Un paese e cento storie. Cronache e ricordi tra Montelevecchie e Belvedere Fogliense

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cronache e ricordi tra Montelevecchie e Belvedere Fogliense





Comune di Tavullia

Un paese e cento storie

cronache e ricordi tra Montelevecchie e Belvedere Fogliense a cura di Cristina Ortolani



Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo di


Un paese e cento storie - cronache e ricordi tra Montelevecchie e Belvedere Fogliense concept e cura editoriale Cristina Ortolani le fotografie e i documenti riprodotti appaiono con l’autorizzazione dei proprietari e degli aventi diritto i testi e le illustrazioni di Cristina Ortolani e l’immagine La scatola dei ricordi sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione Non commerciale Condividi allo stesso modo” 2.5 Italia per gli altri testi © Comune di Tavullia 2007 in copertina: elaborazione grafica di un disegno di don Giovanni Gabucci per informazioni: Comune di Tavullia, tel. 0721 477904; mercolini@comuneditavullia.it; www.comuneditavullia.it Un paese e cento storie - festa d’autunno per Belvedere Fogliense, 10-13 novembre 2005 concept Cristina Ortolani coordinamento generale Susanna Mercolini - Comune di Tavullia hanno collaborato Pro Loco Fogliense, Parrocchia di San Donato, Belvedere Fogliense


Come afferrare ciò che non è mostrato, ciò che non è stato fotografato, archiviato, restaurato, messo in scena? Come ritrovare quel che era piatto, banale, quotidiano, quel che era normale, quel che accadeva tutti i giorni? Georges Perec, Ellis Island





Per la quarta volta abbiamo deciso di affidare alla carta stampata il racconto di una festa: dopo Tombari, il primo TavulliaVale e il restauro del “castello” di Tavullia esce Un paese e cento storie. Non semplicemente un Quaderno, stavolta, ma un vero e proprio libro. Un paese e cento storie nasce a un anno dall’inaugurazione dei lavori di recupero e restauro del centro storico di Belvedere Fogliense e ripercorre i momenti salienti di quell’evento. La ricchezza del materiale raccolto per la mostra allestita tra novembre e dicembre 2005 nel salone comunale, l’entusiasmo con cui i cittadini hanno partecipato in mille modi alla preparazione della festa e contribuito al suo felice esito, la soddisfazione di vedere un paese in qualche modo rinato e restituito alla bellezza di un tempo, ci hanno indotto a pubblicare un volume a sé, più ricco e completo, corredato da un dvd. Di quei tre giorni di festa nell’antica Montelevecchie ciò che più mi piace evidenziare sono le sequenze delle cene in famiglia per le quali un intero paese ha aperto le porte di casa accogliendo gli ospiti come invitati di riguardo e insieme come vecchi amici, tra tordi allo spiedo, tagliatelle e liquori fatti in casa. Un’atmosfera indimenticabile che si è ripetuta anche la sera della festa in piazza e che le cento storie di Belvedere non mancheranno di rianimare nelle prossime edizioni, in altre occasioni di incontro e di allegria. Come pochi altri paesi Belvedere Fogliense ha saputo mantenersi fedele alle tradizioni e questo volume vuole essere, come gli altri che abbiamo realizzato, un gesto di affetto verso la nostra comunità e un modo per conservare la memoria del passato senza la quale non c’è presente e non ci sarà futuro. Un ringraziamento particolare da parte dell’Amministrazione va a tutti coloro che, dai cittadini alla Pro Loco Fogliense alla curatrice dell’iniziativa Cristina Ortolani, hanno contribuito alla buona riuscita della festa, per l’impegno e la competenza con cui hanno svolto il loro lavoro. Il sindaco di Tavullia Bruno Del Moro

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Poche parole restano da aggiungere alle pagine che seguono, composite come un album di ricordi e, ci auguriamo, altrettanto coinvolgenti. Chi ha partecipato alle cene in famiglia e alla festa in piazza ritroverà almeno un poco del tepore di quei giorni, che nemmeno l’immancabile nebbia di San Martino è valsa a smorzare; a chi non c’era, invece, consigliamo di iniziare la lettura da pagina 191, dove abbiamo riportato per intero il volumetto di ricordi e ricette In cucina a Montelevecchie, perché proprio in cucina, tra torte di mele e vecchie scatole di fotografie, questa avventura ha mosso i primi passi. Insieme con una quantità di documenti e notizie tratte dalla stampa e da testimonianze orali, le fotografie occupano la parte più consistente del volume, dedicata all’esposizione allestita presso il salone comunale di Belvedere Fogliense nell’autunno 2005. Materiali perlopiù inediti, che ripercorrono la storia e le storie di Montelevecchie e di Belvedere Fogliense tra la fine dell’Ottocento e gli anni della II guerra mondiale, affacciandosi talora oltre questi confini temporali, come nel caso della sezione dedicata alle maioliche. Una narrazione pensata come un ipertesto, integrata dal video allegato al volume, dove volti e scorci si alternano in un racconto più immediato, più vicino ai cortocircuiti della memoria - o alle intermittenze del cuore. Grazie davvero al paese di Belvedere Fogliense e ai suoi abitanti, senza i quali questo incanto non si sarebbe avverato. Ancora una volta, buona lettura. c.o.

Rinnovo qui il mio ringraziamento al sindaco Bruno Del Moro e a tutta l’Amministrazione Comunale per avere da subito creduto nella proposta insolita delle cene in famiglia e nell’importanza di raccontare la festa attraverso un libro e un dvd; a Susanna Mercolini e a tutti i dipendenti del Comune di Tavullia che si sono impegnati nella realizzazione dell’iniziativa; a Stefano Bartolucci e Cesare Francolini, che hanno rispettivamente composto le musiche e curato il montaggio del video; ad Alberto Giorgi, autore dello studio sulle maioliche di Montelevecchie; alla Pro Loco Fogliense, che con entusiasmo ha preparato in ogni dettaglio la festa in piazza e, infine, a don Igino Corsini, direttore dell’Archivio diocesano di Pesaro, per la gentilezza con cui mi ha messo a disposizione i materiali del Fondo Gabucci.

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Un paese e cento storie festa d’autunno per Belvedere Fogliense, 10-13 novembre 2005 Programma giovedì 10 novembre ore 20 - Cena ‘in famiglia’ venerdì 11 novembre, San Martino ore 20 - Cena ‘in famiglia’ sabato 12 novembre ore 18 - piazza Montefeltro Inaugurazione dei lavori di recupero del centro storico e saluto delle Autorità Apertura della mostra fotografica nel salone comunale ore 19,30 - Assaggio di cibi tradizionali e vino novello Festa e danze intorno al fuoco con i “Bevano Est” ore 21,30 - Spettacolo pirotecnico domenica 13 novembre ore 17 - 19 Apertura della mostra con visite guidate

la festa è stata realizzata con la collaborazione di Pro Loco Fogliense

si ringrazia Parrocchia di San Donato - Belvedere Fogliense 15



10 novembre 2005 - Le ‘cene in famiglia’



A casa di Ida e Matteo Bartolucci

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A casa di Mariagrazia Stocchi e Francesco Bartolucci_1

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Mariagrazia molto gentilmente ha sostituito Rosanna Sparaventi, che non ha potuto prendere parte all’iniziativa come previsto dal programma, cucinando per entrambe le sere delle “cene in famiglia�


A casa di Marcella Ugolini e Mario Del Baldo

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A casa di Maria Bartolucci e Franco Gaudenzi

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11 novembre 2005, San Martino - Le ‘cene in famiglia’



A casa di Mariagrazia Stocchi e Francesco Bartolucci_2

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A casa Forlani

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A casa di Maria Stefani e Angelo Generali

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A casa di Rosanna Spinelli e Italo Giunta

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A casa di Loretta Mariotti e Bruno Sabbatini

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12 novembre 2005 - La festa in piazza



L’Inaugurazione dei Lavori: il Taglio del Nastro

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La Mostra

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La Festa in Piazza

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Backstage - la Preparazione della Festa

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Backstage - la Preparazione della Mostra

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Arrivederci!

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Un paese e cento storie - l’esposizione


Un paese e cento storie festa d’autunno per Belvedere Fogliense, 10-13 novembre 2005

La mostra (12 novembre - 8 dicembre 2005) progetto, ricerche e realizzazione Cristina Ortolani e Simonetta Bastianelli con la collaborazione di Susanna Mercolini direzione tecnica Giuseppe Leardini coordinamento stampa pannelli Antonio Zaffini montaggio video Cesare Francolini ha collaborato Simona Ortolani Testi Cristina Ortolani Montelevecchie, 1860-1900 La Valle del Foglia Montelevecchie, dal 1900 alla Grande Guerra Merica, Merica! Belvedere Fogliense, gli anni ‘20 1921- ‘26, Belvedere si veste a nuovo “Piccola Città” Gli anni ‘30 “Amarcord” Simonetta Bastianelli 1886, cronaca di una demolizione annunciata Uno sguardo sul passato I fratelli Macchini, orologiai Lavori in corso Notizie dalla Valle 1922, Belvedere Fogliense “Prima del Fronte. Dopo il Fronte”


Avvertenza Le pagine che seguono riproducono con poche varianti dovute a esigenze di impaginazione i pannelli dell’esposizione fotografica-documentaria Un paese e cento storie. Il pannello dedicato alle maioliche di Belvedere Fogliense è stato sostituito dal più approfondito studio di Alberto Giorgi (pag. 171), che aveva già fornito le notizie riportate brevemente in mostra. Le indicazioni bibliografiche e le referenze iconografiche sono date in forma sintetica nei testi delle diverse sezioni e riportate per esteso a pag. 169. Salvo diversa indicazione i documenti citati e riprodotti provengono dall’Archivio Comunale di Tavullia. Il corsivo identifica le citazioni da documenti, pubblicazioni e testimonianze orali; tra [ ] le note dei redattori.



Ai cittadini di Belvedere Fogliense

Con soddisfazione festeggiamo, in questo inizio di autunno, la fine dei lavori di recupero e restauro del centro storico di Belvedere Fogliense con cui abbiamo cercato di restituire al paese bellezza e dignità antiche. Vi ringrazio per la pazienza e la disponibilità a capire le difficoltà che abbiamo incontrato nel portare a termine le opere messe in cantiere, ma soprattutto rendo omaggio all’entusiasmo con cui avete collaborato all’organizzazione dei festeggiamenti aprendo le vostre case, anche nei loro luoghi più intimi: i cassetti dei ricordi e delle memorie personali. E’ un segno di matura cittadinanza e di attaccamento ai luoghi e alle tradizioni che vi fa onore. Il lungo percorso fatto fin qui con la realizzazione di complessi lavori di recupero dei nostri centri storici, la pubblicazione di libri sulla storia recente e passata del Comune, mostre, convegni, indagini d’archivio, si arricchisce, dunque, di un altro tassello e mai come questa volta dobbiamo ringraziare i cittadini per la preziosa collaborazione. Un ringraziamento anche alla Pro Loco per l’allestimento dei festeggiamenti con l’augurio che la loro riuscita sia almeno pari all’entusiasmo e alla generosità con cui sono stati organizzati. Il Sindaco Bruno Del Moro

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1886, cronaca di una demolizione annunciata

1886. Tredici capifamiglia di Montelevecchie, saputo che i compratori della rocca intendono demolirla, firmano una petizione rivolta ai consiglieri di Tomba affinché pongano ostacolo all’effettuazione di tale demolizione… in quanto la detta rocca costituisce un monumento storico antico, che si vuole dover essere rispettato. Il Sindaco prende tempo chiedendo ai proprietari della rocca di sospendere i lavori per l’atterramento della torre onde evitare qualunque dispiacevole inconveniente. E di inconvenienti ce n’erano stati: più volte, ci racconta don Giovanni Gabucci giunto a Montelevecchie nel 1922, gli operai venuti per la demolizione furono cacciati a sassate.

La petizione con la quale i capifamiglia di Montelevecchie cercarono di impedire la demolizione della rocca

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Ma gli abitanti di Montelevecchie avevano fatto pervenire il reclamo anche al Prefetto che subito formalizza la sospensione dei lavori di demolizione, restando nel frattempo in attesa delle necessarie notizie storiche per dare le debite disposizioni. Prima degli ultimi compratori, Icilio Zaccarelli e Federico Berti di Mondaino, la rocca fu di proprietà della eccellentissima casa Albani. Il marchese Ciro Antaldi con il cavalier Giuseppe Vaccai furono nominati dalla prefettura tra i membri della commissione che si doveva esprimere sui pregi artistici e storici della rocca; la Giunta comunale nominò l’ingegnere Romolo Mengaroni assegnandogli il compito di verificare se l’atterramento della torre potesse recare danno alle case dell’abitato.

Dall’alto: due disegni a penna di Giuseppe Vaccai, Stato della Rocca al 1886; disegno di don Giovanni Gabucci da Vaccai (Archivio Diocesano di Pesaro)

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Il 24 ottobre 1886, la funesta risposta del Prefetto al Sindaco: la Commissione conservativa dei monumenti… ha riconosciuto che il detto fortilizio non ha nessun pregio né artistico né storico. Ed infatti in niuna storia del Medioevo è fatta mai menzione di questo castello o torre [!]. Da ciò… non si può impedire al proprietario di demolire. Ad onta di ciò, avuto riguardo all’amore che quei terrazzani portano al loro luogo natale, la commissione consiglia di trattare col proprietario per una vendita o un’enfiteusi, allo scopo di secondare il parere esternato dalla Commissione e il desiderio dei reclamanti e di calmare gli animi alquanto esacerbati. Il 15 dicembre l’Amministrazione comunale, impegnata in vistose spese obbligatorie delibera di non acquistare la torre. Il 2 gennaio 1887 la Giunta visto che il sig. Mengaroni Romolo pel referto sulla convenienza o meno dell’atterramento della torre di Montelevecchie, non dimanda che il rimborso di lire 16,00 da esso spese per la vettura, la Giunta delibera che siano pagate…

In questa pagina e alla seguente: 1851, disegni di Romolo Liverani (Faenza 1809-1872), da D. Bischi in Tavullia fra Montefeltro e Malatesti, 1986

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Da una lettera di G.A. Lazzarini a A. Degli Abati Olivieri, del 1757: Merita di non esser posto in oblivione quanto mi diceste… della rocca di Montelevecchie di cui mi faceste osservar le pitture fatte eseguire da Malatesta Senatore verso il termine del XIV e il principio del XV secolo… Il Lazzarini vide una figura più leggiadra delle altre, rappresentante forse un Ercole in atto di scoccare una freccia. Il notabile svanimento di quella figura e un particolare gusto antico a grottesco gli fanno sorgere un dubbio: o si tratta di pitture già rinascimentali oppure bisogna saltare tutti i bassi secoli per giungere fino ai tempi più colti e floridi dell’impero Romano (da G. Allegretti in Tavullia - Tomba, Montelevecchie, Monteluro nei secoli XVI-XIX, 2000). Olivieri, nello stesso periodo, vide affreschi con tanti puttini che tenevano in mano gran targhe con la scacchiera, arma dei Malatesti. Un secolo dopo è il Liverani a descrivere: si scorgono in alto dipinti del 1350 con molti stemmi malatestiani e nel 1880 C. Ferrini annota di aver visto affreschi in figura ed ornato a guazzo (da D. Bischi, cit.).

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Uno sguardo sul passato

Dell’antica rocca di Mons Vetularum e del suo ardito ponte, non restano che alcuni disegni, uno secentesco e altri ottocenteschi.

Dall’alto verso il basso: F. Mingucci, Il castello di Montelevecchie, 1626; autore e data ignoti, riproduzione da un dipinto, in D. Bischi, cit.; dipinto della rocca (proprietà privata)

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Rocca di Montelevecchie - Comune di Tomba di Pesaro. Atterrata nel 1886 - 1887. Descrizione e disegno fatti all’epoca dell’atterramento. Facciata Nord-Est larga mt. 9,80; Facciata Sud-Est larga mt. 9,60; Altezza della Rocca mt. 22. Torrione quadrato largo mt. 5,10. Alto mt. 28,50. Spessore dei muri del torrione mt. 1,25. Molto prima vi erano 3 piani ed una scala in murato. Al 2° piano si vedevano varie pitture in figure ed ornato a guazzo, ma di nessun pregio [sic]. Nel centro della rocca eravi una cisterna [?] senza parapetti e vicino una grotta. Nel sottosuolo si sono rinvenute, nella demolizione, delle stanze. Torrione di sotto, quadrato, largo mt. 3,30, alto mt. 20. Al punto G vi era un’apertura, ossia un vano al quale si scendeva dallo stradottolo E il quale era lungo mt. 16 e comunicava colla porta H e colla strada di circonvallazione attorno alla rocca e torrione (ma che non figura nel disegno) larga mt. 2,50. Macigno che trovasi sopra lo stradottolo. E’ alto mt. 1,95, lungo mt. 2,30, probabilmente avanzo dei muri di difesa dello stradottolo D. Archi gotici alti mt. 10, larghi mt. 3,20. Spessore del muro mt. 1,30. Ciro Ferrini di Montegridolfo misurò ed eseguì.

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1880 ca, disegno di Ciro Ferrini (1854-1925) (proprietà Fam.Walter Macchini, Pesaro)


La prima citazione del toponimo Mons Vetularum risale al 1228, ma il castello deve essere più antico e abbastanza popolato, come la sua strategica collocazione geografica e la lettura delle Rationes decimarum di fine Duecento lascerebbero pensare. L’Olivieri riporta una carta del 1283 ove il castello è indicato come possesso del Comune di Pesaro sebbene appartenesse di diritto al Vescovo di Pesaro. 1922, don Giovanni Gabucci: copia del disegno di Ciro Ferrini, all’epoca proprietà di Nazzareno Olmeda (Archivio Diocesano di Pesaro)

La descrizione di questo disegno è qui di fronte, come l’à stesa il Ferrini nel quadro di proprietà del Dott. Cav. Uff. Nazzareno Olmeda Notajo di Montelevecchie, che gentilmente me ne permise la riproduzione nel 1922 durante il mio... esilio lassù (descrizione del disegno ripresa dal Ferrini, dai taccuini di don Giovanni Gabucci).

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Nel 1330 quel castello di confine rischiava di rimanere disabitato: molti se ne andavano per le pesanti sanzioni e i frequenti danni subiti a opera di ribelli e infedeli, specialmente urbinati, trovandosi il castrum sul confine dei territori di Rimini, Urbino, Pesaro. Allora il popolo di Montelevecchie si rivolse alla Chiesa, che in qualche modo rimediò poiché nel 1355 il castello sembra riprendere vita (G.Vaccai). La possente rocca forse fu voluta dai Malatesta, sicuramente da loro occupata. Una bolla papale del 1334 indirizzata contro Malatestino Malatesta gli ordinava di abbandonare subito il castello di Montelevecchie da lui occupato con la forza (O.T. Locchi). La rocca segue le intricate vicende storiche della zona: la tengono i Malatesta, la ‘custodisce’ Gian Francesco Gonzaga, passa ai Della Rovere che la cedono al conte Girolamo Ubaldini; sarà quindi degli Antaldi prima di essere acquistata dai mondainesi Zaccarelli e Berti. Sotto l’altare della cappella della Rocca fu rinvenuto un corpo, creduto del Beato Ugolino Malatesta delle Camminate, ritiratosi, secondo il Clementini, nel 1300, a vita penitente in un piccolo terreno isolato sul Foglia, detto “Selva della Madonna”. La tradizione, in contrasto con l’analisi stilistica dell’opera, vuole che lui stesso abbia scolpito la splendida statua lignea di Maria, ora nella chiesa parrocchiale di San Donato.

Dai taccuini di don Giovanni Gabucci: la lapide conservata nella sacrestia della chiesa di San Donato (Archivio Diocesano di Pesaro). Christus venit in pace et deus homo factus est (Gabucci la dice del XII sec.), cm. 28x52; altezza delle lettere cm. 4. La lapide forse si trovava alla Rocca: o nell’arco di entrata al castello o all’esterno della cappella della rocca stessa. Prima di essere sistemata in sacrestia fu utilizzata come scalino della cantina della casa parrocchiale. 58


Nel luglio del 1925, il vescovo Bonaventura Porta, trovandosi a Rio Salso per la benedizione della nuova chiesa di Sant’Agnese, permise la demolizione di un muro in folio dalla parte del corridoio comunicante tra la casa parrocchiale e la sacrestia, ove si sapeva esistere una cassa di legno con un corpo ritenuto del Beato Ugolino Malatesta delle Camminate. Porta constatò l’esistenza della cassa di legno, fasciata con fettucce bianche e sopra un bastone d’olivo. Nel corso della ricognizione del 1925 si trovarono i sigilli manomessi nel 1867, all’epoca dei lavori alla chiesa.

In questa pagina e alla seguente: dai taccuini di don Giovanni Gabucci, documenti relativi alla ricognizione sul cadavere del Beato effettuata nel 1925. Nei disegni di don Gabucci è chiaramente visibile il ‘finestrino’ da cui i fedeli potevano osservare l’interno della cassa (Archivio Diocesano di Pesaro)

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Montelevecchie, 1860-1900

Montelevecchie, disegno di Angelo Mosconi, 10 luglio1856

Nel 1881, anno in cui il Prefetto Giacinto Scelsi redige la sua Statistica della provincia di Pesaro e Urbino, la borgata Montelevecchie conta 147 case abitate, delle quali 38 nel castello e 109 sparse nelle campagne. Gli abitanti del castello sono 115 mentre le persone con dimora stabile nelle campagne risultano essere 704. La sagoma possente della Rocca domina il paesaggio nonostante le sue condizioni precarie; per il resto l’assetto del paese non è molto dissimile da quello attuale: la collettoria postale si affaccia sulla piazzetta, ed è ospitata insieme alla scuola elementare nella Casa comunale. Al posto della sede del Dopolavoro (oggi salone comunale) ci sono gli orti e resiste ancora, sotto le mura, la chiesa di San Sebastiano, con l’omonima Confraternita. L’illuminazione del paese è affidata all’accenditore di fanali pubblici Arcangelo Olmeda che sul finire del 1885 chiede di essere rifermato nell’incarico ma, insoddisfatto per il compenso di 70 lire annue, inferiore all’importo della spesa necessaria pel consumo del petrolio, fa istanza che lo stipendio sia portato perlomeno a lire 100 all’anno.

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Il Registro della scuola mista diurna per l’anno scolastico 1869-1870. Maschi sezione media: Bonifazi Augusto, di anni 14; Olmeda Nazzareno (16); Bernardi Elpidio (11) e Ciriaco (9); Cecchini Clemente (9); Agustini Giovanni (13). Sezione inferiore: Macchini Celeste (8) e Davide (9); Olmeda Francesco (7); Cecchini Sabatino (7), Ernesto (6) e Domenico (10); Giunta Serafino (7). Femmine - sezione media: Rosa Marcolini (18); Bernardi Amalia (13). Sezione inferiore: Angela Giunta (6), Maria Cecchini (6), Angelica Pagnoni (9).


Già dal 1823 il castello di Montelevecchie può vantare una scuola all’interno delle mura; nel 1870 funzionano nella borgata una scuola elementare mista diurna con 13 maschi (dai 6 ai 14 anni di età) e 5 femmine (tra i 6 e i 18 anni) e una maschile serale con 25 iscritti dai 13 ai 40 anni. Il maestro, munito di patente inferiore, è Gioacchino Bettini: trentaduenne nativo di Isola di Fano, coniugato con prole, percepisce uno stipendio di 650 lire annue (alla stessa data lo stipendio annuale di un medico si aggira intorno alle 3.000 lire, mentre un muratore è retribuito giornalmente con circa 1 lira e 50). Il maestro Bettini succede alla maestra Amalia Zaja di Casale Monferrato, che aveva a sua volta preso il posto del pesarese Gioacchino Andreani. Nell’anno scolastico 1869 - ‘70 è attiva anche una scuola a Rio Salso, consorziata con Mondaino. Secondo la statistica Scelsi in tutto il Comune di Tomba sanno leggere 123 maschi e 30 femmine; non sanno leggere 1307 maschi e 1250 femmine.

Effetti della scuola in Montelevecchie nel 1870: due panchi; un pallottoliere; una lavagna; quadro pesi e misure; un cavaletto [sic] per le tabelle per la lettura, crocifisso; ritratto del Re con cornice; righino di ferro; due tavolette da rigare; calamai, n. otto; un paio di tendine per la finestra della scuola; tabella indicante Scuola Comunale; sillabario; storia sacra ossieno i Cento racconti;Troja 1° e 2° libro di lettura; Cuniberti Catechismo; Prime nozioni grammatica copie 3; un tavolino con sua serratura, e chiave; seggiola per il maestro (non è mai esistita stata essendo dell’Andreani); una bandiera. Trent’anni dopo una lettera dell’ispettore scolastico al Sindaco, datata 21 aprile 1901, descrive così la situazione della scuola del paese (maestra per quell’anno scolastico era Elvira Caffarelli Bartolucci): ho visitata jeri la scuola mista di Montelevecchie, e, con dolorosa sorpresa, ho trovato che in essa manca ancora il ritratto del Re Vittorio Emanuele III; l’armadio, e che nel passato inverno cotesto comune non vi ha mandato, com’è prescritto, il combustibile pel riscaldamento del locale nell’apposito caminetto. Nella scuola stessa (assai frequentata a differenza di quella di Monteluro) gli alunni di 2° e 3° classe son costretti di recarsi ad intervalli alla lezione, e ciò con grave illegalità e con danno del loro profitto, perché mancano due o tre banchi per dar posto a tutti i frequentanti. 63


Nel 1870 operano nel castello di Montelevecchie due muratori, Agapito (nato nel 1812) e Gaetano Macchini detto Milordo (1829-1916), lontani cugini, e un armarolo, Nicola Macchini: tutti lavorano e abitano in casa propria. Di lì a poco il nipote di Nicola, che porta lo stesso nome del nonno, intraprenderà con successo insieme al fratello minore Giuseppe una duratura attività di orologiaio. Sempre nel 1870 Terenzio (1851-1925), figlio di Agapito, subentra a Gaetano nella carica di portalettere rurale; la moglie di Terenzio, Vittoria Branca, nata a Sant’Angelo in Lizzola nel 1861 (morirà nel 1938), è tra le prime donne della zona a svolgere le mansioni di procaccia, collaborando alla distribuzione della posta. Signora di gran carattere, Vittoria non esitava, quando in paese si verificavano disordini, ad affacciarsi sulla piazza imbracciando la carabina. Negli anni successivi Mario, il figlio di Terenzio e Vittoria, sarà ufficiale postale, mentre più avanti (fino agli anni ‘90 del Novecento) ritroveremo allo sportello delle Poste Italiane una pronipote di Gaetano, Liliana Macchini.

Terenzio Macchini e sua moglie Vittoria Branca, circa 1910 (raccolta Fam.Walter Macchini)

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Foto di gruppo, anni 1910 - ‘20. Si riconoscono, da sinistra verso destra Felice Belli, Augusto Bartolucci,Terzo Generali (raccolta Vera e Celestina Generali, Belvedere Fogliense)


I documenti dell’Archivio Comunale nominano tra gli Utenti pesi e misure per il 1870, presso le case sparse di Montelevecchie, anche Vincenzo Gianotti fornaciajo (loc. le Fornaci) e Davide Scattolari, mugnaio in Strada delle Fonti (la strada che scende alla Val Mala attraversando la collina).Verso Montegridolfo, in via Carpineta, abita e lavora il bottajo Giuseppe Ortolani mentre al Botteghino troviamo l’oste Luigi Bartolucci. Osteria, macello e anche un forno sono presenti a Montelevecchie almeno dagli ultimi anni del Seicento Nel 1880 il Registro pesi e misure comprende per il castello di Montelevecchie un venditore di carni e macellaio, Matteo Bartolucci detto Canton (1840-1918) e un rivenditore di vino, Pietro Giorgi; il fratello di Matteo, Luigi (nato nel 1848), è registrato nei documenti come calzolaio ed è sposato con la maestra Elvira Caffarelli. Matteo e Luigi sono figli di Domenicantonio e Teresa Sanchini, ed entrambi sono nati a Cereto di Saludecio. Ben presto Matteo Bartolucci, insieme con il figlio Augusto, amplierà la propria attività fino a farne la più fiorente osteria del paese. In una delle stanze della vecchia osteria oggi si riuniscono, davanti al camino e intorno alle pietanze preparate dalla signora Ida, i suoi pronipoti. Il Libro dei conti della macelleria Bartolucci (raccolta Fam. Bartolucci, Belvedere Fogliense). A fianco: fotografie scattate da don Giovanni Gabucci (segnalate da don Orlando Bartolucci, parrocchia di Santa Maria Assunta, Montecchio)

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Queste foto sono state scattate da don Giovanni Gabucci durante uno dei suoi numerosi soggiorni a Montelevecchie. Se i nostri testimoni sono concordi nel ricordare in Pian pian un abitante di Mondaino che spesso ‘sconfinava’ in terra di Marche, meno sicura è l’identificazione della Batoca. Di certo appartenente alla famiglia Bernardi (con questo soprannome i Bernardi del castello compaiono almeno dal 1853 negli Stati delle anime della parrocchia), la signora del ritratto potrebbe essere Maria Rulli, moglie di Domenico Bernardi.

Soprannomi, da Stato d’anime della Parrocchia di San Donato in Montelevecchie dall’anno 1904 al 1920 (Archivio Parrocchiale di San Donato) Bigio (Luigi Marchegiani), Terlinghino (Amato Giunta), Vidale/Videl (Antonio Cecchini), Cantone (Matteo Bartolucci), Patenta (Albina Pieri), Chelonza (Fossari Andrea), Cerquillo (Gaspare Amatori), Brindolino (Francesco Spezi), Bigello (Sante Generali),Gnà (Clemente Massalini),Grandicello (Luigi Belli),Violino (GirolamoTiboni), Piganón (Agostino Rossi), Augello (Pietro Generali fu Sante), Rabbino (Nazzareno Cecchini), Pozzolo (Raffaele Antonelli), Righino (Vincenzo Viola), Piatolino (Francesco Pieri), Bigión (Luigi Bertuccioli), Boccalino (Luigi Mancini), Bartolino (Paolo Lucarelli), Pelato (Cesare Terenzi), Caplón (Ercolano Giorgi), Gattino (Nazzareno Guidi detto Lazzaro), Bibella (Augusta Nicoli), Faloppa (Giuseppe Bannini), Fafino (Giuseppe Ottavio Belli), Natalón (Serafino Lucarelli), Scidorio (Ciriaco Bernardi), Casanova (Adamo Pagnoni), Tracosso (Amato Crescentini), Bagarino (Domenico Franca).

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Questa ricostruzione ha come base la mappa del Catasto gregoriano (1830 circa, a sinistra), pubblicata da Girolamo Allegretti in Tavullia - Tomba, Montelevecchie, Monteluro nei secoli XVI-XIX, cit.; le indicazioni relative a edifici pubblici, negozi e abitazioni citati nel nostro racconto si riferiscono a un periodo compreso tra il 1870 e il 1970 circa. Il colore azzurro indica la zona dei lavori di recupero e restauro portati a termine nel 2006; il colore rosso scuro indica gli edifici costruiti dopo la stesura della mappa del Catasto gregoriano.

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I fratelli Macchini, orologiai

1871. Il Sindaco di Tomba alla Camera di Commercio ed Arti di Pesaro: Questo comune al paro di molti altri non sarebbe fra i notevoli in punto arti, industria e commercio… Senonché in Montelevecchie frazione di questo comune esiste certo Nicola Macchini oriundo di quel luogo che al mestiere di abilissimo armaiuolo unisce, non ha molto, insieme al fratello germano Giuseppe, quello di pur abile costruttore di orologi da torre con meccanismi atti al suono del mezzogiorno, mezzanotte, dell’avemaria della mattina e sera, e della pubblica scuola (da G. Allegretti, cit.) 1872. I fratelli Macchini installano una macchina oraria nel campanile comunale di Montelevecchie per la quale se non furono pagati dall’Amministrazione, furono compensati da quei parrocchiani con prestazioni in natura di frumento. 1881. Nicola e Giuseppe consegnano l’orologio per la torre civica del comune di Macerata Feltria. Sarà funzionante per oltre un secolo e verrà sostituito solo nel 1983. La gente di là ricorda il bel suono di quell’orologio che accompagnava i bambini all’entrata della scuola.

L’orologio della torre civica di Macerata Feltria funzionante dal 1881 al 1983; pagina 71: particolari dello stesso orologio

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1887. L’orologio civico necessita di manutenzione e, a volte, di riparazione. Era già accaduto che quello di Montelevecchie si fosse rotto una prima volta e gli stimati fratelli Macchini provvidero a loro spese. Dopo 15 anni ecco una seconda rottura, ma non si giunge a un accordo economico con l’Amministrazione comunale, che affida i lavori a un altro orologiaio. 1890. Il campanaro e moderatore dell’orologio di Montelevecchie ai consiglieri: ...servo umilissimo delle S.S. L.L., avendo il grave incarico del suono dell’Alba, due volte al giorno della scuola, di caricare, tenere pulito ed ungere il pubblico orologio che pure incontra una spesa, per sole £ 50, supplica la bontà delle S.S. L.L. a volergli aumentare lo stipendio.Tanto spera che... Sei mesi dopo il Consiglio comunale riconosce la sufficienza dell’attuale salario e... passa al seguente punto all’ordine del giorno. 1896, 21 novembre. Dichiariamo noi sottoscritti di garantire per 10 anni a datare da oggi il regolare funzionamento dell’orologio di Montelevecchie da noi fornito al comune di Tomba di Pesaro per lire 500, provvedendo a nostre spese a qualunque guasto che potesse avvenire durante il detto tempo, e ben si intende che non sia prodotto il guasto stesso da cause estranee al funzionamento dell’orologio medesimo. Nicola e Giuseppe Macchini. 27 maggio 1901. Il Sindaco Marchionni a Giuseppe Macchini: Essendo da parecchio tempo che l’orologio di Montelevecchie non agisce regolarmente, la prego a volerlo riparare al più presto, e ciò a seconda della convenzione fatta all’atto che venne acquistato. Con senso di stima. Garanzia di 10 anni sottoscritta dai fratelli Macchini per l’orologio di Montelevecchie commissionato dal Comune di Tomba

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I Macchini sul web - dal forum del sito dell’Associazione Italiana Cultori di Orologeria Antica (www.hora.it) A - Ho già visionato altri meccanismi con il sistema della vite senza fine per la riduzione, con eliminazione della ruota guida. Ne conosco uno di Mei addirittura del 1854, costruito proprio nello stesso periodo di quello di Offida. Ma anche due fratelli di ‘Montelevecchie’ usavano questo sistema: ho visionato un loro meccanismo. B - ...tale vite essendo condotta serve a moltiplicare e non a ridurre il numero di giri. E’ per questa ragione che tale sistema, che richiede una accuratissima realizzazione meccanica, è stato pochissimo utilizzato.

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Lavori in corso

1866. Perizia tecnica per i lavori al cimitero di Montelevecchie che termineranno tre anni più tardi. Dopo vent’anni, è necessario un ampliamento. Dalla relazione del perito si ricavano notizie interessanti: Non potendo rimuovere l’ingresso dal lato Nord ...per mancanza di strada di accesso, si è ritenuto di dare al nuovo cimitero la forma di un rettangolo di m. 25x31, collocando la cella mortuaria a forma di tempietto di fronte all’ingresso. Attesa poi la convenienza di atterrare la chiesa di San Sebastiano di proprietà comunale essendo mancante di ogni serramento, priva quasi affatto di pavimento, ed avente i muri pressoché crollanti... si è prescritto che i muri della nuova chiesa abbiano il paramento esterno di mattoni nuovi e che nell’interno sia usato il materiale migliore proveniente dalla demolizione di detta chiesa... 1886. In paese fervono i lavori alle mura castellane e al cimitero. Secondo don Giovanni Gabucci è possibile che Montelevecchie avesse una triplice cinta di mura: la prima, la scarpata su cui era impostato il palazzo; la seconda cinta quella di cui rimangono i ruderi dietro la casa dei Bartolucci, la terza quella ancora esistente sotto il giardino del notaio e lo scoperto del parroco con unito torrione.

Dai taccuini di don Giovanni Gabucci: disegno della lapide già di San Sebastiano, ora al cimitero

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24 maggio 1886. Il perito Pietro Renzi: della mura che cinge il castello di Monte Levecchie, un tratto di quelle, che serviva pure di sostegno alla strada di imbocco al castello stesso, nella scorsa invernata crollò sino quasi alle fondamenta per una lunghezza di m. 17, a danno anche della medesima strada, che già si dilaniò in parte; e più oltre ancora fu conosciuto necessario la ricostruzione di un piccolo tratto di mura che pericolò da diversi anni in addietro, mediante forse uno scolo d’acqua dal castello, che con cattiva conduttura oltrapassavano la mura... Infine si vede necessario di ristaurare la muratura di terriccio a Sud nel suo paramento... Spesa: 881 lire, 46 centesimi, 4 millesimi.

Una pagina della perizia per i restauri alle mura del 1886. Sotto: tra il 1890 e il 1893 il bilancio comunale riporta una voce “prodotti dei capperi delle mura castellane di Montelevecchie”

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1899, 13 aprile. Le vecchie mura castellane di Montelevecchie sono in alcuni punti dirute ed in altri minacciano rovina. Il tratto in gran parte rovinato è quello che sostiene la rampa d’accesso al paese, dalla parte di Levante, precisamente ove esisteva la vecchia porta del paese fiancheggiata da una casetta di proprietà comunale, oggi adibita a macello... Vi sono poi altri due punti in cui il paramento delle mura è molto deperito, tantoché si può asserire essere non molto lontano la caduta del muro, e questa, quando avvenisse, porterebbe serie conseguenze, poiché in uno dei punti, quelle mura sostengono la chiesa e la casa parrocchiale, nell’altro vi è la casa del sig. Franca Antonio abitata da diversi inquilini... Il muro da ricostruirsi per la rampa detta “del macello” è diviso in due tratti... Spesa £ 1700. 10 settembre. Il presidente del Consiglio comunica all’adunanza che la mura castellana di Montelevecchie ha franato per una lunghezza di m. 19.50...; si rileva inoltre la necessità di eseguire altre urgenti riparazioni straordinarie, in difetto delle quali potrebbero avvenire altre rovine con gravi conseguenze pei soprastanti fabbricati... L’adunanza riconosce la convenienza di approvare la perizia stessa e di darvi esecuzione nella primavera del venturo anno 1900, provvedendo alla relativa spesa, prevista in lire 1.700. La spesa in realtà superò le 2.600 lire! (1901). La copertina e due pagine dalla perizia dello studio tecnico Pizzagalli per i restauri delle mura (18991901)

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1901. Il fossino Luigi Belli chiede un aumento della mercede annua. Un consigliere reputa il compenso proposto troppo elevato; un altro, invece, è favorevole perché al Belli è affidata anche la spazzatura del castello, la custodia delle fonti e l’ordinaria manutenzione delle due strade comunali conducenti l’una al cimitero, l’altra alle fonti. Poiché il Belli ha un’età talmente avanzata da non poter prestare un buon servizio, il Consiglio infine delibera che al fossino sia aumentato il compenso, ma per soli due anni. 1902. Il consigliere Ciriaco Bernardi, udita la richiesta di una campana per l’oratorio del nuovo cimitero del capoluogo, propone sia fatto altrettanto per quello di Montelevecchie. E così fu: anche la frazione ottenne la campana per l’oratorio del suo cimitero. 1911, 2 luglio. Il segretario comunale al sig. Bernardi: il Sindaco mi incarica riferirle in merito alla bara per il trasporto dei cadaveri in codesta frazione, che finché l’Amministrazione non avrà provveduta una di nuova, come sembra abbia intenzione, ciò che però non s’improvvisa, sarà necessario continuare a servirsi di quella della Confraternita che non si verrà proprio a ridurre in pessimo stato per il breve servizio che ancora le resterà a fare. La prego di darne comunicazione al parroco, nella sua qualità di amministratore della Confraternita, pregandolo a voler cortesemente pazientare fino a che l’Amministrazione non avrà provveduto… Carro funebre, 1922; fotografia di don Giovanni Gabucci

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La valle del Foglia, 1885-1914

Dal Questionario per l’inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie dei comuni del regno per l’anno 1885 ricaviamo alcune notizie sulla vita nelle campagne intorno a Tomba: il granoturco costituisce l’alimentazione della classe agricola e operaia, salvo che nei mesi estivi che si consuma generalmente il frumento. Il consumo del latte è nullo, ed i latticini si usano in piccola scala e per solo condimento. La carne fresca è pochissimo usata, ed altrettanto può dirsi della salata; così dei pesci. Ciononostante risultano rari i casi di pellagra, in un periodo in cui la malattia dei poveri, dovuta a carenze alimentari, era tra le più temute (83.600 decessi ufficiali avvenuti in Italia fra il 1887 e il 1910). Esiste un macello nella frazione Montelevecchie e le carni sono visitate da un veterinario all’uopo incaricato e retribuito dal Comune: il locale adibito a macello citato dal Questionario è situato all’ingresso del castello, ed è di proprietà comunale. Le denuncie del bestiame per l’applicazione della tassa 1884 hanno dato: bovi 397, manzi 187, vitelli 182, vacche 163, cavalli 47, asini 99, muli 4, maiali 379, pecore 763. A differenza di quanto accade in molte località d’Italia nello stesso periodo, a Tomba e dintorni le stalle sono di esclusiva abitazione del bestiame e sono rare le famiglie de’ contadini che vi sogliono passare le serate d’inverno. 1900 circa, Marianna Duchi Antonelli di Rio Salso (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Se l’emigrazione verso l’estero si intensifica solo dopo il 1900, assai numerose sono sul finire dell’800 le partenze verso le campagne romane. Il fenomeno era già stato registrato dagli storici negli ultimi anni del XVIII secolo: nel 1780 ben 21 dei 473 abitanti di Montelevecchie vanno a Roma (circa il 18% della popolazione maschia adulta, come nota Girolamo Allegretti). Nel 1885 tra i braccianti diretti a Roma c’è anche il giovane Celeste Macchini (1862-1918), figlio del calzolaio Giuseppe; anche Raffaele Antonelli, marito di Marianna Duchi lavorò a lungo nelle campagne romane, tanto da arrivare a esprimersi in perfetto romanesco. 1885, Celeste Macchini richiede la riduzione del biglietto ferroviario da Pesaro a Roma

1885, Elenco degli operai che domandano il certificato per ottenere il permesso ferroviario: Sante Generali, Giuseppe Antonelli, Serafino Giunta, Domenico Amadori, Gaetano Generali, Giuseppe Belli, Giuseppe Bacchiani, Celeste Macchini, Paolo Giorgi, Luigi Esposto Bonalana, Remigio Giorgi, Clemente Cecchini

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Nel 1906 l’Accademia Agraria di Pesaro fonda, sull’esempio di quanto accade nel resto d’Italia, la Cattedra Ambulante di Agricoltura. Si tratta di veri e propri corsi itineranti tenuti da esperti, volti a informare i contadini sulle innovazioni in materia di agronomia e zootecnia: l’opera della Cattedra arriva anche a Montelevecchie dove, al termine della conferenza del 6 agosto 1909 dedicata ai miglioramenti alla coltura del grano, il direttore della Cattedra Domenico Bruni premia l’agricoltore Andrea Gerboni per l’esattezza e la diligenza con cui lavora i propri terreni. 1913. I giornali riportano che, in occasione della festa della Beata Vergine celebrata come ogni anno a San Martino in Foglia, diedero il nome [si iscrissero, n.d.r.] alla Lega, non ancora formalmente costituita, 13 coloni che si sommano ai 24 già iscritti per un totale di 37. Ben presto però si costituì la Lega Cattolica, e già i 37 coloni iscritti avevano nominata la presidenza nelle persone: Morotti Lazzaro presidente; Franca Giovanni Vicepresidente; Massalini Augusto, Facondini Luigi, Staffoggia Eugenio,Terenzi Antonio a Consiglieri; Pontellini Giuseppe segretario (“L’idea”, 7 giugno 1913). Prezzi delle uve, da “L’Idea”, 7 ottobre 1905

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Dai documenti conservati presso l’Archivio Comunale risulta nel 1909 l’istituzione di una nuova scuola nella località di Pian Mauro; la scuola ha sede per qualche tempo in una casa di proprietà del marchese Toschi Mosca: visto che il marchese Toschi per l’anno 1908-1910 ha voluto lire 100 e che per il prossimo ne vorrà 200, la Giunta delibera di trasferire la scuola di Pian Mauro dalla casa Mosca alla casa Bernardi sino che non sarà costruito l’edificio scolastico. La costruzione di una nuova scuola si fa sempre più urgente, e il 5 dicembre la maestra di Montelevecchie lamenta che gli alunni sono ascesi a 76. Per ora faccia alla meglio, ma Bernardi atterri il muro in coltello di divisione deliberano gli amministratori.

Villa Toschi Mosca a Pian del Bruscolo, distrutta durante i bombardamenti della II Guerra mondiale (disegno conservato presso l’Archivio Diocesano di Pesaro, tratto da O. Bartolucci, Montecchio, un paese, un popolo, una storia, 1999)

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Rio Salso, la Farmacia Ruggeri in una fotografia di don Giovanni Gabucci scattata probabilmente nei primi anni Venti del Novecento (Archivio Diocesano di Pesaro)

La cronaca delle nozze di Amina Ruggeri, della famiglia Ruggeri di Rio Salso. Da notare lo splendido corredo ricamato dalla sposa stessa con fine gusto artistico (“La Provincia”, 19 ottobre 1903). Cinque anni dopo, nel settembre del 1908, sempre a Rio Salso Annita, sorella di Amina, giura fede di sposa a Giuseppe Andreatini, farmacista di Sant’Angelo in Lizzola: tra i molti signori presenti al matrimonio in eleganti toilettes anche il Notaio dottore Nazzareno Olmeda con la gentile sua signora Emma Ruggeri (“L’idea”, 3 ottobre 1908). Ivo Ruggeri, farmacista e delegato del Sindaco per le frazioni morirà, dopo breve e dolorosissima malattia, il 17 gennaio 1914, a 64 anni. Al funerale, fatto la mattina del 21 con carrozza mortuaria fatta venire da Urbino presero parte tra gli altri i confratelli della Compagnia del SS Sacramento, cui apparteneva, i confratelli degli altri due Venerabili sodalizi locali, del SS Rosario e di San Sebastiano, i soci delle Società locali di Mutuo Soccorso e, all’inizio della via parrocchiale, si unirono anche i fanciulli della scuola elementare del paese, accompagnati dalla maestra Annita Antonelli-Macchini, anche questi forniti della rispettiva bandiera. Nazzareno Olmeda tenne l’orazione funebre, dopodiché il feretro fu trasferito al cimitero girando per tutto il paese (“L’Idea”, 2 febbraio 1914 e “La Provincia”, 8 febbraio 1914). 82


I registri della popolazione di questo periodo segnalano nella zona di Montelevecchie e dintorni un gran numero di Tessitrici e Filatrici (e come poteva essere altrimenti, in un paese che ha nel nome tre maghe, tre vecchiarde?). Dai documenti della Camera di Commercio di Pesaro (1885) si contano in tutto il comune di Tomba ben 170 telai, distribuiti nelle campagne più che nel capoluogo: un numero molto elevato, secondo nella nostra provincia solo a quello dei telai presenti a Pergola e Fossombrone, località dove l’industria tessile aveva già allora una solida tradizione. Il Questionario dello stesso anno, già citato in precedenza, conferma: è molto esteso l’uso dei telai a domicilio, di modo che quasi in ogni famiglia si tessono le tele pel proprio uso. In generale [il vestiario] è di rascia, lana e filo di canapa, per l’inverno, e di rigatino, tutto filo, per l’estate, tessuti per lo più dalle donne di casa. Le biancherie sono o di filo di canapa, o di cotone secondo che vennero o tessute in casa o acquistate al mercato (dall’Inchiesta Jacini, 1877-1882, relativamente al vestiario dei popolani e contadini della zona di Pesaro). Quasi tutte le famiglie arrotondano le entrate mettendo i bozzoli (i bachi da seta), una pratica molto diffusa nelle campagne fino agli anni ‘30 - ‘40 del Novecento. Anche a Montelevecchie si mettono i bozzoli: si portano a vendere a Pesaro oppure a Mondaino, e per nutrire i bachi si utilizzano le foglie dei gelsi che si trovano negli orti a fianco della Casa comunale: come molte signore ci hanno detto il rumore dei bachi che mangiavano era continuo e molto forte; addirittura per qualcuno si faceva insopportabile. Dati relativi al mercato serico pesarese (“La Provincia”, 7 luglio 1901)

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1934, Stima del corredo di G. A. (raccolta Marcella Ugolini, Belvedere Fogliense). La lista si conclude alla pagina successiva, non riprodotta per ragioni di spazio, con un vestito da sposo (L.110), un paio di scarpe da sposo (L.27), un paio di ciavattine per casa (L.6,50), 2 scialline (L.16), 2 sottovesti a malia (L.10), 1 malia per sopra (L.10), cui si aggiunge una somma in denaro contante.

Comprato il seme, racchiuso in un sacchettino, le donne se lo mettevano nel solco del petto; era il primo calore per facilitarne la nascita. Mettere i bachi era un lavoro scomodissimo fatto in piccolo e tutto tra donne. Intanto dopo l’incubazione nel petto bisognava cedere la cucina, il luogo più caldo e stare bene attenti che nessuno spiffero d’aria fredda ne abbassasse la temperatura. Dopo, bisognava cedere ai bachi le camere più grandi. Allora cominciava la grande fatica per tenerli caldi, per tenerli puliti... Le due camere erano piene di cannicci, uno sopra l’altro, a castello... Ai lati e in fondo dei cannicci si alzavano mazzi di fuscelli secchi, le frasche. Il piano era cosparso di foglie del moro che i bachi divoravano facendo un brusio come di pioggia. E la fatica di far la foglia? Le donne tornavano con le mani scorticate (Dolores Prato, Giù la piazza non c’è nessuno, 2001). 84


A dare colore o a rinfrescare tele e rigatini un po’ sbiaditi provvede la famiglia dei Ceccarelli, di origini romagnole ma presente a Rio Salso almeno dagli ultimi anni dell’Ottocento. A noi hanno raccontato di Marco (1876-1958), il tintor figlio di Silvestro, che nella sua casa-bottega tinge in filo, in pezza e in capo e stampa anche con la ruggine, secondo la tradizione che ha ereditato dai suoi avi. Marco ha molti clienti anche nei dintorni: ritira i tessuti e li riconsegna a domicilio a Montecchio, Urbino, Mondaino; come ha ricordato la figlia Luigia, Marco vanta tra i suoi clienti anche una ditta di filati di Cagli.

A fianco: da sinistra verso destra, Nanda, Silvia, Pia, le figlie del tintor Marco Ceccarelli, 1913 (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Montelevecchie, 31 ottobre 1880. Il giorno 31 ottobre Donato di Carlo Antonio del fu... della provincia di Teramo di professione cardatore di lana ha smarrito un portafoglio contenente lire 40 circa ed altre carte di conto di mestiere oltre al suo passaporto. Detto smarrimento è avvenuto nell’osteria del Rio, condotta da Augusto Bernardi. Il Donato dice di aver sbagliato mentre lo metteva in sacoccia, e che invece gli sia caduto in terra. Erano assieme al Donato, Remigio Ceccarelli di Silvestro di Mondaino, Giunta Giuseppe di Montelevecchie, Celeste Macchini di Giuseppe e Bacchiani Giuseppe di Angelo di Montelevecchie, i quali stavano giocando a tresette. Il portafoglio fu trovato la mattina dopo lo smarrimento poco distante dal luogo suddetto, ma però ridotto a piccoli pezzi (Domenico Ruggeri, al Sindaco, 5 novembre 1880). L’osteria Bernardi, aperta dal 1875, si affaccia sulla piazza di Rio Salso, a pochi passi dalla grande casa che sarà di Angela Busetto e Fabio Tombari.

Rio Salso, la vecchia osteria di Augusto Bernardi La foto risale ai primi anni del 1900 (raccolta Laura Macchini, Rio Salso)

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Montelevecchie, dal 1900 alla Grande Guerra

Il 29 luglio del 1900 Re Umberto I è assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci e in tutta Italia si susseguono le manifestazioni in onore del sovrano.Tomba ricorda il re con una commovente commemorazione dell’egregio giovane Nazzareno Olmeda, studente di legge di Montelevecchie (“La Provincia”, 19 agosto 1900). E’ una delle prime apparizioni pubbliche di Nazzareno Olmeda (1879-1932), futuro preside della provincia di Pesaro. Nazzareno è figlio del veterinario e ufficiale di stato civile Celeste, detto Celeston per via dell’alta statura; anche il nonno Francesco era veterinario, mentre il fratello di Celeste, Eugenio, compare nei documenti come fabbro ferrajo. Gli Olmeda abitano già nella casa all’angolo tra la via Parrocchiale e l’attuale piazza Malatesta: leggende di famiglia dicono che nelle grotte sotto la casa fosse nascosto un tesoro, salpato misteriosamente verso lidi d’oltreoceano. Più fondata appare la voce che vuole situato proprio qui il convento di suore citato dai documenti del XVII-XVIII secolo, mentre le grotte appartengono al sistema di cunicoli che attraversa il paese, ancora visibile in alcuni punti. Celeste, che in gioventù s’era distinto nelle campagne contro il brigantaggio nell’Italia meridionale, morirà il 6 gennaio 1911: i giornali scriveranno che in lui Montelevecchie ha perduto un consigliere, un benefattore, un padre. Alla guida del corteo di un centinaio di bambini che segue il feretro lungo la via principale del paese c’è già la Maestra Signorina Annita Antonelli (“L’Idea”, 14 gennaio 1911). La casa della Famiglia Olmeda a Belvedere Fogliense, dai taccuini di don Giovanni Gabucci (9 agosto 1927, particolare del disegno a pag. 108)

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Montelevecchie, 20 maggio 1904. Domenica scorsa si solennizzò la solita festa triennale di Maria Santissima della Misericordia (priori festeggeri: Andruccioli Tomaso e Pieri Francesco) riuscita di generale soddisfazione. Piacque assai il padiglioncino della Madonna donato dal sig. Celeste Olmeda. Alla processione il concorso fu veramente straordinario. Suonò bene il concerto di Mondaino. Alla sera una bella illuminazione e i fuochi artificiali del sig. Dionigi di Meleto chiusero la festa (“L’idea”, 28 maggio 1904).

A sinistra: il tabernacolo donato nel 1904 da Celeste Olmeda, ancora oggi in uso nelle feste parrocchiali; a destra: manifesto per le Onoranze alla Beata Vergine della Misericordia, 1901

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Domenica 18 settembre 1910. Festa grande a Montelevecchie: a quasi sei mesi dalla costituzione, avvenuta il 4 aprile (otto anni dopo quella di Tomba), la Società Operaia di Mutuo Soccorso inaugura finalmente la propria bandiera. Fin dalle prime ore del mattino il paese, addobbato con palloncini di varie forme, che servirono poi per l’illuminazione della sera, e con bandierine tricolori, presentava un aspetto festante. Subito dopo mezzogiorno incominciò ad affluire la popolazione dai Comuni vicini, e arrivarono le rappresentanze delle Società Operaie invitate, le quali erano ricevute nella Casa Comunale. Circa le quattro si formò il corteo, al quale parteciparono le rappresentanze, con bandiere, delle Società Operaie di Mondaino, Saludecio, Tomba, Colbordolo, Montelabate, Sant’Angelo in Lizzola, Ginestreto, Monteciccardo e Gradara, e la Società locale, al completo, composta di circa 120 soci. Il corteo percorre il paese, con alla testa la banda musicale di Mondaino, e si ferma nel punto centrale di esso. Ivi il dottor Nazzareno Olmeda [presidente del sodalizio] legge le belle lettere di adesione ricevute dalle Società di Mutuo Soccorso di Pesaro, Novilara, Candelara e Mombaroccio, le quali, per molteplici circostanze, non poterono intervenire. Poi pronunzia il discorso inaugurale (“La Provincia”, 1 ottobre 1910). Nazzareno Olmeda (18791932) e la moglie Emma Ruggeri (1888-1962) (raccolta Fam. Olmeda, Belvedere Fogliense)

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La Società Operaia di Mutuo Soccorso avrà la sua sede, spaziosa e accogliente, adatta alle feste e ai ritrovi oltre che alle riunioni e alle conferenze, solo nel 1926. Nel frattempo si balla in una sala di proprietà di Matteo Bartolucci (dove più avanti troverà posto la fabbrica di fisarmoniche) e da Eugenio Stafoggia. Tra gli organizzatori più puntuali Angelo Uguccioni, che i documenti dei primi del Novecento citano spesso come rivenditore di vino nel castello. 8 gennaio 1910. Il Sindaco di Tomba concede a Uguccioni Angelo fu Giuseppe di tenere pubbliche feste da ballo così dette del soldo in un locale di proprietà di Stafoggia Eugenio fu Luigi nelle sere 8-15-22-29 gennaio corrente 5-7 e 8 febbraio p.v. in un locale di Bartolucci Matteo fu Domenicantonio e in altro del suddetto Uguccioni nelle sere 16-23-24-30 corrente mese, 6-7 e 8 febbraio p. venturo. Le suddette feste devono essere assistite dagli agenti della forza pubblica.

1901, disposizioni del Prefetto di Pesaro per il tempo di carnevale

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Merica, Merica!

Tra il 1901 e il 1915 circa nove milioni di italiani lasciano la patria in cerca di fortuna. Quattro milioni di essi sono diretti negli Stati Uniti: più della metà torneranno in Italia, dopo aver verificato che anche all’estero è molto difficile sfuggire alla miseria. Tra loro anche alcuni abitanti di Montelevecchie: i cugini Anastasio e Giuseppe Macchini, di 31 e 24 anni; Luigi e Clemente Massalini (39 e 22 anni), cugini dei Macchini e, infine, Serafino Brunelli (42). Partiti da Genova sul piroscafo America della compagnia “La Veloce”, i cinque sbarcarono il 15 aprile 1913 a Ellis Island (New York), porta d’ingresso per gli Stati Uniti: la pagina del registro dell’Ufficio immigrazione non indica il nome di parenti o amici che intendessero raggiungere una volta a destinazione; dai registri di Ellis Island sappiamo solo che nella Merica arrivarono single, ossia senza mogli o figli a carico.

Anastasio Macchini (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Il piroscafo “America” portò negli Stati Uniti alcuni degli emigranti di Montelevecchie. Costruito nel 1908 per la Compagnia “La Veloce”, era impiegato specialmente per il trasporto degli emigranti italiani in Sud America. La sua rotta abituale era Genova, Napoli, Palermo, Barcellona, Marsiglia, Rio de Janeiro, Santos, Montevideo, Buenos Aires e Rosario.


A destra: Ellis Island, New York, 1905 e la pagina del registro passeggeri della nave “Genova” con i nomi dei cinque abitanti di Montelevecchie (da www. ellisisland.org)

Hanno sentito raccontare e sanno. Sanno il viaggio faticoso, il lavoro duro che li attende, le privazioni di ogni sorta, le probabili malattie, la morte all’orizzonte: sanno che non si torna più ricchi, sanno che laggiù miseria e disoccupazione sono all’ordine del giorno, e vanno, ma con gli occhi tristi del bestiame che intuisce di correre al macello. Genova sarà per loro un ricordo fugace di sole torrido o di pioggia fangosa, una memoria di noiose formalità, di angherie, di fame, di lunga attesa e ansie di ogni genere (“L’Illustrazione Italiana”, 1916; citato da Gian Antonio Stella in Odissee, Milano 2004). 93


Anastasio Macchini è figlio del muratore Gaetano e di Maria Ruggeri; rientrato dall’America partirà per il fronte, e morirà nel febbraio del 1918, in un ospedale militare. Prima di Anastasio, nel 1907, era partita sua sorella Leonilde, per raggiungere il marito Angelo Magi emigrato negli Stati Uniti nel 1903: i loro discendenti vivono oggi a Port Clinton, nell’Ohio. Giuseppe (poi detto Pinon) è figlio di Celeste (che abbiamo già visto emigrare verso le campagne romane come mezzadro): oltre al nome ha ereditato dal nonno, fratello di Gaetano, anche il mestiere di calzolaio; tornato in Italia intraprenderà la carriera di finanziere. Anche Clemente Massalini (detto Gnà) tramanderà al figlio Pietro - più noto come Pierino - l’abilità di calzolaio: ancor oggi i Massalini sono nel settore, proprietari di uno dei più noti negozi di calzature di Pesaro. Leonilde Macchini e Angelo Magi (raccolta Fam. Macchini, Rio Salso)

Il Prefetto di Pesaro ai sindaci, 14 aprile 1885. Consta al ministero per sicura notizia, che le condizioni del lavoro nell’Argentina sono precarie, e probabilmente continueranno a essere tali per molto tempo ancora. Da qui la naturale ed immediata conseguenza che la emigrazione a quella volta non troverebbe lavoro o solo un lavoro mal retribuito e poco sicuro. Rendo di ciò informata la signoria vostra perché voglia farne intesi i suoi amministrati. Quasi cinquant’anni dopo tra gli abitanti di Montelevecchie diretti in Argentina c’è anche Maria Macchini, figlia di Anastasio, che nel 1933 parte per raggiungere il marito Guerrino Ugolini, emigrato già da tempo. Con lei porta i suoi due figli: Liliana, nata nel 1926, e Anastasio, detto Tasino. In Argentina nasceranno qualche anno dopo Ana, detta Pili e Rodolfo, detto Coco.

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In senso orario: Guerrino ed Elpidio Ugolini (raccolta Vera e Celestina Generali); Maria Macchini e Guerrino Ugolini con i loro figli, in una fotografia inviata dall’Argentina. Si riconoscono da sinistra: Anastasio (detto Tasino), Guerrino Ugolini, Ana (Pili), Maria, Liliana (raccolta Fam. Macchini); Liliana Ugolini e il marito Louis Angel Imperial (raccolta Marcella Ugolini)

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Notizie dalla Valle

Mappa della Collettoria Postale, 1921

1870, dal Libro della viabilità in Italia n. 2 - Strada comunale che dal castello di Montelevecchie mette a Mondaino, e viceversa alla provinciale feltresca detta quest’ultima di Santa Barbara; appartiene alla frazione Montelevecchie; la lunghezza della strada ruotabile è di 4 km; spese di costruzione a carico del comune 243,12; anno in cui l’opera fu aperta al pubblico 1868; la strada di contro è in prosecuzione di sistemazione ed è obbligatoria nella parte dal Castello alla provinciale feltresca. n. 31 - Strada detta della Palazzina, dal confine di Montegridolfo a quello di Tomba; appartiene alla frazione di Montelevecchie; strada vicinale che viene mantenuta dai frontisti. n. 32 - Dal confine (?) di Montegridolfo alla provinciale feltresca. Mantenuta dai frontisti n. 33 - Del Termine. Dal confine di Montegridolfo a Tomba, sino alla prov.le feltresca. n. 34 - Delle fornaci. Dalla località di tal nome sino alla prov.le feltresca.

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1898. Tra le chiese visitate dal Vescovo a ottobre, Santa Teresa del Padiglione, San Martino in Foglia e San Donato di Montelevecchie. Nella chiesa di San Martino, di proprietà dei fratelli Boschini, il Vescovo prescrive un restauro al piccolo campanile, alla sacrestia e ai candelieri e una inverniciatura alla porta. 1899. Si festeggia. Il Sindaco permette a Stafoggia Eugenio lo sparo di mortaretti e l’intervento della banda di Colbordolo per il 17 e 18 giugno da farsi in occasione di feste religiose a San Martino. Detto sparo deve essere affidato a persona pratica... Nel caso specifico il fabbro ferraio Ciriaco Bernardi visita n. 200 mortaretti, rinvenendoli in buono stato di stabilità. 1925, 22 luglio. Don Giovanni Gabucci ricorda che il vescovo di Pesaro, Bonaventura Porta, è a Montelevecchie per la benedizione della nuova chiesa di Sant’Agnese di Rio Salso. 1926, 28 luglio. Il subeconomo al Podestà di Tomba: Il sig. Raffaele Moretti quale presidente del Comitato per la costruzione della chiesa di S. Agnese in Rio Salso, chiede un sussidio quale contributo nelle spese di L. 27.383,53 occorse per la costruzione del sacro edificio. Ciò stante prego la S.V. di assumere informazioni e chiarire quale sarebbe la natura giuridica della detta chiesa e cioè se essa sia una proprietà privata quantunque adibita ad uso pubblico ovvero se rientra nell’ambito di una parrocchia. Risposta: I frazionisti di Belvedere la di cui località detta di Rio Salso è in continuo sviluppo edilizio e demografico, si sono interessati per costruire una chiesa per il culto pubblico, con le oblazioni volontarie. Non è parrocchia, ma può servire, la chiesa stessa, di ausilio alla parrocchia di Belvedere. Lo stemma della Confraternita del SS. Sacramento (raccolta Fam. Bartolucci)

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San Martino a Rio Salso nei disegni di don Giovanni Gabucci (Archivio Diocesano di Pesaro)

1905, 4 giugno, Rendiconto della festa di S. Martino avvenuta il primo giugno 1905 Entrata: grano fatto per la cerca vino in tutto litri 100 cerca minuta ova 80 totale

£ 9.62 20 6.10 35.72

Uscita: messe dette n. 3, pagate 1 3 spese nella carne di bue ed agnello 5.10 spese nella pasta da brodo Cg 2 1.20 caffè n. 2 0.30 lardo e formaggio 1 totale 11.40 Rimane per la festa 1906 £ 24.32 N.B. Il vino che si consumò per questa festa, il priore lo ha messo tutto a gratis

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1935, 4 maggio. A valle il paese cresce. A monte sono pericolanti campanile, chiesa e casa parrocchiale. Considerato che fino ad oggi il medico ha risieduto nel capoluogo della frazione di Belvedere Fogliense come stabilito dal bando di concorso; considerato che ragioni di esigenze sanitarie non consentono un’ulteriore permanenza in detto luogo siccome fuori del centro della condotta e con viabilità scomodissima; tenuto presente il desiderio dell’attuale medico Pierfederici Aldo che non potrebbe sposarsi essendovi nel paese di Belvedere assoluto difetto di abitazioni; considerato come luogo centrale della condotta sia la località di case Bernardi... il Podestà determina... la residenza del medico chirurgo condotto della frazione di Belvedere Fogliense resta fissata in Case Bernardi, perché centro della condotta e perché si ha la possibilità di avere una casa di abitazione per il sanitario stesso. 20 giugno. Don Icaro Giuseppe Giorgi al Sindaco: In seguito a comunicazione a mezzo del campanaro del comune sig. Delbianco Valentino, invio la presente per pregare la S.V.I. di prendere visione personale non solo del campanile pericolante, ma anche della chiesa e casa parrocchiale onde provvedere a norma della legge comunale e provinciale sul culto.

Le mura e la chiesa di San Donato a Belvedere Fogliense (da O.T. Locchi, La provincia di Pesaro e Urbino, 1934)

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1922, Belvedere Fogliense

In questa pagina e alla successiva: 1921, la richiesta presentata al Prefetto di Pesaro dai capifamiglia di Montelevecchie per cambiare il nome del paese

Belvedere Fogliense, così si chiama dal 1922 l’antico castello di Montelevecchie. Il nome penso che sia più antico del castello, com’è quasi sempre. Montelevecchie, nel medioevo Mons Vetularum, Monte delle Vecchie, anzi, direi, delle Vecchiarde, perché vetula ha, almeno in Giovenale e in Marziale, valore spregiativo ed è spesso accompagnato dall’aggettivo turpis. Se per un momento ci abbandoniamo alla fantasia e, in fatto di toponomastica, la tentazione di farlo è forte quanto pericolosa potremmo pensare a tre maghe (il numero in questi casi è obbligato), tre vecchiarde appunto, appollaiate come civette (striges = streghe) in qualche anfratto della roccia, lassù su quel balcone incomparabile affacciato da oltre duecento metri sulla Valle del Foglia, sulla magica atmosfera della quale non finiremo mai di insistere. Anche Montelevecchie, come Tomba, ha voluto cambiare nome. Non è il suono di un nome, più o meno gradevole ripetiamo, a fare la dignità di un luogo, ma la sua storia. E da certe meschine preoccupazioni estetizzanti la storia esce sempre tradita. Così Luigi Michelini Tocci. D’altro avviso i capifamiglia di Montelevecchie, compresi Nazzareno Olmeda e i consiglieri passati e presenti che consideravano la denominazione del loro paese brutta, inelegante, non collegata ad alcun ricordo storico locale. Il 4 settembre 1921, pertanto, il Consiglio comunale deliberò di dare parere favorevole a che il nome venisse cambiato in quello di Belvedere Fogliense.

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1921 - Richiesta presentata al Prefetto per il cambiamento di nome; le firme di 29 capifamiglia di Montelevecchie: Dott. Nazzareno Olmeda, Bernardi Guglielmo, Bartolucci Augusto, Pierantoni Luigi, Imperatori Domenico, Ugolini Primo, Giunta Primo, Andruccioli Tommaso, Generali Terzo, Bartolucci Federico, Olmeda Adamo, Pacassoni Giuseppe, Bernardi Giacomo, Massalini Clemente, Macchini Mario, Stafoggia Eugenio, Ballerini Antonio, Olmeda Dante, Giunta Serafino, Bartolucci Colombo, Bartolucci Americo, Del Bianco Gregorio, Cerpolloni Amedeo, Massalini Domenico, Giunta Aristodemo, Uguccioni Antonio, Pensalfini Amedeo, Ceccarelli Marco, Bernardi Ciriaco.

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1921, 16 settembre. Il Sindaco Giuseppe Sparacca al Ministro dell’Interno per il Governo del Re: Appositamente delegato e autorizzato dal Consiglio Comunale con atto 4 settembre 1921, vistato dalla R.a Prefettura di Pesaro il giorno 15, ho l’onore di chiedere che il nome del paese di Montelevecchie venga cambiato in quello di Belvedere Fogliense. Le ragioni... consistono nel fatto che la denominazione è brutta..., non collegata ad un ricordo storico locale... Il paese invece è situato a circa 20 km da Pesaro su di un colle che si eleva sulla vallata del fiume Foglia nel punto in cui si aprono la parte superiore ed inferiore della medesima e offre un panorama magnifico agli occhi dell’osservatore e dei vari visitatori che vengono dal forese... Con Regio Decreto 17 aprile 1922 n. 609 il re Vittorio Emanuele III autorizza il cambiamento della denominazione della frazione di Montelevecchie in quella di Belvedere Fogliense.

Comune di Tomba, delibera consiliare per il cambio di nome della frazione Montelevecchie

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La prima citazione dell’antico toponimo risale al 1228 e riguarda un Iohannes a Monte Vetularum, che, con gli altri uomini della comunità di Monte Peloso, fa richiesta per ottenere la cittadinanza riminese. Considerata l’importanza strategica di quel castello, posto all’incrocio dei territori di Urbino, Rimini e Pesaro, è lecito presupporne una fondazione più antica rispetto al citato anno 1228; non averne trovato traccia documentaria - almeno fino ad ora - farebbe pensare che il castrum Mons Vetularum fosse diversamente denominato (C. Curradi, in Tavullia fra Montefeltro e Malatesti, cit.).

1922, Ritratto dell’ufficiale postale Mario Macchini con l’annullo postale di Montelevecchie e quello di Belvedere (raccolta Fam. Bartolucci)

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Belvedere Fogliense, gli anni ‘20

Nel 1922 arriva a Belvedere il nuovo parroco, don Icaro Giuseppe Giorgi, che succede a don Ercole Venerucci, stroncato il 13 marzo da una meningite fulminante dopo soli due anni di governo della parrocchia. La voce popolare non manca di sottolineare che don Ercole muore dopo aver manifestato l’intenzione di sostituire la statua della Madonna della Misericordia con un’effigie della Madonna di Lourdes, perché l’immagine era considerata indegna di stare in chiesa per le sue fattezze. Non la poté sostituire perché morì. Commento della gente: lui voleva togliere la Madonna e la Madonna ha tolto lui (Belvedere Fogliense, Cronicon, citato da don Orlando Bartolucci in Montecchio, un paese, un popolo, una storia, 1999). Belvedere Fogliense, 1923; foto di gruppo per la Prima Comunione (raccolta Fam. Antonio Terenzi, Pesaro)

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I festeggiamenti per l’arrivo del nuovo rettore coincidono con l’inaugurazione del Ricreatorio parrocchiale, avvenuta l’8 dicembre del 1922: per l’occasione don Giovanni Gabucci tiene nella sala parrocchiale una conferenza a proiezioni illustrante Pesaro e i dintorni facendo passare agli intervenuti un’ora di vero piacere, illustrando le nostre migliori bellezze. Poscia ebbe luogo l’inaugurazione del Ricreatorio dell’Immacolata con annesso Teatrino costruito a cura del nuovo rettore ed abbellito con decorazioni dello stesso Gabucci il quale nel sipario ha bene riprodotta la torre di Montelevecchie secondo un disegno del 1867, già del cav. Carlo Cinelli (“L’Idea”, 15 dicembre 1922). In questa pagina e alla seguente: disegni di don Giovanni Gabucci per il teatrino del ricreatorio parrocchiale con le relative misure; a fianco: cartolina raffigurante il disegno realizzato da don Gabucci per il sipario; sul retro, annotazione dello stesso autore (Archivio Diocesano di Pesaro)

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A più di trent’anni dalla demolizione della rocca, il disegno di don Giovanni Gabucci per il sipario suscitò una piccola polemica in paese, arrivando persino a scuotere, come annota nei suoi taccuini lo stesso Gabucci, la serenità olimpica del cav. Olmeda: il notaio sosteneva infatti che la riproduzione della rocca realizzata da Ciro Ferrini di Montegridolfo fosse più realistica dello schizzo che don Gabucci aveva ricavato da un disegno del professor Gironi. L’approvazione generale di chi vide la torre prima del 1886 e la rivide riprodotta nella proiezione e nel sipario pone l’Ill.mo Dott. Notaio Nazzareno Olmeda dalla parte del torto, conclude don Gabucci.


Teatrino Montelevecchie, 28 XI 1922 Larghezza sala mt. 4,26 Altezza (sotto trave) mt. 3,15 divisa in Palco 0,75 + 5 in fondo = 80 Apertura 2,40 Cieli (altezza del trave) 0,25 Larghezza Bocca d’opera 4,25 divisa in lati 2 ciascuno ct. 0,75 x 2,65 luce del palco 2,75 x 2,40 Altezza della striscia della Bocca d’Opera ct. 30 x 2,75 Quinte altezza 2,70 x 40 Dimensioni del telone: mt. 3,10 x 2,40

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Adolfa Antonelli (1883-1964), vedova di Anastasio Macchini, porta avanti l’attività del marito il quale, tornato dall’America, aveva iniziato una piccola attività di commercio in materiali inerti che trasportava con il suo carretto. Insieme con il figlio Ugo, Adolfa abita nella casa che dà sull’odierna piazza Malatesta; nei disegni di don Giovanni Gabucci la piazza è ricordata come piazza “della Loffa”, secondo alcuni proprio per via dell’Adolfa (Loffa = Adolfa). Più avanti l’Adolfa, che è figlia di Raffaele e Marianna Duchi, trasferirà l’attività a Rio Salso, dove tuttora ha sede la ditta dei Macchini. A sinistra: don Giovanni Gabucci, disegni di Piazza “della Loffa”; sopra: 1922, sotto: 1927 (Archivio Diocesano di Pesaro). Nel disegno del 1922 si vedono la casa Macchini prima dei lavori e l’edificio comunale, con l’ingresso all’ufficio postale e, di fianco, il forno; il disegno del 1927 mostra la casa Macchini dopo i lavori (ma l’assetto odierno è ancora differente) e la casa Olmeda. A destra: Adolfa Antonelli (raccolta Fam. Macchini)

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16-17 giugno 1922, dai taccuini di don Giovanni Gabucci: via Parrocchiale con la chiesa di San Donato e parte posteriore della chiesa;Vicolo della Romanina; la copertina del taccuino con gli schizzi dal vero di Montelevecchie (Archivio Diocesano di Pesaro)

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All’osteria di Augusto Bartolucci, figlio di Matteo e Grazia Belli, si è aggiunta negli anni anche quella di Primo Giunta, situata all’ingresso del paese. Alla fine degli anni ‘20 il figlio di Primo, Luciano, lavora come bocia ai restauri delle mura insieme a molti uomini del paese: ai tavoli dell’osteria siedono, davanti a piatti di pasta e fagioli serviti da Terza Giorgi, moglie di Primo, gli operai impegnati nei lavori. L’osteria dei Giunta continuerà a lungo la sua attività: dopo una breve interruzione riaprirà nel 1952, gestita da Terza insieme con il figlio Luciano e la sua famiglia. In cucina la moglie di Luciano,Vera Generali, che ci ha raccontato con la sorella Celestina molte delle storie che state leggendo; in sala, Italo, figlio di Vera e Luciano. Con sua moglie Rosanna, Italo ci ha ospitato per le cene ‘in famiglia’.

Una pagina del Libro dei conti dell’osteria Giunta (raccolta Fam. Giunta, Belvedere Fogliense)

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Quattro amici davanti all’osteria Bartolucci, 1910 - ‘15; da sinistra a destra: Aurelio Bernardi, Mario Macchini, Orilio Marchetti, Americo Bartolucci (raccolta Fam.Walter Macchini)


Le immagini di questa pagina provengono dagli Album di don Giovanni Gabucci e sono tra le rare fotografie del paese antecedenti al 1926, anno della costruzione della sede della Società di Mutuo Soccorso, oggi salone comunale. Gli scorci riprodotti nella cartolina, datata 12 maggio1925, appartengono probabilmente a una serie di fotografie scattate da don Gabucci che comprende diverse vedute di via Parrocchiale: a destra, nell’immagine qui sopra e nella cartolina, si intravedono gli orti, dietro l’angolo della canonica (Archivio Diocesano di Pesaro)

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1921 - ‘26, Belvedere si veste a nuovo

Dai taccuini di don Giovanni Gabucci, il disegno della sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso (Archivio Diocesano di Pesaro)

Archiviate in soffitta le vegliarde di Montelevecchie (ma come tutti i fantasmi la loro presenza continuerà ad aleggiare per molto e molto tempo ancora), Belvedere Fogliense si dà negli anni ‘20 una bella lustratina, come si conviene a un paese che ha appena scelto un nuovo nome. Molti i lavori pubblici intrapresi in questo periodo, in gran parte su iniziativa di Nazzareno Olmeda, all’epoca preside della Provincia. Tra le più importanti opere pubbliche c’è la costruzione della Sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso, portata a termine nel 1926. Anche allora per l’inaugurazione, dopo i saluti delle autorità e il banchetto, si iniziarono le danze, che si protrassero fino a tarda ora.

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1926. Domenica 26 settembre la S.O. di Mutuo Soccorso ha inaugurato la nuova sede costruita per le proprie adunanze e pel Dopo Lavoro, in seguito ad iniziativa del Consiglio Direttivo presieduto dal Comm. Olmeda. Il fabbricato consiste in uno splendido salone dell’ampiezza di 70 metri quadrati e di un vano sottostante, disegnato dall’ing. Rafanini Capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale e costruito sotto la sua direzione. La spesa incontrata si aggira sulle lire 40.000, la quale in parte è stata coperta dalle elargizioni del Comm. Olmeda oltre che di altri Soci quali il Dott. Prof. Elvino Ruggeri, il Perito Balestrieri, il Comm. Busetto, il sig. Moretti Raffaele ed altri; il Comune di Tomba di Pesaro ha donato l’area, la Provincia ha autorizzato il proprio Ufficio Tecnico a redigere il progetto e dirigere l’esecuzione, i soci operai e contadini hanno prestato gratuitamente o due giornate di lavoro o due viaggi con buoi, rispettivamente. Così questa Società Operaia ha potuto avere una sede bella, che servirà per le adunanze sociali ma anche per ritrovo ricreativo ed educativo dei suoi numerosi soci. Essi vi troveranno giornali, periodici di agricoltura e libri di una biblioteca popolare. Domenica 26 vi convennero in grande numero e vi tennero un banchetto... Dopo il banchetto si iniziarono le danze, che si protrassero fino a tarda ora (“L’Ora”, 17 ottobre 1926). Negli anni successivi il salone diventerà Casa del fascio, e vedrà alternarsi, sul piccolo ma grazioso palcoscenico ricordato da una cronaca del 1927, balilla e giovani italiane in attesa della Befana fascista e attori della Filodrammatica del paese, guidati dalla maestra Anita Antonelli; prima dei lavori di recupero la sala conoscerà un lungo periodo di degrado, con la scritta inneggiante al duce a scolorirsi al sole, ultima superstite di un passato ormai lontano.

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Alla fine degli anni ‘20 l’Amministrazione provvederà al restauro delle mura castellane che, nonostante i lavori effettuati nel 1900, di nuovo nell’ottobre 1924 in qualche tratto minacciano rovina, con grave pericolo delle case sottostanti. Il decennio 1920 - ‘30 si era aperto con un’altra importante opera pubblica, la Correzione della strada salita d’ingresso al castello di Montelevecchie e Boscarino (la strada che dal castello di Belvedere conduce a Mondaino), in merito alla quale il Consiglio comunale delibera a più riprese tra la primavera del 1921 e l’estate del 1922. 13 marzo 1921. Il Consiglio comunale, sentita la necessità di procurare lavoro ai disoccupati di Montelevecchie; visto che quei frazionisti fanno premura vivissima affinché l’Amministrazione faccia compiere il lavoro di correzione alla salita d’ingresso al paese e a quella di Boscarino in quanto risulterà opera d’importanza e di necessità per la continuità del transito con la provincia di Forlì... ritenuto che nel Comune esiste una coop muratori, braccianti ed affini che occupa interamente mano d’opera locale... con votazione palese e con voti favorevoli 16 su 16 votanti delibera di far eseguire i lavori di correzione alla salita d’ingresso del paese di Montelevecchie e di quella di Boscarino. Come si legge nella delibera del 25 settembre 1922, l’importo definitivo dei lavori è di Lire 98.000. Il progetto è del geometra Filiberto Fattori, che lo stesso anno cura anche la sistemazione delle fogne lungo la via Parrocchiale, portata a termine nell’autunno del 1923. A destra: il progetto per la sistemazione delle fogne lungo la via Parrocchiale; nella pagina precedente: il progetto per le modifiche alla strada d’ingresso al paese (1921-1923)

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La maestra Anita Antonelli con una scolaresca davanti all’ingresso dell’ufficio postale (Casa comunale) di Belvedere Fogliense (raccolta Pro Loco Fogliense)


“Piccola città”

Belvedere Fogliense, anni ‘20 del Novecento. La maestra Anita Antonelli con una scolaresca: in queste immagini compare anche il marito Mario Macchini (i due sono sposati dal 1913). Queste foto e quelle alla pagina seguente sono state scattate davanti alla Casa comunale, che ospitava nello stesso stabile l’ufficio postale e la scuola: si intravedono i gradini che scendono alla piazza e la buca per l’impostazione delle lettere presenti anche nei disegni di don Giovanni Gabucci. Com’era la maestra Anita? Bella e brava - dicono i nostri ‘narratori’ - ma severa, ci diceva sempre di non parlare in dialetto, di usare l’italiano anche in casa. Le foto ci mostrano una signora elegante, vestita alla moda (anche Mario nelle due immagini a fianco, probabilmente scattate nella stessa giornata, esibisce paglietta e bastoncino), ma quel che più ha colpito la fantasia degli alunni di Anita sono le scarpe: portava sempre le scarpe col tacco, un paio di scarpe marroni con il cinturino... Una classe della scuola di Belvedere insieme con la maestra Anita Antonelli e il marito Mario Macchini (raccolta Fam.Walter Macchini)

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A sinistra e sopra: fronte e retro di una fotografia datata 27 aprile 1922; si riconoscono, da destra verso sinistra: don Giovanni Gabucci (con gli occhiali), Mario Macchini e Anita Antonelli (al centro),Walter Macchini (sul triciclo) e, seduto, Luigi Antonelli, padre di Anita. E’ chiaramente leggibile sul retro, nell’angolo in alto a sinistra, il timbro “A. Bernardi - Montelevecchie”. Sotto, a sinistra: Anita Antonelli e Mario Macchini (1913 - ‘15); al centro: una fotografia inviata da Anita a Mario nel 1916, quando si trovava al fronte; a destra: Guido Antonelli, fratello di Anita, affettuosamente detto Giolitti per le sue simpatie repubblicane raccolta Fam.Walter Macchini)

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Sopra: dall’alto verso il basso, Matteo Bartolucci (raccolta Fam. Bartolucci) e Pierino Guagneli di Rio Salso (raccolta Pro Loco Fogliense). A sinistra: sopra, la famiglia Generali negli anni ‘30 del Novecento; nella foto si riconoscono: al centro, in piedi,Terzo Generali; alla sua sinistra la moglie Albina Ugolini e alla destra di Terzo la sorella, Maria Generali. In prima fila, al centro, Sante Generali (padre di Terzo); alla sua sinistra Aldo e Mario Generali; alla destra di Sante, Celestina e Vera Generali (raccolta Vera e Celestina Generali). Sotto: la famiglia Agabiti di Rio Salso (raccolta Pro Loco Fogliense): al centro il cantoniere Ivo con la moglie Emilia Venerucci; qui a sinistra: partecipazione di nozze (raccolta privata, Pesaro)

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Belvedere Fogliense, anni ‘30 del Novecento, matrimonio a San Donato (raccolta Laura Macchini); sotto: un gruppo di suonatori della zona durante una festa. Il secondo da sinistra è Gino Giorgi di Case Bernardi (raccolta Fam. Gino Giorgi, Case Bernardi)

Tra fisarmoniche e rinfreschi al bettolino qualche volta ci scappava anche la rissa e, per cacciare quelli di Mondaino venuti a dar battaglia, più d’una volta s’era vista la Terza dell’osteria Giunta menar l’aria con uno stoccafisso bagnato. Come dappertutto a quei tempi, anche a Belvedere il ballo era una cosa seria, specialmente dopo il 1926, quando il notaio Olmeda aveva fatto costruire la sede del Dopolavoro: i Bartolucci vendevano le caramelle da tirare, le signore indossavano l’abito lungo (ti ricordi quella volta che all’Agnese Marcheggiani le si è scucito il vestito?) e si tirava tardi, finché non batteva l’ora della quaresima...

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Tra le storie che restano da raccontare c’è anche quella del tesoro di Montelevecchie: come ogni rocca che si rispetti, anche la nostra custodiva ricchezze incommensurabili, che aumentavano man mano che il racconto del forziere passava da una bocca all’altra. Ci hanno detto di sedute spiritiche e di medium, di notti intere passate a scavare nelle grotte - ma, secondo la migliore tradizione, la rocca non ha ancora ceduto il suo segreto. Chissà. Anche dei fantasmi, ci hanno detto: del Beato Ugolino che bussava per uscire dal muro dov’era stato sepolto, dei condannati che erano morti nelle prigioni sotterranee, della casa parrocchiale dove ci si sentiva e dei parroci di campagna che si sentivano tirar via i panni... Un ex voto della raccolta della parrocchia di San Donato

Tra le molte persone ivi presenti eravi una donna per nome Rosa, figlia del fu Andrea Massalini e vedova di Andrea Fraternali di anni sessanta, nativa e stata sempre nel Castello di Montelevecchie. Essa disse, che mentre era Parroco di questa chiesa un certo Bastianelli, essendo mezzo rotto il muro avanti la detta cassa, lo fece il Bastianelli atterrare, ed aprì la cassa stessa presente l’allora vivente sig. D. Francesco Balestrieri, e molta gente, ed essa Rosa vide il medesimo Corpo Morto, ma in miglior stato del presente, ed aveva allora la testa inghirlandata di fiori, ed un mazzo di fiori nelle mani, e si è sempre chiamato questo, anche dai vecchi, il Corpo del Beato Ugolino. Maria Antonia figlia del fu Matteo Andreucci di anni settanta, e vedova di Giovanni Serafini, e dimorante sempre nella stessa Parrocchia, disse, ch’essa non si trovò presente all’apertura della detta cassa al tempo di Bastianelli, ma bensì il di lei marito gli raccontava d’aver veduto ed inteso quanto di sopra ha narrato Rosa Fraternali, e che sempre si è mantenuta la tradizione, che questo fosse il corpo del Beato Ugolino, e che per quante volte abbiano aggiustato quel muro si è sempre da sé riaperto, e che i vecchi hanno sempre detto: In quel muro v’è un Santo, ma fintantoché durerà la generazione del Beato Ugolino, non sarà egli posto in pubblica venerazione (dai taccuini di don Giovanni Gabucci, Memoria sul rinvenimento del corpo del cosiddetto Beato Ugolino nella chiesa parrocchiale di Montelevecchie in occasione di Sacra Visita, 1845). 121


La venditrice di chincaglieria Elena Macchini (1891-1985), figlia di Celeste. Molti anni dopo, Elena è l’anziana signora seduta sui gradini dell’ufficio postale ritratta da Francesco Bartolucci

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Gli anni ‘30

Il 28 ottobre 1922 Benito Mussolini conquista il potere con l’imponente sceneggiata della marcia su Roma; nel 1926 si insedia a Tomba, come in tutte le province d’Italia, il Podestà. A Belvedere si costituisce una sezione del Fascio: tra le principali realizzazioni del regime nella frazione, così come sono elencate su “L’Ora”, il settimanale fascista della provincia di Pesaro e Urbino, spiccano l’ampliamento del cimitero di Belvedere Fogliense per un costo totale dei lavori di L. 68.736,06 (1926); la costruzione un anno dopo, nel medesimo cimitero, di nuovi loculi per un importo di L. 20.000; il nuovo mattatoio pubblico, realizzato nel 1932 con una spesa di L. 12.000. In programma anche la costruzione del nuovo acquedotto di Belvedere.

Belvedere Fogliense, 1932. Su due edifici si vede chiaramente la silhouette della testa del duce (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Nel 1929 Belvedere Fogliense rende omaggio ai caduti della Grande Guerra dedicando loro il Viale delle Rimembranze, dove sono piantati tanti alberi quanti sono i soldati di Montelevecchie morti al fronte. 28 ottobre 1929. In un paesaggio di tristezza autunnale, Belvedere Fogliense ha celebrato domenica il rito di amore e di fede ai suoi Caduti affidando il ricordo dei loro nomi all’eterna giovinezza delle piante. Il Comitato, presieduto dal Comm. Dott. Nazzareno Olmeda, Preside della Provincia, di cui faceva parte il Podestà geometra Arturo Benelli, ha curata l’organizzazione della cerimonia che è riuscita più solenne per l’intervento di S.E. il Vescovo di Pesaro, delle Famiglie dei Caduti, del Vice segretario federale Giombini, del tenente Colonnello dei RR.CC, del Questore, di un Ufficiale Superiore del 2°artiglieria in rappresentanza del presidio. Alle ore 15 le Autorità ed una folla innumere di popolo si sono recate in corteo al Parco della Rimembranza consacrato ai Caduti. Chiamati questi per nome, i loro spiriti sono stati per la parola del popolo evocati “presenti” nei cuori; benedetti da S.E. Vescovo nel segno della religione della Patria... Le note dell’Inno del Piave con cui si chiude la cerimonia danno a queste parole il commento più efficace e commovente (“L’Ora”, 29 novembre 1929). Belvedere Fogliense, 28 ottobre 1929, l’inaugurazione del viale delle Rimembranze (raccolta Fam.Walter Macchini)

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Scattata probabilmente alla fine degli anni ‘20, questa foto ritrae i reduci della I Guerra mondiale, radunati all’angolo tra via Parrocchiale e via del Sacramento. Tra loro abbiamo individuato Augusto Rossi (Piganón, il primo da sinistra, seduto a terra), a fianco a lui Primo Ugolini e subito dopo, ancora in prima fila, Nazzareno Tenti. Sempre in prima fila, terzo da destra, Guido Antonelli, fratello della maestra Anita. In seconda fila, da

destra, il primo è Nazzareno Marcheggiani e nel gruppo si riconoscono anche il sig. Bezziccheri di Rio Salso e il sig. Maffei di Padiglione. L’imponente signore con i baffi bianchi è Augusto Bartolucci, alla sua destra Terzo Generali, Pasquale Bardeggia e Lazzaro Morotti (Lazzaro del lungh). Alla sinistra di Augusto Bartolucci, Mario Macchini e Orilio Marchetti (raccolta Fam.Walter Macchini)


1934, Rio Salso. Domenica 9 dicembre vi fu in questa località l’inaugurazione del Dopolavoro. Intervennero da Pesaro il Dopolavoro Provinciale e da Belvedere Fogliense il Segretario del Fascio sig. Macchini e tutte le organizzazioni fasciste che sfilarono in corteo per poi entrare nel nuovo locale del Dopolavoro, fastosamente addobbato dall’instancabile camerata Pietro Scatolari (“L’Ora”, 15 dicembre 1934). 1937, Belvedere Fogliense. Mercoledì 8 dicembre alle ore 10,30 ha avuto luogo la cerimonia dell’inaugurazione del Gagliardetto dei Combattenti e delle Fiamme dei Fasci giovanili e delle Massaie Rurali. Dopo la benedizione in chiesa, Combattenti, Fascisti, Massaie Rurali in costume e popolo si sono recati, in corteo, al cimitero a rendere omaggio ai Caduti della Grande guerra, deponendo una corona di alloro sulla lapide che li ricorda, poi nella piazzetta, dove l’Ispettore di zona ha tenuto un applaudito discorso. Alle ore 13, presenti tutte le Autorità e i combattenti, è stato consumato il tradizionale rancio col più schietto cameratismo. Combattenti, Fascisti e popolo hanno inneggiato al re imperatore, al Duce Fondatore dell’Impero e cantato le canzoni di trincea (”L’Ora”, 19 dicembre 1937).

Rio Salso, 1930 - ‘40. Nella foto, scattata a fianco della chiesa di Sant’Agnese, si riconoscono: all’estrema sinistra, Mario Macchini; tra le massaie rurali in costume: Anita Del Bianco, Cesira Franca, Silvia Agabiti, Caterina Cerpolloni, Ida Massarini (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Belvedere Fogliense, anni ‘30 del Novecento, foto di gruppo in via Parrocchiale durante una manifestazione fascista (raccolta Laura Macchini)

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“Prima del Fronte. Dopo il Fronte”

31 agosto 1944. E’ il giorno dell’attacco decisivo. Nello stesso giorno i battaglioni Irish Regiment Canada (ten. col. R.C. Clark) e Cape Breton strappano ai granatieri del 67° Reggimento le alture sovrastanti Montecchio (nonostante un contrattacco pomeridiano del Battaglione II/67) e si dirigono su Monte Marrone. Contemporaneamente i polacchi della divisione Kresowa avanzano oltre il Foglia mentre la 3° Divisione Carpatica si prepara all’attacco su Fiorenzuola e Castel di Mezzo. Nel settore della 46° Divisione Britannica i Forester della 139° Brigata prendono Belvedere Fogliense... (da AA.VV. Linea Gotica, 1997).

Marzo 1944: il battaglione 5° Sherwood Forester in marcia verso Belvedere Fogliense; a destra: Belvedere Fogliense visto da una postazione britannica nell’antistante sponda del Foglia; sotto: Padiglione, le difese tedesche (da AA.VV. Linea Gotica, 1997)

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Belvedere Fogliense, 20 novembre 1944. Dal Questionario relativo ai danni di guerra per la curia vescovile di Pesaro - La chiesa è stata gravemente danneggiata da cannoneggiamento: tetto quasi totalmente crollato, mura dell’abside pericolante, così pure il muro della sacrestia. Gli altri muri gravemente scheggiati, torti; finestre rotte o danneggiate; pavimento danneggiato; per le funzioni religiose è stata adibita come chiesa la sala parrocchiale, dove sono stati trasportati dalla chiesa due altari in legno, quadri, statue di santi e arredi sacri; - L’oro votivo alla Beata Vergine, riposto in nascondiglio con qualche vaso sacro, è stato portato via, non so da chi. - Mobili danneggiati. - Chiesa di Sant’Agnese fatta saltare, con mine: così pure la cappella della villa Tamai, insieme alla villa; - La casa parrocchiale è stata occupata in varie volte e ad intervalli dai soldati e ufficiali tedeschi per accantonamento e sede comando. Poi, dal momento dell’entrata in paese delle truppe inglesi 31 agosto ore 12, fu occupata per ospedale militare fino al 12 settembre. Così pure la chiesa e sacrestia per feriti e morti benché gravemente danneggiate; - Le case delle Confraternite furono occupate continuamente per circa due mesi dai tedeschi.Tutto è stato occupato senza condizioni; - Paese gravemente danneggiato da cannoneggiamento: case riparate provvisoriamente. Monte: case danneggiate in parte. Piano: case fatte saltare da mine circa n. 90 lungo la via provinciale Feltresca nei mesi di luglio e agosto; - Morti nei campi, da scoppio di mine n. 4: feriti molti (don Icaro G. Giorgi, dall’Archivio Parrocchiale, Belvedere Fogliense).

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Sopra: Rio Salso, 1943 - ‘44 (raccolta Fam. AntonioTerenzi); a sinistra: Rio Salso, 1945 circa (raccolta Edera Paccassoni, Pesaro)

Sacerdote di campagna con l’hobby della pittura (nel 2005 il Comune di Monteciccardo - PU gli ha dedicato una retrospettiva nell’ambito del progetto Terra Nostra), don Edo Terenzi, nativo di Rio Salso, dipinse diversi scorci del suo paese, tra cui l’olio su tavola che raffigura la sua casa natale nei pressi della strada Provinciale Feltresca (proprietà Fam. Antonio Terenzi).

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Belvedere Fogliense, 1945 PETIZIONE Noi donne dell’U.D.I. (Unione delle Donne Italiane) di Belvedere Fogliense ci facciamo interprete dei bisogni di tutta la popolazione della nostra frazione. Questa che del fascismo ha sopportato e sopporta tutte le conseguenze si rivolge alle autorità affinché intervengano immediatamente ed energicamente nella risoluzione dei problemi che chiedono una immediata soluzione. Nel quadro della nuova vita democratica esse chiedono che realmente si venga incontro ai bisogni della popolazione e che si intervenga in tempo senza lasciare alla reazione la possibilità di creare dei disordini che non farebbero che peggiorare le nostre condizioni, senza nulla risolvere. Esse chiedono che: - sia distribuito un certo quantitativo di grano alle famiglie non produttive per arrivare fino alle nuove disposizioni. - Si pensi alla realizzazione dell’acquedotto… - Si metta riparo al continuo salire dei prezzi dei generi alimentari con un severo controllo dei mezzi di trasporto, che servono per il rifornimento alimentare del comune, che si esiga il rispetto di un listino dei prezzi … attraverso una commissione popolare contro il mercato nero composta dai rappresentanti dei vari partiti… - Si distribuisca supplementi delle razioni alimentari ai bambini e ai vecchi. - Si pensi ad effettuare una distribuzione di illuminante dato la mancanza di energia elettrica. Questo chiede la popolazione, ne chiede la sua realizzazione immediata e chiede alle autorità che si ricordino più spesso che anche la loro frazione fa parte del comune, quindi dipendono dalla stessa Amministrazione Sicure di essere comprese ed accontentate nelle loro giuste richieste, attendono fiduciose la realizzazione di questi problemi. (seguono 66 firme, anche di uomini) (protocollo del 30 luglio 1945)

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1942, Carta annonaria


Rio Salso, 1945. Al Sindaco di Tavuglia PETIZIONE Le donne dell’U.D.I. (Unione Donne Italiane) di Rio Salso e case Bernardi, portano la voce della popolazione della frazione per le giuste richieste che attendono una immediata risoluzione. (…) Esse intendono fare tutti quei suggerimenti che porterebbero un miglioramento alle disagiatissime condizioni ...e che si pensi al ripristino della luce, essendoci le possibilità, in quanto il motore del mulino produce energia per il comune di Colbordolo… Che dove non arriverebbe la luce si pensi ad una distribuzione di illuminanti… Che si pensi a trovare un locale per la scuola, in quanto sarà impossibile continuare nello stesso locale dell’anno scorso, trattandosi di una chiesa (locale troppo grande e freddo)… Per questo ci si rivolga sin d’ora dai proprietari che hanno costruite nuovi fabbricati e si prenda un locale per la scuola prima che siano affittati o comunque il comune pensi alla sua risoluzione… (seguono 35 firme) (protocollo del 30 luglio 1945)

20 Giugno 1945. Il Sindaco Micheletti all’Unione Donne Italiane - Belvedere Fogliense Generi razionati Si assicura che i generi dei quali si ottiene la fornitura dalla Sezione Provinciale della Alimentazione, vengono sempre ripartiti fra gli esercizi del Comune con la massima giustizia, in modo che ciascuno di essi sia fornito di generi della stessa qualità. Senonché, mentre il sapone ricevuto ultimamente era tutto nero, per cui non è potuto avvenire che qualche esercizio ne abbia ricevuto di altra qualità, come afferma codesta Unione, invece lo zucchero, che dalla fattura risultava dover essere tutto bianco, al momento della distribuzione si è constatato che in parte era nero. Tale qualità è stata necessariamente assegnata a quegli esercizi che non avevano ancora ritirato la parte loro spettante fra i quali era anche quello di codesta frazione. In avvenire si eviterà il ripetersi di tali inconvenienti i quali sono, d’altra parte, di lieve entità dato che il potere dolcificante delle due qualità di zucchero è presso che uguale. Questo Comune non manca di interessarsi per ottenere la assegnazione delle maggiori quantità possibili di generi e, si ripete, che ogni assegnazione è ripartita con tutta equità fra gli esercizi del Comune.

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Belvedere Fogliense negli anni ‘50 del Novecento (sopra: raccolta Pro Loco Fogliense; a fianco: raccolta Graziella Pozzi Forlani; sotto: raccolta Fam. Bartolucci)

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Sopra: 1952 - ‘53, la costruzione del tratto della strada provinciale Feltresca che va da Case Bernardi al bivio di Talacchio (raccolta Pro Loco Fogliense); a sinistra: Rio Salso, 1952 - ‘53 (raccolta Massimo Massalini, Pesaro)

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Rio Salso, 1954. Matrimonio a San Martino (raccolta Edera Paccassoni)

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Le immagini, da sinistra, in senso orario: foto di gruppo in fabbrica; Matteo Bartolucci; Celestina Generali (tutte le foto sono databili tra la fine anni ‘40 e i primi anni ‘50, raccolta Fam. Bartolucci); foto di gruppo degli anni 1930-1940 (raccolta Pro Loco Fogliense). Una piccola fisarmonica degli anni ‘50 (raccolta Fam. Bartolucci); cartolina datata Belvedere Fogliense, 8.12.‘54 (raccolta Alberto Giorgi, Mondaino)

Nata a Belvedere Fogliense sul finire degli anni ‘30 del Novecento per volontà dei fratelli Leopoldo, Ernesto, Silvio e Matteo, figli di Augusto, la ditta Bartolucci ha prodotto fisarmoniche fino alla metà degli anni ‘50.

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Belvedere Fogliense, anno scolastico 1948 - ‘49 (raccolta Pro Loco Fogliense)


“Amarcord”

Due scolaresche a Belvedere Fogliense, anni 1940 - ‘50. Nella fotografia in basso si riconosce, a destra, la maestra Anita Antonelli (raccolta Laura Macchini)

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Belvedere Fogliense, anno scolastico 1952 - ‘53, la classe della maestra Aldeide Fiscaletti. Sotto, a sinistra: Magda Bianchi Franca, a destra: Iliano Franca a Case Bernardi (1950 - ‘55; raccolta Pro Loco Fogliense)

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Belvedere Fogliense, 1959. Foto di gruppo per la Prima Comunione davanti alla Chiesa di San Donato (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Belvedere Fogliense negli anni 1960 - ‘75 (in alto: a sinistra, raccolta Fam.Walter Macchini, a destra, raccolta Francesco Bartolucci; in basso: raccolta Pro Loco Fogliense)

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Tre vedute di Belvedere Fogliense: negli anni 1940 - ‘50 (sopra), negli anni 1960 - ‘70 (a destra, in alto) e intorno al 1970 (qui a fianco); sotto: cartoline di Padiglione, 1960 - ‘70 (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Sopra: Case Bernardi, 1960 - ‘70; sotto, Rio Salso, 1970 (raccolta Pro Loco Fogliense)

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Dall’alto verso il basso: Rio Salso, la casa di Fabio Tombari e Angela Busetto; Natale in casa Tombari (raccolta Laura Macchini); la famiglia Tombari (27 ottobre 1954): al centro, con la cravatta scura, lo scrittore con la moglie Angela Busetto (raccolta Pro Loco Fogliense) 145


L’inaugurazione dei lavori di recupero della piazza di Rio Salso con il monumento a Fabio Tombari (1 ottobre 2005)

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Novembre, quando l’autunno funziona da inverno, e nelle sere di nebbia gli uomini sembrano fatti della materia dei sogni... Mese grasso, abbondante di selvatici, di vongole, di storni, di colombacci, di tordi allo spiedo, di fumi d’arrosto, di fiere fisse e mobili; carico d’uva fresca, d’ortaggi, di pere bergamotte, di cald’arroste, di mele cotogne... è il mese in cui si mette a mano il vino nuovo, si riaccende il caminetto e tornano in uso il biliardo, la pipa e il tresette. Durante l’estate di San Martino, di sera, nelle sere di bonaccia, il mare piange in sordina. Ogni tanto, dal profondo, un rumore sordo come di timpani; poi un silenzio (Fabio Tombari, I mesi, 1954).

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Grazie Grazie di cuore a tutti coloro che hanno contribuito con i loro ricordi e i loro racconti a ricostruire la storia e le storie di Belvedere Don Michele Simoncelli - parrocchia di San Donato, Belvedere Fogliense Don Igino Corsini - Archivio Diocesano, Pesaro Don Orlando Bartolucci - parrocchia di Santa Maria Assunta, Montecchio Biblioteca Federiciana - Fano Famiglia Bartolucci: Ida e Matteo, Mariagrazia e Francesco, Stefano e Beatrice Alessandro Bartolucci e Rosanna Sparaventi Maria Bartolucci e Franco Gaudenzi Valeria Cancellieri Germano Cecchini Mario Del Baldo e Marcella Ugolini Famiglia Angelo Generali Giuseppe Generali (Pippo) Vera e Celestina Generali Alberto Giorgi Italo Giunta e Rosanna Spinelli Giancarlo Masini Massimo Massalini Giancarlo Olmeda Cisa e Edera Paccassoni Giuliano Pierini Graziella Pozzi Forlani, Gianluca Forlani e Loretta Guagneli Bettina Roselli Bruno Sabbatini e Loretta Mariotti Vasinto Sanchini Antonio Terenzi e Rina Corsini, don Edo e Stella Terenzi Dante Trebbi Grazie anche a Fosca Avanzolini, Livio Generali e Luigia Ceccarelli, Adda Cecchini e Iliano Franca, Gino Giorgi e Colomba Franca, Massima Giorgi che hanno collaborato alla fase iniziale dei lavori, e a Simonetta Campanelli. Un ringraziamento particolare, infine, a Laura e Gilberto Macchini, per la loro pazienza e attenzione; a Walter Macchini e a sua moglie Gina Giovanetti per la loro disponibilitĂ ; a Vera e Celestina Generali e Graziella Pozzi Forlani per i loro molti racconti e alla mitica Ida Bartolucci, che tra biscotti e torte di mele ci ha accompagnato nella nostra ricerca sin dai primi passi

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Il lavoro continua



L’esposizione dell’autunno 2005 si concludeva con un pannello vuoto, uno spazio a disposizione di chi avesse qualcosa da aggiungere, documenti da segnalare o anche solo commentare il lavoro svolto. Questa sezione contiene i materiali che sono stati raccolti tra il dicembre 2006 e il dicembre 2007, oltre ad alcuni appunti dai taccuini di don Giovanni Gabucci che non hanno trovato posto nelle pagine precedenti.

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Il frontespizio di uno dei taccuini dove don Giovanni Gabucci raccolse notizie e schizzi su MontelevecchieBelvedere Fogliense

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Don Giovanni Gabucci a Belvedere Fogliense

Nato a Sant’Angelo in Lizzola nel 1888, don Giovanni Gabucci svolse un’intensa attività pastorale come predicatore e come coadiutore del parroco in numerosi paesi dei dintorni di Pesaro, tra i quali Montelabbate e lo stesso Sant’Angelo in Lizzola, dove fu viceparroco e dove morì nella notte del 5 settembre 1948. Nominato nel 1918 ispettore onorario per le opere di Antichità e Arte dalla Soprintendenza alle Antichità delle Marche e dell’Umbria, nel 1926 fu ammesso alla Scuola Vaticana di Paleografia e Archivistica, conseguendo agli esami finali ottimi risultati. Le sue carte, conservate presso l’Archivio Diocesano di Pesaro, comprendono oltre ai taccuini diversi altri materiali quali fotografie, ritagli di giornale, trascrizioni dagli archivi parrocchiali e curiosità di ogni sorta, che costituiscono una preziosa risorsa per la storia (meglio, per innumerevoli microstorie) della nostra provincia. Un insieme di frammenti che, organizzati come una sorta di ipertesto ante litteram, offrono diversi percorsi di lettura, tutti segnati dall’irriducibile vivacità intellettuale e dall’occhio acuto di questo studioso dai mille interessi, che amava definirsi il facchino della diocesi. A Montelevecchie don Giovanni Gabucci giunse in via provvisoria il 12 marzo del 1922 e nei suoi cinque mesi di duro esilio riempì numerosi taccuini di schizzi corredati da notizie raccolte in parrocchia e presso gli abitanti: documenti che, come egli stesso ebbe a scrivere, sono bastanti per un voluminoso romanzo. Di questo romanzo riportiamo di seguito alcune pagine. D. Gio. Gabucci - Delegato da Mons. vescovo - 1922, MarzoAgosto. Non volle mai la bolla da Economo, perché non volle neppure la Parrocchia. (...) D. Giovanni dopo cinque mesi di duro esilio, non ostante fosse mandato il 12 marzo da Mons. Porta in via provvisoria, lasciò Montelevecchie il 13 agosto 1922... I documenti dei 5 mesi d’esilio sono bastanti per un voluminoso romanzo (dai taccuini di don Giovanni Gabucci, Archivio Diocesano di Pesaro)

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Madonna della Misericordia 13 maggio 1923 - 2a Domenica Fu fatta come al solito la festa, e poiché la statua fatta dall’Eremita non era come si diceva rotta si portò in processione quell’antico simulacro fra la gioia comune, e tutti misero le coperte alla finestra (ad eccezione del Notajo, non si sa se per voler suo o, sembra più certo, se per picca della sua signora perché non fu fatta la processione con la Statua dell’Immacolata prendendo la scusa che non le avevano?!!...) Io mi trovavo a Mlevecchie [sic] per ajutare il Rettore ammalato ad una gamba, ed alla 1a Messa ricordai la storia dell’eremita e della Immagine della Madonna fatta da lui e posta prima nella selva, poi nella cappella della Rocca (quindi nella Chiesa di San Sebastiano) ed in ultimo nella Parrocchiale. Fra i diversi miracoli ottenuti per intercessione della Vergine della Misericordia è ancor viva nel popolo la memoria di due: uno avvenuto il 7 ottobre 1855 quando facendosi una serata di burattini in una camera al 2° piano della casa di Bartolucci, si sprofondò il solajo della camera suddetta, questo produsse la rovina del solaio della camera sottostante e operatore e spettatori caddero, alcuni restarono fra i ruderi, altri precipitarono nel fondo fra i rottami e quelle botti senza riportarne alcun danno e di ciò rimane una rozza tavola dipinta (53 x 42) che riproduce la scena e la scritta MONTELEUEHIE 7 OTOBRE 1855. (...) Fra gli altri quadri votivi ve n’è uno con la scritta Nazzareno Bernardi - liberato miracolosamente - da morbo gravissimo - da quest’immagine di Maria - nel giugno dell’anno 1881 - vuole perpetuarne la memoria - della grazia ricevuta - e la più viva e amorosa riconoscenza che durerà in lui per tutta la vita. Il Bernardi (detto Batoc, padre del fotografo) è ancora vivo, e nel 1881 era stato preso da paralisi.

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Un particolare della Madonna in trono col Bambino (prima metà del XIII sec., legno intagliato, scolpito e dipinto) della Parrocchia di San Donato


Tra le carte di don Giovanni Gabucci è conservata la minuta di una lettera scritta a nome di Mario Macchini, presidente del Comitato per le onoranze Ugolino Malatesta delle Camminate, per presentare al Duce la storia del Beato, una briciola di storia locale che si collega alla forte gente della vostra Romagna e all’antico Castello delle Camminate, luogo a voi tanto caro per i vostri necessari riposi. Il 24 settembre 1942 Mario Macchini scrive a don Gabucci abbiamo avuto la certezza che il Duce ha ricevuto il memoriale riguardante il Beato Ugolino delle Caminate [sic]. Il giorno 5 corrente, il suo segretario particolare ha inviato a questo Presidente del Comitato per le onoranze al Beato Ugolino Malatesta delle Caminate la seguente lettera: “Il Duce ha gradito l’atto di omaggio”. Per avere il segretario particolare scritto così bisogna che il Duce abbia letto tutto il carteggio. Adesso non è il momento di sperare a nulla, ma in tempi più calmi, che ci auguriamo prossimi, se ciò lo interesserà, potrebbe darsi di ricevere la sorpresa di una sua visita. Che ne pensate? Saluti da tutti i paesani e speciali dal Prete e da noi e famiglia.

Minuta della lettera scritta da don Giovanni Gabucci a nome di Mario Macchini per presentare al duce la storia del Beato Ugolino (Archivio Diocesano di Pesaro)

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Nato nel settembre del 1540 a Montelevecchie, da Gregorio e da Camilla Perli, il francescano Giambattista Lucarelli fu amico di San Filippo Neri e confessore di Francesco Maria della Rovere, al seguito del quale partecipò alla battaglia di Lepanto. Dal 1576 al 1587 fu missionario in diversi luoghi tra i quali le isole Filippine; ritornato in Italia, si ritirò nel Convento di Santa Lucia al Monte, dove morì nel 1604. Nei suoi taccuini don Gabucci riporta, oltre ad alcuni dati biografici, anche una notizia sul ritratto di Giambattista Lucarelli dipinto da Federico Zuccari: Nella Chiesa di San Francesco, già all’altare del SS. Sacramento ed ora al muro della navata di sinistra vicino a detta cappella v’è “il ritratto” del Lucarelli nel quadro della Concezione, dipinto da Federico Zuccheri. Lo Zuccheri fece posare il Lucarelli che si trovava a Roma, tornato dalle Missioni, facendogli credere di voler fare l’immagine di San Francesco, che realmente fece per accontentare detto Padre, ma quando il Lucarelli morì a Napoli in concetto di Santo, lo Zuccheri scrisse ai frati di Pesaro che il volto di S. Francesco era dipinto su di una tela sovrapposta al viso del Beato Lucarelli e che con un provvedimento che indicava si sarebbe potuta levare. I frati obbedirono al pittore e si ebbe così il vero ritratto del Beato Lucarelli, che tutt’ora esiste e del quale Mons. Molaroni nel 1911 fece ricavarne copia dal prof. Gaudenzi Carlo di Pesaro, e la regalò alla Parrocchia di Montelevecchie, e si trova in Sagrestia. La copia si trova tuttora nella sacrestia di San Donato: annerita dal fumo delle candele e dal tempo, la tela ha un foro nella parte bassa dovuto a una scheggia che la colpì durante i bombardamenti della II guerra mondiale.

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Carlo Gaudenzi, ritratto del Beato Giovambattista Lucarelli, copia da Federico Zuccari (1911, Parrocchia di San Donato)


BRICIOLE DI STORIA PESARESE Lettera del P. Lucarelli da Montelevecchie La trascrivo da un grosso manoscritto di memorie storiche raccolte da D. Cesare Tortorino che conservo fra i miei libri. Essa porta per titolo: lettera scritta dal P. fra. Gio.Battista Lucarelli francescano alla Comunità di Montelevecchie. Jesus, Maria, Franciscus Popolo e Comunita mia nelle Viscere di Christo da me molto amata, pax tibi sit semper. Se bene io mi ricordo, dal dì ch’io nacqui al mondo cieco, e dopo nato orfano restai senza padre e senza madre nudrito et allevato fra gli altri suoi figlioli fino al quarto decimo anno dell’età mia, che mio zio fra’ Nicolò mi vestì dell’habito e fino al dì di oggi mai, mai ho dato un buon consiglio né buon ricordo, nemanco adesso che sono lontano da te quindici mila miglia in questo mondo nuovo tra il numero de’ Predicatori mandati a convertire da Sua Santità et dal Re Catolico il più indegno, non sapendo se un giorno mi faranno mercede e gratia di cavarmi da questa misera prigione di questo terreno e fragile corpo mio come sempre nella maggior parte è successo a gli altri che sono stati mandati al medesimo affetto e hora sono volati martiri al Cielo, mi è parso dar questo avviso consiglio, acciò col sangue mio nato in cotesto tuo Castello ancor io per esser stato il maggior peccatore del mondo sia obbligato Sua Divina Maesta per tanto anco in Maria beneficio sempre mi à edutto e dà ogni giorno come in te sia abusata la piantagione di questo regno della Fede Cattolica in questo nuovo et grandissimo mondo maggior di tutta Italia, Spagna, Francia, et Alemagna insieme, a se sarò morto per la S. Fede Cattolica ti raccomando i miei parenti: che si come lasciai a mio fratello infermo forse saranno negli orfani, e ti dimando perdono di qual si voglia mal esempio che io ti abbia dato, e ti prego che dichi alli frati da mia parte, quando farà Capitolo, che si degni comparire questa mia lettera e pregare il P. Ministro che si degni farmi perdonare il pane che fra loro mangiai per tutto il tempo senza aver fatta Professione, e anco questo per mia negligenza, e qual si voglia malo esempio che io le diedi a i maggiori, eguali et inferiori sì in parole, come in fatti, et a mio fratello Francesco qual menai meco in Spagna a mai più comparse, li dimando perdono, che per mia occasione resti senza i figliuoli suoi e parenti, obbligo che haggi faccio seco: Voglio sempre pregare Iddio benedetto, che ti sia propitio e favorevole, confidati dal suo amore verso di me senza niun merito mio, farò fine, ma non di amarti. Dal Sole del Ponente, quest’ anno 1578 di Luglio addi 27. tuo Oratore fra’ Gio:battista Lucarelli da Montelevecchie

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Tra il 1938 e il 1948 don Giovanni Gabucci lavorò a più riprese a uno stemma per il Comune di Tavullia che però non fu, almeno a quanto risulta a tutt’oggi, mai realizzato. La vicenda dello stemma si intreccia a quella del cambio di nome da Tomba a Tavullia: il 24 novembre 1938 don Giuseppe Garattoni scrive a don Gabucci chiedendogli uno stemma che si confaccia ai tempi moderni e al nome prescelto Pinezia: Noi per esempio pensiamo ad uno stemma che abbia sullo sfondo un castello (bene si presterebbe l’antico castello di Montelevecchie) circondato da pini e in primo piano un terreno coltivato, ove un aratro con buoi ara, oppure un contadino semina o miete.

Don Giovanni Gabucci, disegni per lo stemma di Tavullia con la rocca di Montelevecchie (Archivio Diocesano di Pesaro)

Il 22 dicembre don Garattoni informa don Gabucci che lo stemma è piaciuto assai a tutte le Autorità ed è desiderio che resti anche per il nuovo nome Tavullia, dato a Tomba. Si tratta solo di cambiare la pianta, lasciando il resto che va bene. Secondo il parere nostro, bisognerebbe disegnare un fiume, il Tavollo e scrivere sulle sponde: Marche - Romagna, possibilmente in latino, per dare più importanza storica al confine delle due regioni. Il 30 dicembre don Gabucci invia due versioni dello stemma modificato secondo le richieste, accompagnato dalla seguente descrizione: I - Ha sapore araldico, e nello spaccato ov’era il pino è raffigurato il fiume col nome latino:TAVULLUM. II - È più... poetico [a matita, sopra, “verista”] perché sul terreno fra le colline scende il fiume che divide le due regioni, le quali vengono indicate dai due cippi romani, uno con la leggenda = MARCHIA ANCON(ITANA) (che è il vero nome della nostra regione), l’altro con la scritta ROMANDIOLA. 160


Dopo la fine della guerra, nel 1947 il Sindaco di Tavullia si rivolge a don Gabucci per conoscere tutto quello che eventualmente Lei sa in merito alla torre civica del Comune di Tavullia dato che, se ha un valore storico, verrà senz’altro proposta la ricostruzione come era anteguerra. Il 10 gennaio 1948, rispondendo al Sindaco circa la torre don Gabucci approfitta anche per chiedere notizie dello stemma, ricopiato senza il fascio [!] e lasciato a don Garattoni il 10 settembre 1947. Non ho dati precisi sulla costruzione della Torre Civica di Tavullia, e questa non figura - forse per una svista - neppure nel vecchio elenco ufficiale degli edifici monumentali delle Marche, compilato nel 1926 ed aggiornato nel 1928 dal Prof. Luigi Serra. Certo è che la costruzione non è recente quindi a mio modesto parere merita di essere ricostruita, anche perché dà un’intonazione caratteristica al paese che, senza la torre, figurerebbe come tanti altri simili agglomeramenti di case. (...) Prendo quest’occasione per trattare un altro argomento che riguarda il suo Comune e sul quale Lei vorrà darmi una sua gentile risposta. Nel 1938, quando si trattò di cangiare il nome al Paese, dall’Amministrazione di quel tempo fui interpellato sulla convenienza del nome da sostituire a quello di Tomba e quando, dopo qualche discussione fu deciso di chiamarlo Tavullia, e se ne ebbe il decreto di approvazione il 27 V 1940, fui incaricato a studiare uno stemma appropriato al nome. Io allora presentai due bozzetti inviandoli al Comune, il quale con lettera del 9 VII 1940 n° 1281 mi ritornò i bozzetti incaricandomi di riprodurre il prescelto a colori per mandarlo a Roma onde ottenere l’approvazione superiore. I disastri succeduti hanno sospeso il lavoro. Il disegno allora approvato dall’autorità comunale l’ò consegnato da qualche tempo all’Arciprete Mons. Garattoni per consegnarlo a Lei. La prego pertanto di presentare all’onor. Consiglio comunale il disegno che le consegnerà l’Arciprete e decidere se accettarlo o no e se debbo tradurlo nei colori araldici per ottenerne l’approvazione. (...) A suo tempo mi favorirà d’una risposta in proposito, rimandandomi il disegno. Con rispettosi auguri, dev.mo Sac. Giovanni Gabucci

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Il 21 marzo 1948 il Consiglio Comunale approva all’unanimità il bozzetto dello stemma, che risulta molto indovinato, incaricando don Gabucci di tradurlo nei colori araldici per ottenerne l’approvazione. In data 17 luglio 1948 il Sindaco trasmette a don Gabucci la lettera con cui la prefettura autorizza il Comune a predisporre quanto occorra per la redazione del bozzetto per il nuovo stemma comunale che, tradotto nei colori araldici, dovrà successivamente ottenere la preventiva autorizzazione delle leggi vigenti in materia. La vicenda si interrompe qui: il 31 luglio, lo scrittore Igino Balducci, originario di Tavullia, interpellato da don Gabucci circa lo stemma gli scrive Lo stemma è bello, è nobilmente bello, tale da indurre, in chi in questa terra nacque, quasi una impercettibile punta di orgoglio; e la passione tenace con la quale tu tratti l’argomento, mi commuove. Il 20 gennaio 1949, circa quattro mesi dopo la morte di don Gabucci, il Sindaco chiede all’Arciprete di Sant’Angelo se tra le sue carte si sia rinvenuto lo stemma... e, in caso contrario, far conoscere l’indirizzo dei parenti ai quali codesta Amministrazione potrebbe rivolgersi.

Don Gabucci in uno schizzo di don Pino Scalognini, datato 23 dicembre 1937

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Dall’Archivio Parrocchiale di San Donato in Belvedere Fogliense

Nel Nome di Dio Amen Alla presenza di me sottoscritto Paroco Nicola Machini da Montelevecchie ricercato e da me interogato a dire la pura e semplice verità depone di aver veduto coi proprj occhj in tempo di notte alle ore cinque o sei incirca di aver veduto dissi al lume della Luna entrare G. G. di detto Paese nella Porta dell’orto dell’Oratorio di Sant’Antonio, nel qual orto è una Porta che mette nella Casa ove abita suor E. F. Terziaria del 3° ordine di S. Bernardino parimente di detto Paese. Depone anche lo stesso di avere inteso da alcuni a dire che detto G. G. sia andato sulle ore anche avvanzate della notte nella casa di detta suora terziaria. In fede di ciò egli conferma il suo detto colla sua sottoscrizione ed anche (...) juramento se mai fosse bisogno di corroborare maggiormente la sua asserzione. Nicola Machini affermo quanto sopra (...) adi 24 novembre 1797 Io D. Antonio Bastianelli Parroco di S. Donato di Montelevecchie

La copertina del Registro della Confraternita di Sant’Antonio di Montelevecchie

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Album

Dalla raccolta Wanda Mariotti, Belvedere Fogliense. A fianco, in filigrana, una pagina dell’album di foto della Famiglia Bartolucci

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Dalle raccolte Famiglia. Bartolucci (sopra e in basso a sinistra) e Marcella Ugolini (in basso a destra)

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Dalla raccolta Vera e Celestina Generali

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Dalla raccolta di Laura Macchini, alcune immagini di famiglie di Rio Salso: Fam. Pontellini (qui sopra) e Fam. Bernardi e Cecchini (a destra)

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Bibliografia G. Scelsi, Statistica della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro 1881; ristampa anastatica a cura di Paolo Sorcinelli, Provincia di Pesaro e Urbino, Assessorato alla Cultura, 1997 AA.VV., Atti della giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola (presidente della commissione Stefano Jacini), Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1881-1886 “La Provincia di Pesaro e Urbino” giornale politico e amministrativo, annate 1900-1917 “L’Idea” cattolico-sociale, annate 1903-1923 “L’Ora” settimanale fascista della Provincia di Pesaro e Urbino, annate 1922-1942 O.T. Locchi, La provincia di Pesaro e Urbino, Roma, Editrice Latina Gens 1934 L. Michelini Tocci, Castelli pesaresi sulla riva sinistra del Foglia, Cassa di Risparmio di Pesaro 1973 AA.VV. Tavullia fra Montefeltro e Malatesti, Comune di Tavullia 1986 A. Battarra - P. Cristofanelli Don Giovanni Gabucci verso il centenario della nascita, “Il Nuovo Amico” - bollettino della Diocesi di Pesaro, 25 maggio, 8 e 22 giugno 1986 AA.VV. Linea Gotica, Comune di Tavullia 1997 Dante Simoncelli, Don Ciro Scarlatti “Sferza”, Comunicare - Pesaro 1997 Georges Perec, Ellis Island, storie di erranza e di speranza, Archinto 1996 O. Bartolucci, Montecchio, un paese, un popolo, una storia, Parrocchia di Santa Naria Assunta 1999 G. Allegretti Tavullia - Tomba, Montelevecchie, Monteluro nei secoli XVI-XIX, Comune di Tavullia 2000 Dolores Prato, Giù la piazza non c’è nessuno, Mondadori 2001 Gian Antonio Stella, Odissee, Rizzoli 2004 Siti citati www.ellisisland.org www.hora.it Fonti e referenze iconografiche Le immagini e i documenti citati e riprodotti appartengono alle seguenti raccolte: Archivio Comunale di Tavullia Archivio Diocesano di Pesaro Archivio Parrocchiale di Belvedere Fogliense Raccolta don Orlando Bartolucci, Parrocchia di Santa Maria Assunta, Montecchio (Sant’Angelo in Lizzola) Pro Loco Fogliense Famiglia Bartolucci, Belvedere Fogliense Vera e Celestina Generali, Belvedere Fogliense Famiglia Gino Giorgi, Case Bernardi Alberto Giorgi, Mondaino Famiglia Giunta, Belvedere Fogliense Famiglia Macchini, Rio Salso Laura Macchini, Rio Salso Famiglia Walter Macchini, Pesaro Massimo Massalini, Pesaro Famiglia Olmeda, Belvedere Fogliense Edera Paccassoni, Pesaro Graziella Pozzi Forlani, Belvedere Fogliense Famiglia Terenzi, Pesaro Marcella Ugolini, Belvedere Fogliense Wanda Mariotti, Belvedere Fogliense

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Le maioliche di Montelevecchie


Fig. 1. La rampa di accesso del castello di Montelevecchie: tra le arcate si scorge il profilo della vicina Mondaino (Romolo Liverani, 1851)


Alberto Giorgi Una produzione di maioliche a Montelevecchie nel XVI e XVII secolo

Quando oltre dieci anni fa, insieme con gli altri volontari dell’associazione culturale “Tredici Torrioni”, iniziai a recuperare le testimonianze ceramiche che affioravano durante gli sterri di Mondaino1, mi proposi di capire se la produzione di maioliche fosse solo un fenomeno mondainese o avesse interessato anche i centri storici vicini. Per questo cominciai a seguire gli interventi urbanistici e di scavo nei castelli limitrofi, alla ricerca di tracce relative alla presenza di altri impianti produttivi. Così nel 1999, durante i lavori per l’edificazione di nuove abitazioni a Belvedere Fogliense, l’antica Montelevecchie, rinvenni alcuni scarti di fornace di maioliche, segno inequivocabile della presenza in loco di almeno una bottega di vasai; il ciclo produttivo della ceramica genera infatti spesso manufatti difettosi che, non essendo riciclabili, vengono eliminati alla stregua di rifiuti e rappresentano testimonianze fondamentali per ricostruire l’effettiva attività dei vasai. Montelevecchie può dunque vantare un’antica manifattura di maioliche, presenza che sulla base dei dati finora raccolti non è stata riscontrata nei circostanti castelli di Montegridolfo2, Saludecio3, Montefiore Conca4, Cerreto e Meleto5. Si delinea così un quadro più preciso sulla produzione ceramica nella fascia medio-collinare tra le valli del Conca e del Foglia, ma non ancora esaustivo per avere una situazione completa sull’intero territorio riminese-pesarese e per fare i giusti raffronti con le manifatture cittadine. In particolar modo resta da verificare quale tipo di attività esistesse a Sant’Angelo in Lizzola6 e a Montescudo-Montecolombo7, centri dove sono documentati innumerevoli vasai, boccalari e pignattari fin dal XIV secolo e sulla cui reale produzione non si hanno però testimonianze archeologiche. I materiali recuperati a Montelevecchie sono riconducibili a un’attività produttiva databile almeno dalla metà del XVI secolo agli inizi di quello successivo e presentano decorazioni affini all’area metaurense e per tutto simili a quelle mondainesi8. Questo certamente per motivi di contiguità territoriale (fig. 1), ma anche, come vedremo, per gli stretti rapporti esistenti tra i vasai dei due centri. È necessario precisare che la produzione di Montelevecchie risulta quantitativamente ridotta rispetto a quella mondainese: resta comunque importante poiché prova che la fabbricazione di maioliche interessava una piccola area territoriale e non era di pertinenza della sola Mondaino. Il frequente nascere di queste manifatture di ceramiche nei piccoli centri è una costante che troviamo prevalentemente in territorio emiliano-romagnolo durante il Cinquecento e il Seicento: si tratta di una vera e propria frammentazione dell’attività produttiva, fenomeno non riscontrabile nei secoli precedenti, quando le manifatture di maiolica erano una peculiarità ristretta alle sole città9.

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Tavola I. Pianta del centro storico di Belvedere Fogliense con individuazione delle aree dei ritrovamenti

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Che a Montelevecchie esistesse una produzione di maioliche era già noto ad alcuni studiosi, grazie ai rinvenimenti effettuati dai giovani del luogo all’interno di un torrione delle mura castellane, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. Una notizia importante per gli studi sulla produzione di ceramica in area pesarese che purtroppo, per una serie di circostanze più o meno fortuite, non ebbe il giusto seguito e finì dimenticata. Solo grazie alle testimonianze delle persone che presero parte a quel recupero e alla segnalazione del rinvenimento fatta da Sauro Gelichi, in seguito a un recupero analogo effettuato in un torrione della cinta muraria di Rimini10, si è potuto ricostruire la cronaca di quel ritrovamento. I frammenti di maioliche frammisti a scarti di fornace, emersero dallo svuotamento della casamatta di un torrione cilindrico quattrocentesco posto all’estremità ovest delle mura castellane, proprio a ridosso della canonica della chiesa parrocchiale di San Donato (tav. I area MV1). All’interno del torrione, attualmente sgombero da materiali, si aprono due bombardiere a pianta trapezoidale e volta troncoconica, con gli incavi per il trave adoperato per il fermo dei pezzi, ma prive della scudatura esterna per il tiro.Terminata la sua funzione difensiva, il torrione venne utilizzato come fossa comune11 e le ceramiche adoperate assieme al terriccio per la copertura delle salme. I ragazzi di Belvedere Fogliense informarono del rinvenimento Paride Berardi, all’epoca impegnato nello studio delle ceramiche pesaresi, che visionò i materiali insieme a Luisa Fontebuoni. Venne constatata l’effettiva produzione in loco delle maioliche e i reperti furono utilizzati per uno studio presentato al XIV Convegno Internazionale sulla Ceramica di Albisola nel 1981, che però non venne pubblicato12. Purtroppo quasi tutti quei materiali andarono dispersi, e solo grazie a una minima parte arrivata fino a noi è stato possibile fare una loro descrizione più dettagliata rispetto a quanto riportato dalle testimonianze orali. Tra i reperti provenienti dal torrione è presente un’alta percentuale di biscotti per maioliche, prevalentemente non ingobbiati e in cui prevalgono nettamente le forme aperte. Meno numerose risultano le maioliche, gli scarti di fornace, le caselle, i treppiedi e le punte. Inoltre diversi frammenti, sia in maiolica che in biscotto, presentano segni di bruciature e affumicature dovute a un’esposizione diretta al calore o a fiamme vive e non imputabili al ciclo produttivo. Più recentemente altre tracce della produzione di maioliche dell’antica Montelevecchie sono emerse in seguito a lavori di sterro effettuati nella parte sud-ovest del castello (tav. I, area MV2, zona evidenziata in arancio). L’intervento effettuato nel 1999 ha riguardato l’abbattimento di alcuni vecchi edifici per la realizzazione di nuove strutture abitative (fig. 2). Nel terreno di risulta dello scavo sono stati recuperati vari frammenti di maioliche d’uso associati a scarti di fornace che comprendono: caselle per l’infornamento, treppiedi e punte per distanziare i pezzi in forno, frammenti “bolliti” e con ritiri di smalto, decorazioni crude e prove di bottega (figg. 3, 4, 5)13. Sono inoltre da segnalare elementi in cotto probabilmente utilizzati per sigillare il forno durante la cottura e forme chiuse in biscotto con residui di “marzacotto” per la preparazione dello smalto (fig. 6). Nonostante un sopralluogo sull’area del cantiere non è stato possibile individuare il punto esatto di provenienza dei materiali, che si trovano associati ad altri più recenti, anche del XIX e XX secolo,

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Fig. 2. L’area dello sterro dopo l’abbattimento dei fabbricati

in conseguenza dei numerosi sconvolgimenti a cui è stata sottoposta la zona interessata dai lavori. Solo in un caso si è potuto constatare la presenza di una piccola area di scarico omogenea e intatta, anche se sezionata nei lavori di sterro, databile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. La presenza di questo piccolo accumulo di materiali è emersa subito al di sotto della scalinata che da via Parrocchiale scende verso via delle Mura e che un tempo doveva fungere da collegamento carrabile tra le due strade. Il butto si presentava come un deposito di cenere e materiali combusti di forma lenticolare (di circa 60 centimetri di lunghezza per 25-30 di altezza) lungo la parete tagliata dai mezzi meccanici (Tav. I MV2, punto a e fig. 7 parte circoscritta in rosso). Si presume possa trattarsi del residuo di uno scarico di un focolare domestico, forse un forno o un camino, di cui peraltro non è rimasta alcuna traccia in quanto a resti murari. I materiali ceramici rinvenuti sono riferibili prevalentemente a pentole tipo “Rimini” con pareti sottili prive di rivestimento e orlo estroflesso piatto da cui parte l’ansa a nastro (figg. 8, 10 b)14 e a boccali in maiolica arcaica di cui restano frammenti di pareti e anse (fig. 9). Tra le ceramiche grezze si segnala anche una porzione di bordo presumibilmente pertinente a una scodella (fig. 10 a). Quasi

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Fig. 3


Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

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tutte le ceramiche senza rivestimento presentano evidenti tracce di annerimento da fuoco dovute all’uso. All’interno del materiale combusto sono stati anche recuperati alcuni avanzi di pasto consistenti in resti ossei prevalentemente riferibili ad animali domestici. I materiali, studiati da Loris Bagli15, sono per la maggior parte attribuibili a giovani esemplari di capra (Capra hircus) o di pecora (Ovis aries), a cui va riferita anche un’emimandibola (fig. 11). Le altre ossa appartengono a uccelli domestici, mentre le due falangi sono di maiale (Sus scrofa) (fig. 12 a, b). Desta curiosità anche la presenza di un cranio di scoiattolo (Sciurius vulgaris) (fig. 12 c), che però non deve sorprendere più di tanto poiché spesso le specie selvatiche, anche di piccola taglia, integravano nelle diete povere quelle domestiche. Passiamo ora alla descrizione degli altri materiali recuperati che, salvo diversa indicazione, provengono tutti dallo sterro dell’area MV216. Tra i materiali in maiolica arcaica, oltre a quelli appena descritti, sono da segnalare un fondo di catino con decoro vegetale in foglie tripartite e due frammenti in maiolica arcaica blu pertinenti a forme chiuse (fig. 13). Non sono stati ritrovati materiali con decoro “alla zaffera a rilievo” mentre abbastanza numerosi sono quelli di tipo “gotico floreale” databili alla seconda metà del Quattrocento. Questi presentano decorazioni con palmette a ventaglio, fiori arcaici e sequenze puntinate o a spina di pesce sulla tesa (fig. 14). L’esterno si presenta spesso privo di rivestimento.

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Fig. 8


Fig. 7. L’area dello scavo con evidenziata la zona del butto

Fig. 9

Fig. 10

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Sopra: fig. 11; a destra: fig. 12

Poco abbondanti sono i frammenti riferibili alla prima parte del Cinquecento: tra questi si segnala un fondo di forma aperta con stella intrecciata, che trova riscontri nei recuperi di Mondaino e un bordo di tesa con fascia giallo-ocra sopradipinta con doppi triangoli alternati, affiancabile a reperti pesaresi (fig. 15)17. Sono inoltre presenti anche boccali con cornice a scaletta (provenienti da MV1), con evidenti bruciature pertinenti a un’esposizione diretta al fuoco (fig. 16). Uno di questi riporta nel medaglione centrale una decorazione con una lepre in corsa di color ramina con affinità stilistiche vicine a reperti provenienti da Pesaro18. Sempre databili alla prima metà del XVI secolo sono anche alcune maioliche decorate “alla porcellana” (fig. 17), tra cui una tesa di piatto con decoro “alla porcellana contornata” che trova confronti in ambito pesarese (fig. 17 a)19 e una parete di ciotola con evidenti influenze romagnole (fig. 17 b)20. Il gruppo più consistente di materiali è riferibile alla seconda metà del Cinquecento e al Seicento e si contraddistingue per il forte cromatismo, elemento caratteristico delle produzioni di quest’ambito territoriale. Tra le maioliche con decorazione “a trofei” prevalgono quelle con tonalità ocracee su fondo blu (fig. 18), ma sono presenti anche frammenti con colorazioni meno calde e prodotte intorno alla metà del XVI secolo (fig.18 a, b). I trofei, rappresentati esclusivamente su forme aperte, riportano decori con tamburi e scudi di varia foggia. Di questa tipologia è presente anche un probabile scarto di fornace di seconda cottura che presenta un annerimento dello smalto con tracce di bollitura (fig. 4 a).

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Numerosi sono i frammenti con decoro “al serto di olivo”, relativi a piatti e scodelle, in cui prevale l’abbinamento della doppia foglia sovrapposta verde e ocra e terminante sul fondo con cerchi concentrici (fig. 19), che si distingue da quella pesarese solitamente rappresentata dalla doppia foglia verde con al centro ramoscelli o foglie21. Le altre tipologie a soggetto vegetale riportano decori “alle foglie di prezzemolo”, varianti “al serto d’olivo”22 e frutti di forma globulare che non trovano al momento confronti (fig. 20 a, b, c). Nelle forme chiuse troviamo decori a ghirlanda di foglie lanceolate con al centro un semibusto muliebre


Fig. 13

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su fondo giallo (fig. 21). Il decoro con ghirlanda è confrontabile con diversi reperti pesaresi23 ed è presente anche nei boccali mondainesi, ma in quantità minore rispetto a quello con girali di foglie e frutti. Sempre dipinti su fondo giallo, ma in forme aperte, troviamo rappresentati dei putti alati e un profilo femminile (fig. 22). Quest’ultimo per le sue caratteristiche stilistiche può essere attribuito alla stessa bottega di quello riportato su un boccale rinvenuto nel parco “Fratte” di Mondaino24. Tra i materiali riferibili al genere di tipo “fiorito” abbiamo frammenti con fogliame pertinenti al decoro “a quartieri” e con motivi geometrico-floreali (fig. 23), che si attestano alla prima metà del Seicento, come confermato da piatti dello stesso genere con date prossime al 164025. Di questo gruppo è presente uno scarto di fornace di seconda cottura (fig. 4 b)26. Presenti anche maioliche rivestite con smalto di colore azzurro e comunemente dette “berettine”. Le decorazioni riproposte sono quelle “a paesi” e con foglie, come abitualmente usato su questo genere di stoviglie (fig. 24). I frammenti su questo tipo di smalto sono quasi esclusivamente riferibili a forme aperte e spesso riportano sul retro un decoro a intreccio tipo cestello. Un gruppo consistente di maioliche è riferibile a decori con palmette a ventaglio, tarda riproposizione di motivi quattrocenteschi, la cui produzione locale è provata dal rinvenimento di scarti con decorazioni dipinte e non cotte (fig. 25). Numerosi sono anche i frammenti con decori alle “geometrizzazioni azzurre” (fig. 26) tra i quali, alle maioliche d’uso, si affiancano pezzi con difetti relativi al ciclo produttivo (fig. 4 c, d). Non mancano infine i reperti inquadrabili nella seconda metà del Seicento e prodotti nel periodo di piena decadenza, come testimoniato dalle pennellate grossolane e dai materiali scadenti utilizzati. Tra i decori prevalgono quelli floreali e a intreccio (fig. 27), ma sono presenti anche visi femminili sempre su fondo giallo (fig. 28). Materiali simili sono frequenti nei recuperi mondainesi e trovano riscontri anche in quelli pesaresi27.

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A livello documentario le notizie su vasai operanti a Montelevecchie non sono numerose, e se si esclude quella del 21 luglio 1441 relativa a mastro Antonio pignattaro di Mondaino che chiede licenza di estrarre argilla in un suo campo a Montelevecchie28, sono tutte riferibili alla seconda metà del XVI secolo. A dire il vero c’è un’altra importante testimonianza dei primi del Cinquecento che non è direttamente collegata con le manifatture di ceramiche, ma che intreccia la storia di questo castello con quella del noto ceramista mastro Giorgio Andreoli da Gubbio. Non sappiamo se per pura casualità o se il maiolicaro avesse effettivamente alcuni interessi legati a Montelevecchie. Infatti mancano prove documentarie e archeologiche che quando mastro Giorgio viene nominato procuratore per i diritti sulle chiese di Santa Maria e Santa Barbara di Montelevecchie, esistesse in loco già una manifattura di maioliche. Di certo sappiamo che il vescovo di Pesaro aveva privato il rettore don Francesco di Giovanni di Macerata dei diritti e dei benefici sulle due chiese, cedendoli al suo


Fig. 22

Fig. 23

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servitore Lorenzo di Amelia. Quest’ultimo il 21 ottobre 1517 li aveva a sua volta passati tramite procura, per tre anni, a Mastro Giorgio. Con questo mandato il vasaio si impegnava a intervenire nella riparazione degli edifici e a restituirli al termine del contratto29. La controversia si risolse però anticipatamente qualche mese dopo con un atto rogato in Pesaro il 6 marzo 1518: i beni furono restituiti a don Francesco di Macerata, dietro il pagamento di un affitto annuo di otto ducati a favore di Lorenzo di Amelia30. Le notizie attualmente disponibili sui ceramisti attivi a Montelevecchie devono essere desunte dall’Albarelli, in quanto mancano altri studi approfonditi sull’argomento. Il primo riferimento è del 1555, quando negli archivi pesaresi viene citato un certo mastro Francesco vasaro da Montelevecchie. Questi è forse identificabile nel padre di mastro Polidoro Pandorzi da Mondaino, detto appunto di Francesco e descritto nel 1560 come vasaro habitatore de Monte le vecchie31. Qualche anno più tardi, nel 1577, Polidoro risulta abitante ed esercitante il mestiere di vasaio a Mondaino, dove si era sposato con la sorella dell’influente Bernardino Carboni e aveva un genero, Tommaso Tomassiesi, che esercitava la sua stessa arte32. Tra il 1564 e il 1570 si hanno notizie anche del mastro vasaio Angelino di Simone di Urbino, che negli atti viene sempre indicato come abitante a Montelevecchie, dove aveva sposato Giovanna figlia di Giuseppe Iacopo Rubei33. I rapporti economici tra Mondaino e Montelevecchie non riguardavano solamente la produzione di maioliche ma abbracciavano anche altri settori, come probabilmente quello della realizzazione di armi da fuoco. Che a Mondaino esistessero degli artigiani dediti alla produzione di “schioppetti” era già noto grazie a una notizia tratta dal carteggio della Reggenza della repubblica di San Marino34: il documento riporta che nel 1509 alcuni mastri armaioli di Mondaino che fano schiopiti de fero per ascelentia chiedevano di trasferirsi in repubblica per aprire bottega ed esercitare la loro arte. Verso la fine dello stesso secolo anche Montelevecchie viene interessata dalla stessa manifattura; ne siamo a conoscenza da un contratto di apprendistato del 1588 tra il maestro armaiolo Andrea di Giovanni Maria dei Favi [Fava?] di Brescia abitante a Meleto e Bartolino di Cristoforo Barabani di Montelevecchie35. Nel contratto Bartolino Barabani si impegnava a mandare, per tre anni, suo figlio Cristoforo nella bottega dell’armaiolo ad apprendere l’arte di costruire ruote di archibugio36. In cambio mastro Andrea riceveva come pagamento i frutti derivanti da tre terreni arativi e alberati situati presso la cappella di Santa Maria del castello di Meleto, più otto scudi in denaro, da corrispondere però solo nel caso il giovane Cristoforo non avesse apportato il giusto contributo lavorativo all’interno della bottega. Da parte sua il maestro armaiolo oltre a insegnare il mestiere si obbligava anche a offrire al ragazzo vitto e alloggio nella sua abitazione.

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In conclusione si può quindi affermare che i dati attualmente disponibili sulle maioliche di Montelevecchie non sono ancora sufficienti per delineare una situazione precisa sull’effettiva produzione, sia dal punto quantitativo che temporale e necessitano di ulteriori indagini archeologiche e documentarie. Pur nella loro frammentarietà sono però rilevanti per la storia della ceramica del territorio, specie se affiancati a quelli della vicina Mondaino, poiché consentono ora di parlare di un’area territoriale di produzione e non più di un fenomeno limitato a un singolo centro.


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Note 1 A.GIORGI, Realtà e ipotesi sulle manifatture di maioliche a Mondaino fra XVI e XVII secolo, in Maioliche a Mondaino fra XV e XVII secolo, a cura di S.NEPOTI, Rimini 1999, pp. 19-24. Approfitto dell’occasione per ringraziare tutte quelle persone che in questi anni mi hanno aiutato e sostenuto in queste ricerche, in particolar modo: Sergio Nepoti, Rino Casadio, Giovanni Rimondini e Milena Ricci. Ringrazio inoltre gli abitanti di Belvedere Fogliense per la preziosa collaborazione e in particolare Chiara Bartolucci assieme a Ida Pazzini, Francesco Bartolucci e Mariagrazia Stocchi. 2 Dagli sterri del 1994 a nord-est del circuito murario castellano emersero solamente pochissimi frammenti di ceramiche d’uso e tracce di una camera di combustione di una piccola fornace, non riconducibile a una produzione ceramica. 3 I lavori di riqualificazione urbana dell’area di porta Nuova nel 1998 e di piazza Beato Amato Ronconi nel 2003 non evidenziarono la presenza di scarti di fornace. Da segnalare, all’inizio di via Mura di Levante, la presenza di una chiazza di terreno rubefatto riconducibile a un impianto produttivo, ma non per maioliche. 4 A Montefiore furono seguiti i lavori per il rifacimento fognario nell’area del borgo nel 1998. Non emerse alcun elemento tale da far supporre in loco una produzione di maioliche, cosa peraltro confermata anche dai sondaggi effettuati recentemente nella zona di porta Nova, all’interno del circuito murario, cfr. M.G.MAIOLI - M.CARTOCETI, Ricerche archeologiche all’interno del castello di Montefiore, in Montefiore Conca passato e futuro della rocca malatestiana, Santarcangelo di Romagna 2003, pp. 95-105. 5 Gli interventi di riqualificazione urbana del 2006 di questi due piccoli castelli non hanno evidenziato tracce di una produzione di ceramiche, ma sono affiorati solo rari frammenti di maioliche d’uso. 6 Le citazioni documentarie per Sant’Angelo in Lizzola riguardano prevalentemente boccalari e figuli operanti nella seconda metà del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento, cfr. G.M. ALBARELLI, Ceramisti pesaresi nei documenti notarili dell’Archivio di Stato di Pesaro sec. XV-XVII, a cura di P.M. ERTHLER, Bologna 1986; P.BERARDI, L’antica maiolica di Pesaro dal XIV al XVII secolo, Firenze 1984, pp. 27-46. 7 A Montescudo e Montecolombo sono documentati diversi ceramisti attivi dal XV al XVII secolo, cfr. O.DELUCCA, Ceramisti e vetrai a Rimini in età malatestiana, Rimini 1998, pp. 30-38. Il fatto che i ceramisti siano indicati prevalentemente come pignattari fa supporre che la produzione fosse principalmente legata alle stoviglie d’uso comune e non alle maioliche. Forse proprio per questo la manifattura è arrivata fino ai giorni nostri e non è scomparsa come a Mondaino e Montelevecchie, in quanto sia le tecnologie produttive che il loro utilizzo sono rimaste immutate per secoli. 8 S.NEPOTI, Considerazioni preliminari sui rinvenimenti ceramici di Mondaino, in Maioliche a Mondaino fra XV e XVII secolo, a cura di S.NEPOTI, Rimini 1999, pp. 25-36. 9 S.GELICHI, Verso una polverizzazione della produzione ceramistica tra XVI e XVII secolo? in La produzione ceramica in Argenta nel XVII secolo, a cura di S.GELICHI, Firenze 1992, pp. 16-19. 10 S.GELICHI, Studi sulla ceramica medievale riminese. La “graffita arcaica”, in “Archeologia Medievale”, XI, Firenze 1984, p. 160. 11 Probabilmente è identificabile nel cimitero a lato della sagrestia della chiesa descritto nella Visita Pastorale del 1777, cfr. C.STEFANI, Tavullia e il suo territorio nella storia. Le chiese, in Tavullia fra Montefeltro e Malatesti a cura di D.BISCHI, Urbania 1986, p. 193. Anche se alcuni elementi possono far pensare a una fossa comune conseguente al ‘passaggio’ della peste del 1630 (come il rinvenimento di medagliette devozionali datate con l’Anno Santo 1625 e di un sesino o doppio quattrino di Francesco Maria II Della Rovere) è necessario precisare che questi territori non vennero colpiti da quel contagio, cfr. M.BATTISTELLI, La peste evitata (1629-1631), in Pesaro città e contà, 7, Pesaro 1996, pp. 31-44. Resta poi il fatto che l’ubicazione della fossa comune non è all’esterno del perimetro murario, come era in uso fare in quei tempi per evitare ulteriori contagi dal morbo. 12 S.GELICHI, Studi, cit., p. 160, nota 65. 13 Il recupero è stato segnalato alla competente Soprintendenza Archeologica delle Marche e attualmente i materiali sono alloggiati presso il deposito del museo delle Maioliche di Mondaino. 14 Sono pentole tipiche dell’area romagnola e riminese, cfr. S.NEPOTI, La transizione Medioevo-Rinascimento nella ceramica dell’Emilia-Romagna: problemi aperti e prime informazioni dallo scavo bolognese in S.Giorgio, in “Atti VIII Con-


vegno Internazionale della Ceramica”, Albisola 1975, fig. 3; O.PIOLANTI, Schede, in Castel Sismondo. Cantiere di restauro. II mostra, Rimini 1983, tav.VIII1-VIII2. 15 Che ringrazio per la preziosa collaborazione. 16 Considerando la notevole frammentarietà dei pezzi e l’esiguità dei dati disponibili si è scelto di non procedere alla realizzazione di una tavola con i profili delle forme. I frammenti oggetto dello studio appartengono sia al nucleo depositato presso il museo di Mondaino, sia a raccolte di privati. 17 P.BERARDI, cit., p. 271, fig. 56 h, f; A.BETTINI, La ceramica a Pesaro tra il XIV e il XVII secolo, in Fatti di ceramica nelle Marche a cura di G.C.BOJANI, Milano 1997, p. 72, n. 42. 18 A.BETTINI, La ceramica, cit., p. 93, n. 73; A.BETTINI, Documentazione fotografica, in G.M. ALBARELLI, cit., fig. 6. 19 P. BERARDI, cit., p. 310, fig. 104 d. 20 G.C. BOJANI, Per una storia della ceramica di Faenza. Materiali dalle mura del Portello, vol.II - allegato, Faenza 1997, pp. 49-50. 21 C.LEONARDI (a cura di), La Collezione di Maioliche della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e Collezioni private in Pesaro, Urbania 1998, pp. 41-46. 22 C.LEONARDI (a cura di), cit., pp. 42 e 45. Le foglie restano identiche alla decorazione tradizionale, mentre i frutti sembrano piuttosto riferirsi a quelli dell’uva spina. 23 R.GRESTA, Una produzione pesarese cinquecentesca di boccali, coppe amatorie e albarelli da farmacia, in “CeramicAntica”, VII, 9, 1997, pp. 22-37; R.GRESTA, Peculiarità dei boccali pesaresi della seconda metà del Cinquecento. Decorazioni a ghirlande e stemmi rovereschi, in “CeramicAntica”, XIII, 11, 2003, pp. 22-31. 24 S.NEPOTI (a cura di), Considerazioni, cit., p. 42, tav. XX. 25 O.PIOLANTI, Ceramica da mensa e da cucina nella Rimini del Seicento, in Seicento inquieto. Arte e cultura a Rimini, a cura di A.MAZZA - P.G.PASINI, Milano 2004, p. 102, n. 106; S.NEPOTI, Nei conventi, in Maioliche a Cesena nell’età della controriforma, Cesena 2004, p. 9. 26 Il frammento riferibile ad una forma chiusa presenta nella parte interna un evidente accumulo di “marzacotto”. 27 P. BERARDI, cit., p. 322, fig. 121 b, d; A. BETTINI, La ceramica, cit., p. 95, n. 78. 28 G.M.ALBARELLI, cit., n. 32. 29 T.BIGANTI (a cura di), Mastro Giorgio Andreoli nei documenti eugubini (Regesti 1488-1575), Firenze 2002, p.46, n. 137. 30 G.M.ALBARELLI, cit., n. 1392, pp. 578-579; T.BIGANTI (a cura di), cit., p. 46, n. 141; P.MATTEI - T.CECCHETTI (a cura di), Mastro Giorgio. L’uomo, l’artista, l’imprenditore, Todi 1995, pp. 65, 66. 31 G.M.ALBARELLI, cit., nn. 1809, 1855. 32 A.GIORGI, cit., pp. 17, 18. 33 G.M.ALBARELLI, cit., nn. 1911, 1943, 1951, 2032. 34 La notizia è stata segnalata da Angelo Chiaretti. 35 Archivio Stato Rimini, not. Giovanni Maria Giorgini, vol. 1589-1590, 1588 ottobre 24, c.27. 36 Gli archibugi con la “piastra a ruota” erano quelli più costosi e sofisticati, poiché permettevano l’accensione della polvere senza l’utilizzo della miccia, ma grazie alle scintille prodotte dall’attrito della ruota metallica contro della pirite.

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Un paese e cento storie - Sommario 10 novembre 2005 - Le ‘cene in famiglia’ 11 novembre 2005, San Martino - Le ‘cene in famiglia’ 12 novembre 2005 - La festa in piazza

p. 17 p. 23 p. 31

Un paese e cento storie - l’esposizione p. 45 1886, cronaca di una demolizione annunciata p. 51 Uno sguardo sul passato p. 55 Montelevecchie, 1860-1900 p. 61 I fratelli Macchini, orologiai p. 69 Lavori in corso p. 73 La valle del Foglia, 1885-1914 p. 77 Montelevecchie, dal 1900 alla Grande Guerra p. 87 Merica, Merica! p. 91 Notizie dalla Valle p. 97 1922, Belvedere Fogliense p. 101 Belvedere Fogliense, gli anni ‘20 p. 105 1921 - ‘26, Belvedere si veste a nuovo p. 113 “Piccola città” p. 117 Gli anni ‘30 p. 123 “Prima del Fronte. Dopo il Fronte” p. 129 “Amarcord” p. 139 Grazie p. 149 Il lavoro continua p. 151 Le maioliche di Montelevecchie p. 171 In cucina a Montelevecchie p. 191 Annotazioni & ricette p. 219


finito di stampare nel mese di marzo 2007 dalla tipo-litografia Grafica Vadese



cronache e ricordi tra Montelevecchie e Belvedere Fogliense


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