Spagine della domenica 75

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della domenica n°75 - 17 maggio 2015 - anno 3 n.0

spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Oggi è la Giornata Internazionale contro l’omofobia, ideata da Louis-Georges Tin, curatore del Dictionnaire de l’homophobie (Presses Universitaires de France, 2003), la prima Giornata internazionale contro l'omofobia ha avuto luogo il 17 maggio 2005, a 20 anni esatti dalla prima rimozione dell'omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall'Organizzazione mondiale della sanità.


spagine

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l’opinione

I vecchi sacerdoti della politica

Qualcuno in Italia sogna regimi pre-costituzione

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avvero incredibile quanto si è letto sul “Corriere della Sera” di lunedì, 11 maggio 2015, in un articolo di Giovanni Belardelli, noto ed equilibrato editorialista di quel giornale, “La giustizia onnipresente che indebolisce la politica”. Essendo un vecchio lettore ed estimatore dell’Autore, sono rimasto trasecolato. Belardelli sostiene che i pensionati hanno ragione, a proposito del blocco della perequazione operato dal governo Monti, ma che la Consulta non può mettere con le sue sentenze in difficoltà finanziaria il governo, qui identificato tout-court nello Stato. Par di capire che secondo Belardelli la Consulta dovrebbe operare ad interventi limitati, tutto bene finché non lede gli interessi dello Stato. Ormai siamo veramente all’assurdo. E’ così tanta la voglia di sostenere Renzi che perfino un liberaldemocratico doc, come Belardelli, invoca la censura alla Suprema Corte. Il giorno dopo, martedì 12 maggio, un intervento di Sabino Cassese, ex membro della Corte Costituzionale ed editorialista pure lui del “Corriere”, “Le strade possibili della Corte”, cerca di rimettere le cose a posto. Non ci sarebbe da stupirsi se l’intervento fosse stato concordato con la direzione del giornale, dopo la caduta incredibile di Belardelli. “Il compito della Corte – scrive Cassese – è, infatti, proprio quello di assicurare che le leggi siano conformi alla Costituzione, annullandole quando non la rispettano”; e, rivolgendosi ai critici di questo compito precipuo, dice: “Gli autori di questa critica vorrebbero fare a meno del garante della Costituzione, facendo così un salto indietro di duecento anni nella storia del costituzionalismo”. Poi, però, in qualche modo ribadisce che la Corte, prima di emettere una sentenza, deve valutarne le conseguenze, perché se queste mettono in difficoltà finanziaria lo Stato, deve regolarsi diversamente. In

questo caso – scrive – “La decisione presa ha implicazioni molto gravi per il bilancio dello Stato”. Dunque, sempre a suo avviso, la Corte avrebbe dovuto “svolgere il suo ruolo di tutore della Costituzione bilanciando la tutela dei diritti con quella dell’equilibrio finanziario, da cui anche discendono diritti”. Insomma, in conclusione, questa sentenza neppure per Cassese andava emessa. La qualcosa ricorda il “questo matrimonio non s’ha da fare” di manzoniana memoria, perché a decidere così era stato don Rodrigo tramite i suoi bravi. Lo Stato-don Rodrigo e i giudici della Consulta-bravi impensieriscono non poco. Capisco che certe comparazioni non si possono fare, ma quando sono in discussione certi principi, altro che se si possono fare. Lo Stato pre-costituzione poteva operare, anche formalmente, nel solo ed esclusivo interesse dello Stato; ma lo Stato costituzionale deve come fine irrinunciabile operare per il rispetto della Costituzione. Se così non fosse la Corte sarebbe una ipocrita copertura per mettere al riparo lo Stato da sue eventuali illegalità. Qui non si vuole neppure ricordare quanto la Corte e le Procure hanno fatto ai danni di Berlusconi anche quando questi rappresentava i superiori interessi dello Stato; ma anche qui è inevitabile mettere a confronto i comportamenti di tanti sacerdoti della legge che si comportano oggi in maniera diametralmente opposta a quella di ieri. Per danneggiare Berlusconi era sempre e tutto consentito, ai danni di Renzi non è mai e nulla consentito. Per Cassese, azzeccagarbugli – mi si perdonino i richiami manzoniani – si tratta solo di trovare la giusta maniera, non difendere il principio e la sostanza, ma la forma. Per lui l’atto del governo Monti ai danni dei pensionati era ormai cosa fatta; perciò poteva continuare come se nulla fosse accaduto. Perché risvegliare la serpe che dorme? Ma si lascerebbe il ragionamento a metà se non si dicesse che i poteri dello Stato

di Gigi Montonato

possono e devono intraprendere tutti i provvedimenti nei suoi superiori interessi. A estremi mali estremi rimedi. E quindi se allo Stato occorrono soldi per risanare i debiti, fatti evidentemente per il bene dei cittadini, se li può prendere dagli stessi cittadini prelevandoli direttamente dai depositi bancari, come fece il governo Amato; potrebbe al limite dimezzare le pensioni o annullarle addirittura; potrebbe richiamare al lavoro i pensionati non del tutto clinicamente rimbambiti per farli lavorare. Lo Stato, insomma, coi suoi organi, può fare tutto quello che ritiene necessario per i superiori interessi; ma consentano i Belardelli e i Cassese, di cui è piena l’Italia, questo modo di intendere e di operare è da Stato assoluto, autoritario, è da governi dittatoriali. Non è questione di principio soltanto ma di sostanza. La Costituzione è stata la grande conquista dei cittadini nei confronti di uno Stato a volte capriccioso e dispotico, limite invalicabile a difesa dei cittadini. Si può essere d’accordo in via di fatto e di principio che lo Stato possa prendere i provvedimenti che vuole di fronte ad un’emergenza grave; ma se oggi si assumono certe prese di posizioni teoriche (Belardelli, Cassese) e pratiche (governi Monti e Renzi), vuol dire che la situazione è tale da temere per lo Stato democratico. Allora, altro che se certe grida sono eccessive e fuori luogo, qui siamo in presenza di un’involuzione politica avvalorata anche dall’ormai generale rassegnazione che tutto dobbiamo fare per non dispiacere all’Europa. Renzi ha più volte detto in questi giorni, a proposito della questione in oggetto, che il governo farà tutto quello che va fatto per non perdere la fiducia dell’Europa verso l’Italia. Non ha avuto una sola parola né per i giudici della Consulta né per i cittadini pensionati. Non solo per la sua ormai proverbiale insensibilità democratica, ma anche e soprattutto per il fatto che si dà per acquisita la perdita di molta parte della nostra sovranità e della nostra democrazia.


spagine

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o provato a dare soluzione e risposta ma esso rispunta sempre come uno che annaspa e riemerge nel rifiuto di morire. Stizzosamente mi ribello dando a me stessa motivazioni razionali e sagge a tutela della mia incolumità interiore, del mio equilibrio così faticosamente raggiunto, ma Esso, l’Enigma, il punto interrogativo, la “x” delle equazioni, l’incognita insoluta per sua natura, trova sempre uno spiraglio, una fune per arrampicarsi, la via di uscita giusta dal groviglio delle intenzioni. Ed è là che ti fotte! Vivi ignaro nel susseguirsi di giornate dal diagramma piatto, simili le une alle altre, ma Lui è sempre lì, in agguato, e quando hai appena iniziato ad esser contento della tua esistenza uguale e sicura, lui esce dall’angolo e ZAC! Ti colpisce alla nuca con un colpo secco mentre baldanza e sicumera si sgonfiano e cadono per terra insieme alle tue gambe molli. Ecco perché gli sto lontano ma m’illudo, il mio star lontano è solo da quello che mi è già lontano, lontano come odore, straniero come storia, mentre il Tempo sa benissimo il minuto secondo in cui quel preciso Enigma fatto apposta per te irromperà sulla scena! - Hai ancora delle cose insolute, problemi da risolvere, fragilità da compensare - Devi andare indietro nel tuo passato e affrontare il tuo karma per non ripetere più gli stessi errori! Mi sembra di sentirle le civette sul comò sempre sicure di tutto, che parlano a memoria, i coerenti dell’esistenza, i portatori di autostima a vagonate che non fanno un passo se non vedono molto bene prima dove mettono i piedi. Quelli che costruiscono tassello su tassello la loro dimora dai muri di gomma, per non sentire i rumori di fuori e attutire quelli di dentro, anche della coscienza, così da non ferire le mani quando tiri i pugni con la rabbia dei vivi. Io a volte invece cado, cado per terra sull’asfalto sporco e bagnato di pioggia, e spesso resto lì in basso, a guardare chi passa di fretta, parlando, chi urla, chi corre, chi va piano, in genere vecchi e malati, famiglie intere con buste piene di roba, barboni con trolley pieni di altre buste piene di altra roba, ra-

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pensamenti

L’enigma

di Tiziana Buccarella

Ad illustrare: Leonardo, Studio delle mani, 1474

gazzi e ragazze, scooter, taxi, auto, bus. Nessuno mi vede ma non mi hanno mai travolto - mi mimetizzo bene con la strada. Con i salotti no, anche culturali, dove saprei, non so, non posso evitare di pensare alle loro case dai muri imbottiti di gomma che si portano addosso ovunque, come testuggini, secolari anche nei rituali. L’Enigma per loro può essere al massimo un rebus da enigmistica, il fattore sorpresa non li sorprende, la curiosità è solo finzione per esibire i loro bei saperi delle loro belle librerie dei loro bei salotti. Io preferisco la terra, l’odore del fango e dell’acqua che scorre nei rivoli fin nelle fogne, preferisco l’odore di salsa di pomodoro che esce con un filo di nebbia dall’uscio dei bassi di Gallipoli in una domenica festosa, preferisco il rumore delle ciabatte verso la spiaggia delle ragazze quasi donne inseguite dai maschi in motorino. Preferisco l’aria e il ricambio di aria alle asfittiche assisi onaniste degli autocelebratori di professione. So di un albero di gelso, enorme, al di là del muretto di casa, che pure bimba e femmina, scavalcavo, so che volevo conquistarlo scalarlo ramo su ramo e sentire su in alto l’ebbrezza della mia vittoria, per me , solo per me, ma ero sempre respinta dalla tutela dei miei fratelli maggiori. So di una strada, quella dei miei primi passi, sul viale più verde di Lecce, dove appese dondolavano tintinnando al vento le mie tenere Carmele, le luci con il piatto di ceramica bianca, che illuminavano fiocamente la strada mentre i rumori e le luci delle case si andavano spegnendo nella sera. - Hai letto molto? - Ho letto! - Hai viaggiato molto? - Ho viaggiato! - Di cosa ti occupi? - TUTUTU - Occupato... ... ...

Ah già - l’Enigma, è da lì che son partita - l’Enigma non coglie quelli che hanno la porta di casa con la scritta: So tutto e non ho bisogno di niente! L’Enigma coglie chi apre le finestre rischiando che il vento gli scompiglierà i fogli scritti, potrebbe perdere il filo, ma, troverà altri fili, e più fili fanno una trama più ricca e affascinante - e questo è solo un nuovo inizio…


La pena infinita L spagine

e carceri italiane continuano a soffrire di sovraffollamento e di altri endemici mali. La grave emergenza si affronta con raziocinio e umanità. La cultura della cementificazione e della nuova edilizia( proposta in passato, soprattutto dai governi di centrodestra) naufraga fragorosamente, dimostra un totale fallimento, perché i problemi veri sono altri, ben più pressanti, e hanno il volto della gente. Il volto afflitto di chi quotidianamente tira avanti e sopravvive in celle malsane e anguste, talvolta fatiscenti. Siamo convinti che la dignità delle persone sia un bene preziosissimo e inalienabile, da tutelare sempre. C’è un’umanità silenziosa e avvilita, che nei tristi penitenziari nostrani paga un dazio salatissimo: sconta cioè l’incapacità cronica della politica d’inquadrare certe questioni in un’ottica aperta, dialettica. In prigione, nei casi più complicati, c’è chi vive un’esistenza abulica; e c’è chi, talvolta, decide di farla finita, si suicida. C’è un’umanità dolente, che vive l’ingiustizia dei diritti umani violati. La Corte europea per i diritti dell’uomo ci condanna sovente: il rispetto della vita della persona è senz’altro l’aspetto sociologico più rilevante in una comunità di cittadini. Lo Stato deve adoperarsi sempre in ragione d’un civile decoro. La politica dovrebbe portare quantomeno un sensibile beneficio ad una popolazione travagliata: depenalizzazione per i reati di nessuna pericolosità sociale, misure alternative al carcere per quanto riguarda alcune pene. Alcune leggi (già in parte smantellate) dovrebbero essere riviste ancora più radicalmente: soprattutto quella sull’immigrazione e la incredibile e caotica legge Fini - Giovanardi sulle

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contemporanea - questione carceri

droghe (dichiarata incostituzionale dalla Consulta). Il legislatore dovrebbe fare molta attenzione a non creare quasi a tavolino nuove categorie di “delinquenti”. In senso più ampio, possiamo osservare che alcune vecchie idee ricorrenti (come il famigerato “piano carceri”), avanzate dall’ultimo governo Berlusconi, sembrano definitivamente accantonate. Non si può pretendere, difatti, di risolvere un’emergenza drammatica con alcune “trovate” di ingegneria moderna, con interventi più o meno “efficaci” di edilizia. Costruire ancora penitenziari è qualcosa di anacronistico, di abnorme. Perché non utilizzare e rendere praticabili quelli già esistenti mai aperti, o quelli chiusi? Perché non concentrare le energie per sostenere economicamente e fattivamente gli alacri operatori delle carceri, cercando di andare a fondo sulle cause dei disagi e delle devianze? Perché non investire denari pubblici per scopi di prevenzione e per progetti educativi, tenendo conto che i direttori delle prigioni, le guardie e chi è privato della libertà maritano rispetto massimo? Perché perseverare con la cultura ipersecuritaria? La Costituzione e la Carta dei diritti umani, qualche volta disattese per una serie di motivi, sono fari luminosi: ad essi bisogna guardare ed obbedire, perché la civiltà d’un Paese non si misura solo per l’incidenza delle politiche di sicurezza. Non è da visionari voler pianificare qualche forma di amnistia per alcune tipologie di reati, visto che i povericristi pagano anche il conto dei ricchi e dei potenti, quelli che viaggiano da sempre su sfavillanti navi da crociera, e godono d’una amnistia di classe, lega-

di Marcello Buttazzo

lizzata e strisciante. I penitenziari non sono solo luoghi di pena, ma anche di riabilitazione. Noi esseri umani siamo creature antropologicamente fragili, esposti ai venti dell’incerto destino. Chi è costretto, per le più diverse ragioni, a stare fra le chiuse sbarre, è ancora più vulnerabile, più bisognoso d’aiuto. Ci chiediamo: quanti sono, in prigione, le donne e gli uomini affetti da vari tipi di depressione, da sindromi maniacodepressive, da disturbi bipolari? Per chi è attraversato dalla malattia non è possibile individuare forme alternative di pena da scontare fuori? In “Alfabeto Bonino”, un saggio di qualche anno fa, “alla c di carcere” la leader radicale scriveva: “Abbiamo milioni di processi pendenti ed è indubbio che serva una riforma urgente del codice, e credo che l’inizio di questa riforma debba passare da una soluzione come l’amnistia”. Ovviamente, non solo i politici devono sentirsi chiamati in causa: tutta la società deve interrogarsi. Alla base d’ogni discorso di “redenzione” c’è l’uomo, la sua ricchezza, l’insopprimibile ansia di riscatto. Tempo fa, qualcuno parlava con speranza d’un impegno del Parlamento, che avrebbe dovuto approvare una modifica legislativa, in modo da consentire ai tossicodipendenti condannati per spaccio o per traffico di droga di farsi curare in strutture idonee. Più estesamente, probabilmente, un tossicodipendente non dovrebbe mai stare in cella. Qualche anno fa, Gruppo Abele, Ristretti Orizzonti e Antigone diedero il via ad un’iniziativa culturale: “Potenziamo le misure alternative, liberiamo i tossicodipendenti”. Il Parlamento e l’efficientistico governo Renzi è ora che diano una risposta vera su questo versante.


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A

nche quest'anno il laboratorio di teatro IO CI PROVO arriva alla sua fase conclusiva, la compagnia è lieta di invitarvi al primo studio dello spettacolo “Happy Birthday Barbablù” in scena in data 4 Giugno alle ore 15.00 e 5 Giugno 2015 alle ore 20.00 presso la Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce. Per assistere al primo studio dello spettacolo è necessario: confermare la propria presenza con l’invio di una mail all’indirizzo iociprovo.comunicazione@gmail.com o in posta privata su Facebook della pagina Io ci Provo. La mail dovrà riportare i seguenti dati: NOME-COGNOME DATA E LUOGO DI NASCITA

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in agenda - teatro

Un attore della compagnia Io ci provo e la regista Paola Leone in un laboratorio tenuto per gli studenti dell’Istituto Tecnico Grazia Deledda di Lecce

RESIDENZA ATTUALE Le mail che non hanno questi requisiti non verranno tenute in considerazione. Vi preghiamo di segnalare la data di preferenza dello spettacolo (se il 4 o il 5 Giugno); cercheremo il più possibile di rispettare la vostra preferenza, in base alle richieste di partecipazione che ci perverranno. Le richieste dovranno essere inoltrate entro e non oltre il giorno 20 Maggio 2015, così da procedere in tempo per i dovuti permessi. Vi preghiamo inoltre di inoltrarci un vostro recapito telefonico per eventuale necessità di rintracciarvi rispetto ai dati utili per l'accesso allo spettacolo. Come ben potete immaginare il numero di spettatori previsto è limitato e per questo vi chiediamo, qualora interessati, a considerare la

propria adesione come "una promessa vera" di esserci, in modo da non togliere il posto a nessuno. Per agevolare l'accesso di tutti, vi preghiamo di presentarvi all'ingresso della Casa Circondariale un'ora prima dell'inizio dello spettacolo (h 14 per il 4 Giugno, h 19 per il 5 Giugno). Portate con voi solo la vostra carta d'identità; cellulari, borse o altri oggetti devono essere lasciati fuori. Lasciate anche a casa ogni forma di giudizio e aspettativa. Lo spettacolo sarà una festa, quindi ci sarà anche un dress code: indossate a vostra scelta qualcosa di BLU, che siano vestiti, scarpe accessori, capelli o trucco. Scegliete voi!

Ingresso gratuito


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Stando seduti dalla parte del torto

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icordo, erano i tempi in cui Veltroni era segretario del neonato Partito Democratico, proprio quando fu letteralmente travolto da Berlusconi alle elezioni. I sondaggisti presero abbagli a non finire, nel PD pensavano di poterla sfangare invece sappiamo com'è andata. Ricordo quella campagna elettorale, eravamo in molti a pensare che questo nuovo partito era nato senz'anima! Scrissi, scrivemmo in molti, che era stato partorito in fretta e furia, senza offrire, in cambio dei voti richiesti, nessuna idea di un paese possibile futuro, di quale società costruire, di come farlo. Si dava semplicemente per scontato che quello in cui viviamo è l'unico mondo possibile, pur con le sue guerre, la sua globalizzazione, la sua economia profondamente bacata e sbilanciata. In pratica, si scelse di cavalcare l’esistente, una realtà così simile, anzi, quasi gemella di quella evocata dall'altro polo. Allora qualcuno chiamò tutto questo: “caduta delle ideologie”. Questa scelta di campo permise di acquistare voti a mani basse da ambienti di non sinistra (si può dire sinistra?) e lasciare molto tiepido il resto. Quelli che, se non proprio ideologia, volevano, cercavano un’idea di società possibile, plausibile, equa. Poi sappiamo com'è andata, quella sciagurata scelta ci ha regalato anni di berlusconismo e di un PD che si è andato assestando piano piano sempre più al centro fino a giungere alla fase attuale, con il fiorentino che è un asso piglia tutto. Fallito l’Ulivo, messi da parte Prodi e tutti quelli che potevano dire qualcosa di Democratico, siamo arrivati alla coltellata in diretta: “stai sereno”. Piace molto il sindaco di Firenze, piace a molti. E’ riuscito a imporre una sua versione di centralismo democratico che più o meno funziona così: Esiste un capo che si circonda di pochissimi fidati servi-

di Gianni Ferraris

tori e "signorsì" che lo sostengono, qualche intellettuale, lui decide e impone, governa solo con voti di fiducia, chiunque obietta viene costretto al silenzio e additato come "vecchio rottame". Addirittura bypassa le commissioni di controllo se è il caso (altri vecchi rottami). Le regionali liguri ne sono un fulgido esempio. Cofferati denunciò brogli alle primarie del centro sinistra a suo danno, (pare che abbiano votato un sacco di extracomunitari portati ai seggi e probabilmente pagati, qualcosa di simile avvenne a Lecce quando i cingalesi arrivarono a frotte a votare la candidata che poi straperse le elezioni amministrative) in Liguria venne convocata la commissione di garanzia, ma Lui (il sindaco) decise che la sua candidata aveva vinto e basta. Chiamarlo Partito ci sta, è l’aggettivo Democratico che inquieta. Con il suo agire e con le riforme che pretende ha, in sostanza, chiuso il cerchio con Silvio il breve nel realizzare i principi fondanti del “piano di rinascita nazionale”. Ovviamente ha una maggioranza schiacciante dentro e fuori dal PD, pare non esserci alternativa a lui, le destre sono allo sfacelo (tranne Salvini), a sinistra c’è il vuoto pneumatico. Onore al merito, però il voto è altra cosa. E con le regionali prossime venture si sta anche rodando il futuro “Partito della Nazione”. Una formazione politica che non guarderà in faccia a nessuno, in cui potranno convivere il diavolo, l’acqua santa, e con un parterre (per citare un socialista d’altri tempi) “di ballerine, pagliacci e saltimbachi” che avranno l’onore e l’onere di dire sempre e solo SI al supremo capo. Come funziona il Partito della Nazione? Esempi limpidi e lampanti sono in Puglia e Campania. Con Michele Emiliano corre ovviamente il PD (pur con tutte le sue contraddizioni), l’ex SEL (che per l’occasione sfoggia il nome di “Noi a Sinistra”) e una serie di liste civiche quasi infinita. Liste che includono pochissima acqua santa. Spul-

ciando troviamo Eupreprio Curto che ha un nobilissimo passato politico: Movimento Sociale, Alleanza Nazionale che lo fece eleggere senatore, a Francavilla Fontana venne beccato con le mani nella marmellata, fece assumere 22 fra amici e parenti in un concorso pubblico. A Foggia c'è Pippo Liscio che sostiene Emiliano (ex MSI e AN). A Taranto Antonio Martucci, stesso percorso. A Lecce troviamo Paolo Pellegrino, già coordinatore di Futuro e Libertà di Fini. Nella BAT troviamo Francesco Spina, già Forza Italia, ora UDC. Attualmente è sindaco di Bisceglie in una colazione di (indovinate un po’?) centro destra, mentre ad Andria e Trani, dove si vota per le comunali, lo Spina sostiene apertamente il centro destra. E ancora si contano moltissimi forzitalioti pentiti o sedicenti tali e qualche indagato qua e là. Incredibile la vicenda della “riforma elettorale” pugliese invece. La maggioranza, come noto, era guidata da Vendola e dal PD. A scrutinio segreto passò una riforma vergognosa e da pre partito unico: sbarramento all’8% e preferenza singola. Vendola ed Emiliano si arrabbiarono molto, però la maggioranza da dove veniva fuori? Ed Emiliano non è segretario regionale del PD? E Vendola non è presidente della regione? Mah. Ovviamente questo significa che nessun partito diverso dai soliti noti avrà una chanche. L’Altra Puglia, un raggruppamento di sinistre alternative, ci prova, senza soldi e con molta buona volontà. Hanno un solo difettaccio, ogni volta che parlano sparano contro il governatore uscente Vendola. Se la Puglia in questi ultimi dieci anni fosse stata governata da Fitto, probabilmente sarebbe messa come Lecce, a non poter pagare gli stipendi e sarebbe devastata da cemento e asfalto molto peggio di quanto lo sia. La destra contrappone l’incartapecorita Adriana Poli Bortone e la spaccatura con il clan Fitto, detentore di moltissime preferenze. Probabilmente prenderà più voti Salvini con il suo movimento momentaneamente non antimeridionalista. Il


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tempo di elezioni

nuovo che incombe! Una domanda si impone a questo punto: se gli ex SEL governeranno con il PD ed altri, quale sarà la linea di demarcazione sulle decisioni da prendere? La TAP si farà o no? E la 275? E la sanità verrà privatizzata? E l’acqua pubblica rimarrà tale? Cosa si riponderà al governo sull’accoglienza agli immigrati? Diventeremo valdostani pure in Puglia? In sostanza, il signor Eupreprio Curto si riconoscerà un una Puglia che privilegia il bene comune o si terrà strette le sue radici liberiste e conservatrici? E il PD proseguirà nel suo percorso dell’uomo solo al comando o tornerà a discutere con le persone, con i suoi (pochissimi) iscritti non peones? Insomma, esiste qualcosa che faccia la differenza fra un partito di destra e uno di sinistra? (Si può ancora dire sinistra?)

Ad illustrare Bruno Munari - Ricerca della comodità in una poltrona scomoda - 1944 Domus

nia dove a vincere le primarie è stato un individuo che, in quanto condannato, se verrà eletto sarà immediatamente commissariato. Renzi era distratto, ricattato o che altro? Ma il De Luca si trascina sostenitori di tutto rispetto: Carlo Aveta, noto alle cronache per i suoi pellegrinaggi a Predappio dove ama farsi fotografare sulla tomba dell’unico uomo politico che ritiene degno di nota. e che, ultimamente, parlando di gay ha detto: "Si può ancora dire in un paese libero e democratico che questi mi fanno schifo?". E, sempre con De Luca, troviamo: Mario Casillo e Nicola Marrazzo (PD) rinviati a giudizio per peculato. Corrado Gabriele, in attesa di processo per presunte violenze sessuali sulle figlie della sua compagna. Tommaso Barbato, indagato per voto di scambio. Carlo Iannace, chirurgo, indagato per aver chiesto rimborsi per inStesse domande si pongono in Campa- terventi estetici spacciati per oncologici.

Oltre a una nutrita serie di destri momentaneamente a sinistra (si può dire sinistra?) Quasi quasi rimpiango le mutande verdi di Cota o i lecca lecca di Renzino Bossi.

Beh, se questa è la nuova politica, se queste sono le nuove alleanze, ne prendo atto, rimango stupito comunque dai peana per il capo supremo provenienti da persone che sono (erano) a sinistra e che ora adorano il decisionista. Ma si sa, noi vecchi siamo abituati, come dice il sindaco di Firenze, a voler caparbiamente perdere. O, per dirla con Brecht, a star seduti dalla parte del torto.

Le alternative per l’elettore paiono talmente omologate che si può scegliere tranquillamente lanciando la monetina, oppure di dare un voto alternativo, sia pur perso per le soglie di sbarramento. O di andare al mare quella domenica.


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Polvere

scritture

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di Maira Marzioni a gli occhi rossi come se avessero assorbito tutta la polvere degli scatoloni, li noto subito penso che forse ha

l'allergia come me. Ci segue, prende un altro carrello, ha un paio di lamberjeck marroni ai piedi, senza calzini. Abbiamo otto scatoloni e devono entrare dentro una panda arancione. Ci guardiamo, forse non ci riusciamo ma iniziamo, proviamo. Tiriamo giù il sedile di dietro ma non ci vanno di lunghezza allora lui lo rialza in un attimo stacca i poggia testa e abbassa il sedile davanti. “Tua moglie si siede dietro”. I primi scorrono fino al sedile davanti e gli altri sopra, gli ultimi due sono più sottili, ma sembrano non entrarci, entra nel sedile di dietro appoggia il ginocchio e fa in modo che vadano: “Vai spingi!” ed entrano. I gesti sono sicuri, sembra sua la mac-

china, forse ce n'ha una uguale, forse con sua moglie hanno comprato pure loro la libreria all'ikea coi soldi da parte, quelle due lire per avere una casa decente, in ordine, normale. Gli ultimi pezzi li sistemiamo dietro nel portapacchi. E' entrato tutto, cinque minuti, ci guardiamo, ci siamo riusciti. Allungo cinque euro, non sorride, perchè dovrebbe poi, ci presentiamo, lui è Kevin, viene dalla Nigeria, sistema scatole fuori dal grande magazzino che produce quelle merci con cui sostiuisci le cassette della frutta e i pallet a un certo punto della vita, quando hanno preso troppa polvere, quando con quelle due lire decidi che nelle cassette al massimo ci metti le piante in balcone, ma in casa basta, sembra una capanna la casa con quelle cassette e quei pallet, che poi non li pulisci perchè è quasi impossibile, ed è pieno di polvere ed è un casino con l'allergia. Sembra una capanna, abbiamo tutti venticinque anni e l'allergia in questo periodo.

Nel parcheggio sono una ventina, lungo la strada c'è Desy sull'angolo all'ombra e il telefonino in mano, non so se è la moglie di qualcuno, di sicuro aspetta qualcuno senza moglie. Siamo alle porte di Bari, Mohamed e Ahmed camminano lungo la superstrada, è una strada e in fondo la strada è fatta per camminare. A pochi chilometri c'è il Cara di Bari Palese, sulla strada è pieno di vecchie masserie dismesse, case di campagna traformate in capanne, tra la polvere della terra e qualche albero di ulivo. Abbiamo tutti venticinque anni e l'allergia in questo periodo, senza Kevin non ce l'avremmo mai fatta. Ho una libreria al posto delle cassette, eppure c'è ancora polvere e gli occhi sempre rossi, penso che con cinque euro non ci viene neanche una mensola, poi magari c'è qualcuno che gliene prende pure un po' a fine giornata. Non sono uguali gli anni, non è uguale niente, solo la polvere è la stessa.


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mmsarte

Lo stupore dell’abbraccio

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itorna abbraccio come parola speciale scelta dai piccoli alunni della terza elementare dell'Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Cavallino - Castromediano. Per la

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artendo dal presupposto che per Nicolò essere abbracciarti è stupendo la sua poesia libera esprime la gioia di quest'abbraccio, quella felicità quasi adrenalinica che si prova andando su una giostra, magari proprio

piccola Damiana l'abbraccio è soprattutto un contatto umano e sincero che serve a rincuorare il prossimo. Un abbraccio rallegra, fortifica e rende più sicuri. Un abbraccio fa solo bene e per questo occorre farlo spesso. La piccola Valentina ha voluto rappresentare nel suo delicatissimo dise-

gno, un abbraccio dolce sincero fra un uomo e una donna, un abbraccio di uguale intensità, di egual misura; un abbraccio testimonianza di amore e rispetto reciproco, caldo e luminoso, come quel sole che, tiepido al tramonto, riscalderá per sempre le loro spalle.

su una ruota panoramica, laddove ogni carrozza in lontananza appare abbracciarsi e felice godersi il panorama circostante. Insomma una ruota da abbracci tanto emozionante che sembra poterci far girare alla velocità della luce! E' stato facile per Markuss ispirarsi alla poesia del suo compagno! Cosa po-

teva rappresentare se non una ruota panoramica di abbracci? E dal suo disegno, limpido traspare il divertimento e quella vertigine che forse da sempre la ruota panoramica ha saputo darci, tant'è che rimane intatto il fascino e quel misterioso romanticismo quando, da lontano, si staglia e primeggia su tutte le altre giostre.


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oberta, nei gioielli che realizzi, oltre all’eccellenza artigianale, c’è di più. Confesso che la qualifica d’artista, che hai attibuito alle tue realizzazioni, lontano dall’esposizione (Gioielli d’artista, di e a cura di Roberta Risolo, Castello Carlo V, Lecce, 22 aprile-10 maggio 2015, nell’ambito della manifestazione Itinerario Rosa 2015 a cura dell’Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Turismo del Comune di Lecce), prima, cioè, di vederle dal vivo, me l’ero immaginata come una pura trovata pubblicitaria. Quando ho visto, ho capito che il mio era un pregiudizio. L’allergia alla qualifica però, non è scomparsa del tutto. Permane in me ancora un residuo (apriori) d’incredulità. Artista, d’artista insieme a creativo sono attributi che si spargono, nel contemporaneo che abitiamo, sempre con grande facilità. Strausati, anche troppo. ARTE E ARTIGIANATO I tuoi lavori mi suscitano una serie di domande che si collocano nelle zone di confine tra i territori dell’arte e dell’artigianato. I confini non sono bene delineati (queste due espressione del fare umano, che si designano con parole diverse, hanno un’area comune d’intersezione vasta). Quei territori inoltre sono bagnati, più che da un fiume, da una specie di delta, vasto e intricato, le cui ramificazioni cambiano con frequenza variabile.

QUANTA COMPETENZA OCCORRE ALL’ARTIGIANO Per essere un bravo artigiano, occorre molta competenza. Competenza, un sapere che attraversa una pratica (conoscenza e abilità manuale, qui). Insieme e inseparabili, il sapere e la pratica (due in uno-la competenza), concorrono a una realizzazione. Nel tuo caso, la progettista

Gioielli a regola d’arte di Massimo Grecuccio

di gioielli s’intreccia con l’artigiana che li stati realizzati per essere venduti (per che cosa d’altro, se no?). Allora, e a questo realizza. punto è lapalissiano, sia le realizzazioni QUANTA COMPETENZA OCCORRE dell’artigianato che quelle dell’arte si vendono. Allora, arte e artigianato sono la ALL’ARTISTA Anche per essere un bravo artista, occorre stessa sostanza con due nomi diversi? Eh, molta competenza. Con la stagione delle no! Perché un’eccellente artigiana come te avanguardie si è affermata l’idea che per sente il bisogno di qualificare come d’artidire qualcosa di valido nella pratica artistica sta i gioielli che realizza? Tale qualifica dà bisogna scavalcare lo status quo (dell’arte). un plusvalore? E tale plusvalore è esclusiI modi con cui questo nuovo si declina vamente commerciale? Gli uomini del sisono tanti. L’artista ha una competenza stema dell’arte pongono l’arte al di sopra speciale, multiscopo, che può esulare non dell’artigianato. Perché? Solo perche così solo dall’abilità nel disegno, nella pittura, (con una punta di provocazione), alcuni dei nella scultura (le abilita classiche dell’arte), soggetti di quel sistema (l’artista, il merma anche dall’abilità manuale pura e sem- cante, il collezionista) possono spuntare plice (l’artista contemporaneo può dele- prezzi più alti, e guadagnare di più, in mogare anche ad altri la realizzazione; sue neta e in prestigio? rimangono l’idea e la firma). Semplifico molto e dico che queste tante maniere di L’ARTE HA UN VALORE CULTURALE. essere artisti e di fare arte, si collocano al- E L’ARTIGIANATO? l’interno di un sistema (che c’è, qui ora), Arte contro artigianato. Dalla parte dell’arte: che approva la qualifica attraverso la legit- meno abilità manuale (non sempre); più timazione sociale culturale ed economica idee (di quelle che, in maniera surrettizia o dell’opera. Nel sistema si muovono l’artista plateale, scuotono le abitudini percettive (colui che progetta e fa), il gallerista (colui del mondo circostante). Dalla parte dell’arche vende al miglior prezzo), il critico (colui tigianato: più abilità manuale; idee che che giudica con motivazione culturale), lo sono (quasi in esclusiva) manufatto-dipenspettatore (colui che ha sete di bellezza), il denti (legate, cioè, ai problemi tecnici della collezionista (colui, che oltre alla sete di realizzazione del manufatto). Mi limito ai gioielli e pongo la domanda: le tue idee bellezza, ha i soldi per placarla). Un lascito concreto della fine della stagione sono esclusivamente monile-dipendenti? delle avanguardie, è la lega opera d’arte- Oppure, oltre ai problemi tecnici, c’è di più? valutazione del mercato dell’arte. È possi- Propendo per il di più (devo, però, sostanbile scindere i due metalli di tale lega? ziare con qualche argomento questa Quello che pare molto probabile, è che scelta). ormai, nessuna delle due componenti esi- Il valore culturale, dicevo. I manufatti artigianali ne abbondano, eccome. In archeosta senza l’altra. logia, il vasellame e i monili dicono molto SIA GLI ARTIGIANI CHE GLI ARTISTI sulle civiltà che furono e che non sono più. Il valore culturale dei monili è anacronistico PRODUCONO MERCI In definitiva, l’arte è una merce (con buona (rimanda a un mondo che non c’è più), oppace dei moralisti che ancora riescono a pure postumo (verrà colto da un mondo storcere in naso). Non è necessario, in- che sarà). Il valore culturale attuale, invece, vece, marcare che un’opera d’artigianato è intrecciato con il valore sociale (lo status) sia una merce. Gli oggetti artigianali sono e con la moda. (Non sto schivando il valore


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lettera aperta a Roberta Risolo

Ad illustrare il bracciale Aureo

culturale dell’arte. Qui, il valore è (in modo più marcato) il frutto di una negoziazione, di un accordo (senza bisogno che le parti si siedano attorno a un tavolo). Il valore culturale dell’arte non vola alto. È (l’ho già detto) intriso degli inchiostri indelebili del sociale (marca un livello di classe sociale) e del gioco d’azzardo (l’investimento economico). E anche della moda. I valori culturali dell’arte e dell’artigianato sembrano avere gli stessi ingredienti. Tuttavia, i profumi, i sapori, le proprietà organolettiche, il gusto infine, nei due casi non sono gli stessi.

GUARDO DA VICINO I TUOI GIOIELLI Nelle tue realizzazioni utilizzi qualche volta materiali di scarto. Nella serie One e One and colours (anelli) usi i piantoni (di ottone), scarti della lavorazione orafa industriale. Nella serie Ulivo (anelli, collana e orecchini) usi gli scarti (di legno d’ulivo) della falegnameria. Più che il recupero dei materiali (destinati alla discarica), qui sottolineo l’artigianato che viene dall’artigianato (l’artigianato di secondo grado). Gli scarti, di metallo e di legno, subiscono una nuova (seconda) lavorazione. I monili, qui, mostrano anche il grado zero dei materiali poveri usati (i piantoni di ottone e il legno d’ulivo). In Chiave (collana) riproduci un particolare (un raggio) del Rosone della Cattedrale di Otranto. In Torre del Serpe (collana), miniaturizzi la torre omonima (simbolo di Otranto) col metallo (con scelta felice: con le linee di un disegno e non con un solido pieno), nel quale hai incastonato una minuscola pietra leccese; attorno alla torre si stringe un serpente. In Adamo ed Eva (orecchini), riproduci gli attori del peccato originario (dal mosaico della Cattedrale di Otranto). In Castello di Otranto (collana), il castello è ridotto alla sua pianta. E poi: Riccio di mare (fedine, bracciale, collana). Alga (orecchini). Stella di mare (spilla).

L’elenco continua, ma mi fermo.

GIOIELLI D’ARTISTA Quello che ho elencato fa emergere alcune caratteristiche degne di rilievo dei tuoi lavori. L’omaggio alla tua terra, una celebrazione del retaggio di cui (come essere umano prima che come artigiana) ti sei imbevuta. Un inchino alla tradizione. Una dichiarazione di poetica più che un atto di fiero campanilismo. Una lode senza strepito, attuata con riproduzioni artigianali che utilizzano la citazione (un particolare dell’originale reale) e il frammento (la pietra leccese minuscola, per esempio). La citazione e il frammento, entrambi sono dispositivi retorici ampiamenti utilizzati nell’arte contemporanea. La tua sapienza artigianale, perciò, è anche impregnata dell’arte dei nostri giorni.

PEZZI UNICI E SCULTURE Il lato artistico del tuo lavoro si esalta in alcuni dei tuoi pezzi unici e sculture. Box surprise (collana), per esempio. Vale la pena elencare i materiali utilizzati: ottone, acciaio, legno d’ulivo, pietra leccese, sughero, perle naturali, zirconi neri, smalto, cordino in cotone cerato. Un cubo chiuso appeso, che può diventare un cubo aperto appeso (una sorta di croce). Ogni faccia è un campo di materiali e soluzioni realizzative differenti. Il passaggio da una forma all’altra sprigiona una valenza allegorica. Aureo (bracciale), per esempio. Oltre ai materiali (ottone con bagno oro e rutenio, pietra leccese, legno d’ulivo, smalto, foglia d’oro, resina, tormalina carrè, tanzanite cabochon, magneti), elenco le lavorazioni: satinatura a bulino, mosaico polimaterico, smalto, incastonatura e inserti in foglia d’oro e resina. Il bracciale è formato da cinque cornici, che raccontano (per citazioni o frammenti) un periodo stilistico di Klimt. Le citazioni rimandano a Giuditta 1,

a Il Bacio, a Le tre età della donna, e a Giuditta 2. In Aureo convivono un pezzo di storia dell’arte e una summa di tecniche e soluzioni artigianali. Aureo celebra il matrimonio tra l’arte e l’artigianato. Silkworm (anello), per esempio. I materiali: ottone anticato, seta. Un anello insolito che riproduce, con la seta incastonata tra i rami di ottone, i bozzoli veri tra i rami di legno. Silkworm è un esempio di arte didascalica (l’arte nel piano del significato letterale). E ancora, la collana Queen Mary (ispirata a Maria d’Enghien e alla Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina); e tra le sculture (sorvolo, meriterebbero un discorso a parte) L’albero della vita (ispirato al mosaico della Cattedrale di Otranto) e la Seconda età del ferro.

Roberta, definisci le tue realizzazioni Gioielli d’artista. In questo modo, non dichiari che i monili che tu fai siano opere d’arte. Metti piuttosto l’accento sulla qualità del tuo lavoro. Una grande passione, che hai raccontato ai visitatori della mostra e anche a me, ti ha portato a raggiungere una qualità realizzativa altissima. A me è sembrato di cogliere, in alcuni dei tuoi gioielli, un potenziale metaforico non pienamente espresso. (La mia impressione, però è quella di un uomo che ha visto più opere d’arte che gioielli.) Che la fiamma della tua passione rimanga sempre viva.

Roberta Risolo progetta e realizza gioielli. Dopo il diploma in “Arte dei metalli e dell’oreficeria” si sposta a Vicenza, dove frequenta corsi di specializzazione e lavora per prestigiose aziende del settore. Dopo un’esperienza poco più che decennale, torna nel Salento, dove continua la sua attività.


Who is Who

spagine

H

La fotografia di Stefano Cacciatore da H24 FabriKa

24 FabriKa, ha ospitato, domenica 10 maggio, nell'ambito della rassegna Special Guest, “Who Is Who” mostra fotografica di Stefano Cacciatore. * * * La dialettica iconografica in cui Stefano Cacciatore struttura l'identità oggetto - soggetto denuncia l'assoluto annientamento della coscienza dell'individuo destinato ad un silenzio interiore voluto dalla brutalità socio - economico - politica contemporanea; da questa predestinato ad un fallimento di Kafkiana memoria. In questo contesto persino incapace di comprendere l'evidente radicalismo eretico della propria condizione umana manipolata per errore o intenzionalmente da informazioni, notizie e governi sino al punto di asservire io, coscienza e identità, in un paradigma esistenziale che ci vede testimoni assenti dal duplice volto di osservatori costantemente osservati, per dirla con un ossimoro attenti osservatori ciechi.

I soggetti recano una ferita talmente profonda da dover essere celata da bende dalle quali talvolta traspare ciò che resta dell'identità, semplice “carne” il cui bianco marmoreo si confonde con il colore delle garze che lo ricoprono, metafora di una manipolazione costrittiva e di un indottrinamento omologante.

Quello di Cacciatore è un profondo sguardo critico sul “volto” di-svelato di una società che ci vuole simili a “macchine inutili”, dominata secondo l'artista da un vuoto culturale mirato all'appiattimento delle coscienze attraverso la creazione di abitudini che hanno come fine quelo appunto di renderci simile a “macchine” incapaci di autodeterminarsi.

ciatore è quello a varcare la soglia, quello di andare oltre i limiti imposti, un invito struggente al recupero della propria identità ed è per questo che non sfugge un particolare: Le mani dei soggetti fermati negli scatti dell'artista restano libere da costrizioni, quasi a non voler rendere vani i tentativi ad entrare in comunicazione con se stessi, una sorta di speranza etica nell'assunzione di responasabilità verso il proprio impegno esistenziale. * * * Stefano Cacciatore classe 1978 ha iniziato a fotografare con una vecchia reflex a pellicola, acquistata di seconda mano da un amico fotografo."Lei", andava sempre con lui, seguendolo ovunque, ovunque pronta a fermare paesaggi e volti. Da allora sono passati circa 10 anni, la sua “macchina” è cambiata ma l'abitudine di portarla sempre con se, quella no, Stefano non l'ha persa. Fondamentale nel suo percorso la scelta di vivere l'arte all'insegna di passione e confronto a tal proposito è importante citare il rapporto di amicizia e lavoro con un genio creativo della fotografia tra i più fecondi come Bruno Barillari con il quale è imprenscindibile il connubio tra impegno e furore creativo.Con l’umiltà che non l’ha mai abbandonato dunque Cacciatore resta fotografo dalle straordinarie abilità tecniche non disgiunte da corpo, anima e cuore che lo rendono a pieno titolo un esponente della fotografia tra i più interessanti. Come sosteneva Bresson “È un’illusione che le foto si facciano con la macchina…. si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa”. *  *  * H24 FabriKa, ha ospitato, domenica 10 maggio, nell'ambito della rassegna Special Guest, “Who Is Who” mostra fotografica di Stefano Cacciatore

H24 FabriKa è in Vico Dietro SpeWho is Who è un gioco di ruolo in dale Dei Pellegrini 29/a a Lecce cui ognuno è l'altro. L'invito di Cac-

di Rosanna Gesualdo


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fotografia


La nonna Marietta spagine

M

ia nonna si chiamava Maria Domenica Tagliente, detta Marietta che uno s’immagina una vecchietta minuta minuta, invece lei era mastodontica col suo metro e ottanta e il quarantadue di piedi, tenuti dentro scarpe rigorosamente maschili. Il tempo l’aveva incurvata e i suoi abbracci sembravano ancora più grandi per via delle braccia allungate dalla sua postura, che ogni volta che scrivo o leggo “un abbraccio grande” mi viene spontaneo il paragone. Le sue mani, anch’esse enormi, riuscivano a produrre orecchiette da fare imbarazzare i migliori pastifici industriali. Seduta alla sua postazione, preparato l’impasto a forma di cannone, sistemava il fazzoletto che di solito teneva annodato sotto il mento, a mo’ di bandana, come se si trasformasse in una piratessa, pronta a lanciare munizioni di pasta. A me toccava sistemare le orecchiette in fila, uno di quei lavori socialmente inutili che assegnavano ai bambini per tenerli buoni. Lei diceva il rosario e quando arrivava ai misteri gloriosi, gaudiosi o dolorosi (mi si perdoni se non li ricordo bene, è che spesso lei stessa li confondeva), ci chiedeva il giorno della settimana e in base a quello si recitava il genere corrispondente. Le litanie erano il pezzo forte, con quel fazzoletto a bandana, sembrava davvero una rapper a tirare giù tutti i santi, da Santa Maria Vergine delle Vergini a tutti quelli possibili e immaginabili. E noi in coro, a ritmo serrato, rispondevamo: “ORA PRO NOBIS!” Intanto le orecchiette raggiungevano il chilo abbondante che la pasta fresca, si sa, non cresce e se ne deve calare sempre un po’ di più, e noi, famiglia di sei persone più nonna, avevamo un appetito robusto. Nel pomeriggio, quando questo rituale prendeva inizio, bisognava anche fare i compiti e c’era sempre qualche coniugazione verbale da ripetere ad alta voce, al concludersi delle litanie, naturalmente. La nonna ci sentiva poco e quando si arrivava al passato remoto, succedeva che esclamasse: “Ih, Madonna meh du Carmine,‘u terremoto?!” (Ih, Madonna mia del Carmine, il terremoto?!”). Avevamo già passato quella brutta esperienza nel 1980, e lei era rimasta così scossa che era solita fissare i lampadari o fermarsi un istante, sorpresa dal tavolo spinto dai nostri calci, dati sottobanco all’ora di pranzo. La mamma la ricordo sempre indaffarata tra le stoviglie e il bucato che stendeva puntualmente in ordine di grandezza, con le lenzuola sull’ultima corda, a coprire i fatti nostri, mu-

di Milena Galeoto

tande e mutandoni (della nonna) inclusi. Era così affaccendata che nel pieno di una sindrome d’abbandono, andavo a nascondermi dietro qualche tenda o nell’anfratto tra l’armadio e la finestra della stanza da letto dei miei, dove era riposta la lucidatrice, insomma, in un luogo segreto perché qualcuno mi desse adenza (attenzione). Ricordo quelle lunghe attese durante le quali fantasticavo sulla disperazione della mamma alla ricerca della sua bambina, di un fratello che si domandasse che fine avessi fatto o della nonna che dicesse presto: “ e a piccenne?” (“e la bambina?”). Niente di tutto questo, potevo restare lì un’ora di fila e, così, uscivo furiosa, arrabbiata, in lacrime, con mia madre che tirava uno scappellotto al primo che le capitava sotto tiro, convinta che uno dei miei fratelli mi avesse fatto piangere, ignara che fosse proprio lei il mio dramma, compresi i suoi figli e sua madre. Tra fratelli, spesso, ci si azzuffava per questioni di proprietà, sul mio, tuo, suo, facendo un’enorme fatica a pronunciare nostro. In quegli interminabili pomeriggi domestici tra bambole decapitate, quaderni presi in ostaggio con la minaccia di essere strappati se si veniva meno alle regole della santa fratellanza, pantofole che volavano, tutto doveva svolgersi nel soggiorno che la cucina era occupata dalle messe gastronomiche della nonna, le stanze da letto con i letti rifatti, neanche a parlarne! E il salone, che ancora fatico a nominare, era la stanza chiusa, sigillata, che si apriva solo per essere spolverata, gingillo dopo gingillo, cristallo dopo cristallo. Un altro lavoro socialmente inutile che toccava a me farlo, chissà, forse era anche un modo, un accordo per dire che in fondo esistevo anch’io? Un’altra occasione di apertura era quando alla nonna, durante la Quaresima, veniva in mente di farci celebrare la processione della Via Crucis in casa, con tutte le postazioni organizzate e noi quattro in fila, dietro di lei a intonare: “Santa Madre che voi fate che le piaghe del Signore, siano impresse nel mio cuore...” Non è poi così difficile, oggi, immaginare il motivo del mio ateismo. Comunque, temevo quella stanza, intorno alla quale ormai aleggiava una leggenda, si diceva che fosse posseduta dallo zio Mimino, mai conosciuto, mai trovato durante le mie ricerche sul nostro albero genealogico, sicuramente modello ulivo di Puglia. Si vociferava pure che tale parente immaginario fosse irascibile. Poi ci si chiede pure il perché le persone da grandi vadano in analisi, io è da un po’ che ci penso, mi frena solo il fatto che vivendo in un altro paese, tra i misterunderstandings e i modi di dire delle differenti culture, va a finire che mi diagnosticano chissà quale delirio, per carità, lasciamo perdere. La nonna, invece, appena mettevo la mano sulla maniglia


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racconto

della stanza innominata, se ne usciva fuori con la storia del Mamone, dell’Uomo Nero che immaginavo con i suoi tentacoli di ombra, afferrarmi i piedini mentre attraversavo il vano. Che spavento! Lo stesso che sentivo quando la nonna circolava di notte con la sua vestaglia azzurrina e i capelli liberati dalla crocchia, bianchi e lunghissimi. All’epoca in tv era famosa la serie animata dei morti viventi che s’intitolava Bem il mostro umano e mio fratello, il terzo prima di me, si era fissato che la nonna di notte si trasformasse in Bera, il personaggio femminile di questo trio terrificante. Considerata la sua statura, era abbastanza inquietante vederla rimboccare le coperte del letto a castello senza scomporsi. Io l’aspettavo con le lenzuola già ben alzate fin sopra la testa, possibilmente. La sua ninna nanna la ricordo ancora, ci scuoteva afferrandoci da una spalla o da un arto che si trovava sotto mano, intonando un unico “OH” ipnotico che con il movimento del suo braccio faceva vibrare, come la nenia di un pastore nordafricano. Mia nonna era contadina, aveva lavorato la terra, era una donna pratica lei, mica di quelle che ti leggono le storie, al massimo ti raccontava della Guerra, di come sua madre eroicamente riuscisse a sfamare la sua mole di figli, del cane Gaetano che seguiva il nonno Pietro, all’ombra della sua carrozza. Del primogenito, chiamato Umberto, che era un onore dare al proprio figlio il nome del Sovrano. Della zia Grazia, la bambina-balilla modello e di mia madre che chiamavano la signa (serpe) per via della sua magrezza e dei suoi occhi spiritati. Di Gesù e delle spine che gli avrei messo se mi fossi

comportata male, della medaglietta miracolosa della Madonna di Lourdes che ancora conservo insieme al crocefisso di bronzo, con il volto e i piedi di Cristo consumati dai suoi baci. C’era sempre un gran da fare a casa mia che i bambini sono anime vivaci, è difficile tenerli fermi ma non per mia nonna, lei era esperta a sedarci con la sua P’ddiche, una specie di Panfocaccia, così indigesto che dopo averlo mangiato, era necessario stendersi. Dopo l’ultimo boccone era facile ritrovarsi a pancia all’aria, a fissare il soffitto con gli occhi spalancati, sbadigliando in preda alla dispepsia. In quelle occasioni, quando mio padre smontava dal turno della mattina (così si dice nel gergo operaio), dall’Italsider, e sentivamo la chiave infilarsi nella serratura, in pieno coma epatico, non riuscivamo neanche a salutarlo. Lui entrava e diceva: “Melì?” (Melina, Carmelina, mia madre) “Ehi, Tonì, sei arrivato?” “E l’ piccinne? Non le stoche a sent’. (“E i bambini? Non li sto sentendo.”) “E nu ringrazie u’ ciel’?!” (“E non ringrazi il cielo?!”). Rispondeva esausta, mia madre.

In tutto questo, mia nonna, nella penombra della stanza, si sentiva fiera di tutta quella pace e continuava a benedirci con le sue preghiere durante la nostra momentanea morte apparente, in attesa della Resurrezione.


Lecce cittĂ della lettura dal 21 maggio al 2 giugno Festival per il non lettore e per il lettore inconsapevole

"Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere."

[Gustave Flaubert, Lettera a Mille de Chantepie, 1857]


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la città della lettura

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La biblioteca braille

a sezione provinciale dell’UIC di Lecce, in collaborazione con l’Istituto per ciechi Anna Antonacci, partecipa all’iniziativa culturale “La città della lettura” a Lecce dal 21 maggio al 2 giugno nella piazza principale della città. * * * Era l’inizio del secolo breve, quando nella nostra città, per la lodevole iniziativa di una non vedente: Anna Antonacci nasceva una delle eccellenze sociali come fu l’Istituto per ciechi Anna Antonacci. L’iniziativa dell’Antonacci nacque per accogliere dalla strada i poveri ciechi, ma fu voluto soprattutto per la loro istruzione. L’Istituto dei ciechi Anna Antonacci vinse la difficile prova dell’istruzione e i ciechi infatti si affermarono negli studi riuscendo anche ad arrivare alla laurea. Lo studio fatto con grande fatica, il rapporto forte e convinto con la cultura fecero cadere le alte mura dell’emarginazione sociale ed i ciechi cominciarono a scrivere la bella pagina dell’integrazione e quindi del loro contributo alla società, come lavoratori e come professionisti. Questa primavera sociale avveniva dentro le mura di Palazzo Giaconia uno degli edifici architettonici più importanti della nostra città. La sua facciata, ora in stato di abbandono consumata dal tempo e sgretolata dall’azione dei venti, ha perso quel senso di equilibrio fatto di luce e volumi geometrici; quella facciata che si faceva percepire severa e sollecitava lo spirito di prova nella cultura e portava a quella esperienza dei ciechi in cui la cultura è la luce che vince e spezza le catene del buio. I ciechi attraversavano il portone delle severe mura con questo spirito d’animo e nella disciplina delle mura trovavano la forza della loro vittoria in una vita di sacrificio e di lontananza dalle famiglie. Una delle sale dell’Istituto, già dal 1921, era destinata a biblioteca. È così che oggi la Biblioteca braille dell’Antonacci ha raggiunto e conserva un patrimonio li-

brario di oltre 3600 volumi. Sono libri speciali sia per i loro anni, alcuni volumi infatti sono datati 1936; sono esclusivi sia per i contenuti: negli scaffali infatti ci sono la collezione delle principali opere liriche in braille e sono presenti anche le opere di musica classica, accanto ai quali i libri della letteratura italiana dalla commedia di Dante Alighieri al Canzoniere di Petrarca, dalle poesie di Leopardi alle opere di D’Annunzio. Questi libri sono un vanto e una esclusività della nostra biblioteca speciale della città di Lecce. La presenza di queste opere sono lì a rappresentare lo studio dei ciechi nell’arte della musica ed il successo artistico riconosciuto dalla attività nei grandi teatri con la loro partecipazione ai concerti. Ci sono poi volumi scritti manualmente, con il punteruolo. Questi volumi rappresentano la fatica ed il credo dei ciechi nella cultura intesa come arma efficace per il riscatto sociale e la vittoria contro la disabilità più grave come è quella della cecità. La cecità non era percepita solo come mancanza o insufficienza di un organo perché era vista come punizione nella tradizione dagli dei come castigo del diavolo ed infine come gioco velenoso del destino infame. La biblioteca è stata la palestra della mente buona per allenare la mente a superare le difficoltà dello studio di non vedenti così quella percezione amara e diffusa della cecità tutta negativa è stata superata grazie allo studio e a quel rapporto profondo con i libri. La Biblioteca braille dell’Istituto Anna Antonacci è particolare ed è diversa dalle altre biblioteche: è particolare per il profumo dei libri alloggiati negli scaffali e per la loro forma. La carta usata per la scrittura braille deve essere di prima qualità e ricca di cellulosa. Le pagine dei libri sono senza inchiostro: il bianco della pagina è percepito dall’occhio animato dai puntini che formano le parole. Il bianco ed il gioco della luce dei puntini nella pagina risulta irrazionale incomprensibile allo sguardo degli occhi. Ma quei puntini, quasi per magia, si trasfor-

di Luigi Mangia*

mano diventano righe di parole sotto le mani esperte del non vedente questa è l’esclusività e la novità dell’alfabeto braille della lettura con le mani inventato da Louis Braille. Il rapporto del cieco con il libro è diverso rispetto a quello del normodotato. Il soggetto privo della vista infatti ha un rapporto con il libro diretto ed orizzontale. Il libro ed il corpo sono uniti attraverso il tatto il libro entra nel corpo e le parole nei puntini sotto le mani diventano significati il libro e il corpo sono l’esercizio della mente; quest’ultima trova nel corpo lo specchio dove le parole si rappresentano quindi le riconosce nei loro significati. Per i non vedenti le parole sono contatto, vita del corpo, esperienza dell’Io, sapore dell’intelligenza, strada della conoscenza. La Biblioteca braille dell’Istituto Anna Antonacci è un museo di libri antichi ancora validi a mantenere viva quella primavera sociale nata nella nostra città con il diritto alla cultura che portò i ciechi dalla strada nella società per questo quei libri sono ancora utili a promuovere il futuro che vogliamo e a resistere e quindi a non perdere il diritto ad avere i libri e oggi libri accessibili. Oggi il diritto del libro, in particolare per i giovani ciechi inseriti nella scuola non è sempre garantito: i sindaci dicono infatti di non avere soldi per i libri dei non vedenti nella scuola. La Biblioteca braille nel corso della manifestazione “letture in città” potrà essere conosciuta attraverso visite guidate. Il 28/5/2015, negli spazi della Libreria Liberrima leggerò in braille, al buio versi del poeta Vittorio Bodini e Girolamo Comi per vivere le emozioni in piazza della lettura in braille. Infine per confermare la sensibilità e la cultura sociale dei leccesi verso la disabilità dei non vedenti in piazza esporremo libri in braille della Biblioteca Anna Antonacci. La manifestazione “letture in città” per noi deve essere una festa di cultura per promuovere il modello del libro accessibile. *responsabile Biblioteca braille Istituto A. Antonacci Lecce


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poesia

Si è tenuta a Maglie la quinta edizione del concorso dedicato a Marilena Agrosì

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Per vincere il silenzio

edici maggio a Maglie, quinta edizione del concorso “Il Senso della Vita, poesie per ricordare… Marilena Agrosì”. Ed è stato, come al solito, un viaggio tra bellezza e poesia. Hanno vinto Angela Galati, Beniamino Rizzo, Sofia Moscatello, Giorgia Dongiovanni, Valentina Tanieli, primi e secondi, ma a vincere è stata soprattutto la poesia. Voleva diventare farfalla e per questo spiccò il volo da una finestra; non aveva le ali o forse gliel’aveva rese pesanti il peso della vita; si trovò tra le nuvole e l’accolsero gli angeli; ma voleva anche essere pietra, di quelle lisce e lucide che sanno di gemma e piansero gli angeli su questo volo non riuscito e ogni loro lacrima fu una pietra e così Marilena è farfalla e pietra e papavero e verso di poesia, quello che si scrive per lei, quello che i ragazzi scrivono per lei, per la sua bellezza di donna, di farfalla, di pietra. Ché questa è scuola non solo buona, ma anche bella ed esiste un po’ dovunque; basta sapersi guardare attorno; Liceo Classico “F. Capece”, Istituto Professionale “E. Lanoce” ed è Maglie la loro sede; ma gli studenti che rispondono a richiamo di poesia sono figli di terra salentina e figli di terra salentina sono genitori, presidi e docenti che amano poesia e bellezza. E figli di terra salentina sono Lina Agrosì, e i

di Giuliana Coppola

componenti della sua famiglia che hanno scelto la via della bellezza poetica per ricordare. Ancora una volta la poesia vince silenzi, ancora una volta la bellezza vince paura e la bellezza per loro, per gli adolescenti, oggi è anche “un nuvola carica di pioggia”; è “l’acqua che picchietta su una tomba senza nome né data” e c’è una margherita a tenerle compagnia; è “il fiore appassito che ci intenerisce”; è “carezza su un cuore in subbuglio”, ma anche “un bacio sotto la pioggia” ed è “armonia invisibile che regola l’universo”. “Noi adolescenti che rendiamo la vita un po’ pazza” questi adolescenti sono la bellezza che è per loro, sorriso, carezza, allegria, miracolo e stupore, gioia di esistere e di cercarsi, in tanti quante sono le stelle, col desiderio di sentirsi uniti e vicini contro tutte le guerre, perché solo così tutti insieme possono vincersi le guerre. E gli adulti? Gli adulti in silenzio ascoltano voci di adolescenti che si trasformano in musica e canti e la vita è bella sussurrata da un violino ed è meraviglioso il ritrovarsi insieme a ripetersi che esiste, esistono questi momenti nell’aula magna d’una scuola. Un’ala di farfalla, il peso di gemma d’una pietra, il rosso d’un papavero; ancora una volta è Marilena Agrosì a reggere le fila della storia.


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poesia

“E l’alba” di Marcello Buttazzo, Manni

Pizzicare il culo alla Luna

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arcello fa, mi ha fatto dedica in occasioni, collana a cura di Anna Grazia D’Oria (Manni Editore), con e in un inchiostro di penna dell’intramontabile Bic: per: “…una primavera di sole e d’amore. Con affetto...”. Avviene in una mattina di maggio e a chi importa qui segnare data e ora in un perché. Marcello fa domanda con quel suo faccione pulito e sincero, chiede nel breve,così com’è scritto nel titolo della sua ultima raccolta poetica, che ho fra le mani. Marcello “È” nel ventre di una donna gentile per una congiunzione e in un’immagine di sostantivo, “È” nell’orma del suo passo, di un sapere ch’È vera congiunzione e non l’essere il verbo di uno scontato, di un poi certo per una qualsiasi “alba”. “È” dell’immedesimato. Unicamente nel certo che v’è qualcosa che si deve far conoscere o che ha già detto e ne insegue una domanda alla quale,devo, deve rispondere o, nel mai indugiare, devo rispondere o far rispondere ad una sua lasciata sospensione. Marcello sa che, da una congiunzione, l’attendersi è in una lettura e che occorre quindi aver letto per saperne di più, sa anche del suo sé ch’è il medesimo e il provvisoriamente di una o più pagine di quell’interrogato. Poesia dunque in una congiunzione e non in un interrogativo. Poesia dunque in un seguito da trovare in sessantotto pagine. M’attrae quel: “al piccolo Federico”.Tralascio solo momentaneamente la dedica è dell’esergo di tal Saturnino Primavera che ne voglio capire la scelta e la trovo

di Francesco Pasca

nella volontà dell’autore nell’accogliere e raccogliere l’utile in una riformulazione per il suo registro linguistico,sebbene distante e nel diverso. Per me quell’esergo diviene solo spazio per affiancarsi ad una voluta sospensione benché sia esso dovuto per rendere omaggio o per farne parafrasi di partenza o per affini proprietà lessicali e semantiche o per dare l’esatta comprensione del suo testo. Questa l’impressione. Ma è solo curiosità eccessiva. Buttazzo è meglio goderlo nei suoi particolari senza troppi rimandi pseudo letterari tipici di ogni colto rimando. Comunque, di ogni esergo, so ch’è il conoscere, ch’è l’altrettanto rimanerne “fuori”, sebbene essenziale per il verso (dorso) della moneta da donare. È lo spazio dovuto per una raccolta fra “…ho donato…” e “…ogni giorno…”. L’esergo utilizzato, quindi,s’adegua proprio com’è per il titolo,per “l’agil opra” dell’autore, in un domandare di alba. L’amico Poeta dona quindi la sua moneta nelle due volte il cinque (con due mani si dona e si ac(coglie) e non s’impiccia se chi riceve sappia quel ch’è poesia o s’è d’obbligo sapere di poesia. Marcello sa il perché si dona, conosce anche l’uso circolante della moneta. Si sa, l’amico dona nel significato più puro del suo termine. L’amico sa ch’è moneta d’icore marezzato, imprigionato, impaziente, vita grama, giorno per alba da incontrare e alba da accogliere e raccontare in soste di versi fra il presente, il passato ch’è remoto e il suo imperfetto ch’è silloge, mai futuro. Accogliere poesie, affiancarle in un successivo indice non vuol dire correre sino alla fine di una pagina, di una sfrangiata

Ad illistrare un’Amalassunta di Osvaldo Licini

malinconia. Mi pare di ascoltarlo ed io a condividerlo: Leggo poesia per far sostare il mio tempo. Allungo all’infinito le frasi in una lettura da e nel suo contrarsi. Azzero ogni ansia anche in un numero esiguo di versi. Rileggo l’esiguo e lo espando. Scelgo il filo su cui appendere ad asciugare, poi, le mie parole da scrivere. Per questo motivo ho scelto il da leggere. Ho scelto di leggere e a caso: Lento scende… ascolto il verso …sui nostri corpi bagnati, / fradici di tempeste/ e calcolati oblii … Quel che resta del giorno. La poesia in scrittura è in barba ad ogni imperativo. Per un anziano del leggere come me è dare il pizzicotto sul culo di una signora e, poi, il venirne schiaffeggiato. Ne divento l’ignaro smarrito dell’improvviso che avanza e che trasforma la sua signora in una donna cortese ch’è divenuta Luna. Ritrovo in Marcello il piacere del pizzicotto alla Luna. Il tempo come descritto da Marcello: stagna ogni patimento / rinserrato in una cicatrice / di scorza dura. Ora è tempo di ritrovarsi in inganni di bambina memoria. Ora c’è quella memoria ed è il piccolo Federico che attende e con(giunge) il tempo del ritrovarsi nella metafora di Marcello. Nella scrittura il lettore è protagonista assoluto. I versi del poeta Buttazzo, in amicizia Marcello, divengono, si riaffacciano e fagocitano i boccioli assunti nell’irto e per essere gli arguti occhi del bimbo. Le infinite parole saranno i suoni per la sua poesia e per sbocchi di nuovo amore: nel grembo della notte amica. E l’alba? Sarà una nuova silloge, l’attesa.


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luoghi

La cosa sociale

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all’Albania, un piccolo ma esemplare insegnamento. Qualche tempo fa, mi è capitato di assistere a un bel reportage della RAI dedicato all’ Albania. Un servizio assai vivo e interessante, giacché fedele e puntuale ripercorso della storia della piccola nazione, intessuta, come è noto, di tante e varie traversie sino alle oceaniche, e a volte tragiche, fughe di suoi abitanti disperati attraverso il Canale d’Otranto verso l’Italia, lungo gli anni novanta. Fortunatamente, ormai da un pezzo, lo Stato che s’affaccia sull’altra sponda del Canale d’Otranto è andato man mano calandosi nella più accettabile realtà attuale, che, sia pure fra contrasti e difficoltà, sembra pian piano indirizzarsi verso standing di vita di modello europeo, pur partendo, è ovvio, da livelli inevitabilmente bassi. In particolare, sono rimasto colpito dalla gran differenza fra la popolazione di età

media, o avanzata, e i giovani, questi ultimi decisamente “simili” ai nostri ragazzi. Sullo sfondo di fasce generazionali marcianti con immagini e a ritmi difformi, ho visto delinearsi, in tutta la sua smagliante bellezza e forza attrattiva, l’ambiente naturale del Paese delle Aquile, ricco di montagne verdeggianti e innevate e di spiagge incontaminate, con fondali pescosi. Non c’è che dire, anche siffatto, spettacolare habitat stimola a credere in un futuro migliore per i nostri dirimpettai. A un certo punto, la scansione delle sequenze sul piccolo schermo mi ha letteralmente lasciato il segno dentro. E’ successo quando il giornalista ha porto il microfono a un anziano di un piccolo villaggio del nord, nei pressi di Scutari e l’uomo, con la sua bella figura dalla chioma bianca e dal viso sereno e disteso, ha pacatamente confessato all’intervistatore di aver sempre lavorato attraverso la gestione di un piccolo molino alimentato da un torrente, riuscendo, con i relativi proventi, a mantenere la famiglia e a dare un futuro ai figli.

di Rocco Boccadamo

Verso il finale delle confidenze, per via di una semplice frase, il suo racconto è diventato addirittura ammaestramento: “attualmente il molino non mi costa niente e io non ritengo di trarne profitto e arricchimento a scapito dei miei compaesani: perciò, lo tengo semplicemente e gratuitamente a loro disposizione”. Non c’è che dire, un modello di gestione aziendale, da parte di uno che ha faticato duramente, da definirsi certamente esemplare. Personalmente, mi è venuto spontaneo di collegarlo ai tre forni a legna per cuocere il pane fatto in casa che, nel corso di generazioni, sono stati funzionanti nella mia piccola località natia e ora, purtroppo, sono soltanto un lontano ricordo: quanto sarebbe bello vederli riaprire, con libertà di utilizzo per ogni famiglia, così come avviene per il molino del nord Albania! Semplici note su una minuscola realtà e, tuttavia, stimolo positivo per guardare vie più con occhi diversi alla gente che vive al di là di un braccio di mare.


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in agenda - libri

Nonno Rocco alla guerra

Giovedì 21 maggio, a Monteroni, alle 18.00 il Laboratorio Urbano in Via Lopez y Royo, nell'ambito della rassegna culturale "Incontri d'autore", organizzata dalla Biblioteca Comunale in collaborazione con l'Associazione Culturale Hopera e Pro Loco Monteroni, ospiterà la presentazione di "Guerra, fichi e balli. Salùtëmë tuttë e tu sonë sëmbë!", progetto del fisarmonicista salentino Rocco Nigro, edito da Kurumuny. L'autore dialoghera con Paola Bisconti, giornalista e autrice del blog "Anam"su Linkiesta.

un’antica sapienza musicale, trovando in lui il suo «primo pubblico. Attento, sensibile, pieno di aspettative». Il commento al disco è affidato al musicista Massimiliano Morabito, che sottolinea come l’opera – in controtendenza rispetto alla prospettiva “pizzicacentrica” in voga in tanta parte della riproposta della musica popolare salentina – miri a recuperare e valorizzare gli ampi repertori musicali dei suonatori locali tradizionali: dal repertorio agropastorale a quello “alla barbiere”, passando per le serenate e le quadriglie, dalle danze del secolo XIX e di inizio Novecento (mazurche, polche, scottish, valuerra, fichi e balli è il lavoro del musicista zer, tanghi, foxtrot) per arrivare alle fantasie delle opere liriche. dedicato a suo nonno Rocco, arricchito Protagonista indiscussa, la fisarmonica. dalle illustrazioni di Marco Cito e da un disco (allegato al volume) con vecchie me- Rocco Nigro, fisarmonicista e compositore, partendo dalla tralodie di brani ballabili, alcune rivisitate altre dizione del sud Italia, ha esplorato i territori musicali del tango, eseguite in chiave tradizionale. Si dipana della musica balcanica, klezmer e sefardita, arrivando, nella tra ricordi d’infanzia e racconti di guerra, dolcezze di fichi ma- sua costante ricerca, fino alla musica contemporanea. ritati e vecchie melodie di ballabili, memoria storica e ricerca È impegnato in attività didattiche in istituti privati nelle province musicale. Le diverse voci narranti si alternano nel raccontare di Lecce, Brindisi e Taranto. una storia di vita e d‘amore che abbraccia tre generazioni. Ha composto varie musiche per film e cortometraggi, vanta Nella prima parte del libretto – grazie alla trascrizione delle re- una cinquantina di partecipazioni discografiche e numerose gistrazioni dei suoi racconti – è nonno Rocco, classe 1920, a esibizioni in festival internazionali. narrare in prima persona di come la pagina più tragica della Tra le collaborazioni si contano quelle con Vinicio Capossela, storia del Novecento, la guerra, fece irruzione nella sua vita Cirque du soleil, Orchestra ICO Lecce, Nigunim I tal yà e Teasemplice di contadino figlio di contadini, primogenito di una fa- tro naturale di Renato Grilli, Opa cupa, Giro di Banda, Taranmiglia numerosa, ai tempi in cui il piccolo comune di San Mi- tavirus e Zina di Cesare Dell'Anna, Antonio Castrignanò, Redi Hasa, Valerio Daniele, Maria Mazzotta, Dario Muci, Giancarlo chele Salentino si chiamava ancora Masserìa Novë. Nella seconda parte, invece, articolata in sette momenti, il rac- Paglialunga, i fratelli Rocco e Gianni De Santis, Nabil Salameh conto intimista e commosso di Rocco Jr. tratteggia il ritratto del (Radiodervish), Enza Pagliara, Anna Cinzia Villani, Wilma Venonno di cui porta il nome e che gli donò, per il decimo com- druccio, Skaddia. Attualmente disegna e realizza produzioni pleanno, la sua prima fisarmonica. Nipote prediletto e ragazzo musicali con Rachele Andrioli (Malìe, Dodicilune), Francesco prodigio delle orchestrine che suonano vecchi ballabili nei lo- Massaro (Agàpi, DeSuonatori). cali il sabato sera, Rocco riceve dal nonno anche i germi di

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della domenica n°75 - 17 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda - fotografia

A Palazzo Vernazza fino al 22 maggio la fotografia documentaria di Rebecca Arnolds

Le foto in aiuto

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S’è inaugurata venerdì 15 maggio, negli spazi di palazzo Vernazza a Lecce, la mostra della fotografa newyorkese Rebecca Arnold che da anni viaggia per il mondo e dona il proprio lavoro alle comunità afflitte da guerre o calamità. La mostra realizzata dall’ass.culturale Calliope Comunicare Cultura e dalla galleria d’arte contemporanea Art and Ars Gallery rimarrà aperta al pubblico fino a venerdì 22 maggio. sitabile dalle 17 alle 20.

a photoretoucher per lo star system americano ed europeo ad ambasciatrice per la St. Luke’s Foundation di Haiti, gli scatti no-profit di Rebecca Arnold arrivano a Lecce per la rassegna dedicata alle donne del Comune di Lecce “Itinerario Rosa. Una rassegna che mira a valorizzare il ruolo sociale e culturale della donna attraverso una serie di iniziative di recupero delle principali espressioni artistiche, utilizzando contesti di grande pregio storico ed architettonico della città.

Nel lavoro fotografico di Rebecca Arnold la piena realizzazione del sogno di tantissime donne che vivono in ogni parte del mondo: donare il proprio lavoro, raggiungere una professionalità tale da poter essere regalata al mondo per farne un posto migliore. Con la sua agenzia, che si occupa ad altissimi livelli di post produzione fotografica, ha creato icone dello star system americano ed europeo. Milioni di persone hanno visto il suo lavoro in campagne pubblicitarie globali, copertine di album e riviste tra cui il famoso e gigantesco cartellone pubblicitario nella Times Square di New York. I suoi lavori sono stati pubblicati innumerevoli volte in riviste come Vanity Fair, Elle, Flaunt, Interview Magazine, Harper’s Bazaar Arabia, Allure ed alcune sue foto hanno avuto il riconoscimento delle riviste French e American Photo. Il lavoro di

Rebecca Arnold e una sua fotografia,  Giordania 2014

Rebecca è anche apparso in programmi tv come Oprah, Entertainment Tonight, Sex and the City e sulla copertina di una delle uscite più vendute della famosa rivista americana Us Magazine.

Rebecca Arnold ama documentare natura e cultura dei 40 paesi nel mondo che ha visitato. In questo momento sta trasformando la sua passione per la fotografia in una professionalità a disposizione delle organizzazioni no-profit che lavorano nei paesi in via di sviluppo. Racconta il loro duro lavoro attraverso foto che dona affinché vengano riutilizzate a scopo promozionale o per la ricerca di fondi. Ha collaborato con il Nobel per la Pace Muhammad Yunis della Grameen Foundation nell’Africa dell’est e, grazie all’aiuto della Fondazione Clinton e del Gruppo per la Filantropia Globale, Rebecca ha fotografato il lavoro del St. Luke’s Hospital di Haiti vincitore del premio Opus. Recentemente è stata in Brasile a documentare il lavoro di C.A.R.E. e di altre associazioni vincitrici di riconoscimenti importanti nel settore del volontariato. Il suo progetto è di dare alla sua fotografia documentaristica sulla natura e l’arte una direzione socialmente consapevole, rebeccaarnoldphotography.com. Rebecca vive a New York, lavora occasionalmente a Los Angeles e tiene conferenze per l’Istituto d’Arte di San Francisco. Negli ultimi anni, il suo interesse per la psicologia, le scienze della conoscenza e le cause umanitarie, Rebecca ha preso un diploma in life coaching, rebeccaarnoldcoaching.com. Tiene conferenze e lavora come mentore per associazioni no-profit che sostengono lo svantaggio e ha appena tenuto una conferenza presso la New York University. Ha un piccolo studio a New York e nel 2011 ha fondato la New York Coaches Network. Rebecca è nata da madre tedesca e padre americano e ha vissuto I suoi primi anni in Europa; questo ha creato in lei una naturale inclinazione a costruire il proprio lavoro attraverso le relazioni internazionali.


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della domenica n°75 - 17 maggio 2015 - anno 3 n.0

in agenda - arte contemèpranea

L’arte per la rinascita Dal 5 giugno al 27 settembre al Castello di Gallipoli le opere (site-specific) di Michelangelo Pistoletto l Castello di Gallipoli tornato alla pubblica fruizione al pubblico nell’estate 2014 dopo anni di chiusura e incuria, si prepara a ospitare Michelangelo Pistoletto, pittore e scultore, esponente della Pop Art, animatore e protagonista del movimento dell'Arte Povera, autore negli anni Sessanta e Settanta dei Quadri specchianti e degli Oggetti in meno, fondatore della Cittadellarte-Fondazione Pistoletto a Biella, luogo di interazione tra l’arte, l’educazione, l’industria e la società. Dal 5 giugno al 27 settembre, nelle sale e negli spazi esterni dell’antico maniero, sarà dunque possibile ammirare le opere di uno dei più vivaci e prolifici artisti internazionali. La mostra a cura di Manuela Gandini, è prodotta dall'agenzia di comunicazione Orione – che gestisce il Castello con la direzione artistica dell'architetto Raffaela Zizzari - in sinergia con l'Amministrazione Comunale e il prezioso contributo del sindaco Francesco Errico. Pistoletto ha ideato per Gallipoli tre grandi installazioni site-specific, che stimoleranno simbolicamente lo spazio di relazione tra le persone e la storia, riconnettendo il passato al presente. Nella Piazza d’Armi vi sarà il Terzo Paradiso al cui centro verrà posto un grande ceppo di ulivo ultrasecolare dentro al quale germoglierà un ulivo neonato. L’opera è dedicata dal maestro al Salento come segno di "soluzione e rinascita" a fronte dell’epidemia batterica che colpi-

sce gli ulivi pugliesi. La Xylella e tutte le sue implicazioni saranno lette da Pistoletto attraverso le lente della "trasformazione e della guarigione". L'opera verrà realizzata in collaborazione con l'azienda Pimar, usando rigorosamente i pizzotti di pietra leccese, blocchi estratti direttamente dalla cava che, non subendo ulteriori cicli di lavorazione, valorizzeranno la natura materica dell'opera, rispettando una risorsa non rinnovabile come la pietra. Nella sala ennagonale sarà installato un labirinto di cartone, con al centro il tavolo specchiante LoveDifference, a forma di Mar Mediterraneo, circondato da

sedie provenienti dalle culture che si affacciano al Mare Nostrum. In un'altra sala espositiva vi saranno i Quadri Specchianti e il Segno Arte, frutto di sperimentazioni iniziate negli anni Sessanta, attraverso l'impiego di numerosi materiali e tecniche, con l'intento di coinvolgere attivamente lo spettatore nell’ opera. La mostra, pensata per Gallipoli, contiene evidenti valenze simboliche che riguardano la vita sociale nel suo più alto momento di crisi ed esprime contemporaneamente indica la via del dialogo – LoveDifference - e della rinascita – il Terzo Paradiso e il germoglio d’ulivo.

opo il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia, nel 2004 l'Università di Torino conferisce a Pistoletto la laurea honoris causa in Scienze Politiche. In tale occasione l'artista annuncia quella che costituisce la fase più recente del suo lavoro, denominata Terzo Paradiso. Il simbolo scaturisce da una riconfigurazione del segno matematico d’infinito. Tra i due cerchi opposti, assunti rispettivamente a significato di natura e artificio, viene inserito un cerchio centrale, a rappresentare il grembo generativo del Terzo Paradiso, ideale superamento dell’attuale conflitto tra natura e artificio. Il segno cen-

trale diviene l’auspicio urgente di una risoluzione nel quale armonizzare le due parti. Nel 2007 Pistoletto riceve a Gerusalemme il Wolf Foundation Prize in Arts, “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d'arte premonitrici che contribuiscono ad una nuova comprensione del mondo”. Nel dicembre 2012, capovolgendo la visione negativa della profezia Maya, si fa promotore del Rebirth-day, prima giornata universale della rinascita, facendo realizzare – attraverso una rete di Ambasciatori – il Terzo Paradiso contemporaneamente in oltre 70 paesi del mondo. I materiali utilizzati sono innumerevoli

e appartengono alla quotidianità: tappi di bottiglia, reti, torce, reperti storici, persone disabili, fiori, orti ecc. L’ubiquità del segno è possibile grazie alla crescente partecipazione di una rete di collaboratori, “ambasciatori del Terzo Paradiso”, e delle varie cittadinanze locali. Nel 2013, da aprile a settembre, è protagonista al Museo del Louvre di Parigi con la sua personale: Michelangelo Pistoletto, année un - le paradis sur terre. Nello stesso anno, l’artista riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura (il Nobel per l’arte) per mano del Principe Imperiare. L’artista è impegnato, sin dagli esordi, nell’elaborazione di un’arte socialmente attiva e dinamica.

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L’armonia è nel Terzo Paradiso


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A Lecce dal 2 al 5 luglio un festival ideato da Irene Scardia

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della domenica n°75 - 17 maggio 2015 - anno 3 n.0

rriva “Piano Piano”, il Festival che dal 2 al 5 luglio invaderà ville e giardini privati a Lecce e dintorni per un lungo weekend dedicato al pianoforte. L’idea nasce dall’esigenza di trovare nuove strategie culturali che consentano alla comunità di uscire dall’impasse attuale con la creazione di nuove connessioni e dialogo aperto fra organizzatori, musicisti, mecenate e pubblico. A tale scopo l’organizzazione ha predisposto una “chiamata alla partnership” per quanti vorranno offrire la propria casa o, in qualità di aziende, fornire servizi utili allo svolgimento del festival e un crowdfunding per il pubblico che avrà la possibilità prenotare l’accesso alle serate e sostenere attivamente il progetto con una donazione.

Il programma è curato dalla musicista Irene Scardia, ideatrice del progetto, e ospiterà artisti nazionali ed internazionali. Giovedì 2 luglio sul palco il compositore croato Matija Dedic ed Enrico Zanisi vincitore del premio Top Jazz 2009 e del Premio Siae 2014; Venerdì 3 il programma prosegue con il compositore salentino Roberto Esposito e Julian Oliver Mazzariello, noto al pubblico per la sua collaborazione con il trombettista Fabrizio Bosso. Sabato 4 ascolteremo il compositore Gianni Lenoci e la giovane Carolina Bubbico, recentemente balzata all’attenzione nazionale per il suo ruolo di direttrice d’orchestra e arrangiatrice al

Matija Dedic

Enrico Zanisi

in agenda - musica

Festival di Sanremo 2015; Infine domenica 5 triplo set con il susseguirsi delle performance di Maria Grazia Lioy, apprezzata interprete classica ed appassionata didatta e dei compositori Greg Burk e Giacomo Riggi Mazzone. Ogni serata ospiterà uno showcase per la sezione “Young Jazz” dedicata a giovani pianisti che saranno selezionati dalla direzione artistica. Maggiori informazioni e modalità di partecipazione sono disponibili sul sito www.workinproduzioni.it e sui social network del Festival e dell’etichetta. Per maggiori informazioni e per accedere alle serate è necessario accreditarsi scrivendo a pianopianofestival@gmail.com o telefonando al 329.4123339

Julian Oliver Mazzariello


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della domenica n°75 - 17 maggio 2015 - anno 3 n.0

l’appuntamento

Oggi è ogni giorno contro l’omofobia

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Un evento itinerante a cura di LeA - Liberamente e Apertamente

n immaginario filo arcobaleno che percorre la città per celebrare la bellezza della diversità: domenica 17 Maggio a Lecce, in occasione della giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, torna il #rainbowday, una grande festa fra musica live, estemporanee d'arte, buskers, giochi e proiezioni, organizzata da LeA Liberamente e Apertamente, associazione di volontariato che da due anni lavora sul territorio salentino per informare e sensibilizzare sulle tematiche LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali).

Il programma Il lungo programma della giornata si aprirà con la colazione rainbow al Parco dei Bambini (dalle 9.00 alle 10.00 presso viale Giovanni Paolo II), luogosimbolo per l’associazione LeA che qui si costituì due anni fa, a seguire il carro si sposterà in via S. Trinchese (angolo Istituto Galilei Costa, dalle 11.00 alle 13.00) per i rainbow games dedicati ai più piccoli e non solo: letture arcobaleno, spettacolo di burattini, giochi e performance per celebrare ogni forma d’amore. Nel pomeriggio appuntamento per la siesta al Parco di Belloluogo (dalle 15.00 alle 17.00) per rilassarsi all'ombra di un albero o di un coloratissimo ombrellone godendosi spettacoli di street artist, o prendere parte ai laboratori creativi tematici per poi fare tappa a Porta Rudiae (dalle 17.30 alle 19.30), dove assistere a performance e showcase. In serata tappa al “Barroccio” (dalle 20.00 alle 22.00) per l’aperitivo in musica con il dj set di Populous. A seguire il furgone arcobaleno raggiungerà la Masseria Ospitale (Sp Lecce Torre Chianca, dalle 21.30) per il party finale con le selezioni dei dj La Pupa, Fatina e Tobia Lamare che si alterneranno alla consolle fino a notte fonda.

Lo slogan di quest’anno recita "Everyday. #Rainbowday” a significare l’impegno quotidiano nel combattere contro ogni forma di violenza e discriminazione e rivendicare insieme diritti che per le persone LGBTQI, in Italia, ancora oggi mancano. Lo scorso anno, per la sua prima edizione, a fare da cornice all’evento è stata piazza Sant'Oronzo; quest'anno sarà itinerante, toccando vari luoghi della città. Il furgone vintage messo a disposizione dalla Masseria Ospitale si trasformerà in un carro rainbow e si muoverà in città per scandire i vari appuntamenti e dialo- Hanno aderito gare nella formula giocosa e creativa che #Rainbowday è un evento patrocinato dal Comune di Lecce e sostenuto da nucontraddistingue il #rainbowday.

merosi partner: Big Sur Lab, Agedo Lecce, I Move Puglia.tv, Mirodia, TT Events, MISC, Kiio Candles, Scie Urbane, Cdj Show, Culturista Bibliolab, Cantieri Teatrali Koreja, Radio Flo, Positivo Diretto, Principio Attivo Teatro, Culturambiente, Seyf, La camera dello sguardo, Factory Compagnia Transadriatica, Io Ci Provo, Fermenti Lattici, Kult, Made for Walking, Artelica, Attivarti, Librety, Enea, Io sono bellissima, Casa delle Donne, DNAdonna, Vita da Kretine, Pe(n)sa differente, Salomè, iProjectLab, Manifatture Knos, Salento LGBT Film Fest, Assay, Icaro Bookstore, Reflet Associazione Culturale, Link Lecce, Improvvisart, Los Guarimberos, Arcigay Salento “La Terra di Oz”, Arcigay Foggia “Le Bigotte”, Terra del Fuoco Mediterranea, EMS Ente Modelli Sostenibili, CulturAmbiente, Officine Culturali Ergot, Coolclub, Le’nticchie – catering etico, Lila Lecce, DifferenteMente, Fondo Verri, Mediacreative-stampa e grafica, Poiesis, Culturblog, Ladybugs-Coccinelle nel Pallone, Radio Wau, Damage Good, FantaSie, Progetto Cre.di., Lacussini. LeA - Liberamente e Apertamente è un'associazione di volontariato LGBTQ che ha come scopo quello di promuovere iniziative volte all'integrazione e alla visibilità di ogni persona gay, lesbica, bisessuale, transgender e queer.


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della domenica n°71 - 19 aprile 2015 - anno 3 n.0

in agenda - spettacolo

Giardini di Pietra

Sabato 30 maggio a Cursi - inizio della visita alle 18.30

Parole, musica e canti in cammino nel parco delle cave

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’è sempre un inizio nelle cose; nelle cose piccole e nelle cose grandi; nelle scelte dei singoli e in quelle che i singoli compiono pensando alla comunità. La memoria è virtù per chi sa custodirla e coltivarla: conserva atti, scritture, tracce, luoghi e se si torna indietro nel tempo questi si chiarificano ri-trovando nomi, parole e circostanze. II perché di scelte, di strategie, di ispirazioni capaci di anticipare, di sentire prima lo “spirito del tempo”. Cursi con il suo straordinario territorio è stata scena negli anni Novanta - con le iniziative poste in essere con “Territori di Pietra” - di accadimenti profondamente culturali, apripista e palestra di pratiche divenute via via consuete, nel Salento, usurate nell’inseguimento del “grande evento”, dello spettacolo fine a se stesso. Riflettendo su quella grande esperienza di valorizzazione territoriale l’Amministrazione Comunale di Cursi, propone per “OPENSALENTO Arti Suoni e Sapori del

Medio Salento”, con la direzione artistica del Fondo Verri e dello scultore Antonio De Luca e in partenariato con l’Ecomuseo della Pietra Leccese e l’Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce, “Visite ai Giardini di Pietra” una serata di parole, di musica e di canti in cammino nel parco delle cave per riscoprire il senso autentico di un approccio acustico con la “solennità” dei luoghi e con la loro intima drammaturgia.

“Fuoco Centrale”. Dalla piazza centrale di Cursi il cammino proseguirà lungo un itinerario in Zona Serpentane toccando i luoghi significativi dell’esperienza performativa che nel passato ha interessato l’area delle cave di pietra: la cava del teatro, la cava che ospitò il Teatro della Valdoca. Accompagneranno e incanteranno i visitatori le attrici-cantanti de “La cuspide malva” Manuela Mastria, Francesca Greco, Iula Marzulli, Adriana Polo; il poeta Giuseppe Semeraro; il musicista Il programma “Visite ai Giardini di Pietra. Parole, musica Roberto Gagliardi. e canti in cammino nel parco delle cave” prenderà il via alle 18:30, di sabato 30 mag- Si giungerà infine in una cava giardino gio da Palazzo De Donno, a Cursi in Piazza scelta per l’occasione (zona Serpentane) XII dove sarà proposta la visione in loop dei nella quale dalle 21:00 si terrà uno spettamateriali video girati nel 1996 nel corso della colo musicale e teatrale con la parteciparesidenza a Cursi del Teatro della Valdoca zione di tutti gli artisti intervenuti, tra cui gli di Cesena diretto da Cesare Ronconi che, attori-lettori Piero Rapanà, Simone con un grande gruppo di attori, i musicisti di Franco, Simone Giorgino, Ilaria Seclì; le Bevano Est e la Banda Rocati propose il attrici Alessandra De Luca e Silvia Lodi; i progetto itinerante "Ero bellissimo avevo le musicisti Marco Bartolo ed Admir Shkurali” e, in un memorabile allestimento nello taj; la cantante Enza Pagliara e il cantausprofondo di una grande cava, lo spettacolo tore Mino De Santis.


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