Sant'Angelo in Lizzola negli anni di Terenzio Mamiani (1799-1885)

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Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani 1799-1885 L’Italia onesta, democratica, responsabile, quella che sa stare insieme e dividere onori e oneri è quella che ha festeggiato il 17 marzo. Nella memoria dei nostri antenati e di tutte le generazioni presenti, passate e future che hanno concorso e concorreranno con il loro sacrificio e impegno a fare sempre più prospero, unito e forte il nostro Paese, deve rimanere vivo e vitale il ricordo e il significato di quella giornata e del percorso di costruzione dell’Italia unita che ha attraversato questi 150 anni di storia italiana. A conclusione di questo percorso di ‘memorie’, l’Amministrazione Comunale di Sant’Angelo in Lizzola vuole ricordare uno dei personaggi fondamentali del Risorgimento italiano e dell’Unità d’Italia. Egli fu infatti il primo ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno Italiano. l’Amministrazione Comunale

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani 1799-1885 a cura di organizzazione e allestimento per immagini, documenti e spunti grazie a Archivio storico Diocesano di Pesaro e Urbino; Parrocchia di San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in Lizzola; Archivio di Stato di Pesaro e Urbino; Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola; Accademia Agraria di Pesaro; Giorgio Benelli; Massimo Bonifazi; Franca Gambini; Marco Gerunzi; Gabriella Giampaoli; Angelo Marcolini; Gianni Pentucci in corsivo nel testo titoli di libri e riviste, indirizzi web, citazioni ed estratti da documenti e opere a stampa; le fonti sono date di volta in volta; ove non diversamente segnalato le notizie su Terenzio Mamiani sono tratte da A. Brancati-G. Benelli, Divina Italia, Urbania 2004; i disegni di Romolo Liverani sono tratti da L’Isauro e la Foglia. Pesaro e suoi castelli nei disegni di Romolo Liverani, Pesaro 1986

Esiliato a causa della sua partecipazione ai moti rivoluzionari del 1831, Terenzio Mamiani non ebbe dopo quella data troppe occasioni di rivedere il castello di famiglia. Eppure il piccolo borgo di Sant’Angelo, antico feudo dei Mamiani, gli fu sempre molto caro, come solo possono esserlo le memorie dei luoghi nei quali si è trascorsa la giovinezza. Per Terenzio, ma ancor più per il padre Gianfrancesco, Sant’Angelo rappresentava la quiete, la possibilità di raccogliersi intorno agli affetti famigliari in una dimensione meno fastosa rispetto alla animata vita cittadina, ma forse prediletta proprio per la sua pacatezza. Attraverso brevi lampi, quasi delle luci orientate su precisi fatti e luoghi, questa esposizione ripercorre in parallelo le vicende di Terenzio Mamiani e di Sant’Angelo in Lizzola, sullo sfondo degli eventi che portarono all’Unità d’Italia. Una serie di frammenti presentati in ordine cronologico, a punteggiare di vicende particolari una pagina di storia assai più ampia, che in questo centocinquantesimo anno di festeggiamenti si è presentata a noi con nuova vivacità. La fonte, alla quale Terenzio si dimostra così affezionato; lo stesso palazzo Mamiani, pesantemente rimaneggiato dopo la II guerra mondiale; le case

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schierate lungo via Borgo insieme con il teatro e la chiesa della Scuola, della quale restano solo poche immagini: sono alcune tra le tappe di un percorso nella Sant’Angelo di metà Ottocento, ‘spigolature’ che raccontano il piccolo mondo abitato dai contemporanei di Mamiani. Come di consueto ringrazio tutti coloro i quali hanno contribuito con dati, immagini o suggerimenti a completare questo lavoro, primo fra tutti Giorgio Benelli, autore insieme ad Antonio Brancati dei più approfonditi e documentati studi su Terenzio Mamiani. Un ringraziamento all’Archivio di Stato di Pesaro e Urbino e all’Archivio storico Diocesano di Pesaro con i quali è da tempo in atto una proficua collaborazione; infine, grazie al sindaco Guido Formica e all’Amministrazione comunale di Sant’Angelo in Lizzola, che hanno voluto questo omaggio a uno dei loro concittadini più illustri, e ai dipendenti comunali per la puntuale organizzazione. Cristina Ortolani L’esposizione è ‘visitabile’ anche online, sul sito web del Comune di Sant’Angelo in Lizzola (www.comune.santangeloinlizzola.pu.it) e all’indirizzo http://issuu.com/miss_nettle


i pioppi di Sant’Angelo Rispondete presto, che io vi ripeto per la millesima e una volta niuna cosa farmi tanto piacere quanto il conversar con voi per lettera e il ricevere nuove di codesti paesi, i quali probabilissimamente non rivedrò mai più ma che mi son cari oltre quello si possa credere. Vi farò ridere forse a dirvi che uno dei desideri che ò riposti nell’animo è di rivedere, indovinate? Sant’Angelo e gli alti pioppi che frondeggiano sulla discesa che va alla fonte. Cosi è fatto l’uomo. Addio. Parigi li 23 dicembre del 1841 Rue de Clichy, 66 Vostro affezionatissimo Terenzio

Nato a Pesaro il 18 Settembre 1799 da Gianfrancesco e Vittoria Montani, Terenzio Mamiani non ebbe in età adulta troppe occasioni di tornare al castello di famiglia: in una vita di peregrinazioni tra Firenze, Parigi, Roma, Genova, Torino, rare furono per lui anche le occasioni di soggiornare nella città natale, che vide per l’ultima volta nel 1879. Per le campagne pesaresi, in particolare per Sant’Angelo in Lizzola, antico feudo dei Mamiani, Terenzio ebbe però sempre un affetto profondo, come testimoniano gli echi di alcuni componimenti poetici e, ancor di più, le lettere come quella inviata al fratello Giuseppe dall’esilio parigino.

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Come ricordano i biografi di Terenzio Mamiani, sua madre Vittoria Montani era zia di Adelaide Antici, madre di Giacomo Leopardi (Adelaide e Terenzio erano dunque cugini). Oltre a Terenzio, Vittoria e Gianfrancesco Mamiani ebbero altri tre figli: Giuseppe, il primogenito, Filippo e Virginia. La Pesaro nella quale Terenzio trascorre l’infanzia e l’adolescenza è una cittadina vivace, in continuo sviluppo sociale ed economico. La vita culturale è dominata da un cenacolo di intellettuali tra i quali Antaldo Antaldi, Francesco Cassi e Giulio Perticari; proprio sotto la guida di quest’ultimo Terenzio apprenderà l’amore per la patria e l’interesse per la classicità. Non meno fervido l’ambiente politico, dove spicca nel 1814 la presenza di Guglielmo Pepe, amico di Cassi e di Perticari, comandante di una parte dell’esercito napoletano di Gioachino Murat di stanza nelle Marche. Fino al 1814 Terenzio studia privatamente a Pesaro; nel Novembre 1816 lo troviamo a Roma, presso il Seminario Romano, dal quale viene espulso nel Settembre 1819 per immoralità, nonostante si tratti, aggiunge la nota associata al suo nome, di uomo di grande ingegno. In realtà al giovane Mamiani è rimproverato un eccesso di ostilità nei confronti dell’apparato ecclesiastico (facevami sdegno e ribrezzo la ipocrisia ed ignobiltà del cattolicesimo quale lo vedea praticato e in parte insegnato a tutto il clero romano, ricorderà lo stesso Terenzio nella Lettera autobiografica del 1839, conservata presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro). Dopo la parentesi pesarese nel 1826 Mamiani si trasferisce a Firenze: qui entrerà in contatto con i letterati più in vista, da Gino Capponi a Giovan Pietro Viesseux. Nel 1827 è nominato professore di eloquenza nella Accademia militare di Torino, dove insegna fino al 1828. La vita dei Mamiani si divide tra la residenza di città e il feudo di Sant’Angelo in Lizzola, prediletto specie dal conte Gianfrancesco. Uomo austero, schivo e profondamente affezionato alla famiglia, Gianfrancesco Mamiani preferiva forse la quiete del castello e delle campagne alla più animata vita cittadina, alla quale partecipò tuttavia in qualità di gonfaloniere, più volte riconfermato nella carica. Del palazzo pesarese dei Mamiani, costruito a partire dal 1599 su progetto di Guidubaldo del Monte e situato a fianco della chiesa di Sant’Ubaldo, resta oggi l’ala affacciata su via Rossini (palazzo Gradari); la casa natale di Terenzio, demolita nel 1968, è ricordata da una lapide.

In alto: a sinistra, Pesaro - Piazza Vittorio Emanuele (cartolina, anni Venti del ‘900); a destra, Pesaro - Piazza Mamiani (cartolina datata 26 Maggio 1927, edizioni Nobili, Pesaro). Qui sopra: Pesaro - Monumento a Terenzio Mamiani... opera dello scultore Ettore Ferrari (cartolina datata 29 Dicembre 1927); il monumento fu collocato in piazza Mamiani nel 1896 e si trova oggi nel giardino a fianco di Rocca Costanza. Le tre cartoline provengono dal Fondo G. Gabucci conservato presso l’Archivio storico Diocesano di Pesaro. A sinistra, in apertura: Terenzio Mamiani, da G. Saredo, I contemporanei italiani - Galleria nazionale del secolo XIX, Napoli 1861


Sant’Angelo feudo dei Mamiani Il 4 Aprile 1584 Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino, nomina conte di Sant’Angelo in Lizzola il molto illustre ser Iulio Cesar Mamiani Parmisano, suo Gentil homo. Questo fu il mercredì, narra il Libro dei Consigli della Comunità di Sant’Angelo, e il dì sesto poi del medesmo mese, et fu il venerdì il Predetto Iulio Cesar prese possesso del castello con molta soddisfazione sua e di questo castello. Il I Gennaio 1585 Francesco Maria II concesse a Giulio Cesare Mamiani di aggiungere al proprio il cognome dei Della Rovere, e di completare il blasone di famiglia con la quercia roveresca. Nel 1631, con la morte di Francesco Maria II e l’estinzione della casata, la contea di Sant’Angelo, insieme con gli altri territori dei Della Rovere, sarà devoluta allo Stato Pontificio, come stabilito da Francesco Maria II alla morte del figlio Federico Ubaldo, nel 1624. Il palazzo che ancora oggi domina il paese di Sant’Angelo fu costruito da Giulio Cesare I a partire dal 1588, dopo aver demolito alcune casupole a fianco della torre del vecchio castello dei Lizzola. Prima residenza dei Mamiani fu un più modesto edificio, anch’esso tuttora esistente in fondo all’attuale via Morselli, un tempo via Vedetta. Due secoli dopo, nel 1788, Gianfrancesco Mamiani apporterà al palazzo alcune migliorie, affidandone la decorazione a Tommaso Bacciaglia e Carlo Paolucci, allievi di Gianandrea Lazzarini.

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A sinistra: Sant’Angelo in Lizzola intorno al 1880 in un dipinto di Nazzareno Mariotti (cartolina, anni Venti del ‘900, stampa Stab. Delle Nogare e Armetti - Milano, ed. Garattoni Timo - Sant’Angelo in Lizzola; Fondo G. Gabucci,Archivio storico Diocesano di Pesaro); in basso: da sinistra,Timbro della Comunità di Sant’Angelo, 1763 (Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola); Francesco Mingucci, S. Agnolo, da Città e castella (1626). Tempere di Francesco Mingucci Pesarese,Torino 1991. A destra: albero genealogico della famiglia Mamiani, sec. XVIII, da Ragioni della Sede apostolica sopra il castello di Sant’Angelo della Diocesi di Pesaro, e Villa di Montecchio, suo annesso (Archivio di Stato di Pesaro e Urbino)

Dalla Tabella della Comunità del Feudo di Sant’Angelo in Lizzola per il 1790, conservata presso l’Archivio storico Comunale, apprendiamo che in paese esercitavano la loro professione un maestro di scuola (stipendio annuo 33 scudi e 33 bajocchi), un medico (60 scudi), un postiglione (4 scudi), mentre il regolatore del pubblico orologio percepiva un compenso di 3 scudi annui, contro gli 8 del capo priore e i 4 del segretario comunitativo. Il Podestà riceveva 84 scudi e 5 bajocchi l’anno.Tra le Uscite di quell’anno si segnalano poi 33 bajocchi per pulire le mura, oltre a 81 scudi di spese extraordinarie. Alla voce Entrate si registrano 106 scudi e 66 bajocchi dal forno di Sant’Angelo, 50 scudi dal macello, 36 scudi e 66 bajocchi dall’osteria di Sant’Angelo. Secondo la relazione inviata dal priore di San Michele Arcangelo don Domenico Bertuccioli al vescovo di Pesaro cardinal Gennaro De Simone, in occasione della visita pastorale del 1776, la parrocchia contiene anime 882 e famiglie 210, comprese quelle dell’Arena di là dal fiume (G.Allegretti, La visita pastorale del cardinale Gennaro De Simone alla diocesi di Pesaro, Pesaro 2007).

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Illustri Signori, La penuria delle vettovaglie, facendosi vieppiù sentire in questa calamitosa annata, si mancherebbe al proprio dovere e da noi, e da voi, se non si prendesse ogni cura possibile, onde ajutare gli Operaj, e in specie la classe numerosa de’ veri indigenti. (...) Vi ordiniamo sotto la vostra responsabilità, che facciate osservare al Proventiere del Pubblico Forno la legge, che tenga sempre in magazzeno l’occorrente Grano per lo sfamo della popolazione di due mesi anticipatamente. Una tal misura, che è sempre provvida, nelle presenti circostanze diviene onninamente [del tutto] indispensabile, specialmente per un feudo. Inoltre radunerete subito il Generale Consiglio, e col vostro più fervido zelo pel pubblico bene gli esporrete il bisogno pressante (che purtroppo persiste anche in codesta Terra), che si ajutino in tanta scarsezza di lavori gli Artieri e in tanta carenza di viveri gl’Indigenti. A vantaggio dei primi codesti illuminati Consiglieri sapranno scegliere qualche pubblico lavoro più utile, e che già erasi fissato di fare in appresso. In soccorso dei secondi elegeranno qualche deputato Ecclesiastico, e secolare de’ più caritatevoli perché gl’incarichino di fare una Questua, distribuendone poi il prodotto per l’imminenti Sante Feste Pasquali ai più Poveri del Feudo, acciò diano essi lode a Dio e preghino per i loro benefattori. Conoscendo poi il nostro obbligo, di dare cioè eccittamento agli altri anche co’ fatti oltre alle parole, vi spediamo inserte cinque Piastre perché le consegnate ai Deputati, che il Consiglio eleggerà per la esortata elemosina; dolendoci, ché le circostanze di famiglia c’impedischino di essere in ajuto a codesti poverelli quanto vorremmo. Vedremo tuttavia d’ajutare anche gli Artisti, servendoci d’alcuni di loro nel ristauro d’una parte di codesto Palazzo Baronale che solleciteremo a bella posta.... Pesaro, 28 Marzo 1816 Gianfrancesco Conte di Sant’Angelo (Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola)


Sant’Angelo, 1805-1821. Spigolature Nel 1797 con il Trattato di Tolentino papa Pio VI riconosce l’annessione alla Repubblica Cisalpina di Bologna, Ferrara e la Romagna. L’effimera stagione della Repubblica Romana vede il pontefice arrestato ed esiliato in Francia, dove muore prigioniero. La Repubblica Romana cade nel 1799, con l’occupazione di Roma da parte delle truppe borboniche: il potere temporale del papa Pio VII è ristabilito. Nel 1808 l’esercito francese invade nuovamente i territori pontifici e la parte settentrionale delle Marche viene devoluta allo stato satellite napoleonico del Regno Italico. Ancora esiliato in Francia, il pontefice potrà rientrare in Italia solo nel 1814, dopo la caduta di Napoleone a Lipsia (1813). Nel 1816 il segretario di stato cardinal Ercole Consalvi fa approvare il motu proprio con il quale Pio VII ripristina le Delegazioni Apostoliche, tra le quali anche quella di Urbino e Pesaro, elevata al rango di delegazione di prima classe, con la possibilità cioè di avere titolo di legazione se retta da un cardinale. La stessa riforma abolisce le giurisdizioni feudali e baronali. Negli anni napoleonici Sant’Angelo in Lizzola fu comune del Cantone di Pesaro, nell’omonimo distretto del Dipartimento del Metauro, con aggregato Ginestreto; nel 1811 gli fu aggregato per un breve periodo anche Monteciccardo. L’Indice alfabetico di tutti i comuni, appodiati, frazioni ed annessi dello Stato Pontificio (Roma 1828) registra a Sant’Angelo-Montecchio 1.383 anime, cui si aggiungono le 1.317 di Ginestreto.

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Il 12 Maggio 1805 il Consiglio comunale delibera in merito alle Scuole Normali di questo Comune denominativo, e suoi Riuniti: i maestri di Montecchio, Ginestreto e MonteCicardo rinunciano al loro incarico e si rende necessario sostituirli. Gli Sigg.ri Congregati, ponderata attentamente l’attuale pendenza sulle Scuole normali, riflettuto che la tenuità degli assegni di quelle di S.Angelo, Ginestreto, e MonteCicardo frappone un ostacolo al concorso degli Aspiranti, conciliando la cosa col minore aggravio possibile del Comune, opinerebbero di aumentare i rispettivi onorari nei seguenti termini, ritenuto che per la Scuola normale di Montecchio non accade il bisogno di eguali provvidenze. Il maestro di Montecchio riscuote infatti un compenso annuo di 96,70 lire, evidentemente giudicato congruo dai consiglieri. Questi gli aumenti deliberati dal Consiglio: Il Maestro normale del Comune denominativo di Sant’Angelo, che ora percepisce annue lire 123,70 sino a lire 170 annue; a quello di Ginestreto, il di cui soldo è di lire annue 85,93 sino a lire annue 110; a quello di Montecicardo, che ha eguale trattamento lire annue 110 come sopra. Il 25 Giugno si apre il concorso per i maestri di S.Angelo e delle sue

frazioni MonteCicardo e Montecchio lasciando alla Congregazione di Carità le incombenze relative alla Scuola di MonteCicardo per i dritti che le appartengono. Nonostante la pubblicità datagli all’apertura di questo concorso... un solo aspirante ha insinuata la sua dimanda, ed è il Sig. Luigi Donati attuale Maestro Provvisorio della Scuola Normale di questo Comune denominativo, che chiede di essere nella medesima stabilmente rimpiazzato. Don Luigi Donati, prosegue il documento, vanta un’esperienza di oltre un decennio di insegnamento in questo Comune e di altri undici anni nel riunito MonteCicardo: credenziali apprezzate dal Consiglio che, complice la mancanza di altri candidati, lo riconferma all’unanimità nel suo impiego (Archivio storico comunale di Sant’Angelo in Lizzola, Libro dei Consigli della Comunità 1811-1818). Da un inventario firmato dallo stesso don Luigi Donati per render conto del fine del suo impiego (1807) ricaviamo gli elementi che arredavano la scuola grande in quei primi anni del secolo XIX: tre tavole d’abeto di circa quattro piedi con sei dei suoi cavaletti; un tavolino di lunghezza circa piedi tre e mezzo con suo cassetto, e seratura con chiave, il suddetto tavolino è d’abeto; una banchella d’abeto di lunghezza circa piedi quattro; un banchetto d’anoce. Completano il quadro tre fenestre con schuri per di fori con catorcio di ferro con sue vetrate in buon stato. In cucina: due tavole con barbacani al muro; una tabella della scuola; una credenza con sua seratura nel muro; due fenestre con vetri in buon stato; tre chiavi alle porte.

Da sinistra: Inventario degli ottensili della scuola..., 1808; Nota de’ scolari della Scuola Normale di Sant’Angelo, 1810 circa. Sopra: Pianta ideale del pezzetto di selciato avanti la Porta Castellana di S.Angelo... 1821. Nel riquadro rosso, in apertura: Sant’Angelo in Lizzola, 23 Dicembre 1817. Una pagina del Libro dei Consigli della Comunità 1811-1818 con l’elenco dei Consiglieri (tutte le immagini provengono dall’Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola)


1831-1847. L’esilio, il ritorno 1831. Nello Stato Pontificio e nei ducati di Modena e Parma cominciano i moti rivoluzionari. Francesco IV, duca di Modena, fa arrestare Ciro Menotti, che sarà impiccato il 26 Maggio. La rivolta si espande a Parma, nei territori pontifici dell’EmiliaRomagna, delle Marche e dell’Umbria, ma le speranze dei patrioti sono ben presto represse dalle truppe austriache. Giuseppe Mazzini, in esilio a Marsiglia, fonda la Giovine Italia. 1842. Il 9 Marzo viene rappresentato alla Scala di Milano il Nabucco di Giuseppe Verdi, con il suo corale patriottico “Va’ pensiero”. 1846. Il 17 Giugno è eletto papa il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti con il nome di Pio IX. Il nuovo pontefice concede un’amnistia a tutti i condannati politici.

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La sera del 7 Agosto 1830 Terenzio Mamiani annota nel Giornale della mia vita: Il momento è venuto: fra breve il dramma sarà sciolto e sapremo se il secolo decimonono sarà schiavo o libero. La parigina ‘Rivoluzione di Luglio’ aveva riacceso le speranze dei patrioti europei e italiani da tempo in fermento, e nel Febbraio dell’anno successivo anche Modena e Bologna insorgeranno, seguite da Pesaro. Sin dall’inizio Mamiani ebbe una posizione importante tra i congiurati delle Romagne, tanto che il Governo Provvisorio delle Provincie Unite d’Italia, creato il 5 Febbraio 1831, lo designerà quale rappresentante della Provincia di Urbino e Pesaro (come allora veniva indicata) all’Assemblea dei Deputati radunata a Bologna. Il 26 Marzo 1831 l’intervento austriaco mette fine alla breve esperienza del Governo delle Provincie Unite con la resa di Ancona. Due giorni dopo Mamiani si imbarca sul brigantino “Isotta” diretto alla volta di Marsiglia, insieme con gli altri membri del governo e alcuni patrioti; l’indomani la nave viene catturata al largo di Loreto, i prigionieri sono trasferiti a Venezia e dopo tre mesi a Civitavecchia, dove attendono le decisioni del pontefice. Nel mese di Luglio i trentotto detenuti sono estradati per Marsiglia: Quivi, scriverà Mamiani nel 1881, al console pontificio fu comandato di informarci che da Gregorio XVI eravam tutti dannati all’esilio e allo

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sfratto perpetuo. A me in cambio appena toccato il territorio francese pareva che gli esuli veri ed i sbandeggiati fossero i miei poveri concittadini a cui interdicevasi allora ogni libertà e ogni diritto e quello puranco di rammaricarsi e piangere... Quindi affrettai di recarmi a Parigi, ove giunsi circa la metà di Settembre di quel medesimo anno. Schedato nel 1835 come persona politicamente perversa, Mamiani resterà sempre in contatto con la famiglia, mantenendo anche costanti rapporti con alcuni tra i più noti personaggi politici, da Giuseppe Mazzini, anch’egli esule a Marsiglia (nel 1832 il pesarese rifiuterà però di aderire alla Giovine Italia, ritenendo temerario e utopico il programma unitario e repubblicano del sodalizio), a Vincenzo Gioberti all’abate Antonio Rosmini. Sono gli anni nei quali Mamiani mette a fuoco la propria visione politica, elaborando il primo vero programma moderato del Risorgimento italiano, che esporrà in un opuscolo divulgato nel 1839, intitolato Nostro parere intorno alle cose italiane. A Parigi Mamiani ebbe modo di approfondire gli studi filosofici e letterari, dedicandosi alla stesura di componimenti poetici e saggi, pubblicando tra l’altro le Poesie nel 1843. Dopo aver respinto nel 1846 l’amnistia concessa da Pio IX, non ritenendosi colpevole

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di alcun reato, nel Gennaio 1847 Terenzio toccava di nuovo la terra italiana, grazie a un permesso di soggiorno a Genova concessogli dal re di Sardegna Carlo Alberto. Rientrato a Roma il 23 Settembre 1847 con una ‘licenza temporanea’, il 24 Ottobre raggiunse Pesaro, dove il 31 dello stesso mese tenne un discorso pubblico nel Salone Metaurense del palazzo Ducale e dove, ancor prima del suo arrivo, fu nominato consigliere comunale.

Nello Statuto e nell’Istruzione generale per gli affratellati del 1832, Giuseppe Mazzini (1805-1872) stabilisce che i colori della società sono il bianco, il rosso, il verde e propone di arricchire la bandiera con delle scritte: libertà, uguaglianza, umanità per un lato, e per l’altro unità e indipendenza. Altre sezioni adottano unione, forza e libertà!! Nei moti del 1831 il tricolore viene usato da rivoluzionari e patrioti come proprio emblema in tutte le città della Romagna, dell’Emilia e delle Marche.

Sopra, a sinistra: una bandiera della Giovine Italia (1833, Museo del Risorgimento di Genova); a destra: Giuseppe Mazzini, fotografia di Domenico Lama (da http://en.wikipedia. org/wiki/File:Lama,_Domenico_(1823-1890)_-_Giuseppe_Mazzini.jpg; 8 Novembre 2011)


Sant’Angelo in Lizzola 1840-1860

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luoghi. La Pubblica Fonte

Il Consiglio comunale delibera in merito ai lavori necessari per ridurre a forma migliore la nostra Pubblica Fonte, e purificare le acque togliendo con qualche sorta di artifizio quei pericoli a cui si trovano esposte le Persone nell’attingere l’acqua. E a dir vero, prosegue il priore capitano Ceccolini, se basterebbe a tanto indurmi il solo motivo delle zozzure che tuttavia vi gettano dentro, o per malignità o per male costume, onde si rendono insalubri le acque di cui vi parlo, oggi ve ne ha fortissimo quel tristo avvenimento di Barbera Balduini che si è rinvenuta annegata, e morta, lasciando superstiti quattro teneri figli pressoché spogli di ogni sostentamento. (...) Si proponga adunque la chiusura dell’arco ossia volta della predetta Fonte, ed a fronte della medesima di abbassare il piano del terreno fino al livello del fondo della Fonte stessa, da cui tirando per mezzo di tubo di piombo fino a poca distanza le acque, siano queste gittate da una canella pel pubblico servizio. Il Consiglio decide all’unanimità di procedere con i lavori, che saranno affidati al nostro muratore Domenico Tucchi. Trattandosi poi di lavoro urgente, e divisando che possa occorrere la spesa di scudi 60, fu proposto d’imporre per tale somma un aumento sul Dazio Mosto imbottato.

Nella relazione allegata alla delibera si legge: la Fonte è l’unica che serve ai pubblici usi degl’abitanti del Comune di Sant’Angelo. La medesima rimane in qualche distanza dal principale abitato, ed è sottoposta ad arco, ossia volta maestra con basso parapetto avanti, per cui quelli che attingono le acque possono con facilità precipitarvi. Tre anni dopo, tra il Marzo e il Settembre 1846, si compie la sistemazione della fonte, che assumerà l’aspetto documentato nel 1851 da Romolo Liverani. Le carte conservate presso l’Archivio storico del Comune di Sant’Angelo, recentemente recuperate, sottolineano la natura acquitrinosa del terreno, che l’anno scorso dilamò. (...) Per sistemare adunque stabilmente questa fontana si progetta di costruire due muri di sostegno laterali, oltre a due muretti sul piano superiore della fontana. Di più si costruirà una chiavichetta... e di fronte alla fontana si costruirà il selciato ora sconnesso, onde sia posto in uno stato regolare. (...) Il coronamento e le testate dei muri saranno di soli mattoni a tre teste con due pietre agli angoli...Si taglieranno delle feritoie sulla superficie del muro, rivestite di mattoni, per dar sfogo alle trasudazioni dell’acqua...

In alto, da sinistra: disegno del 1845 per la fonte di Sant’Angelo in Lizzola; progetto per la pubblica fontana, 1846, pianta. Sotto, nel disegno grande, prospetto (Archivio storico Comunale, Sant’Angelo in Lizzola); nell’immagine piccola: Romolo Liverani, 1851. Fonte di Sant’Angelo

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Lapide trovata in casa Romani per la via Branca (detta la vàgina), recante l’iscrizione PIOPPI ET ULMI NOLI | FRANGERE AGMEN | ETIAM CUM CAPITE AD | STELLAS CONTINGANT | 1822. Misura esterna 39 x 58 interna 26 x 46. Dicesi che una lapide simile si trovasse in prossimità del Furlo, al principio di un viale di pioppi. Se questa fu murata in Sant’Angelo fa pensare che fosse o nella casa ove fu trovata, ma esternamente e che lungo la costa vi fosse una piantata di pioppi ed olmi, oppure con maggiore probabilità si trovasse murata lungo le mura castellane, di fronte alla strada della fonte vecchia, o sulla stessa fonte, e ciò anche secondo quello che il filosofo Terenzio Mamiani scriveva dal suo esilio di Parigi al fratello Giuseppe a Pesaro il 23 XII 1841(Giovanni Gabucci,Appunti e ricerche per Sant’Angelo in Lizzola, 1911; manoscritto, Fondo G. Gabucci, Archivio storico Diocesano di Pesaro).


“il mio secondo esilio”

Romolo Liverani, 1851. Dall’alto:Veduta del Teatro Perticari, aperto l’Autunno del 1851; Entrata del Castello in Sant’Agnolo; Veduta di Sant’Egidio dei Conti Perticari in Sant’Angelo in Pesaro vista dal parterre del suo casino, come nel 1851

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Nel 1847 il Municipio di Sant’Angelo decreta ad utile ed istruzione della gioventù locale, a lustro del Paese ed a decoro delle funzioni ecclesiastiche l’istituzione di un Maestro di Cappella con lo stipendio di scudi cento somministrato dal Municipio, Parroco, Capitolo e Luoghi pii. Tra i maestri della Banda Giovanni Gabucci ricorda Zenone Appiotti, Valdimiro Gennari, Antonio Pavoni, ed in ultimo in M° Alessandro Bassi che sente ancora viva la nostalgia di Sant’Angelo (Giovanni Gabucci, A casa nostra, 1948; manoscritto, Archivio parrocchiale di Sant’Angelo in Lizzola). Per circa un secolo le note del Concerto di Sant’Angelo faranno da colonna sonora alla vita del paese; spesso in trasferta, nel 1896 i musicanti al gran completo saranno presenti a Pesaro, all’inaugurazione del monumento a Terenzio Mamiani. 1° Aprile 1849, Domenica delle Palme. Una schiera di un centinaio di giovani, capitanati da Sante Oliva, agricoltore e possidente di Mombaroccio, già sottufficiale nella Guardia civica, raggiunge Sant’Angelo in Lizzola ove disposti in ordine di battaglia e pattugliando il paese rialzarono le insegne del Papa. Il priore, annota Riccardo Paolo Uguccioni nel suo L’anno del proverbio (Pesaro 1986), consegnò lo stemma, giudiziosamente conservato, e offrì da bere. Dopo aver arringato l’improvvisato battaglione, Oliva non lo condusse da nessuna parte e rimase ad aspettare. Gli stemmi repubblicani furono ripristinati dalla Guardia nazionale, la casa di Sante Oliva data alle fiamme. Autunno 1851. Atterrando il mulino situato lungo la via principale del borgo, il conte Gordiano Perticari fa costruire il proprio teatro, dedicandolo al fratello Giulio (1779-1822). Il teatro fu inaugurato nell’Autunno del 1851 con le tragedie dell’Alfieri e le commedie del Goldoni. Da quel tempo fino a noi il teatro è stato il centro della vita civile ed artistica del paese, perché ivi oltre alle recite si ebbero conferenze, riunioni, premiazioni scolastiche ed anche opere teatrali (Giovanni Gabucci, 1948).

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Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_06

Il 21 Dicembre 1847 muore Giuseppe Mamiani, fratello maggiore di Terenzio, lasciandolo erede universale. A Terenzio il papa accorda un secondo permesso di tre mesi, per tornare in patria e potersi occupare delle pratiche riguardanti la successione. Il 29 Aprile 1848 Pio IX annuncia la partecipazione dello Stato Pontificio alla I guerra d’Indipendenza a fianco delle truppe sabaude; poco prima aveva concesso lo statuto, che prevedeva un parlamento composto da due camere, una delle quali elettiva. In un clima di grande agitazione il 4 Maggio 1848 il pontefice vara un nuovo governo, per la prima volta composto tutto di laici, affidando a Terenzio Mamiani il Ministero dell’Interno. Le pesanti perdite subite a Vicenza e la disfatta di Custoza inducono il papa a ritirare il proprio esercito dal fronte; la situazione a Roma diventa incandescente, e il malcontento sfocia in una crisi culminata il 15 Novembre con il ferimento a morte del ministro Pellegrino Rossi, avvenuto sul portone del palazzo della Cancelleria, sede del governo. Non vale a placare gli animi nemmeno la formazione di un nuovo governo, nel quale Mamiani è ministro degli Esteri: Pio IX è costretto ad abbandonare la

città nella notte tra il 24 e il 25 Novembre, rifugiandosi nella fortezza di Gaeta, ospite di Ferdinando II Re di Napoli. A Roma si costituisce una Giunta di Stato, che indice le prime elezioni a suffragio universale maschile per il 21 e 22 Gennaio 1849. Dopo la denuncia della indebita soppressione del Parlamento, Mamiani si dimette dall’incarico di governo, rifiutando di entrare nel nuovo esecutivo varato il 23 Dicembre. Il 5 Febbraio 1849 si apre l’esperienza della Repubblica Romana: nell’ “Assemblea nazionale dei popoli romani” siedono anche Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi; insieme con Aurelio Saffi e Carlo Armellini il primo sarà anche uno dei componenti il “triumvirato” a capo della Repubblica. Il 4 Luglio la Repubblica Romana soccombe, non prima però di aver approvato la Costituzione sotto le cannonate dell’esercito francese, schierato contro la Repubblica insieme con le truppe austriache, spagnole e del Regno delle Due Sicilie. Tra i morti di quell’Estate anche Goffredo Mameli, autore del Canto degli Italiani. Terenzio Mamiani è estradato dal territorio pontificio il 25 Luglio: costretto a riparare a Genova, si apre per lui il periodo che avrebbe in seguito definito il mio secondo esilio.


palazzo Mamiani, 1855 1850. Il parlamento del Regno di Sardegna approva la legge Siccardi, che abolisce il tribunale ecclesiastico, l’immunità dei luoghi sacri e impedisce alla Chiesa di acquisire beni senza l’assenso dello Stato. Si diffonde in molte parti d’Italia il brigantaggio: in Romagna imperversa Stefano Pelloni, detto il Passatore. Il 26 Gennaio 1855 Cavour, nominato nel 1852 presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, presenta alla Camera l’atto di adesione del governo sabaudo al trattato di alleanza francoinglese del 1854. L’annessa convenzione prevede l’invio di 15mila uomini a sostegno degli eserciti impegnati nella guerra di Crimea. I nostri bersaglieri si distinguono nella battaglia della Cernaia (16 Agosto 1855) respingendo insieme con i francesi il tentativo russo di rompere l’assedio di Sebastopoli.

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Sopra, dall’alto: Romolo Liverani, Casa Mamiani, arcipretale di Sant’Angelo, 1851; palazzo Mamiani e la Collegiata di San Michele Arcangelo in una fotografia dell’Ottobre 2008; palazzo Mamiani in una cartolina degli anni Cinquanta del ‘900 (raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro). A destra, dall’alto: Il castello e la torre, fotografia di Dario Uguccioni - Pesaro, 1916; palazzo Mamiani in una fotografia degli anni Venti-Trenta del ‘900 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_07

Stabilitosi a Genova, Mamiani vi resterà fino al 1856, anno del matrimonio con Angiola Vaccaro e dell’elezione nel Parlamento del Regno di Sardegna. Naturalizzato cittadino dello stato sabaudo nel 1855, nel 1856 si trasferirà a Torino. Nel 1853 Mamiani stipula un accordo con l’amicissimo dottor Giacomo Salvatori di Pesaro, al quale cede tutti i suoi averi in cambio dell’impegno di soddisfare i carichi gravanti il patrimonio; il Salvatori si obbligava anche a corrispondere a Mamiani vita natural durante un annuo assegnamento di scudi romani 1.320, oltre ad altre somme che probabilmente, commentano Benelli e Brancati nel già citato Divina Italia, assicuravano all’esule una disponibilità di denaro liquido superiore al reale ammontare dei propri capitali, che, tolti gli oneri, non sarebbe stato superiore a 900 scudi l’anno. Nel Maggio 1855 il figlio di Giacomo, Fedele Salvatori firma in qualità di procuratore di Terenzio l’atto di vendita del già Palazzo Baronale Mamiani situato entro le mura castellane di Sant’Angelo, composto di 4 piani compresovi il piano-terra, con una Torre unita allo stesso Palazzo... contraddistinto in mappa dal numero

739, di estimo scudi 475, avente per lati il terreno Marcolini, il vicolo pubblico, lo spiazzale della Chiesa e la Casa Comunale. Acquirenti sono i fratelli Giuseppe e Pietro Bartoli, proprietari di diversi altri immobili nel territorio comunale tra i quali, almeno dal 1876, figura anche il molino da olio di via Montali. Il prezzo concordato, convenuto e stabilito è di scudi romani 2.100; l’acconto consegnato in data 24 Maggio è di scudi 500, pagati in tanta buona moneta metallica d’argento a corso di tariffa, da paoli dieci lo scudo. I residuali scudi 1.600 saranno pagati dai Bartoli in rate da 100 scudi entro il 1871. L’atto è rogato dal notaio pesarese Luigi Bertuccioli, e risulta fatto, letto e stipulato nel palazzo della signora Marchesa Vittoria Mosca posto per la strada del Duomo. Dalla famiglia Bartoli il palazzo passa poi ai Marcolini, che negli anni Trenta lo venderanno al Comune. Dal 1936 è sede del Municipio di Sant’Angelo in Lizzola, sino ad allora situato in via Vedetta. I merli che (inopinatamente, secondo i più) guarniscono la cima dell’edificio sono il risultato della ricostruzione del secondo dopoguerra.


Sant’Angelo in Lizzola 1840-1860

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_08

luoghi. La chiesa della Scuola

1857. Il fallimento della spedizione di Carlo Pisacane a Sapri, quello dei moti a Genova e Livorno decretano la fine delle società mazziniane. Nasce ufficialmente la Società nazionale italiana che unisce democratici e moderati con l’obiettivo di liberare l’Italia sotto la guida piemontese. Nel Luglio 1858 Cavour incontra Napoleone III a Plombières: i due firmano segretamente un accordo che prevede la cacciata degli austriaci dal Lombardo Veneto, il quale dovrà essere annesso a un regno dell’Alta Italia insieme con Marche e Romagna. In compenso la Francia avrà Nizza e la Savoia. Il 4 Giugno 1859 francesi e piemontesi sconfiggono gli austriaci a Magenta: l’armistizio di Villafranca, firmato da Napoleone III l’11 Luglio, pone fine alla II guerra d’Indipendenza. Cavour si dimette e viene sostituito dall’accoppiata La Marmora-Rattazzi.

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Eretta nel 1499, la chiesa nota come Santa Maria nel Mercato o della Scuola era intitolata alla Natività della Vergine.Affacciata sull’attuale piazzale Europa, ospitava le Confraternite del Rosario e del Santissimo Sacramento, e da essa dipendeva l’Ospedale dei Pellegrini, situato all’inizio dell’antica via Borgo (oggi via Roma). Restaurata una prima volta nel 1625, tra il 1853 e il 1858 fu radicalmente ristrutturata. E fu tutto un lavoro di cittadini, ricorda nel 1948 don Giovanni Gabucci, perché ne fece il disegno il perito architetto Pietro Bartoli, e il lavoro fu assunto dal capomastro Biagio Tucchi che passò l’invernata a rotare pazientemente i mattoni per il nuovo rivestimento della facciata. Nel 1928 la chiesa verrà dedicata ai Caduti della guerra ’15-’18, e nel 1930 vi saranno tumulate le salme dei militi Guido Dionigi e Amato Zaffini. I bombardamenti dell’Agosto 1944 ne lasciarono intatta solo la facciata, e la chiesa venne demolita nel dopoguerra. Ancora Giovanni Gabucci segnala che, accanto al Crocifisso da molti ritenuto miracoloso, la chiesa della Scuola custodiva due grandi tele raffiguranti la Natività della Vergine e la Beata Vergine del Rosario, che il professor Francesco Filippini, storico dell’arte e assiduo frequentatore di Sant’Angelo, attribuiva rispettivamente a Girolamo Marchesi detto il Cotignola (1471-1540 circa) e a Giovanni Giacomo Pandolfi (1567-1636).

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Dintorni di Pesaro, Santangelo in Lizzola. Chiesa della Scuola e Corso, cartolina dei primi del ‘900 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). A destra, dall’alto: Romolo Liverani, 1851. Veduta del Borgo di Sant’Angelo; il Crocifisso della chiesa della Scuola in una stampa e in una fotografia degli anni Venti del ‘900 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). Sotto, da sinistra: una pagina del Libro del Venerabile Ospedale di Sant’Angelo, 1837 (Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola) e le due tele un tempo conservate nella chiesa della Scuola, raffiguranti rispettivamente la Natività della Vergine (a sinistra) e la Beata Vergine del Rosario con i quindici misteri (fotografie di Cesare Lardoni, 1931; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)


11 Settembre 1860. Pesaro, Italia Il 1860 si apre con il nuovo incarico a Cavour per la costituzione di un governo che sostituisca quello di La Marmora - Rattazzi. In Marzo due plebisciti sanciscono la fusione della Toscana e dell’Emilia con il Regno di Sardegna. Il 6 Maggio, nonostante l’opposizione piemontese, parte da Quarto la spedizione dei Mille: i volontari salpano verso la Sicilia praticamente senza armi, che si faranno consegnare a Talamone (Grosseto), dal comandante del porto. L’11 Maggio i Mille sbarcano a Marsala, Garibaldi assume la dittatura dell’Isola e il 15 sconfigge a Calatafimi le truppe borboniche. Il 18 Settembre nella battaglia di Castelfidardo i piemontesi sconfiggono le truppe papaline e annettono le Marche e l’Umbria. Il 26 Ottobre si ricorda l’incontro di Teano, in realtà avvenuto a Vairano (Caserta) in cui Garibaldi saluta Vittorio Emanuele II come Re d’Italia.

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La sezione d’artiglieria mandata avanti al trotto colla cavalleria aveva appena incominciato il fuoco contro porta Rimini che già il 7° Bersaglieri, assaltate e scalate le mura di porta Cappuccini, entrava nella piazza provocando la fuga dei difensori rimasti a difesa della cinta. Padrone della città, Cialdini fece tosto occupare dalla brigata artiglieria di riserva l’altura chiamata ‘Monte di Loreto’ che domina il forte di Pesaro. ...Essendosi fatta notte buia, il generale, ad evitare il pericolo di recare coi nostri tiri danno alla città, dispose, dopo qualche colpo sparato, che l’attacco si ripigliasse all’alba dell’indomani. (...) Durante la notte, il 7° Bersaglieri aveva occupato un convento prospiciente il vecchio castello sforzesco a quattro torri gradatamente trasformato in forte bastionato

del XVIII secolo ove si era rifugiato tutto il presidio di Pesaro unitamente al Delegato pontificio Bellà, il quale aveva in quei giorni fatto tradurre colà in ostaggio anche taluni pesaresi ‘sospetti’. (...) Dopo meno di mezz’ora di vivo fuoco della nostra artiglieria, il forte inalberò bandiera bianca. Respinta dal generale ogni trattativa di capitolazione condizionata, il colonnello Zappi dovette sottoporsi alla resa a discrezione. In mezzo al gruppo degli ufficiali prigionieri spiccava per il suo abito da prelato con croce d’oro al petto e calze pavonazze la virile e bruna figura di monsignor Bellà (Baldassarre A. Orero, Da Pesaro a Messina Ricordi del 1860-’61,Torino 1905).

Tancredi Bellà (1818-1878) Eletto Delegato Apostolico, non tardò a manifestare una sconfinata avversione alle nuove idee, ed il proposito di combatterle con ogni mezzo. Di carattere inflessibile, che lo spingeva ad incessanti e raffinate persecuzioni, lo si sarebbe immaginato un truce sgherro nell’aspetto; invece la cortesia... ne faceva un piacente gentiluomo.Alto robusto, bello ed altero, lo si sarebbe, dalle movenze, creduto napolitano, militare anziché prelato. (...) Il suo nome finì col destare terrore (Giuseppe Grossi, Fatti d’arme e vicende politiche nel Settembre 1860, Fossombrone 1898). Il Bellà era rimasto prigioniero insieme con la guarnigione; e mi mostrarono un campo cinto da siepe, tra il fortino e la città, nel quale il Cialdini aveva obbligato il prelato, in pena della sua spavalderia, a passare all’aria aperta in calzoni corti da prete una rigida nottata d’autunno. Mandato a Torino, presto fu libero (Gaspare Finali, Le Marche - ricordanze, Ancona 1896; ristampa anastatica Pesaro 2010).

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Enrico Cialdini (1811-1892) Dopo i combattimenti di Rocca Costanza a Pesaro, il generale Cialdini sconfisse le truppe pontificie a Castelfidardo, meritandosi quindi il titolo di ‘Duca di Gaeta’ per aver costretto alla resa la fortezza dove si era rifugiato Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie. Nel 1869 Vittorio Emanuele II lo nominò ambasciatore speciale in Spagna, dal 1873 al 1881 fu ambasciatore in Francia. Discusso protagonista della lotta contro il brigantaggio, a Enrico Cialdini il Comune di Pesaro intitolò nel 1936 l’antica via Porta Fano.

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_09

Nel mattino dell’11 Settembre improvvisamente si udirono allarmanti strepiti e ripetuti gridi di all’armi! aux armes! E vedevansi militi pontifici, sì indigeni che esteri, correre a precipizio verso le rispettive caserme, ed io pure che vi apparteneva... mi diressi verso il luogo ov’era accasermata la mia compagnia. (...) Nel mattino del 12, e per tempo, cominciò il cannone senza tregua a rovinarci il forte e smantellarne i bastioni, nostro riparo, che fummo costretti ben presto abbandonare. (...) Trattata la capitolazione... ci dissero che eravamo tutti prigionieri di guerra... Finalmente ci fecero sortire senz’armi (perché si trattava di una resa a discrezione) fra gli urli, fischi, sputacchi, sassate, ingiurie, apostrofi e simili della più schifosa plebaglia... e ci condussero in un campo, fuori Porta Fano, ove per ben sette ore ci tennero alla berlina, esposti ancora a una fitta e minuta pioggia. In conclusione, però, la nostra resistenza, per 22 ore, fu accanita e disperata e non eravamo che 1.200... con tre piccoli pezzi di artiglieria quasi inutili, mentre il corpo d’esercito del Cialdini composto di oltre 12.000 uomini, fornito di quaranta e più cannoni, e tutti di grosso calibro. (Nicola Mazzoli, Fatto d’armi nella città di Pesaro, Pesaro 1896)

In alto: Bombardamento della Fortezza a Pesaro nell’11 Settembre 1860, cartolina dei primi anni del ‘900, ed. Federici - Pesaro (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)


Pesaro, 11 Settembre 1860-18 Gennaio 1861 I861. Le prime elezioni per la formazione del Parlamento italiano (27 Gennaio) decretano il successo del partito moderato capeggiato da Cavour. Dopo 102 giorni di assedio nella fortezza di Gaeta, il 15 Febbraio Francesco II di Borbone si arrende e fugge con la famiglia su una nave francese verso Roma, dove sarà accolto da Pio IX. 17 Marzo: La prima legge approvata dal nuovo parlamento proclama Vittorio Emanuele II e i suoi discendenti Re d’Italia. Il 23 Marzo si costituisce il primo governo guidato da Cavour. Una grande rivolta scoppiata in Basilicata segna l’inizio del brigantaggio (che unisce militari sbandati e lealisti, contadini insoddisfatti e briganti). Le vittime della repressione arriveranno a quasi ventimila. Il 6 Giugno Camillo Benso conte di Cavour muore improvvisamente a Torino. Il 12 Giugno Bettino Ricasoli vara un nuovo governo.

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L’11 Settembre 1860 i ministri del Regno di Sardegna Cavour e Farini convocano urgentemente a Torino Lorenzo Valerio. Un decreto reale sottoscritto il giorno successivo nomina l’industriale e intellettuale piemontese Commissario generale straordinario per le Province delle Marche, incarico che manterrà fino al 18 Gennaio 1861. Il 18 Gennaio consegnai l’amministrazione delle Marche ai quattro Intendenti Generali, ed ho la coscienza che il mio governo benché eccezionale, lungi dal render difficile la successiva opera loro, ha sgombrato il terreno dagli abusi e dagli inciampi (L. Valerio, Le Marche dal 15 Settembre 1860 al 18 Gennajo 1861, relazione al Ministero dell’Interno del R. Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio, dal “Politecnico”, Milano 1861).

Sopra: Proclama del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio “Agli Italiani delle Marche”, Rimini 15 Settembre 1860 (Archivio di Stato di Pesaro e Urbino); a destra: l’Italia nel 1848 e nel 1860. Nel riquadro rosso: Lorenzo Valerio (da http://notes9.senato.it, 6 Novembre 2011), Luigi Guidi (fotografia Osservatorio Valerio, Pesaro) e Pesaro, Osservatorio Valerio, cartolina datata Pesaro, 14 Luglio 1909 (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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Lorenzo Valerio (1810-1865), torinese, fu Commissario Straordinario per le Marche dal 15 Settembre 1860 al 18 Gennaio 1861. Industriale e uomo di cultura, creò e diresse il giornale “La Concordia” (1847), e fu tra i fondatori di diverse istituzioni sociali (l’asilo e il convitto per le operaie del setificio di Agliè) e culturali (la Società di Belle Arti di Torino). Le cronache ricordano che nella sua casa torinese, di fronte a un gruppo di intellettuali e patrioti nacque nell’Autunno 1847 la musica de Il canto degli Italiani, l’inno nazionale composto da Michele Novaro sui versi di Goffredo Mameli.

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_10

Il 20 Gennaio 1860 Terenzio Mamiani era stato nominato Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna: resterà in carica fino al 22 Marzo 1861, diventando così il primo Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia. In poco più d’un anno presenterà sette progetti di legge, sei dei quali giunti in Parlamento.Tra le linee essenziali della sua riforma trovano spazio anche proposte volte a migliorare le condizioni dei maestri. Sessantaduenne, nel Giugno 1861 Mamiani sarà inviato da Vittorio Emanuele II alla corte del sovrano di Grecia Ottone I di Baviera, con l’incarico di Ministro plenipotenziario. Rientrerà in Italia nel 1864; dopo la nomina a senatore a vita partirà nel 1866 per Berna, ancora come Ministro plenipotenziario. A Pesaro Valerio istituì nel 1861 anche l’Osservatorio meteorologico che porta il suo nome, situato all’interno degli Orti Giuli. Promotore e primo direttore dell’Osservatorio Valerio fu il santangiolese Luigi Guidi (1824-1883) professore di Agraria e Socio dell’Accademia Agraria di Pesaro.


Sant’Angelo in Lizzola, 1860. Il plebiscito Novembre 1860. Nelle Marche e in Umbria si svolgono i plebisciti per l’annessione al Regno d’Italia: i votanti sono 134.977 su circa 212mila iscritti alle liste elettorali (il 63,7%); 133.765 i voti favorevoli, 1.212 i contrari, 77.023 gli astenuti. Nel Regno di Sardegna la legge elettorale emanata da Re Carlo Alberto il 17 Marzo 1848 prevedeva che ad esercitare il diritto di voto fossero solo i maschi di età superiore ai 25 anni, che sapessero leggere e scrivere e che pagassero al Regno un tributo di 40 lire. Erano ammessi a votare, indipendentemente dal censo, anche i magistrati, i professori e gli ufficiali.

Nell’immagine grande: Decreto n. 97 del Regio Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio sulla “partecipazione del popolo delle Province delle Marche al plebiscito...”, 21 Ottobre 1860 (Archivio di Stato di Pesaro e Urbino); in piccolo, le schede per la votazione conservate da Giovanni Gabucci (Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci)

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Favorevoli all’an- Per un regno nessione all’Italia separato

Territorio

Data

Iscritti

Votanti

Marche

4 Novembre

212.000

134.977

133.765

Umbria

4 Novembre

123.000

97.708

97.040

Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Astenuti

Nulli

1.212

77023

?

308

25.292

?

In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II. Analogamente al rispettato Decreto di S. Eccellenza il Regio Commissario Straordinario in data 21 spirato Ottobre n. 97, osservate le prescrizioni tutte del citato Regio Decreto, fra le quali la pubblicazione della Lista Elettorale di cui è risultato un n. di 440 votanti, sotto la Presidenza della Commissione Municipale, assistita dal proprio Segretario è stata oggi 4 Novembre alle ore 9 antimeridiane aperta in apposita sala del Palazzo Comunale di Sant’Angelo la publica adunanza, e dato principio alla Votazione per l’annessione alla gloriosa Monarchia di Vittorio Emanuele II. Quindi il Sacerdote Don Francesco Canonico Felici ha data lettura al Proclama del Municipio ai suoi Concittadini in seguito di che hanno preso parte alla suddetta Votazione i seguenti Cittadini [segue elenco, che non riportiamo per ragioni di spazio]. Pervenute le ore 5 pomeridiane, e per conseguenza l’ora prescritta per la chiusura dell’Adunanza è stata a pubblica vista suggellata l’urna contenente i Voti, e quindi la Commissione Municipale ha dichiarata sciolta l’Adunanza medesima per riaprirla nel domani alla stessa ora, giusta il disposto del succitato Regio decreto e così sia.

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_11

Manca il risultato della votazione, annota Giovanni Gabucci, dal quale ricaviamo le notizie qui riportate; il numero di votanti assomma a 442 dei quali detratti i minorenni votarono soltanto 163 persone (e non tutti certamente per il sì) e se ne astennero 279. La votazione si concluse il 5 Novembre (Giovanni Gabucci, Il plebiscito del 1860 a Sant’Angelo in Lizzola, trascrizioni dai documenti dell’Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola, anni VentiTrenta del ‘900; Archivio storico Diocesano di Pesaro, Fondo G. Gabucci). Il Canonico Felici, uno degli otto sacerdoti della Diocesi di Pesaro sospesi a divinis per il loro voto a favore dell’annessione, era Maestro di Scuola e dopo la sospensione ebbe dal Municipio un sussidio di circa 60 lire. Come rileva Gabucci, Don Felici si ravvide: quando morì a soli 43 anni, stroncato dalla tisi, le sue esequie, descritte nel X Libro dei Defunti della Collegiata di San Michele Arcangelo, furono celebrate in forma solenne.


Sant’Angelo in Lizzola 1860-1885

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_12

persone e mestieri

Bartoli Giuseppe e Pietro

palazzo Comunale

casa comunale

Demanio

Bartoli Giuseppe e Pietro (ex palazzo Mamiani)

casa della Confraternita del SS. mo Sacramento

Demanio

Ospedale dei pellegrini

Collegiata

forno comunale

casa parrocchiale

Bartoli Giuseppe e Pietro

casa comunale

Bartoli Sac. Andrea Marcolini Angelo fu Luigi

teatro Perticari

Gabucci Sac. Francesco, Giuseppe e Andrea fratelli

archivio notarile (?)

Becci Sac. Cesare casa e bottega

Pieri Giuseppe casa e bottega

Villa Perticari (Comune di Monteciccardo)

chiesa di Sant’Egidio Perticari Andrea, Giulio e Giuseppe fu Gordiano

Bartoli sac. Francesco bottega

macello osteria (propr. comunale)

Bartoli sac. Andrea Pieri Domenica in Romani casa e bottega

casa della Confraternita della Natività

chiesa della Scuola (propr. Confraternita della Natività)

Celli Gregorio fu Biagio (e altri) casa e orto

La mappa del Catasto Gregoriano (1835 circa) e il Registro dei Fabbricati conservati presso l’Archivio di Stato di Pesaro ci permettono di conoscere i proprietari di edifici e terreni di Sant’Angelo in Lizzola intorno alla metà dell’800 (1876). Dal Registro della Popolazione del Comune di Sant’Angelo (1864) aggiungiamo i nomi di alcuni abitanti del borgo e del castello, dal sarto Nicola Andreatini arrivato da Gradara insieme col figlio Luigi, farmacista (via Mura di sotto) all’orologiaio Fortunato Iacomacci, originario di Cartoceto; dal maestro di scuola Felici ai maestri di musica Abbondio Govoni, proveniente da Cento (Ferrara), Giovanbattista Colarizi e Zenone Appiotti, nativo di Senigallia, insieme con il figlio Filippo, “musicante dell’esercito italiano”.

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Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Secondo il Censimento del 1871 Sant’Angelo in Lizzola conta 1.828 abitanti, distribuiti tra la borgata di Sant’Angelo, la villa di Montecchio e le campagne circostanti. I maschi sono 953, le femmine 875; solo 207 maschi e 147 femmine sanno leggere, contro 746 maschi e 728 femmine analfabeti. Nel 1881 la Statistica Scelsi segnala a Sant’Angelo 363 residenti nella borgata e 578 nella campagna; pochi anni dopo, nel 1887, lo Stato d’Anime compilato dal parroco conta fra i 366 abitanti del paese sette muratori (tre nel borgo, quattro nel castello), quattro fabbri ferraj (tre/uno) e altrettanti calzolai (tre/uno), tre falegnami e tre fornaj, tutti nel castello, tre sarti (due nel borgo, uno nel castello) e due sartrici (castello), due sensali (castello), un barbiere (borgo), un calderajo (borgo), un orologiaio, un macellajo e un birocciajo tutti nel castello, cui si aggiungono un’ostessa e un caffettiere (nel borgo) e due postini (castello). Completano il quadro alcuni industrianti, pochi braccianti con le mogli registrate come massaje (ma la maggior parte dei braccianti abitava naturalmente nelle campagne); sette possidenti (quattro nel borgo e tre nel castello); sei sacerdoti (i canonici monsignor Cesare Becci e don Giovanbattista Giovanelli, don Gaetano Bartoli, don Andrea Paccassoni, il priore don Giuseppe Della Chiara e il cappellano don Riccardo Giannoni), il medico Giuseppe

In alto: l’orologiaio Fortunato Iacomacci (1834-1919), in una fotografia dei primi del ‘900 (raccolta Gabriella Giampaoli, Pesaro)

Calzolai Muratori Fabbri ferrai Braccianti agricoltori Servitori

Rinieri da Bologna, la levatrice Teresa Angelini vedova Spadoni, i maestri Valdemiro Gennari e Celestino Pizzagalli, tutti residenti nel castello e, infine, gli agrimensori Ettore Guidi (borgo) e Luigi Marcolini (castello).Tra i residenti anche il segretario comunale Ottavio Gerunzi, nativo di Terracina ma, come conferma il pronipote Marco totalmente pesarese, sposato con la figlia del prefetto di Pesaro e fervente mazziniano Gaetano Brussi. Secondo quanto si legge in una lettera conservata da Marco Gerunzi tra le carte di famiglia, Ottavio era nel 1883 alloggiato nella casa feudale di Terenzio Mamiani, amico del padre Vincenzo. Allora come oggi il mercato settimanale si tiene il Lunedì (meno quelli di Agosto e Settembre, specifica ancora Scelsi), e il 1° Settembre si svolge l’unica fiera fissa, quella di Sant’Egidio (fiere mobili sono segnalate tutti i Lunedì di Settembre): generi principali che vi figurano - bestiame e generi diversi. Se le fiere sono qualificate da Scelsi di importanza mediocre, i mercati risultano invece avere molta importanza. Nel territorio comunale è attivo un mulino il cui lavoro è intermittente; tra gli esercizi commerciali si segnalano 4 caffè, 8 rivendite di vino e 4 di liquori. L’assistenza sanitaria è garantita da un medico-chirurgo condotto (stipendio annuo: lire 2.500), una levatrice, un farmacista. Il maestro della scuola inferiore maschile percepisce uno stipendio di 620 lire annue, la maestra della scuola femminile 450, quella della scuola mista 560.

Sant’Angelo in Pesaro Lizzola 1860 (lire) 1880 (id.) 1860 (id.) 1880 (id.) 0,90 1,25 1,25 1,50 0,65 0,90 1,50 1,75 0,90 1,25 1,50 1,75 0,75 0,90 0,80 1,00 0,65 0.80 1,00 0,50

Coefficiente 1861 1911

8710,585 (1 lira = 4,5 euro) 7222,123 (1 lira = 3,73 euro)

1961

23,333 (1 lira = 0,012 euro)

2010

1,000 (1 euro = 1.936,27 lire)

1,00 Lire del 1861 corrispondono a circa 8.577,36 Lire del 2009


Sant’Angelo in Lizzola 1860-1885

Sant’Angelo in Lizzola ai tempi di Terenzio Mamiani_13

le campagne

I866. Il 24 Giugno l’Italia viene sconfitta dagli austriaci a Custoza. Contro gli austriaci Garibaldi ottiene buoni risultati in Trentino, ma sarà costretto a ritirarsi dopo il trattato di pace che, grazie alla vittoria dei prussiani a Sedowa (Boemia) il 3 Luglio, assegna il Veneto all’Italia (21 Ottobre). 1870. In seguito alla sconfitta dei francesi a Sedan a opera dei prussiani (1° Settembre 1870), il governo italiano rompe gli indugi e decide l’occupazione di Roma, ormai priva dell’appoggio di Napoleone III. Il 10 Settembre Pio IX respinge la proposta di Vittorio Emanuele II che gli offriva “le garanzie necessarie per l’indipendenza spirituale della Santa Sede”. L’11 Settembre il generale Raffele Cadorna varca con le sue truppe i confini dello Stato pontificio. Il 20 Settembre il 29° battaglione fanteria e il 34° bersaglieri entrano attraverso la breccia di Porta Pia aperta dall’artiglieria.

Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche Archivio di Stato di Pesaro e Urbino

A senso del ricevuto Circolare Dispaccio... mediante allegato quadro faccio alla lodata E.V. il prescritto periodico rapporto sullo spirito politico degl’abitanti di questo Comune principale, e sua frazione Montecchio. Lo spirito politico della Gioventù, e di molti altri abitanti è veramente patriottico. Vi sono però non pochi retrogradi ben

conosciuti, del partito Clericale, e di conseguenza avversi all’attuale legittimo governo di Sua Maestà. Lo spirito politico di quegl’abitanti, niuno eccettuato, non solo non è punto razionale, ma anzi del tutto avverso all’attuale ordine di cose. La Gioventù poi è dedita soltanto all’ozio, vagabondaggio ed a reati d’ogni genere (Archivio storico Comunale di Sant’Angelo in Lizzola)

Le condizioni di vita nelle campagne italiane sono descritte dall’inchiesta promossa dal parlamentare Stefano Jacini, condotta tra il 1877 e il 1885 per raccogliere dati sulle condizioni dell’agricoltura, settore di fondamentale importanza per l’economia del paese, ma ancora trascurato dal governo dell’Italia post-unitaria. Per quanto riguarda la provincia di Pesaro, l’inchiesta descrive case per la maggior parte di due piani: la capacità delle stanze è varia, ma sempre insufficiente, rispetto al numero degli individui che vi sono alloggiati; ai coloni mezzadri in generale è destinata una casa per famiglia; ma dei casanolanti non è così, e spesso incontri più famiglie coabitanti in una stessa casa. Assai precarie le condizioni igieniche: le case e le stalle sono disposte sempre in modo che la stalla resti al disotto o della cucina o delle camere da letto, con pavimenti così male connessi da lasciare libero vano agli affluvi che da quella si sollevano. Le case non hanno cessi, e mancano anche presso le famiglie più agiate; vanno nelle stalle o presso i letamai persino gl'infermi. Da magazzino serve spesso la camera da letto; i letti, aggiun-

Anno

Comune di Sant’Angelo in Lizzola

Pasta

Riso

Patate

Carne bovina

Carne suina

Granoturco

Avena

Patate

Fagioli (secchi)

1861

0,010

0,011

0,005

0,009

0,00105

1911

0,014

0,015

0,009

0,011

0,008

0,018

0,67398

0,57017

1961

3,469

4,345

2,154

2,099

1,439

5,840

15,28

8,52

2009

15,380

19,920

13,130

18,360

34,360

144,430

0,00022

0,00006

0,00045

0,00057

1911

0,00021 0,00026

0,00025

0,00010

0,00092

1961

0,06972 0,10587

0,10226

0,02737

2,43

0,89

1,57

Frumento Duro 0,014

0,00021 0,00031

2,69

Anno

Tenero 0,014

1861

2010

Catasto Gregoriano, Montecchio, 1835 circa (Archivio di Stato di Pesaro e Urbino)

Pane

ge l’inchiesta, sono formati da un saccone ripieno di foglie di granturco, o di paglia, assai raramente rinnovato o ripulito, e sostenuto da così detti trespoli di legno, conservatori eccellenti di ogni specie d'insetti. A completare il quadro, oltre alla poca nettezza della biancheria, si aggiunge la viziosa abitudine generale di allevare negli ambienti stessi il baco da seta in proporzioni relativamente esagerate. (…) La nettezza pubblica non è del tutto trascurata, ma non quale richiederebbe l'igiene meno severa. I paesi mancano di fogne; pochi non hanno che parzialmente, in qualche via principale, scoli per acque piovane. Infine, non solo nelle case sparse o nei caseggiati meno in vista, ma anche nei paesi la pratica di allevare porci, pecore e coabitare con essi, per quanto dai regolamenti vietata, è però comunissima. Buoni i granai, e quasi per tutto asciutti, anche se è raro il caso di trovarli utilizzati nelle campagne, mentre il vino è così mal fabbricato, che per conservarlo durante l'estate convien riporlo nelle grotte (Atti della Giunta Parlamentare per l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma1881-1886, ristampa anastatica Bologna 1978).


Finale, 1870-1885 Numerosi i riconoscimenti tributati a Terenzio Mamiani nell’ultimo scorcio di vita, dall’incarico di vicepresidente del Senato ricevuto nel 1870 alla cittadinanza onoraria di Roma (1872) fino alla nomina, nel 1875, a vicepresidente dell’Accademia dei Lincei (nel 1884 ne diverrà presidente onorario a vita). Dal 1871 titolare della cattedra di Filosofia della Storia all’Università “La Sapienza” di Roma, disciplina che già aveva insegnato a Torino dal 1857, negli ultimi anni Mamiani si dedicherà prevalentemente agli studi filosofici. Anche dopo la visita del 1879, l’ultima, durante la quale gli verrà consegnato un attestato firmato da 751 cittadini, Mamiani non dimenticherà la città natale, adoperandosi tra l’altro per l’istituzione del Liceo musicale “G. Rossini” (l’odierno Conservatorio) e del Liceo classico che porta il suo nome. Sempre più logoro e vecchio, ma ancora attivo, Terenzio Mamiani si spegne il 21 Maggio 1885, nel piccolo appartamento romano di via Varese, assistito dalla moglie Angiola Vaccaro. Fu proprio Angiola a decidere che le spoglie dell’amatissimo marito riposassero a Pesaro, secondo il volere manifestato da Terenzio sin dai tempi dell’esilio. Anche Angiola volle trascorrere i suoi ultimi anni a Pesaro, dove morì il 10 Maggio 1909.

In alto: Terenzio Mamiani, ritratto, dettagli (da A. Brancati - G. Benelli, Divina Italia, Pesaro 2004); a destra: Sant’Angelo in Lizzola, il Borgo, 1916; fotografia Dario Uguccioni, Pesaro (Archivio storico Diocesano, Fondo G. Gabucci). Le parole di Gaspare Finali sono tratte da: Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 22 Maggio 1885 (http://notes9.senato.it; 24 ottobre 2011)

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Io sopravvivo a me stesso e ogni giorno, collega mio caro, un bricciolo delle forze rimaste si consuma o dilegua. La memoria poi è spenta addirittura e quel che leggo, solo una confusa generalità mi s’imprime nella memoria. Cotesta declinazione è cominciata da poco, ma sembra voglia crescere rapidamente. Roma, 19 Novembre 1883, Terenzio Mamiani a Gaspare Finali La gioventù italiana, anche per le dimostrazioni di onore che il Senato a ciò convocato e il Governo rendono a Terenzio Mamiani, imparerà ad apprezzare la grandezza dell’esempio ch’egli ha dato e nelle lettere, e nella filosofia e nella politica: e sebbene oggi allo sparire di questi grandi astri non se ne veggano apparire altri nel cielo italiano, poiché i grandi uomini del secolo videro realizzarsi speranze magnanime, giovi a noi sperare che l’Italia libera ed una, saprà dare al mondo grandezze non minori di quello che poté dare l’Italia serva e divisa. Roma, 22 Maggio 1885, Gaspare Finali


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