasolini. Nel 1991 espone a Roma 124 opere, tra le quali il ciclo Manatthan Transfert, una critica all’insostenibile delirio esistenziale dell’American way of life. Vespignani illustra il Decameron del Boccaccio, poesie e prose del Leopardi, le Opere Complete di Majakowskij, i Quattro Quartetti di Eliot, i Racconti di Kafka, i Sonetti del Belli, le Poesie del Porta, il Testamento di Villon e La Question di Alleg. Nel 1999 viene eletto Presidente dell’Accademia Nazionale di San Luca e nominato Grand’ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.


“ Per uno scrittore, almeno apparentemente, parrebbe più facile il far coincidere i due momenti di razionalizzazione: quello stilistico e quello ideologico. Assunto il mondo popolare come oggetto, magari solo di pura denuncia o di dolorosa descrizione, egli avrà sempre la possibilità della “mimesis”, in cui far rivivere nella sua vita, far parlare nella sua lingua, quel mondo. Il pittore - Vespignani - ha fermo, nelle sue linee esterne, davanti a sé, quel mondo: i luoghi dove il proletariato lavora, soffre, ha le sue disperate allegrie, i suoi tremendi grigiori, le sue tristezze senza fondo: riprodurlo significa necessariamente giungere a una contaminazione stilistica”



AFRO Udine, 4 marzo 1912 – Zurigo, 24 luglio 1976

Nel 1928, alla sola età di 16 anni espose alla I Mostra della scuola friulana d’avanguardia (Udine), e l’anno seguente alla XX Esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa (Venezia). Sempre nel 1929, grazie ad una borsa di studio della Fondazione Marangoni di Udine si recò a Roma dove incontrò Scipione, Mario Mafai e Corrado Cagli. Nel 1935 partecipò alla Quadriennale di Roma. Inoltre, in più occasioni espose le sue opere alla Biennale di Venezia. Le sue prime mostre personali sono datate 1936 e 1937, e si tennero alla Galleria Cometa di Roma. Nel 1950 Afro si recò a New York, dove iniziò una collaborazione ventennale con la Catherine Viviano Gallery. Il diverso clima culturale, e la varietà della scena artistica americana, influenzarono profondamente Afro, e la sua opera si sviluppò di conseguenza, verso l’astrazione. Fu


tra gli artisti che esposero nella mostra “The New Decade: 22 European Painters and Sculptors”, presentata in varie città degli Stati Uniti. A metà degli anni cinquanta, l’arte di Afro era conosciuta internazionalmente e nel 1956, ottiene il premio per il migliore artista italiano alla Biennale di Venezia; sempre nello stesso periodo aderisce al Gruppo degli Otto, raccolto attorno al critico e storico dell’arte Lionello Venturi. Afro continuò ad esporre le sue opere nel circuito internazionale. Vinse il primo premio alla Carnegie Triennial di Pittsburgh, ed il premio italiano al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Il Guggenheim comprò il suo quadro del 1957 “Night Flight”. Negli anni settanta Afro iniziò a soffrire problemi di salute. Morì nel 1976. L’anno dopo, Cesare Brandi pubblicò una monografia su di lui. Nel 1978 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma gli rese omaggio dedicandogli un’ampia retrospettiva. Nel 1992 l’opera completa fu esposta a Palazzo Reale a Milano. Il Catalogo ragionato dell’opera di Afro fu presentato nel novembre 1997 all’American Academy a Roma, e nel 1998 alla Fondazione Guggenheim di Venezia.


“Afro capovolge la posizione del quadro, da fondale a schermo: resa di colpo trasparente, la tela, è come se la luce ne uscisse con quei raggi che il sole emette dalle nuvole al tramonto. La luce diviene la base stessa espressiva della sua pittura, non in quanto rappresentata, ma come germe attivo e operanteâ€?



EMILIO VEDOVA Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006

Alla metà degli anni Trenta inizia a disegnare e a dipingere con grande intensità, privilegiando, come soggetti, prospettive, architetture, figure e molti autoritratti. Nel 1942 espone tre quadri al Premio Bergamo e aderisce al gruppo milanese “Corrente”. Nel 1946 firma a Milano il Manifesto del realismo (Oltre Guernica) ed è a Venezia tra i fondatori del “Fronte nuovo delle arti”. Inizia la partecipazione ad una serie di mostre collettive internazionali, tra cui la Biennale di Venezia nel 1948 e nel 1950, la Biennale di San Paolo nel 1951, ancora la Biennale veneziana nel 1952, Documenta di Kassel nel 1955. Si associa al “Gruppo degli Otto” (1951), promosso da Lionello Venturi. Crea collages materici e assemblages e lavora in ambito informale con un’intensa gestualità sulla scala cromatica dei bianchi e dei neri,


con inserimento dei rossi. Realizza il Ciclo della protesta e il Ciclo della natura. Nel 1954 partecipa alla II Biennale di S. Paolo del Brasile. Nel 1958 inizia un intenso lavoro litografico e ottiene il Premio Lissone. Nel 1960 viene insignito del Gran Premio per la pittura alla XXX Biennale di Venezia. Dai primi anni Sessanta lavora ai Plurimi, realizzazioni polimateriche ampiamente articolate nello spazio ed estensibili, esposti in una prima mostra alla Galleria Marlborough di Roma e presentati da Giulio Carlo Argan. Costantemente rivolto all’innovazione nella ricerca, crea lastre in vetro in collaborazione con la fornace muranese di Venini, Spazioplurimo-luce, lavora ai cicli di Lacerazioni e Frammenti, realizza i Dischi e i Cerchi, inoltre collabora con Luigi Nono alle scenografie di Intolleranza ‘60 e Prometeo. La sua forte volontà creatrice si manifesta anche nella produzione incisoria attraverso sperimentazioni sulle varie tecniche. Tra le ultime mostre personali si ricordano quelle alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Torino nel 1996, al Castello di Rivoli nel 1998, alla Galleria Salvatore e Caroline Ala di Milano nel 2001.


“ E’ con lo sguardo rivolto alla quotidianità, all’immagine del dolore, all’indignazione della gente, che l’artista ripropone nei i suoi messaggi l’opposizione contro una società consumistica e capitalista. La sua pittura è come l’estremo tentativo, la disperata sollecitazione a non rimanere inerti, a non rassegnarsi, ad agire subito finché c’è vita”



PIERO DORAZIO Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006

Dopo l’iscrizione alla facoltà di Architettura partecipa giovanissimo alla difficile evoluzione dell’arte astratta italiana del dopoguerra, già nel 1946 nel Gruppo Arte Sociale con Perilli, Guerrini, Vespignani, Buratti, Muccini fino alla redazione (1947) del manifesto e delle mostre “Forma 1” insieme a Consagra, Turcato, Accardi e Sanfilippo. Altrettanto precoci la curiosità e la passione, artistica e politica, per le esperienze degli altri Paesi, coltivate con coerenza durante tutta l’attività con lunghe permanenze di studio e di lavoro, oltre alla presenza in mostre ed altre manifestazioni. Dalla fine degli anni quaranta è così successivamente presente ed attivo con lunghi soggiorni a Parigi e a Praga, ancora a Parigi, ad Harvard e a Berlino, fino al decennio 1960-1970 in cui organizza e dirige il dipartimento delle Belle Arti dell’Università di Pennsylvania, soggiorno in-


frammezzato con significative parentesi in Italia e altrove (otto mesi a Berlino nel 1968). Espone con mostre personali alla Biennale di Venezia nel 1960, nel 1966 e nel 1988. Espone più volte a Londra, a New York e in gallerie svizzere e tedesche. Nel 1974 si stabilisce a Todi e ivi lavora e insegna nella Scuola Atelier per la Ceramica moderna e nel proprio studio. Nei primi anni ottanta una sua grande mostra del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris viaggia nei principali musei americani e si conclude alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1985 e nel 1986 il debutto a Tokyo e a Osaka. In seguito le esposizioni continuano ad allargare e consolidare la sua presenza culturale nelle più importanti città europee, mentre ottiene prestigiosi riconoscimenti: membro dell’Accademia di San Luca; dell’Akademie der Kunste di Berlino; insignito dei Prix Kandinsky e del Premio internazionale della Biennale di Parigi; del Premio Michelangelo dell’Accademia dei Virtuosi. Fra il 1993 ed il 1996 ha ideato il progetto per l’esecuzione di cinquanta grandi mosaici di artisti internazionali nella metropolitana di Roma.


“Quando nel 1947 Dorazio incomincia a presentarsi in un gruppo programmatico, egli non solo prende violenta posizione contro i neorealisti, e l’arte cosiddetta figurativa in genere, ma non condivide neppure le tendenze di orientamento informale; le radici della sua pittura partono dal mondo futurista-suprematista, rifuggendo tuttavia da un’adesione all’astrattismo che distrugga a poco a poco la consistenza strutturale dell’opera”



TANCREDI Feltre (BL), 25 settembre 1927 – Roma, 27 settembre 1964

Studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove nel 1946 stringe amicizia con Emilio Vedova. Nel 1947 compie un viaggio a Parigi e nei due anni successivi divide il suo tempo tra Feltre e a Venezia, dove nel 1949 tiene la sua prima personale alla Galleria Sandri. Trasferitosi a Roma nel 1950, si lega al gruppo Age d’Or, che organizza esposizioni e pubblicazioni dell’avanguardia internazionale. Nel 1951 partecipa a una mostra di arte astratta italiana alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; lo stesso anno si stabilisce a Venezia, dove avviene l’incontro con Peggy Guggenheim, che gli fornisce uno studio e nel 1954 gli organizza una mostra nel suo palazzo. Nel 1952 a Venezia gli viene assegnato il Premio Graziano per la pittura e nello stesso anno, insieme con altri artisti, sottoscrive il manifesto del Movimento Spaziale, il gruppo fondato da Lucio Fontana


intorno al 1947 a Milano, che propugnava una nuova arte “spaziale”, consona all’era postbellica.Tancredi espone in personali alla Galleria del Cavallino di Venezia nel 1952, 1953, 1956 e 1959, e alla Galleria del Naviglio di Milano nel 1953. Nel 1954 partecipa con Jackson Pollock, Wols, Georges Mathieu e altri alla mostra “Tendances Actuelles” alla Kunsthalle Bern. Nel 1955, espone in una collettiva alla Galerie Stadler di Parigi, città che l’artista aveva visitato nello stesso anno. Nel 1958 tiene delle personali alla Saidenberg Gallery di New York e all’Hanover Gallery di Londra, e partecipa al Carnegie International di Pittsburgh. Si trasferisce a Milano nel 1959, dove espone diverse volte alla Galleria dell’Ariete; sempre nel 1959 si reca ancora a Parigi, e viaggia in Norvegia nel 1960; in quest’anno è presente alla mostra “Anti-Procès” alla Galleria del Canale di Venezia, dove gli vengono dedicate anche due personali, nel 1960 e nel 1962. Nel 1962 riceve il Premio Marzotto, a Valdagno, e nel 1964 espone alla Biennale di Venezia.


“Prima condizione della natura è lo spazio: l’uomo è solo parte della natura, di intelligente esiste il pensiero, pura facoltà naturale di assimilazione dell’esistente. L’uomo attraverso il pensiero ha assimilato lo spazio facendone il più perfetto concetto d’infinito, termine illimitato di assoluto. In quest’epoca l’uomo ha ritrovato l’origine, impegnato a ciò dagli avvenimenti, dove ogni conquista ha organizzato la sua vita in lotta con un esterno dinamico”



GIULIO TURCATO Mantova, 1912 – Roma, 1995

Compie studi d’arte a Venezia.Dopo periodi a Palermo e Milano, nel 1942 espone la sua prima opera alla Biennale di Venezia. Arriva nel 1943 a Roma, dove inizia a frequentare la trattoria Fratelli Menghi, punto d’incontro per registi, sceneggiatori, poeti e pittori. Assieme ad Emilio Vedova e Toti Scialoja, espone alla Galleria dello Zodiaco e alla Quadriennale di Roma. Nel 1947 Firma il manifesto “Forma 1”, aderisce al gruppo del Fronte nuovo delle arti, e partecipa in questo gruppo alla Biennale del 1948. Turcato se ne distacca per aderire nel 1952 al cosiddetto Gruppo degli otto, insieme ad alcuni dei più noti esponenti dell’astrattismo informale italiano: Afro, Birolli, Corpora, Santomaso, Morlotti, Emilio Vedova, Mattia Moreni. Intanto il suo astrattismo stava ormai trovando una dimensione unica ed originale. Con un percorso


forse inverso a quello di Emilio Vedova, Turcato andava “raffreddando” le sue creazioni, con colori che paiono sgorgare lentamente dalla tela, usando materiali quali la sabbia, ricorrendo al monocromo e all’uso della gommapiuma. L’attività espositiva e la fortuna critica di Turcato hanno pochi eguali nell’arte italiana del ‘900: egli è presente alla Biennale anche nel 1954, 1956, 1958 (Sala personale e vincitore del Premio Nazionale), 1966 (Sala personale), 1968, 1972 (Sala personale), 1982, 1986, 1988, 1993 e ancora un’ultima volta nel 1995, portando a 15 le sue partecipazioni alla rassegna veneziana. Nel 1955 la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma acquistò un suo “Reticolo” per l’inserimento nelle collezioni permanenti. In altri anni vinse anche il primo premio e il premio della Presidenza del Consiglio. Espone con personali in tutto il mondo, tra cui le rassegne documenta di Kassel e la Biennale di San Paolo. Fra i musei, espone al MoMa di New York, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, alla Staatsgalerie Moderner Kunst di Monaco, al Musée de l’Athenée di Ginevra, il Philadelphia Museum of Art e molti altri.


“Turcato è un esploratore straordinario che ha fatto della pittura il codice per interpretare il mondo in tutti i suoi aspetti dalla biologia all’astronomia sino all’entomologia. Tutto diventa occasione per nuove invenzioni di forme e colori che ridefiniscono l’immaginario”



RODOLFO ARICÓ Milano, 1930 – Milano, 2002

Si forma al Liceo artistico con Guido Ballo. La prima personale è nel 1958 al Salone Annunciata di Milano. Partecipa alle ricerche di una via d’uscita dall’informale. Nel 1964 espone alla XXXII Biennale di Venezia. Alla seconda metà degli anni ‘60 risale la messa a punto un’impostazione rigorosamente strutturale delle sue opere. Allestisce una sala alla XXXIV Biennale di Venezia. Con gli anni ‘70 arricchisce il dipinto di indicazioni prospettiche. Espone con Battaglia, Verna e Griffa alla collettiva ‘Iononrappresentonullaiodipingo’, presentata nel 1973 da M.Fagiolo dall’Arco allo Studio La Città di Verona. Nello stesso anno è invitato da Fagone a ‘Presenze e tendenze della giovane arte italiana’ nel contesto della XXVIII Biennale di Milano. Lungo il decennio organizza il tessuto pittorico in un tipico sensibile puntinismo


pulviscolare entro una dominante monocromatica. Aricò è compreso nell’area della ‘Nuova pittura’. È invitato da G.M. Accame alla mostra che rilegge il percorso della ‘Nuova pittura’, sotto il titolo ‘Ragione e trasgressione’, nel convento di S. Rocco di Carpi, quindi a Milano e Udine. Nel 1982 espone a ‘Idea e conoscenza’ in occasione della Triennale di Milano e a ‘Costruttività’ alla Tour Fromage di Aosta. Partecipa a “L’informale in Italia” alla Galleria d’arte moderna di Bologna nel 1983, e nello stesso anno espone alla III Biennale della Grafica europea di Baden Baden. Espone al PAC di Milano nel 1984, presentato da G.Ballo. Il museo d’arte moderna di Milano acquista un suo lavoro del 1967. Alla metà degli anni ‘80 l’artista lavora tornando ad una pittura allusiva di stesure corsive vicine alla monocromia su superfici dal profilo irregolare. Espone nella sezione ‘Il colore’ della Biennale di Venezia una struttura della prima metà degli anni ‘60. Nel 1993 a Venzone alla mostra di G.M.Accame ‘La memoria dell’antico’ insieme con G.F.Pardi. Nella seconda metà degli anni ‘90, Invernizzi a Milano e Plurima di Udine sono le sue gallerie di riferimento.


“Lo stendere la pittura sul campo geometrico (anche il rettangolo del telaio tradizionale è geometria) mi sollecita un fascino sensorio, umano. La struttura segnica iniziale, a volte posta come architettura, viene cancellata, coperta. invisibile o distrutta. In termini semantici ne risulta che la specificità dell’opera non sta nei significati che cela, ma nella forma delle significazioni. Niente può rivelarsi se non si compie in forma e il suo esistere è il processo che si attua dentro il significato”



CLAUDIO VERNA Chieti, 1937

Nel 1959 espone assieme a Guarneri, Masi, Baldi e Fallani alla Galleria Numero di Firenze nella mostra Cinque informali a Firenze; l’anno seguente tiene qui la sua prima personale. Dopo un periodo di sperimentazione, torna alle mostre nel 1967. Nel 1970 gli viene dedicata una sala personale alla Biennale di Venezia e inizia ad esporre nelle principali mostre dedicate alla Neo Pittura, gruppo in cui però intravede subito eccessiva confusione. Nei primi anni Settanta approfondisce questa riflessione sviluppando la serie intitolata con la lettera A seguita da un numero progressivo, e la prosegue fino al 1976 quando la serie Archipittura porta a compimento l’elaborazione geometrica della pittura. Dal 1977 il colore diventa protagonista assoluto dei suoi dipinti e Verna prosegue con ritrovata libertà l’indagine iniziata quasi vent’anni prima: il colore è un elemento strutturante, capace di creare lo spazio senza il supporto del disegno.


Durante gli anni Settanta gli vengono dedicate numerose personali: 1970, Galleria dell’Ariete, Milano; 1971, Galleria Editalia, Roma e Galleria Ferrari, Verona; 1972, Galerie M, Bochum; 1973 e 1976, Galleria Il Milione, Milano; 1975, Studio Condotti 85, Roma; 1976 e 1977, Galleria La Bertesca, Genova; 1977, Galerie Arnesen, Copenhagen e Galleria Malborough, Roma; 1978, Galleria Il Sole, Genova; 1979, Galleria La Polena, Genova. In quegli anni partecipa anche prestigiose mostre collettive, tra cui: 1970, Biennale de Peinture a Menton; 1971, Biennale del Mediterraneo ad Alessandria d’Egitto; 1973, X Quadriennale di Roma e Un futuro possibile - Nuova Pittura a Palazzo dei Diamanti di Ferrara; 1974, Museum of Philadelphia; Kunsthalle, Düsseldorf; 1975, Empirica, Rimini e Museo di Castelvecchio di Verona; Nordjyllands Kunstmuseum, Aalborg; Fyns Kunstmuseum, Odense; 1977, Galleria d’Arte Moderna, Torino; 1978, Triennale di Nuova Delhi. Espone inoltre alle edizioni della Biennale di Venezia del 1978 e del 1980. Alla fine degli anni Ottanta e durante gli anni Novanta gli vengono dedicate importanti antologiche: 1988, Museo di Gibellina; 1994, Galleria Comunale di Spoleto; 1997, Musei Civici-Pac di Ferrara; 1998, Palazzo Sarcinelli a Conegliano.


“L’aspetto processuale del fare arte e del fare pittura appare in Verna essenziale quanto e forse più di ogni altro artista “analitico”, soprattutto considerando il fatto che la pratica della pittura per lui si rinnova sempre di fronte ad ogni opera, e non diventa mai applicazione di uno “statuto processuale” sempre uguale a se stesso, una volta che questo sia identificato e accettato”



MARIO SCHIFANO Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998

I suoi debutti si possono situare all’interno della cultura informale con tele ad alto spessore materico, solcate da un’accorta gestualità. Inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria Appia Antica di Roma. L’ anno successivo alla Galleria La Salita in compagnia di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, la critica comincia ad interessarsi del suo lavoro. In questo periodo la pittura di Schifano subisce una svolta per certi versi radicale. L’artista dipinge ora quadri monocromi; delle grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore uniforme e superficiale. L’artista opera ora per cicli tematici e verso la fine del 1964 accentua quell’interesse verso la rivisitazione della storia dell’arte che Io porterà. l’anno successivo, ai notissimi pezzi dedicati al Futurismo. Si occupano in questa fase del suo lavoro


tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise. Agli inizi degli anni Settanta comincia a riportare delle immagini televisive direttamente su tela emulsionata, isolandole dal ritmo narrativo delle sequenze cui appartengono e riproponendole con tocchi di colore alla nitro in funzione estraniante. Nel 1974 l’Università di Parma gli dedica una vasta antologica di circa 100 opere. Diverse sue opere sono in mostra nel 1979 al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Nel corso degli anni ‘80 le opere dell’artista vengono esposte in varie edizioni della Biennale di Venezia e Schifano. Nel 1996 Schifano rende omaggio alla sua Musa Ausiliaria, ovvero alla televisione, intesa quale flusso continuo di immagini in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzate della nostra epoca. Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapolare dai programmi televisivi dei singoli foto-grammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece, interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ulteriormente di senso.


“Schifano ha in sé come un deposito di immagini. Un po’ come se i suoi pensieri fossero possibili soltanto come iconografie, potessero aver voce unicamente attraverso la concretezza dell’immagine e non tramite l’astrazione del puro pensare. È da questo deposito di immagini, ma anche attraverso la disattenzione, intesa nel senso benjaminiano di percezione tipica di una società bombardata dall’immagine, che Schifano perviene all’attenzione produttiva, all’immagine personale frutto di elaborazione”



“L’aspetto processuale del fare arte e del fare pittura appare in Verna essenziale quanto e forse più di ogni altro artista “analitico”, soprattutto considerando il fatto che la pratica della pittura per lui si rinnova sempre di fronte ad ogni opera, e non diventa mai applicazione di uno “statuto processuale” sempre uguale a se stesso, una volta che questo sia identificato e accettato”



TANO FESTA Roma, 2 novembre 1938 – Roma, 9 gennaio 1988

Nel 1957 si diploma all’Istituto d’Arte nella sezione di fotografia artistica. Nel 1959 ha la sua prima esposizione, con Franco Angeli e Giuseppe Uncini, alla Galleria La Salita di Roma dove , nel 1961, tiene la sua prima personale. La sua prima produzione pittorica si muove all’interno della rappresentazione geometrica monocroma rielaborando gli oggetti, estrapolati dalla loro quotidianità, e quindi percepiti nella loro essenza: persiane, porte, finestre, armadi e specchi. Dal 1963 Festa dirige la sua ricerca verso l’analisi della tradizione artistica italiana del Rinascimento, estrapolando e facendo citazioni dall’opera


di Michelangelo. Nel 1966 viene invitato ad una importante mostra a Milano, dedicata al cinquantenario del Dadaismo. Qui conosce artisti come Arp e Man Ray. Festa tramuta i suoi oggetti dipinti in pittura di oggetti e continua a lavorare sulla fotografia. Negli anni ottanta, dopo un lungo periodo di isolamento, riesce a trovare nuovi impulsi creativi. Realizza la serie Coriandoli, enormi tele fatte di tanti puntini di carta lanciati sulla tela ricca di materia pittorica. Riscopre, inoltre, una nuova figurazione espressa nel segno e nel gesto duro e tagliente. Il nuovo lavoro di Festa è legato, in questi ultimi anni, all’espressionismo, riletto e adattato alla sua volontà, di artisti come Munch, Ensor, Bacon e Matisse. Ma in Festa esiste anche la solitudine e il vuoto. La critica, attratta da questa rinnovata creatività, si interessa di nuovo al suo lavoro. Nel 1980 partecipa infatti alla XL Biennale di Venezia e nel 1982 è presente alla mostra Artisti italiani contemporanei 1950-1983 e diverse sono le mostre personali che vengono allestite.


“Un pittore, Tano Festa, che agisce in base a un proprio pensiero e non solo in forza delle proprie urgenze espressive. Che traduce in pittura finestre chiuse, armadi ottusi, specchi opachi, per additarci non un mistero al di lĂ di essi, ma semplicemente la sua presenza di pittore al di qua di essi: colui che affronta tutti i possibili mondi della pitturaâ€?



FRANCO ANGELI Roma, 14 maggio 1935 – Roma, 12 novembre 1988

Il nome di battesimo è Giuseppe, in arte Franco. Terzo di tre fratelli, non porta a termine gli studi elementari a causa della guerra. Dopo un inizio condizionato dall’arte di Burri, realizzò opere in cui alla tela si alternano garze di cotone macchiate di vernice, da cui emergevano immagini e simboli del potere e della violenza, quali aquile imperiali, svastiche, lupe capitoline (La lupa di Roma, 1961), falci e martelli, dollari e croci, che sottolineano il tema della memoria. Nel 1961 partecipa con Lo Savio, Festa e Schifano alla mostra Nuove prospettive della pittura italiana, a Palazzo Re Enzo di Bologna. Si tratta di una generazione di artisti unita da uno stretto legame esistenziale segnato dalla guerra: vengono definiti maestri del dolore, una qualifica che li distanzia dall’Arte


Pop. Negli anni successivi diviene poi amico di Renato Guttuso e poi di Arnaldo Pomodoro e del poeta Francesco Serrao. Nel 1964 fu presente alla Biennale di Venezia, manifestazione che introdusse in Italia gli artisti pop americani; interviene, inoltre, alla XI Quadriennale di Roma. Dal 1970 vi è un grande impegno politico e ideologico, che lo vedono impegnato sul tema della guerra del Vietnam, per poi rivolgersi a soggetti figurativi come lune, piramidi, aeroplani, obelischi, testimonianza dei suoi viaggi in Oriente. Conosce Marina Ripa Di Meana con la quale intreccia una tumultuosa relazione poi sfociata in fedele amicizia. Nel 1982 partecipa alla collettiva 30 anni d’arte italiana 1950-80, organizzata a Villa Manzoni, Lecco. Compone opere improntate all’influenza di Kees Van Dongen (Pensando a Van Dongen).Nel 1988 gli viene dedicata una retrospettiva alla Casa del Machiavelli (1958-72) nei pressi di Firenze. Presentato da Marisa Vescovo, espone alla Galleria Rinaldo Rotta di Genova. Viene invitato al Circolo Culturale Giovanni XXIII per la Biennale di Arte Sacra: con lui, Enzo Cucchi, Sandro Chia, Mimmo Paladino e Mario Schifano.


“Un artista silenzioso e spericolato, genio e sregolatezza dei “favolosi” anni Sessanta: questo fu Franco Angeli, la cui pittura ha ironicamente depredato il repertorio degli emblemi ideologici della seconda metà del Novecento, con uno sguardo privilegiato sulla realtà romana”



MIMMO ROTELLA Catanzaro, 7 ottobre 1918 – Milano, 8 gennaio 2006

Studia arte a Napoli e successivamente si trasferisce a Roma. Qui conduce ricerche ed esperimenti in varie direzioni: fotografie, foto-montaggi, decollages,assemblages di oggetti eterogenei, poesia fonetica, musiche primitive. Nel 1951-52 é negli Stati Uniti grazie ad una borsa di studio della “ Fullbright Foundation “ di Kansas City ricevuta dapprima come studente e poi come artista. Nel 1954 Emilio Villa lo invita ad esporre in una mostra collettiva i suoi manifesti lacerati. Le opere di Rotella si imposero subito all’attenzione della critica e del collezionismo d’avanguardia ed a questa prima mostra ne seguirono molte altre. Nel 1961 partecipa su invito del critico francese Pierre Reastany al gruppo Noveaux Rèealistes (Arman, Cesar, Deschamps, Dufrène, Hains, Yves Klein, Martial Raysse, Niki de Saint-Phalle, Spoerri,


Tinguely, Villeglè). Nel 1963 realizza le prime opere di arte meccanica ( Mec_Art ) stampando immagini fotografiche su tela emulsionata. Alla fine degli anni ‘60 realizza gli artypoplastiques, prove di stampa, colori, percezioni, riportate su rigidi supporti di plastica. Rotella si é imposto per avere fatto dell’arte un comportamento: “ Giocando con l’erotismo e la speculazione intellettuale Rotella é un agitato che passa attraverso vari stili con un distacco da dandy “ scrisse Otto Hahn. E questa sua “ vitale agitazione “ lo porta nel 1990 ad una riapproprazione della pittura dipingendo su decollages i ritratti dei Maestri dell’arte del ‘900. Nel 1992 riceve da parte del Ministro della Cultura francese, Jack Lang, il titolo diOfficiel des arts et des Lettres. E’ invitato al Gugenheim Museum di New York nel 1994 in “ Italian Metamorphosis “ ,ancora al Centre Pompidou nel 1996 in “ Face à l’Histoire “, e nel 1996 al Museum of Contemporary ART DI Los Angeles in “ Halls of Mirror “, una mostra che farà il giro del mondo. Mimmo Rotella é tra i più importanti artisti italiani del novecento, le sue opere sono presenti nelle collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.


“La dimensione planetaria dell’opera di Rotella è la conseguenza logica di un totale inserimento nella cultura urbana del suo tempo. Una cultura urbana che lo sguardo ha seguito nei momenti successivi della sua progressiva globalizzazione. Mimmo Rotella è stato un “nouveau réaliste” ante litteram a Roma negli anni Cinquanta, pre-pop a Parigi negli anni Sessanta, gaffitaro e graffitista a Milano negli anni in cui lo era Basquiat a New York. Oggi come oggi Mimmo Rotella è l’uomo del momento: ecco la storia di una perenne modernità”



PIERO GILARDI Torino, 1942

Nel 1963, realizza la sua prima mostra personale “Macchine per il futuro”. Due anni più tardi realizza le prime opere in poliuretano espanso ed espone a Parigi, Bruxelles, Colonia, Amburgo, Amsterdam e New York. A partire dal 1968 interrompe la produzione di opere per partecipare all’elaborazione tecnica delle nuove tendenze artistiche della fine degli anni ‘60: Arte Povera, Land Art, Antiform Art. Collabora alla realizzazione delle due prime rassegne internazionali delle nuove tendenze allo Stedelijk Museum di Amsterdam e alla Kunsthalle di Berna. Nel 1969, comincia una lunga esperienza transculturale diretta all’analisi teorica e alla pratica della congiunzione “Arte Vita”. Come militante politico e animatore della cultura giovanile conduce svariate esperienze di creatività


collettiva nelle periferie urbane e “mondiali”: Nicaragua, Riserve Indiane negli USA e Africa. Nel 1981 riprende l’attività nel mondo artistico, esponendo in gallerie delle installazioni accompagnate da workshops creativi con il pubblico. A partire dal 1985 inizia una ricerca artistica con le nuove tecnologie attraverso l’elaborazione del Progetto “IXIANA” che, presentato al Parc de la Villette di Parigi, prefigura un parco tecnologico nel quale il grande pubblico poteva sperimentare in senso artistico le tecnologie digitali. Nel corso degli ultimi anni ha sviluppato una serie di installazioni interattive multimediali con una intensa attività internazionale. Insieme a Claude Faure e Piotr Kowalski, ha costituito l’associazione internazionale “Ars Technica”. In qualità di responsabile della sezione italiana di Ars Technica promuove a Torino le mostre internazionali “Arslab. Metodi ed Emozioni” (1992), “Arslab. I Sensi del Virtuale” (1995), “Arslab. I labirinti del corpo in gioco” (1999) e numerosi convegni di studio sull’arte dei nuovi media. Tiene la rubrica “Ritorno al futuro” sulla rivista Flash-Art Italia, per divulgare l’arte dei nuovi media.


“Il clima artistico nel quale Gilardi trova la sua ispirazione è quello dell’Arte Povera e della Land Art. Il suo impegno artistico non esime da questo contesto: i soggetti scelti, per quanto descritti da materiali industriali o attraverso colori artificiali, sono comunque natura, acqua, sassi, foglie. Alcuni dei suoi progetti più importanti sono pensati su larga scala in un legame inscindibile con l’ambiente”



SANDRO CHIA Firenze, 20 aprile 1946

Frequenta

l’Istituto

d’Arte

e

successivamente

l’Accademia di Belle Arti. Nel 1970 lascia Firenze e si stabilisce a Roma, dove nel 1971 ha luogo la sua prima personale presso la Galleria La Salita. Tra il 1971 e il 1975 compie parecchi viaggi in Oriente ed in Europa. Nel 1975 presenta l’opera Graziosa Girevole alla Galleria Lucrezia De Domizio a Pescara, in cui un uomo adagiato su un piano inclinato ripete le parole suggerite da un altro uomo su una scala accanto a lui. Attorno al 1976 il suo lavoro ha una svolta, abbandonando le sperimentazioni concettuali rimettere


mano ai mezzi della pittura e del disegno. Nel 1984 partecipa alla XLI Biennale di Venezia nella sezione “Arte allo Specchio”. In pittura Sandro Chia ammira e guarda a Maestri del passato quali Tiziano, Masaccio, Tintoretto, Lotto, Michelangelo, che rielabora ed assorbe nella sua idea dell’arte che ricerca in se stessa i motivi della propria esistenza. Nascono così figure consistenti che appartengono e vivono della pittura, personaggi melanconici, spesso sospesi tra cielo e terra. Le sue tele ricche di colore lieve o pesante si danno come un tutto pieno allo sguardo, affondando le proprie radici nella tradizione aurea italiana. Durante gli anni Ottanta il suo lavoro è stato esposto presso gallerie e musei di importanza internazionale in Italia e all’estero quali il Castello di Rivoli, il Solomon R. Guggenheim di New York nel 1983, il Metropolitan Museum of Art di New York nel 1984, Villa Medici a Roma nel 1995. Vive e lavora a New York soggiornando spesso in Italia a Montalcino nel Castello Romitorio.


“La pittura di Sandro Chia negozia la linea sottilissima tra la cultura pop e ciò che egli potrebbe definire il confine o il margine della percezione, o ciò che è stato chiamato in modo classico avanguardia, riuscendo a riconciliare il figurativo e l’astratto o decorativo, l’ornamentale e l’umano o il tragico”



MIMMO PALADINO Paduli, 18 dicembre 1948

Si iscrive al Liceo Artistico, che frequenta dal 1964 al 1968. Muovendo dal clima comune del “concettuale”, la prima fase dell’attività dell’artista s’incentra principalmente sulla fotografia. Tuttavia le eccezionali doti di disegnatore di Paladino non rimangono a lungo celate. Nel 1977 infatti realizza un grande pastello sul muro della galleria di Lucio Amelio a Napoli e partecipa inoltre alla rassegna “Internationale Triennale für Zeichnung” organizzata a Breslavia. Gli anni a cavallo tra il ‘78 e l’80 sono da leggersi come un periodo transitorio tra la posizioni concettuali sulle quali era assiso inizialmente e la rinnovata attenzione per la pittura figurativa. Le opere di questa fase sono in prevalen-


za dipinti monocromatici dalle tinte decise sui quali campeggiano strutture geometriche, ma anche oggetti ritrovati quali rami o maschere. Gli inizi degli anni ottanta, però, s’identificano sempre maggiormente con l’affermazione delle potenzialità di una pittura referenziale. Ad “Aperto ‘80”, nell’ambito della Biennale di Venezia, il critico d’arte Achille Bonito Oliva propone la corrente della transavanguardia, di cui fanno parte Chia, Clemente, Cucchi e lo stesso Paladino. Le mostre alle quali l’artista campano partecipa in questi anni testimoniano quanto la sua pittura sia debitrice nei confronti del passato sia per i contenuti che per le forme, ma come al tempo stesso sia densa di simboli e capace di aprirsi a nuove prospettive. Grazie a mostre itineranti a personali l’arte di Paladino viene conosciuta all’estero dove riscuote immediatamente larghi consensi. Curioso indagatore e insaziabile sperimentatore di ogni tecnica artistica, Paladino si dedica anche all’attività incisoria. L’acquaforte, l’acquatinta, la linoleografia, la xilografia interpretano magistralmente il carattere spettrale delle sue figure primordiali.


“Nell’opera di Paladino ricorrono immagini che rimandano a un universo arcano e primitivo, dove le forme sono tradotte in segni eleganti e semplificati. Anzi, è proprio il passaggio dall’immagine come linguaggio analogico al segno a costituire il tratto più tipico dell’universo formale di Paladino. Un universo in cui compaiono e si moltiplicano segni generati da una necessità formale, ma nel quale sembra di entrare in contatto con una cultura del tutto nuova che attende di essere decifrata e compresa”



BRUNO CECCOBELLI Todi, 1952

Compie gli studi a Roma frequentando l’Accademia di Belle Arti con Scialoja. La sua prima collettiva risale al 1971 in Austria. Nel 1976 tiene la prima mostra personale alla galleria Spazio Alternativo, dove parte da una ricerca Concettuale (Body Art). Nel 1977 espone due volte alla sala La Stanza, di Roma, uno spazio autogestito dagli artisti, importante perchè molti personaggi che diverranno poi operanti negli anni ‘80 vi hanno presentato la loro prima opera. La sua ricerca si concentra sulla via di un’astrazione pittorica che attraverso il recupero del ready made e una manipolazione dei mezzi tradizionali dell’arte, approda ad un certo simbolismo spirituale. Nel 1980 è presente alla Biennale des Jeunes di Parigi. Dal 1984 espone alla galleria di Gian Enzo Sperone a Roma. Sempre nel 1984 è pre-


sente nella sezione “Aperto” della Biennale di Venezia. Mentre nel 1986, sempre nell’ambito della Biennale di Venezia, partecipa ad “Arte e Alchimia”. Nel 1988 presenta una triplice esposizione a New York, presso la Jack Shainman Gallery, a Roma presso il Centro di Cultura Ausoni e a Madrid, presso la galleria Mar Estrada. Il progetto porta il titolo “Le figure le case i pozzi” e attraverso questi tre temi poeticamente indagati nelle opere, Ceccobelli si presenta con il suo primo catalogo ragionato (De luca editore). Nel 1989 espone nelle grandi capitali europee dell’arte, da Parigi a Londra a Barcellona. Nel ‘90 approda al grande mercato tedesco con una mostra a Francoforte e Vienna, a Basilea, e a Colonia. Nel 1997 espone a Palazzo Rasponi-Murat a Ravenna un ciclo di opere su carta di grande formato dal titolo “Tavole Minime”; il catalogo contiene un lungo testo teorico dell’artista. Dal 1998 è rappresentato in Canada presso due gallerie a Montreal e a Toronto. Nel ‘99 espone a Livorno e viene intervistato nel catalogo collegato alla mostra dallo studioso dell’alchimia e critico d’arte Arturo Schwarz. Nello stesso anno espone a Bilbao, in Spagna. Nel marzo del 2000, infine, il Museo Arte Contemporanea di Riccione gli dedica una grande mostra rappresentativa di vent’anni del suo lavoro.


“Bruno Ceccobelli viaggia, soprattutto, alla periferia della civiltà, e raccoglie bocconi di storia. Sì, proprio di storia. Non frammenti di lapidi incise, né selezionando materie nobili. Le sue sono reliquie del presente, le cose minime, gli ultimi brandelli del mondo, oggetti che domani si perderanno se non c’è qualcuno che - subito - ha compassione di loro: prodotti con una bellezza finta, “creati” per finire prima possibile, destinati alla distruzione”



PIERO PIZZI CANNELLA Rocca di Papa (Roma), 20 novembre 1955

Comincia a dipingere da piccolissimo. Dal 1974 al 1977 frequenta il corso di pittura di Alberto Ziveri all’Accademia di Belle Arti di Roma e contemporaneamente si iscrive al corso di Filosofia alla Sapienza. Ha la sua prima personale nel 1977, presso la Galleria La Stanza di Roma. Stabilisce il suo studio nell’ex pastificio Cerere, nel quartiere di San Lorenzo, dando vita, insieme a B.Ceccobelli, G.Dessì, G.Gallo, Nunzio e M.Tirelli, alla Scuola di San Lorenzo: apre lo studio al pubblico in occasione della mostra “Ateliers”, curata nel 1984 da A. Bonito Oliva nell’ex pastificio Cerere. Prende parte a esposizioni collettive: La Biennale di Parigi (1985), di Venezia (1988, 1993), di Istanbul (1989), La Quadriennale di Roma (1987), “Postastrazione” alla Rotonda della Besana di Milano (1987),


“Roma in mostra 1970-79” presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (1995), “Arte italiana. Ultimi quarant’anni. Pittura iconica” presso la GAM di Bologna (1997), “Orientamenti dell’Arte italiana/Roma 1947-87” a Mosca e, in seguito, a Leningrado. Partecipa alla prima Biennale di Pechino nel 2003. In un contesto dominato dalla Transavanguardia teorizzata da Bonito Oliva, il gruppo romano di Piazza San Lorenzo porta il suo contributo originale alla ripresa di interesse per la pittura (e la scultura) con opere impegnate ad un recupero di sensibilità per la materia, di ascendenza astratta - informale. Pizzi Cannella, che agli esordi aveva praticato l’area del concettuale, inventa una pittura che muove da spessori di pigmento, da una dilatazione intensa della materia, per farne emergere allusioni visionarie che privilegiano il tema del corpo umano. Molte delle opere di Pizzi Cannella sono esposte permanentemente in importanti collezioni pubbliche, ricordiamo quelle al Palazzo Reale di Milano, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, al Museo Mumok di Vienna e al Museo d’Arte Contemporanea di Pechino, nella chiesa sconsacrata di San Giorgio in Poggiole (Bologna) e al MACRO di Roma.


“Dopo gli studi di Accademia aveva praticato l’area del concettuale, inventa una pittura che muove da spessori di pigmento, da una dilatazione intensa della materia, per farne emergere allusioni visionarie che privilegiano il tema del corpo umano�



LUCA PIGNATELLI Milano, 22 giugno 1962

Il suo approccio al mondo dell’immagine avviene attraverso l’architettura quando intuisce l’analogia tra la composizione architettonica e la pittura. Le prime mostre milanesi precedono la personale di Londra del 1991 al Leighton House Museum, mentre già a Francavilla al Mare nel 1988 aveva partecipato al Premio Michetti. Le tonalità cupe si accompagnano all’attenzione per il dettaglio architettonico in un’atmosfera sospesa che troverà la sua più riuscita espressione nella scelta del supporto su cui fissare tali memorie: i teloni ferroviari degli anni trenta. La mostra del 1998 da Poggiali e Forconi è il primo vero riassunto di anni di ricerca improntate sul realismo visionario di aerei da guerra, mezzi pesanti e locomotive descritti come simboli di


potenza e metafore dell’idea del tempo. Nel 1999 espone a San Francisco presso la Limn Gallery, a Milano alla fondazione Mudima introdotto da Achille Bonito Oliva, l’anno successivo a New York. Nel 2002 è invitato da Marco Di Capua al Museo del Corso a Roma, ancora al Museo della Permanente di Milano per il Premio Cairo Comunication. Ancora il critico milanese lo inserisce come uno degli artisti di punta, assieme a Giovanni Frangi, nella mostra “La nuova scena artistica italiana”, che si presenta alla Biennale di Venezia del 2003.All’architettura moderna si affianca l’indagine di quella archeologica dei templi romani e di Pompei, come testimonia il catalogo ufficiale della biennale veneziana. Alla fine del 2003 è invitato ad esporre al Mart, Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto. La frequentazione degli ambienti newyorkesi, legati al respiro internazionale che ha ormai assunto la figura di Luca Pignatelli, lo mettono in contatto con personalità quali Carlo Maria Mariani, ormai da anni negli USA, con il quale nasce un sodalizio artistico che da vita all’esposizione On The Appian Way a Firenze, ancora da Poggiali e Forconi nel maggio del 2004.


“La ricerca artistica di Luca Pignatelli è tutta sospesa tra la fascinazione archeologica e la esplorazione del mito. La sua pittura vive della dicotomia tra lo sguardo ammirato e struggente della classicità e le pieghe polverose dell’indagine critica sugli elementi mitici del contemporaneo. La sua poesia, e in questo sta il suo giudizio, vive nel fermo “immagine” del dipinto, della sospensione in apnea di un frame bloccato nell’attimo prima della tragedia. A lui la paura del lutto o la bellezza irraggiungibile delle effigi antiche scalfite dal tempo interessano come atti potenziali di distruzione o di estasi, non certo per l’indugio sugli scorci idilliaci o temibili. Sospesi e indolori nel tempo fissato.”



FEDERICO GUIDA Milano,1969

Fin dall’inizio nel suo lavoro il corpo è il protagonista principale. La sua pittura prende origine dal desiderio di registrare e inscenare una performance allo scopo di provare la resistenza fisica dell’oggetto raffigurato e in fondo anche del sè stesso come artista. Negli anni settanta performance e body art avevano un chiaro significato etico, e il corpo assumeva in sé il ruolo trasgressivo e di oppositore nei confronti dei modelli sociali più tranquillizzanti. Il corpo doveva soffrire, resistere, provare dolore sulla propria pelle e anche più dentro, fino alla carne. Nei decenni successivi tale condizione etica ha lasciato il posto a una lettura in chiave estetica; trasformazioni, mutazioni, slittamenti esibiti nella consapevolezza di un gioco chiuso su di sé come esatto specchio del tempo.


Anche gli spazi scenici si sono ristretti e la performance ha assunto un tono più domestico e confidenziale, a tratti intimo, quasi un accordo personale tra il ritrattato e il ritrattante (l’opera e l’artista). Per Federico Guida la pittura è l’occasione di teatralizzare e rendere pubblico un evento altrimenti privato. Tra il 2000 e il 2001 raffigura alcuni modelli maschili non più giovani, anzi particolarmente segnati dal tempo e dalla vita. Attorno ai loro volti e i loro corpi gira la riflessione di Guida sulle potenzialità della performance contemporanea, incentrata ancora sul concetto di resistenza, ma priva della necessità dell’opposizione. Da qui Guida “scopre” il rosso come unicum cromatico, colore distribuito in maniera irrealistica, quindi non narrativa, ma carico di sensi sanguigni e carnali. I nuovi lavori di Guida approfondiscono ulteriormente la relazione con la performance: i grandi disegni di Robert Longo, le azioni di Jana Sterbak, gli spettacoli di teatro danza di Mercé Cunningham, le coreografie di Rei Kawakubo sono le pietre di paragone immediate. Saggiare i limiti del corpo umano fino alle estreme possibilità costringendo la pittura a misurarsi con il confine rappresentativo.


“Guida è un pittore neoseicentesco contemporaneo. Impasta i fondi per fare in modo che la luce vi rimbalzi sopra creando un effetto di profondità, suggerisce la prospettiva con la contorsione delle figure, scava nel buio alla ricerca di un volto capace di raccontare una mistica rassegnazione, un’improvvisa visione, una pulsione interna e profonda. Anche se riportati alla modernità, plasmati secondo un gusto da terzo millennio – i corpi sono spesso agili, i seni sono turgidi e mai debordanti, da balia, la bellezza non trova le sue forme ideali nelle rotondità e nell’abbondanza – dipinge santi, bambini e madonne, disegna la vocazione, la prosopopea nobiliare e il martirio. Protagonisti delle opere sono le amiche pittrici, le contorsioniste, gli schermitori, le giovani collezioniste, i pazienti di una clinica psichiatrica, i carrozzieri che lavorano nel cortile di casa sua, ma secondo una logica caravaggesca, immodesta quanto si vuole, quelle figure, in quel momento, rappresentano l’afflato divino dell’umanità, il bisogno di raccontare una storia più alta, la voglia di dare un tocco di sano realismo al desiderio e alla necessità di pensare l’immensità, l’eternità, il senso delle cose”



TINA SGRÓ Reggio Calabria, 2 Marzo 1972

Tina Sgrò, con il suo indubitabile talento, s’è prepotentemente inserita in quell’area espressiva che tenta di rinnovare l’iconografia del paesaggio metropolitano, portandovi il proprio contributo personale con l’elaborazione di una originale cifra stilistica e di un particolare modo di vedere (e di rappresentare) la scena urbana. Quelle che l’artista ci presenta sono immagini intense ottenute per tramite di un impianto disegnativo e pittorico robusto, dove la pennellata viaggia sciolta, perentoria e aggressiva e si dispone in tutte le direzioni possibili con furore ed energia. Le prospettive privilegiano i campi lunghi, la profondità spaziale; gli edifici scorrono ai lati della composizione, sotto cieli tormentati, perdendo le nettezza dei loro contorni, come per inchiodare il fruitore su un sedile di


un auto che si muove a grande velocità. Il viaggio continua e, fra variazioni atmosferiche (vediamo pertanto le auto riflettersi sul manto stradale viscido e bagnato) e l’incalzare dell’oscurità (che ci conduce verso notturni freddi e raggelanti), siamo continuamente scaraventati entro scenari nuovi i quali, però, come in un continuo susseguirsi di cose e situazioni già viste e già vissute, hanno un che di straordinariamente noto. I landscape di Tina riscoprono le potenti suggestioni della città, dei suoi sobborghi e delle sue tangenziali attraverso un afflato lirico, imparentato con la categoria estetica del “sublime”, che dà contenuto e pregnanza storica ai cosiddetti “non luoghi”, agli “spazi neutri” della realtà metropolitana. È prima classificata concorso di pittura e grafica “L’uomo ed il suo tempo” Reggio Calabria. Seconda classificata “Premio Morlotti Imbersago” (LC). Finalista al Premio Morlotti Imbersago e selezionata al Premio Biella per l’Incisione quale rappresentante dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria tra le venticinque d’Italia. Vincitrice del Premio Arte Mondadori 2006.


“La consacrazione dell’oggetto di uso quotidiano è un traguardo importante e possibile. E’ significativo trovare e lodare la poesia dietro la “mediocrità” dell’uso giornaliero di un mestolo o di un piatto, o all’interno di un vivere apparentemente monotono. I dipinti vivono di soggetti fermi, dopo dell’immediato movimento/uso.La figura, assente, ha compiuto l’azione, scomparendo repentinamente. Il racconto del dopo-azione. La successione di attimi vitali”



MAURIZIO GALIMBERTI Como, 1956

Sin da ragazzo partecipa a numerosi concorsi fotografici, vincendoli, addirittura con nomi diversi come quello della madre o della moglie. All’inizio usa la classica pellicola analogica lavorando molto con una fotocamera ad obbiettivo rotante widelux in bianco e nero e in diapo/ cibachrome, poi nel 1983 inizia la sua passione - ossessione per la Polaroid. La sceglie per il semplice motivo che non sopportava l’attesa dello sviluppo per vedere il risultato del suo scatto e anche per una eterna paura del buio della camera oscura. Si accorge inoltre che la resa dei colori con la pellicola istantanea è semplicemente magica ed inizia un lungo percorso fino ad oggi di ricerca e di sperimentazione nell’uso di questo media. Nei primi anni novanta infatti, abbandona l’attività edilizia di famiglia e decide di dedicarsi solo alla fotografia. Nel


1991 inizia la collaborazione con Polaroid Italia della quale diventa ben presto il testimonial ufficiale e che ha come risultato il volume POLAROID PRO ART pubblicato nel 1995, vero oggetto di culto per gli appassionati di pellicola polaroid di tipo integrale. Il 1997 è l’anno che vede l’entrata nel mondo del collezionismo d’arte dei suoi mosaici di polaroid. Nello sviluppo di questa sua peculiare tecnica hanno grande influenza il futurismo di Boccioni e il movimento cinetico esasperato di Duchamp. Galimberti riesce in un istante a visualizzare una complessa scomposizione dell’immagine da ritrarre, matematica nel suo rigore e musicale nell’armonia d’insieme, che realizza di getto leggendo le note nella sua mente. Con la stessa tecnica diviene conosciuto per i suoi ritratti, sempre a mosaico. Arriva nel 1999 la nomina al primo posto nella classifica dei foto-ritrattisti italiani redatta dalla rivista Class. La popolarità e successo con cui vengono accolte queste inusuali rappresentazioni di volti lo portano a partecipare nel ruolo di ritrattista a numerose edizioni del Festival del Cinema di Venezia. Nell’ottobre 2009 in occasione della riapertura di Polaroid è invitato in veste di testimonial ufficiale alla fiera della fotografia di Hong Kong per il lancio dei nuovi prodotti.


“Fotografie che diventano puzzle, immagini che si scompongono e che sembrano prendere vita. PerchĂŠ il movimento e il ritmo sono alla base di ogni suo scattoâ€?



FRANCESCO DI PASQUANTONIO Penne (Pe), 1973

Si avvicina alla fotografia molto presto e, a Roma, lavora presso alcuni laboratori, segue eventi sportivi, si occupa di foto di scena a teatro e realizza servizi per il giornale universitario de “La Sapienza”. Di professione informatico, continua il suo percorso di ricerca artistica e stilistica. Da poco ha deciso di pubblicare i propri lavori: nascono così la mostra di Glasgow “Earthquake is an heartquake” nel 2009, la mostra di Milano “Abruzzo: prospettive diagrafiche” nel 2010 e il libro Light, shape and matter pubblicato nello stesso anno dalla Parker&Co. “In realtà le sue fotografie non sono immagini toutcourt, ma arte che scaturisce da mezzi espressivi sconosciuti e affascinanti”



CARLO CHECHI Siena, 1984

Dopo essersi diplomato in Biologia frequenta nel 2005/06 il Master globale di fotografia Professionale presso la John Kaverdash School di Milano dove in seguito, ha lavorato come fotoritoccatore di sfilate di moda (Milano, New York, Londra, Parigi) per l’agenzia Picturesmedia. La sua ricerca fotografica vuole affrontare tematiche astratte quali le emozioni umane, con le sue immagini cerca di creare una connessione tra il suo pensiero e l’osservatore, vuole trasmettere tramite contesti, situazioni, linguaggio del corpo il suo stato d’animo di quel preciso momento, attraverso le lenti di un obbiettivo ci unisce al nostro inconscio. “Colpisce il gioco di forme nude che si percepiscono solo attraverso il tessuto stretch bianco che assume toni argentei con i giochi di luce delle immagini. E poi colpisce la forma in movimento, come prigioniera di situazioni, emozioni, voglia di fuga forse, espressa in modo del tutto singolare”



FABRIZIO CAROTTI Jesi (An), 1980 Si laurea in Filosofia indirizzo Estetico all’università di Bologna. Dopo un’accurata ricerca sulle possibilità espressive dei mezzi tecnologici, dal 2008 intraprende la carriera d’artista operando con successo nel campo della pittura digitale. Riscuote ampi consensi tra la critica, tanto da essere selezionato da Gianluca Marziani e Valerio Dehò tra i venti partecipanti al I° Premio di pittura Zingarelli Rocca delle Macìe (2010) e da rientrare tra i 30 finalisti under 35 del Premio Terna02 (2009). Sviluppatosi come artista digitale, Carotti usa come base per le sue composizioni delle fotografie scattate da lui stesso. Ognuna delle sue composizioni è un’opera unica, della quale viene stampata una sola copia. Nel suo ultimo lavoro Anime Salve, costituito da una serie di immagini scure e drammatiche, attraverso l’uso di immagini Caravaggesche, Carotti esplora i temi del dolore, della morte, della compassione e della sospensione temporale. Una serie di immagini a colori ispirate al mondo del calcio offre un interessante contrasto con i temi precedenti, pur mantenendo la stessa qualità allegorica. “Queste immagini, così dense di significati sottointesi, danno ai lavori di Carotti una forza espressiva senza tempo, che permette allo spettatore di interpretarle sotto molteplici aspetti”



FABIO PANICHI Teramo, 1988 Con sorprendente rapidità acquisisce un personalissimo linguaggio col quale trasfigura la realtà in mondo surreale. Giocando sulla plasticità del corpo pone particolare attenzione alle linee compositive, di grande forza ed impatto. Inserito tra i cento giovani fotografi emergenti, durante le notti insonni esplora i mondi dell’anima, popolati di emozioni che vivono, pulsano, si affannano e si rincorrono, fino a creare le loro metamorfosi visive. Vivere di arte è la sua ambizione, vivere per l’arte il suo dovere. Espone a Teramo, Luglio 2008, “Nocturna Fragmenta”, personale Genova, Maggio 2008, “Body Book”, Sala mostre Biblioteca Berio; Vicenza, Marzo 2008, “Click Art”, Galleria Arte Sgarro; Firenze, Dicembre 2007, “Fuoco negli occhi”, Casa Luzzi; Bologna, Novembre 2007, NoArt “TravellArt”; Piacenza, Marzo 2007, “In pixel we trust”, Pacio; Teramo, Luglio 2006, “Introspezioni”, Casa del Mutilato. Vincitore del Premio Italiano per “Surrealism 2008 Competition” di ARTROM Gallery; Copertina del libro Morgenlied, di Nora Roberts; Mensile La Tenda; Fotografo del mese della rivista Ergo Sum; Mensile internazionale Tecnologie Tessili. “�������������������������������������������������������� L’elaborazione pittorica delle foto gli consente di mettere a fuoco ciò che gli interessa e di sovrapporre materia, luce e tatto fra l’osservatore e il suo universo incandescente”



MANUELA LUZI Viterbo, 1982

Manuela Luzi, nasce a Bassano Romano (Viterbo) il 4 Agosto 1982. Nel 2003 si trasferisce in Irlanda dove scopre la fotografia; torna in Italia e si diploma all’Istituto Europeo di Arte e Design di Roma, nel 2006. Nello stesso anno vince il concorso “Donna, 8 Marzo” indetto da “La Repubblica”, con l’opera “Chador” e collabora con l’artista Dolcenera per la promozione del tour in Germania. L’amore per la musica e i temi sociali restano alla base dei suoi reportage che alterna al progetto fotografico personale a cui lavora da due anni e che nel 2007 la porta in Veneto, terra dove oggi vive e lavora. “Fotografare è meravigliare. Il fotografo un interprete. La fotografia un linguaggio”




Didascalie


Pag. 13

Giorgio de Chirico - “Riposo presso l’Egeo”, cm 50x70, litografia, anni ‘80

Pag. 17

Michele Cascella - “Paesaggio in fiore”, cm 60x90, olio su tela, 1991

Pag. 21

Renato Guttuso - “Jean Paul Sartre”, cm 55x65, olio su tela, 1978

Pag. 25

Ernesto Treccani - “Figure”, cm 80x100, olio su tela, 1990

Pag. 29

Giuseppe Migneco - “Donna con cesto di limoni”, cm 30x40, olio su tela, 1986

Pag. 33

Renzo Vespignani - “Nudo in bruno”, cm 70x100, olio su tela, 1961

Pag. 37

Afro - “Nerolungo”, cm 32,5x78,5, tecnica mista su carta intelata, 1960

Pag. 41

Emilio Vedova - “Senza titolo”, cm 31x24, olio su carta intelata, 1962

Pag. 45

Piero Dorazio - “Senza titolo”, cm 35x50, pastello e tecnica mista su carta

Pag. 49

Tancredi - “Senza titolo”, cm 35x50, tecnica mista su carta, 1953

Pag. 53

Giulio Turcato - “Senza titolo”, cm 50x70, olio su tela, anni ‘70

Pag. 57

Rodolfo Aricò - “Progetto A-V”, cm 50x70, pastello su carta, 1973

Pag. 61

Claudio Verna - “Invisibili illuminazioni”, cm 100x100, olio su tela, 2007

Pag. 65

Mario Schifano - “Monocromo”, cm 70x100, 1961

Pag. 67

Mario Schifano - “Gigli d’acqua”, cm 100x100, anni ‘80

Pag. 71

Tano Festa - “Senza titolo”, cm 70x100, acrilico su tela emulsionata, 1987


Pag. 75

Franco Angeli - “Aquila”, cm 70x120, tecnica mista su tela con tulle, anni ‘70

Pag. 79

Mimmo Rotella - “Allegra”, cm 80x123, monotipo, 2004

Pag. 83

Piero Gilardi - “Senza titolo”, cm 100x100, poliuretano e pigmenti, 2002

Pag. 87

Sandro Chia - “Senza titolo”, cm 130x95, tecnica mista su carta, anni 2000

Pag. 91

Mimmo Paladino - “Senza titolo”, cm 70x100, collage su cartone, anni 2000

Pag. 95

Bruno Ceccobelli - “Il raccoglitore di universi, cm 135x73, tecnica mista, 2001

Pag. 99

Piero Pizzi Cannella - “Senza titolo”, cm 75x65, olio su tela, 1999

Pag. 103

Luca Pignatelli - “Aereo e montagne”, cm 60x80, olio su tela, 2005

Pag. 107

Federico Guida - “Stone”, cm 60x80, olio su tela, 2005

Pag. 111

Tina Sgrò - “Tangenziale 7”, cm 90x130, olio su tela, 2008

Pag. 115

Maurizio Galimberti - “Senza titolo” - fotografia, cm 30x40

Pag. 117

Francesco di Pasquantonio - “From the abyss”, fotografia, cm 60x90, 2010

Pag. 119

Carlo Chechi - “Amami”, cm 80x120, fotografia digitale, 2010

Pag. 121

Fabrizio Carotti - “Il letto di Rauschenberg”, pittura digitale su di bond, cm 70x100, 2011

Pag. 123

Fabio Panichi - “Miss your kiss”, cm 100x100, pittura digitale su di bond, 2010

Pag. 125

Manuela Luzi - “Amor”, cm 100x100, pittura digitale su di bond, 2010


Catalogo realizzato nel mese di Aprile 2011


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.