Spagine della domenica 50 0

Page 1

spagine

della domenica n°50 2 novembre 2014 anno 2 n.0

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Un numero del Circo El Grito in una fotografia di Andrea Podestà


L

spagine

’interrogatorio a cui è stato sottoposto – sottoposto, si fa per dire – il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, martedì, 28 ottobre, su alcuni aspetti della cosiddetta trattativa Stato-mafia della prima metà degli anni Novanta non era né utile né inutile, era semplicemente un passaggio processuale obbligato, a prescindere dagli esiti. E non si capisce perché c’è ancora gente in Italia, anche di un certo rango culturale, che sostiene che, trattandosi del Presidente della Repubblica, quell’interrogatorio non andava fatto. Se i giudici di Palermo ritenevano che Napolitano fosse persona informata dei fatti, dovevano interrogarlo su quei fatti. Cos’altro avrebbero potuto fare? Se, poi, si voleva solo evitare che Napolitano ricorresse ai “non so”, ai “non ricordo” come un comune mortale, è un altro discorso. I Presidenti della Repubblica non sono Pico della Mirandola, ma sono pur sempre persone come tante altre che, di fronte a domande la cui risposta è compromettente, si rifugiano nei “non so”, “non ricordo”. Tanto vale ancor più per un Presidente della Repubblica, la cui testimonianza coinvolge una tanto alta e importante istituzione. Napolitano doveva solo dire ai giudici cosa sapesse degli “indicibili accordi” di cui temeva di essere copertura il suo consigliere giuridico, poi morto di crepacuore, Loris D’Ambrosio, in riferimento ai fatti relativi all’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, all’epoca dei fatti Ministro degli Interni, e a tutta la compagnia dei presunti trattatisti. D’Ambrosio non si fece una chiacchierata con Napolitano, ma gli scrisse una lettera. Chiara la sua volontà di lasciare traccia delle sue preoccupazioni. Altrettanto chiaro il dovere di informare il suo referente diretto del piano criminoso messo in essere ai suoi danni. Napolitano ha risposto che quella lettera fu come un fulmine a ciel sereno, ma non diede seguito alle preoccupazioni del suo Consigliere né avvertì la necessità di chiedere delucidazioni e chiarimenti sugli “indicibili accordi”. Così, come se D’Ambrosio gli avesse chiesto se la pasta aglio e olio va meglio col peperoncino o senza. Fosse stato un altro, invece di essere il Presidente della Repubblica, i giudici si sarebbero comportati diversamente; forse gli avrebbero riservato il metodo Di Pietro, il famigerato “tu non potevi non sapere”. Ma, lasciamo stare. Sull’interrogatorio giudici-Napolitano qualche riflessione è necessaria, pur nel groviglio di nomi, di luoghi, di tempi e di circostanze, che rendono confusa l’intera vicenda. Nella sua essenzialità la questione si riduce a questo: agli inizi degli anni Novanta lo Stato usa le maniere forti con la mafia, incarcera diversi boss e li sottopone al regime carcerario duro del 41 bis; la mafia risponde da mafia, con altrettanta forza, e semina il Paese di stragi mentre ne minaccia altre ancora più gravi; a questo punto lo Stato si spaventa, cede

diario politico al ricatto, coi suoi servizi segreti tratta coi boss mafiosi liberi e intanto, coi suoi ministri di Giustizia e degli Interni, allenta le pene cui sono sottoposti i boss mafiosi in carcere. Il giudice Paolo Borsellino viene a sapere di questa trattativa, non ci sta – per usare le parole di Scalfaro, protagonista all’epoca – diventa un testimone pericoloso, va eliminato. E viene tolto di mezzo! Racconto molto semplice? Può darsi, ma di questo racconto sono vere le bombe e le stragi, sono veri gli allentamenti di pena ai mafiosi, è vera la morte di Borsellino. Ed è soprattutto vero che lo Stato cedette alla mafia. Non sono chiare le connessioni e le responsabilità di chi operò in quelle circostanze per determinare quei fatti. Se tanto accadde non fu a causa di un fenomeno atmosferico, ma per precise decisioni umane. Di fronte a simili gravissimi episodi criminosi non serve chiedersi perché lo Stato non si comportò allo stesso modo quando le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro. E’ una domanda inutile. Probabilmente se le Brigate Rosse avessero rapito qualche giorno dopo Moro anche un altro grosso esponente politico e avessero minacciato di rapirne altri ancora, magari accompagnando i rapimenti con qualche attentato sanguinoso o rovinoso, lo Stato avrebbe ceduto anche in quell’occasione. Ma le Brigate Rosse non erano Cosa Nostra, non avevano una strategia che lontanamente potesse paragonarsi a quella di Cosa Nostra. Si potrebbe anche dire che gli uomini che rappresentavano lo Stato democratico nel 1978 non erano “quelli” degli inizi degli anni Novanta. Dov’erano gli Andreotti, i Berlinguer, i La Malfa, gli Almirante? Ma questo è marginale: gli uomini, anche i politici, sono figli del loro tempo. Ma soprattutto è vero che in Italia Cosa Nostra è uno Stato nello Stato. Può trattare da pari a pari e mettere sul piatto della bilancia i suoi pesi. Da questo punto di vista la mafia ha vinto. La sua vittoria non consiste nell’aver ottenuto qualcosa di transeunte, di provvisorio, non ha vinto nessun palio, ma il riconoscimento del suo poter essere a sua volta Stato, cioè una condizione ineliminabile della società italiana, che in qualsiasi circostanza può formalizzarsi per chiedere e dare, per pretendere e concedere, per farsi aiutare ed aiutare. Non è per caso che l’Italia democratica affondi le sue radici nella liberazione dal fascismo grazie agli Americani e ai loro alleati mafiosi, fatti ritornare in Sicilia per preparare il loro sbarco. E c’è chi ipotizza addirittura di far quotare in borsa la Mafia Spa, che ogni anno “fatturerebbe” circa centottanta miliardi di Euro, con un utile di cento miliardi annui. Stravaganza o provocazione, l’ipotesi nasce da un convincimento, che la mafia è una realtà connaturata, una struttura che ha tutti i caratteri dello Stato, che si incontra e si salda con lo Stato italiano grazie anche al fatto che questo all’occorrenza si comporta esattamente come lei.

ame

Trattativa


en!

Stato - mafia di Gigi Montonato

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

Salvate Giovanardi corsivo

P

di Gianni Ferraris

apa Francesco apre all’evoluzionismo entrando di diritto nell’era moderna: “Quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione, rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose – ha detto Bergoglio – Ma non è così. Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza. Egli ha dato l’autonomia agli esseri dell’universo al tempo stesso in cui ha assicurato loro la sua presenza continua, dando l’essere ad ogni realtà”. Il cardinale Reinhard Marx,(un cognome una garanzia) ha detto: "Non possiamo dire agli omosessuali che non possono sperimentare il Vangelo". Ancora Papa Francesco parlando dell’omosessualità: “Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo, io ho detto ciò che dice il Catechismo. Una volta una persona mi chiese se approvavo l'omosessualità. Io allora le risposi: "Secondo te Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l'esistenza con affetto o la respinge condannandola?". Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia». E ancora: “La Chiesa cattolica non deve lasciare che i suoi divieti riguardo a matrimoni gay, aborto e uso dei contraccettivi divengano il centro dei suoi insegnamenti. Ma deve rendersi più accogliente, con preti che siano pastori comprensivi e non freddi e dogmatici burocrati. Riferendosi in particolare agli omosessuali, il Pontefice ha detto: "Nella vita, Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle, partendo dalla loro situazione. Bisogna accompagnarle con misericordia". Bene, la Chiesa si sta rifacendo dopo anni di oscurantismo, però, nella condivisione e nell’accoglienza dei diversi, ora rimane un problema di assoluta urgenza da definire. Forse Papa Francesco, se mai leggerà queste umili righe, si farà carico di questo peso, magari ricevendo in udienza privata una persona che ancora non comprende, e che forse sta soffrendo le pene dell’inferno. Meglio del Papa in persona nessuno, ma proprio nessuno potrà mai spiegare tutto ciò a Carlo Giovanardi. Santità faccia in fretta, prima di un insano gesto del deputato Giovanardi!


No al padrone rapace

spagine

S

Contemporanea

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

Ricordando un incontro a Lecce con Mario Capanna

pesso proviamo scoramento al cospetto d’una società come quella odierna improntata sulla legge “aurea” del profitto. Una società elitaria, che premia costantemente i più ricchi, i più benestanti, i più furbi, e penalizza senza ritegno i ceti meno abbienti. Una società mondiale che mette ai margini estese fasce della popolazione, invalidate, incapaci di soddisfare i più elementari bisogni primari. Purtuttavia, dinanzi alle mostruose ingiustizie e alle diffuse sperequazioni, non possiamo ammainare le bandiere, non posiamo gettare la spugna: dobbiamo continuare a coltivare e a irrorare di linfe vitali il nostro giardino di sogni. Il nostro mestiere di vivere è quello di immaginare e agognare un mondo più giusto, più a misura d’uomo. Respirare il nostro ideale è una ragione intima di vita. Vagheggiare le “utopie” non è una rincorsa persa, ma è un esercizio esistenziale che dà nutrimento al giorno. Destrutturare questa rapace e invasiva economia capitalistica, e costruire con il pensiero piccole oasi e frescure di verde, non è un esercizio vano. *** In questi giorni, mi ritorna in mente un incontro- dibattito, tenuto a Lecce con Mario Capanna, ex leader sessantottino, una decina d’anni fa, al Circolo Cittadino di via Rubichi. I quesiti erano e sono attuali: è possibile sperare in un mondo migliore, più vivibile? Noi cittadini possiamo prospettare un Parlamento mondiale, “un Parlamento dei popoli, non degli Stati”, in base al principio che “ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti”? Capanna era giunto a Lecce per dialogare con noi leccesi e per presentare il suo libro “Verrò da te” (Baldini Castoldi). Libro dedicato a Irene, Luca, Marco, Stella e a tutti i giovani del mondo, ancora oggi molto attuale. Nell’opera dell’ex leader di Democrazia Proletaria, si affrontano temi cruciali per gli equilibri internazionali: crisi del modello unico americano; necessità di eleggere un Parlamento Mondiale; ricerca d’una maggiore giustizia ed equità globale; manipolazioni genetiche e possibili degenerazioni dello sviluppo biotecnologico; ed altro ancora. Capanna spronò noi uditori a “stare ai fatti”, a ragionare con un certo criterio di fondo, “senza ideologie di sorta, ma con solide idee”. Effettivamente, il mondo è animato da tremendi contrasti, da laceranti incertezze. Il mondo reale è costituito non solo dagli strati cosiddetti vincenti, ma anche da quella “mi-

di Marcello Buttazzo

George Grosz, I pilastri della società, 1926

noranza rappresentata”, che soffre e patisce di più l’avanzare della globalizzazione. Dal 1960 ad oggi (da quando il mercato globale la fa da padrone), le ricchezze si addensano sempre più nelle mani di privilegiati, con uno sbilanciamento che sembra lievitante e inarrestabile. Capanna, quel giorno di dieci anni fa, fu ben disposto a interloquire con noi cittadini, ad ascoltare le nostre domande e a fornire sintetiche ed esaustive risposte. Ci mise in guardia dagli ingannevoli canti delle sirene del mondo rappresentato. Quotidianamente, purtroppo, vediamo che il mondo è preda della violenza, devastato da guerre e terrorismi di varia natura, flagellato da malattie endemiche, da fame e povertà. A questo immane disastro, s’è giunti in virtù di determinati meccanismi economico-politici e militari. Viviamo la brutta era del profitto indiscriminato, del mercato sfrenatamente liberista. Il FMI ( Fondo monetario internazionale), sebbene sia una istituzione pubblica, finanziata dai contribuenti di tutto il mondo, non risponde direttamente né ai cittadini finanziatori, né a quelli coinvolti (quasi sem-

pre disastrosamente) delle sue scelte. Il Wto ( l’Organizzazione mondiale del commercio) “edifica” false democrazie. “Solo il commercio equo e solidale (cioè senza profitto e senza sfruttamento) può costituire una vera ed auspicabile alternativa all’orgia liberista”. Oggi, nel 2014, afflitto da varie crisi, pensiamo a volte che certe disquisizioni non possano trovare alcuna applicazione pratica. Ciononostante, non ci possiamo rassegnare all’”ineluttabile”. Capanna, quel giorno di dieci anni fa, a Lecce, parlò soprattutto del futuro Parlamento Mondiale. Il Nobel Amartya Sen aveva già dichiarato che “oggi si sente molto di più l’esigenza di cambiare l’architettura economica e finanziaria del Pianeta. Si cerca un’ equità globale. Si chiede un’istituzione sovranazionale in grado di garantirla”. Il Parlamento mondiale forse è un sogno irrealizzabile, ma potrebbe essere l’abbicì della democrazia liberale, capace di scongiurare le guerre, di prevenire i disastri ambientali, di tenere a freno le bramosie accaparratrici di alcune immorali multinazionali. A Capanna, verso la fine della serata, rivolsi la seguente domanda: il sociologo Jean Ziegler, dati alla mano, sostiene che la nostra Terra ( che è di tutti gli esseri viventi), allo stato attuale delle forze produttive agricole, potrebbe nutrire dodici miliardi di esseri umani. Benché sulla Terra vivano poco più di sei miliardi di persone, ogni anno quasi 826 milioni di individui soffrono di sottoalimentazione cronica e invalidante ( con morti e morti). Allora Capanna pensa che una certa grande economia mondiale consideri l’etica alla stregua d’una misera ancella, puramente vestigiale, e anche la politica non riesca a tiare le fila. Ed ancora crede davvero che etica, economia, politica possano portare, tutte assieme, alla socializzazione delle conoscenze, alla massima democratizzazione dei beni naturali? Capanna rispose risoluto che etica, economia e politica dovrebbero andare a braccetto: “Una volta che è stata espulsa l’etica tutto è lecito, decide la forza. Se l’etica non c’è più e vale l’economia, esiste il solo rapporto di forza…allora potremmo tranquillamente stuprare anche donne, bambini”. Oggi, a distanza di tanto tempo da quell’incontro, mi chiedo: è un nobile desiderio accarezzare, desiderare una società più partecipe, più solidale? Forse sì, fa bene alla salute, perché noi tutti siamo atomi d’infinito, dobbiamo correre il tempo, dobbiamo salvare la vita.


latitudini

spagine

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

Noi, di chi siamo figli

lo ricordiamo bene!

di Rosanna Gesualdo

F

Nella foto Edoardo De Candia fotografato da Fernando Bevilacqua

igli di una terra bella d'estate, quando il mare, le campane e i suoi colori schietti pare siano stati dipinti con la luce di una mano divina. Non esiste un azzurro pari al suo, i suoi colori sono note dolcissime, strazianti come quelle di un flauto suonato dallo stesso Pan. Terra di abitanti sensibili al canto delle sirene. Siamo gente di mare, la costa influenza i nostri cuori come la terra rossa, aspra come la vita, tempra il nostro carattere. La nostra terra, bellissima e infedele è terra devota alla passione che spesso è febbre e quasi mai amore. Ma pur d'infedeltà è di coscienza netta e senza colpa come quella dei poeti e dei santi bevitori che prima di noi hanno tracciato mappa e visione di un sogno chiamato armonia. Quanti “tratturi” battuti alla ricerca di luoghi dell'agire e che occhi avevamo nel guardare. Avevamo scolpite nell'anima le parole dei nostri padri fondatori e nello sguardo la luce dei pionieri, generosi avevamo sempre nelle tasche un foglio inchiostrato di magia da porgere ai nostri amici. Non c'era luogo che temerari come pochi non avessimo voglia di conquistare, convinti com'eravamo che il mondo da costruire fosse proprio quello che i Poeti e i Santi ci avevano soffiato nel cuore. Tutti insieme in un girotondo che non si spezzava, tutti bambini, anche i vecchi lo erano, piccoli come solo i “grandi” sanno esserlo. Avevamo sorrisi grandi e fieri, sprezzanti verso la baronia dei “sepolcri imbiancati”, feroci verso la miopia culturale e di cultura abbiam piantato semi e conquistato terre lontane. Ci eravamo promessi che la dimenticanza non avrebbe inquinato i nostri cuori, non noi che siam stati bravi ad onorare i nostri “caduti” in guerra. Perché si, per i nostri Padri Fondatori scrivere la loro lezione per noi fu guerra, per alcuni sangue, per altri delirio e per altri ancora abiura o pubblico diniego. Quella lezione fu talmente forte da incidere i nostri animi di valorosi bimbi che sapevano discernere tra giusto e sbagliato. “Giro, girotondo quant'è bello il mondo...” così bastava guardare negli occhi dell'altro, per intravedere un luccichio e sapevamo che un viaggio stava per iniziare ed eravamo così “uno per tutti, tutti per uno”. Accadeva solo ieri che non c'era parola di biasimo, solo ieri che la tutela della memoria era il nostro valore più alto e l'agire la nostra missione. Viviamo di miti e leggende, sappiamo un po' di tutto e ci fingiamo ignoranti quando ci attardiamo a guardare la luna far capolino sui nostri vicoli. Accendiamo roghi per purificare i nostri dèmoni e viviamo sempre in attesa che arrivi il fatidico momento giusto per agire, ma pigri quando arriva non lo vediamo persi come siamo nei colori di una vigna o perché ci siamo attardati all'ombra di un ulivo. Ma per fortuna siamo zingari che tornano sempre alla medesima sinfonia. Bisognosi forse di pause e tempi lunghi perché siamo indolenti e risoluti al contempo. Il caldo dell'estate ci spossa l'anima e rende i nostri passi rumorosi, strascicati e stanchi come chi porta con se il peso della memoria ma in realtà, essendo figli di progenie antica, nobile crocevia di passaggi della memoria siamo i custodi, basta solo ricordare di chi siamo stati figli.


Difendere spagine

Lettera da Torre Guaceto Gentile Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, Gentile Assessore Angela Barbanente, Gentili Consiglieri Regionali,

Vi scrivo a nome del Forum dei comitati civici che dal 26 settembre, giorno dell’arrivo delle prime acque del depuratore consortile di Carovigno nel Canale Reale e quindi nella Zona A della Riserva di Torre Guaceto, è mobilitato contro una lingua di liquami e umana miseria che minaccia Torre Guaceto e il suo indotto, non solo economico, ma anche di sogni, passioni e progetti.

“Torre Guaceto, la portabandiera della buona gestione delle Aree Marine Protette del Mediterraneo”, l’area scelta per rappresentare il mare protetto d’Italia all’Expo 2015, terra di Presidi Slow Food, di progetti di Terra Madre, di creazione artistica e residenza teatrale, di turismo, educazione e conservazione “i cui risultati ottenuti sono presi a modello in tutto il mondo”, sta per essere sommersa, per mano della stessa Regione Puglia, da uno “tsunami di liquami”. Anzi, sta già accadendo: tre mila tonnellate circa al giorno, per l’esattezza, che ad oggi, 21 ottobre, fanno ottantuno mila tonnellate in piena Zona A, quella di maggior protezione. In un solo colpo, dopo anni di malgoverno, ci giochiamo anche Torre Guaceto oltre la già compromessa falda. Ci siamo incontrati con Lei, Gentile Presidente, a San Vito dei N.nni dove ci siamo lasciati con la promessa di un incontro con l’Assessore Barbanente per il giorno dopo (che non c’è stato) e con la promessa di veloci soluzioni per “non macchiarsi di quest’onta” (che non ci sono state). Nel frattempo si è espresso il mondo scientifico del quale reclamava la voce, ci sono state due manifestazioni in Riserva, una a Bari finita intorno al tavolo dei capigruppi del Consiglio regionale e ad una votazione all’unanimità per la soluzione del problema, una a Brindisi, sempre in centinaia, nello stupore di chi non credeva in una tale partecipazione e intanto altri comitati che nascono ogni giorno come mobilitazione di un intero territorio. Dal fango della nostra terra viene fuori che l’apertura dello scarico è solo il segno che più ferisce gli occhi di un’area silenziosamente e tacitamente assediata anche da un impianto di compostaggio industriale previsto nelle campagne di Serranova, l’uliveto della Riserva terrestre, e da un complesso di discariche sotto sequestro giudiziario, Autigno-Formica, che da anni av-

Sversamento nelle acque di Torre Guaceto velenano la falda dell’Area Marina Protetta e che continuano ad essere la meta dell’emergenza rifiuti di mezzo Sud Italia. Dalle nostre parti siamo abituati, quasi assuefatti, alle lotte per l’ambiente, ma in questo caso, nel caso di Torre Guaceto, l’energia che correva di mano in mano nella catena umana di sabato scorso a Brindisi era la rabbia di chi è ferito nella bellezza, nel senso più puro e salvifico di bellezza, persa la quale è davvero la fine della possibilità. Quando si tocca quella, non ci sono piani che tengano. Si diventa orsi feriti nell’offesa dei propri figli. Non si valuta, non si pesa, si attacca. Esattamente nello stato d’animo passionale che lei, Gentile Presidente, ha compreso e difeso durante il nostro incontro di San Vito dei Normanni. Dalle nostre parti si fa presto ad abituarsi all’emergenza e la rivendicazione asmatica del rispetto e dell’ascolto diventano condizione normale dimenticandosi col tempo di come si viveva prima e di come si potrebbe vivere in un paese dove le istituzioni sono pagate dai cittadini per essere al servizio dei cittadini. Mi ripugna un paese dove gli uomini si compiacciono delle belle manifestazioni che riescono a organizzare e dove l’emergenza diventa normalità. E’ un meccanismo perverso che spegne il fuoco. Bene, le manifestazioni le sappiamo fare. L’abbiamo visto. Ora andiamo avanti: noi vogliamo risolvere. Non ci fate disperdere energie. Se quell’energia di rabbia della catena umana dei settecento di Brindisi potesse diventare energia creatrice, ma ci pensate che bellezza? Ci pensate come cambierebbe il Sud? Ci pensate come ci scrolleremmo di dosso questo velo di rancore? Ci pensate come sareste meno soli? Non siate complici dello sfollamento del Sud, so che fa tremare le gambe anche a voi, ha la stessa puzza degli angoli dimenticati. Noi vogliamo abitare altri paesaggi. Voi chiudete lo scarico nella prossima settimana. Aspettiamo vostre nuove. Per Il Forum dei Comitati Civici in difesa di Torre Guaceto, Luigi D’Elia giulemanidatorreguaceto2014@gmail.com

Torre Guaceto, 21 ottobre 2014


I

territorio

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

l Forum dei Comitati Civici, organismo nato per la salvaguardia di Torre Guaceto e Serranova, nel pomeriggio di giovedì 30 ottobre, ha contestato l’assessore regionale alla Qualità del territorio Angela Barbanente, per la decisione presa nel corso del Tavolo tecnico-politico dello scorso lunedì 27 ottobre, di continuare a versare i liquami del cosiddetto depuratore a Torre Guaceto. Una contestazione aperta che si è svolta nei pressi dell’ingresso dell’Assessorato all'Urbanistica del Comune di Brindisi dove l’assessore regionale era giunta per partecipare a una riunione del Comune di Brindisi su diversi argomenti urbanistici. Il Forum, dialogando con l’assessore Barbanente, ha espresso tutto il suo disappunto per le gravi scelte operate dalla Regione Puglia, parlando a nome di migliaia di cittadini della Provincia di Brindisi che nelle ultime settimane si sono mobilitati attivamente a difesa della Riserva marina di Torre Guaceto. Il Forum ha affermato: “Chiediamo, come cittadini, l’applicazione delle leggi dello Stato Italiano che vietano di sversare qualunque sostanza nelle acque della Riserva, fosse

anche acqua minerale. L’unica cosa che chiediamo è la chiusura del tubo di scarico. Carovigno continuerà a versare in falda perché sono stati commessi degli sbagli nella costruzione della condotta che porta dal paese al depuratore”. L'assessore Barbanente ha risposto:“Le decisioni prese hanno dei tempi certi di attuazione e possiamo stare tranquilli perché tutto è sotto stretto controllo”. È un buon risultato, quindi, la decisione di continuare a versare in falda e a distruggere Torre Guaceto? Numerosi i media presenti per raccogliere dichiarazioni. Tra questi una troupe de LA7 alla quale l’Assessore Barbanente ha dichiarato che: “Negli anni passati sono stati compiuti una serie di errori”. Certi di questo, crediamo che non deve essere Torre Guaceto a pagare le conseguenze di errori, scelte sbagliate della politica e dell’Acquedotto Pugliese, o di gravi omissioni con rilevanza penale commesse nel corso della quarantennale storia del depuratore. La protesta dei cittadini e del Forum dei Comitati Civici per la difesa di Torre Guaceto continua con un ciclo di appuntamenti.

Lunedì 3 novembre dalle 16,00: sit-in di protesta a Carovigno, in occasione della riunione del Consiglio Comunale nel corso del quale si discuterà sulle decisioni inerenti la vicenda Torre Guaceto; Nella seconda metà di novembre: presidio a Bari, nel corso del Consiglio Regionale, in concomitanza della sentenza del Tar sulla legittimità degli sversamenti dei liquami; Sabato 29 novembre alle 18,00: è in previsione un corteo di protesta a Brindisi, con la partecipazione di tutti i comitati del Forum, le associazioni e i cittadini di Brindisi e provincia. “Non possiamo più assistere passivamente al fatto che una intera zona venga sottoposta a un attacco ambientale che la sta distruggendo, - scrivono dal Forum dei Comitati Civici per la difesa di Torre Guaceto - tra l’altro con un danno economico e occupazionale incredibili. È necessario bloccare immediatamente, a Torre Guaceto, gli scarichi fognari “depurati” dai comuni di San Vito dei Normanni e San Michele Salentino, in una riserva marina dove non è permesso nemmeno fare il bagno per tutelarne la biodiversità”.

Gli sviluppi della mobilitazione su: profilo Facebook Thalassia petizione on-line rivolta alla Regione Puglia newsletter Thalassia settimanale http://www.cooperativa-thalassia.it/Home/tabid/88/aid/61/Default.aspx#sthash.7dbqMnJW.dpuf


spagine

E fango è il mondo. E l'infinita vanità del tutto. G. L.

Giacomo Leopardi il giovane favoloso di Ilaria Seclì

Il giovane favoloso è troppo per questo mondo abituato allo spiccio, al conforme, all'uniformato, al tornaconto, ai margini... Bordi e griglie, definizioni e catalogazioni cui attenersi, tracciati sociali ben consolidati nei secoli...


T

ra le storte di questo mondo, i torvi sgambetti, il dominio di ciò che puntualmente non torna, le frequentatissime e sempre più coltivate e nutrite parole di Iago, suoi sguardi e meschine trame, una cosa risulta più sozza delle altre. Le lingue diarroiche su chi - voce fuori dal coro per eccezion di destino vita o talento - non c'è più, e si ritrova a dover essere postuma e doppiamente vittima di interpretazioni e racconti da lavandaie, da perpetue strappate alla sagrestia che si improvvisano critici o amici dell'artista più o meno sfigato, più o meno eccentrico, più o meno incatalogabile, più o meno libertino, più o meno ubriacone, più o meno burbero, più o meno misantropo, più o meno pazzo, più o meno viveur. Magari le stesse lingue diarroiche e rotocalchiche che, ancora vivo l'artista, non solo lo ignoravano ma in tutti i modi, con avversione e disprezzo del “diverso”, lo ostacolavano o emarginavano. Magari, dico, magari, ingigantendo l'aura di certi andazzi, certe abitudini umane che toccano più ambienti, dal popolare all'accademico. Inutile dire, poi, quanto solletichi e smuova la routine dolciastra e stanca dei giorni di provincia sempre uguali un epilogo tragico, una fine precoce o addirittura cercata. Claudia docet, e con lei Alejandra Marina Virginia Sylvia Amelia. Eccetera eccetera. La lista è lunga. La creatura inascoltata diventa - per contrappasso tutto umano - la più amata e “raccontata”... Ma allontaniamoci dai borghi selvaggi zotici e vili, diventati più che connotazioni goegrafiche attitudini, modi e frequentazioni dell'umano col disumano. E arriviamo a Leopardi, che il borgo provinciale ha patito, senza tuttavia aver vissuto pienamente il desiderato riscatto in altri lidi cittadini che sperava meno ottusi e più aperti, solidali. I salotti letterari non brilla(va)no per spirito di comunità, solidarietà, scambi o condivisione. Perché, in verità, Il giovane favoloso è troppo per questo mondo abituato allo spiccio, al conforme, all'uniformato, al tornaconto, ai margini entro cui bisogna appollaiarsi come quelli entro cui i bambini sono costretti a colorare. Bordi e griglie, definizioni e catalogazioni cui attenersi, tracciati sociali ben consolidati nei secoli. Obbedienza, disciplina, buona creanza che aderisce educatamente al noto, al cammino segnato, tessere senza sorprese del mosaico sociale obliteranti ogni sua tappa con vendita d'anima annessa. E hip hip, hurrà! Il miracolo, in sala, era già vedere un ragazzo di nome Giacomo Leopardi, illudersi di averlo vicino per un'ora e più. Magia a firma di Mario Martone, già conosciuto per il racconto degli ultimi giorni del nipote di Bakunin, Renato Caccioppoli, in Morte di un matematico napoletano. Elio Giordano è un Giacomo Leopardi convincente, molto meno il padre del Poeta, Antonio Ranieri, Fanny e Silvia, più aspirante velina che ragazza tisica in odor di morte. Impresa ardua parlare di uno tra i più grandi pensatori e poeti di tutti i tempi. Cadere nel banale e nello scontato è più che un rischio. E indugiare sui mali fisici, pure. Come nella vita ciò che non si spiega spesso diventa macchietta, stramberia, morboso ciarlare su particolari di poco conto ma più accessibili a fronte di un mistero inespugnabile come quello del genio, a fronte dello stigma che è la vita di chi ha una naturale confidenza con le domande dell'esistere e si interroga senza tregua né sconti su cosa sia o po-

cinema

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0 trebbe essere, fuori da ogni meccanicità del comune sentire e agire, stare al mondo e interpretarlo. Anche questo è L'infinito. Nel giovane favoloso abbiamo trovato molto del Leopardi che amiamo. L'abbiamo visto, l'abbiamo sentito parlare. Prodigio del cinema come del teatro. E può non importarci, questa volta, la miniaturizzazione inevitabile della sua complessità. Gli è stata restituita non pienamente, ma questo è. Perchè questo è il mondo e questi i suoi mezzi: cinema, televisione, internet. Potevamo vederlo, ascoltarlo dalle sue opere e basta, come accade di non voler vedere il film tratto da un libro molto amato per non incorrere in una liofilizzazione dello stupore, della complessità. Ma può accadere anche di intenerirsi e commuoversi nell'affondare gli occhi su un'illusione incantevole, quella di stargli per un po' vicino. Abbiamo visto Leopardi bambino, lì forse felice, correre coi fratelli; lo abbiamo visto adolescente osservare alla finestra Silvia, studiare voracemente e ribellarsi ai diktat di un'educazione ferrosa e bigotta, chiusa e piccola come la circonferenza di una monetina. Lui che aveva in cuor suo una vitalità onnivora pari al suo sapere.

Sapevamo già tutto, Martone non ha aggiunto nulla di nuovo. Ma abbiamo potuto vedere con strumenti dell'attualità una vita “nata a sproposito”, una vita “imperdonabile”, una vita destinata a non avere tregua, se non per una manciata di picciol cose, come un gelato, un panorama diverso dalla siepe, un'amicizia. E questa “visione” di vita “sghemba”, non riducibile a schemi noti, domestici, rassicuranti, è entrata in una grande sala, e potrebbe allargarsi a qualunque altra vita “sghemba”, che sia di artista o di barbone, di celebrità o di extracomunitario, di vecchio o di handicappato. (in ogni caso, per molti, extra-terrestri). Vite a sproposito che il mondo guarda di sottecchi. Esilio e orfanità, sensibilità, purezza e acume straordinari a fronte di umani nel circolo di tattiche strategie convenienze, come quelle che popolano un qualsiasi vecchio e nuovo gabinetto Viesseux. Sì, può essere un film didascalico, ma non tradisce la sostanza per quanto essa sia ineffabile e non del tutto afferrabile. Emergono forti e si impongo, al contrario, due verità e consapevolezze leopardiane: l'infinita vanità del tutto e lo scetticismo nei confronti delle magnifiche sorti, più distruttive che progressive, per il poeta-profeta. Manco a dirlo, ci aveva azzeccato. Di fronte a spettacoli assurdi, o a qualsivoglia manifestazione indecente, offensiva della vita, che cosa restava ancora fino a qualche anno fa? The lovely kinsmen on the shelf – i cavalieri invitti dello scaffale, i poeti e i romanzieri a cui rivolgersi, calata la sera, certi di quelle isole solitarie, di quelle presenze celate al mondo: paragoni di grazia e forze di rivolta. Dietro le nostre spalle, mentre si inorridiva agli shows del mondo, c'erano pur sempre loro. […] ma ora il demonio onnipresente, l'industria, ha invertito le posizioni: non più alle nostre spalle stanno, quei solitari angeli custodi, per additarci, con indice severo o compassionevole, il male. Ora quegli angeli caduti li abbiamo davanti a noi, on show, là dove il demonio impera più frenetico. […] Così Cristina Campo in una pagina di Sotto falso nome.

Il Nostro Angelo Giacomo, si è fatto vedere al cinema, ma non è caduto.


spagine

Quant’è bello

MARTA

La cultura per lo sviluppo del territorio un caso esemplare: il museo archeologico di Taranto

http://www.museotaranto.org

di Fabio A. Grasso


N

on più di un anno fa è stato riaperto al pubblico il MARTA – Museo Arheologico di Taranto-. La sede museale tarantina si qualificava già come una delle più ricche e prestigiose del MIBACT in Italia e adesso lo è diventata ancora di più in forza proprio del nuovo allestimento. Interventi di questo tipo, per quantità e qualità sono tanto unici da diventare esemplari. Ne abbiamo parlato con Augusto Ressa l'architetto della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici che in questi anni ne sta curando restauro e nuovo allestimento. Chiunque consideri la cultura come un fattore imprescindibile per lo sviluppo di un territorio non potrà non soffermarsi sullo studio di questo caso. Un problema rimane, però, e non è ascrivibile al MIBACT ma a tutti quegli enti (Comune, Provincia, Regione, Stato) che hanno competenza in materia di trasporti pubblici. Taranto, infatti, per chi provenga da altre parti d'Italia o della Puglia non è facilmente raggiungibile. Bisognerebbe lavorare adesso per evitare che questo prestigioso museo rimanga non tanto un esempio unico quanto soprattutto un caso fisicamente, geograficamente isolato.

Architetto, quali sono stati gli aspetti più singolari, le linee guida del suo intervento progettuale? “L'allestimento del MARTA ha comportato un impegno progettuale rivolto su due fronti principali: il ridisegno della vecchia struttura ormai del tutto inadatta a contenere le migliaia di reperti, e l'organizzazione del nuovo allestimento espositivo. La sede del Museo, con i due corpi di fabbrica dell'antico convento degli Alcantarini grandemente rimaneggiato sin dagli anni '50, e dell'ala Ceschi, completato negli anni '60, è stato totalmente ridisegnato determinando una sostanziale continuità spaziale fra i due nuclei edilizi e introducendo, all'interno del cortile dell'ala Ceschi un nuovo volume che accoglie sui tre livelli altrettanti ampi snodi dai quali si diparte il racconto della storia antica di Taranto in senso cronologico, partendo dal terzo livello con l'età preistorica, la colonizzazione e la città greca, e proseguendo al secondo livello con l'ultima fase ellenistica, la città romana e l'età bizantina. Al primo livello è collocata la hall, con la biglietteria, il book-shop, la caffetteria con affaccio sul chiostro dell'ex convento. Ad un livello poco inferiore, sono presenti le sale per mostre temporanee ed una piccola sala conferenze. Il complesso accoglie anche

l’arte di costrire la città

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

gli uffici dell Museo, un laboratorio di re- L'allestimento ha introdotto insieme al ristauro e quello fotografico e, al piano se- gore scientifico del percorso espositivo, elementi di spettacolarità quali la ricominterrato, i depositi”. struzione della testa colossale di Heracle Spazio, colore, materia sono da sem- da un originale di Lisippo, di cui si conpre legati in modo inscindibile in ar- serva la copia Romana in marmo, ma chitettura. Tutto ciò lo diventa ancora alla scala naturale, rilevata al Laser di più nel caso di un museo alla luce scanner e riprodotta in strati di MDF con della “narrazione” al visitatore dei re- finitura che simula il bronzo. Questa sculperti esposti. Quale è la sua espe- tura accoglie i visitatori nella hall del primo livello ed è ormai diventata il simrienza nel caso di questo museo? “Gli spazi interni dalle rigorose geome- bolo del MARTA. Spettacolare è anche trie, sono definiti da ampie superfici con lo splendido cratere apulo posto nella unico cromatismo in tonalità chiara, con hall del primo piano, collocato su una inserti marrone scuro in alcune circo- struttura metallica sospesa a soffitto e tescritte aree pavimentali e lungo i batti- nuto in equilibrio con un ingegnoso siscopa. In contrasto che le superfici stema costituito da un sottile cavo chiare, il grigio scuro delle pannellature d'acciaio collegato ad una raggiera che, in MDF, che circoscrivono alcune sezioni come una mano, sostiene il vaso dall'inespositive, come ad esempio i corredi di terno. Nella sala che ripropone la sucetà ellenistica con i famosi ori, e delle ve- cessione dei pavimenti musivi della trine con struttura metallica. Il colore fa Domus, in corrispondenza della parete di la sua comparsa per introdurre alcuni fondo che accoglie gli arredi da giardino, coup de theatre, come nella parete rosso una proiezione a tutta parete propone pompeiano nella hall del primo piano e una porzione del giardino della casa di lungo le pareti della ricostruzione della Livia, riprodotto per concessione del Domus di età imperiale, nel fondo az- Museo di Palazzo Massimo di Roma, zurro dei marmi romani facenti parte con animazione delle fronde e degli ucdelle acquisizioni del museo, nel fondo celli dipinti (forse il primo affresco aniverde oliva delle epigrafi funerarie della mato nei musei archeologici) e sottofondo sonoro. Lo studio illuminoteccittà romana”. nico ha giocato un ruolo determinante L'organizzazione di un museo com- anche nel porre l'accento sui reperti più porta inevitabilmente la compresenza importanti e per esaltare la bellezza di di più figure professionali: l'architetto manufatti straordinari, quali i mosaici (progettista, tecnico, narratore, etc.) tardo romani e il sarcofago detto Delle l'archeologo, etc. Come si è svilup- Navi. ricostruito in base ai pochi signifipato questo tipo di rapporto nella na- cativi frammenti superstiti”. scita del nuovo MARTA e quali i problemi principali affrontati nello I lavori non si sono ancora conclusi. specifico delle singole competenze? Ci può già fornire qualche anticipa“L'organizzazione dei reperti, secondo zione di quello che ci sarà nella nuova un progetto scientifico elaborato dalla parte del museo? Soprintendenza Archeologica, contem- “Al piano secondo, ora in fase di cantiere pla l'esposizione in vetrine dei reperti più (si prevede l'inaugurazione a metà 2015) fragili e minuti, e l'esposizione priva di sarà collocata su mia proposta, la replica protezione degli elementi architettonici e sella Persefone Gaia di Taranto, conserdi quelli meno vulnerabili. La casistica vata presso l'Altes Museum di Berlino. A dei sistemi di supporto e di ancoraggio a tal fine, nel luglio scorso sono stati presi parete è stata ed è tutt'ora, (giacché è in accordi con questo museo definendo le corso l'ultimo lotto di lavori che interessa modalità e i criteri di questo importante il secondo piano), molto vasta e differen- scambio culturale. L'Altes curerà il rilievo ziata, ed ha comportato la progettazione al laser scanner della scultura (la cosidad hoc, caso per caso degli stessi. Par- detta nuvola di punti), noi invece realizticolarmente complesso l'ancoraggio a zeremo la replica in resina ad alta parete dei mosaici delle terme Pentasci- densità e con l'impiego di una fresatrice nenses, sottoposte negli anni '60 ad un a controllo numerico. EQuesta tecnica è restauro su supporto in cemento armato stata già impiegata nell'allestimento del con rete elettrosaldata non più rimovibile, MARTA per la ricostruzione del portale se non a costo di traumatici interventi di monumentale della tomba di Vaste, comrestauro del restauro che avrebbero po- posto da quattro cariatidi, una delle quali tuto compromettere l'integrità dei pre- è custodita in originale nel Museo Caziosi reperti, e perciò di peso stromediano di Lecce”. considerevole e di difficile movimentazione.


spagine

La copertina del libro

Lucugnano e il suo territorio. Storia, architetture, archeologia e paesaggio di un paese del Capo di Leuca” di Marco Cavalera, è una pubblicazione essenzialmente necessaria, di questi tempi. All’indomani della bocciatura di Lecce a capitale europea della cultura nel 2019, ci si ritrova a dover ripensare ai modelli di sviluppo e al ruolo della cultura nel nostro territorio. Una riflessione necessaria, basata sull’analisi dei motivi per cui questo modello, così come pensato e proposto, sia stato scartato. Di fronte all’idea di rafforzamento di alcuni ideotipi mainstream, occorre rimodulare il rapporto tra il cittadino e il proprio territorio, verificare come esso viene visto e vissuto e quale posto occupi in un’ideale geografia interiore. Di fronte al radicamento della crisi economica e valoriale, intesa proprio come scelta e adozione di strategie economiche ed esistenziali per i tempi a venire, di fronte al-

Marco Cavalera racconta

letture

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

la storia di una comunità

di Melissa Calò

l’emorragia di posti di lavoro e alla piena di nuovi flussi emigratori sulla rotta di quelli vecchi tracciati nel secolo scorso, quest’opera si rivela uno strumento in grado di ripopolare di simboli, figure, personaggi e speranze un orizzonte che nell’immaginario collettivo appare deserto, dove sembra non esserci “niente”. Attraverso la descrizione di quei punti di aggregazione della storia di una collettività che diventa paese, come le chiese, le cappelle, i palazzi, il misterioso e austero Palazzo Baronale ma soprattutto di Palazzo Comi, punto di riferimento della cultura artistica e letteraria a livello nazionale del secondo novecento, “il presepe disabitato” di Lucugnano “dove sembra non esserci niente” inizia ad affollarsi di voci e volti di carta e di pietra in grado di contrastare una vera e propria fenomenologia della sparizione/rimozione. Stilato con rigore scientifico ma con uno

stile semplice e divulgativo, il lavoro proposto che è arricchito inoltre da un apprezzabile contributo fotografico e cartografico, prova a tracciare un ipotetico itinerario in grado non solo di rendere protagonista il tessuto urbano, ma di metterlo in connessione con lo spazio rurale, in uno scambio incessante: sarebbero - o più correttamente sarebbero potute - esistere le figure dei maestri vasai e delle botteghe artigiane senza le vicine cave da cui estrarre la materia prima? Il racconto di alcune evidenze del tutto dimenticate o addirittura sconosciute ai più, come la Casa dei Pellegrini in località Matine, suggerisce lo scenario di una Lucugnano che un tempo non era solo un paese “alla fine delle terre”, ma una tappa in rete con altre lungo l’itinerario verso il santuario di Leuca, in una sorta di turismo religioso ante litteram che la rendeva una meta conosciuta dai pellegrini di tutta Europa.


Augh! mei I

spagine

musica

I venti anni del Meeting delle Etichette Indipendenti della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

l Mei, Meeting delle Etichette Indipendenti, è un momento di incontro di idee, di scambio e di creatività tra tutte le realtà musicali presenti sul territorio italiano. Quest’anno, il Meeting, a venti anni dalla prima edizione, si è svolto dal 26 al 28 settembre ed ha portato sul palco grossi nomi della musica italiana. Giordano Sangiorgi è il fondatore di questo grande evento.

Ciao Giordano Sangiorgi, sei il fondatore del Mei che quest’anno ha compiuto venti anni. Come è nato questo evento e perché? “È nato perché ci fu l’idea di ‘riunire’ le produzioni indipendenti della prima parte degli anni novanta attorno ad un festival delle autoproduzioni. La crescente richiesta di inserire gli spazi espositivi poi fu esponenziale che nacque l’idea del Mei nel 1996 con il boom del mercato indipendente che in quel periodo si sviluppava con le cassette. Si vendeva tantissimo”.

di Alessandra Margiotta

partire dalla prima scena indie italiana come Pierpaolo Capovilla, Morgan, Eugenio Finardi”. Pensi che il MEI abbia dato un contributo alla valorizzazione della musica in Italia? “Dal punto di vista culturale sicuramente sì perché ha sdoganato il termine ‘indipendenti’ che all’inizio era sinonimo di sfigati. Ma siamo serviti anche come grande momento di incontro e confronto fra operatori del settore per far nascere nuovi progetti. In ultimo siamo stati anche al passo con i tempi rispetto al cambiamento della discografia al talent show , noi abbiamo messo al centro le nuove produzioni di oggi e quindi gli emergenti per primi, sdoganando anche questo termine considerato di secondo piano”.

Se tu oggi fossi il ministro della cultura in Italia, quale sarebbe la prima legge che faresti appena eletto?

“Prima cosa da ministro farei diventare attuativo l’appello, come in Francia, per le quote di musica italiana in tv e in radio con uno spazio Cosa è cambiato in venti anni per gli esordienti. Significa più nuova musica italiana per i giovani di Meeting delle Etichette Indiindipendenti ed emergenti a costo pendenti? zero per il Paese e quarantacinque “Abbiamo avuto delle trasformamilioni di euro in più di diritti d’auzioni ogni tre anni. Dal boom delle tore. Per secondo un evento stracassette oggi invece ci troviamo ordinario nel settore cultura e nel nel boom dello streaming. Nel settore musica sarebbe, ad esemfrattempo abbiamo assistito alla pio, un fondo straordinario per la nascita dei social networks e musica italiana di un milione di degli mp3 che hanno diffuso la euro per sostenere diversi festival musica. Quindi un nuovo Mei, che portano economia al settore dagli indipendenti di venti anni fa della musica e anche sui territori ai nuovi emergenti di oggi”. dove si svolgono. In ultimo attiverei tutti i decreti che sono stati presenQuest’anno abbiamo visto sul tati nel tempo sul settore della mupalco la ricca partecipazione di sica e che devono essere attuati”. grossi nomi della musica italiana come Morgan, Pierpaolo Quale consiglio daresti a chi volesse fondare ed avviare un’etiCapovilla… “Abbiamo voluto fare questo con- chetta discografica? nubio cioè il novantacinque per “Oggi il concetto di etichetta sta cento di artisti emergenti che rap- scomparendo e il mio consiglio è presentano le nuove etichette ed quello di creare un gruppo di lavoro autoproduzioni e con loro festeg- che insieme all’artista produce, giare la discografia indipendente promuove e sviluppa un progetto musicale a 360 gradi e che gira incircondandosi dai gruppi che torno all’idea artistica come il live, hanno voluto fare questa storia, a la promozione…”.


Halloween

Montréal, 31 ottobre 2014 notte di streghe, vampiri e dolcezze spagine

L

’appuntamento è alle 6 pm (o à 6 heure come si dice da queste parti) a Rue Drolet angolo Rue Rachel Ouest. Qualche ritocco al trucco, categoricamente spaventoso, una borsa robusta che possa contenere tante caramelle e si parte per celebrare la notte di Halloween. E’ la prima volta che assistiamo da vicino questa festività e ci sorprende come sia parecchio sentita da queste parti, tanto che i preparativi iniziano abbondantemente qualche mese prima. L’arancio delle molteplici zucche che decorano abitazioni, negozi e strade, si mescola bene alle vaste distese di foglie gialle e rosse, donando alla città il tipico mélange autunnale. Il bus ci attende e la temperatura inizia a pizzicare il naso, annunciando l’arrivo dei primi freddi. Facciamo un po’ di ripetizioni del rituale “trick or treat” (dolcetto o scherzetto) appreso a scuola, con la raccomandazione di bussare solo alle abitazioni con la luce accesa, dove sono allestite le macabre decorazioni. Riconosciamo da lontano il gruppo di bambini e genitori che ci aspettano, e già ascoltiamo le urla dei piccoli mostri alla rincorsa del dolce bottino che li attende questa sera. E’ sorprendente come questo giorno riesca ad animare interi quartieri, come la gente apre le porte di casa, si traveste per l’occasione e fa provviste di dolci da donare ai bambini, perché in fondo è la loro festa, sono i loro i protagonisti indiscussi. Porta dopo porta, salendo le tipiche scale delle abitazioni montrealesi, poste all’esterno per garantire più spazio negli edifici e una distanza di sicurezza dalle strade, ciascun bambino in fila, arrivato alla soglia di ogni porta, apre il suo fagottino per riempirlo di nuove prelibatezze. I genitori sono pronti alle loro spalle con la cosiddetta busta di sicurezza dove, dopo un po’ di giri, i piccoli avventori versano le caramelle per alleggerirsi del loro carico che in poco tempo raggiunge il chilogrammo. Non solo i privati donano le caramelle ma anche i commercianti, e le botteghe più visitate sono i numerosi Dépenner. Famosi da queste parti, simili un po’ ai nostri negozi alimentari, e letteralmente il loro nome significa riparare, venire in soccorso, nati per agevolare gli acquisti in pieno inverno con il trasporto a domicilio. Ma gli scenari più belli di questa grande ricorrenza sono allestiti nelle Ruelles, le tipiche stradine secondarie dove si affacciano gli interni delle abitazioni, i luoghi dove normalmente si ritrovano i bambini a giocare e che oggi sembrano corridoi vestiti a festa, con le file di luci e fantasmi che si perdono da una palazzina all’altra. Siamo organizzatissimi, è difficile che le nostre piccole creature delle tenebre si perdano con noi, con un genitore posto all’inizio della carovana e un altro in coda, con i loro pollici alzati, pronti quando è tempo di muoversi alla successiva postazione. Siamo una squadra imbattibile, ci nutriamo di zuccheri e nessuno ci ferma, tranne i cartelli con su scritto: “PLUS DE BONBONS – Dèsolè!”.

corrispondenze

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Milena Galeoto



spagine

Uva e noci per i santi Medici

racconti salentini

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

di Rocco Boccadamo

I

ntorno al ventisei – ventisette settembre, anche al mio paese natio vige la secolare tradizione e devozione di festeggiare i Santi Medici Cosma e Damiano: celebrazioni, sia di carattere civile (luminarie, addobbi, fuochi d’artificio, complessi bandistici), sia d’impronta meramente religiosa (novena, processione del simulacro dei Santi per le vie cittadine, messa solenne, panegirico). Ovviamente, sull’insieme dei riti, ha man mano inciso l’evoluzione dei tempi e la modifica dei costumi, pur tuttavia, in seno alla sensibilità collettiva, la ricorrenza resiste ancora. A proposito dei venerati fratelli “dottori” e martiri della fede, mi piace tratteggiare, con brevi e semplici accenni, come e con quanta intensità, nelle stagioni passate, fosse vivo il trasporto e l’autentico e convinto credo nei loro confronti, e ciò indistintamente in ogni famiglia. L’occhio di riferimento e i pensieri d’invocazione alla loro aureola e forza di santità rappresentavano in pratica una costante quotidiana, specie alla presenza di problemi o di timori inerenti alla salute e al benessere

fisico, ma anche di là da questi specifici, importanti aspetti esistenziali. Inoltre, frequenti erano i racconti e le testimonianze su apparizioni in sogno delle figure dei Santi in questione al capezzale del bisogno o dell’incertezza o del dubbio. Sì, in ciò non mancava, verosimilmente, l’influsso della suggestione religiosa, ma, comunque, c’era la prova di un legame forte che s’instaurava naturalmente, in ciascuno, sin dall’infanzia, senza mai cedere o venir meno in prosieguo di tempo. Soprattutto, non occorrevano miracoli o prodigi clamorosi, si era, spontaneamente, convinti di avere in Cosma e Damiano una sorta di ala protettrice. In relazione e in concomitanza con la festa dei Santi Medici, mi sovviene un piccolo ma particolare ricordo. C’erano, al paese, due coniugi, zi’ Franciscu (Francesco) e zi’ Pietrice (Beatrice), senza figli, già anziani o quasi vecchi all’epoca della mia infanzia, due persone buone e pie, miti, generose, quasi una coppia di santi sulla terra. Abitavano in una piccola e modesta casetta terranea dietro la Chiesa Matrice, con adia-

cente giardino in cui campeggiavano due “preule” (pergole), antiche come i padroni, con altrettante varietà di grappoli, ovvero uva ”minnivacca” ( o “mennavacca”), per la vaga somiglianza degli acini alle mammelle delle mucche e uva “brunesta” (prunesta) dallo smagliante e luminoso colore blu scuro. Ebbene, il 27 di settembre, insieme con la celebrazione della festa dei Santi Medici, si compiva puntualmente e immancabilmente un’altra cerimonia, sempre identica: zi’ Franciscu e zi ’Pietrice donavano alla mia famiglia un “panareddru” (piccolo paniere) contenente un discreto quantitativo degli anzidetti grappoli, nonché una manciata di noci appena abbacchiate e sgusciate, pure di loro produzione. Un gesto di gentilezza, delicatezza, un atto disinteressato che non richiedeva nulla in cambio, cui i due anziani tenevano con la stessa intensità riferita ai festeggiamenti e alla devozione ai Santi e che, in fondo, era atteso e gradito molto anche dalla mia famiglia. Per molti anni, è toccato a me recarmi a casa di zi’ Franciscu e zi’ Pietrice per ritirare il mitico paniere di uva e noci.


Di una fuga

spagine

in agenda

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

Al Fondo Verri, venerdì 7 novembre, dalle 18, la presentazione di Negroamaro romanzo di Antonello Giurgola per le edizioni Città Futura

Qualcuno mi ha chiesto perchè la Spagna compare nel racconto. Prendo in prestito alcune considerazioni di Bodini elaborate da Oreste Macrì che certo sapranno chiarire questa attinenza. Il piccolo quartiere delle “Scalze” è una specie di “cante jondo” in cui confluiscono le culture arabe e bizantine mischiate all'occidente. Il poeta è il filo rosso;ne cantò i vicoli e le strade e frammenti di memoria sono il presagio di quella Spagna di cui scrisse: “C'è equivalenza e scambio tra due patrie trasfuse ed equipollenti, terra di carrettieri che cantano il flamenco, canto stranissimo ed inquietante come quello del carrettiere leccese che canta sotto la luna sinistra che a forza d'esser bianca esplode come avvolta dentro stracci neri. Questa terra è consapevole di avere un cuore e non sapere che farsene, di essere la radice del vuoto, il negativo materno. Così come il grido del carrettiere il flamenco non è né un ballo né un canto, è una cosa dell'anima. E' una maniera di gridare per dare forma all'oscura ribellione che si dipana nell'aria dietro la voce posata sui fichi o ai piedi di muriccioli di pietre. Sangue arabo a Lecce e in Andalusia. E poi per Madrid ho delle ragioni speciali: sono un italiano del Sud e questa città do-

vrebbe essere la capitale del mio Paese. Combinazione di follia e realismo!”. Così scrive Antonello Giurgola nelle note che accompagnano il suo “Negroamaro”, romanzo edito da Città Futuro - I libri di Icaro. Una narrazione tragica, la sua. Desolata, assediata da parole sbigottite, paradossalmente mute, eppure limpide, sempre consapevoli, mai vane… Un mormorare tenuto in un lungo racconto. Come una confessione. Se non ci fosse la fuga la nostalgia non avrebbe valore e il movimento di cambiamento non troverebbe mèta. “Fuggire per non sentire nelle narici il sapore acido delle alghe che stagnano allo scirocco o il tanfo dei brefotrofi che questa gente venuta dal mare si porta addosso come una seconda pelle” scrive Antonello Giurgola confondendo il destino del sé narrante con le immagini di uno sbarco di clandestini. Un lungo flusso rievocativo attraversa le pagine di questo Negroamaro, impasta l’andatura e il lettore è preso, altro non può, solo continuare a leggere, rigo dopo rigo… tentando anche per lui un “cambiamento”. Un’adesione d’immaginario quella che il viaggio crea in chi, nella fuga, trova ristoro all’inquieto che lo abita. Mauro Marino

Per ricordare Antonio Maglio

L

Il premio giornalistico alla sua quarta edizione punta al “al turismo competitivo... leva di sviluppo socio-economico

’Associazione Amici di Antonio Maglio e il Comune di Alezio, con l’adesione della Presidenza della Repubblica e con la collaborazione e/o il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti, Federazione Nazionale della Stampa, Assostampa di Puglia, Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Lecce, Università del Salento e d’intesa con la famiglia Maglio, bandiscono la Quarta Edizione 2015 del “Premio giornalistico Antonio Maglio”, per ricordare, attraverso la promozione del lavoro dei giornalisti, la figura e le qualità umane e professionali del giornalista salentino Antonio Maglio. IL REGOLAMENTO Articolo 1 a) Sono ammessi al concorso articoli e inchieste pubblicati nel 2014 su quotidiani e periodici italiani, su giornali italiani editi all’estero e su giornali on-line che abbiano come oggetto: “Il rilancio globale di un Turismo competitivo, capace di valorizzare le specificità territoriali, come leva per lo sviluppo socio-economico del sistema-Paese e del Mezzogiorno”. b) Ciascun giornalista può presentare un solo lavoro, facendo pervenire in triplice copia la pagina di giornale o la stampata della pagina web su cui è stato pubblicato l’articolo a propria firma, recanti l’indicazione della testata e la data di pubblicazione.

c) I partecipanti devono presentare domanda di partecipazione al concorso redatta in carta semplice e recante le generalità dell’autore (nome e cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, indirizzo, telefono/cellulare, breve curriculum professionale). d) La partecipazione al concorso è gratuita e la domanda va spedita a mezzo raccomandata a: Associazione Amici di Antonio Maglio, c/o Museo Civico Messapico, via Kennedy, 73011 Alezio (Lecce). e) La domanda dovrà pervenire entro il 28 febbraio 2015.

Articolo 2 a) A insindacabile giudizio della Giuria sarà premiato il migliore articolo: - all’autore dell’articolo primo classificato sarà assegnato un premio di euro 2.000,00. - due attestati di benemerenza saranno assegnati agli autori di altri due articoli giudicati meritevoli. b) Fuori concorso, la Giuria assegnerà un Premio alla Carriera ad un giornalista italiano meritevole di tale riconoscimento. c) I premi ai vincitori saranno consegnati ad agosto 2015 ad Alezio, durante una cerimonia pubblica organizzata dal Comune di Alezio. d) I nomi dei vincitori, la sede, la data e l’ora della premiazione saranno comunicati agli interessati con adeguato preavviso.


Biopolitica del potere spagine

Al Fondo Verri sabato 8 novembre, dalle 21.00 per Le sere dei monologhi l’attore Antonio Ramos

S

in agenda

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

abato 8 novembre, alle 21.00, al Fondo Verri, Presidio del Libro di Lecce, per Artigiana – La casa degli autori, l’attore Antonio Ramos presenta il monologo “Delicatezza” da Dino Buzzati. L’atto è realizzato per la cura drammaturgica in collaborazione con Antonio Palumbo. A seguire un dialogo su potere e violenza a cura del filosofo Carlo Corigliano. Delicatezza é un monologo che trae ispirazione dall´omonimo testo di Dino Buzzati, uno dei più originali autori italiani del Novecento. Il testo è compreso all`interno della raccolta di elzeviri e racconti Le notti difficili, edita nel settembre del 1971, scelta dall`autore in un vasto materiale parzialmente inedito e in gran parte già ospitato da Il Corriere della Sera e da altre riviste. Il monologo offre diverse occasioni di riflessione su alcune dimensioni e dinamiche del potere a partire dal carattere biopolitico che il potere stesso assume in età moderna e contempo-

ranea. Potere che eccede dalla sua forma simbolica per invadere il campo reale della vita e della morte. In scena un prologo musicale nella veste di un canto popolare dell`Andalusia con testo di Ramón María ValleInclán dal titolo La garrota. Il prologo musicale introduce alla scena attoriale ispirata al testo di Buzzati in cui si assiste al dialogo tra il direttore di un carcere e un condannato a morte. L`attore interpreta la voce narrante e il direttore del carcere che strumentalizzando il pensiero di alcuni filosofi cerca di convincere il condannato a non aver timore di morire. Il carattere radicalmente grottesco del dialogo apre importanti spazi di riflessione sia circa il livello di pervasivitá del potere rispetto alle sfere più intime della soggetivitá, sia circa la burocratica banalitá del discorso di potere. A seguito del monologo si proporranno degli spunti di pensiero per dare avvio ad una possibile discussione con il pubblico.

Durata monologo: 25 minuti

Soltanto un filo nero Ad illustrare un dipinto di D. Buzzati

Lunedì 10 aprile dalle 18.00, con la “mostriciattola” Ratatiles’inaugura, in via delle anime 4, a Lecce uno spazio che Paola Torsello dedica alla ricerca creativa e al counselling

A

l di là di ogni interpretazione antropologica, psicologica e psichiatrica, i cui diversi punti di vista confluiscono sul fenomeno del tarantismo, ratatile non nasce con l'intenzione di intrufolarsi in studi complessi e impegnativi. Il discorso è molto più semplice e fantasioso: ratatile è un filo nero che descrive trame e forme della lycosa tarantula, il ragno salentinoche con il suo morso procura stati di trance e agitazione emotiva, una scrizione di segni e di intrecci talvolta in ripetizione, una divagazione grafica di narrazioni in movimento, una sfida manuale ed espressiva concepita per affermare spontaneità e sentimenti senza incorrere in giudizi. Paradossamente, il senso creativo consiste nel bisogno di de-privare di senso alcune figure contemporanee, nel tentativo di riconsegnare le cose alle persone e alla società, così come avvengono e non perché avvengono. E' l'epoca delle interpretazioni, il riassunto di attività stereotipate, dove si fa un gran parlare di esistenze, bisogni e conflitti

umani, senza però rapportarsi con le persone, senza condurre esperienze insieme, snaturando e oggettivizzando umanità e ambiente. Pertanto, se le emozioni sono espropriate, se le necessità personali sono trascurate, se l'intera storiadella Taranta è stata reinterpretata da fuorvianti iniziative commerciali, ratatile vuole essere espropriazione attiva, espropriazione di arte e di progettualità, in cui la mano e la penna fluiscono istinti e narrano incontri.

Paola Torsello non si definisce un'artista, anzi ne rinnega il termine, sottolineando che in una società dominante impegnata a separare coscienze e unità, nessun uomo può esprimere completamente sé stesso liberamente, tantomeno concedersi l'istinto delle emozioni più profonde senza inciampare in contaminazioni giudicanti, come il bello ed il brutto, il buono e il cattivo... Quindi afferma e sostiene che la creatività appartiene a tutti e che ognuno a suo modo, può essere un inventore di tecniche, di visioni pittoriche, un collezionista di storie.


spagine

in agenda

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

V

enerdì 14 novembre, dalle 18.30, al Fondo Verri, a Lecce, in via Santa Maria del Paradiso 8.a, per Artigiana La Casa degli Autori, la Contrada del poeta, ha l'onore di presentare al pubblico leccese il filosofo Sergio Vuskovic Rojo. Converseranno con lui Giovanni Invitto e Maurizio Nocera.

Sergio Vuskovic Rojo è uno dei massimi filosofi e letterati cileni, conosciuti in tutto il mondo e soprattutto in America Latina. Già senatore della Repubblica. Con nomina del Presidente Salvador Allende, è stato sindaco di Valparaiso dal 1971 al 1973. In quanto sindaco della sua città, i militari del colpo di stato di Pinochet lo arrestarono l'11 settembre 1973, sottoponendolo alla tortura e, successivamente, ad anni di reclusione nei campi di concentramento. Solo dopo uno scambio tra il dittatore Pinochet e papa Woytila, il quale ultimo si impegnò a visitare il Cile, Sergio Vuskovic, assieme a qualche altro recluso, fu liberato e confinato in Italia, a Bologna, dove insegnò Filosofia nell'Università di Bologna per circa dieci anni. Amico personale di Allende e di Pablo Neruda, è uno dei pochi superstiti rimasti ancora in vita che ha conosciuto direttamente il grande Poeta dell'Amore. Ad illustrare, Sergio Vuskovic ritratto da Antonio Massari


spagine

spettacolo

della domenica n°50 - 2 novembre 2014 - anno 2 n.0

copertina

R

egalatevi l’emozione di assistere ad un evento unico in uno spazio suggestivo come quello di un tendone di circo contemporaneo. È arrivato il Circo contemporaneo a Brindisi con la prima edizione di rassegna internazionale! Un evento dal 2 al 16 novembre, con otto spettacoli e ventiquattro repliche più un progetto speciale; uno chapiteau montato per l’occasione su Lungomare Regina Margherita; cinque compagnie tra le più importanti realtà di circo contemporaneo nel panorama internazionale: Compagnia Circo El Grito, Teatro Necessario, La Rusparocket, Cia Dromosofista, Marco Zoppi I Circondati; due settimane di spettacoli matinèe per le scuole, serali e pomeridiane. Non aspettate a prenotare... Posti limitati! Biglietti ridotti per gruppi organizzati (min. 15 persone) Solo 5 euro per chi promuove l’Ecosostenibilità: vieni in autobus, in bici, con BlaBlaCar. Da Lecce, sabato 8 febbraio, è prevista una speciale bus navetta per lo spettacolo DRUM & CIRCUS, la partenza è previstaalle 19,50 da piazzale Carmelo Bene/Foro Boario

www.teatropubblicopugliese.it

il rientro dopo lo spettacolo, il biglietto con navetta inclusa è di 7 euro Dopo il successo nei teatri europei, la compagnia El Grito torna al sud ma questa volta porta con se il suo circo, i suoi spettacoli e altre cinque compagnie provenienti dall'Italia, dal Belgio e dalla Spagna e si pone l’obiettivo di rendere la città di Brindisi e il tendone del Circo El Grito luoghi simbolo del circo contemporaneo, offrendo al pubblico pugliese una rassegna dedicata a questo nuovo linguaggio artistico.

La rassegna, a cura della Compagnia Circo El Grito, rientra nel progetto Internazionalizzazione della Scena, nell’ambito del programma operativo FESR, affidato dalla Regione Puglia al Teatro Pubblico Pugliese, che organizza questo appuntamento unico per la stagione di prosa 14/15 di Brindisi, in collaborazione con la Fondazione Nuovo Teatro Verdi. Info e prenotazioni entro il 4 novembre 340.3129308 - 3206704737

Per il programma completo cliccare sotto...

www.fondazionenuovoteatroverdi.it


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.